263-266 Attualit - Recenti Progressi in Medicina
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263 Attualità Recenti Prog Med 2012; 103: 263-266 Usiamo correttamente i diuretici dell’ansa? Michele Meschi1,2, Simona Detrenis1, Laura Bianchi3, Marcella Saccò1, Marcello Bertorelli1, Francesca Boffetti1, Alberto Caiazza1, Giorgio Savazzi4 Riassunto. Il largo impiego dei diuretici dell’ansa rende ragione della necessità di una revisione sistematica della letteratura corrente, al fine di adeguare la pratica quotidiana alle evidenze scientifiche attuali. Scopo della rassegna è documentare ragionevoli certezze e falsi miti sull’uso di questi farmaci, in particolare nelle condizioni edematose talora caratterizzate da apparente resistenza al comune trattamento. Loop diuretics: facts and fallacies. Parole chiave. Blocco sequenziale del nefrone, diuretici dell’ansa, edema refrattario. Key words. Diuretics, edema, heart failure. Resistenza al diuretico: inefficacia o uso scorretto? rittura, in alcuni lavori retrospettivi3, il deterioramento di funzione renale osservato in corso di utilizzo di alte dosi di diuretico dell’ansa apparirebbe rapportabile ad un incremento di morbilità e mortalità. Nella realtà, tuttavia, l’effetto prognostico negativo di tale approccio farmacologico non è mai stato dimostrato su larga scala in corso di trial randomizzati e controllati, mentre una vasta evidenza in letteratura mostra, come è logico supporre, un’associazione tra corretto uso di diuretici e sopravvivenza a breve e a lungo termine in tali setting clinici. Inoltre, una recente osservazione ha sottolineato come la necessità di alte dosi di farmaco e l’apparente refrattarietà ad esse possano rappresentare in realtà indicatori di severità della patologia cardiaca o renale sottostanti, piuttosto che fattori di significato eziologico o patogenetico2. È assodato che l’associazione di terapia diuretica e restrizione idrosalina possa costituire il gold standard nel trattamento delle condizioni edematose sistemiche sostenute da un’alterata distribuzione dei fluidi corporei, quali quelle associate ad insufficienza cardiaca congestizia, a cirrosi epatica o a sindrome nefrosica. Pur nella non universalità delle definizioni accettate, si è soliti identificare come indicatore di resistenza a tale trattamento la mancata escrezione di almeno 90 mEq di sodio nelle urine entro 72 ore dalla somministrazione di 160 mg di furosemide, oppure l’evidenza di una frazione di escrezione del sodio inferiore allo 0,2% nelle stesse condizioni1. Ancor più semplicemente, ed in maniera meno discutibile, l’evenienza può intendersi come il mancato ottenimento del goal terapeutico, ovvero la risoluzione dell’edema stesso, dopo somministrazione del farmaco a dosi, velocità e modalità realmente adeguate: è infatti dimostrato che comuni errori metodologici nell’utilizzo delle molecole appartenenti a questa classe terapeutica possano esserne di frequente alla base2. La presenza di comorbilità nefrologiche concorre a peggiorare significativamente l’outcome dei pazienti affetti da una sindrome edemigena. Ad esempio, la coesistenza di scompenso cardiaco e nefropatia cronica può costituire, in alcuni casi, un ostacolo all’ottenimento di un’adeguata natriuresi con il trattamento convenzionale e addi- Summary. Refractory edema is a clinical condition which recognises different etiologies and is characterized by decreased or absent diuretic response before the therapeutic goal is reached. Several pharmacokinetic and pharmacodynamic strategies are used in this setting, and further research is needed in order to optimize drug effectiveness. Razionale dell’impiego di diuretico nelle sindromi edemigene In corso di cirrosi scompensata, la ritenzione di fluidi è legata essenzialmente all’ipertensione portale e alle conseguenze di questa a livello dei sinusoidi epatici. In tale situazione viene a configurarsi anche la cosiddetta circolazione iperdinamica, in cui si osservano, a livello sistemico, una riduzione delle resistenze vascolari periferiche e della pressione arteriosa media, oltre ad un incremento finale della gittata cardiaca4. 1 Medicina Interna a indirizzo Nefro-Cardiovascolare, Dipartimento di Medicina e Diagnostica, Ospedale Santa Maria di Borgo Val di Taro, Azienda USL di Parma; 2Dottorato di Ricerca in Fisiopatologia dell’insufficienza renale, Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Università di Parma; 3Service de Nephrologie Pediatrique, Hôpital Robert Debré, APHP Paris; 4 Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Università di Parma. Pervenuto il 12 maggio 2012. 264 Recenti Progressi in Medicina, 103 (7-8), luglio-agosto 2012 A tali modificazioni concorrono, da un lato, l’azione di vasodilatatori circolanti, tra cui prostaciclina e ossido nitrico, e dall’altro l’apertura di circoli collaterali porto-sistemici, strettamente legata alla patologia di base. Il calo pressorio percepito dal sistema barocettoriale sistemico si riflette, in un secondo momento, nell’attivazione dei sistemi idro- e sodio ritentivi; in tal modo, il paziente cirrotico scompensato presenta frequentemente ipovolemia relativa e quindi ridotta pressione di perfusione d’organo, nonostante il volume plasmatico assoluto, la gittata cardiaca e il pool di sodio extracellulare siano aumentati a tutti gli effetti5. Per lo stesso motivo, è comune il riscontro contemporaneo di contrazione della natriuresi e di iponatriemia, quest’ultima da diluizione e in contraddizione solo apparente con l’incrementata quantità di sodio corporeo totale. L’attivato sistema di vasocostrizione, che ottiene una riduzione netta del flusso ematico renale soverchiando l’iniziale azione dei mediatori di vasodilatazione, inoltre può condurre a progressiva riduzione della perfusione renale e, in ultima analisi, della stessa funzione emuntoria6. Nell’insufficienza cardiaca, l’edema è giustificato prevalentemente dall’aumento della pressione venosa e dal proporzionale incremento di quella idrostatica intracapillare. Semplificando al massimo i concetti, sulla base della cosiddetta “back hypothesis” le elevazioni pressorie atriale e telediastolica ventricolare sinistre che si osservano in corso di scompenso da ischemia miocardica acuta si trasmettono dalle vene ai capillari polmonari7, mentre sull’altro versante, nell’insufficienza cardiaca cronica, è la ridotta gittata cardiaca a comportare riduzione della perfusione tessutale, attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e di quello simpatico adrenergico, sino all’aumento delle resistenze vascolari periferiche e alla ritenzione di sodio e acqua. Nel secondo caso, infatti, è il tentativo di conservazione del volume plasmatico efficace e della pressione di riempimento cardiaco a condurre di necessità anche all’accumulo di liquido interstiziale e quindi all’edema; si parla di “forward hypothesis” appunto per sottolineare, in un’ottica finalistica, la volontà di mantenere un’efficace gittata cardiaca “a valle”8. Sono sostanzialmente due i meccanismi implicati nella patogenesi della sindrome nefrosica, clinicamente evidente all’occorrenza di una perdita proteica urinaria superiore a 3-3,5 g al giorno9, ed è verosimile che entrambi possano concorrere, pur variabilmente, alla ritenzione di fluidi nel singolo paziente. Il drastico calo di pressione oncotica plasmatica, dovuto ad ipoalbuminemia di grado severo o di insorgenza relativamente rapida, condurrebbe al cronico sub riempimento (underfilling) dello spazio intravascolare arterioso, e quindi, nuovamente, all’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone10-12. D’altra parte, se l’albuminemia non scende al di sotto di 2 g/dL, e più spesso in pazienti ipertesi e/o con funzione renale perlomeno dimezzata, sarebbe invece il sovra riempimento (overfilling) a giustificare la formazione di edema, nel senso di un overflow vascolare sostenuto da una ritenzione di sodio primitiva per aumentato riassorbimento13. In modelli sperimentali, infatti, sarebbero state identificate anormalità specifiche a carico dei dotti collettori: fra le tante, un’incrementata attività della pompa sodio-potassio-ATPasi e una resistenza relativa al peptide natriuretico atriale, che vedrebbe alla base una degradazione accelerata del GMP (guanosina-monofosfato) ciclico per aumentata attività fosfodiesterasica14. Il management del trattamento diuretico: una questione di dose? Più utilizzata fra le molecole ad alto tetto, la furosemide interagisce col trasportatore sodio-potassio-cloro ed esercita un effetto natriuretico diretto. In ragione del significativo legame con le proteine plasmatiche, essa è scarsamente filtrata a livello glomerulare e raggiunge il sito d’azione essenzialmente attraverso la secrezione prossimale. Comportandosi in sostanza da acido organico debole, condivide la captazione peritubulare con altri anioni organici deboli e, una volta secreta nel tubulo prossimale attraverso uno specifico sistema di trasporto, interagisce col proprio sito di legame localizzato sul versante luminale del tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle. A questa premessa concettuale consegue che il farmaco deve giungere al sito d’azione di necessità ad una concentrazione soglia, al di sotto della quale è impossibile ottenere un’adeguata risposta in termini di efficacia15: in ogni paziente la somministrazione di furosemide deve dunque essere titolata al fine di determinare la dose atta al raggiungimento della porzione ripida di una curva dose-risposta standard16 (figura 1). Figura 1. Curva dose-risposta standard. M. Meschi et al.: Usiamo correttamente i diuretici dell’ansa? La stessa curva consentirà di determinare, d’altro canto, la dose minima in grado di fornire una risposta massimale, oltre la quale non sono necessarie ulteriori modifiche posologiche17. Tale andamento rende ragione del fatto che, nella pratica clinica, in caso di mancata risposta ad un determinato trattamento iniziale, un tentativo di incremento posologico è sempre più indicato della ripetizione della medesima dose in differenti momenti della giornata18. Il management del trattamento diuretico: in vena o per os? In aggiunta a quanto descritto, la ridotta perfusione renale che si osserva in corso di insufficienza cardiaca congestizia, la vasocostrizione intrarenale durante la fase di scompenso cirrotico e l’inibizione competitiva della secrezione tubulare da parte delle molecole anioniche ritenute in corso di insufficienza renale avanzata concorrono a ridurre l’effettiva secrezione del farmaco nel lume tubulare. In questi casi l’apparente refrattarietà all’efficacia diuretica nasconde in realtà il mancato impiego del regime terapeutico empirico conosciuto come maximum effective dose, ovvero nient’altro che una somministrazione di furosemide a dosi sufficientemente elevate da inibire virtualmente del tutto il trasporto di sodio a livello dell’ansa di Henle19. Va tuttavia specificato che pazienti anasarcatici o quantomeno francamente edematosi richiedono che almeno l’inizio del trattamento avvenga per via endovenosa, poiché l’edema stesso può interessare la mucosa delle vie digerenti e comportare diminuita perfusione intestinale e ridotta motilità viscerale, riducendo così l’assorbimento netto del farmaco20. Il management del trattamento diuretico: somministrazione a bolo o infusione continua? L’infusione continua di furosemide per via endovenosa, meglio se preceduta da un’adeguata dose di carico, si dimostra efficace nel ripristino della diuresi in corso di edema apparentemente refrattario alla terapia21. In tal modo, infatti, si mantiene nel tempo un’efficace secrezione di farmaco all’interno del lume, e quindi l’ottimale inibizione del riassorbimento di sodio. Al contrario, con la terapia a bolo la natriuresi è vicina ai livelli massimi nelle due ore successive alla somministrazione, mentre tende ad un progressivo decremento sino all’assunzione della dose successiva22. Va da sé che l’infusione continua non può rivelarsi efficace in soggetti che non abbiano risposto in precedenza ad una dose massima, sopra soglia, impiegata a bolo23. A dire il vero, un recente studio sembrerebbe dimostrare, accanto alla sostanziale safety di dosi anche relativamente elevate di diuretico nella riacutizzazione dell’insufficienza cardiaca, la mancanza di benefici derivanti dall’infusione continua24; esso si presta tuttavia a numerose critiche metodologiche che ne compromettono l’applicabilità nella pratica clinica, in particolare proprio nel caso di edema cosiddetto resistente o refrattario2. Imprescindibilità della restrizione salina Se non sottoposto a restrizione, l’apporto di sale si traduce in riduzione della perdita netta di fluidi, anche in presenza di adeguata diuresi, per riassorbimento di sodio nell’ansa di Henle e in altri siti del nefrone25. In Italia, la comune dieta prevede un vistoso eccesso di introito del catione: osservazioni condotte in alcuni contesti geografici alla fine degli anni Novanta hanno documentato livelli di assunzione addirittura sino a 9 g negli adulti e a 7 g nei bambini. Di tali quote, circa un terzo viene comunemente indicato come discrezionale, ovvero aggiunto direttamente a tavola o nella preparazione domiciliare degli alimenti, mentre la restante si riferisce a quanto presente nei prodotti industriali, artigianali o di ristorazione26. L’efficacia del trattamento diuretico in corso di edema apparentemente “refrattario” è significativamente compromessa in assenza di contemporanea dieta iposodica stretta, regime applicabile essenzialmente in ambito ospedaliero o controllato e che prevede un apporto giornaliero solitamente non superiore al grammo di cloruro di sodio; nell’impossibilità pratica di applicazione, una dieta cosiddetta “senza sale aggiunto”, ovvero con apporto inferiore ai 3 grammi, costituisce un’alternativa da considerare sulla base dello specifico setting clinico27. Il management del trattamento diuretico: il “blocco sequenziale” del nefrone Alcuni pazienti presentano una resistenza parziale o relativamente totale all’azione del diuretico ad alto tetto, a causa dell’aumento del riassorbimento tubulare di sodio nei segmenti del nefrone differenti dall’ansa di Henle28. Sia per i meccanismi stessi della patologia primitiva sottostante (scompenso cardiaco, cirrosi), sia per la deplezione idrosalina indotta dal farmaco, si assiste in sostanza all’attivazione della cascata sodio-ritentiva che prevede, accanto all’aumento del riassorbimento dello ione nel tubulo distale, l’azione di angiotensina II e norepinefrina a livello prossimale e di aldosterone presso i collettori29. È a causa di questi processi che, in alcuni pazienti, la risposta massima alla somministrazione di diuretico si nota solo con la prima dose oppure, in caso di infusione continua, la natriuresi tende a diminuire nel corso delle prime 12 ore dall’avvio della stessa29. Esistono due opzioni terapeutiche per far fronte a tale situazione. Secondo la prima, una volta documentata una diuresi, parziale ma inadeguata, con la monosomministrazione del farmaco alla dose adeguata, si possono ripetere posologie analoghe anche due o tre volte nell’arco della giornata29 . In seconda battuta, un diuretico antialdosteronico o risparmiatore di potassio può essere aggiunto alla furosemide al fine di ottenere la negativizzazione del bilancio sodico, dal momento che l’iperaldosteronismo secondario gioca comunque un ruolo significativo nella patogenesi e nel mantenimento dell’edema30. 265 266 Recenti Progressi in Medicina, 103 (7-8), luglio-agosto 2012 Durante il primo periodo di trattamento, si renderà necessario ovviamente il controllo seriato di potassio sierico e creatininemia, al fine di prevenire il rischio di iperkaliemia. Sul fronte opposto, nei soggetti che non abbiano sviluppato precocemente riduzione dei livelli sierici di potassio con la sola terapia con furosemide, è ragionevole il blocco sequenziale del nefrone mediante l’associazione di un diuretico tiazidico, in grado di opporsi al riassorbimento di sodio nel tubulo distale31. Il metolazone, somministrato una volta al giorno, appare di scelta nei pazienti con edema refrattario e filtrato glomerulare inferiore a 20-30 mL/min/1.73 mq, ovvero quando la maggior parte degli altri tiazidici dovrebbe essere considerata inefficace. In realtà, non è escluso che dosi abituali anche di altri tiazidici possano essere impiegate in corso di nefropatia piuttosto avanzata, rigorosamente associate a diuretico dell’ansa, non essendo, inoltre, stati condotti vasti studi con dosi di essi equivalenti a quelle comunemente usate per il metolazone32. Bibliografia 1. Ellison DH. Diuretic resistance: physiology and therapeutics. Semin Nephrol 1999; 19: 581-97. 2. 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