Cos`è il possibilismo
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Cos`è il possibilismo
Cos’è il possibilismo? Riflessioni su Musil e la filosofia austriaca Wolfgang Grassl “Se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora ci deve essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità. Chi lo possiede non dice, per esempio: qui è accaduto questo o quello, accadrà, deve accadere; ma immagina: qui potrebbe, o dovrebbe accadere la tale o talaltra cosa; e se gli si dichiara che una cosa è come è, È ormai opinione diffusa che la chiave per comprendere il pensiero di Musil stia proprio nell’ interpretazione del titolo del suo grande romanzo. Un primo spunto euristico lo troviamo nelle parole dell’ autore stesso: la questione del possesso o della mancanza di qualità dev’essere prospettata alla luce della relazione tra il reale e il possibile. L’uomo della possibilità é quell’uomo per cui qualcosa di reale non significa niente di più che qualcosa di immaginato. Probabilmente il “possibilismo” di Musil si può comprendere meglio alla luce della tradizione filosofica austriaca a cui l’autore fa ampio riferimento nelle opere saggistiche e nei diari. Nella sua Psicologia dal punto di vista empirico, Franz Brentano ha sostenuto che, dato un atto mentale, non c’è alcuna differenza se ciò a cui esso si riferisce sia esistente o no. Vengono così inclusi fra i possibili oggetti di pensiero anche gli enti non reali, puramente immaginati e ideali. Alexius von Meinong ne ha dedotto una conseguenza importante: se l’oggetto è distinto dall’atto che lo coglie, allora sarà necessaria una teoria, la teoria degli oggetti, che dovrebbe analizzare i vari tipi di oggetti, studiandone i rapporti fra loro e i rispettivi atti mentali. “L’oggetto”, scrive Meinong, “è per sua natura estraneo all’essere e al non essere”. In tal modo, gli oggetti possono divenire soggetti di giudizi veri, anche se non possono esistere o se sono addirittura contra- egli pensa: be’, probabilmente potrebbe anche essere diversa. Cosicché il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe egualmente essere, e di non dare maggiore importanza a quello che è, che a quello che non è”. --- Musil [1972: vol. I, 12] dditori. Così, secondo Meinong, è corretto affermare che la montagna d’oro è d’oro e che il quadrato rotondo è insieme quadrato e rotondo. Quanto dev’essere oggetto di conoscenza, non é necessario che, in quanto tale, esista. Ciò ci riconduce a Musil. Chi possiede il senso della possibilità (Möglichkeitssinn) vive, secondo le parole del romanzo, “in una tessitura più sottile, una tessitura di fumo, immaginazioni, fantasticherie e congiuntivi”. Ai “possibilisti” si oppongono coloro ohe si rifiutano di trattare i possibili come cose reali, e credono che non debbano esserci nella nostra conoscenza più cose di quante ce ne siano in cielo e in terra. I due modi opposti di vedere le cose sono, per così dire, stili conoscitivi del tutto diversi. E qui si apre la porta ad un chiarimento in termini fenomenologici. Se per esempio consideriamo un oggetto attualmente percepito, che in qualche modo costituisce un caso paradigmatico di esistenza reale, non possiamo fare a meno di constatare che esso è, per così dire, il punto di incontro di un insieme virtualmente infinito di potenzialità cognitive: ciò che io costituisco come oggetto unitario d’esperienza non è soltanto ciò che mi è effettivamente dato, l’ insieme degli “adombramenti” (Abschattungen) che sono determinati dalla prospettiva da cui ho effettivamente guardato l’oggetto stesso, ma è 1 anche la sintesi dei potenziali adombramenti che potrei ottenere se passassi ad altre prospettive o punti di vista. Questa dinamica della percezione è addirittura costitutiva dell’oggetto. “Ne deriva”, suggerisce Husserl, “che ogni esperienza mira alla possibilità (...) di ottenere, sempre di più, determinazioni nuove della stessa cosa nell’esperienza. Ogni esperienza si deve estendere nella continuità e nella concatenazione.esplicativa di esperienze singole, sinteticamente unite come un’ esperienza unica infinitamente aperta della stessa cosa” [Husserl 1965: 27]. La sfida del musiliano “uomo senza qualità” è dunque quella di pensare costantemente la realtà nei termini anche delle sue potenzialità inespresse, facendo del rapporto tra soggetto e oggetto un campo di tensioni dove l’oggetto è moltiplicato e il soggetto rinuncia all’ esercizio del dominio sulla cosa. Il realismo dei cultori della virtualità – quello della tradizione austriaca originante con Brentano – perpetua il dominio sulla cosa sottraendole la possibilità che possa essere diversa da quella che è, in cambio fornendo l’illusione che l’enfatizzazione dell’artefatto possa surrogare l’aspirazione all’affrancamento dalla realtà coatta: “Non considera ferma nessuna cosa, nessun io, nessun ordine; poiché le nostre nozioni possono mutare ogni giorno, non crede ai legami, e tutto possiede il valore che ha soltanto fino al prossimo atto della creazione, come un volto al quale si parla mentre cambia a ogni parola” [Musil 1972: cap. 40]. Secondo quest’impostazione fenomenologica, la distinzione fra “ciò che vi è” e “ciò che non vi è” non è più una distinzione di ordine assoluto fra oggetti e non-oggetti, ma è una distinzione fra modalità diverse di strutturazione degli oggetti. Il senso della possibilità non respinge categoricamente la distinzione tra ciò che vi è e ciò che vi non è bensì esso implica la sua dereificazione. Questa distinzione è determinata dal differenziarsi delle reciproche funzioni costitutive e non si riflette univocamente sul piano linguistico, perché si tratta in entrambi i casi di possibili oggetti di discorso, in quanto, per dirlo con Brentano, oggetti di atti intenzionali: “Lo spirito disfa, scompiglia e ristabilisce in un nuovo rapporto (…) segretamente odia a morte tutto ciò che si dà l’aria d’essere stabilito per sempre, i grandi ideali, le leggi e la loro piccola impronta pietrificata, il carattere pacifico. Il bene e il male, il sopra e il sotto non sono per lui concetti scetticamente relativi, ma membri di una funzione, valori che dipendono dalla concatenazione in cui si trovano (...) Così lo spirito è il grande fabbricante di alternative, di ‘secondo i casi’” [Musil 1972: vol. 1, 146]. È lì che si vede se siamo davvero capaci di pensare liberamente, di spingerci al di là dell’ovvio. Il senso della possibilità è la capacità di estendere il nostro orizzonte mentale, una capacità su cui non solo Musil ma anche Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche ci invitava a riflettere. Non si perviene a quest’estensione se non per l’epoché scettica attraverso la quale la validità del mondo, di tutto ciò che è naturalmente dato, è sospesa. Esercitare l’epoché, comunque, non è altro che la riduzione fenomenologica. Questo excursus fenomenologico ci aiuta a illuminare un tema che viene ulteriormente accentuato nell’Uomo senza qualità: la dimensione costruttiva, il senso di sviluppo implicito nella possibilità. Scrive Musil: “Un’ esperienza possibile o una possibile verità non equivalgono a un’esperienza reale meno la loro realtà, ma hanno, almeno secondo i loro devoti, qualcosa di divino in sé, un fuoco, uno slancio, una volontà di costruire, un consapevole utopismo che non si sgomenta della realtà bensì la tratta come un compito e un’invenzione” [Musil 1972: 12]. Per Musil, quindi, la realtà è un dato trasformabile e non un dato di fatto immutabile. Ma ciò non implica che essa non abbia delle strutture. Si può forse intendere la realtà musiliana come uno stato di equilibrio dinamico, concezione che viene ottimamente 2 illustrata nei primi passi del romanzo. La possibilità appare allora come la determinazione ontologica originaria: è essa che rende possibile il fatto. Questo passaggio dall’essere al possibile comporta anche una diversa interrelazione di soggetto-oggetto: dal momento che l’oggetto perde la sua fissità e viene considerato nell’ insieme di possibilità che lo costituiscono, queste possibilità possono venire calcolate prospetticamente da chi le osserva, possono essere manipolate e ricostruite attraverso il lavoro dell’ interpretazione dell’osservatore. Così scrive Musil: “Rappresentare una cosa significa rappresentare i suoi rapporti con cento altre cose. Perché è oggettivamente impossibile fare diversamente. Perché non c’è altro modo per rendere comprensibile, percepibile una cosa qualunque essa sia. E anche se queste cento cose altre fossero a loro volta oscene o morbose, i rapporti con esse non lo sono, e la scoperta dei rapporti non lo è mai.” È questo il senso in cui il rapporto con la realtà diviene “un compito e un’invenzione” [Musil 1972: vol. 1, 12]. È in questo contesto, inoltre, che la distinzione tra le possibilità essenziali ed i fatti semplici è di importanza. Non è questo però un tema idealista: la realtà è ben indipendente dal soggetto, cioè esterna alla conoscenza che ne abbiamo. Scrive Musil: “è la realtà che suscita la possibilità” [Musil 1972: vol. I, 13], tutt’affatto nel senso della regola logica, ab esse ad posse valet illatio. Ma ogni volta che guardiamo un elemento della realtà, lo facciamo da una prospettiva nuova e, in questo senso particolare, ci creiamo una nuova realtà. Vi sono modi differenti di visione in quanto, come scrive Musil, “le cose sono diverse perché il mio atteggiamento verso di esse è diverso”. Non si tratta qui del dubbio cartesiano neppure d’una posizione idealista nel senso ontologico oppure epistemologico. Questo è pluralismo, e non relativismo. Esso sembra anzi un tema da inserire nell’ impostazione fenomenologica, in una delle sue versioni – quella dell’Husserl delle Ricerche logiche – impostazione anch’essa strettamente connessa col realismo della tradizione austriaca. Per Musil, la dimensione operativa del senso della possibilità coincide con l’attenzione all’astratto, all’insieme, al sistema di relazioni possibili in cui gli oggetti, gli accadimenti, vengono inseriti. Musil si serve di un’immagine particolarmente significativa: “L’uomo della possibilità vuole, per così dire, il bosco, e gli altri vogliono gli alberi; e il bosco è qualcosa che è difficile definire, mentre gli alberi significano tanti metri cubi di una determinata qualità di legno” [Musil 1972: vol. 1, 13]. Il senso della possibilità non considera quindi il singolo elemento – potremmo inserirvi le sensazioni di Ernst Mach oppure gli individui dell’atomismo logico – non considera più l’albero nelle sue specifiche qualità misurabili, ma l’insieme delle relazioni che si stabiliscono tra le singole qualità degli elementi. Questo ovviamente ci fa pensare alla psicologia della Gestalt in cui tali temi sono veramente centrali. II bosco è una Gestalt, una qualità figurale rispetto ai singoli alberi, come avrebbe detto Christian von Ehrenfels nel suo importantissimo saggio, oppure un complesso, un oggetto d’ordine superiore che è fondato sui singoli alberi, usando l’espressione di Meinong. Un bosco sembra essere qualcosa di più di una semplice somma di alberi individuali e non è totalmente riducibile ad essi. L’atteggiamento scientifico, che nei saggi e nel romanzo di Musil viene ripetutamente proposto a modello di un ordine flessibile e autentico di contro all’ordine rigido e fittizio delle interpretazioni “pedantescamente esatte”, come si esprime Musil, è quello dell’ “esattezza fantastica”. In questa metafora sono unite le due polarità tra cui si muove il pensiero musiliano: da una parte la matematica e dall’altra l’arte. Tra queste si 3 apre un dilemma che così è espresso nel celebre passo del romanzo: “Un uomo che vuole la verità, diventa scienziato, un uomo che vuol lasciare libero gioco alla sua soggettività diventa magari scrittore: ma che cosa deve fare un uomo che vuole qualcosa d’ intermedio fra i due?” [Musil 1972: cap. 62]. Questa sintesi che cerca l’autore no è che l’armonia tra i due stati d’anima di cui scrisse Pascal – lo spirito geometrico (ésprit géométrique) e lo spirito intuitivo (ésprit de finesse). Anche quest’atteggiamento di Musil crediamo che possa e debba essere visto alla luce della filosofia austriaca, sebbene nel porre tali relazioni dobbiamo muoverci ovviamente su un piano ermeneutico. Nonostante questa limitazione crediamo che Husserl, E. [1965]. Esperienza e giudizio [1939]. Milano: Saggio. questo possa gettare luce sulla nozione musiliano di “esattezza fantastica”. Meinong, in particolare, è riuscito ad indagare le strette relazioni tra la nozione di realtà del senso comune, e la consapevolezza della non esistenza e della possibilità. Egli poteva sostenere sia che la filosofia aveva spesso difeso un persistente pregiudizio in favore di ciò che effettivamente esiste, sia che l’ abbandono totale di tale pregiudizio era conforme alla tradizione empiristica e ad uno stile di pensiero “pedantescamente esatto”. È in questo senso che dobbiamo comprendere la sua affermazione secondo cui “la totalità di quel che esiste, è esistito, ed esisterà, è infinitamente piccola al confronto alla totalità dei possibili oggetti delle nostre cognizioni”. Controcultura 7 (1981), no. 17/18, p. 16-17 Musil, R. [1972]. L’uomo senza qualità [1930-1952], trad. A. Rho. Torino: Einaudi. . Testo dell’intervento alla tavola rotonda che si è tenuta a cura del Consolato Generale d’Austria a Milano, il 4 ottobre 1981, presso la Sala del Grechetto di Palazzo Sormani. L’occasione del dibattito era offerta dalla pubblicazione del volume di Aldo Gargani, “Freud, Wittgenstein, Musil”. Una versione un poco abbreviata è apparsa nella rivista Controcultura. 4