CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB(2015_05_06)

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Mercoledì 6 Maggio 2015 Corriere della Sera
Primo piano Istruzione
Il personaggio
 Il modello francese
Accuse e riforme
Ma la scuola
è il motore
della République
di Paolo Di Stefano
L
a questione è: ci saranno tanti professori come Giovanna Nosarti,
pugliese, 32 anni di servizio nelle scuole medie
e poi nelle superiori? Giovanna
che, a casa con la broncopolmonite, tiene i contatti con gli allievi e con i loro genitori, via Whatsapp per rispondere alle domande sui compiti, sulle verifiche,
sulle valutazioni. «Non sono
un’eccezione», dice. Insegna dal
2000 al Liceo artistico Enzo Rossi di Roma, italiano, storia e geografia. Periferia Tiburtino III,
non un quartiere facile. «Una
scuola inclusiva per eccellenza
con molti disabili che richiedono la collaborazione dei docenti
di sostegno». E con tanti stranieri, moldavi, romeni, russi, ma
anche africani e cinesi. La «didattica inclusiva» deve soddisfare i «bisogni educativi speciali»,
con piani personalizzati che portano via un sacco di tempo.
Il tempo. «Le ore di lezione al
giorno sono 3 o 4, ma in genere
se arrivo a scuola alle 8 esco alle
14 e occupo le ore buche per i ricevimenti o al telefono con i genitori per avvertirli delle assenze, delle mancate giustificazioni, dei cali di rendimento; oppure per il coordinamento di
classe, per monitorare…». Senza contare: a inizio anno le riunioni di dipartimento, la compilazione degli obiettivi minimi,
la programmazione da consegnare alla segreteria didattica; a
fine anno il bilancio con la percentuale degli obiettivi raggiunti sottoscritta dai ragazzi. «Monitorare» e «programmazione»
sono parole frequenti, nel racconto di Giovanna. Così come
«obiettivi» e «offerta formativa». Dunque, se va bene, a casa
verso le 14.30, il pranzo riscaldato pronto dalla sera prima. E
poi? «Si continua a lavorare per
due o tre ore: preparare le lezioni del giorno dopo e le verifiche,
leggere, correggere…».
Le correzioni. «Il 25 aprile
l’ho passato a casa sui saggi brevi dei ragazzi. Un lavoro ripetitivo, finisci per inciampare sempre negli stessi errori, ma non
mancano le sorprese e io mi entusiasmo quando constato che
ci sono belle riflessioni critiche
o buone competenze nell’analisi
dei testi. Di recente sono rimasta stupita di fronte alla capacità
di Stefano Montefiori
L
In classe La professoressa Giovanna Nosarti circondata dai suoi allievi del Liceo artistico Enzo Rossi di Roma in una foto di qualche anno fa
La storia di Giovanna, 51%
in cattedra da 32 anni:
al lavoro giorno e notte,
mi consolo con i ragazzi 81%
i favorevoli,
tra i dipendenti
pubblici, alla
riforma della
scuola. Il 49% è
contrario (dati
Ipsos, ultimo
sondaggio)
Un’insegnante di un liceo romano si racconta
di cogliere le ironie del Parini, la
sua critica alla società… Mi consolo così». 100, 200, 300 compiti
al mese. «Insegnare è un impegno a tempo pieno, e io, a 57 anni, sono molto stanca».
Lo stipendio. Il tutto con una
busta paga di? «Circa 1800 euro
al mese, più 200 o 250 all’anno
per il coordinamento, ma non lo
so esattamente perché non ho

Il lavoro e lo stipendio
In un mese 300 compiti da correggere
Lo stipendio? Quando avevo i figli
piccoli lo giravo tutto alla baby sitter
ancora ricevuto quelli dell’anno
scorso». Se le capita di dover restare a scuola, non c’è buonopasto né mensa, dunque un
piatto a proprie spese nel bar
più vicino. I tre figli che Giovanna ha avuto con Bernardo sono
ormai grandi, 28, 26, 21 anni.
«Quando erano piccoli, correggevo spesso di notte, dopo averli
messi a letto, mi sono pure ammalata per carenza di sonno. E
se il pomeriggio avevo le riunioni dovevo pagare una babysitter:
una tonsillite mi costava 200 mila lire, una bronchite 500. Per
anni lo stipendio lo giravo alla
tata».
I ragazzi. «Hanno sempre più
bisogno di essere seguiti, gratificati, motivati. Devono sentire
la cultura come qualcosa di vivo,
gli italiani
che sono
a favore della
assunzione
dei 100 mila
precari iscritti
in graduatorie
nazionali
56%
i favorevoli alla
concessione
di un’ampia
e inedita
autonomia
agli istituti e
di nuovi poteri
ai dirigenti
scolastici
di utile. Sono molto fragili nell’approccio alla vita, hanno poche regole, dormono poco,
stanno fino a tarda sera a chattare nei social network. Sono in
aumento gli attacchi di panico. I
genitori non riescono a far rispettare i limiti e spesso chiedono agli insegnanti di supplire a
queste lacune».
Gli interessi. Per Giovanna
non mancano. Molte mostre
d’arte, il laboratorio di scrittura,
i corsi di storia contemporanea
(a sue spese), e la domenica
mattina all’Auditorium per le lezioni di storia: «Quest’anno erano sul tema del viaggio, bellissime, una boccata d’ossigeno.
Mio marito ha smesso il tiro con
l’arco per seguirle con me. Entusiasta. A scuola, poi, le metto a
frutto con i ragazzi».
La riforma. Giovanna è appena tornata a casa dalla manifestazione. Anche lei protesta. «La
scuola non è un’azienda, non
deve formare burocrati e specialisti di nuove tecnologie. Deve tirar su dei buoni cittadini attraverso la cultura. Inoltre, non
sento mai parlare del carico di
lavoro degli insegnanti, della
necessità di una formazione
continua, che viene lasciata alla
volontà del singolo. Io sono per
premiare il merito, ma prevedere un bonus per il 5 per cento
dei docenti è umiliante. Perché
il 95 per cento non è fatto di fannulloni…».
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Il commento
Perché non chiedete consiglio alle famiglie?
SEGUE DALLA PRIMA
Gli italiani hanno preferenze eterogenee riguardo all’istruzione che i loro figli
dovrebbero ricevere, a quali mix di materie le scuole dovrebbero offrire, a chi siano i migliori insegnanti e a come debbano essere reclutati e pagati. In questo
non siamo diversi dai cittadini di altre
nazioni. Tuttavia, mentre all’estero si osserva una tendenza a concedere un’autonomia ampia alle singole istituzioni scolastiche nella gestione delle risorse (soprattutto quelle umane) e nella scelta
dell’offerta formativa, in Italia il governo
Renzi non ha avuto abbastanza coraggio
nell’abbandonare la strada del dettare le
regole dal centro.
Gestire in modo rigido e burocratico
un’organizzazione con quasi un milione
di dipendenti lascia perplessi in un contesto che sempre più richiede processi
decisionali rapidi e flessibili nel tempo e
nello spazio. L’inefficienza dello Stato in
questo campo, evidenziata in particolare
dal reclutamento dei nuovi insegnanti,
non sorprende quindi. Perché non consentire allora anche la possibilità di «fare scuola statale» in modi diversi da
quelli che il governo di turno preferisce?
Si noti: «consentire anche»…, non «consentire solo».
Sono due i motivi principali di un intervento statale nel campo dell’istruzione. Innanzitutto, il fatto che i figli non
possono scegliersi i loro genitori: lo Stato
Il parallelo con la sanità
Come per la sanità, con più
autonomia l’istruzione
potrebbe funzionare meglio
ha quindi il dovere di difendere i primi
quando i secondi non vogliono o non
possono investire adeguatamente nell’istruzione dei loro figli. In aggiunta, la
collettività ha un ovvio interesse a far sì
che i suoi membri conseguano un livello
minimo e coordinato di conoscenze per
interagire e produrre quello che desiderano (non solo lo stretto necessario per la
sopravvivenza, ovviamente).
Tuttavia, per conseguire questi risultati, non è necessario che sia lo Stato in
prima persona a gestire le scuole: basta
che esso stabilisca i confini entro i quali
l’autonomia e la libertà di gestione sono
possibili. E, soprattutto, che si dedichi a
informare le famiglie e gli studenti su
quali «modi» di fare scuola hanno maggior successo.
Anche nel campo della nutrizione e
della sanità, la collettività ha interesse ad
assicurare un livello minimo di salute dei
suoi membri e a proteggere chi non riesce a conseguirlo. Eppure, un sistema sanitario pubblico come il nostro consente
margini di autonomia molto maggiori di
quelli goduti dalle scuole. Forse anche
per questo la sanità funziona meglio dell’istruzione in Italia.
Potremmo fare qualcosa di simile anche nel campo della scuola e i modi per
farlo, soprattutto al servizio degli alunni
meno abbienti, sono stati sperimentati
in molti Paesi e adattati al nostro contesto. Se il governo avesse scelto questa
strada, avrebbe incontrato comunque
l’opposizione dei sindacati ai quali non
interessa il bene degli studenti, ma solo
quello dei lavoratori che essi rappresentano. Dalle famiglie, però, avrebbe forse
ricevuto maggior supporto.
Andrea Ichino
[email protected]
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a «scuola
repubblicana» è stata
uno dei tradizionali
motivi di orgoglio della
Francia, l’istituzione che
dai tempi di Jules Ferry —
promotore nel 1881-2 della
gratuità e obbligatorietà
dell’insegnamento — ha
garantito la formazione
dell’identità nazionale e
anche un certo grado di
mobilità sociale. La scuola
è considerata il cuore e il
motore della République, e
da tempo viene quindi
indicata come responsabile
della crisi francese. La
società è bloccata,
l’economia ristagna? Colpa
della scuola.
Di conseguenza, le
riforme si susseguono
continuamente: segno
dell’importanza che i
governi successivi, di
destra e di sinistra, hanno
dato e danno alla scuola,
ma anche — secondo i
critici — accumulo
disordinato di misure alle
quali manca un quadro
d’insieme. Tra gli ultimi
interventi c’è la riforma dei
ritmi scolastici, entrata in
vigore lo scorso settembre,
che ha scatenato la protesta
di molti insegnanti,
genitori e amministratori
locali. La ministra
dell’Educazione nazionale
Najat Vallaud-Belkacem,
una delle più attive del
governo Valls, ha cercato di
razionalizzare gli orari di
insegnamento, facendo
tornare i bambini a scuola
anche il mercoledì.
L’ultima riforma,
presentata in questi giorni,
è quella del collège, più o
meno equivalente alla
nostra scuola media, e
giudicato il punto debole
del sistema scolastico. A
partire dal settembre
prossimo, gli allievi
impareranno le materie
principali in modo anche
interdisciplinare:
nell’ambito di un progetto
specifico, saranno chiamati
a studiare allo stesso tempo
per esempio matematica e
francese, storia e scienze, o
inglese e fisica.
Come sempre, la riforma
è stata accolta da qualche
consenso e molte critiche,
per esempio perché viene
ridotto il peso del tedesco.
Resta la centralità della
scuola nelle priorità del
governo, dimostrata anche
dall’ultima legge
finanziaria: l’Educazione
nazionale (cioè l’istruzione
esclusa l’università) è la
prima voce con 65 miliardi
di euro (+2,4%), e vengono
assicurate nuove indennità
a professori (400 euro
l’anno), direttori d’istituto
(100-400 euro) e consiglieri
pedagogici (1000 euro). Il
presidente Hollande sta
mantenendo la promessa
di assumere 60 mila
persone nella scuola tra il
2012 e il 2017.
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