Indonesia 2014

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Indonesia 2014
Indonesia 2014: Joko Widodo e la sfida
all’élite del «new order»
Marco Vallino
Asia Maior – Osservatorio italiano sull’Asia
[email protected]
1. Premessa
In un’era di crescenti tensioni geopolitiche a livello internazionale,
nel 2014 l’Indonesia affrontava un vasto processo elettorale che, non
senza ostacoli, si concludeva in aprile con l’elezione democratica del
nuovo presidente della repubblica, Joko Widodo (Jokowi). Per la prima
volta, dalla fine del regime di Suharto, acquisiva la carica più importante dello stato una persona le cui origini erano estranee all’élite politica ereditata dal regime. Per questo motivo, l’elezione di Joko Widodo
rappresentava sia un cambiamento radicale nella politica indonesiana
post Suharto1 e sia il consolidamento delle forme di rappresentanza
democratica. Il presente capitolo è pertanto focalizzato sull’analisi della
campagna elettorale e delle dinamiche che hanno portato alla vittoria
di Jokowi. Alla trattazione di questi temi farà seguito l’analisi delle conseguenze politiche ed economiche delle elezioni.
2. Le elezioni legislative del 2014
Il 2014 si apriva con la preparazione del quarto appuntamento elettorale dell’Indonesia democratica dalla caduta del regime di
Suharto. Il 6 aprile erano previste le elezioni legislative e, dopo, tre
mesi, a luglio, le elezioni presidenziali.
Nei quindici anni di democratizzazione, due caratteristiche avevano
accompagnato l’evoluzione politica indonesiana: l’assenza di dibattito
ideologico tra i partiti e l’estrema personalizzazione della politica. Questi due fenomeni, alimentati dai mezzi di comunicazione di massa, che
esaltavano le caratteristiche personali dei candidati, avevano contribuito a porre l’elezione legislativa in secondo piano rispetto all’elezione
presidenziale. Di conseguenza, la campagna elettorale del 2014 si è
David Adam Scott, Indonesia’s Elections of 2014: Democratic Consolidation or Reversal?, ‘The Asia-Pacific Journal’, Vol. 12, Issue 10, No. 2, 10 marzo 2014.
1 Marco Vallino
incentrata sulle elezioni presidenziali e sulla personalità dei candidati,
mentre poca attenzione veniva data ai partiti che avrebbero concorso
nell’elezione legislativa.
Il 6 aprile, circa 185 milioni di indonesiani sono stati chiamati alle
urne per votare i nuovi 692 rappresentanti nel parlamento nazionale,
il Majelis Permusyawaratan Rakyat (MPR). L’MPR, infatti, è composto
da 560 membri della Dewan Perwakilan Rakyat (DPR), la camera dei
rappresentanti del popolo, e da 132 membri della Dewan Perwakilan
Daerah (DPD), la camera dei rappresentanti regionali. Oltre ai rappresentanti del governo centrale, lo stesso giorno, l’elettorato indonesiano è stato chiamato a scegliere i propri rappresentanti a livello locale.
In totale dovevano essere eletti 2.112 rappresentanti delle assemblee
provinciali, le Dewan Perwakilan Rakyat Daerah-I (DPRD-I), e 16.895
rappresentanti delle assemblee legislative distrettuali, le Dewan Perwakilan Rakyat Daerah-II (DPRD-II).
La legge elettorale indonesiana applicata a partire dal 2004 favorisce il mantenimento del potere da parte dell’élite politica esistente e rende difficile l’ingresso di nuove forze politiche attraverso
due meccanismi. Il primo prevede che solo i partiti che ottengono
almeno il 3,5% dei voti possano avere seggi nell’MPR. Questa soglia era stata incrementata dal 2,5% al 3,5% con un emendamento approvato nel 20122. Il secondo meccanismo, invece, limitava la
possibilità che i partiti minori potessero presentare autonomamente
un candidato alla presidenza della repubblica. Infatti, tra i partiti
presenti nel MPR, solo quelli che avevano ottenuto almeno il 20%
dei seggi della DPR e/o il 25% dei voti totali potevano presentare
un candidato per l’elezione presidenziale. Questo secondo vincolo,
anche se implicitamente, limitava a due o al massimo a tre il numero
di potenziali candidati alla carica di presidente. Anche considerando la possibilità dei partiti politici di raggrupparsi in coalizioni per
raggiungere il quorum per la presentazione di un candidato, erano
comunque i maggiori partiti all’interno di ciascuna coalizione quelli
in grado di determinare la scelta del candidato. Non a caso, gli unici
tre grandi partiti in grado di ambire al raggiungimento della soglia
necessaria a designare un candidato alla presidenza rappresentavano le tre grandi famiglie che dominavano la scena politica indonesiana nell’era democratica3. Questi erano il PD (Partai Demokrat)
dell’uscente presidente Susilo Bambang Yudhoyono, il PDI-P (Partai
Demokrasi Indonesia Perjuangan) della ex presidentessa Megawati e il
Golkar guidato dalla famiglia Bakrie, il partito dei gruppi funzionali
Marco Vallino, Indonesia 2013: rallentamento economico e tensioni politiche, ‘Asia
Maior 2013’, p. 268.
3 Derwin Pereira, Indonesia’s narrow road of dynastic politics, ‘The Straits Times’, 12
aprile 2013.
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fondato nel 1964 in opposizione al Partai Komunis Indonesia (PKI),
vero veicolo elettorale del regime di Suharto.
Il 9 aprile 2014, 139,5 milioni di elettori, rappresnentanti l’82,9%
dell’elettorato, si recavano alle urne in tutto l’arcipelago indonesiano4. Le votazioni si svolgevano nel rispetto dei regolamenti e, esattamente un mese dopo, il 9 maggio, la Komisi Pemilihan Umum (KPU), la
commissione generale delle elezioni, rendeva noti i risultati ufficiali5.
Dei 12 partiti che avevano partecipato alle elezioni, due non avevano
raggiunto il quorum per l’accesso al parlamento, mentre nessuno aveva ottenuto il quorum per presentare, in autonomia, un candidato alle
elezioni presidenziali del 7 luglio. Il PDI-P di Megawati conquistava
una debole maggioranza (18,95%) al di sotto dei pronostici6. La scelta di voler presentare Joko Widodo come candidato del partito alle
presidenziali era stata confermata troppo tardi per sortire un risultato
decisivo sul voto.
Il Golkar dimostrava di essere ancora la seconda forza politica,
conquistando il 14,75% dei voti7. Si trattava dell’evidente dimostrazione della persistenza delle forze conservatrici legate al «New Order»
di Suharto. 8
Altre forze conservatrici, legate all’apparato militare, erano quelle
che avevano fatto guadagnare voti al Partai Gerakan Indonesia Raya
(Gerindra) dell’ex comandante delle forze speciali Kopassus, Prabowo
Subianto. Il partito di Prabowo, infatti, otteneva l’11,81% dei voti, un
risultato quasi tre volte maggiore rispetto alle precedenti elezioni del
2009, che lo portava al terzo posto tra i partiti più votati nel 2014.
Questo risultato dimostrava il sostegno alla candidatura di Prabowo
da parte dei partiti che volevano bloccare il processo democratico e
che intendevano restaurare un regime militare.
L’evidente impopolarità nella quale era sprofondata la figura di
Yudhoyono provocava invece la secca sconfitta del PD, che riceveva
appena il 10,19% dei voti, meno della metà del risultato ottenuto nel 2009 (quando aveva ottenuto il 20,85% dei voti). Anche due
nuovi partiti nati dalla scissione del Golkar, Hanura e Partai NasDem
riuscivano ad ottenere seggi in parlamento. Infine quattro partiti
Voter turnout data for Indonesia, ‘International IDEA’, (http://www.idea.int).
Deytri Robekka Aritonang, PDI-P Pemenang Pemilu Legislatif 2014, ‘Kompas’, 10
maggio 2014.
6 Joe Cochrane, Early Count in Indonesia Favors Largest Opposition Party, ‘The New
York Times’, 9 aprile 2014.
7 Ibid.
8 «New Order» è la traduzione dal Bahasa Indonesia, la lingua ufficiale indonesiana, di «Orde Baru». Questa definizione era stata coniato da Suharto per indicare la
distinzione tra il sistema politico da lui creato e quello del suo predecessore Sukarno, che veniva indicato appunto come «Orde Lama», ovvero «Vecchio Ordine».
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islamici - il Partai Keadilan Sejahtera (PKS), e i più piccoli Partai Amanat Nasional (PAN), Partai Kebangkitan Bangsa (PKB) e Partai Persatuan Pembangunan (PPP) -, pur conquistando una rappresentanza in
parlamento ottenevano consensi minori che nel 2009.9
Risultati delle elezioni legislative del 2014 e del 2009
Partiti
Percentuale del voto
popolare nel 2014
Seggi nel 2014
PDI-P
18,95%
109
Golkar
14,75%
91
Gerindra
11,81%
73
PD
10,19%
61
PAN
7,59%
49
PKB
9,04%
47
PKS
6,79%
40
PPP
6,53%
39
Partai Nasdem
6,72%
35
Hanura
5,26%
16
1,46%
0
0,91%
0
75,11%
560
Partai Bulan Bintang,
PBB
Partai
Keadilan
dan
Persatuan Indonesia, PKPI
TOTALE
Fonti: Keputusan Komisi Pemilihan Umum, Nomor: 411/Kpts/Kpu/Tahun 2014,
Tentang; Keputusan Komisi Pemilihan Umum, Nomor: 412/Kpts/Kpu/Tahun
2014, Tentang; http://www.kpu.go.id/
3. Elezioni Presidenziali: l’inizio di una nuova era?
Come già accennato, il sistema elettorale indonesiano prevedeva
che solo i partiti o le coalizioni che avessero ottenuto almeno il 25%
del totale dei voti o il 20% dei seggi in parlamento potessero presentare un candidato per l’elezione presidenziale. Dal momento che, dopo
le elezioni del 6 aprile, nessun singolo partito rispondeva ai requisiti
richiesti per presentare un candidato alle presidenziali, all’indomani
dell’ufficializzazione dei risultati delle legislative, le forze politiche si
sono mosse per formare delle coalizioni.
9 Ibid.
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Le forze conservatrici puntavano sull’ex comandante Prabowo Subianto, che, dopo aver ottenuto l’appoggio del Golkar e dei partiti
islamici PAN, PKS e PPP, riusciva a portare dalla sua parte anche il
PD. Ultimo a schierarsi, il partito del presidente uscente, Yudhoyono
dichiarava solo a giugno di condividere l’agenda politica di Prabowo
e, di conseguenza, ufficializzava la candidatura della coppia Prabowo
Subianto - Hatta Rajasa per la presidenza e la vice presidenza della
repubblica10.
Tra le forze progressiste, il PDI-P di Megawati ufficializzava, soltanto poco prima delle elezioni legislative, la sua scelta per Joko Widodo.11 Questo ritardo smorzava l’effetto «volano» sui voti che la nomina di Jokowi avrebbe probabilmente potuto avere.12 In ogni caso,
il PDI-P, osteggiato dalle forze conservatrici, trovava l’alleanza con i
nuovi partiti nati dalla scissione del Golkar, Partai NasDem e Hanura,
oltre che del partito tradizionalista islamico PKB. Per la prima volta
dopo le votazioni del 2004 e del 2009, quindi, lo schieramento politico si polarizzava solo su due candidati. Da un lato Jokowi, persona
ritenuta incorruttibile e vicina al popolo, dall’altra Prabowo, figlio
dell’oligarchia al potere durante l’era di Suharto, personaggio poco
attento al rispetto dei diritti umani, nazionalista e legato a doppia
mandata all’esercito.
Prabowo, sostenuto dalle forze conservatrici, riusciva a formare
una coalizione fra partiti che avevano raccolto la maggioranza del
voto popolare (59,12%). Questa coalizione prendeva il nome di Koalisi Merah Putih, coalizione rosso-bianca, dai colori della bandiera indonesiana. La speranza del candidato conservatore era quella che la
maggioranza del voto popolare andata ai partiti che lo candidavano
si traducesse in una maggioranza del voto popolare per la propria
candidatura, nonostante la popolarità di Jokowi. La campagna elettorale di Prabowo, oltre ad esaltare le sue qualità di leader e a mettere
in evidenza la componente islamica della sua coalizione, era mirata
a minare la popolarità di Jokowi. Nonostante ciò e nonostante una
campagna elettorale del PDI-P molto meno strutturata di quella degli
avversari, la popolarità del giovane riformatore Jokowi è riuscita ad
attrarre voti anche tra gli elettori dei partiti della coalizione che sosteneva Prabowo. Il 22 luglio 2014 la KPU annunciava la vittoria della
coppia Joko Widodo e Jusuf Kalla con oltre il 53% dei voti contro il
46,8% della coppia Prabowo Subianto e Hatta Rajasa13. L’annuncio
10 Syarief Hasan, Indonesia ruling Democrat Party supports Prabowo-Hatta pair, ‘Antara
news’, 30 giugno 2014.
11 Yohanes Sulaiman, No thanks to PDI-P: Jokowi wins despite poor campaign, ‘The
conversation’, 11 luglio 2014.
12 Ibid.
13 Official, final tally: Jokowi 53.15%, Prabowo 46.85%, ‘The Jakarta Post’, 22 luglio 2014.
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ufficiale non fermava però Prabowo, che iniziava una campagna di disinformazione, affermando che gli esiti delle votazioni erano state falsati da pesanti brogli elettorali, cosa che rendeva la vittoria di Jokowi
del tutto illegittima.14 Nonostante l’accanimento dalla campagna diffamatoria del candidato sconfitto, la corte costituzionale indonesiana
vi poneva termine in modo decisivo, confermando con una votazione
unanime la legittimità della vittoria di Joko Widodo15
Il 20 ottobre 2014 Joko Widodo assumeva infine la carica di presidente della repubblica. La sua vittoria rappresentava un netto segnale
di cambiamento nella politica indonesiana. L’elettorato, stanco di essere rappresentato dai soliti nomi, aveva dimostrato di preferire una
persona nuova, che, come Joko Widodo, non avesse legami né con il
passato regime, né con l’esercito. La sua vittoria, inoltre, dimostrava
il consolidamento di due processi politici: il primo era il carattere
fortemente personale della politica indonesiana, ovvero il legame fortissimo tra l’elettorato e i personaggi politici, indipendentemente dal
partito di appartenenza;16 il secondo dimostrava la lungimiranza di
una parte dell’élite politica che aveva visto nella popolarità di Jokowi
l’elemento vincente per le elezioni del 2014.
Joko Widodo doveva la sua popolarità innanzi tutto alle umili origini della sua famiglia. Figlio di un venditore di legno nella città di
Solo, in Giava centrale, era poi riuscito ad entrare in politica con il
PDI-P, fino ad essere eletto, nel 2005, sindaco di Solo17. Da allora la
sua popolarità era cresciuta grazie alle politiche riformiste da lui attuate nella propria città. Il sostegno ai poveri ed alle piccole imprese
gli aveva dato un enorme consenso popolare che gli aveva permesso
di vincere il secondo mandato di sindaco di Solo con oltre il 90%
dei voti18. Compreso il carisma di Jokowi, il PDI-P lo aveva presentato come candidato alle elezioni governative di Giacarta, dove la sua
fama si era già diffusa. Governatore della capitale dal 2012, Jokowi
aveva continuato a portare avanti la sua politica a favore dei poveri. Questo particolare atteggiamento, unito alle sue origini popolari,
l’aveva reso tanto famoso a livello nazionale da renderlo, appunto, un
ottimo candidato per le elezioni presidenziali.
14 Michael Bachelard, Prabowo Subianto ‘withdraws’ from Indonesian presidential election on day vote was to be declared, ‘The Sydney Morning Herald’, 22 luglio 2014.
Andreas Ufen, Jokowi’s Victory: The End of the New Order in Indonesia?, ‘Bertelsmann
Stiftung’, Asia policy Brief 2014/05, Agosto 2014, pp. 5-6.
15 Gayatry Suroyo, Fransiska Nangoy, Indonesia court upholds Widodo’s presidential
victory, ‘Reuters’, 21 agosto 2014.
16 Yoes C.Kenawas e Fitriani, Indonesia’s next parliament: celebrities, incumbents and
dynastic members?, ‘East Asia Forum’, 31 maggio 2013.
17 Profile: Joko Widodo, ‘BBC News’, 22 luglio 2014.
18 Ibid.
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Indonesia
Tuttavia, la presidenza di Jokowi si avviava con evidenti debolezze,
prima fra tutte, la minoranza parlamentare della coalizione che lo
appoggiava. La coalizione avversa, capeggiata da Prabowo, deteneva
infatti il 63% dei seggi, ciò che la metteva in condizione di bloccare il
programma politico di Jokowi. Dal canto suo, Jokowi, nella sua condizione di «presidente di opposizione», non poteva neppure bloccare
coi soli parlamentari della sua coalizione il programma politico della
coalizione rosso-bianca. In passato, in seguito alle elezioni del 2004,
una simile situazione si era risolta col pragmatico passaggio del Golkar
alla coalizione di Yudhoyono, permettendo così alla coalizione del PD
di poter governare stabilmente il paese. Nel 2014, tuttavia, la coalizione rosso-bianca non dava segnali di voler aiutare Jokowi. Al contrario, le forze conservatrici sfruttavano la maggioranza parlamentare
per varare in tutta fretta alcune riforme a garanzia del mantenimento
dello status quo. Nel settembre 2014, per esempio, la maggioranza
riusciva a far passare una legge per l’abolizione dell’elezione diretta
dei rappresentanti amministrativia livello locale.19 Con questa riforma la coalizione di Subianto toglieva alla popolazione il potere di
eleggere direttamente i propri rappresentanti locali restituendo tale
potere alle legislature regionali come avveniva prima del 2005. Dal
2005 infatti, il cosiddetto Pilkada system consentiva che i rappresentanti amministrativi a livello locale venissero eletti direttamente dall’elettorato. Era proprio questo sistema che aveva permesso a Jokowi di
percorrere una carriera politica che lo aveva portato dal municipio di
Solo alla presidenza della Repubblica. Se da una parte il Pilkada system
comportava maggiori costi ed una proliferazione delle autorità locali,
dall’altra aveva portato notevoli benefici alla democratizzazione del
sistema politico a livello locale, costringendo i candidati a rivolgersi
all’elettorato locale.20
Oltre a dover fare i conti con la maggioranza della coalizione
rosso-bianca, Jokowi doveva anche difendersi dalle influenze conservatrici provenienti dalla sua stessa coalizione, a partire dal PDI-P, il
suo maggiore supporto politico. La nomina dei ministri, per esempio, avveniva con indubbie tensioni tra Jokowi e la coppia Megawati
- Jusuf Kalla.21 La figlia di Megawati, Puan Maharani, infatti, veniva
nominata ministro della Cultura e dello Sviluppo umano,22 pur avendo accettato a fatica la scelta di Jokowi come candidato del PDI-P per
19 Jonathan Chen e Adhi Priamarizki, Why abolishing direct local elections undermines
Indonesia’s democracy, ‘East Asia Forum’, 9 ottobre 2014.
20 Ibid.
21 Togi Pangaribuan, Welcoming Jokowi’s Working Cabinet, ‘The Jakarta Post’, 31
ottobre 2014.
22 Wahayudi Kumorotomo, Indonesia’s cabinet line-up: not all the president’s men, ‘The
Conversation’, 20 ottobre 2014.
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la presidenza. L’ambiziosa figlia di Megawati, infatti, considerava il
partito una proprietà della famiglia.
Oltre al PDI-P, altre forze all’interno della coalizione di Jokowi
avevano forti legami con l’élite politica del regime e non vedevano di
buon occhio i programmi riformisti del neo presidente. I fondatori
dei partiti Hanura e NasDem, infatti - rispettivamente l’ex comandante
delle forze armate Wiranto e Surya Paloh -, facevano parte dell’élite
politica del regime di Suharto.23 Inoltre, per compensare la campagna di Prabowo, che lo dipingeva come cristiano, Jokowi aveva stretto
alleanza col PKB, in modo da ottenere i voti dell’elettorato musulmano. Vale la pena ricordare che il PKB era un partito islamico tradizionalista che, nelle precedenti legislature, aveva partecipato alle
coalizioni conservatrici.
Infine, Jokowi aveva coinvolto sia nella sua squadra di consiglieri
nel periodo di transizione,24 sia nel suo governo, alte figure della gerarchia militare che incarnavano l’eredità del regime. Abdullah Mahmud Hendropriyono, ex comandante dei servizi segreti, veniva incluso nella squadra di transizione nell’agosto 2014, mentre l’ex gerarca
militare Ryamizard Ryacudu veniva nominato ministro della Difesa.
Queste scelte sollevavano preoccupazioni in certi ambienti della società civile. Harris Azhar, direttore esecutivo della Komisi untuk Orang
Hilang dan Korban Tindak Kekerasan (Kontras), Commissione per le
persone scomparse e le vittime di violenza, una delle ONG più importanti dell’Indonesia, metteva in guardia Jokowi, richiamandolo alla
necessità di mantenere il proprio profilo di riformista incorruttibile,
al fine di non perdere l’unico vero alleato che aveva: l’elettorato indonesiano.25
4. La sfida economica del nuovo presidente
Il nuovo presidente entrava in carica dopo un lungo stallo nelle scelte di politica economica da parte del suo predecessore, Yudhoyono. L’ex
presidente, infatti, nonostante che nelle sue due campagne elettorali
avesse promesso programmi di riforme per snellire la struttura economica e farla decollare, non aveva fatto nulla durante l’ultimo mandato per
sviluppare una strategia di crescita.
L’instaurazione del nuovo governo, il 20 ottobre 2014, portava
così una ventata positiva nell’economia indonesiana. Nonostante che,
dopo la crisi del 1998, si sia registrata una progressiva crescita del
Ufen, Jokowi’s Victory: The End of the New Order in Indonesia?, cit.
Il periodo di transizione si riferisce al lasso di tempo che intercorre tra le votazioni presidenziali e la formazione del nuovo governo: luglio-ottobre 2014.
25 Hendropriyono’s appointment raises eyebrows, ‘The Jakarta Post’, 10 agosto 2014.
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prodotto interno lordo (PIL), la mancanza di riforme del secondo
mandato del governo di Yudhoyono aveva portato ad un graduale
rallentamento dell’espansione economica. Le previsioni di crescita
del PIL per il 2014 venivano ulteriormente riviste verso il basso, dal
5,2% al 5,1%, a fine anno .26 Questo ribasso era particolarmente significativo, se comparato ai tassi di crescita registrati gli anni precedenti:
+6,5% nel 2011; +6,3% nel 2012; +5,8% nel 2013.27
L’assenza di riforme strutturali durante il governo di Yudhoyono
era però stata compensata principalmente da due fattori che avevano mantenuto, per inerzia, un buon tasso di crescita del PIL. Questi
erano, da un lato, le dimensioni del mercato interno, con oltre 252
milioni di abitanti, capace di garantire una costante domanda di beni
di consumo; dall’altro, un costo molto competitivo della forza lavoro
rispetto alla media dei paesi dell’area del Sud-est asiatico. Quest’ultimo fattore aveva favorito un notevole flusso di investimenti esteri
diretti nel paese.28
Con l’obiettivo di aiutare gli strati poveri e la classe media, stimolando di conseguenza la crescita del mercato interno, il governo Yudhoyono aveva mantenuto una politica di sussidio sui carburanti. La politica
di sussidio ai carburanti era iniziata in Indonesia a seguito della prima
crisi petrolifera degli anni Settanta. Con questa politica il governo aveva
fissato e mantenuto il prezzo dei carburanti ad un livello molto più basso
del prezzo di mercato. Una quota del bilancio statale veniva quindi spesa
per coprire la differenza tra il prezzo amministrativo e quello di mercato.
Nel 2012 il prezzo di mercato della benzina era in media di 1,01 dollari al
litro, mentre quello amministrativo era di circa 0,47 dollari per litro.29 In
totale la spesa per il sussidio dei carburanti, solo nel 2012, ammontava a
circa 21 miliardi di dollari, ovvero il 21% del bilancio del governo centrale
indonesiano.30 Nel corso degli anni, il rapido sviluppo del mercato interno e il conseguente aumento della domanda di carburante aveva portato
ad un incremento insostenibile della spesa pubblica. Sul lungo termine, la
politica del sussidio ai carburanti, unita all’assenza di riforme in grado di
reperire fondi per le opere infrastrutturali necessarie al paese per trasfor-
The World Bank, Delivering Change, ‘Indonesia Economic Quarterly’, dicembre
2014.
27 The World Bank, East Asia and Pacific. Global Economic Prospects, January 2015
(http://www.worldbank.org/en/publication/global-economic-prospects/regionaloutlooks/eap).
28 Marco Vallino, Indonesia: la democrazia della Pancasila verso le elezioni del 2014,
‘Asia Maior 2012’, pp. 321-324.
29 Ndiame Diop, Why Is Reducing Energy Subsidies a Prudent, Fair, and Transformative
Policy for Indonesia?, ‘Poverty Reduction and Economic Management Network’, The
World Bank, n. 136, marzo 2014.
30 Ibid.
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Marco Vallino
marsi da un’economia di esportazione di risorse naturali ad un’economia
di esportazione di prodotti lavorati, aveva portato a effetti negativi.
Di conseguenza, il 18 novembre 2014, Jokowi annunciava il taglio dei
sussidi ai carburanti. Nei giorni successivi i prezzi della benzina e del gasolio aumentavano di oltre il 30%,31 con un aumento di 2.000 rupie, pari
a 0,16 dollari al litro.32 Il taglio nei sussidi del carburante non era una
sorpresa, in quanto parte integrante dell’agenda di politica economica
di Jokowi.33 Nonostante ciò, la popolazione reagiva con proteste e scioperi, mentre i mercati finanziari davano invece segnali positivi. In effetti,
secondo stime ufficiali, il taglio ai sussidi avrebbe comportato, nel solo
2015, un risparmio di circa 120 mila miliardi di rupie (US$ 9,8 miliardi),
che sarebbero stati reinvestiti nei settori produttivi.
Sulla base delle manovre decise dal nuovo governo, nel dicembre
2014 la Banca Mondiale rivedeva verso l’alto le sue stime sull’andamento macroeconomico dell’Indonesia, dal 5.1% nel 2014 al 5,6% nel
2015.34
5. I movimenti radicali islamici nella nuova Indonesia di Jokowi.
Nonostante che, dopo il 2002, non ci fossero più stati attentati terroristici di matrice islamica, il fondamentalismo islamico non era del tutto
scomparso dall’arcipelago. Esistevano, infatti, ancora gruppi paramilitari
che potevano vantare consensi e complicità nei livelli più alti delle istituzioni governative e che, grazie a queste complicità, potevano attaccare
impunemente, in nome della legge islamica, i gruppi religiosi minoritari, come i cristiani e gli Ahmadiyya.35 Nell’anno sotto esame, mentre
le tensioni provocate dall’estremismo islamico tornavano a farsi sentire
a livello globale, il nuovo governo indonesiano si trovava a fronteggiare
le violenze, giustificate nel nome della ferrea applicazione della shari‘a,
da parte di uno dei più noti gruppi radicali islamici del paese, formatosi
durante la caduta del regime nel 1998, il Front Pembela Islam (FPI, «Fronte
di difesa dell’islàm»).36
31 Michael Taylor e Kanupriya Kapoor, Indonesia hikes fuel prices, saving government
$8 billion next year, ‘Reuters’, 17 novembre 2014.
32 Fuel’s errand, ‘The Economist’, 22 novembre 2014.
33 Dion Bisana, Muhammad Al Azhari, Jokowi Eyes Infrastructure Focus With Fuel
Subsidy Cut, ‘The Jakarta Globe’, 27 febbraio 2014.
34 The World Bank, Delivering Change, in ‘Indonesia Economic Quarterly’, dicembre
2014 (http://www.worldbank.org/en/news/feature/2014/12/08/indonesia-economicquarterly-december-2014).
35 Scott, Indonesia’s Elections of 2014: Democratic Consolidation or Reversal? cit., pp.
5-6.
36 Ibid., p. 6.
146
Indonesia
L’FPI si era costituito inizialmente a Giacarta e nella parte occidentale
dell’isola di Giava, per poi diffondersi nel corso degli anni, affiancando,
accorpando o sostituendosi a gruppi radicali islamici esistenti nelle varie
regioni dell’arcipelago indonesiano. Strutturato come forza paramilitare,
l’FPI, agendo in nome del rispetto della shari‘a, da un lato faceva oggetto
di veri e propri attentati terroristici i membri delle minoranze religiose e,
dall’altro, intimidiva con azioni violente anche la maggioranza musulmana.
Durante le ore del giorno, nel mese del ramadan, anche i venditori di strada di cibo e di bevande erano diventati un bersaglio dell’FPI.37 Nonostante
che queste azioni fossero contro la legge e in fondamentale contrasto con
quella libertà di espressione religiosa che era uno dei pilastri della Pancasila (la fondazione filosofica ufficiale dello stato indonesiano), né le due
maggiori organizzazioni musulmane dell’Indonesia, la Nahdlatul Ulama
(NU) e la Muhammadiyah, né la polizia e l’esercito, né, tanto meno, il governo avevano mai preso posizione contro l’operato dell’FPI. Tale silenzio
non poteva che dimostrare il tacito assenso sia delle istituzioni musulmane
sia di quelle pubbliche per l’operato dell’FPI. Se da una parte la NU non
accompagnava le violenze di strada dei membri dell’FPI, dall’altra i suoi
vertici non ne criticavano le violenze. Questo confermava anche le tesi basate su documenti pubblicati da WikiLeaks, dai quali si evinceva l’appoggio
istituzionale della polizia agli atti di violenza dei paramilitari del FPI.38 Nonostante che fosse risaputo che l’FPI si autofinanziava con atti di estorsione
ai danni di nightclub e dei bar di Giacarta, questa non era di certo l’unica
fonte di finanziamento dell’organizzazione.39Ancora una volta, dunque,
come all’epoca dei massacri dei membri del partito comunista indonesiano
tra il 1965 e il 1966, le forze islamiche radicali venivano usate come mano
d’opera da parte delle forze militari e di polizia con l’appoggio o il mandato dell’élite politica conservatrice indonesiana.
Il fatto che l’FPI si fosse particolarmente sviluppato e diffuso a partire dal 2004 dimostrava il tacito consenso della presidenza Yudhoyono
all’operato di tale organizzazione. L’ex presidente, infatti, spinto dal timore di perdere l’appoggio dell’elettorato musulmano, aveva evitato di
condannare o di dichiarare fuori legge l’organizzazione. In questa situazione, l’influenza dell’FPI si era dimostrata particolarmente forte perfino nella capitale, come dimostrato dal fatto che, nel maggio 2012, tale
organizzazione era riuscita a vietare lo svolgimento di un concerto della
cantante pop statunitense Lady Gaga a Giacarta.40 Il fatto aveva avuto una
37 Henky Widjaja, Convenient thugs, ‘Inside Indonesia’, 109, luglio-settembre
2012.
38 Bagus BT Saragih, WikiLeaks: National Police funded FPI hard-liners, ‘The Jakarta
Post’, 5 settembre 2011.
39 Scott, Indonesia’s Elections of 2014: Democratic Consolidation or Reversal? cit., p. 6.
40 Ali Kotarumalos, Indonesia bans Lady Gaga concert over fears she’ll corrupt kids, ‘The
Independent’, 15 maggio 2012.
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Marco Vallino
notevole risonanza nei media di tutto il mondo ed era stato giustificato
dalla polizia indonesiana in base alla necessità di «preservare la cultura
della nazione», come dichiarato dall’ispettore capo della polizia di Giacarta, il Generale Untung S. Rajab.41
Una possibile svolta per quanto riguarda la capacità di intimidazione
dell’FPI è stata rappresentata dall’elezione di Basuki Tjahaja Purnama,
il 14 novembre 2014, come nuovo governatore di Giacarta, succeduto a
Joko Widodo. Il neo governatore, nato in una famiglia di origini cinesi di
fede cristiana, veniva subito criticato da parte dell’FPI per il fatto di non
essere musulmano. In risposta, Ahok, come veniva soprannominato il neo
governatore, dichiarava la necessità di porre fine all’esistenza di tale organizzazione, chiedendone lo scioglimento al governo centrale.42
Con l’acuirsi del pericolo di attentati a sfondo religioso, il nuovo governo doveva dunque prendere una posizione chiara sull’annosa questione della libertà di religione, un pilastro che – come si è già accennato – è,
da sempre, alla base dell’ideologia della pancasila, sulla quale si fonda
l’idea di nazione indonesiana. In questo contesto bisogna anche sottolineare che, come rivelato dalla Badan Nasional Penanggulangan Terorisme
(BNPT), l’agenzia nazionale indonesiana del contro terrorismo, negli ultimi mesi del 2014 veniva registrato un allarmante aumento nel supporto
all’IS, il sedicente stato islamico capeggiato dall’autonominato califfo alBaghdadi, con un forte aumento di cittadini indonesiani imbarcatisi per
raggiungere la Siria o l’Iraq.43
Sebbene Jokowi avesse portato una ventata positiva nel processo di
rafforzamento delle istituzioni democratiche, tuttavia la maggioranza delle strutture del governo centrale era rimasta nelle mani dei poteri conservatori, legati ai militari ed alle forze di polizia. Anche sul tema del
radicalismo islamico la lotta doveva essere giocata tra Jokowi, il nuovo
presidente riformatore, popolare e democratico, e la nuova maggioranza
conservatrice del parlamento indonesiano.
L’anno si concludeva con il nuovo governo in carica da appena due
mesi, un lasso di tempo troppo breve perché fosse possibile esprimere
un giudizio sulla capacità o meno di Jokowi di rompere le resistenze del
vecchio regime. Solo il futuro avrebbe potuto rivelare la capacità d’incidenza del nuovo presidente sui temi caldi della politica economica, della
politica estera, dei diritti umani, della libertà di stampa e del trattamento
delle minoranze etnico-religiose. In questa prospettiva, particolarmente
importante rimaneva la questione dello status delle province periferiche
Iman Mahditama, Police say halting concert was to protect nation’s culture, ‘The
Jakarta Post’, 16 maggio 2012.
42 Deti Mega Purnamasari, Soon-to-Be-Governor Ahok Wants Central Govt to Disband
FPI, ‘The Jakarta Globe’, 10 novembre 2014.
43 Alarming rise in support for ISIS in Indonesia, says counter-terrorism chief, ‘The Straits
Times’, 8 dicembre 2014.
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Indonesia
del Papua Occidentale, a cui i governi indonesiani dell’era democratica
avevano negato libertà civili.
***
2014 was election year in Indonesia, the world’s largest Muslim country and
the most populated in South East Asia. More than 250 million people were called
to vote for more than 235.000 candidates in the national, regional and local
elections across the archipelago. The 2014 elections were the fourth since Suharto’s
fall in 1999, a period of democratic transition which, however, has hitherto been
dominated by political forces strictly linked with Suharto’s old «new order» regime. In
2014, however, for the very first time, the front runner for the presidential elections,
Joko Widodo, was a politician without any personal connections with the Suharto
era. The ensuing electoral campaign was dominated by the presidential election,
seen both as the most important among the many electoral races and a decisive
contest between the old Suharto-related political élites and the representatives of a
completely new pro-democratic political front.
After a long and harshly contested electoral campaign, the pro-democratic forces
won the presidential election thanks to Joko Widodo’s popularity. Nevertheless the
conservative forces, headed by former army general Prabowo Subianto, conquered
a parliamentary majority, potentially able to halt the reformist presidential agenda.
While Widodo’s victory represents a break with Suharto’s «new order» legacy, the
fact remains that the conservative political forces seemed to have become stronger
than during the mandates of Widodo’s predecessor and, accordingly, fully ready
to face Widodo’s challenge. Hence, Indonesia’s political future cannot but be the
result of a harshly contested political struggle which, at the end of the year under
review, appeared to be in the offing.
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