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“Beati voi quando vi perseguiteranno” (Mt 5, 11)
È giusto riconoscere che, a differenza di quanto avveniva fino a poco tempo fa, le recenti persecuzioni di
cristiani non sono passate sotto silenzio, e stanno trovando ampia eco anche sui mezzi di informazione
non confessionali. Ma, nel susseguirsi incalzante di
notizie sempre più preoccupanti, non è stato facile approfondirle e analizzarle tutte nelle loro cause e possibili conseguenze, e siamo rimasti con l’impressione
che si stia scivolando sempre più in basso, e che una
certa barbarie che credevamo confinata ai secoli passati si stia nuovamente impossessando dell’umanità.
Non si spiegherebbe altrimenti l’uso preistorico del
coltello per decapitare con le proprie mani il “nemico”, pur affiancato dall’uso postmoderno del telefonino per immortalare il gesto in una sorta di
macabro selfie.
“Noi non possiamo tacere”
(messaggio della Presidenza della CEI, Agosto 2014)
È
tradizione che in ogni estate i mass media di
casa nostra guidino e concentrino l’attenzione del pubblico su un fatto di cronaca,
preferibilmente nera, e andando ben oltre il dovere di
informazione ci bombardino per giorni e settimane con
resoconti più o meno fondati, più o meno fantasiosi,
allargando via via il cono di luce dai protagonisti diretti fino a comprendere amici, parenti e conoscenti.
Cono di luce destinato poi a spegnersi puntualmente al
rientro dalle ferie. Ci hanno spiegato come il giallo dell’estate assolva a diverse funzioni mediatiche: compensare la scarsità di notizie “vere”, distrarre l’opinione
pubblica da provvedimenti governativi impopolari, fino a scomodare il ruolo catartico
della tragedia greca, che mettendo in scena
situazioni esageratamente scabrose e violente
prometteva agli spettatori di mantenerli immuni nella loro normalità.
La stagione appena trascorsa non ha
avuto bisogno del suo giallo per riempire i
giornali. Se la primavera si era chiusa con un
promettente incontro in Vaticano tra papa
Francesco, Shimon Peres, Abu Mazen ed il
Patriarca ecumenico di Costantinopoli,
l’estate si è aperta con una nuova recrudescenza proprio del conflitto israelo-palestinese a Gaza, è proseguita con l’abbattimento
di un aereo di linea malaysiano in territorio
ucraino, fino ad arrivare alle recentissime,
barbare “esecuzioni” di giornalisti occidentali da parte dell’ISIS in Iraq (tre in meno di
un mese, mentre scriviamo queste righe). Sto
sicuramente dimenticando tanti altri avvenimenti, ma uno solo di quelli che ho riportato
sarebbe stato sufficiente, in epoche passate
ma non troppo remote, a scatenare una
guerra su scala almeno continentale.
È quindi più che mai opportuno che anche noi impariamo a “non tacere” di fronte a queste ingiustizie.
Noi non possiamo tacere innanzitutto come uomini, perché ogni volta che un nostro simile vede negati i suoi diritti fondamentali è l’intero genere umano
a esserne offeso. Ma non possiamo tacere anche come
cristiani, che non si vergognano di professare la propria fede e non possono vederla negata, calpestata e
infine cancellata da intere nazioni o continenti.
Un posto speciale hanno avuto le notizie relative alle
nuove persecuzioni di cui sono fatti oggetto i cristiani
in varie parti del mondo. La voce del Papa si è levata più
volte al riguardo e, in almeno due occasioni (la festa dell’Assunta e quella dell’Esaltazione della Croce), siamo
stati invitati a pregare in modo speciale per i nostri fratelli uccisi, feriti o costretti alla fuga da un’intolleranza
religiosa crescente e sempre più violenta.
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Il mondo globalizzato deve andare nella direzione
opposta; le vecchie società monolitiche lasciano il
posto a società multietniche, multirazziali e multireligiose. Se dobbiamo essere aperti e accoglienti verso le
tradizioni diverse che coabitano con noi, altresì dobbiamo rivendicare anche con forza - non con “la”
forza, ma con forza - il diritto delle minoranze cristiane non solo di esistere, ma di conservare e trasmettere la fede in piena libertà ovunque si trovino.
C’è invece una sorta di necessità, di serena consapevolezza che quando si sceglie come stella polare il
Vangelo ogni altra scelta viene da sé, e la strada è già
tracciata. Resta una “strada stretta” e difficile da seguire, ma non possiamo non vederla.
È giusto che manifestiamo solidarietà ai cristiani
perseguitati in terre lontane. Ma non dimentichiamo
quelli più vicini a noi, i tanti preti di frontiera perseguitati o ignorati perché scomodi, antipatici, poco telegenici o semplicemente non conformi a un modello
di religiosità che unisce e confonde nella devozione la
Madonna, il Santo patrono e il boss locale. Ignorati in
vita e ipocritamente esaltati e rimpianti quando ormai
non danno più fastidio.
Dobbiamo allora armarci e partire tutti per una
nuova crociata? Quand’è che la mansuetudine evangelica del “porgi l’altra guancia” rischia di diventare
indifferenza e quindi complicità con i persecutori?
Qual è il punto di equilibrio tra la mia fame di giustizia e il mio desiderio di vendicare il torto subito, costi
quello che costi? Ogni giorno qualcuno ci dà una risposta, sovente in apparenza sensata, ma non è facile
mantenere la giusta rotta nelle scelte quotidiane.
“Fortunato quel paese che non ha bisogno di eroi”
scriveva Bertold Brecht. Di sicuro non ci servono altri
eroi alla memoria. Mi piacerebbe che don Ciotti e tanti
come lui potessero fin da oggi fare a meno della scorta
armata, perché sanno di poter contare, in caso di bisogno, su ciascuno di noi, giorno e notte, senza esitazioni e senza eccezioni. Avremmo qualche eroe in
meno, ma una fede testimoniata in questo modo darebbe più speranza anche ai fratelli lontani.
La risposta che più mi ha convinto è stata quella che
don Ciotti ha dato a Totò Riina e alle sue recenti minacce di morte: “La lotta alla mafia è un atto di fedeltà
al Vangelo”. In queste parole non c’è rabbia (anche se
don Ciotti ha visto morire tanti suoi compagni di testimonianza), non c’è paura (anche se un uomo costretto
da anni a vivere sotto scorta ne deve pur avere).
Enrico Occelli
VACANCES , J’OUBLIE TOUT...
D
a un punto di vista meteorologico, l’estate di
quest’anno è stata insolitamente fresca e piovosa.
Ora è comunque finita, lasciando
il posto ad un nuovo anno scolastico
e di lavoro.
Chissà se i bellissimi colori dell’autunno andranno ad attenuare i
legami e le emozioni che proprio
quest’estate, nonostante la sua mancanza di sole e di calore, ci ha consentito di creare e rinsaldare in
ambito familiare; proprio su questi
vorrei soffermarmi.
Subito la mente ritorna alla sensazione che si prova mentre si preparano le valigie… intessuta di
gioia, desiderio e speranza di voltare
pagina cambiando almeno per un
po’ la routine.
“Vacances j’oublie tout, rien à faire
du tout...”, ossia: “vacanze, dimentico
tutto, niente da fare del tutto…”.
Così iniziava un allegro motivetto
che sentivo cantare da ragazzina e che
ancora mi torna alla mente quando mi
accingo a partire per le vacanze.
Ma è stata proprio così la vacanza
appena trascorsa, un semplice momento d’oblio in cui si è dimenticato
tutto? Oppure è stata un momento in
cui siamo riusciti a capitalizzare gli
affetti familiari? Proviamo a riflettere.
Certamente i ritmi che sosteniamo
durante l’anno sono così frenetici e faticosi da farci veramente sospirare
quella che definisco una “tregua”
della vita, fatta di relax e, per chi può,
di viaggi in luoghi diversi e lontani
da quello in cui abitiamo.
Ma, oltre che il necessario riposo,
le ferie estive devono racchiudere
molto di più, vale a dire anche una
vasta gamma di emozioni su cui s’intrecciano le relazioni familiari: esse,
infatti, talvolta comportano il distacco
fisico dell’uno dall’altro, che però può
dare l’occasione da non sprecare per
riavvicinarsi maggiormente.
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Intanto è il periodo dei campi
scuola per i figli. I ragazzi si allontanano per qualche giorno dalla famiglia, per un’esperienza che è per loro
un’occasione di crescita, per uscire dal
guscio ed imparare a cavarsela da soli.
Per i genitori questa è un’opportunità per trascorrere un po’ di
tempo insieme, come coppia. Finalmente il frigo non è sempre vuoto e
- miracolo! - la casa è più ordinata:
non più scarpe da ginnastica in cucina e t-shirt appallottolate e dimenticate in un angolo del salotto.
L’appartamento resta più pulito,
quasi da sembrare una sala operatoria! Ma… l’incanto e la soddisfazione durano poco. Intanto, dopo i
primi pochi giorni di lontananza fa
capolino in mamma e papà il desiderio di rivedere i propri ragazzi e
di stare di nuovo insieme con loro e
la sensazione che manchi loro
troppo la loro voglia di vivere. D’altra parte anche i ragazzi, pur avendo
trascorso un periodo in compagnia
di coetanei sperimentando avventure che in famiglia sono impensabili, sono impazienti di tornare tra le
rassicuranti mura domestiche.