Un interessante articolo su come proteggere il proprio patrimonio
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Un interessante articolo su come proteggere il proprio patrimonio
Un interessante articolo su come proteggere il proprio patrimonio. Dalla polizza vita al trust: il patrimonio?Lo proteggo così. 3 settembre 2012 - 10:39 Ricognizione delle principali soluzioni per tutelare la ricchezza: valutazioni su misura Trust, fondo patrimoniale, polizza e mandato fiduciari. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le soluzioni legali per proteggere il patrimonio, ciascuna caratterizzata da una serie di vantaggi e svantaggi, rilevabili soprattutto in relazione alle singole esigenze. Polizza, lo strumento più semplice. La sottoscrizione di una polizza vita costituisce la via più semplice e meno costosa per tutelare il patrimonio, per esempio se si intende pianificare l’eredità attraverso la designazione di uno o più beneficiari che non rientrano nell’asse ereditario o differire il versamento di un capitale o di una rendita in seguito di decesso dell’assicurato, sottraendolo all’imposta sulle persone fisiche e a quella sulle successioni. Inoltre, il Codice civile stabilisce l’impignorabilità e insequestrabilità delle polizze vita (fatta salva la revocatoria fallimentare e altre tutele), anche se diverse pronunce giurisprudenziali hanno limitato questi diritti rilevando in alcuni casi un uso dello strumento non tanto con finalità previdenziali, quanto elusivo degli interessi dei creditori. Per i detentori di patrimoni più consistenti (non meno di 500mila euro, ma la convenienza va esaminata caso per caso in base ai costi) è possibile inoltre valutare la convenienza del private insurance, vale a dire la costruzione di polizze vita ad hoc ubicate in altri paesi. Non essendo sottoposte alla vigilanza dell’Isvap, queste polizze hanno maggiori margini di manovra rispetto a quelle più tradizionali e agiscono da sostituti di imposta. L’avanzata del trust. Il trust è lo strumento che più di altri è al centro del dibattito sia tra gli operatori, che sul fronte legislativo. Una situazione che deriva in parte dall’ampio spettro di esigenze che possono essere soddisfatte dallo strumento, per il resto dalla mancanza di questo istituto nella cornice normativa italiana, nonostante i reiterati tentativi di arrivare a una legislazione del settore. Detto in soldoni, si tratta di un istituto giuridico nato negli ordinamenti di common law (e applicabile in Italia in virtù dell’adesione del nostro paese alla Convenzione dell’Aja del 1985) che coinvolge tre soggetti: il disponente (settlor in inglese), cioè colui che conferisce il patrimonio al trust; il gestore (trustee), figura alla quale viene affidata la proprietà dei beni, ma non la disponibilità. Infatti è chiamato a gestirli nell’interesse del beneficiario (beneficiary), destinatario finale del trust. Il settlor, inoltre, ha la facoltà di nominare un protector, che di fatto monitora l’attività di gestione e interviene in situazioni straordinarie che rischiano di compromettere il patrimonio stesso. Quanto al trustee, può essere tanto una persona fisica, quanto una giuridica. Il beneficiario può essere esistente nel momento in cui il trust viene costituito o meno (è il caso dei cosiddetti trust di scopo, destinati per esempio ai futuri nipoti). Con il conferimento, sottoposto tuttavia al pagamento dell’imposta sulle donazioni, i beni risultano protetti dai creditori e le transazioni possono avvenire in maniera riservata. Il trust può essere costituito per preservare per esempio un erede debole (è il caso del figlio disabile), così come per gestire operazioni di finanza strutturata o curare il passaggio generazionale. La principale caratteristica dello strumento consiste, infatti, nella segregazione del patrimonio rispetto al patrimonio del disponente e dalla sua inattaccabilità da parte di terzi. Le differenze rispetto agli altri strumenti. Anche il fondo patrimoniale può essere costituito per proteggere il patrimonio della famiglia, ma rispetto al trust il primo istituto presenta una serie di vincoli, dalla necessità del vincolo matrimoniale (quindi in caso di divorzio e/o vedovanza, il fondo cessa i suoi effetti) alla necessità di destinare tutti i beni ai bisogni della famiglia, fino alla possibilità di conferire solo beni immobili e mobili iscritti in registri pubblici e titoli di credito. Ci sono differenze sostanziali anche tra il trust e la polizza vita: se entrambe le soluzioni possono aiutare il passaggio generazionale assicurando la segregazione del patrimonio, la seconda presenta una serie di limiti applicativi, dal premio che deve necessariamente consistere in una somma di denaro alle rigidità sull’individuazione dei beneficiari, fino all’eventuale indennizzo/prestazione da pagarsi al beneficiario, che rientrerà nella sua sfera patrimoniale diventando pertanto aggredibile dagli eventuali creditori personali dello stesso. I due strumenti possono anche coesistere, per esempio rendendo il trust beneficiario di una polizza vita in modo tale che, in caso di premorienza, le somme assicurate non vadano immediatamente nella disponibilità dei beneficiari, ma restino in trust conservando l’effetto segregativo. Il trust si differenzia in maniera sostanziale anche dal mandato fiduciario, che vede un soggetto (detto fiduciante) conferire a una società fiduciaria l’incarico di assumere a proprio nome, ma per suo conto l’amministrazione fiduciaria di una o più attività mobiliari secondo specifiche istruzioni che saranno di volta impartite dal fiduciante) per l’effetto segregativo sul patrimonio. Infatti, nella fiduciaria la titolarità del diritto permane in capo al fiduciante, senza che vi sia un effettivo passaggio di proprietà, mentre la società fiduciaria (tenuta a un obbligo di riservatezza) è legittimata all’esercizio del diritto stesso. Al contrario, nel trust il disponente si spossessa in modo definitivo dei beni trasferiti, i quali diventano di piena proprietà del trustee. Autore: Duilio Lui – ItaliaOggi 7 (Estratto articolo originale)