nonna celeste - Il Liceo Scientifico e Linguistico di Ceccano

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nonna celeste - Il Liceo Scientifico e Linguistico di Ceccano
Nonna celeste
Non so perché, ma avevo sempre saputo che il mio primo figlio
sarebbe stato una femmina. Almeno lo sapevo da quando ad
annunciarmelo era stato un sogno che avevo fatto in una calda notte
di fine agosto dell’anno 2002.
Quella notte d’estate, afosa e odorosa di fiori d’arancio, il mio
sonno, stranamente agitato, fu interrotto da un’immagine
straordinariamente luminosa: una luce intensa, non ricordo altro.
Non ho mai saputo se quella sensazione fosse solo frutto della mia
immaginazione o la realtà; ricordo solo un dolce profumo di fiori di
campo e la strana sensazione che dentro di me stesse cambiando
qualcosa.
Tempo dopo a confermare la mia convinzione fu la mia adorata
bisnonna Celeste che, pur in preda alla demenza senile, ne aveva già
previsto il sesso quando, incinta di quattro mesi, avevo adagiato la
sua mano, piccola e rugosa, sulla mia pancia ormai abbastanza
pronunciata.
«È fèmmena» aveva sentenziato solennemente nonna abbandonando tutti i discorsi insensati che, in quegli ultimi tempi,
soleva fare, ritornando alla lucidità di una volta.
Mi guardava intensamente con quei suoi occhietti vispi e penetranti,
come spesso aveva fatto in passato, specialmente quando mi
ammoniva a sposarmi in fretta e a convincere Antonio a rendermi
una “donna rispettabile”.
Dolcissima nonna Celeste, piccola come la vita, grande come il
cielo. Non sai come mi manca il tuo sorriso senza denti, così pieno
di dolcezza, la dolcezza di chi la sa lunga sulle cose, di chi ha vissuto
due guerre mondiali e ha sofferto la fame, di chi è andata sposa a soli
sedici anni dopo essere stata “arrubbata e struppìata” (rapita e
deflorata), di chi ha perso, a nemmeno vent’anni, quattro figli, morti
nel ventre e nella culla, prima di partorirne altri due, gli unici due
sopravvissuti, un maschio e una femmina.
Ma anche il maschio se ne è andato presto, lontano da te, partito
emigrante in America in cerca di fortuna: tu che non hai mai
saputo nemmeno dove stesse l’America e quanto fosse grande, lo
salutasti con due lucciconi negli occhi.
La tua seconda figlia invece, mia nonna Annita, per fortuna, è
rimasta qui e ti ha assistito insieme a suo marito, nonno Antunino
fino alla fine, fino al giorno in cui il telefono, a casa di mamma, ha
squillato. Ho risposto io, portandomi dietro la mia pancia di quattro
mesi e un terribile dolore al nervo sciatico.
Dall’altro lato della cornetta, nonno Antunino aveva detto con voce
grave, anche troppo: «Nònneta Celesta se n’è ita».
Sì, te ne sei andata così, in un freddo pomeriggio del ventun
gennaio 2003; piccola piccola nel lettuccio della tua cameretta, senza
dire nemmeno una parola, l’ultima.
Avevi 95 anni e allora speravamo di farti una grande festa per i tuoi
prossimi 100 anni. Sarebbe stato un evento grandioso per il piccolo
paese di Santopadre; sicuramente il Comune ti avrebbe tributato
onori e riconoscimenti.
Già ti immaginavamo seduta sulla seggiola nella grande sala
comunale addobbata a festa, intenta a salutare tutti, a raccontare le
tue storie, a sorridere con la tua bocca sdentata, ad accarezzare
continuamente il tuo grembo togliendo le piegoline alla veste nuova
e aggiustandoti sulle mani rugose gli anelli con le immagini della
Santissima Trinità e di Padre Pio, quelli comprati insieme a me sulle
bancarelle colorate della fiera del 18 agosto.
Ti immaginavo lì, seduta sulla seggiola; tu, testimone inconsapevole
di una longevità che non è da tutti.
Sai nonna, io conservo ancora gli orecchini che tu mi regalasti
mentre stavi sdraiata nel tuo lettuccio piccolo piccolo: «Togliatìgli,
prima che m’ mor, accusì so sicura che ’sti recchini t’arrivan a te».
Te li tolsi dalle orecchie e me li infilai velocemente in tasca.
Era il nostro piccolo segreto. Non lo dicemmo a nessuno,
nemmeno a tua figlia, mia nonna Annita, che avrebbe potuto
risentirsi. O forse no, lei lo sapeva che tra te e me c’era un’intesa
speciale.
Come mia madre, la tua prima nipote, era stata la tua preferita, così
lo ero diventata io, la tua prima pronipote. Quegli orecchini non
sono preziosi, ma sono speciali per me e fra qualche anno li prenderà
Chiara che li conserverà per darli, domani, a sua figlia.
«Puzz’esse benedetta, Linuccia mia» mi dicesti qualche tempo prima
di andartene, quando un giorno io e mia madre ti aiutammo a fare la
doccia in bagno, ti vestimmo, ti profumammo con uno dei tanti
profumi che ti facevi comprare in ogni occasione e, per completare
l’opera, ti tagliai i capelli e ti feci una vaporosa messa in piega. Ti
guardasti allo specchio compiaciuta del risultato.
Eri bella, nonnina, così bella da rendermi orgogliosa di te.
Ti ho amata tanto.
Tu, donna delle due guerre; tu, il mio legame con il passato e il mio
progetto per il futuro. Mi hai accompagnata quando ero bimba, mi
hai cresciuta a “tagliarini e fasure” e pollo arrostito, hai vegliato su di
me per tutta la mia infanzia. Con la tua semplicità ci sei stata fino a
che non mi hai lasciata a Chiara che è arrivata a riempire la mia vita.
Il giorno che sei morta siamo arrivate subito da te, io e la piccola
nella mia pancia, e, per la prima volta nella mia vita, io che stavo per
dare la vita, ho baciato un volto senza vita ed ho toccato un corpo
esanime, inerme, ma non ho avuto paura. Ti ho salutato per l’ultima
volta e, insieme a me, ti ha salutato, nel mio grembo, la mia piccola:
Chiara.
Il cui nome per esteso, è Chiara Celeste Bernarda Maria.