Imp. Preghiera metropolitana

Transcript

Imp. Preghiera metropolitana
Via Herákleia
Forme della poesia contemporanea
Collana ideata
da Ida Travi e Flavio Ermini
35 a cura di Flavio Ermini
Elisabeth Jankowski
Preghiera
metropolitana
Poesie
Prefazione di Annarosa Buttarelli
Immagine di Mutsuo Hirano
Cierre Grafica
Progettazione e cura grafica
Raffaele Curiel
2008 © Via Herákleia – Cierre Grafica
via Zambelli 15 – 37121 Verona, Italia
[email protected]
www.anteremedizioni.it
Annarosa Buttarelli
COSÌ SIA
La scrittura poetica di Elisabeth Jankowski non teme la pagina bianca, anzi straborda di parole e altre ne apparirebbero, lo si avverte
benissimo. Si accampa al centro della pagina, ha i margini destro e
sinistro liberi, e non c’è segno poetico più efficace dello “strabordare” quando il contatto con la realtà è così denso di godimento e di
riconoscenza.
Noi che abbiamo la fortuna di frequentarla, sappiamo bene che la
grazia fa visita alla sua persona, ma ora, leggendo questo libro, possiamo costatare che la grazia visita anche il suo modo di stare in relazione con il mondo, poiché, nel bene e nel male, lei non chiude mai
gli occhi, non ha timore nemmeno dei diversi dolori che si manifestano. Eppure gli occhi dell’amica e poeta vedono un mondo abitato
da gente fuori posto che incontra altra gente fuori posto, che è costretta a usare oggetti incongruenti, gente che si esprime con “lingue
sconosciute” anche a sé, non di rado. Gli occhi di Elisabeth Jankowski ci restituiscono sulle pagine un mondo largamente post-umano,
dove nulla trova più la sua dimora e il suo senso, dove il pullulare di
eventi è colto in un affastellarsi di tableaux vivants, dove l’incalzare
del gesto sorprendente fissato in un fermo-immagine fa pensare a un
lungo esercizio di meditazione sull’“inquietante estraneità”. Questo
sintagma traduce abbastanza bene le esperienze perturbanti –
l’Unheimlich di Freud – che capitano nel mondo delle poesie raccolte in queste pagine.
Tuttavia, lo sguardo di Elisabeth Jankowski è calmo, verrebbe da dire che è in contemplazione di un “caos calmo”, per rubare l’espressione a una buona intuizione dello scrittore Sandro Veronesi. Infatti,
gli occhi scorgono qua e là, con desiderio, qualcosa dell’umano che
non è ancora perduto, che anzi può salvarlo sempre di nuovo. La
poeta, in realtà anche studiosa della lingua e di quella materna in
particolare, non teme la Babele delle lingue sconosciute che invadono il nostro mondo, cambiato in tutti i punti cardinali dalle migrazioni che lo percorrono.
Babele è propriamente la cifra di questo nuovo mondo, ma il fatto
che la scrittura di Elisabeth non tema Babele e non ne faccia un destino tragico e biblicamente primitivo, le permette di scorgere nella
lingua e nei linguaggi il luogo in cui avviene la ricreazione continua
della realtà comune, la speranza della rinascita continua, la riconquista di un’apparenza armonica.
Forse, è proprio quest’ultima la cifra dell’umano che Elisabeth vorrebbe restituire al mondo squassato dalle incongruenze: l’armonia;
e non c’è modo migliore che farlo attraverso l’accettazione di Babele e la ricerca, al suo interno, dei miracoli della parola.
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Del resto, la stessa poeta ha lavorato per armonizzare la sua amata
lingua materna, il tedesco, con la lingua dell’accoglienza, l’italiano.
Nelle sue poesie, rende continuamente omaggio a questo transitare da una lingua all’altra, scolpendo varie “pietà”: donne accosciate
che allattano in luoghi improbabili e dalle quali sembrano sgorgare
le filastrocche babeliche che sono le poesie di Elisabeth Jankowski.
La donna che allatta e che insegna le mille lingue a suo figlio, a sua
figlia, è una nuova immagine della “Pietà” insieme a quelle di ogni
altra donna che “voleva andar via prima di essere morta”, come recita un verso che troveremo in queste pagine.
Anche questa è una cifra del poetare di Elisabeth, forse è lei stessa:
bisogna andare via, spostarsi, viaggiare, muoversi per non morire
delle malattie dell’identità. La donna che “va via” è sorella della donna che allatta, punto fermo a Babele. Amore per la lingua materna
che nutre amore per la capacità femminile di “andare via”, di stare a
proprio agio nella mancanza di identità da difendere, sono l’offerta
più importante che Elisabeth Jankowski ci porge attraverso la sua
ricerca poetica.
Una ricerca poetica che ha nelle sue intenzioni pietose quella di offrire cibo per i sensi, per la sensibilità acuita dallo sguardo sul dettaglio, dalle numerose elencazioni di cibi e di loro ingredienti. Una
poesia nutriente e decisa ad accettare la sfida della Babele contemporanea.
È per questo che Elisabeth può permettersi di chiudere quasi tutte
le sue composizioni con un inaspettato Amen, un “così sia” che la
dice lunga sulla sua accettazione della realtà e sull’evidente posizione di officiante del rito, una posizione che la poeta ha voluto occupare scrivendo.
Nel mondo da lei rappresentato non c’è altra posizione, se si vuole
scrivere, non c’è altra fiducia, e da questa posizione possiamo dire
che ha ben imparato a benedire tutto e tutti, a dirci “cercate di andare in pace”.
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cacciata dal paradiso
con le mani sul viso
corsero giù la strada
la cacciata dal paradiso
era appena iniziata
la trasformazione del reale
in un remoto angolo della vita
doloroso sgomento
sulle dita gli anelli
a testimoniare il legame
quasi già abbandonato
già ricordo e passato
rinchiuso nelle parole
occupava uno spazio trascurabile
leggero come una piuma
le gambe pesanti ferme
come un tronco
fossero radici antiche
per abbeverarsi in quella terra
nelle sussurrate parole
poi quella definitiva
la partenza all’alba
con le valigie in mano
le lacrime asciugate
zia maria ci protegga
e poi la strada
l’arrivo nel deserto cittadino
esteso da un capo all’altro
con qualche vetrina
la televisione e la macchina
di vidimazione
gente in fila
davanti a uno schermo
con le mani giunte
la coca cola in mano
fino alla mattina
gli occhi abbassati
mancanza di saluto
strane usanze
vecchi confinati in cantina
lavati velocemente la mattina
nutriti di pastiglie
di pane vecchio una settimana
una chiamata al telefono
ogni tanto
un bottone telecomandato
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per le urgenze
un bacio solo a natale
nelle strade due ragazzi
in corsa verso cosa
poi
l’incendio della mente
le gambe da amputare
la mamma piange inutilmente
ha perso l’autorità
quel giorno del silenzio
di fronte alla violenza del padre
il paradiso è passato o è presente
forse arriverà domani
stava in quella capanna esposta al vento
col tetto di lamiera
nel respiro lento adagiato sul seno della madre
o in una birra fresca sul banco dell’osteria
aprendo la valigia impolverata
sistemata in un angolo del ricovero di fortuna
trovò ancora intatto
tutto il proprio passato
il sangue scorreva come prima
il fuoco era acceso
la madre pronunciava le parole di sempre
portava un vestito consumato
spingeva la figlia all’uscita
non voleva che restasse
desiderava per lei un’altra vita
poi un messaggio cifrato
annunciato da un bip allegro
arrivato ieri sera all’ora di cena
nel quale si leggeva
“ti prometto il paradiso”
now
ora
Amen
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café canossa
i giornali parlano di piogge estese
le sedie rovesciate chinano il capo
gli ombrelloni bagnati
annunciano la fine di stagione
la cameriera sulla porta
scruta il cielo
apparecchia dentro
le vetrate aprono sulla piazza
chiusa da una piccola chiesa
turisti con scarpe bagnate
e magliette troppo leggere
entrano per asciugarsi i capelli
e per bere
sulla piazza è teso un filo
da una torretta a un campanile
vi camminano persone buone
che rischiano continuamente
di cadere nel vuoto
due uomini vestiti con la sola cravatta
siedono con un bicchiere di vino
e parlano del bene e del male
e della filosofia del calcio
una ragazza nera
chiede una ciotola di riso
si siede per terra
allatta suo figlio
e attende la divina provvidenza
al tavolo centrale
un uomo obeso
legge un articolo
“come perdere peso”
mangia con due forchette
e con entrambe le mani
in un angolo siede una signora
che non ricorda dove sta di casa
scrive riga dopo riga
senza alzare lo sguardo
chiama il cameriere
con il nome del marito
“oggi cresce l’erba sui rami
il sapore delle ciliegie riscalda la mano”
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la signora magra benestante
davanti a un’insalata salutare
manda assegni pesanti
al villaggio africano
il marito altrettanto attivo
vende armi al paese vicino
quando lui sarà morto
di coma televisivo
lei potrà sposare uno straniero
in cerca di permesso regolare
zia maria prega per entrambi
salita in cielo a 94 anni
non ha mai fatto la guerra
né mangiato cose strane
né girato il mondo
non era mai uscita di casa
alla fine anche lei è dovuta partire
per andare in terre lontane
Amen
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città d’acqua
nella città d’acqua
le barche sono scese sul fondo del mare
il letto del canale secco
il vaporetto fermo al molo
colombe volano angosciate
avanti e in cerchio
fiumi di immagini scorrono
su uno schermo gigante
attorno alla cattedrale
è stretta una cintura di sicurezza
la messa è in corso
nessuno entra
sull’altare sacrificano un essere vivente
il simbolo è diventato inutile
pende metallico dalla parete
scorrono fiumi di sangue
il sacerdote intinge la mano
fa il segno della croce
con il liquido sacrificale
uomini e donne
fedeli alle loro paure
si sono rinchiusi in casa
la piazza trasborda nei vicoli
scende le scale
la luce scivola verso un colore
rosso passionale
sulle panchine dei giardini
dorme un marocchino
avvolto nelle pagine
di un giornale locale
una vecchia con due sacchetti di plastica
si fa il segno della pace
un’altra volta, un’altra volta
poi sbaglia e
tocca il petto di un africano
davanti al palazzo reale
guardie del corpo giocano a carte
il re dorme
imbottito di tranquillanti
il principe azzurro
con scopa e straccio in mano
pulisce le scale
dalle quali salgono e scendono
gatti senza stivali
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le televisioni nel bar sport
trasmettono solo partite di calcio
un professore universitario
fa il tifo per una squadra locale
strappa le pagine del suo ultimo libro
per farne piccoli aerei
da lanciare al tavolo centrale
nell’ingresso una carrozzina
senza l’ombra di un bambino
attende un ladro che la porti via
la donna col rossetto viola
fuma una sigaretta dopo l’altra
deve fare l’inseminazione artificiale
prima che sia troppo tardi
oggi non si cucina
i panini sotto vuoto sono commestibili
anche se non pare
un cuoco magro racconta
dei tempi lontani
quando si mangiava a tavola
seduti davanti a un piatto caldo
e… la mamma faceva i bambini
il selciato trema
l’ulivo dell’arredamento urbano
vacilla per un istante
dann ist alles wieder still
il metrò è passato
tutto torna come prima
dal vicolo buio avanzano due donne anziane
non portano borse
solo grandi occhiali
non parlano
una regge l’altra
muovono a fatica le gambe
si fermano al centro della piazza
e scrutano il cielo steso verso il mare
poi si baciano, si abbracciano
la vecchia cade a terra e muore
sotto gli occhi della badante
che resta disoccupata
nei piani alti due coniugi
preparano il letto sulla terrazza
la camera matrimoniale resta vuota
per paura di incubi sempre uguali
parole di carta volano leggere
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senza sostanza
inquinano l’aria
nessuno se ne occupa
forse cercano senso
bambini e bambine impiccati
penzolano da un albero antico
che si rifiuta di fiorire
soldatini di piombo
escono dalle vetrine
entrano nei videogiochi
si fanno mandare nelle guerre vere
Amen
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della scomparsa
improvvisamente
la vita le sembrava scorrere più lenta
una mano piena di ciliegie
la madre liberata da fantasmi d’obbedienza
un ragazzo che piangeva
lungo il fiume gente colorata
passeggiava fino a tardi la sera
le lingue liberate dall’incubo babelico
si parlavano a vicenda
accompagnate da onde benevoli
non sempre
risvegliano l’antico modo di comprendere
e di amare
le chiese erano affollate di gente
qualcuno pregava
una turista baciava la tela restaurata di recente
un prete ortodosso distribuiva pane
dolce come il miele
una madre insegnava ai figli delle preghiere
un gruppo di uomini e donne cantava testi d’amore
non solo divino
una sposa teneva un comizio
sul ruolo maschile durante il pasto della sera
tre vecchie si erano radunate
attorno a una Madonna musulmana
coperte di rose appena sbocciate
profumanti intensamente
dicevano assieme il rosario
per il mese di primavera
sulla fontana battesimale
si librava lo spirito santo
in forma trasparente
i neonati lo riconoscevano
rivolgevano a lui il pianto
una donna argentina sulla piazza
chiese un tango
per tornare indietro nel tempo
ma già alle prime note
diventò malinconica
quanti anni sono passati
dal passo impaziente di quell’uomo bello
perso di vista poi per sempre
un mondo nuovo non le venne in mente
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solo alcune canzoni
il nome di un amico amica
il piacere di bagnare i piedi nella corrente di un lago silenzioso
suo figlio con le manine da neonato
profumo di lavanda
una tazza vuota poi piena
e ancora vuota
quando si versa il tempo
Amen
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figure di marmo
parlano da tempo
ma non si vedono
in fondo al secolo siedono
due figure di marmo vicino al viale
qualcuno dice che sono morti
ancora vent’anni fa
ma parlano da sempre parleranno ancora
poi le risate e i canti
di quella giornata e di altre
quando per un motivo insondabile
erano leggeri come una piuma
fino a sera
i pianti e le offese
si sono conservati intatti
come se fosse ieri
parola per parola
giacciono in fondo all’anima
risalgono in superficie ogni tanto
per ferire
non sempre
alle volte per consolare
il vestito della domenica
le smagliature nelle calze
la giacca troppo leggera
a Pasqua fa ancora fresco
l’amica della casa vicina va già in bicicletta
si sbuccia il ginocchio
quando cade giù dalla scarpata
suore preghiere candele e canti
figure enigmatiche
dolci della festa
il sangue che torna a fluire
una vita spesa in cucina
e nella testa immagini di libertà
l’arcangelo è appena partito
dal mondo boreale
non si crede possibile
che arrivi prima del giudizio universale
salteremo un pasto e poi anche un altro
lasceremo il giudizio sospeso
fino al tempo dei tempi
Amen
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l’annunciazione
il giorno dell’annunciazione
la bibliotecaria con le belle mani allungate
seduta vicino alla finestra spalancata
gira delicatamente con il mignolo alzato
le pagine di un libro impolverato
senza accorgersi di niente
non avrebbe mai acconsentito
di fare la madre del figlio
avrebbe evitato di stare vicino alla finestra
in quella posizione di attesa
con il libro aperto in mano
avrebbe risposto no “mi dispiace”
avere un figlio e neanche averlo deciso
per fare un piacere a un altro
collocato nelle alte sfere
che non si rivela
non può essere il mio desiderio
un vento improvviso scompiglia le pagine
la bibliotecaria perde la concentrazione
sentendosi stanca senza ragione
china il capo e l’adagia sulla pagina
del libro che regge in mano
perché doveva leggere libri scritti da un altro
voltare pagine su pagine senza sentirsi nominata
tenere in ordine quel cosmo di codici catalogati
dall’alfa alla zeta
libri censurati, acconsentiti, canonici
catastrofici canonizzati
impolverati
cominciò a strappare le pagine lentamente
una dopo l’altra
mentre la bidella
senza meravigliarsi di niente
scoppiò in una risata sofisticata
da far vacillare l’edificio
dalla cantina alla torre di guardia
poi accese un aspirapolvere
fabbricato secondo il design più recente
con rombo potente e interno trasparente
aspirò i pezzettini caduti a terra
e tutta la scienza fra le righe infilata
la bibliotecaria continuò a lavorare
strappando antichi codici
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riviste di filosofia
dizionari enciclopedie
senza interruzione
fino a un momento quasi di pazzia
per togliersi il sudore
si accostò brevemente alla finestra
e per respirare
ma proprio in quell’istante arrivò l’arcangelo Gabriele
naturalmente in versione contemporanea
con tuta spaziale esternamente d’argento
la chiamò con un gesto della mano
chiuse le ali spiegate
le si rivolse per parlare
di quella cosa…
del bambino da portare a compimento
e di quella decisione presa in alto
per farla partorire
spiegò anche le ragioni sociologiche
la mancanza di bambini
la società sempre più anziana
la maternità in forte calo
le ragazze da educare seguendo l’autorità della madre
una maggiore gioia di procreare
la bibliotecaria corse giù dalle scale per spavento
saltò alcuni gradini senza torcersi niente
ma con il fiato sospeso
si nascose in un angolo della cantina
dove la bidella la coprì
con una coperta di lana
tremava come una foglia
viso pallido e mani sudate
“non voglio bambini”
disse sotto voce
voglio fare figlie di carta
e scrisse il suo primo romanzo
lavoro doloroso come un parto
Amen
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l’armatura
lo sguardo si alza
i piedi prendono posizione
le mani escono da un antico riserbo
il peso insopportabile
si libera in improvvisa leggerezza
lei scaglia la prima parola
circoscrive il terreno
apre un fossato tutt’attorno
lontano nel campo di margherite gialle
un antico contadino e una profeta straniera
seminano qualcosa a piene mani
attendono la pioggia salvifica
il calore che porti crescita
un segno dal cielo
i due contendenti aprono le armature
escono capelli ricci e seno
un uomo e una donna
comandati da grandi cellulari
da generali di gesso e di carta
ostilità immaginarie
fra l’uno e l’altra
spezzano il pane
mangiano con le mani sporche di sangue
versano dalla brocca blu un sorso d’acqua
siedono sull’erba calpestata da carri armati
si sfiorano le labbra
la battaglia si è trasformata
in sacro rito
ora si toccano
abbracciami, baciami
non aspettare
Amen
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l’esodo
l’esodo fu lento dalla città antica
altoparlanti
pericolo imminente
misure urgenti
abbandono della propria casa
inevitabile partenza
diritto e ordine da rispettare
prima le famiglie antiche
con servitù al seguito
carrozze d’argento tirate da cavalli di razza
simboli di potere e di fama
caricati all’ultimo momento
il corteo avanzava lentamente
una donna con pellicce di ogni animale
capelli ricci castani incorniciavano il suo viso
la bocca amara
sulle dita anelli preziosi del suo corredo
un frustino di cuoio elegante
uomini al suo fianco
amanti padroni mariti
un esercito di impiegati ragionieri
sulle spalle sacchi pieni
oggetti di valore monete
il calice rituale dorato
i ponti ancora aperti
nuvole e vento pericolo di gelo
il cibo razionato
un megaschermo con immagini di eterna primavera
un carro con figure sacrali
madonne, angeli, apostoli, profeti
estasi mistiche per uomini d’animo mite
una bambina con in braccio un agnello ancora vivo
una donna bellissima con sette figlie
incede regale
la chioma bionda copre le sue spalle
scende fino alle caviglie
il petto stretto da un nastro ricamato
sarà regina, sarà angelo
attende le chiavi del regno dei cieli
non riconosce altra autorità
che quella di sua madre
non teme il fuoco, l’acqua e l’aria
tre anziani magri canuti
la memoria rivolta al passato
avanzano vacillanti
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dietro una carrozzina di neonato
uno gli tiene la mano
l’altro gli accarezza le giovani guance
il terzo gli canta la ninnananna
di un mondo ormai scomparso
anche loro desiderano un figlio
forse una figlia
la pelle color albicocca e pesca
e riccioli dorati
schiere di donne e uomini transitano
verso l’altra riva
qualcuno chiama
Amen
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l’ora della laurea
la studentessa si china
allaccia le scarpe
il docente parla di “essere nel tempo”
lei si soffia il naso
il logos in quel momento
diventa visibile
comincia a parlare
nessuno lo sente
qualcuno lo vede volare
poi si sente suonare
forse una campanella
forse le trombe del giudizio universale
forse la fisarmonica di un emigrante
analfabeti e bisognosi
cantano con vocina tremolante
tendono la mano mendicante
a porte chiuse si parla meglio
nella sala accanto
è in corso una gara di bellezza
tra professori universitari
la stampa è presente
ma non ha il permesso di scattare
alla prova di laurea
della studentessa attempata
sono allegri solo gli invitati
lo zio con lo swatch
sbircia dietro le rughe
le bellissime ragazze impegnate
la cugina, l’amica del cuore
la mamma con la corona d’alloro
sorride, sorride,
infinitamente sorride
la figlia è nata parla sa pensare
ora imparerà a guadagnare
e scatta la prima foto digitale
una donna anziana
con i capelli bianchi
studia assiduamente fino a sera
la biblioteca è semivuota
gli studenti fuoricorso
mandano messaggi ai compagni lontani
mentre lei scrive la sua decima tesi
sull’uso del congiuntivo congiunto in filosofia
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la ragazza grassa con il dizionario in mano
parla otto lingue
e conosce migliaia di parole
ma non sa a chi rivolgersi
nei momenti di urgente bisogno di comunicazione
in un angolo buio del vano scale
siede un frate con tonaca monacale
copia assiduamente senza alzare la testa
codici antichi di lingue sacrali
non mangia, non beve, non ama
scrive parole in estasi medievale
la bidella grida disperata
ha trovato nella spazzatura
accanto a pagine preziose
strappate dal libro sacro dell’amministrazione
un panino mezzo mangiato
quando passano le autorità accademiche
fa un inchino e poi ne fa un altro
ma loro non sopportano i gesti di sottomissione
della gente che sa di non contare
una ragazza rumena
si fa interrogare due volte
ha studiato tutto
anche le pagine mancanti
erano affascinanti, bellissime
purtroppo poche
la felicità sta nelle parole
da mandare alla memoria
per uso quotidiano
e non solo
da una scala di vetro
scendono filosofe
di sesso femminile
predicano la differenza
fra donne che amano la madre
e quelle che fanno un figlio
- pardon una figlia con o senza marito
la comunità di Diotima
è riunita in preghiera
nessuno osa disturbare
a ore si attende la soluzione
dell’enigma mondiale
poi si apre la porta
solo da una piccola fessura
qualcuno afferma
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di aver sentito sussurrare
ma non ha inteso il significato
poi di nuovo chiusura
appare in alto una scrittura luminosa
con sole tre parole
“la differenza resta in vigore”
qualcuno ha visto lì dentro
una filosofa con i guanti da pugile
intenta ad abbattere
concetti teorici strani
inneggia al pensiero pratico
delle viscere e della mente
bacia il diario bruciato
di una donna medievale
nell’ora mistica della sera
gli uomini tremano
si strappano la barba
ormai sono nudi
le camicie tutte da stirare
sono magri
mangiano pastasciutta col pomodoro
con una fame ancestrale
non hanno figli maschi
nessuno vuole ereditare
il mondo ridotto a discarica
solo qualche ragazza insolente
si dichiara loro figlia naturale
sul tetto siede uno strano animale
dice di essere giudice
di avere la firma unica valida
per promuovere o per bocciare
da quando esiste l’alma mater
tutti sono uguali su questa terra
la legge è unica e patriarcale
non conosce eccezioni
sconfina l’amore in un libretto smilzo
e abbastanza compromettente
da esercitare a pagamento
poi si sente gridare da dentro
e singhiozzare,
una professoressa ha rovesciato una sedia
spaccato il vetro
strappato i certificati e
inveisce contro il giudice
che ha osato parlare di patriarcato
arrabbiata furiosa sale sulla cattedra
e fonda un nuovo ordine
nel regno del simbolico
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e del reale
“all’inizio era la donna
curiosa e insolente, cosciente
di ciò che il padre eterno stava per fare,
la prima scienziata al mondo
inventrice della parola
la parola della lingua sua madre
che ti penetra nell’anima
senza libertà, senza coscienza
che ti serve per vivere
e talvolta per filosofare”
si legge sulla prima pagina
della costituzione matriarcale
Amen
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la bidella
la bidella prepara la tisana
il professore saluta gentilmente
chiede la benedizione della mente
un aumento della temperatura d’ambiente
un vortice di pensiero
un mondo luminoso
di spiritualità permanente
Kafka sta leggendo in biblioteca
si diverte con le suonerie dei cellulari
sente le onde radiofoniche nell’aria
tossisce ogni tanto
scrive ancora a mano
tante lettere e qualche romanzo
da pubblicare in futuro
sogna un testo incompiuto
dai libri escono figure familiari
invadono lo spazio della città
in cerca di cose immateriali
tracce dei loro pensieri
una società cambiata
una eredità spirituale realizzata
oggi vanno più i giocattoli telecomandati
la richiesta è calata
non si vendono più
la commessa scuote la testa
neanche e-bay li mette sul mercato
l’intervallo fra una lezione e l’altra
si rivela un momento cruciale
come stormi d’uccelli
gli studenti escono dall’aula magna
riaccendono il cellulare
hanno fame e sete di qualcosa
che non circola nella sala
l’ombelico nudo delle ragazze
spaventa il professore
che accende il suo palmare
la ragazza velata promette
una nuova edizione del corano
e srotola un foglio
con lettere sacre da adorare
la mensa non è lontana
le cameriere fanno un’inchiesta di mercato
sarà aperta giorno e notte
ed anche a Natale
per evitare la solitudine degli studiosi
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e la disoccupazione del personale
la pasta asciutta è garantita a tutti i cittadini
con regolare permesso di soggiorno
e anche un bicchiere di vino
ma solo ai cristiani
la bibliotecaria uscita dal mondo degli scaffali
distribuisce gratuitamente
copie del suo primo libro
in edizione economica
racconta storie davvero vissute
sembra più matura
ha un sorriso solare
dopo una breve vacanza sull’Oceano indiano
ha adottato una bambina
per essere meno sola
avere a cui raccontare tutte le storie
anche quelle di una volta
poi torna al suo portatile patinato satinato
e digita l’inizio del secondo romanzo
fiction in piena regola
una protagonista veramente eccezionale
una professoressa strana
che ama il suo lavoro
crede nelle parole che cambiano la vita
talvolta dimentica di mangiare
ma i suoi cracker
di alto quoziente intellettuale
fanno finta di niente
si avvicinano senza sbriciolare
e lei li mangia per pura compassione
una studentessa sotto esame non risponde
mette la mano sul cuore
la commissione attende
ma lei non vuole parlare
la filosofia per lei è una questione sentimentale
non può rivelare il suo segreto
l’attesa è invana
e la bidella chiude la sessione
Amen
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la casa vuota
la porta aperta
spoglia la soglia abbandonata
uccellini entrano ed escono
fanno il nido
vetri rotti
lo sposo a letto legge l’ennesimo libro
con la televisione accesa
formiche incrociano incontestato
in cerca di resti di marmellata
il frigo è spento
le valige davanti alla casa
formano una fila interminabile
ma nessuno parte
fuori in giardino
gioca il bambino con il gatto
non deve sapere niente
lei siede per terra
vicino alla porta
in posizione fetale
da quando non ricorda
voleva andare via
prima di essere morta
ma non è riuscita a muovere una mano
mancano pochi metri all’uscita
con gli occhi abbassati percorre nella mente
quei pochi passi
avanti e indietro
aveva il desiderio
di impastare ancora una volta
farina, burro ed acqua
per fare la pace
ma la bilancia si è rotta
sotto il peso della verità
e il forno si è incendiato
la dea dell’amore
pianse lacrime amare
ma lei chiuse la porta
per aprirla su un altro piano
forse inclinato
dove cresceva l’erba
verde verdissima
verdissimamente
Amen
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la poeta
la poeta con le mani da contadina
chiude gli occhi e apre la finestra
ascolta il mondo
scrive su fogli d’oro
nell’ora della luce
apre la mente e il cuore
è in balìa delle voci
ascolta chi parla
cancella frasi vuote
segue assonanze
disseppellisce ciò che resta soffocato
derive fantastiche e dolorose
potenti allusioni
la tazza vuota su un tavolo
la testa nella serratura
cura
impasta uova e farina
nutre future immagini
da abitare ora
si dedica al ricamo
nella parola può esserci pace
amore da vivere
forse già domani
la sua casa poggia su una sfera
ora è stabile ora dondola
col vento forte e col temporale
si libra nello spazio
impercettibile movimento dell’anima
mai sereno
sempre sospeso
verdissimamente sferico
i suoi figli hanno fame
bevono il suo latte e le parole
la seguono e non chiedono
già la portano dentro
fino alla fine del tempo
anche se lei un giorno
si arrenderà
Amen
29
la sposa con i capelli bianchi
la sposa con i capelli bianchi
profuma di magnolia e di gelsomino
i pesci la rincorrono sul fondo del mare
cervi silenziosi la attendono
sulla soglia del bosco
le api estraggono nettare dal suo mite cuore
il cane al suo fianco
le lecca la mano
le sue trecce toccano il suolo
radicano in terra
corteccia di un albero
crosta calda del pane
una foglia
una pagina del suo diario
da scrivere con la vita
si toglie le scarpe
per camminare nuda
piega un ramo
ma non spezza
mosche e moscerini fanno corona
non pungono
ronzano in cerchio
parlano un’altra lingua
l’accompagnano
non invadono
comprendono senza
Amen
30
la sposa
il giorno delle nozze
si trovava improvvisamente sull’altare
senza documenti
con la valigia in mano
i capelli da sistemare
pagine del suo diario da completare
fiori gigli bianchi
raccolti all’ultimo momento
il viso illuminato da un raggio autunnale
il rospo al suo fianco
sembrava metterla in guardia
ma lei firmò la sentenza
senza pronunciare parola
scarpe di ferro e un velo bianco
le furono consegnate
da un sacerdote straniero
la sua nuova dimora
era un paese con molti confini
muri alti e viti che vi si arrampicavano
in qualche punto filo spinato
il fuoco ardeva giorno e notte
nel focolaio da tener acceso
con cura
scintille allegre
talvolta brucianti
piccole mani di bambina
illuminate da fiamme rosso-arancio
pozzi torrenti pesci salterellanti
sorgenti con calde acque termali
in un angolo sedeva una fata
raccontava storie poco convincenti
di latte verde
e neve color porpora
in un altro angolo nascosto
un rospo color fogliame
un tempo principe
doveva aver commesso un errore grave
comunque non ammette
la trasformazione è sospesa
rinviata a tempo indeterminato
perché la fanciulla
non gioca più con la palla d’oro
sul fuoco pentole padelle casseruole
nella credenza piatti ciotole zuppiere
31
accatastati senza un preciso ordine
bicchieri, vassoi, vasi, alambicchi di ogni misura
forchette coltelli cucchiai d’argento
nei cassetti
erbe e antiche leggende
nelle ceste piene
radicchi lattuga erba amara
filastrocche e canzoni
il bouquet di preziosi vini e liquori
memorie sottili
galleggiano nell’aria
“partorirai con doglie
figlie e figli nel dolore
verso tuo marito
ti spingerà la passione
ma egli vorrà dominare su di te”
sul muro una bacchetta magica
per trasformare il giorno
in tempo sereno
il coltello taglia piccole ferite
e fette di pane
la sposa alza la mano
i chierichetti chinano il capo
le campanelle suonano
il mestolo dispensa
nutrimento divino e formaggio parmigiano
nessuno parla
lei spezza il pane
il pasto è caldo
aperta la casa
sulla soglia cresce l’erba illuminata
da un sole pensieroso
progetti freschi cuociono nel forno
l’aria è satura
odora di buono
di mele cotte cannella e calore
poi un giorno senza gioia
si istalla già dalla mattina
bussa alla porta
resta fino a sera
l’orologio si trascina da un’ora all’altra
dal vaso di Pandora
escono dieci piaghe
piatti sporchi invadono la casa
libri aperti ingialliti dal sole
mandano parole inutili
nello spazio angusto
fra scatole e panni sporchi dimenticati
32
un ragno tesse la sua tela invisibile
e fa un salto
sotto il tavolo e sotto le scale marciscono
filetti di pesce torsoli di mela
gambi di sedano gusci di uova
polpette bruciate cartine appiccicose
la sposa fuma un sigaro
lo sposo guarda la televisione
suona il telefono
internet vuota immagini pubblicitarie
nella camera da letto
mail infette riempiono la casella postale
la radio non riesce a sintonizzarsi su una banda unica
nessuno paga il conto
manca la forza la febbre sale
il cane non ha tempo per uscire
deve tenere la mano
consolare portare pazienza
asciugare le lacrime amare
le piante cominciano ad appassire
la casa dorme
si sente lamentare
il male resta invisibile
senza piaghe
un incantesimo maligno
cova sotto la tovaglia
sfigura le parole
toglie forza al sentimento
sulla tavola
apparecchiata a cena
nessuno si ricorda più i giorni felici
lei scrive un diario di disperazione
annota ogni offesa
e l’ora della comunicazione
fuma un altro sigaro
il caldo aumenta
un pipistrello si perde dentro
e sbatte le ali
lei si spaventa
gira nervosamente sopra la sua testa
poi si fa invisibile
ma la presenza resta
turbamento
in un giorno di follia
la camera nuziale resta vuota
lei si corica in giardino
si arrotola come un gatto sotto il melograno
la terra è calda
33
l’erba manda raggi verdi sulla pelle
la luna pende da un ramo
le zanzare si sono addormentate
le luci della casa si spengono
le rose parlano di petali e spine
le mele cadono una per una
nell’erba
la terra è calda
l’erba manda raggi verdi sulla pelle
le rose parlano di petali e spine
le mele cadono una per una
nell’erba
Amen
34
la torta semiotica
la torta semiotica
è il risultato della lettura assidua e faticosa
di libri alquanto ponderosi
frequentazione di convegni e seminari
in luoghi di villeggiatura vicino al mare
dove docenti e ascoltatrici
tessono una fitta trama di relazioni
come previsto dallo statuto scientifico
di linguisti e linguiste famosi
in uno degli affascinanti seminari
in lingua straniera
dove non tutto ciò che si diceva
era anche vero
alla presente ascoltatrice venne in mente
la ricetta scientifica
di una torta generativa
si prendano alcuni ingredienti
di Proppiana memoria
cambiando denominazione degli agenti
il risultato si rivela il seguente:
diciamo uova, farina, zucchero, lievito burro
e un ingrediente segreto
a propria scelta
poi si vada in prestito alla Cabala ebraica
per scegliere il numero cinque
la legge divina
il karma personale
che determina la segreta misura di coesione
cinque uova
cinque per cinquanta grammi di zucchero
cinque per cinquanta grammi di burro
di farina grammi cinque per cinquanta
cinque per cinquanta grammi dell’ingrediente magico
non lasciare mai la giusta misura
seguendo queste istruzioni
si può produrre un’infinità di torte
che sembrano sempre diverse
sono comunque strutturalmente uguali
la velocità di preparazione
è senz’altro un punto a favore
non occorre leggere libri di ricette
si può scrivere romanzi
la quantità degli ingredienti
35
non si fatica ricordare
una volta ripetuta varie volte l’operazione
come se si stesse compiendo un antico gesto
le mani si muovono da sole
il tocco di fantasia sta esclusivamente
nell’ingrediente a sorpresa
segue le stagioni, le voglie i desideri
si immedesima nel gusto degli ospiti
e nelle fasi lunari
per uomini si sceglierà
noci tritate a mano
cioccolato fondente a scaglie non troppo sottili
per signore poete
fette d’arancio candite, cioccolato, noci e un mantello di zucchero a velo
al compleanno della zia
il tutto farcito con gelato alla menta
che si accompagna con una tisana
al ritorno da una passeggiata nel bosco estivo
un’affogata di crema di mirtillo con panna fresca di montagna
davanti a un camino acceso
per ospiti single o appena divorziate
per prevenire la depressione
perle di melograno imbevute di raffinato liquore
per gli amici musulmani
canditi, noci, mandorle, menta piperita
senza la minima traccia di alcool
in compenso succo di frutta ghiacciato
da consumare su un tappeto con preziosi ricami
per Vera la badante
montagne di crema e carta di musica
da affogare la nostalgia
infine non dimenticate la cottura
in un forno ben caldo
per cinquanta minuti
o anche meno
finché vi sembra arrivato il momento propizio
che porti consolazione
Amen
36
pam pam
strade deserte trattorie riservate
camerieri che corrono da un tavolo all’altro
il cibo non sazia clienti inappagati
turisti con guida in mano
strade consigliate panino celofanato
non conoscono nessuno in questa città
le briciole cadono nella scollatura
arrossata dal sole meridiano
un padre attempato
spinge tra i vicoli una carrozzina
con un neonato che piange disperato
sputa il ciuccio e mette in bocca tutta la mano
senza la voce della madre
non potrà addormentarsi
e il padre non parla
verso il supermercato
si vede gente lungo il marciapiede
davanti un gruppo di mendicanti
con in tasca le mani
oggi è domenica
non chiedono l’elemosina
si chiacchiera
il tempo è bello
dentro non si passa
un filo di diffusione
trasmette musica leggera
la cassiera lavora da ore
si asciuga la fronte dal sudore
due uomini mussulmani
con la bottiglia di birra in mano
chiamano la bionda che spinge il carrello
peccato
non è più una ragazza da sposare
quanto gli manca una donna
una donna vicino
una vecchia demente pretende silenzio
all’ora della messa
si inginocchia davanti all’altare
quando la cassiera chiede i soldi
lei chiude gli occhi e apre la bocca
aspettando la benedizione
ma l’ostia non arriva
il conto è comunque da pagare
37
chi non ha soldi
è segnalato alla questura
e viene spedito a casa
forse già domani
un uomo con occhialetti d’oro
e abito elegante
sembra girare a vuoto
ma è il padrone del supermercato
sorveglia la gente
che non si accalchi alla cassa
non scoppi una rissa
e la musica proceda indisturbata
una donna bollywoodiana
guarda una confezione di cioccolatini
come se fosse una cosa rara
uomini a due o tre
con le loro donne lontane
comprano polli spennati
da preparare in assenza
le signore badanti
hanno i figli già grandi
non si ricordano più chi era loro marito
forse beveva troppo
probabilmente era disoccupato
nessuno si mescola
forse stasera faranno una telefonata
non hanno potuto mandare i soldi
sono già tutti spesi
ora resta la disperazione
qualcuno intona una canzone in una lingua sconosciuta
alcuni lo seguono
dondolando la testa battono i piedi
le braccia si muovono
ruotano
una confezione di zucchero vola a terra
sparge dolci granelli sotto i piedi
canticchiano, sorridono
nessuno vuole andare a casa
entrano gli zingari e suonano la fisarmonica
fino al mattino
la cassiera dispensa a tutti un bacio
nessuno paga
Amen
38
penelope
Penelope chiuse la porta senza disturbare
la gatta poteva restare fuori
tornerà scapigliata
ferita affamata
felicemente animale
sfiorò con le dita il telaio
di lunghi anni d’attesa
le sere con i bambini, le veglie
silenzi, febbre
assenza pura assenza
incompresa distanza
interminabile passaggio del tempo
Einsamkeit
non accese nessuna luce per non svegliare
tutta la casa era presente
respirava
ogni spigolo la toccava
il soffitto piegava le travi
per catturarla con le sue ragnatele
delicatamente
camminava da cieca
senza inciampare
sapeva di dover andare
nella sua testa erano tracciati i sentieri
il figlio e la figlia grandi da tempo
il diario pieno zeppo di parole
il cuore da scoppiare
le tessiture completate
il filo avanzato da sprecare
fino alla fine del tempo
Ulisse dormiva tranquillo davanti alla televisione
dopo il suo viaggio avventuroso
voglia di coccole e di cura
a tea for two
risotto pane appena sfornato
pantofole calde una comoda macchina,
una piccola passeggiata
partite di calcio
discorsi sempre uguali
un bacio di gratitudine ogni tanto
Penelope sapeva che non poteva più restare
vivere nel piccolo cerchio privato
curare un uomo stanco per intere giornate
cucinare la millesima cena
39
occuparsi giorno e notte di digestione
memorie del passato
scrivere storie senza autore
mangiarsi parole
immedesimarsi in altre persone
legarsi con le proprie mani
con la piccola valigia in mano
il mondo le sembrò straniero
angosciante e seducente
ma non staccava gli occhi dallo spettacolo
dopo gli anni di telaio
ogni luogo aveva la sua trama
quando un filo incrocia un altro
e un altro ancora
si toccano si avvolgono si sovrappongono
per creare sfioramenti
una calda vicinanza
carezze e tenera attesa
finalmente
il mondo nella sua reale presenza
amiche a fianco
il tempo cominciò a rallentare
una casa apparve dopo l’altra
un albero si componeva di foglie e rami
emergeva un paesaggio
sentieri, fiumi, campi
il latte sapeva di bianco
gli animali erano cuccioli
ma non chiedevano accudimento
l’accompagnavano per diletto
forse una carezza o un pezzo di pane
le ore si infittivano
domani era distante
il giorno come un giocoliere
scorreva lento colmo di regali
sorprese stupori contemplazioni
mete ignote e nuova compagnia
strade bianche assolate
da percorrere senza riparo
la notte era vecchia interminabile
piena di calvari strettoie paure
parole mute
persone che la chiamavano
gesti di sempre
ed era già mattina
talvolta sentiva la calda presenza della madre
come uno scudo trasparente
40
inattaccabile
non sempre
alle volte la vide piangere
un passo incerto segui un altro
Penelope allontanò l’ombra della madre
e proseguì a camminare
ora tutto aveva un altro senso
Amen
41
ponte pietra
il ponte invade l’altra riva
tiene assieme ciò che si allontana
unisce in apparenza
è in perenne attesa
talvolta resta senza
è attraversato
scrive storia e storie della gente
sul parapetto siede una ragazza
a piedi nudi
si sporge in avanti
rischia di precipitare
ma non succede niente
sotto il ponte
scorge un ragazzo risalire la corrente
ancora ed ancora
immerge il remo
lotta con tutta la forza
ma l’onda lo rovescia
mentre lei grida di spavento
lui riappare
un mendicante si fonde con la pietra
guarda con occhio vitreo in avanti
oggi non è passata la signora con la moneta
da mettere nella mano
il pittore con un tabarro nero
un quadro sotto braccio
cammina a passi lenti
non sa ancora di avere poco tempo
morirà presto
lontano da casa
la ragazza straniera che lo insegue
fino alla bottega del pane
non immagina che il suo grande amore
la lascerà per andare altrove
“es waren zwei Königskinder
die hatten einander so lieb“
la città aspetta l’inondazione
potrebbero cedere gli argini in muratura
le onde travolgere l’equilibrio instabile
scatenare emozioni lontane
portare vita o morte
la placenta del corpo di tua madre
42
le vecchie frasi che ti ha donato
tronchi sradicati
qualche sacchetto di plastica
e vecchi patemi
che sembravano scomparsi
portare tutto finalmente a valle
tracimare in un punto
incontrollabile
allagare i campi
bagnare l’orlo dei desideri
tenuti a freno dalla mente
colare tutta la bile trattenuta
e rinsavire
il sacerdote con i sandali da asceta
si fa il segno della croce
e benedice la pietra
unisce le rive su un’unica santa sponda
saluta le belle donne libere
che non abbassano lo sguardo
entrano nel suo sogno
e nel gesto della mano
non conosce rimedio al desiderio
scappa giù dai vicoli oscuri
meandri eterni
che sbucano nel salvifico sagrato della chiesa
gli studenti stranieri in visita
sono vestiti troppo leggeri
non ascoltano l’insegnante
guardano le colline e l’acqua
cercano gli occhi del loro compagno di banco
per scorgere amore
e lo stupore di questo istante
la vecchia Maria si ricorda le foto
e il suo sposo
quando ancora riusciva a camminare
era bianca bianchissima
trascinava un lungo velo
che coprì l’intero ponte e la pietra
di una patina luminosissima
sorrideva sorrideva
barcollava di felicità
Giulietta non passa mai il ponte
abita su una terrazza all’ultimo piano
e cura le piante
da quando ha lasciato Romeo
alle soglie della pensione
con lamenti e mal di schiena
43
un messaggero manda doni
da una parte all’altra
non possono vedersi davvero
perché manca nella loro relazione
la parte spirituale
e lui non cucina bene
la torre che guarda l’orizzonte
è disabitata
colombe entrano ed escono
per farvi l’amore
il restauratore la guarda da sotto
con occhio professionale
mancano i fondi per la ristrutturazione
il poeta inciampa nella cacca di un cane
compone versi insignificanti
sulla luna sul ponte
sulle amiche di scrittura
mentre la magnolia giapponese
nel giardino accanto
porta un messaggio orientale
da leggere a primavera
il cane fulvo al guinzaglio
trascina l’uomo single
in mezzo alla gente
annusa le cagne di donne orgogliose
che appaiono al suo padrone
in siderale lontananza
di notte all’insaputa delle autorità statali
tre donne, una madre e due bellissime figlie
muovono passi feriti
verso il punto centrale
si fermano baciano abbracciano
mettono una piccola urna sul muretto
non pregano, non fanno nessun gesto
si guardano in lacrime
e fanno volare le ceneri nell’aria oscura della notte
saranno accolte dall’acqua
in una dimora più larga
e aperta al mondo
“like a bridge over troubled water
I will ease your mind”
il matto di nome Crea
grida tutte le parole della gente
ed è solo al mondo
“va via, non ti posso sopportare
puzzi come un caprone
fai schifo e non ti voglio salutare”
44
poi all’improvviso si squarcia il cielo
da un lato una sposa bianchissima incede
verso il colmo del ponte
mentre dall’altro lato si avvicina
Zeno il moro nigeriano
nerissimo coll’abito coloratissimo
per ricordare il suo paese
niemand begleitete sie
kein Fotograf nimmt sie auf
si stringono in un abbraccio sentimentale
mentre il ponte sussulta
dalla torre si lancia uno stormo di colombe
per salutare
schöner, grüner Jungfernkranz
veilchenblaue Seide
Amen
45
sala d’attesa
le lancette si trascinano
da un minuto all’altro
Beckett gioca a cruciverba disperato
annoiato dall’attesa angosciante
di un evento irreale
Godot si è innamorato
di una ragazza di pelle nera
forse una dea scenderà dal cielo
per esaudire le sue preghiere
in un modo o nell’altro
su una panchina dorme Biancaneve
è scaduto il tempo
non vuole sposare il principe
ma fare pace con la madre
e poi si vedrà
forse si impiegherà
in un’azienda multinazionale
e avrà uno stipendio eccezionale
vestita troppo leggera
una donna sciupata
intona un canto rauco
muovendosi in tondo
ritrova un po’ di pace
ma l’ora desiderata non arriverà
due ragazze sorde
si raccontano la giornata
le mani muovono come vele
ora distese ora alzate
una bella giornata allegra
con parole disegnate
dal lago si sente una banda
suonare un walzer
fino alla mattina
un giovane uomo con un mazzo di rose
aspetta suo padre
fuma un pacchetto di sigarette intero
senza respirare
la salutista lesbica
scuote la testa
per forza il patriarcato doveva finire
moriranno tutti di cancro polmonare
hanno una salute debole
e amano solo la madre
46
le porte girevoli si muovono
entrano contadine anziane
con maglie pesanti di lana
fatte a mano
cominciano a chiacchierare con le altre
della sposa trascinata all’altare
poi una cantilena
sempre uguale
dietro un grande libro
si nasconde un intellettuale
mani bianchicce umide e due paia di occhiali
sarebbe invisibile se non avesse
una gamba col tremolio irrefrenabile
che fa vibrare la panchina
scrive in abbondanza
anche quello che non sa
la donna nigeriana accarezza il suo pancione
e sistema le sue borse di plastica
sarà una bambina
l’uomo con l’anello d’oro
non è suo marito
ma l’accompagna alla sala parto
la giovane musulmana
si toglie il velo e gira
come un sufi in cerchio
da far volare i capelli uno per uno
verso il cielo
un uomo sordo grida
con voce di animale
parole incomprese gutturali
non ha mai sentito dire
le parole di sua madre
l’impiegata sbadiglia
e dispensa un po’ di pace
ieri non è mai esistito
il bicchiere di latte si riempie
e si beve in continuazione
la mucca fa i vitellini
e poi va al macello
oggi è sfiorita una rosa
con abbondanza di petali rossi
che raccontano una storia di sì e di no
di sì e di no e di sì e di no
e avanti così
dann ist es vollbracht
und ist alles wieder still
47
l’opera è compiuta
dein Wille ist geschehn
l’attesa è finita
Amen
48
stazione di M.
sotto la poggia battente
il gatto sorride beato
silenziosi passeggeri in attesa di prodigio
sono in ritardo
portano valigie pesanti
prima avanti
poi in cerchio
nella sala d’aspetto i bambini si sono addormentati
succhiando l’alluce
dormono beati
un negro grida herzerweichend
si strappa la pelle nera
dalla mano
e fa un salto
lungo i binari
scorrono sogni scartati
un pendolino spazza via
le carte sollevate
il cielo ad occhi chiusi
beve un bicchiere di vino
suor Lucia parla alla Nigeriana
come fosse sua bambina
l’altoparlante annuncia ritardi
la gente si affolla lungo i binari
la faccia di un uomo truccato
sorride da un manifesto pubblicitario
strappato
un cane dal pelo infeltrito
mendica un pezzo di pane
una prostituta africana
tinge le ciglia
con un pennarello nero
intossicante
uno studente appoggiato
alla macchina di vidimazione
legge un libro
di filosofia contemporanea
la sua ragazza
vuota la sua cartella
tempestata di scritte insolenti
in un cestino puzzolente
e torna animale
49
accarezza i capelli ricci
di un uomo anziano
che dondola la testa
al ritmo di festa paesana
“mia nipote è più vecchia di te”
puntuale arriva il treno locale
sparge fumo di gasolio irrespirabile
apre i suoi vagoni imbrattati
di immagini spruzzate a bomboletta
scendono studenti disoccupati
badanti con pellicce di leopardo
uomini caffelatte con sacchetti di plastica
color primavera
si accendono le luci
passa un poliziotto
con cane antidroga
chiede i documenti
nessuno vuole essere riconosciuto
nel frattempo si fa sera
nessuno parla
i telefonini suonano a vuoto
nessuno sa dire
una parola beata
la donna col pancione e treccia andina
si fa più pallida
le poche panchine sono occupate
da giovani con scarpe da ginnastica
che seguono la musica in cuffia
chi sa dove sono?
dal sottopassaggio sale la regina di Saba
con treccine raccolte
in una corona di spine
muove passi incerti
sui tacchi a spillo
canta e infibula un ago
nel pene di un giovane unidimensionale
che sta guardandosi allo specchio
una scolaresca di tredicenni insolenti
scarpe rosa con orsacchiotti fosforescenti
lo stringe in cerchio
gli bacia le braccia e ognuna taglia
un riccio alla sua chioma lucente
il capostazione fischia
accende la radiolina
le ragazze smorfiose ridono
50
la partita di calcio è già iniziata
la palla rimbalza e finisce sui binari
alcuni ragazzi brasiliani
si mettono a giocare
una mamma grida: il treno arriverà
non attraversate i binari
l’altoparlante annuncia
una probabile sospensione della corsa
all’altro capo della pensilina
sale e scende un ascensore trasparente
trasporta vecchi, carrozzine
e handicappati
l’uomo infibulato
recita il pater patriarcale
la donna senza velo
si siede sulla panchina liberata
dalla folla che spinge verso le scale
apre la borsa piena di doni
e legge il corano
dalla città si sollevano voci
“razza bianca razza nera
razza bianca razza nera”
il lupo mangia la foglia di ciliegio
e si stende sull’erba fresca
per riposare
una suora vestita di rosa
da capo a piedi
stende un tappeto volante
sulla pensilina
in uno spazio angusto
tra i piedi dei viaggiatori in attesa
si toglie le scarpe
comincia l’esercizio spirituale
alza le braccia per salutare
il sole immaginario
apre le braccia per scivolare
nell’immenso universale
poi schiaccia il corpo a terra
immobile nella stessa posizione
poi si flette, si piega, forse prega
im Angesicht der Zeit
Mutter der Barmherzigkeit
qualcuno ha visto una borsa
con piccole bombe a mano
51
scoppia una rissa
per scendere le scale
l’ascensore di vetro si frantuma
in mille schegge luccicanti
volano da un capo all’altro
nessuno muore
i tamburi si stanno avvicinando
uomini neri di pelle lucente
battono il ritmo del tempo
circolare
piegano il capo
donne del villaggio
muovono le spalle
gonfiano il petto
fanno ruotare le mani
saltano con piedi leggeri
in cieli luminosi di colore
la voce di una cantante nera
rivolta l’interno dell’anima
come un guanto
scoprendo
ferite, dolori, malinconie
all’inizio era la felicità della nascita
all’inizio sei nata bambina della madre
all’inizio ti ha nutrita
con il suo corpo caldo
Sonnenumglänzete, Sternenbekränzete
ci porgi la nera mano
himmlische Rose, Krone der Erde
rosa dei cieli, corona della terra
bitte für uns
in der Stunde unseres Lebens
nell’ora della nostra vita
prega per noi
Amen
52
NOTIZIA E INDICE
ELISABETH JANKOWSKI, tedesca di origine, vive e lavora a
Verona da molti anni. Insegna la lingua tedesca all’Università di Verona; fa parte della Comunità filosofica di
Diotima e di Isthar (Ass. Donne italiane e straniere).
È studiosa della lingua materna e dell’insegnamento della lingua straniera. Allieva di Ida Travi, scrive poesia in lingua materna, ma anche in italiano; spesso cerca risonanze fra le due lingue. Fa parte del Gruppo laboratorio poetico “Poesia in corso”.
[email protected]
INDICE
5
Prefazione di Annarosa Buttarelli
7
cacciata dal paradiso
9
café canossa
11
città d’acqua
14
della scomparsa
16
figure di marmo
17
l’annunciazione
19
l’armatura
20
l’esodo
22
l’ora della laurea
26
la bidella
28
la casa vuota
29
la poeta
30
la sposa con i capelli bianchi
31
la sposa
35
la torta semiotica
37
pam pam
39
penelope
42
ponte pietra
46
sala d’attesa
49
stazione di M.
VIA
ERÁKLEIA
ELISABETH JANKOWSKI, Preghiera metropolitana
Volume stampato nel mese di aprile 2008
da Cierre Grafica, via C. Ferrari 5,
Caselle di Sommacampagna, Verona