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Mariangela Gualtieri Ringraziare… Ringraziare desidero il divino per la diversità delle creature che compongono questo singolare universo, per la ragione, che non cesserà di sognare un qualche disegno del labirinto e l'uccello leggero che vola oltre, più in alto, più su. Ringraziare desidero per l’amore, che ci fa vedere gli altri come li vede la divinità, per il pane e il sale, per il mistero della rosa che prodiga colore e non lo vede. Ringraziare desidero per l’arte dell’amicizia, per l’ultima giornata di Socrate, per le parole che in un crepuscolo furono dette da una croce all’altra, per i fiumi segreti e immemorabili che convergono in noi, per il mare, che è un deserto risplendente e una cifra di cose che non sappiamo per il prisma di cristallo e il peso di ottone, per le strisce della tigre, per l’odore medicinale degli eucaliptus, e la speranza, la fiducia, la lavanda. Ringraziare desidero per il linguaggio, che può simulare la sapienza, per l’oblio, che annulla o modifica il passato, per la consuetudine, che ci ripete e ci conferma come uno specchio, per il mattino, che ci procura l’illusione di un inizio, per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia, per il coraggio e la felicità degli altri, per la patria, sentita nei gelsomini per lo splendore del fuoco che nessun umano può guardare senza uno stupore antico e per il mare che è il più dolce fra tutti gli dei. Ringraziare desidero perchè sono tornate le lucciole, le nuvole disegnano, le albe spargono brillanti nei prati, e per noi per quando siamo ardenti e leggeri per quando siamo allegri e grati. Io ringraziare desidero per la bellezza delle parole, natura astratta di dio per la lettura e la scrittura, che ci fanno sfiorare noi stessi e gli altri per la quiete della casa, per i bambini che sono nostre divinità domestiche per l'anima, perchè consola il mio girovagare errante, per il respiro che è un bene immenso, per il fatto di avere una sorella. Io ringraziare desidero per tutti quelli che sono piccoli liberi e limpidi per le facce del mondo che sono varie per quando la notte si dorme abbracciati per quando siamo attenti e innamorati, fragili e confusi, cercatori indecisi. Ringrazio dunque per i nostri maestri immensi per tutti i baci d'amore, e per l'amore che ci rende impavidi. Per i nostri morti che fanno della morte un luogo abitato, e per i nostri vivi, che rendono la vita uno specchio fatato. Per i figli, col futuro negli occhi, perchè su questa terra esiste la musica, per la mano destra e la mano sinistra, e il loro intimo accordo per i gatti per i cani esseri fraterni carichi di mistero, per il silenzio che è la lezione più grande per il sole, nostro antenato. Ringraziare desidero per Whitman, Presti e Francesco d’Assisi, che scrissero già questa poesia, per il fatto che questa poesia è inesauribile e si confonde con la somma delle creature e non arriverà mai all’ultimo verso e cambia secondo gli uomini. Ringraziare desidero per i minuti che precedono il sonno, per il sonno e la morte, quei due tesori occulti, per gli intimi doni che non elenco, per la gran potenza d'antico amor per amor che muove il sole e l'altre stelle e muove tutto, in noi.... da “Fuoco centrale” Io non so se questa mia vita sta spianata su un buco vuoto. Non so se il silenzio che indago é intrecciato alla mia sostanza molle. Io non so se quello che cerco e ho cercato e cercherò, non so se quello che cerco é un insulto a quel vuoto. Non so se questo fatto di non avere un paio d’ali sia premio o castigo, io non so se la polveriera della mia inquietudine sia un trono su cui mi siedo minacciato, se la fuga che a scatti regolari mi pungola, se quel puerile sogno di fuga sia uno sgambetto d’angelo, d’un buffone d’angelo che mi vuole inciampare. Io non so se l’amore sia una guerra o una tregua, non so se l’abbandono d’amore sia una legge che la vita cuce fino al ricamo finale. Io non so che farmene di questi nemici che premono, non so che farmene oggi di questo oggi e me lo ciondolo fra le dita perplesse, non so parlare di quello che è sentito nel profondo me, non so parlarlo quell’essere che é qui presente fra le vite degli altri. Io non so spiegarmi l’imperturbabilità di Dio, e non mi spiego di non udire il suo grave lamento, il suo urlo di collera o d’amore, e non so vederlo che sono in cecità ma vorrei sentirlo almeno piangere come piango io guardando le facce indolorate, guardando le facce con grave malattia terrestre, io non so invocarlo né bestemmiarlo che è troppo nella sottrazione e troppo astratto per i miei chili umani. Io non so forse non voglio consegnarmi negli uffici del mondo, e stare buono nelle sale d’aspetto della vita. Io non so nient’altro che la vita e molte nuvole intorno che me la confondono me la confondono e non so cosa aspetto, cosa sto aspettando in questo sporgermi al tempo che viene. Io non so e vorrei, vorrei, non so stare fuori misura, fuori misura umana, fuori da questa taglia finita. Io non so perché guardando l’acqua del mare mi salta in petto una gioia di figlio con la madre. Non so se questa uscita mia in un secolo a caso, se questo essere qui a casaccio, io non so spiegarmi questa malattia all’attacco del mondo, non so guarire questa malattia che indolora e vorrei sistemare ogni cosa, in un sogno puerile di tregua, in un’arcadia anche retorica, in un dormire abbracciato dei guerrieri che si innamorano. Io non ho capito e dovrei, non ho capito il mondo della vita, io non ho capito la legge sottostante e non ho da fare la consegna a questi cuccioli che aspettano, che esigono da me l’aver capito. Io non so la canzone che spensiera e non so soccorrervi non so pur volendolo con quella forza di cagna che dà il latte, non so soccorrervi nel vostro sbando, io non so farvi da balsamo io non so mettervi nel coraggio essenziale, nello slancio, nel palpito. Il mio Graal l’ho ritrovato e perso cento volte. […] Io non so se la bellezza è questa accademia di centimetri, se la bellezza, la bellezza è questa carnevalesca decadenza di saltimbanchi, io non mi spiego la crocifissione della grazia, e non mi spiego perchè mi trovo in questo covo rivoltato in questa fossa con gli orchi attuali in questo lato barbarico della specie, e non so perchè stando a occidente non si ode quell’alleluia delle cose. Io non so se in questa schiena senza ali ci son grandi pianure da cui fare il decollo, se in questa spina dorsale ci sono istruzioni per la manovra di decollo, se sono io la freccia di questo arco della schiena, se sono io arco e freccia, non so in quale mano non mano o zampa di Dio mi stanno torchiando, e sottoponendo al duro allenamento dei dolori terrestri. Io non so se la solitudine, se quello strazio chiamato solitudine, se quell’andare via dei corpi cari, se quel restare soli dei vivi, io non so se quel lamento della solitudine, se quel portarci via le facce se quel loro sparire di facce che avevamo dentro il respiro, non so se il dono sia questo portarci via le carezze, questa slacciatura. E’ poco il poco che so e di questo poco io chiedo perdono. Io chiedo perdono per quello che so, perdono io chiedo per tutto quello che so. (tratto da Parsifal, in Fuoco centrale e altre poesie per il teatro) La mano è felice oggi La mano è felice oggi. Un fare niente la riempie di pace vegetale. Sono come in attesa. Sono un animale che ozia, che riposa nella sua buccia un frutto appeso al ramo nella maturazione. Sono un pugno di ghiaia del vialetto. Una sterpaglia secca in una attesa indifferente d'acque. E così pacificata e illesa ancora incolume alla vita deposta ogni pretesa, senza dolore oggi porto il mio colore rosa come bandiera niente altro che uno stare quieti in attesa. Niente altro che questo qui e ora. Da predica ai pesci Bello , bello , bello mondo, bello ridere di mondo in luce mattutina in colorazione di mondo con stagioni e popolazione e animali. Bello mondo questo ricordo, questo io lo ricordo bello , molto bello mondo , con cielo diurno e notturno, con facce che mi piacevano e musi e zampe e vegetazione che mi sospirava e mi sospirava leggera leggera, tirando via chili e scarponi interiori che mi infangavano , tirando via ferri da stiro che mi portavo nel petto, e gran pulitura di dentro. Bello, questo io lo ricordo bello. Io ho avuto soccorso a volte da una piccola foglia , da un frutto così ben fatto che dava sollievo a mio disordine di fondo. Sì sì. Se la parola amore è uno straccio lurido, se non ho altra lingua per dire cosa amo, se l'anima adesso è un ingombro e il ciclo un posto come un altro se dormiamo e dormiamo se il mio canto è schiacciato nel cantone se il mio canto o il tuo, se il mio canto se tutte le parole dei savi sono troppo lente per questa corsa sui cocci, se anche le bestie in quel loro morire bastonate neppure si rivelano se c'è una tosse se c'è una tosse che incrosta il cielo e poi lo sputa se abbiamo nemici dentro le teste e macchinette rotte se la mano è scontrosa alla mano scontrosa rompe l'onda e il ramo rompe l'ala e il becco se abbiamo salmi stonati se le macerie sulle facce stanche fanno il peso di tutta la storia se poi nessuno viene nessuno s'alza dal fradicio delle tombe a consegnarci un grappolo, una tazza un giuramento alla luce se se se se c'è una sete che ci ammala se c'è un sorso per chi ha sete se davvero davvero muove il sole se muove il sole e l'altre stelle se la sua gran potenza, sua gran potenza d'antico Amor, se il nostro cuore è immenso se il nostro cuore talvolta è immenso, se le stelle nascono, se è vero che nascono anche adesso, se siamo polverine allo sbaraglio, catenelle smagliate, benedico ogni centimetro d'Amore ogni minima scheggia d'Amore ogni venatura o mulinello d'Amore ogni tavolo e letto d'Amore l'Amore benedico che d'ognuno di noi alla catena fa carne che risplende Amore che sei il mio destino insegnami che tutto fallirà se non mi inchino alla tua benedizione Io guardo spesso il cielo Io guardo spesso il cielo. Lo guardo di mattino nelle ore di luce e tutto il cielo s'attacca agli occhi e viene a bere, e io a lui mi attacco, come un vegetale che si mangia la luce. …... Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo, io sono sempre cinque minuti fa, il mio dire è fallimentare, io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo all'essere e non lo so dire, non lo so dire, io appartengo e non lo so dire, non lo so dire, io appartengo all'essere, all'essere e non lo so dire io sono senza aggettivi, io sono senza predicati, io indebolisco la sintassi, io consumo le parole, io non ho parole pregnanti, io non ho parole cangianti, io non ho parole mutevoli, non ho parole perturbanti, io non ho abbastanza parole, le parole mi si consumano, io non ho parole che svelino, io non ho parole che puliscano, io non ho parole che riposino, io non ho mai parole abbastanza, mai abbastanza parole, mai abbastanza parole ho solo parole correnti, ho solo parole di serie, ho solo parole fallimentari, ho solo parole deludenti, ho solo parole che mi deludono, le mie parole mi deludono, sempre mi deludono, sempre sempre mi deludono, sempre mi mancano io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo all'essere e non lo so dire, non lo so dire, io appartengo e non lo so dire, non lo so dire, io appartengo all'essere, all'essere e non lo so dire. da Solenne Anch'io voglio tutte le sbandate essere viva fino allo scortico essere tavolo pietra bestiale essere bucare la vita coi morsi infilare le mani in suo pulsare di vita scavare la vita scrostarla sfondarla spericolarla battermi con lei fino ai suoi sigilli. Per amore - per amore - tutto per amore. ----------? da "Nei leoni e nei lupi" Nome che stai al centro Nome che stai al centro, il tuo suono ciocca e s'imperla di voci ma nessuna ti tiene, nessuna ti osa in suoni, in lettera e in cifra. Nelle tue solitudini di mai chiamato. Come tutto è assai strano. A me sembra. Assai strano. Ti piantóno, ti indago, mi avvicino in millimetri. Ti ho nella voce senza che esca in suono. CAINO Giulio Einaudi Editore, Torino 2011 Caino Guardami – Io con dita di ingegno e brace ho appeso al sangue le popolazioni in navate di gelo ho spinto rotto e sepolto gli inermi della terra ho vinto tante di quelle volte facilmente ho battuto ho stretto ho colpito forte ho atterrito ho acceso con ira improvvisa tinto d’un fosco la primavera di tutti nel precipizio di un furore senz’argine impossibile da barricare ho tinto l’istante d’un sanguigno somigliante al mio quando gonfiava vicino a me, in me uno strano scuro animale in spinte dalle profondità un getto in risalita furibonda da un ignoto di me da un buio di me da oscure regioni dal fondo di me da un dentro del dentro di me sua massa d’ombra gonfiava d’una marea potente fino al trabocco dal petto in una peste in uno sbattere contro altra carne e mutilarla e penarla in un silenzio dove l’ultimo gemito si raggruma in freddo fratello e apre un tacere che non smetterà. Non smetterà di morire questa vita che passa da una carne a quell’altra non smetterà questa bestia la sua risalita dal petto. Nasce ora, in questa notte un altro più simile a me. Nasce continuamente. E io questa notte in quest’ora per lui e per me. Ho pietà. Preghiera dell’Alato Tu che ti nascondi dentro tutti i nomi. Se tu fossi. Se tu fossi una madre. Lui non scantonerebbe cercandoti. Rovistando dentro particelle atomi e formule non si sbatterebbe su tavolacci a tagliare il cadavere più solo lui non calpesterebbe le belle forme del mondo se tu apparissi. Se tu consolassi come la cagna in leccate il suo nato dolorante. Se tu. Se tu partorissi. Se tu con un latte semplice e una tazza appari. Se tu. Per la sua voglia d’essere immenso e senza morte se tu per questo suo pestare e fare male. Se tu appari lui non dà da mangiare veleno non raschia fino all’erosione non inficca la mano nella costellazione e l’atomo spaccato lo ricompone se vuoi. Se glielo chiedi se appari. Se guidi in chiarità. Se tieni. Se ripari. Se stringi al petto. Se vieni a lui. “Contano infiniti cadaveri. Sono l’ultima specie umana”. Sporgenti su una rovina che plana a colpi d’ala nera, a becco, a unghiate. Le ore sono alla fine. La terra respira poco. Fa fatica. Sale un’indifferenza di ferite un dondolare senza meta. Se tu che cavalchi gli abissi, tu che puoi ciò che ti piace appari ora e piloti la terra in fiorite loro pietrificate menti loro indurite porte eccole aperte! Tu che detti architetture sontuose agli insetti e insegni ai becchi il cerchio dei nidi e tane assai ingegnose e manovre di piume e colori perché il seme si attacchi tu mano nascosta e che nascondi. Hai sponde troppo alte per i suoi arti manovre misteriose, gittate troppo lunghe. Adesso guarda. Ascolta la sua voce questo suono suo sillabante i suoi verbi. Le sue vocali non sono altro che la tua furia respirante le sue consonanti tu le hai strappate fuori da una gola di bestia mutante. Vedi non sa. Non sa più niente ora. E’ qui balbettante. E’ nudo. Incerto. Ha solo la parola per chiamarti. Vieni. Vuole perdonarti. Dell’imperfetto con cui lo hai fatto. Vieni. Non avere paura di lui. Ti perdona. Sì ti perdona. SENZA POLVERE SENZA PESO Giulio Einaudi Editore, Torino 2006 da Ai miei maestri immensi Giorno d'aspromonte dove salgo caricata con un peso un peso che non si appoggia. Giorno del mio stretto di magellano nel petto con quel boccone che non s'inghiotte. Giorno della testa poggiata alla mano. Usciamo. Chiediamo che passi tutto lo star male. A chi chiediamo? Alla vigna che è tutta uno scoppio di foglie nuove al ramo dell'acacia con gli spini all'edera e all'erba sorelle imperatrici che sono manto disteso e potentissimo trono. E che cosa chiediamo? Una piena falcata d'amore, u na giusta battaglia, aculei nella voce, narcisi e rose essere radiosonda del niente che trasforma il trascendente in cose. da Acqua rotta Gli altri sono troppi, per me. Ho un cuore eremita. Sono impastata di silenzio e di vento. Sono antica. Mi pento ogni volta che vado lontano dal mio stare lento nelle velocità della sera, nelle auto schizzate di pianto. Col loro buio abitacolo. E se sfreccio a volte sulla modesta moto, è per cantare a gola stesa l'ultimo del paradiso fare il mio guizzo pericoloso con tutto quel vento nel petto seminare parole beate nel panorama nervoso. da So dare ferite perfette GIURO PER I MIEI DENTI DA LATTE Giuro per il correre e per il sudare giuro per l’acqua e per la sete giuro per tutti per i baci d’amore giuro per quando si parla piano la notte giuro per quando si ride forte giuro per la parola no e giuro per la parola mai e per l’ebrezza giuro, per la contentezza lo giuro. Giuro che questa terra non sta per finire giuro che io sento a volte una gioia così grande, giuro che la gioia esiste, che esiste e io la sento, e giuro che non mi lascerò intristire da nessun piagnucoloso profeta, da nessun artista che mercanteggia col dolore, da nessuno che scorrazza nel sangue e me lo spiega da nessun imbonitore con le sue parole soffocanti. Giuro che io salverò la delicatezza mia la delicatezza del poco e del niente del poco poco, salverò il poco e il niente il colore sfumato, l’ombra piccola l’impercettibile che viene alla luce il seme dentro il seme, il niente dentro quel seme. Perché da quel niente nasce ogni frutto. Da quel niente tutto viene. Che cosa sono i fiori? Che cosa sono i fiori? non senti in loro come una vittoria? la forza di chi torna da un altro mondo e canta la visione. L’aver visto qualcosa che trasforma per vicinanza, per adesione a una legge che si impara cantando, si impara profumando. Che cosa sono i fiori se non qualcosa d’amore che da sotto la terra viene fino alla mia mano a fare la festa generosa. Che cosa sono se non leggere ombre a dire che la bellezza non si incatena ma viene gratis e poi scema, sfuma e poi ritorna quando le pare. Chi li ha pensati i fiori, prima, prima dei fiori. PAESAGGIO CON FRATELLO ROTTO Luca Sossella Editore, Roma 2007 da Canto di ferro Amore mio, è difficile da questo fondo, da questo finale, dire come mi manchi, come immenso tu sei nel mancare, adesso che mi sono persa fra masse dure, fra cinghie di buio pesto, senza divinità, senza la tua mano che tutto sorregge. Tu mi credi più forte, mi pensi in oro e argento, ma guarda l’orma che lascio, come di cagna, di passero stanco, di bruco, di mosca. Non vedi come mi spengo se non mi ami? Mi secco come una pianta. Amami ancora un poco, con cura, con tempo, con attesa. Amami come amano i forti spiriti, senza pretesa, con fuoco generoso, con festa, senza ragionamento. E scusa questo mio domandare ciò che si deve dare, questo avere bisogno, scusalo. Non è degno del patto che lega la rondine al suo volo, la rosa al suo profumo, il vino al suo colore, il tuo cuore al mio cuore. Bambina mia. Per te avrei dato tutti i giardini del mio regno, se fossi stata regina, fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma. Tutto il regno per te. Ti lascio invece baracche e spine, polveri pesanti su tutto lo scenario battiti molto forti palpebre cucite tutto intorno. Ira nelle periferie della specie e al centro. Ira. Ma tu non credere a chi dipinge l’umano come una bestia zoppa e questo mondo come una palla alla fine. Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e di sangue. Lo fa perché è facile farlo. Noi siamo solo confusi, credi. Ma sentiamo. Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci di amare qualcosa. Ancora proviamo pietà. C’è splendore in ogni cosa. Io l’ho visto. Io ora lo vedo di più. C’è splendore. Non avere paura. Ciao faccia bella, gioia più grande. Il tuo destino è l’amore. Sempre. Nient’altro. Nient’altro nient’altro.