Ambito Territoriale di Caccia AN2
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Ambito Territoriale di Caccia AN2 Programma Poliennale ai sensi dell’art.19 L.R. 7/95 Riferimenti normativi - - Legge Nazionale 11 febbraio 1992 n.157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”; Legge Regionale 5 gennaio 1995 n.7 “Norme per la protezione della fauna selvatica per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria”; Piano Faunistico Venatorio Regionale; Piano Faunistico Venatorio Provinciale; - Regolamento Provinciale per la gestione degli Ungulati; - INDICE Premessa.......................................................................................................................... pag. 3 Finalità del piano............................................................................................................ pag. 3 Distretti Territoriali Omogenei.................................................................................... pag. 6 Distretto territoriale 2.1 ........................................................................................... pag. 6 Distretto territoriale 2.2 ........................................................................................... pag. 8 Distretto territoriale 2.3 ........................................................................................... pag. 10 Utenza venatoria ............................................................................................................ pag. 12 Le ZRC e i Centri Pubblici di Riproduzione della fauna selvatica ......................... pag. 14 Tecniche di ripopolamento........................................................................................... pag. 15 Riproduttori di cattura locale.................................................................................... pag. 16 Riproduttori di allevamento ...................................................................................... pag. 17 Recinti fissi di ambientamento .................................................................................. pag. 18 Giovani di allevamento............................................................................................. pag. 18 Fauna di principale interesse venatorio ...................................................................... pag. 19 Fagiano (Phasianus colchicus L.1758)..................................................................... pag. 19 Lepre (Lepus aeuropaeus Pallas 1778) .................................................................... pag. 21 Starna (Perdix perdix L. 1758).............................................................................. pag. 23 Cinghiale (Sus scrofa L. 1758)................................................................................ pag. 24 Interventi di miglioramento ambientale ..................................................................... pag. 27 Monitoraggio .................................................................................................................. pag. 30 Controllo predatori ........................................................................................................ pag. 32 Conoscenza del territorio e creazione di un SIT....................................................... pag. 32 Formazione e didattica ambientale.............................................................................. pag. 34 Conclusioni ..................................................................................................................... pag. 34 Tabelle ............................................................................................................................. pag. 36 Tabella 1................................................................................................................. pag. 36 Tabella 2................................................................................................................. pag. 37 Tabella 3................................................................................................................. pag. 38 Appendice ....................................................................................................................... pag. 39 2 Premessa La selvaggina stanziale è presente nell’AtcAn2 solo nelle aree protette; in questi istituti esistono popolazioni naturali o semi-naturali parzialmente o completamente isolate fra loro. Nel territorio aperto alla caccia, invece, le dinamiche naturali sono completamente assenti, i nuclei di selvaggina non sono autosufficienti e vengono mantenuti attraverso ripopolamenti con l’immissione annuale di capi provenienti per la maggior parte da allevamenti. Il fagiano, soprattutto, grazie alle sue peculiari caratteristiche, ha reso possibile l’instaurarsi di un modello di gestione basato su criteri sostanzialmente consumistici; ciò in virtù sia della gran facilità con la quale si adatta a svariate condizioni ambientali, sia della possibilità di allevare grandi quantità d’individui a costi relativamente bassi. Per quanto vi sia ampia convergenza d’opinione sul fatto che il modo più efficace di aumentare la densità delle specie selvatiche sia quello di potenziare le popolazioni naturali con interventi di miglioramento ambientale e di regolamentazione del prelievo, non sembra che questi interventi siano sufficienti allo stato attuale; i cambiamenti ambientali e lo sfruttamento venatorio portano ad una forte rarefazione con frequenti estinzioni locali e in questi casi può essere giustificato un intervento di ripopolamento. L’Ambito Territoriale di Caccia deve però dotarsi di strumenti conoscitivi, che permettono di verificare le azioni svolte, correggere gli errori e gestire in riferimento alle potenzialità naturali del territorio. Infatti, quando le immissioni sono fatte con soggetti allevati, i risultati sono spesso deludenti; questi soggetti, sembrano avere una minore capacità d’adattamento sul territorio, dovuta ad una bassa fitness riproduttiva e da una maggiore vulnerabilità ai predatori terrestri. Occorrerà quindi capire quali cause determinano l’insufficienza di questi interventi e tentare di eliminarle selezionando quelle tecniche d’allevamento che producono selvaggina stanziale con migliori capacità di sopravvivenza. Emerge, pertanto, la necessità di perfezionare le strategie di intervento con i soggetti di allevamento e di reperire, salvaguardare o formare nuclei di popolazioni locali stanziali, adattate all’ambiente, sui quali fondare la ricolonizzazione dell’intero territorio. Finalità del piano Gli obiettivi da perseguire si possono sostanzialmente sintetizzare nei seguenti punti: 1) costituzione di popolazioni stabili e autonome delle specie faunistiche stanziali (compito espressamente attribuito agli A.T.C. dall’art. 19, comma 1, lett. c, della L. R. Marche 7/95); 2) garantire un’accettabile attività venatoria sia da un punto di vista quantitativo (numero di capi) sia qualitativo (rusticità), non solo nel rispetto dell’ambiente, ma 3 anche delle tradizioni e degli usi locali (obiettivo non direttamente richiamato dalla normativa ma insito nella stessa denominazione di “Ambito Territoriale di Caccia”); 3) garantire l’esercizio venatorio purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole (L.N. 157/92, art. 1, comma 2) Attraverso: a) collaborazione stretta con la Provincia e le Associazioni locali per la gestione delle Zone di Ripopolamento e Cattura., nonché degli altri Istituti previsti nel nuovo Piano Faunistico Venatorio Provinciale (PFVP) ed in particolare i Centri Pubblici di Riproduzione Selvaggina (CpuR); b) ripopolamenti; c) individuazione dei ceppi di allevamento con le migliori capacità di sopravvivenza e di riproduzione nella vita libera; d) miglioramento delle tecniche di immissione dei soggetti allevati che vengono immessi sul territorio; e) conoscenza del territorio; f) interventi di miglioramento ambientale; g) monitoraggio; h) controllo predatori; i) formazione e didattica ambientale; Questi obiettivi si dovranno concretizzare con sinergismo di intenti di tutte le componenti interessate, mondo venatorio, associazioni agricole, ambientaliste, personale tecnico e l’Amministrazione provinciale, garantendo un’autentica responsabilizzazione del cacciatore stesso, il quale dovrà essere parte attiva dei programmi di gestione. L’esercizio della caccia, l’esperienza maturata da chi opera sul territorio, unitamente alla possibilità di abilitare attraverso appositi corsi un maggior numero di operatori addetti alla gestione, renderà possibile la formazione di personale sempre più qualificato necessario per una gestione efficiente del territorio. Con la consapevolezza che solo attraverso la condivisione delle responsabilità e dei compiti si possono ottenere risultati positivi e duraturi, l’AtcAn2 si propone di realizzare 4 Gruppi di Lavoro, indicati nell’organigramma in Appendice, il cui scopo è quello di suddividere i compiti del CdG destinandoli a persone diverse e qualificate, anche non facenti parte del CdG stesso: per il loro funzionamento potrà essere redatto un regolamento interno. Sulla base delle informazioni scientifiche e in conformità con il PFVP e con le pubblicazioni dell’INFS, l’Ambito Territoriale si propone di escludere le introduzioni di 4 fauna selvatica, cioè le immissioni di animali appartenenti a specie alloctone, perché ciò potrebbe alterare i profili zoogeografici del territorio, determinare inquinamenti genetici delle popolazioni originarie e determinare una competizione alimentare e territoriale con le specie autoctone. Per quanto riguarda le reintroduzioni si potranno promuovere interventi finalizzati al ripristino delle specie autoctone storicamente presenti sul territorio e scomparse a causa dell’azione diretta e indiretta dell’uomo. Il programma di reintroduzione dovrà seguire i seguenti punti: - perfezionamento di progetti e studio di fattibilità; parere dell’INFS e possibilità di accedere a finanziamenti; Un particolare riguardo sarà destinato alla valutazione della reintroduzione della starna. E’ altresì nostra intenzione collaborare con gli Enti Parco presenti all’interno dell’Ambito (Parco Regionale del Conero e Gola della Rossa-Frasassi) sugli aspetti fondamentali della gestione faunistica; in primo luogo la collaborazione dovrà produrre tecniche chiare, efficaci e pianificate per limitare l’impatto economico e sociale che il cinghiale esercita sul nostro territorio. In secondo luogo si potrebbe realizzare un’azione comune finalizzata alla cattura all’interno delle zone protette di riproduttori (fagiano e lepre) per l’immissione successiva nelle ZRC. La deriva genetica delle popolazioni che vivono nelle riserve è, infatti, il più grosso ostacolo da superare se si vogliono creare dei ceppi autoctoni su cui basare la ricostituzione di un capitale faunistico. Un caso particolare di deriva genetica che si può osservare nelle ZRC è l’”effetto fondatore”, che si produce quando poche femmine o una piccola popolazione (i “fondatori”) colonizzano una nuova area (es. i ripopolamenti in una nuova riserva); i fondatori essendo poco numerosi portano soltanto un piccolo campione di tutti i geni presenti nella popolazione parentale. La causa principale è l’omozigosi (consanguineità), che può aumentare nel tempo, provocando nelle popolazioni dei fondatori una diminuzione della fecondità, del vigore e della fitness; la variabilità genetica (tasso di eterozigosi nella popolazione) può essere considerata, pertanto, come una polizza assicurativa per una popolazione che comprenderà individui capaci di sopravvivere se l’ambiente subisce una variazione notevole. Nelle zone a Parco della nostra Regione (si pensa soprattutto al Parco Regionale del Conero) esistono ormai da diversi anni popolazioni rinaturalizzate e perfettamente adattate in termini ecologici e genetici al nostro ambiente; sarebbe importante utilizzare questo materiale genetico per far variare i pool genici dei fondatori e mantenere in essi la variabilità genetica simulando un flusso genico con lo scambio di geni tra due o più popolazioni. 5 Distretti Territoriali Omogenei L’AtcAn2 (84.628 ha di SPFV) è suddiviso dal recente Piano Faunistico Venatorio Provinciale (PFVP) in tre Distretti Territoriali Omogenei (DTO) che hanno confini esclusivamente amministrativi. Distretto Territoriale 2.1 Il DTO 2.1 ha una superficie territoriale di 44.658 ha con una corrispondente SPFV residua pari a 34.956 ha. e comprende i comuni di Ancona, Camerano, Castelfidardo, Filottrano, Loreto, Numana, Offagna, Osimo, Polverigi, S.ta Maria Nuova e Sirolo; il clima è di tipo mediterraneo, caratterizzato da altitudini variabili tra i 0 e i 990 m di quota con un altitudine media ponderata pari a 87 metri, i dati sulle temperature e precipitazioni sono rilevati dalle stazioni termometriche di Jesi, Ancona Torrette ed Osimo; da queste si evidenziano piogge distribuite nel periodo autunno-inverno-primavera al quale segue una forte aridità estiva; la quantità annuale di pioggia nel suo complesso è scarsa e si aggira sui 650-800 mm.; la temperatura media annua è di 14,8°C (Biondi e Baldoni, 1996). I fiumi Esino ed Aspio-Musone con i loro bacini costituiscono l'idrografia principale; questi hanno un decorso pressoché parallelo e sono privi d'importanti affluenti. In questa fascia, si osservano due realtà territoriali piuttosto distinte: i) un settore più costiero ha coltivazioni estensive, interclusi arborei distribuiti in maniera omogenea e presenza abbondante di colture annuali associate a colture permanenti; ii) una zona più interna in cui l'azione antropica ha profondamente modificato il paesaggio naturale, riducendo le formazioni arboree ad esemplari isolati e dando carattere intensivo alla produzione agricola (viticola e cerealicola). In questo secondo settore la produzione agricola raggiunge il suo apice dando un tono di estrema uniformità al territorio. La fascia costiera è fortemente urbanizzata; spostandosi verso l’interno i centri urbani sono presenti nei punti più alti delle colline e lungo i fondovalle in corrispondenza delle vie principali di collegamento. In considerazione delle caratteristiche ambientali e di uso del suolo, questo distretto presenta condizioni adatte alla gestione venatoria per la piccola selvaggina, in particolare della piccola selvaggina stanziale. Di seguito è illustrata la ripartizione nell’uso del suolo: DTO 2.1 Seminativi Aree urbanizzate Vigneti, frutteti e oliveti Boschi Arbusteti Acqua Prati e pascoli Altro 6 % 72,5 14,9 4,5 4,4 1,7 0,7 0,6 0,6 La gestione faunistico venatoria nel DTO 2.1 sarà volta, pertanto, allo sviluppo della piccola selvaggina e, compatibilmente con le realtà produttive della zona, si dovranno perseguire le seguenti azioni: - programmazione del prelievo venatorio; controllo delle specie opportuniste, o di altre specie che creano danni ritenuti incompatibili con l’agricoltura o con altre attività economiche; - interventi di tutela o di ripristino degli habitat adatti ad ospitare la fauna selvatica; programmazione e realizzazione degli interventi di miglioramento ambientale e contenimento dei fenomeni di mortalità determinati dalle pratiche agricole; programmazione delle operazioni di immissione finalizzate all’incremento della - specie stanziali; svolgimento di censimenti mirati alla conoscenza dell’efficienza delle immissioni svolte. Nel DTO 2.1 saranno oggetto di programmazione venatoria le seguenti specie: - starna (Perdix perdix); - fagiano (Phasianus colchicus); lepre (Lepus europaeus); volpe (Vulpes vulpes); gazza (Pica pica); - cornacchia grigia (Corvus corone cornix); beccaccia (Scolopax rusticola) e avifauna migratoria; Per starna, fagiano e lepre saranno programmati gli interventi di immissione e di prelievo venatorio. Per la volpe e i corvidi saranno programmati gli interventi di prelievo venatorio e di contenimento delle popolazioni. Per la beccaccia e l’avifauna migratoria sono programmati interventi di prelievo e di conoscenza delle popolazioni. Per qualunque specie che altera in modo significativo le condizioni di equilibrio o interferisca con le attività produttive sarà programmato il contenimento della popolazione. Sono oggetto di gestione venatoria tutte le rimanenti specie cacciabili. 7 Distretto Territoriale 2.2 Il DTO 2.2 ha una superficie territoriale di 30.365 ha con una corrispondente SPFV residua pari a 23.900 ha e comprende i comuni di Castelbellino, Castelplanio, Cupramontana, Jesi, Maiolati Spontini, Mergo, Monte Roberto, Rosora, S.Paolo di Jesi, Serra S.Quirico e Staffolo; il distretto è caratterizzato da altitudini variabili tra i 20 e i 870 m di quota con un altitudine media ponderata pari a 218 m. Dal punto di vista climatico la temperatura media annua per questo settore collinare oscilla intorno ai 14,7°C, con il mese più freddo a gennaio e quelli più caldi a luglio e agosto. Le precipitazioni annue sono più abbondanti lungo le vallate con valori compresi tra gli 800 e i 1.000 mm. (Biondi e Baldoni, 1996). Il paesaggio è dominato da colline arrotondate di modeste dimensioni in cui s'inserisce, in direzione SO-NE il fiume Esino; oltre al bacino del fiume Esino, l'idrografia principale è rappresentata da numerosi corsi d'acqua a carattere stagionale che, grazie alla presenza di vegetazione ripariale contribuiscono a rendere diverso il paesaggio. Quest'ultimo, infatti, manifesta una produzione agricola più estensiva con riduzione delle superfici coltivate, buona complessità e diversificazione colturale. Le colture prevalenti sono sempre di tipo cerealicolo e viticolo, con discreta presenza d'oliveti e di seminativi erborati. I centri urbani di maggiore rilievo e le aree industriali (Moie, Maiolati-Spontini e Castelbellino) sono concentrate esclusivamente lungo la valle dell'Esino; il resto del territorio presenta piccoli nuclei urbanizzati lungo le colline con scarso impatto antropico. Le condizioni ambientali e di uso del suolo rendono questo territorio adatto sia alla piccola selvaggina stanziale, sia a quella migratoria sia agli ungulati. Di seguito è illustrata la ripartizione nell’uso del suolo: DTO 2.2 Seminativi Aree urbanizzate Boschi Vigneti, frutteti e oliveti Arbusteti Prati e pascoli Acqua Affioramenti litoidi Calanchi % 66,1 10,6 7,6 6,8 3,1 2,3 1,7 1,1 0,7 La gestione faunistico venatoria nel DTO 2.2 sarà volta alla programmazione dei prelievi venatori e, compatibilmente con le realtà produttive della zona si dovranno perseguire le seguenti azioni: - pianificazione delle forme di prevenzione e contenimento dei danni causati all’agricoltura da parte della fauna selvatica; 8 - programmazione dei prelievi mirati al riequilibrio della struttura delle popolazioni di ungulati (cinghiale e capriolo); controllo delle specie opportuniste, o di altre specie che creano danni ritenuti incompatibili con l’agricoltura o con altre attività economiche. programmazione e realizzazione degli interventi di miglioramento ambientale e contenimento dei fenomeni di mortalità determinati dalle pratiche agricole; programmazione delle operazioni di immissione finalizzate all’incremento della selvaggina stanziale; svolgimento di censimenti mirati alla conoscenza dell’efficienza delle immissioni svolte. Nel DTO 2.2 sono oggetto di programmazione venatoria le popolazioni delle seguenti specie: - starna (Perdix perdix) fagiano (Phasianus colchicus) lepre (Lepus europaeus) volpe (Vulpes vulpes) - gazza (Pica pica) cornacchia grigia (Corvus corone cornix) beccaccia (Scolopax rusticola) e avifauna migratoria cinghiale (Sus scrofa) - capriolo (Capreolus capreolus) Per starna, fagiano e lepre saranno programmati gli interventi di tutela, di immissione e di prelievo venatorio. Per la volpe e i corvidi saranno programmati gli interventi di prelievo venatorio e di contenimento delle popolazioni. Per la beccaccia e l’avifauna migratoria sono programmati interventi di prelievo e di conoscenza delle popolazioni. Per le specie che alterano in modo significativo le condizioni di equilibrio o interferiscono con le attività produttive sarà programmato il contenimento delle popolazioni. La presenza del cinghiale oltre i limiti territoriali previsti non viene ritenuta compatibile con le caratteristiche del Distretto, pertanto la programmazione è finalizzata alla eradicazione della specie; l’obiettivo sarà raggiunto sia attraverso la programmazione del prelievo venatorio nei termini previsti dalle normative regionale e provinciale, sia attraverso 9 piani di contenimento delle popolazioni da concordare con l’Amministrazione Provinciale. Sarà opportuno programmare la gestione degli Ungulati con il coinvolgimento del Parco Regionale Gola della Rossa-Frasassi, in modo da garantire uniformità di strategie ed interventi. Nei casi in cui la presenza del capriolo risulti incompatibile con le realtà produttive e agricole, si prevede la programmazione degli interventi di contenimento e del prelievo venatorio a norma dei Regolamenti vigenti. Sono oggetto di gestione venatoria tutte le rimanenti specie cacciabili. Distretto Territoriale 2.3 Il DTO 2.3 ha una superficie territoriale di 28.841 ha con una SPFV residua pari a 25.774 ha, comprende i comuni di Cerreto d’Esi e di Fabriano ed è caratterizzata da due dorsali calcaree tra loro parallele, ad andamento prevalente NNO-SSE; quella più orientale è chiamata dorsale marchigiana, perché compresa interamente nel territorio regionale, mentre l'altra è chiamata dorsale umbro-marchigiana, data la sua vicinanza al confine amministrativo tra le due regioni. Interessa i territori della fascia montana e pedemontana ed è caratterizzato da altitudini variabili tra i 160 e i 1.410 m di quota con un altitudine media ponderata pari a 767 m. Da un punto di vista climatico i dati delle precipitazioni rilevate dalla stazione di Fabriano, evidenziano una media annua delle piogge di 945 mm. e la stagione in cui piove di più è l'autunno, il mese più arido è luglio. La temperatura media è di 12,6°C (Biondi e Baldoni, 1996). Tra le due dorsali appenniniche, il territorio è prevalentemente pianeggiante ed offre scarso impatto alla produzione (classi A-B di limitazione d'uso suolo); qui l'agricoltura presenta carattere puramente intensivo di tipo cerealicolo (Fabriano) e viticolo (Cerreto d'Esi). In questa zona si concentrano anche le rispettive aree industriali di Fabriano e Cerreto d'Esi, unici centri di rilevante impatto. Nei tratti pedemontani o nelle loro immediate vicinanze prevale, invece, l'incolto e la forestazione; qui l'attività pascoliva è predominante. Di seguito è illustrata la ripartizione nell’uso del suolo: DTO 2.3 Boschi Seminativi Prati e pascoli Aree urbanizzate Arbusteti Vigneti, frutteti e oliveti Affioramenti litoidi Altro 10 % 42,5 38,5 9,2 4,8 3,2 1,1 0,6 0,1 Tenendo conto delle caratteristiche di elevata naturalità in diversi settori di questo Distretto, la gestione faunistico venatoria è finalizzata allo sviluppo equilibrato dei popolamenti faunistici in funzione delle potenzialità ambientali. A questo proposito si dovrà porre particolare attenzione: - pianificazione delle forme di prevenzione e contenimento dei danni causati all’agricoltura da parte della fauna selvatica; - programmazione dei prelievi, sulla base di piani di assestamento previsti per le specie oggetto di gestione, risultanti da adeguate stime o censimenti e mirati al riequilibrio della struttura delle popolazioni, con particolare riferimento agli ungulati; - pianificazione delle immissioni eseguite in modo tale da non alterare gli equilibri ambientali; controllo delle specie opportuniste, o di altre specie che creano danni ritenuti - incompatibili con l’agricoltura o con altre attività economiche. programmazione e realizzazione degli interventi di miglioramento ambientale e contenimento dei fenomeni di mortalità determinati dalle pratiche agricole; collaborazione con la Provincia per approfondire la conoscenza sulla dinamica delle popolazioni oggetto di gestione, con particolare riferimento agli ungulati. svolgimento di censimenti mirati alla conoscenza dell’efficienza delle immissioni svolte. Nel DTO 2.3 sono oggetto di programmazione venatoria le popolazioni delle seguenti specie: - starna (Perdix perdix) fagiano (Phasianus colchicus) lepre (Lepus europaeus) - volpe (Vulpes vulpes) gazza (Pica pica) - cornacchia grigia (Corvus corone cornix) beccaccia (Scolopax rusticola) e avifauna migratoria cinghiale (Sus scrofa) capriolo (Capreolus capreolus) Per starna, fagiano e lepre saranno programmati gli interventi di ripopolamento integrativo ed il prelievo venatorio. 11 Per la volpe e i corvidi saranno programmati gli interventi di prelievo venatorio e di contenimento delle popolazioni. Per la beccaccia e l’avifauna migratoria sono programmati interventi di prelievo e di conoscenza delle popolazioni. Per il cinghiale sono programmati interventi di miglioramento qualitativo delle popolazioni, il prelievo venatorio nei termini previsti dalle specifiche normative regionali e provinciali, nonché il contenimento delle popolazioni nei casi di tutela degli equilibri naturali e faunistici. Per il capriolo sono programmati interventi di tutela, di miglioramento qualitativo delle popolazioni ed il prelievo venatorio nei termini previsti dalle specifiche normative regionali e provinciali. Sarà opportuno programmare la gestione degli Ungulati con il coinvolgimento del Parco Regionale Gola della Rossa-Frasassi, in modo da garantire uniformità di strategie ed interventi. E’ programmato il controllo di qualunque altra specie la cui presenza alteri in modo grave e significativo le condizioni di equilibrio degli ecosistemi o interferisca pesantemente con le attività produttive. Sono oggetto di gestione venatoria tutte le rimanenti specie cacciabili. Utenza venatoria Al fine di descrivere le condizioni inerenti l’accesso al prelievo venatorio e in particolare il numero di cacciatori operanti sul territorio dell’Ambito, la loro provenienza e distribuzione, vengono considerati i dati relativi al valore medio delle iscrizioni dell’ultimo triennio; nel Box1 si può notare un leggero aumento dei cacciatori non residenti nell’ultimo quinquennio parallelamente ad una progressiva flessione dei cacciatori residenti. Se l’attuale trend descritto nel Box1 dovesse mantenersi anche nel prossimo triennio si stima una riduzione delle iscrizioni pari al 3% con un modifica conseguente degli indici di densità venatoria. Il sensibile calo del 2003 è dovuto alla revisione straordinaria delle licenze per uso di caccia e/o tiro a volo da parte delle Questure, in adesione alle direttive ripartite dagli organi centrali del Dicastero dell’Interno. Stagione venatoria Residente Non residente TOT diff 1999/2000 2000/2001 2001/2002 2002/2003 2003/2004 5.244 5.172 5.106 5.088 4.963 527 550 550 581 584 5.771 5.722 5.656 5.669 5.547 - 49 - 66 +13 - 122 Box 1 – Numero di cacciatori iscritti all’AtcAn2 nell’ultimo quinquennio. 12 Riguardo alla distribuzione dei cacciatori per Comune di residenza (tab.1), i valori più elevati sono stati osservati per i comuni di Castelbellino con 16,2 cacciatori per Kmq e di Loreto (14,6 cacc/kmq); valori molto alti si osservano anche nei comuni di Castelfidardo (14,2 cacciatori/kmq), Ancona (13,3 cacciatori/kmq), S. Maria Nuova (9,6 cacc/kmq), Numana (9,3 cacc/kmq) e Camerano (9,1 cacc/kmq). Valori di terzo livello sono stati osservati per i comuni di Cupramontana, Osimo, Jesi, Maiolati Spontini con valori compresi tra 7,1 e 8,2 cacciatori per kmq. In generale sono risultati a più elevata densità i Comuni che si trovano lungo la costa e lungo la vallata del fiume Esino. Nella tabella 2 è descritta la densità venatoria sulla base della SPFV residua calcolata togliendo tutte le superfici destinate ai Parchi (Conero e Gola della Rossa-Frasassi), Riserve Naturali, Oasi di Protezione e Aziende Faunistico Venatorie. Nella tabella 3 è descritta la densità venatoria sulla base della SPFV netta calcolata con l’attuale articolazione degli Istituti Venatori. Poiché i cacciatori durante la stagione venatoria sono soggetti a spostamenti più o meno evidenti, obiettivo principale per il prossimo quinquennio sarà quello di stimare l’indice di densità venatoria reale, cioè quello basato non sul comune di residenza, ma sul comune su cui pesa effettivamente l’attività di caccia. Con l’attuale situazione, la densità media di cacciatori residenti è pari a 7 cacciatori per kmq (IDVE=21 ha); questo valore aumenta quando è calcolato sulla SPFV netta e diventa di 13 cacciatori per Kmq (IDVE=15 ha). Complessivamente, nel Distretto 2.1 risiede il 60% dei cacciatori iscritti all’Ambito (Fig.2); questo distretto, anche se è il più esteso, ha l’indice di densità venatoria più alto (Box 2). cacciatori residenti Dto2.1 Dto2.2 Dto2.3 14% 26% 60% Fig.2 – Frequenza percentuale di cacciatori residenti all’AtcAn2 suddivisa per distretto territoriale omogeneo. 13 Distretto Dto2.1 Dto2.2 Dto2.3 SPFV 26.813 19.661 18.580 cacc 3.048 1.316 688 cacc/kmq 11,4 6,7 3,7 IDVE 8,8 14,9 27,0 Box 2 – Densità venatoria per Distretto calcolata sulla SPFV residua ottenuta con l’attuale articolazione degli Istituti Venatori. Il numero medio di iscrizioni nell’AtcAn2 nell’ultimo triennio è stato pari a 5.624 cacciatori; a tale numero hanno contribuito, evidentemente, i cacciatori residenti sul territorio dell’ATC, quelli provenienti da altro ATC della Provincia e quelli fuori Provincia e fuori Regione. I cacciatori provenienti da fuori provincia rappresentano circa il 5% del totale; il contributo maggiore è fornito dalla Regione Umbria (31,7%), dalla Provincia di Macerata (9,9%) e dal Lazio (4,1%). I flussi di cacciatori di provenienza extra-provinciale sono parsi correlati ad una situazione confinante. Interessanti sono anche i dati relativi alla suddivisione in fasce d’età ed ai cambiamenti registrati nel triennio. Nella tabella seguente è illustrata la ripartizione percentuale in fasce d’età dei cacciatori iscritti agli ATC dal 2001 al 2004. Anno 18-25 26-30 31-40 41-50 51-60 61-69 >=70 2001 – 02 2002 – 03 2003 – 04 0 0 0 0,1 0,1 0,3 6,8 7,1 7,1 18,6 18,7 19,2 27,4 27,7 28,2 21,9 21,9 22,1 25,2 24,5 23,1 Il nucleo più rappresentativo e più stabile nel tempo è costituito dai cinquantenni e dai sessantenni. I giovani fino ai 30 anni d’età sono una percentuale molto bassa anche se in leggero aumento; nello stesso lasso di tempo sono diminuiti gli ultrasettantenni. Le ZRC e i CPuR E’ nostra intenzione concentrare gran parte degli sforzi economici e tecnici negli Istituti suddetti. Le ZRC sono istituti che, visti i criteri generali di gestione faunistico-venatoria previsti dalla legge, conservano una notevole importanza in quanto utilizzati dall’ente delegato per fornire dotazione annua di selvaggina naturale per l’immissione sul territorio cacciabile o in altri ambiti protetti. La principale metodica utilizzata al fine di perseguire le finalità indicate sarà la cattura di una frazione della popolazione prodotta annualmente; tale obiettivo potrà essere raggiunto anche attraverso l’irradiamento naturale nei territori limitrofi. Poiché l’obiettivo primario dei Centri Pubblici sarà l’affermazione di popolazioni sul territorio, gli interventi gestionali da considerarsi prioritari comprendono le immissioni, il 14 contenimento dei fattori di mortalità e l’incremento delle capacità faunistiche del territorio. La diffusione nelle zone limitrofe è garantita dall’irradiamento dei selvatici, mentre eventuali catture a scopo di immissione in altri territori vengono programmate ed effettuate compatibilmente con la conservazione e la capacità di sviluppo della popolazione. La gestione dovrebbe essere impostata alla produzione con criteri estensivi e quanto più possibile vicino alle condizioni naturali esistenti in altri istituti territoriali, come ad esempio le ZRC, che assolvono, in definitiva alle medesime finalità; in particolare le densità non dovrebbero essere molto superiori a quelle di fatto sostenibili nelle zone naturalmente vocate e in ogni caso devono mantenersi a livelli inferiori a quelle degli allevamenti. La costruzione di strutture di ambientamento (voliere, recinti, ecc.) è un supporto importante per garantire il successo delle immissioni, attraverso una riduzione della mortalità da ambientamento e della dispersione, cui vanno tipicamente incontro gli animali immessi in zone a loro sconosciute; allo scopo sarebbe opportuno che ciascun Distretto Territoriale Omogeneo sia dotato di almeno un CPuR per l’irradiamento del fagiano. Qualora la Provincia, mediante appropriata convenzione, affidi all’Ambito la gestione dei Centri Pubblici di Riproduzione o delle ZRC ricadenti nel territorio di competenza, sarà premura del CdG formulare un programma dettagliato di gestione. Tecniche di ripopolamento Relativamente alle tecniche di immissione, di seguito vengono illustrati i metodi che saranno utilizzati per la gestione: - riproduttori di cattura locale; - riproduttori di allevamento; - recinti fissi d’ambientamento; - giovani di allevamento; Per la selvaggina d’allevamento i soggetti da richiedere agli allevatori dovranno avere i seguenti requisiti: - essere sani, vaccinati e morfologicamente ineccepibili; - provenire da genitori di mole non eccessiva e non selezionati per una elevata produzione di uova (correlata in genere a scarsa attitudine alla cova); - non essere stati condizionati con occhiali o parabecco (nel caso di fagiani); - essere mantenuti in voliere molto ampie ed alte, con una disponibilità di almeno 1 mq/capo, inerbite, dotate di posatoi interni; 15 - aver avuto minimi contatti con l’uomo; - essere stati alimentati anche con granaglie ed altri alimenti naturali; Al fine di garantire la sanità dei capi saranno effettuati controlli per ogni gruppo di allevamento e dovrà essere compilata una scheda da tenere all’ingresso di ogni settore dell’allevamento su cui dovranno essere registrate la data di nascita, la mortalità, la causa della mortalità, gli eventi patologici, i trattamenti sanitari. Sarà importante verificare l’integrità anatomica dell’apparato riproduttore sia maschile che femminile, l’assenza di infestioni parassitarie in atto e l’assenza di sostanza inibenti (antibiotici e sulfaminici) della muscolatura-fegato-rene-polmone. Le verifiche saranno attuate tramite un controllo da parte di medici veterinari da noi indicati e senza preavviso dell’allevatore. Un campione significativo di soggetti morti per cause patologiche dovrà essere inviato dall’Azienda ASL o all’Istituto di Zooprofilassi competente d’intesa con l’Atc, che dall’altro, effettuerà controlli sull’allevamento al fine di determinare l’età degli animali prima della loro consegna. Gli animali all’interno dell’allevamento dovranno essere sottoposti a un programma sanitario che preveda la profilassi igienico-sanitaria tipica, con interventi periodici di sanificazione ambientale e la profilassi vaccinale per la Pseudopeste aviare e per il Diftero vaiolo aviare. Di una quota rappresentativa di ciascuna partita di animali immessi, saranno rilevati i dati biometrici essenziali (peso, sesso, età, ecc.); tutta la selvaggina immessa sarà opportunamente marcata con un contrassegno inamovibile (anello tarsale, ecc.) che dovrà riportare la sigla dell’AtcAn2 ed un identificativo (ID) numerico progressivo. La selvaggina sarà liberata nelle zone più vocate di tutti i Comuni ricadenti nell’AtcAn2, farà fede la carta delle vocazioni faunistiche redatta nel PFVP; sarà compito del CdG comunicare annualmente alla Provincia la data esatta delle operazioni. Riproduttori di cattura locale Relativamente al fagiano saranno preferiti soggetti dell’anno di 6-9 mesi di età catturati nelle ZRC, nei Centri Pubblici e rilasciati in periodo invernale (febbraio). I fagiani saranno catturati mediante l’impiego di gabbie trappola, di reti e con altre tecniche che saranno oggetto di valutazione dell’ATC. Una volta catturati gli animali saranno liberati nell’area di immissione nel più breve tempo possibile limitando al massimo lo stress derivante dalle operazioni di cattura e di trasporto. Non saranno impiegati particolari accorgimenti (ambientamento) all’atto della liberazione; il rapporto sessi sarà leggermente favorevole alle femmine considerato che nelle popolazioni naturali una porzione dei maschi viene normalmente esclusa dalla riproduzione. Onde evitare inutili concentrazioni saranno previsti punti sparsi entro l’area da ripopolare. 16 Relativamente alla lepre, la cattura dovrebbe essere svolta nel mese di gennaio e solo eccezionalmente non oltre i primi di febbraio; l’immissione dovrebbe avvenire di mattina o comunque di giorno, mai al tramonto o di notte; la lepre, infatti, traumatizzata dalla cattura e stressata dalla manipolazione, immessa in condizione di parziale o totale oscurità, sarà indotta a compiere ampi spostamenti e quindi ad allontanarsi dalla zona di lancio. L’immissione di mattina, in condizioni di piena luce, induce la lepre a cercare un rifugio nei pressi del luogo prescelto; questo tipo di atteggiamento può essere incoraggiato evitando di prendere l’animale, lasciandolo uscire dalla cassetta senza alcuna sollecitazione e astenendosi dall’emettere grida di incitamento. La liberazione dovrebbe avvenire in un sito dotato di adeguata copertura vegetale (bosco, cespugliato, calanco, ecc.) in modo da dare alle lepri l’opportunità di un rapido occultamento. Occorrerà, viceversa evitare l’apertura di cassette davanti ad ampi spazi aperti in modo da evitare che le lepri siano indotte a compiere lunghi tragitti prima di trovare un rifugio. Un altro comportamento da evitare è l’immissione di coppie isolate di lepri; è stato osservato, infatti, che la popolazione di lepre a densità molto basse mostra una scarsa produttività, mentre dove le concentrazioni aumentano la popolazione può subire dei rapidi incrementi. Le immissioni di lepri dovrebbero perciò essere eseguite rilasciando localmente piccoli gruppi piuttosto che coppie distanti le une dalle altre; si potrà così aumentare la probabilità d’accoppiamento e di riproduzione in relazione all’elevato tasso di mortalità che affligge, nonostante tutte le precauzioni prese, le lepri rilasciate. Le percentuali di sopravvivenza sembrano, infatti, non superare il 50% dei capi liberati e più spesso risultano del 20-30%, a conferma delle difficoltà che la lepre incontra quando viene traslocata su altri territori. Riproduttori di allevamento Sarà applicato solo al fagiano, utilizzando individui subadulti di 8-10 mesi di vita; il rilascio avverrà tramite liberazione diretta oppure mediante voliere di ambientamento. Per ciascuna voliera d’ambientamento saranno previsti 20-25 fagiani con rapporto sessi 1m:3f. Gli esemplari dovranno soggiornare per alcuni giorni (massimo una settimana) nella struttura d’ambientamento e saranno rilasciati con gradualità avendo cura di aprire le voleriette senza forzare gli animali ad uscire. La dislocazione delle strutture sarà valutata tenendo in considerazione le caratteristiche morfologiche del territorio. Sarà importante distribuire in modo uniforme gli individui sul territorio per evitare forti concentrazioni momentanee d’animali che possono sostanzialmente avere tre effetti negativi principali: (i) danneggiamento dell’ambiente, (ii) richiamare predatori terrestri e rapaci (i fagiani d’allevamento sono in genere più grandi e più pesanti di quelli selvatici e, quando volano hanno un angolo di partenza più basso, un arco di volo più corto e questo li rende più facilmente predabili); (iii) esplosione di epidemie 17 Recinti fissi di ambientamento Si prevede di realizzare un recinto nel CPuR di Jesi, previa realizzazione di appropriata convenzione con l’Amministrazione Provinciale. Il recinto potrà essere utilizzato per il fagiano o per la starna. Per questo tipo di immissione saranno preferiti soggetti di 60-70 giorni di età dalla schiusa; il periodo ottimale per la liberazione è dalla metà di giugno alla metà di luglio, dopo un periodo di ambientamento trascorso in recinti a cielo aperto. La recinzione perimetrale sarà realizzata utilizzando rete metallica a maglia sciolta plastificata di mm 45 x 45, con uno spessore esterno di 2,7 mm e interno di 1,8 mm., a tripla zincatura con un’altezza fuori terra per circa 2,0 metri ed interrata per circa 0,3 metri. Alla sommità della rete sarà posta una recinzione “antigatto” in rete metallica sporgente verso l’esterno (con maglia non superiore ai 15 x 15 mm), avente una forma ad arco, per circa 60 cm e con la concavità rivolta verso il terreno. Si utilizzeranno tutori in legno di castagno di 10-12 cm di diametro e di 2,70 metri di altezza interrati per almeno 70-80 cm e posti ad una distanza di 3 metri l’uno dall’altro. All’interno del recinto saranno presenti strutture a forma quadrata di circa 4 metri quadrati per il rifugio e foraggiamento degli animali, formate da un tetto di materiale vegetale (tipo fascine di scope) sorretto da pali e traversine in legno. Si prevede inoltre la costruzione di n° 1 voliera in rete metallica interna di mq 400 per l’iniziale ambientamento (o ricattura) dei fagiani o delle starne. Ad ogni consegna, distanziata una con l’altra di 7–10 gg., si movimenteranno i fagianotti (o starnotti), da immettere al loro arrivo all’interno della volieretta per un periodo di 2-3 giorni. All’interno saranno posizionati un adeguato numero di abbeveratoi e di mangiatoie con all’interno parte della miscela mangimistica utilizzata in azienda e parte di granaglie (sorgo, mais di piccola dimensione e grano tenero). Alla loro liberazione, i fagiani (o starne) saranno liberi di muoversi all’interno del recinto di ambientamento ed eventualmente di uscire al di fuori. Giovani di allevamento Relativamente ai fagiani e alle starne sarà utilizzato lo stesso tipo di soggetti scelti per la liberazione mediante recinti di ambientamento; anche il periodo sarà lo stesso. La liberazione potrà essere diretta e/o mediante strutture mobili di ambientamento. Relativamente alla lepre, potrà essere programmata qualche esperienza, a scopo sperimentale, di pre-ambientamento di “leprotti” del peso di 60-70 gg. in recinzioni elettriche. I recinti saranno posizionati in zone idonee e vocate, caratterizzate da una parte boschiva, da colture agricole e lontano da corsi d’acqua. I recinti saranno controllati frequentemente da volontari. Il rilascio delle lepri avverrà in tarda primavera o in estate, quando sia le condizioni climatiche sia quelle ambientali si presentano favorevoli; nei recinti 18 mobili, gli individui giovani hanno un istinto territoriale ancora inibito favorendo l’immissione per una ridotta mortalità dovuta a stress. Se questa tecnica fornisce un buon compromesso fra costi e benefici, l’Ambito si riserva di adottarla a scopo integrativo qualora le catture nelle ZRC non forniscano un apporto sufficiente di individui. Fauna principale di interesse venatorio Phasianus colchicus Linnaeus 1758 Nell’AtcAn2 la popolazione del fagiano è costituita da sub-popolazioni parzialmente o completamente isolate, localizzate in aree protette o a esercizio venatorio riservato; nel territorio aperto alla caccia, invece, sono assenti le dinamiche naturali, i nuclei di selvaggina non sono autosufficienti, ma vengono mantenuti attraverso massicci ripopolamenti con l’immissione annuale di migliaia di capi provenienti per la maggior parte da allevamenti. Il fagiano, infatti, grazie alle sue peculiari caratteristiche, ha reso possibile l’instaurarsi di un modello di gestione basato su criteri sostanzialmente consumistici; ciò in virtù sia della gran facilità con la quale il fagiano si adatta a svariate condizioni ambientali, sia della possibilità di allevare grandi quantità di individui a costi relativamente bassi. I dati ricavati dai ripopolamenti effettuati nell’ultimo triennio (Box 3) confermano quanto detto. Da qualche tempo si rileva la scarsa efficacia di quest’approccio, soprattutto in termini di rapporto costi/benefici; in molte situazioni è stata osservata una correlazione inversa tra numero di capi immessi e dimensione del carniere (Meriggi, 1991). Inoltre è stato generalmente riscontrato che i soggetti allevati subiscono la maggiore mortalità nel periodo che intercorre tra il rilascio e l’inizio della stagione venatoria. Dall’analisi dei dati disponibili (Matteucci, 1999) si rileva che la mortalità dei soggetti immessi può raggiungere un’incidenza pari all’80% nei primi 20 giorni successivi al rilascio. ANNO 2001/02 Ripopolamento Cattura Riproduttori 30gg 60gg 90gg 120gg TOTALE: 19 N 34 3.796 0 0 0 0 3.830 2002/03 Cattura Riproduttori 30gg 60gg 90gg 120gg TOTALE: 2003/04 Cattura Riproduttori 30gg 60gg 90gg 120gg TOTALE: Totale Triennio 0 4.068 0 0 0 0 4.068 106 6.000 0 0 0 0 4.062 11.960 Box 3 – Prospetto dei dati relativi al numero dei capi per il ripopolamento di fagiano attuati nell’ultimo triennio. Nonostante il miglioramento complessivo della situazione, che procede tuttora, sarebbe auspicabile iniziare quanto prima a modificare gradualmente la consueta gestione, affiancandola a quella più corretta di popolazioni autosufficienti. L’obiettivo principale della gestione faunistico-venatoria del fagiano dovrà essere costituito da un modello fondato su precisi piani di prelievo valutati in riferimento alle potenzialità naturali del territorio, riducendo al minimo l’acquisto di selvaggina di allevamento. Entrando nell’ottica di una gestione venatoria basata sui presupposti descritti possiamo differenziare tre linee di gestione per il fagiano: 1. costituzione e mantenimento di popolazioni naturali e autosufficienti; 2. miglioramento delle tecniche di immissione dei soggetti immessi nei territori; 3. piani di prelievo in riferimento alle potenzialità naturali del territorio; 4. analisi dei carnieri; Il primo obiettivo dovrà essere perseguito prioritariamente negli Istituti di gestione faunistica (ZRC, CPuR, AFV; Oasi di Protezione); sarà necessario esercitare un maggior impegno per migliorare i risultati produttivi, esercitare il controllo, favorire le colture a perdere e adottare tecniche agronomiche compatibili alla presenza delle specie; il fagiano, infatti, è caratterizzato da una elevata adattabilità, per cui opportuni miglioramenti ambientali, anche di modesta entità, possono modificare significativamente la capacità portante dei territori. Successivamente si potrà estendere l’azione anche nei territori di 20 caccia, compatibilmente con le esigenze di ciascun Distretto Territoriale Omogeneo (si rimanda al Capitolo dei Distretti Territoriali per le finalità gestionali). Lepus aeuropaeus Pallas 1778 La situazione della lepre è molto simile a quella descritta per il fagiano, dove subpopolazioni parzialmente o completamente isolate sono presenti solo in aree protette o a esercizio venatorio riservato; nel territorio aperto alla caccia, invece, sono assenti le dinamiche naturali, i nuclei di selvaggina non sono autosufficienti, ma vengono mantenuti attraverso ripopolamenti con l’immissione annuale di capi provenienti in parte da allevamenti e in parte dalle catture svolte nelle ZRC. I dati ricavati dai ripopolamenti effettuati nell’ultimo triennio (Box 4) confermano quanto detto. Nel caso della lepre, ancora più che per le altre specie di piccola selvaggina, la via della gestione venatoria attraverso la pratica dell’allevamento e della immissione massiccia di capi sul territorio appare alquanto contrastata. Dall’analisi dei dati disponibili, relativamente ai risultati ottenuti con l’allevamento e l’immissione di soggetti allevati (Matteucci, 1999) non sembra emergere un quadro positivo, a dispetto del fatto che l’allevamento della lepre ha visto un incremento commerciale notevole negli ultimi decenni. Sulla base delle esperienze condotte (Giovannini et al., 1988) concludono che: ”In sintesi, dall’analisi delle esperienze di ripopolamento brevemente descritte si può trarre la conferma che il solo ricorso alle operazioni di ripopolamento non consente di risolvere i problemi della gestione delle popolazioni di lepre, queste rappresentano anzi una pericolosa illusione per il mondo venatorio, che invece deve cercare strumenti di intervento tesi al miglioramento degli ambienti naturali e alla razionale gestione delle popolazioni locali”. Anche i ripopolamenti con soggetti di importazione sono controindicati poiché, con gli animali, vengono spesso importati agenti patogeni contro i quali le popolazioni autoctone non hanno difesa. In Pianura Padana, ad esempio, da esami effettuati su lepri di cattura provenienti dall’Ungheria e dalla Polonia, sono state evidenziate infestioni di diverse specie di coccidi, tra cui l’Eimeria ungarica e di nematodi, tra cui il Trichiuris leporis e Strongyloides papillosus, nel 92% dei soggetti esaminati. Gli animali importati presentano anche notevoli problemi di adattamento al nuovo ambiente in cui vengono introdotti, problemi che sono certamente acuiti dalle condizioni in cui si trovano dopo lunghe permanenze, a volte settimane, nelle cassette adibite al trasporto. ANNO 2001/02 Ripopolamento Cattura ZRC Allevamento Estere TOTALE: 21 N 27 0 625 652 Cattura ZRC Allevamento 2002/03 Estere TOTALE: Cattura ZRC Allevamento 2003/04 Estere TOTALE: Totale Triennio 26 0 500 526 26 0 100 126 1.304 Box 4 – Prospetto dei dati relativi al numero dei capi per il ripopolamento di lepre attuati dagli ATC nell’ultimo triennio. I risultati migliori si ottengono con l’immissione di soggetti di cattura locale; tuttavia, la gestione non può essere nel medio e lungo periodo sostenuta solo da una politica del tipo “tutto pieno-tutto vuoto”, fondata sostanzialmente sull’azzeramento, la riduzione o sull’ignoranza delle consistenze nei territori di caccia e sul successivo rifornimento a carico delle ZRC utilizzate come serbatoi. Entrando nell’ottica di una gestione venatoria basata sui presupposti descritti possiamo differenziare quattro linee di gestione per la lepre: 1. costituzione e mantenimento di popolazioni naturali e autosufficienti; 2. miglioramento delle tecniche di immissione dei soggetti immessi nei territori; 3. piani di prelievo in riferimento alle potenzialità naturali del territorio; 4. analisi dei carnieri; Il primo obiettivo dovrà essere perseguito prioritariamente negli Istituti di gestione faunistica (ZRC, CPuR, AFV; Oasi di Protezione); sarà necessario esercitare un maggior impegno per migliorare i risultati produttivi, esercitare il controllo, favorire le colture a perdere e adottare tecniche agronomiche compatibili alla presenza delle specie. Successivamente si potrà estendere l’azione anche nei territori di caccia, compatibilmente con le esigenze di ciascun Distretto Territoriale Omogeneo (si rimanda al Capitolo dei Distretti Territoriali per le finalità gestionali). Riguardo le tecniche di immissione, molti Atc (non solo regionali) hanno ormai acquisito utili esperienze con i ripopolamenti di lepri di allevamento attraverso recinti mobili elettrificati; poiché tali esperienze contrastano con le informazioni ricavate dalla letteratura a riguardo, si suggerisce di impostarle su basi tecnico-scientifiche in modo da poter valutare il tasso di mortalità d’ambientamento, ecc. così da fornire utili informazione in campo gestionale. 22 Perdix perdix Linnaeus 1758 Per la starna è difficile la distinzione tra popolazioni create artificialmente aventi durata limitata e nuclei naturalizzati o, comunque autosufficienti e autoriproducentesi; dopo un periodo di massima abbondanza, intorno all’inizio del secolo scorso, la starna ha avuto un declino generalizzato e inarrestabile che, in Europa ha assunto proporzioni drammatiche a partire dal secondo dopoguerra (Potts, 1986). Il declino si è manifestato sia nella diminuzione degli effettivi, sia nella contrazione dell’areale, soprattutto nelle sue fasce periferiche. Intorno ai primi anni ’80 l’interesse per la starna è aumentato notevolmente in Italia, sia da un punto di vista scientifico sia in ambito venatorio, soprattutto alla luce del fatto che proprio in Italia il declino della specie ha assunto i caratteri della massima drammaticità; nel nostro paese, in effetti, questa specie può dirsi praticamente estinta e le eventuali presenze sono ormai il risultato di immissioni più o meno regolari a finalità venatoria. Anche se le modificazioni ambientali legate alle moderne tecniche agricole hanno avuto un ruolo importante, emerge chiaramente il ruolo fondamentale che ha avuto la gestione venatoria, in quanto generalmente non si è ispirata ai criteri di programmazione del prelievo (Matteucci et al., 1992); tra le varie cause specifiche ipotizzate è stata posta particolare attenzione al ruolo dei pesticidi (Potts, 1970, 1986), in particolare come causa della diminuzione della qualità e della quantità dell’entomofauna negli agro-ecosistemi. Nel tentativo di arginare il declino si è ricorsi a massicci ripopolamenti utilizzando spesso esemplari di cattura appartenenti a sottospecie diverse da quelle locali e, in seguito, soggetti allevati in stretta cattività; queste immissioni hanno avuto effetti positivi pressoché nulli per quanto riguarda il declino delle popolazioni, ma hanno causato l’alterazione dei caratteri propri delle forme autoctone, tanto che esse possono essere considerate come estinte (Renzoni, 1974; Lovari, 1975). Nella Provincia di Ancona la condizione della starna continua ad essere assai critica, in quanto le presenze, non danno alcuna garanzia di stabilità né tantomeno di potenziale espansione. Questa situazione non consente di ipotizzare la possibilità di una gestione venatoria di popolazioni naturali e autosufficienti. Occorre pertanto considerare un recupero almeno parziale della specie attraverso un programma di reintroduzione, affiancato da interventi di miglioramento ambientale e di programmazione del prelievo venatorio. Possono essere utilizzati esemplari sia di cattura sia di allevamento in quanto presentano entrambi vantaggi e limiti; in Italia la scelta risulta di fatto obbligata, a causa della già evidenziata esiguità delle popolazioni naturali, le quali non sono in grado di soddisfare le esigenze di un piano di reintroduzione. L’utilizzo di individui di provenienza estera è sconsigliabile; resta pertanto solo la possibilità di orientarsi su esemplari di 23 allevamento, indirizzandosi verso quei riproduttori in grado di fornire le migliori garanzie dal punto di vista sanitario e i cui ceppi abbiano già dimostrato esperienze ed una buona adattabilità alle condizioni naturali. La scelta delle aree opportune in cui indirizzare gli interventi deve essere effettuata prendendo in considerazione studi ambientali preliminari sulla vocazionalità di ciascun Distretto; poiché il rilascio sul territorio è certamente una delle fasi delicate dell’intero programma, risulta fondamentale rendere il passaggio alla vita libera il meno traumatico possibile, approntando strutture in grado di garantire per i primi tempi un rifugio sicuro e un facile reperimento del cibo, approntano strutture di ambientamento costituite da voliere o meglio da recinti in grado di impedire l’ingresso di predatori terrestri e da parchetti ubicati al suo interno. Qualora si decidesse di approntare un programma di reintroduzione, appare ovvio che il patrimonio di selvatici eventualmente costituito debba essere gestito nel migliore dei modi per impedire il depauperamento o addirittura la scomparsa. In particolare si deve assolutamente evitare di mettere in atto il prelievo senza prima avere raggiunto una buona consistenza di densità, produttività e dinamica. Una buona riuscita del piano prevede pertanto la possibilità di realizzare i seguenti punti: - divieto di caccia alla starna in tutta l’area di intervento dall’inizio del programma e fino a quando le condizioni della popolazione non verranno giudicate compatibili con un prelievo programmato; - esecuzione regolare, almeno due volte l’anno, di censimenti; prelievo basato su piani di abbattimento elaborati annualmente; controllo dei predatori; mantenimento di una densità bassa del fagiano in tutta l’area d’intervento; Il fatto che le azioni citate siano giudicate indispensabili non significa ovviamente che altri punti come ad esempio i miglioramenti ambientali, opportune azioni di controllo o sperimentazioni locali sulle tecniche di immissioni non rivestano uguale importanza. Si vuole semplicemente sottolineare che, in mancanza di un adeguato controllo della pressione venatoria, ogni altro tipo di intervento gestionale è destinato a fallire, in quanto non sufficiente a compensare l’entità del prelievo. Sus scrofa Linnaeus 1758 L’obiettivo, se non esclusivo, certamente prioritario, rappresenta il contenimento entro limiti di tollerabilità dell’impatto che questa specie esercita sulle attività agricole, soprattutto nei distretti 2.2 e 2.3. Ciò richiede la collaborazione di tutte le componenti coinvolte nella 24 problematica, dagli enti pubblici, agli istituti di gestione venatoria e alle associazioni agricole. Nel grafico sottostante (Fig.3) è illustrato l’ammontare in Euro che l’AtcAn2 ha corrisposto agli agricoltori nell’ultimo quadriennio. 80.000 70.000 60.000 Euro 50.000 40.000 30.000 20.000 10.000 0 2000 2001 2002 2003 Fig.3 – Ammontare in Euro del risarcimento danni corrisposto dall’Atc. Complessivamente, l’ammontare della spesa per la rifusione dei danni supera i 220.000 Euro; il cinghiale è responsabile del 70% sull’importo totale a testimonianza di come questa specie crea un impatto rilevante sia dal punto di vista economico sia sociale (Box 4). Specie Ungulati Passeriformi Fagiano Volpe Altro 2000 29.469 6.675 2.632 2.584 6.001 47.361 2001 43.806 7.113 1.097 992 5.221 58.229 2002 34.643 6.553 1.856 0 5.839 48.891 2003 45.203 12.759 1.186 0 7.861 67.010 Media 38.280 8.275 1.693 894 6.231 55.373 % 69,1 14,9 3,1 1,6 11,3 100,0 Box 4 – Suddivisione degli importi corrisposti per categoria. In questi anni, il danno ha interessato 20 Comuni localizzati prevalentemente nel settore montano e in misura minore in quello pedemontano; di seguito è illustrata una valutazione di impatto agricolo su questi Comuni rapportando il risarcimento danni per Comune alla superficie destinata all’agricoltura (seminativi, colture permanenti e coltivazioni orticole). Comuni Mergo Serra S. Quirico Rosora Importo/supagro 7,1 3,7 3,1 25 Fabriano Cerreto d’Esi Castelbellino Camerano Monte Roberto Ancona Castelplanio Castelfidardo Offagna Osimo S. Maria Nuova Filottrano Jesi Maiolati Spontini San Paolo di Jesi Staffolo Polverigi 2,4 2,1 1,8 1,4 1,1 0,4 0,3 0,2 0,2 0,2 0,2 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 Interessante notare come, ad eccezione di Mergo e di Rosora (comunque limitrofi) l’impatto più alto si verifica nei Comuni ricadenti in parte nel Parco Regionale Gola della Rossa-Frasassi; queste prime considerazioni testimoniano di come la gestione del cinghiale necessita di una pianificazione contestuale con l’Ente Parco. Poiché la gestione della specie deve essere attuata individuando zone vocate dal punto di vista agro-forestale (e dunque alla gestione venatoria) e zone a prevalente interesse agricolo dove la specie non è compatibile con le attività produttive, obiettivo prioritario da compiere dell’immediato futuro sarà la realizzazione di una carta di vocazione ambientale di elevato dettaglio (reticolo 1kmq); inoltre, si reputa importante affiancare, al modello di vocazione ambientale, un modello di vocazione reale (reticolo 1kmq) che tenga conto dell’impatto potenziale di questa specie sulle attività agricole. In questo caso si ritiene utile classificare a vocazione bassa tutti quelle celle aventi una frazione di territorio coltivato superiore al 50%, a vocazione media tutte le celle con una frazione di coltivi compresa fra 30 e 50% e a vocazione alta il resto delle cellette. Si provvederà inoltre a realizzare un DataBase cartografico dove saranno inserite tutte le parcelle interessate al danno con indicazione del luogo, anno, proprietario e/o conduttore e dell’importo risarcito. Le carte di vocazione integrate con il DataBase potranno rivelarsi utili per individuare quei settori nei quali mettere in atto strategie di medio-lungo termine definite in funzione degli obiettivi e delle priorità gestionali preventivamente individuate. Relativamente all’attività venatoria ed al controllo del cinghiale, il CdG si uniformerà a quanto previsto dal Regolamento Provinciale di Gestione degli Ungulati. 26 Interventi di miglioramento ambientale Come ormai da diversi anni, l’AtcAn2 stanzia contributi destinati alla realizzazione di interventi di miglioramento ambientale, attuati, nella quasi totalità, all’interno delle Zone di Ripopolamento e Cattura, in un’ottica di cooperazione tra Ambito e Gestione delle Zone irrinunciabile per tutto il territorio. Nel Box 5 sono elencati i contributi erogati nell’ultimo triennio; nel Box 6 la suddivisione per tipo di intervento (Box 6). Istituto di gestione 2000 ZRC 20.933 Caccia programmata 1.023 Totale: 21.956 2001 16.265 0 16.265 2002 23.194 0 23.194 2003 20.285 2.705 22.989 Box 5 – Suddivisione degli importi erogati per Istituto di Gestione. Tipo di intervento 2000 Ritardo dello sfalcio dopo il 15 giugno 13.495 Taglio del foraggio dal centro dell’appezz. Colture a perdere (erba medica e/o orzo) 2.993 Impianto siepi Mantenimento delle stoppie 5.467 Totale: 21.956 2001 6.620 3.530 6.115 16.265 2002 8.162 5.065 9.968 23.194 2003 13.885 2.005 5.850 1.000 250 24.992 Box 6 – Suddivisione degli importi erogati per intervento. Complessivamente, l’ammontare dei contributi nel quadriennio è pari a 86.400 Euro con un valore medio annuale di circa 21.000 Euro; obiettivo prioritario per il prossimo quinquennio dovrà essere il potenziamento dei contributi al territorio per il contenimento dei fattori di mortalità e disturbo, che permetteranno il ripristino o la creazione di condizioni ambientali adeguate a garantire l’affermazione e lo sviluppo della fauna selvatica. La conservazione ed il potenziamento delle risorse faunistiche di un territorio dipendono, infatti, non solo dalla regolamentazione del prelievo (venatorio o di controllo delle popolazioni), ma anche e soprattutto dalle condizioni ambientali e dall'impatto che le attività produttive (agricoltura, industria, viabilità, ecc.) esercitano sulla fauna. Questi rappresentano i fattori limitanti alle diverse specie selvatiche e sono da considerarsi in parte non modificabili (condizioni climatiche, geografiche, orografiche, ecc.) ed in parte rappresentano quei fattori ambientali che in una certa misura è possibile modificare (condizioni alimentari, di rifugio e di riproduzione delle specie selvatiche). Su questi fattori influiscono le attività produttive ed in particolare quelle agricole e forestali. I miglioramenti ambientali dovranno avere lo scopo di modificare questi fattori, cercando di migliorare o ripristinare le condizioni ambientali favorevoli e di ridurre o eliminare gli impatti più significativi causati dalle attività produttive, soprattutto quelle 27 agricole. Attraverso queste misure si cercherà di favorire lo sviluppo delle popolazioni selvatiche. Dal punto di vista tecnico, gli interventi di miglioramento ambientale a fini faunistici, verranno distinti in due categorie principali: a) interventi di miglioramento dell'habitat; b) limitazione di alcune pratiche agricole dannose alla fauna selvatica Il primo tipo di intervento avrà lo scopo di migliorare le disponibilità alimentari, incrementare le aree di rifugio e di protezione ed i siti di riproduzione delle specie selvatiche di maggiore interesse. Il secondo tipo avrà invece lo scopo di limitare o eliminare le cause di mortalità della fauna selvatica indotte alla realizzazione di alcune pratiche agricole pericolose. La realizzazione di questi interventi si differenzierà a seconda dell’area geografica, del tipo di habitat e delle specie selvatiche che si intendono tutelare o favorire. La realizzazione di questi interventi dovrà prevedere modalità diverse a seconda della forma, della localizzazione e della complessità di ogni intervento, nonché dell'indice di dispersione e della percentuale di superficie interessata rispetto alla superficie complessiva dell'area. Si dovranno prevedere interventi sviluppati in lunghezza su fasce di terreno preferibilmente ai margini degli appezzamenti, lungo i fossi, le scoline, e le aree boscate o cespugliate eventualmente presenti nell'area, oppure, come fasce di separazione dei grandi appezzamenti, In alternativa, o congiuntamente, potranno essere previsti degli interventi in forme più accorpate (quadrati, rettangoli, triangoli, ecc.) sfruttando eventualmente le aree più marginali dal punto di vista produttivo. Una volta scelta la qualità, la localizzazione e la forma degli interventi, questi potranno prevedere una composizione più o meno complessa a seconda delle finalità previste; dovrà essere possibile realizzare separatamente la semina di colture "a perdere", l'impianto di siepi, di zone di incolto, ecc., oppure prevedere parcelle con finalità multiple che vedano realizzate in modo accorpato le diverse tipologie. Sarà inoltre da incentivare un'elevata frammentazione degli appezzamenti nelle aree di intervento ed una loro distribuzione omogenea sul territorio a disposizione; la frammentazione degli appezzamenti risulta, infatti, particolarmente favorevole alla fauna selvatica in quanto aumenta la biodiversità complessiva dell'ecosistema. La frammentazione dovrà essere realizzata soprattutto con appezzamenti lunghi e stretti in modo da mantenere un livello sufficiente di ecotonizzazione dell'ambiente pur non gravando eccessivamente sui tempi di lavorazione dell'agricoltura meccanizzata. Infine, sarà importante promuovere nelle zone particolarmente vocate la riduzione dell’uso della chimica in agricoltura o quantomeno razionalizzare l’uso di sostante tossiche per la fauna; è indubbio che tali 28 interventi richiedano cospicui finanziamenti, l’ATC si farà promotore per la redazione di progetti specifici che permettano di accedere ai citati finanziamenti UE. Tutti gli interventi di miglioramento ambientale saranno concentrati nelle ZRC, nei CpuR, nelle aree limitrofe e nelle aree in cui è stata accertata, attraverso il monitoraggio, la presenza di popolazioni selvatiche, fermo restando tuttavia un piano organico di risanamento ambientale. Successivamente e, compatibilmente con le risorse finanziarie, si potrà estendere gli interventi sugli altri territori di nostra competenza. La procedura sperimentale di attuazione e gli interventi verranno inquadrati in una logica precisa che prevede: 1. analisi della situazione esistente; 2. definizione degli obiettivi raggiungibili; 3. scelta degli interventi; 4. verifica dei risultati e d eventuale attuazione di modifiche. Tutti gli interventi di miglioramento ambientale saranno attuabili solo attraverso la primaria partecipazione degli agricoltori-proprietari, che non dovranno vedere negli interventi applicati una nuova forma di servitù fondiaria, ma piuttosto un programma generale di riqualificazione ambientale mirato non solo esclusivamente alla ricostituzione del patrimonio faunistico. Saranno quindi previsti degli incentivi per gli agricoltori che si rendano disponibili oltre, chiaramente, ai rimborsi per gli appezzamenti utilizzati per le colture "a perdere". Ogni situazione ambientale rappresenterà caso per caso situazioni specifiche che richiederanno scelte opportune; ciononostante, considerando le caratteristiche del territorio, sarà possibile prevedere l'applicazione di interventi relativamente ai tre Distretti Territoriali Omogenei. In generale, nei Distretti tipici della fascia pianeggiante o basso collinare (DTO 2.1) o nei territori caratterizzati da agricoltura intensiva e condotta con tecniche meccanizzate, gli interventi dovrebbero ridurre l’eccessiva semplificazione del paesaggio, incrementando l’eterogeneità ambientale e la complessità strutturale mediante la ricostituzione di elementi naturali disposti a mosaico fra le coltivazioni; un altro obiettivo sarà quello di ridurre le dimensioni dei blocchi monocolturali. Nei territori medio-collinari (DTO 2.2, 2.3) l’eterogeneità ambientale è più elevata di quanto non sia in pianura, a causa di una buona presenza di siepi, filari, cespugli e boschi; in questi territori i miglioramenti ambientali dovrebbero essere mirati al mantenimento e alla riduzione dell’impatto delle lavorazioni agricole sulla fauna; dove necessario sarà importante ripristinare i metodi colturali tradizionali. 29 Nei territori (DTO 2.3) in cui predominano i boschi e gli incolti sarà opportuno intervenire con coltivazioni a perdere per incrementare la disponibilità invernale. I miglioramenti ambientali saranno attuati attraverso i Programmi Annuali di Intervento e approvati dal CdG in congruenza con gli indirizzi e le finalità del Piano Faunisitco Venatorio Provinciale. All’atto della presentazione dei Programmi Annuali, il CdG illustrerà, attraverso un consuntivo, i risultati ottenuti in relazione agli interventi di miglioramento previsti, indicando tipologie di intervento realizzate, finalità, superficie, fondi erogati, distinguendoli per Distretto Territoriale Omogeneo. Dal punto di vista tecnico procedurale la sequenza delle operazioni che sarà adottata può essere così schematizzata: - carta aggiornata in scala 1:10.000 dell’uso del suolo; mappatura su carta (scala 1:10.000) delle parcelle su cui si intende intervenire; indicazione parcella per parcella del tipo di intervento previsto con misurazione precisa della superficie interessata; - elenco dei proprietari e conduttori abbinati alle relative parcelle che aderiscono all’intervento; - quantificazione dei costi per tipo di intervento; assegnazione dei contributi per ogni proprietario o conduttore e per relativa parcella; - previsione dei tempi di attuazione per ogni tipo di intervento e per ogni parcella; inserimento dati nel Sistema Informativo Territoriale; Monitoraggio Compatibilmente con le nostre risorse finanziarie, i metodi scelti per valutare il risultato delle operazioni svolte sul territorio a caccia programma (ripopolamenti e miglioramenti ambientali) potranno essere: 1. l’analisi dei carnieri (tutte le specie cacciabili); 2. il conteggio su striscia con l’ausilio di cani (fagiano, starna e corvidi); 3. il mappaggio dei maschi al canto territoriale (fagiano e starna); 4. il conteggio notturno al faro luminoso (lepre, volpe e cinghiale). L’analisi dei carnieri permetterà di stimare il successo dell’immissione sia dal punto di vista quantitativo (numero di capi abbattuti per giorno di caccia), sia qualitativo (distanza di fuga, comportamento, ecc.), che in termini d’irraggiamento; questa analisi ci permetterà, inoltre, di valutare l’indice di densità venatoria reale, cioè quello basato non sul comune di 30 residenza, ma sul comune su cui indice effettivamente l’attività di caccia. Lo studio dei carnieri permetterà infine di valutare il rapporto giovani/adulti della popolazione mediante la determinazione dell’età di un campione significativo dei capi abbattuti. La determinazione dell’età dei singoli individui abbattuti potrà fornire utili indicazioni per valutare lo sforzo di prelievo sul territorio dell’AtcAn2. Poiché l’analisi dei carnieri presuppone un’organizzazione che preveda la scelta di un campione rappresentativo di cacciatori, incaricati di fornire il carniere, di determinare l’età, il luogo di abbattimento e di comunicarla prontamente, il CdG si adopererà per divulgare l’iniziativa a tutti i cacciatori. Come punto di partenza si considera un numero ottimale di cacciatori disposti a collaborare in questo senso una percentuale pari al 5% dei cacciatori residenti in ciascun Comune. Il conteggio su striscia (Cocchi et al., 1998; Meriggi, 1989) sarà effettuato nel mese di febbraio (prima delle future immissioni) e dovrà stimare la popolazione superstite dopo la caccia. Il nostro metodo prevede l’utilizzo di cani condotti in modo tale da “coprire” la striscia in maniera regolare ed omogenea; il cane compie la cerca in modo da descrivere degli ideali lacci la cui ampiezza corrisponde a quella della striscia da censire. Per questa tecnica saranno previste delle aree campione. Il conteggio dei maschi al canto (Cocchi et al., 1998; Meriggi, 1989) sarà svolto nel periodo di aprile-maggio e sarà finalizzato a stimare la popolazione preriproduttiva. Il metodo consiste nella conta dei maschi di fagiano in canto territoriale con l’ausilio di binocoli e cannocchiali riportando la loro posizione su carta topografica (scala 1:10.000); sulla stessa carta sarà annotata anche la posizione ed il numero delle femmine e dei maschi non territoriali eventualmente avvistati. I maschi territoriali sono riconoscibili da quelli non territoriali per la presenza della caruncola ben espansa e per i ciuffi auricolari particolarmente evidenti. Le ore più idonee per svolgere il censimento sono quelle del mattino (non oltre le ore 9:00) e della sera (non prima delle 17:00) quando è massima questa attività. Per questa tecnica saranno previste stazioni campione che potranno essere utilizzate anche per il monitoraggio dei corvidi. Il conteggio notturno al faro luminoso (Meriggi, 1989), consiste nella perlustrazione di porzioni di territorio a mezzo di uno o due fari manovrati da un’auto fuoristrada, in territori con discreta possibilità di perlustrazione. Saranno scelti percorsi capaci di permettere un’ampia visuale di porzioni di riserva e rappresentativi rispetto alla generalità del territorio, fino ad esplorare almeno il 10-15 % della superficie totale interessata. I censimenti inizieranno sempre dopo il tramonto e saranno condotti da n. 3 operatori: un autista e due osservatori. Si procederà ad una velocità di 10-15 km/ora, mentre gli osservatori manovreranno i fari in modo da mantenere il fascio luminoso perpendicolare al tracciato. I dati rilevati saranno poi mappati su carta topografica del luogo in scala 1:10.000 31 e 1:5.000. I fari che normalmente si utilizzano sono alogeni e di un milione di candele, con fascio di luce circolare ed un fuoco piuttosto concentrato. La profondità di esplorazione, che per caratteristiche dei fari utilizzati può arrivare a 250-300 metri, risulta mediamente di 100 metri e comunque molto variabile secondo le caratteristiche del territorio. Obiettivo principale per il prossimo quinquennio sarà l’individuazione della tecnica di monitoraggio più idonea in ciascun Distretto Territoriale Omogeneo selezionando e preparando gli operatori faunistici incaricati. Allo scopo verranno individuate nel primo anno di gestione le aree campione all’interno delle quali si potranno testare i metodi sopra descritti. Controllo dei predatori Il controllo della fauna selvatica sarà considerato come attività di “polizia faunistica” a cui ricorrere in tutti i casi in cui l’attività venatoria non consente di mantenere la popolazione entro i limiti prefissati. Secondo la normativa vigente, l’attivazione del controllo faunistico potrà essere giustificato per una migliore tutela del patrimonio zootecnico, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico e per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche. Le azioni di controllo saranno coordinate in collaborazione con la Provincia. La procedura sperimentale che si intende perseguire nella formulazione dei modelli di controllo è la seguente: 1. stima della consistenza iniziale e distribuzione della popolazione oggetto d’intervento; 2. valutazione dell’entità e localizzazione puntuale dei danni provocati; 3. situazione territoriale dell’area d’intervento; 4. valutazione dello sforzo di controllo e previsione dei risultati; 5. consistenza finale e distribuzione della popolazione oggetto d’intervento; 6. valutazione degli effetti del controllo (riduzione danni, aumento specie preda, ecc.); Conoscenza del territorio e creazione di un SIT Il CdG si propone di avviare un’indagine sullo stato attuale del territorio, finalizzato alla conoscenza delle risorse ambientali, all’individuazione delle sue potenzialità e dello stato di conservazione degli habitat. Strumento tecnico fondamentale per le indagini suddette è la realizzazione di un DataBase cartografico che permetta di catalogare di tutte le informazioni territoriali e gestionali integrandole fra loro. 32 Pertanto, obiettivo del prossimo quinquennio sarà la realizzazione di un Sistema Informativo Territoriale (SIT) che dovrà permettere la catalogazione e la consultazione di tutti i dati funzionali alla pianificazione faunistico-venatoria. La base cartografica di riferimento sarà costituita dalla Carta Regionale dell’Uso del Suolo (scala 1:10.000), realizzata attraverso fotointerpretazione dei rilievi aerofotogrammetrici relativi l’anno 1987. Oltre alla carta di uso del suolo, saranno inserite le seguenti basi dati: - Copertura del suolo CORINE “Land Cover” (scala 1:100.000); Carta tematica delle vocazioni faunistiche del fagiano, della lepre, della starna e del cinghiale (tratta dal PFVP); - Carta topografica regionale (scala 1:25.000); Carta Tecnica Regionale (scala 1:10.000); Base dati delle isoipse (ad intervalli di 100m); Base dati dello sviluppo stradale (tratta dalla CTR 1:10.000); Base dati del reticolo idrografico; Le informazioni cartografiche dovranno descrivere: - Limiti amministrativi (comuni e distretti di gestione); - Carta tematica di elevato dettaglio della diversità paesaggistica; Istituti di gestione faunistico-venatoria; Elenco delle figure tecniche, e dei rispettivi titoli, coinvolte nella gestione faunistica dell’Atc;; - Elenco delle figure amministrative coinvolte nella gestione faunistica dell’Atc; Nel SIT saranno catalogate tutte le informazioni riguardanti la gestione. I dati dovranno considerare a livello minimale: - Percorsi utilizzati per il censimento; - Siti d’immissione con indicazione del periodo, numero, allevamento di provenienza Status del fagiano, della starna e della lepre risultante dai censimenti svolti; ed elenco degli Identificativi numerici (ID); - Numero di animali abbattuti in attività di caccia con indicazione dei tempi e luoghi; Numero degli animali catturati o abbattuti in attività di controllo con indicazione dei tempi e luoghi; 33 - Piano di miglioramento ambientale con indicazione del luogo, tipo di intervento e importo; - Mappaggio dei danni con indicazione del luogo, proprietario e/o conduttore, dell’importo risarcito e del tipo (cinghiale, corvidi, volpe, ecc.); Formazione e didattica ambientale L’obiettivo principale dei corsi sarà quello di formare un gruppo di operatori in grado di eseguire attività in seno ai programmi gestionali dell’Ambito Territoriale di Caccia, sempre coordinate da tecnici validatori, attraverso il miglioramento e l’aggiornamento delle conoscenze e competenze in fatto di censimenti della fauna selvatica e di controllo di quella in sovrannumero. L’intervento sarà finalizzato pertanto all’ottenimento di personale sempre più qualificato necessario per una gestione efficiente del territorio ed in particolare degli Istituti Venatori, previsti dalle vigenti normative in materia. Per un corretto svolgimento dei corsi, il numero dei partecipanti non potrà superare le 100 unità; qualora le iscrizioni risultino superiori, si provvederà alla realizzazione di successivi corsi qualificanti. Oltre ai corsi, il CdG intende realizzare una serie di seminari a carattere divulgativo che avranno come argomento le attività svolte dall’Atc stesso e/o aspetti generali della gestione faunistica del territorio nonché nozioni di biologia generale relative alle specie di prevalente interesse venatorio. I seminari saranno sempre seguiti da una breve tavola rotonda il cui scopo sarà quello di approfondire le tematiche coinvolgendo il cacciatore alle problematiche gestionali. Sia i corsi di preparazione sia i seminari saranno svolti da personale tecnico qualificato di comprovata esperienza, tecnologi dell’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica e docenti provenienti dalle Università italiane. Conclusioni L’attività di vigilanza sarà uno degli interventi più importanti nel determinare il successo delle operazioni proposte, soprattutto all’interno delle ZRC e dei Centri Pubblici; se la vigilanza non è adeguata tutti gli altri interventi vengono vanificati. L’organizzazione più efficace dovrebbe prevedere un numero variabile da 1 a 2 guardie fisse per ogni zona con l’eventualità di coadiuvare la vigilanza della Provincia con quella volontaria. Inoltre, la vigilanza non dovrebbe essere intesa esclusivamente in senso repressivo, bensì contemplare funzioni preventive, di organizzazione operativa e di collaborazione a tutti gli interventi gestionali (censimenti, controllo e eventuali catture). 34 Letteratura citata BIONDI E., BALDONI M., 1996 - Natura e ambiente nella provincia di Ancona. Provincia di Ancona Assessorato alla tutela dell'ambiente. COCCHI R., RIGA F., TOSO S., 1998 – Biologia e gestione del fagiano. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Documenti Tecnici, 22: 1-146. GIOVANNINI A., TROCCHI V., SAVIGNI G., SPAGNESI M., 1988 – Immissione in un’area controllata di lepri di allevamento: analisi della capacità di adattamento all’ambiente mediante radio-tracking. In: Spagnesi M. e Toso S (Eds), Atti del I Convegno Nazionale dei Biologi della Selvaggina, Suppl. Ric. Biol. Selvaggina, XIV: 271-299. LOVARI S., 1975 – A partridge in danger. Oryx, 13: 203-204. MATTEUCCI C., TOSO S., 1992 – The decline of the Grey Oartridge in Italy: historical background and recent studies on the role of habitat modifications and hunting management. In: Bobek B., Perzanowski K., Regelin W.L. (Eds.) Global Trends in Wildlife Management, 2: 27-278. MATTEUCCI C., 1999. Fagiano. In. Toso et al., Carta delle vocazioni faunistiche della regione Emilia-Romagna. Regione Emilia-Romagna, Ass. Agricoltura. pp 640. MERIGGI A., 1991 – Ripopolamenti o miglioramenti ambientali? Habitat, 4: 4-7. MERIGGI A., 1989 – Analisi critica di alcuni metodi di censimento della fauna selvatica (Aves, Mammalia). Aspetti teorici e applicativi. Ric. Biol. Selvaggina, 83: 1-59. POTTS G.R., 1970 – The Grey Partridge: problems of quantifying the ecological effects of pesticides. Proc. XI IUGB Congr., Stockolm: 405-413. POTTS G.R., 1986 – The Partridge, Pesticides, predation and conservation. Collins Professional Books, London, pp274. RENZONI A., 1974 – The decline of the Grey partridge in Italy. Biol. Cons., 6: 213-215. 35 Tabella 1 - Ripartizione comunale dei cacciatori e relativi indici. I valori sono relativi alle superfici comunali calcolate in assenza di istituti venatori. Numero di ettari per cacciatore (IDVE) COMUNE Ancona Camerino Castelbellino Castelfidardo Castelplanio Cerreto d'Esi Cupramontana Fabriano Filottrano Jesi Loreto Maiolati Spontini Mergo Monte Roberto Numana Offagna Osimo Polverii Rosola S. Maria Nuova S. Paolo di Jesi Serra S. Quirico Stirolo Staffolo Totale: Media: SUP 12.423 2.008 606 3.332 1.525 1.682 2.723 27.159 7.135 10.846 1.787 2.146 720 1.362 1.090 1.057 10.667 2.487 939 1.010 1.821 4.936 1.662 2.741 103.864 SPFV 8.329 1.403 394 2.410 1.237 1.441 2.258 24.333 6.348 8.317 1.153 1.742 579 1.047 654 816 8.851 2.158 752 1.547 901 4.252 1.286 2.420 84.628 %spfv 9,8 1,7 0,5 2,8 1,5 1,7 2,7 28,8 7,5 9,8 1,4 2,1 0,7 1,2 0,8 1,0 10,5 2,5 0,9 1,8 1,1 5,0 1,5 2,9 100,0 n° cacc. 1.110 128 64 343 62 50 186 638 264 591 169 124 28 60 61 47 657 70 35 17 148 107 51 42 5.052 %cacc 21,98 2,53 1,27 6,78 1,23 1,00 3,68 12,63 5,23 11,70 3,34 2,46 0,55 1,19 1,20 0,93 13,00 1,38 0,70 0,34 2,93 2,12 1,02 0,82 100,00 cacc/kmq IDVE 13,3 8 9,1 11 16,2 6 14,2 7 5,0 20 3,5 29 8,2 12 2,6 38 4,2 24 7,1 14 14,6 7 7,1 14 4,8 21 5,8 17 9,3 11 5,8 17 7,4 13 3,2 31 4,7 21 1,1 91 16,4 6 2,5 40 4,0 25 1,7 58 7,2 36 22,6 Tabella 2 - Ripartizione comunale dei cacciatori e relativi indici. I valori sono relativi alle superfici comunali calcolate tenendo in considerazione i Parchi, le Riserve Naturali, le Oasi di protezione e le Aziende Faunistico Venatorie. Superficie di pianificazione totale (SPFVtot); Superficie di pianificazione residua (SPFVres); numero di ettari per cacciatore (IDVE). COMUNE SPFV tot Ancona 8.329 Camerano 1.403 Castelbellino 394 Castelfidardo 2.410 Castelplanio 1.237 Cerreto d'Esi 1.441 Cupramontana 2.258 Fabriano 24.333 Filottrano 6.348 Jesi 8.317 Loreto 1.153 Maiolati Spontini 1.742 Mergo 579 Monte Roberto 1.047 Numana 654 Offagna 816 Osimo 8.851 Polverigi 2.158 Rosora 752 S. Maria Nuova 1.547 S. Paolo di Jesi 901 Serra S. Quirico 4.252 Sirolo 1.286 Staffolo 2.741 Totale: 84.628 Media: SPFV res 5.836 923 394 2.406 1.237 1.441 2.241 19.707 6.058 8.050 1.153 1.742 579 1.047 58 816 8.663 2.158 752 1.547 638 2.782 349 1.130 71.707 %spfv 8,1 1,3 0,5 3,4 1,7 2,0 3,1 27,5 8,4 11,2 1,6 2,4 0,8 1,5 0,1 1,1 12,1 3,0 1,0 2,2 0,9 3,9 0,5 1,6 100,0 n° cacc. 1.110 128 64 343 62 50 186 638 264 591 169 124 28 60 61 47 657 70 35 17 148 107 51 42 5.052 %cacc 21,98 2,53 1,27 6,78 1,23 1,00 3,68 12,63 5,23 11,70 3,34 2,46 0,55 1,19 1,20 0,93 13,00 1,38 0,70 0,34 2,93 2,12 1,02 0,82 100,00 cacc/kmq IDVE 19,0 5 13,9 7 16,2 6 14,2 7 5,0 20 3,5 29 8,3 12 3,2 31 4,4 23 7,3 14 14,6 7 7,1 14 4,8 21 5,8 17 104,6 1 5,8 17 7,6 13 3,2 31 4,7 21 1,1 91 23,2 4 3,9 26 14,7 7 3,7 27 12,5 37 18,8 Tabella 3 - Ripartizione comunale dei cacciatori e relativi indici. I valori sono relativi alle superfici comunali calcolate tenendo in considerazione i Parchi, le Riserve Naturali, le Oasi di protezione, le Aziende Faunistico Venatorie, le ZRC, CpuR e ZAC. Superficie di pianificazione totale (SPFVtot); Superficie di pianificazione residua (SPFVres); numero di ettari per cacciatore (IDVE) COMUNE SPFV tot Ancona 8.329 Camerano 1.403 Castelbellino 394 Castelfidardo 2.410 Castelplanio 1.237 Cerreto d'Esi 1.441 Cupramontana 2.258 Fabriano 24.333 Filottrano 6.348 Jesi 8.317 Loreto 1.153 Maiolati Spontini 1.742 Mergo 579 Monte Roberto 1.047 Numana 654 Offagna 816 Osimo 8.851 Polverigi 2.158 Rosora 752 S. Maria Nuova 1.547 S. Paolo di Jesi 901 Serra S. Quirico 4.252 Sirolo 1.286 Staffolo 2.741 Totale: 84.628 Media: SPFV res 5.409 923 394 2.088 932 1.185 2.093 17.395 4.847 7.897 1.153 1.739 579 724 58 722 8.104 1.729 752 1.431 638 2.782 349 1.130 65.053 %spfv 8,3 1,4 0,6 3,2 1,4 1,8 3,2 26,7 7,5 12,1 1,8 2,7 0,9 1,1 0,1 1,1 12,5 2,7 1,2 2,2 1,0 4,3 0,5 1,7 100,0 n° cacc. 1.110 128 64 343 62 50 186 638 264 591 169 124 28 60 61 47 657 70 35 17 148 107 51 42 5.052 %cacc 21,98 2,53 1,27 6,78 1,23 1,00 3,68 12,63 5,23 11,70 3,34 2,46 0,55 1,19 1,20 0,93 13,00 1,38 0,70 0,34 2,93 2,12 1,02 0,82 100,00 cacc/kmq IDVE 20,5 5 13,9 7 16,2 6 16,4 6 6,7 15 4,2 24 8,9 11 3,7 27 5,4 18 7,5 13 14,6 7 7,1 14 4,8 21 8,3 12 104,6 1 6,5 15 8,1 12 4,0 25 4,7 21 1,2 84 23,2 4 3,9 26 14,7 7 3,7 27 13,0 38 17,1 APPENDICE 1 - Commissione fauna Almeno un rappresentante per Distretto Territoriale Omogeneo Almeno un componente del CdG Tecnico faunistico dell’Atc 2 – Commissione risarcimento danni Tre rappresentanti del CdG delle Associazioni Agricole 3 – Gruppo Operatori al Controllo Corvidi Tutti gli operatori che hanno superato il corso abilitante svolto nel 2003; ciascun Distretto dovrà nominare un rappresentante. 4- Gruppo tesatori 39