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M Y CM MY CY CMY K S.I.N. C Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Società Italiana di Nefrologia XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia MODENA 2008 7 - 9 FEBBRAIO LIBRO DEGLI ABSTRACT XIV CONVEGNO DEL GRUPPO DI STUDIO DI DIALISI PERITONEALE Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Libro degli Abstract XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 COMUNICAZIONI ORALI Epidemiologia La Dialisi Peritoneale nel nuovo anziano: l’ultraottantenne A.R. Rocca, C. Esposto, G. Utzeri, V. Angeloni, E. Albanese, A. Filippini pag. 7 pag. 8 Adeguatezza Dialitica Rimozione del fosforo in Dialisi Peritoneale: Icodestrina vs Soluzione standard A. R. Rocca, C. Esposto, G. Utzeri, A. Filippini Aspetti Nutrizionali Il muscolo scheletrico dei pazienti uremici all’ingresso in dialisi peritoneale esprime citochine proinfiammatorie M. Di Martino, A. Tarroni, V. Procopio, D. Verzola, V. Cappelli, E. Vigo, I. Mannucci, A. Sofia, A. Valli, M. Malerba, G. Garibotto, F. De Cian, S. Saffioti pag. 9 Il Telmisartan migliora la sensibilità all’insulina dei pazienti in dialisi peritoneale A. Cioni, C. Sordini, R. Bigazzi pag. 9 Clinica e Terapia Decremento della FRR prima e dopo l’inizio della CAPD L. Neri, S. Barbieri, G. Viglino pag. 10 Protocollo di sorveglianza sull’insorgenza della sclerosi peritoneale (EPS) nei pz in dialisi peritoneale (DP) R. Corciulo, R. Russo, V. Pepe, F. P. Schena pag. 11 Utilità del peptide natriuretico B (BNP) nel follow-up dei pazienti in dialisi peritoneale come indicatore di funzione cardiaca L. Maltagliati, G. Romei Longhena, R. Cimino, R. Colombo, F. Masi, A. Manfredi, A. Scilletta, R. Savino, U. Teatini pag. 12 Peritoniti Possibili fattori di rischio di fibrosi peritoneale (FP): novità e conferme A. Pappani, R. Perulli, A. M. Ferri, A. Mastrodonato, I. Clemente, D. Piano, M. Querques, L. Cinquesanti, F. Tricarico pag. 13 Altro Influenza delle comorbilità pre-trattamento sulla sopravvivenza in emodialisi e dialisi peritoneale S. Turina, L. Manili, M. Sandrini, R. Zubani, G. Cancarini pag. 13 Peptide natriuretico di tipo B (BNP): indicatore di sovraccarico idrico in dialisi peritoneale? D. Ciurlino, S. Tedoldi, I. Serra, S. V. Bertoli pag. 14 2 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER Predialisi e Scelta Dialitica Dal predialisi alla dialisi peritoneale: è necessario cambiare la tecnica di impianto del catetere? S. Mangano, D. Martinelli, S. Brenna, L. E. Bernardi, D. Pogliani, G. Tettamanti, A. Beltrame, G. Bonforte pag. 15 Adeguatezza Dialitica Dati di efficienza dialitica e fattori di comorbidità: la loro importanza in dialisi peritoneale A. Pappani, R. Perulli, M. Querques pag. 16 Stima della funzione renale residua nei pazienti in dialisi peritoneale M. Zeiler, D. Ricciardi, T. Monteburini, A. Federico, R. Marinelli, S. Santarelli pag. 16 Clinica e Terapia Effetti a lungo termine del Cinacalcet nei pazienti in dialisi peritoneale (DP) con grave iperparatiroidismo A. Tarroni, M. Di Martino, A. Sofia, V. Falqui, L. Morabito, G. Garibotto, G. Deferrari, S. Saffioti pag. 17 Efficacia della dialisi peritoneale con icodestrina nel trattamento a lungo termine dello scompenso cardiaco congestizio refrattario F. Cazzato, D. Chimienti, A. Bruno, S. Cocola, P. Libutti, C. Basile pag. 18 Un caso clinico di calcifilassi in paziente in dialisi peritoneale. Ruolo dell’infiammazione E. Valicenti, V. Martella, R. Russo, R. Corciulo pag. 19 La dialisi peritoneale nei pazienti uremici con infezione HIV. Follow-up di una popolazione C. Cherubini, M. E. Militello, P. Arienzo, G. Noto, S. Di Giulio pag. 19 Peritoniti Peritonite sclerosante trattata con successo con associazione di steroidi everolimus e tamoxifene A. M. Ricciatti,G. Goteri*, M. D’Arezzo, S. Sagripanti, L. Bibiano, F. Petroselli, G. Fabris, G. M. Frascà pag. 20 La peritonite sclerosante: un problema emergente nei pazienti sottoposti a trapianto renale R. Fenoglio, S. Maffei, E. Mezza, M. Messina, P. Stratta, G. P. Segoloni, G. Triolo pag. 21 Variazione degli organismi causali e della loro suscettibilità agli antibiotici nelle peritoniti: esperienza di 10 anni in un singolo centro di dialisi peritoneale M. Marani, F. Manenti, M. Di Luca, M. Martello, K. Kulurianu, M.S. Ferreiro Cotorruelo, R. Cecchini pag. 22 Diverticolosi del colon come fattore di rischio per peritonite enterica: risultati di uno studio prospettico osservazionale. G. Gentile, V. M. Manfreda, D. Rossi, G. Campus, C. Giammarioli, C. Carobi, U. Buoncristiani pag. 23 3 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Gestione e Organizzazione Proposta di applicazione di un’analisi prospettica del rischio clinico alla dialisi peritoneale G. Paternoster, G. Bonfant, V. Paroli, E. Amail, P. Belfanti, D. Gabrielli, A. M. Gaiter, M. Manes, A. Molino, V. Pellu, P. E. Nebiolo pag. 24 Altro Può essere il declino dell’ultrafiltrazione un importante fattore predittivo di sclerosi peritoneale? V. Pepe, A. Melfitano, P. delli Carri, L. Gesualdo pag. 24 Qualità di Vita: alterazioni cognitive comportamentali e funzionali in DP, HD e IRC A. Tralongo, S. Nicosia, B. Pisano, G. Li Cavoli, O. Schillaci, A. Ferrantelli, U. Rotolo pag. 26 La nefrectomia laparoscopica per via retroperitoneale del rene policistico R. Marcon, G. Pastori, M. De Luca 27 pag. Attività di gruppo di lavoro: un modello assistenziale “di presa in carico” del malato cronico in dialisi peritoneale E. Silvaggi, A. R. Rocca, C. Esposto, A. Filippini pag. 28 POSTER Predialisi e Scelta Dialitica Indicazione limite alla dialisi peritoneale (DP) in paziente affetto da insufficienza renale cronica (IRC) S. Cantelli, F. Malacarne, A. Storari, G. Russo, S. Soffritti F. Fabbian, A. Bortot, L. Catizone pag. 29 Scelta dialitica nell’ambulatorio del predialisi: follow-up di 4 anni A. Caselli, M. Antonelli, M. Ragaiolo pag. 30 Terapia dialitica e qualità di vita: individuare le aree di criticità per orientare alla metodica più idonea G. Caravello, A. Cerri, V. Galati, M. Marini, T. Sardi, I. Valenti, M. G. Betti, S. Ferretti, W. Lunardi, A. Tavolaro, C. Del Corso, A. Capitanini, I. Petrone, A. Rossi pag. 31 Pre-dialisi e scelta dialitica. Esperienza di Castelfranco Veneto R. Marcon, A. Ferraro, M. De Luca pag. 31 Dialisi peritoneale: “Ultima Spes”? O. Schillaci, A. Tralongo, C. Tortorici pag. 32 Scelta del trattamento sostitutivo in un paziente HIV e HCV positivo M. Biagioli, D. Borracelli, A. Sidoti pag. 33 pag. 34 Catetere Peritoneale Incarceramento del catetere peritoneale autoloante: una rara complicanza S. Galli, F. Cavatorta, F. Boraso, E. Ramò Linezolid nel trattamento dell’infezione del tunnel/exit-site in un bambino in dialisi peritoneale cronica. P. Sorino, R. Bellantuono, F. Puteo, T. De Palo pag. 35 4 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Il posizionamento del catetere di Tenckhoff con tragitto intramurario “obliquo” per prevenirne la dislocazione P. M. Caviglia, A. Tirotta, V. Berruti, M. G. Nasini, M. Repetto, O. Santoni, C. Schelotto, S. Carozzi pag. 35 Tecnica “ad incastro” per il salvataggio chirurgico del catetere peritoneale infetto P. M. Caviglia, A. Tirotta, R. Del Rio, N. Delfino, S. Giupponi, P. Rustighi, S. Carozzi pag. 36 La Membrana Peritoneale Miglioramento dell’ultrafiltrazione e della pressione arteriosa sistemica dopo inizio di icodestrine, in due pazienti in dialisi peritoneale D. Rossi, G. Gentile, G. Campus, C. Giammarioli, V. Mugnari, R. Lisandrelli, C. Belligi, U. Buoncristiani pag. 37 Aspetti Nutrizionali La dialisi peritoneale monoscambio-die associata alla dieta ipoproteica. Valutazione dopo 6 mesi. R. dell’Aquila, C. Avanzi, C. Casale, T. Marinelli, C. Montemurno pag. 38 Clinica e Terapia La gravidanza di dialisi peritoneale: descrizione di un caso G. Dessi, K. Cannas, E. Manca, A. Pani, P. Altieri, E. Loi, G. Cabiddu pag. 39 Leakage in paziente sottoposto a colecistectomia per via laparoscopica M. Brigante, S. Baranello, S. Di Stante, G. Sallustio pag. 40 Efficacia del carbonato di lantanio come chelante del fosforo su un gruppo di soggetti in trattamento dialitico peritoneale A. Amato, B. Oliva, R. Cusimano, F. Caputo pag. 40 Prescrizione di dialisi peritoneale in una casistica pediatrica multicentrica E. Verrina, F. Perfumo, A. Edefonti, F. Emma, B. Gianoglio, S. Maringhini, C. Pecoraro, P. Sorino, G. Zacchello pag. 40 La dialisi peritoneale nei pazienti anziani: esperienza di un centro E. Manca, K. Cannas, G. Dessi, P. Altieri, G. Cabiddu pag. 41 Peritoniti La peritonite in un centro dialisi peritoneale di medie dimensioni. Rewiew di sei anni di casistica. A. Cioni, E. Montagnani, I. Cavallini, G. Polini, C. Sordini, R. Bigazzi pag. 42 La peritonite sclerosante in dialisi peritoneale: esperienza di un singolo centro V. Vizzardi, G. Mazzola, M. Sandrini, L. Manili, G. Brunori, G. C. Cancarini pag. 43 Gestione ed Organizzazione La dialisi peritoneale in residenze per anziani: esperienza decennale di un singolo centro R. Bergia, B. Agostini, I. M. Berto, G. M. Bosticardo, E. Caramello, S. Maroni, V. Morellini, E. Schillaci, P. Bajardi pag. 44 La dialisi peritoneale: 5 anni di esperienza G. E. Russo, B. Castelmani, A. Centi, A. Morgia, B. Coppola, A. Lucchetti, M. Cavallini pag. 5 45 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Altro Sopravvivenza del paziente in dialisi peritoneale e numero dei linfociti circolanti P. Ancarani, P. Solari pag. 45 Pazienti in DP sottoposti a trapianto di rene: gestione del trattamento dialitico e del catetere. Esperienza di un Centro Trapianti di Rene. R. Mongiovì, V. Agnello, A. Amato, A. Barillà, S. Calabrese, B. Oliva, V. Vinti, F.Caputo, V. Sparacino pag. 46 Prevalenza delle alterazioni del metabolismo calcio-fosforo e delle calcificazioni cardiovascolari in pazienti in dialisi peritoneale: esperienza di un Centro B. Oliva, R. Mongiovì, V. Agnello, A. Amato, A. Barillà, S. Calabrese, V. Vinti, F. Caputo, V. Sparacino pag. 47 Inatteso riscontro di ernia di ansa intestinale nel sito di ingresso del catetere peritoneale (CP) in paziente in CAPD sottoposto a colecistectomia B. Scalzo, P. Mesiano, T. Fidelio, S. Savoldi, M. Bianco, R. Schieroni, F. Poy pag. 47 Marcatori di stress ossidativo nei pazienti con insufficienza renale: effetti del trattamento dialitico G. Torti, G. Castoldi, L. Perego, C. Bombardi, P. Mariani, F. Prolo, M. R. Viganò, L. Antolini, M. G. Valsecchi, A. Stella Pag. 48 6 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 COMUNICAZIONI ORALI Epidemiologia LA DIALISI PERITONEALE NEL NUOVO ANZIANO: L’ULTRAOTTANTENNE A.R. Rocca, C. Esposto, G. Utzeri, V. Angeloni, E. Albanese, A. Filippini Centro di Riferimento di Nefrologia e Dialisi. Ospedale S. Giacomo in Augusta. Roma Introduzione: L’età media dei pazienti (pz) che iniziano la terapia dialitica è in continuo aumento, e sono sempre più numerosi i pz anziani. Non esiste un criterio unanime nella definizione anagrafica di “anziano”, per tale motivo i numerosi studi che analizzano i risultati delle tecniche dialitiche in tale fascia di età, sono difficilmente paragonabili. Infatti le condizioni cliniche e le aspettative di vita sono ovviamente diverse se consideriamo pz di età superiore a 65 anni o 75 anni. In quest’ultima fascia di età si riscontrano più facilmente complicanze cardiovascolari, malnutrizione, ridotta autonomia. Scopo dello studio: valutare i risultati clinici ottenuti nei pz con età superiore a 80 anni trattati nel nostro Centro con Dialisi Peritoneale nel periodo gennaio 2000 - dicembre 2007. Pazienti e metodi: Sono stati studiati 14 pz, 10 f e 4 m, età anagrafica all’inizio della terapia dialitica era 83,1±4,2 aa, pari al 18,4% della popolazione che aveva iniziato DP nello stesso periodo. La terapia sostitutiva era stata scelta sulla base di motivi clinici, organizzativi, sociali. 4 pz in CAPD con 2-3 scambi da 2 l al giorno e 10 in APD con 15 l. 10 pz avevano la necessità di un partner per eseguire gli scambi. Dopo 3 mesi dall’inizio della DP e all’uscita dalla terapia sono stati valutati i seguenti parametri: Clcr, KT/V, albuminemia, Hb, funzione renale residua, PTH, Ca, P, BMI,colesterolo,trigliceridi, ferritina. Risultati: 8 pz erano affetti da nefroangiosclerosi, 1 da nefropatia diabetica, 2 GNF cronica, nei restanti 3 la causa era sconosciuta. All’inizio del trattamento 11 pz avevano uno o più fattori di rischio clinico elevato oltre l’età: 5 cardiopatia ischemica, 4 vasculopatia periferica, 1 demenza, 1 DM. La durata media del trattamento dialitico è stata di di 24 ± 11,7 ms (range 11-44).9 pz sono deceduti in DP in media dopo 25 mesi di terapia: 3 per accidenti cerebrovascolari, 1 per peritonite (P) fungina, 2 per neoplasia, 2 per IMA, 1 per cachessia., 1 pz è stato trasferito in HD per perdita dell’UF; 4 pz continuano ad effettuare la DP, di questi 3 in APD con partner e 1 in CAPD (2 scambi al giorno). Durante l’osservazione 3 pz hanno sviluppato uno episodio di P. I germi responsabili sono stati: Candida Albicans, E.Coli, e 1 a coltura sterile. Escluso il periodo di addestramento iniziale 12 pz hanno avuto uno o più ricoveri, con una ospedalizzazione complessiva di 17gg /pz, 11 pz presentavano una diuresi > 500 cc e tutti i pz risultavano ben dializzati (Ccr/sett basale 59,7 ±14 l, KT/Vsett basale2± 0,3, Ccr/sett exit 53 ±13 l, KT/V exit 2±0,2) con albuminemia bas. 3,6±0,2 e alla fine dell’osservazione di 3,4±0,3. Conclusioni: l’invecchiamento della popolazione in generale ha fatto si che i pazienti anziani che iniziano la dialisi sia in progressivo aumento. Per questi pz la DP rappresenta una terapia domiciliare semplice con risultati sovrapponibili all’emodialisi. Non sono molti i lavori che prendono in considerazione i pz ultraottantenni. I nostri dati indicano che nei pz molto anziani la DP consente una sopravvivenza accettabile. L’incidenza della P è bassa, a dimostrazione che l’età molto avanzata non rappresenta un fattore di rischio. L’ospedalizzazione resta elevata, legata soprattutto, a complicanze extradialitiche, quali patologie cardiovascolari e difficoltà nella gestione domiciliare, proprie delle scarse risorse a disposizione. In conclusione quindi anche se la DP nei pz molto anziani consente una sopravvivenza accettabile, dal punto di vista organizzativo richiede un impegno gravoso per la famiglia, pertanto è auspicabile l’istituzione di un sistema assistenziale alternativo: quali ”nursing home” o case di riposo attrezzate. 7 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 COMUNICAZIONI ORALI Adeguatezza Dialitica RIMOZIONE DEL FOSFORO IN DIALISI PERITONEALE: ICODESTRINA VS SOLUZIONE STANDARD A. R. Rocca, C. Esposto, G. Utzeri, A. Filippini Centro di Riferimento di Nefrologia e Dialisi. Ospedale S. Giacomo in Augusta. Roma Introduzione: La relazione tra alterazioni del metabolismo Ca-P e mortalità/morbilità sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nei pz. in dialisi. Il controllo dell’iperP può essere effettuato attraverso la restrizione dietetica (difficile da applicare in DP per le perdite proteiche obbligate attraverso la membrana peritoneale), l’uso di chelanti e con una dose dialitica adeguata. La DP analogamente alla HD riesce a rimuovere solo parzialmente il P introdotto con gli alimenti. In effetti la rimozione media giornaliera di P si aggira intorno a 300 mg/die. (65 mg/scambio con sacche a concentrazione 1,36% ). Non esistono al momento dati in letteratura sull’estrazione del P durante uno scambio con ICO 7.5 %. Scopo dello studio: confrontare la rimozione dialitica del P durante uno scambio di 8 ore con icodestrina e con soluzione all’1,36%. Pazienti e metodi: abbiamo arruolato 19 pz stabili in trattamento dialitico peritoneale come prima scelta, età dialitica media 27 ± 21 ms, età anagrafica media 63 ± 12 aa, F/M 15/4.In tutti i pz sono stati presi in considerazione i seguenti parametri: adeguatezza dialitica, rimozione dialitica del P con 1 scambio notturno di 8 ore con ICO e con dialisato a concentrazione 1,36%, calcemia, fosforemia, fosfatasi alcalina, PTH, test di trasporto peritoneale. In 16 pz che presentavano una diuresi residua > 500 cc/24h, è stata misurata l’estrazione urinaria del P. L’elaborazione statistica è stata effettuata con il test T per il confronto delle medie dei campioni appaiati e sono stati considerati significativi i test con una probabilità p<0,05. Risultati: Tutti i pz risultavano ben dializzati (Ccr/sett 63,9±18 l/sett; KT/Vsett 2,3± 0,6), con calcemia 9,1±0,5mg/dl; fosforemia 4,9±0,9mg/dl; CaxP 50,4±9,4; FA 102±54, PTH 287±127 pg/ml. La Clcr con un singolo scambio risultava essere 3,4 ml/min con 1,36% e 4,4 ml/min con ICO (p<0,002). La rimozione del P era 69 mg con la 1,36 e 110 mg con la ICO (p<0,002). 110 100 90 80 Media 70 60 RIMPICO RIMP136 Conclusioni: L’ICO è un polimero del glucosio indicato nei pazienti con alto trasporto peritoneale e scarsa ultrafiltrazione. I risultati del nostro studio documentano una estrazione di P significativamente maggiore con l’ICO rispetto alle soluzioni standard, verosimilmente in relazione a una maggiore ultrafiltrazione. Ciò ovviamente necessita di ulteriori studi anche in considerazione dell’assenza di riferimenti bibliografici in merito. Ma se venisse confermato rappresenterebbe una ulteriore indicazione all’utilizzo della molecola in DP, rivestendo un ruolo centrale già nella prima prescrizione. 8 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 COMUNICAZIONI ORALI Aspetti Nutrizionali IL MUSCOLO SCHELETRICO DEI PAZIENTI UREMICI ALL’INGRESSO IN DIALISI PERITONEALE ESPRIME CITOCHINE PROINFIAMMATORIE M. Di Martino, A. Tarroni, V. Procopio, D. Verzola, V. Cappelli, E. Vigo, I. Mannucci, A. Sofia, A. Valli, M. Malerba1, G. Garibotto, F. De Cian1, S. Saffioti Clinica Nefrologica, Dialisi e Trapianto, DiMI e DICM1, Università di Genova, Azienda Università – Ospedale San Martino Introduzione: L’uremia è considerata uno stato proinfiammatorio associato ad elevata morbosità e mortalità cardiovascolare. Uno stato infiammatorio è spesso evidente nei pazienti malnutriti, tuttavia non è chiaro se la malnutrizione di per sé possa influire sulla produzione di citochine. Si ritiene che l’aumento in circolo di citochine proinfiammatorie derivi dalle cellule circolanti o dall’endotelio, tuttavia anche i tessuti somatici come il muscolo scheletrico e l’adipocita possono rappresentare un possibile sito di produzione di citochine. In questi tessuti, diversi fattori sia fisici che metabolici influenzano la funzione immune. Scopo del lavoro: Valutare gli effetti dell’uremia e dei parametri nutrizionali sulla sintesi di citochine proinfiammatorie nel muscolo scheletrico, all’inizio della terapia sostitutiva. Materiali e metodi: Su biopsie muscolari (muscolo retto dell’addome) di pazienti (15 M, 15 F, età 69± 2 aa) con insufficienza renale cronica avanzata (CKD stadio 4), eseguite in corso di posizionamento del catetere peritoneale, e in 9 controlli sani (4 M, 5F, età 62 ± 5) abbiamo valutato l’espressione proteica (immunoistochimica) e molecolare (mRNA) di Il-6, Il-8, TNF-D e beta-actina (gene housekeeping) (RT-PCR semiquantitativa). Il recettore per IL-6 e il glicogeno muscolare sono stati valutati in immunoistochimica. I valori plasmatici di IL-6 sono stati misurati con ELISA. Risultati: Nel tessuto muscolare dei pazienti uremici rispetto ai controlli erano iperespresse sia IL-6 (proteina ) (+100%; p<0.05) che IL-6 mRNA (+50%; p< 0.03). L’espressione del mRNA del TNF-D era aumentata anche se in modo non statisticamente significativo, mentre l’espressione sia genica che proteica di IL-8 era simile ai controlli. Il contenuto muscolare in glicogeno era ridotto del 25%(P=ns). L’espressione genica di IL-6 si correlava direttamente ai limiti della significatività statistica (p<0.05-0.07), con valori di creatinina, albuminemia e azoto ureico, ma non con i parametri infiammatori (PCR,fibrinogeno,IL-6) Conclusioni: Questi dati mostrano che nei pazienti uremici all’inizio della terapia dialitica, il tessuto muscolare esprime uno stato microinfiammatorio con alterazioni selettive della sintesi di citochine, caratterizzate principalmente da aumentata sintesi di IL-6. Una riduzione del contenuto di glicogeno e/o l’uremia per se potrebbero essere alla base di queste alterazioni. IL TELMISARTAN MIGLIORA LA SENSIBILITÀ ALL’INSULINA DEI PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE A. Cioni, C. Sordini, R. Bigazzi U.O. Nefrologia - A.S.L 6 , Livorno Introduzione: E’ noto che i pazienti affetti da insufficienza renale cronica hanno un’alta mortalità cardiovascolare, elevata aterosclerosi e una resistenza periferica all’insulina (insulino-resistenza: IR). Si osserva un miglioramento IR quando viene iniziato il trattamento sostitutivo: emodialisi (HD) o dialisi peritoneale (DP). Tuttavia i pazienti trattati con DP sono comunque più soggetti a sviluppare e mantenere uno stato di IR: l’assorbimento peritoneale di glucosio dal liquido dialitico causa una stimolazione cronica alla produzione d’insulina e questo può condurre ad uno stato di iperinsulinismo. Recentemente sono stati pubblicati studi che mostrano come il Telmisartan, un bloccante del recettore dell’angiotensina (ARB), agisca da parziale agonista dei recettori intracellulari di tipo PPAR-y. In tal modo esso influenza l’espressione del gene deputato al metabolismo dei carboidrati ed ha, quindi, un effetto positivo sui parametri metabolici, in particolare la glicemia e la resistenza all’ insulina. Scopo: Lo scopo del lavoro è la valutazione attraverso modelli certificati dell’ efficacia del 9 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Telmisartan in senso di riduzione dei valori glicemici e di miglioramento dello stato di resistenza all’ insulina nei pazienti trattati con DP. Materiali e metodi: La tecnica del clampaggio, da cui deriva l’indice di sensibilità all’insulina (ISI), è considerata la metodica di elezione per la valutazione della IR, ma questa tecnica è indaginosa e non facilmente applicabile in studi clinici. Il metodo di terminazione secondo il modello omeostatico della IR (HOMA-IR) correla strettamente con ISI. In questo studio abbiamo valutato l’IR in 30 pazienti non diabetici in DP (CAPD e CCPD) prima e dopo trattamento con Telmisartan (80 mg/die) per tre mesi. Durante il trattamento con il sartanico i pazienti proseguivano la loro usuale terapia, la quale comprendeva vitamina D (tutti), statine (20 pazienti), antiipertensivi (24), eritropoietina (tutti) e chelanti del fosfato (tutti). Non si sono registrate significative modifiche della funzione renale residua (FRR), né vi sono state modifiche nella tecnica dialitica. Risultati: Il Telmisartan ha significativamente ridotto i livelli d’insulina a digiuno da 24.3 ± 3.5 a 11.4 ± 1.4 umol/L (p < 0.0005) e lo HOMA-IR da 2.4 ± 0.32 a 1.61 ± 0.20 (p < 0.04). Nessun cambiamento significativo si è osservato per valori pressori, glicemia a digiuno, colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi, Hgb glicosilata. Conclusioni: I nostri risultati preliminari mostrano che il Telmisartan determina una riduzione dei valori della insulinemia a digiuno e un’ aumento della sensibilità all’ insulina misurata con HOMAIR nei pazienti trattati con DP. COMUNICAZIONI ORALI Clinica e Terapia DECREMENTO DELLA FRR PRIMA E DOPO L’INIZIO DELLA CAPD L. Neri, S. Barbieri, G. Viglino S.O.C. Nefrologia e Dialisi, Ospedale San Lazzaro, Alba (CN) Introduzione: La funzione renale residua (FRR) è un fattore prognostico molto importante nei pazienti (pz) in dialisi. Se numerosi studi hanno confrontato il decremento della FRR dopo l’inizio della dialisi nelle diverse metodiche, mostrando come in CAPD questa si conservi più a lungo rispetto alla HD e forse anche alla APD, gli studi che abbiano confrontato il decremento della FRR anche con il periodo predialitico sono scarsi. Scopi dello studio: Confronto retrospettivo tra il calo della FRR prima e dopo l’inizio della CAPD. A questo scopo abbiamo considerato i pz che hanno iniziato la CAPD come 1° trattamento sostitutivo presso il nostro centro dal 01/12/95 al 31/05/07. Materiali e metodi: Nel periodo considerato hanno iniziato la DP come 1° trattamento 139 pz di cui 62 mediante CAPD. Di questi ultimi sono stati esclusi: 6 pz in CAPD per cause non renali, 8 pz per patologie gravi tali da alterare la valutazione della FRR (cirrosi e insufficienza cardiaca congestizia), 9 pz per follow up predialitico < 4 mesi (late referral), 14 pz per inadeguato follow up post dialitico (incontinenza urinaria, decesso < 4 mesi, N° determinazioni < 3), 1 pz per ripresa FRR. Di ciascun pz sono state considerate tutte le determinazioni della FRR effettuate prima e dopo l’inizio della CAPD, fino ad un massimo di 24 mesi per ciascun periodo interrompendo l’osservazione al passaggio dalla CAPD alla APD od alla HD. La FRR è stata valutata mediante il GFR misurato con la raccolta urine 24 ore e calcolato come media di clearance urea e creatinina normalizzata per 1,73 mq di superficie corporea. Il decremento medio nei 2 periodi è stato valutato mediante il coefficiente di regressione lineare ed il confronto effettuato mediante il test T per dati appaiati. 10 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Risultati: I pz considerati sono risultati 24 (Maschi: 14 pz; DM: 12 pz; età media 66,6 ± 10,7 anni; GFR medio di inizio dialisi: 6,6 ± 2,2 ml/min/1,73 mq) con un follow up pre e post dialitico rispettivamente di 17,2 ± 7,5 e 15,8 ± 7,4 mesi/pz. Le misure del GFR considerate sono risultate 252 (10,5 ± 4,3/pz) nel periodo predialitico e 237 (9,9 ± 4,6/pz) dopo l’inizio della CAPD. Con il trattamento dialitico in 20 pz si registrava un rallentamento della perdita di FRR. In particolare il decremento medio del GFR dopo l’inizio della CAPD nei 24 pz considerati è risultato rispettivamente di -0,431 ± 0,393 e di -0,149 ± 0,213 ml/min/mese, valori significativamente differenti (p < 0,002). Conclusioni: Pur nei limiti di uno studio retrospettivo con pochi pz i risultati mostrano come l’inizio della CAPD si associ ad un rallentamento della perdita di FRR. Le implicazioni sulla scelta della metodica e su quando iniziare la dialisi giustificano secondo noi lo sforzo di affrontare tale problema con uno studio adeguato che ne chiarisca anche le eventuali ragioni. PROTOCOLLO DI SORVEGLIANZA SULL’INSORGENZA DELLA SCLEROSI PERITONEALE (EPS) NEI PZ IN DIALISI PERITONEALE (DP) R. Corciulo, R. Russo, V. Pepe, F. P. Schena Divisione di Nefrologia e Dialisi, Policlinico, Bari Introduzione: La sclerosi incapsulante del peritoneo (EPS) è una complicanza della DP che può portare ad occlusione intestinale spesso associata alla formazione di ascite. L’incidenza varia tra lo 0.7 - 0.9% con incidenze del 40% per pazienti (pz) con età dialitica superiore ai 60 mesi ed è caratterizzata da elevata mortalità. Scopo del lavoro: Applicare un protocollo di sorveglianza per individuare, in pazienti in DP, segni ecografici e/o radiologici precoci ed evocativi di danno del peritoneo per sospendere “per tempo” la DP ed evitare l’evoluzione in EPS. Materiali e metodi Sono state studiate due popolazioni di pz avviati alla DP nei periodi 1.1.1991 - 31.12.1999 e 1.1.2000 - 31.12.2006 per un totale di 269 pz. Nel primo periodo venivano studiati i pz (n.127) solo in presenza di sub occlusione intestinale (SI) durante la DP o dopo il trasferimento all’HD. Nel secondo periodo si applicava un protocollo di sorveglianza su tutti i pz in DP con età dialitica > 36 mesi, su quelli con età dialitica minore ma con un numero di peritoniti > 4 episodi o con SI (n.193). Il protocollo prevedeva l’esecuzione di esami quali l’Rx diretta dell’addome (RA) l’ecografia (EC) e la TAC addominale all’inizio dello studio e la ripetizione delle indagini ogni 12 mesi. Risultati: L’incidenza di EPS nel primo periodo è stata del 2,36% ed i tre pz con EPS sono deceduti dopo la sospensione della DP. L’incidenza di EPS nel periodo di sorveglianza è stata dell’1,03%. I due pz con quadri radiologici di EPS, ma clinicamente silenti, sono deceduti nonostante la terapia farmacologica attuata. La RA ha evidenziato calcificazioni nel 7,5% e reperti normali nel 92,5%; l’EC ha evidenziato ispessimento del peritoneo > 5 mm nel 10% dei pz mentre nel restante 90% i reperti erano normali. I segni radiologici rilevati alla TAC sono stati: ispessimento del mesentere (31,2%), ispessimento del peritoneo parietale (21,2%), affastellamento delle anse del tenue (16,3%), ispessimento della parete intestinale (10%), calcificazioni (7,5%), raccolte saccate endoaddominali (7,5%). Nel 31,2% dei pz la TAC era normale. In 10 pz con ispessimento del mesentere, del peritoneo parietale ed iniziale affastellamento delle anse intestinali, si è sospesa “per tempo” la DP pur in assenza di sintomi clinici. L’introduzione precoce di una terapia farmacologica causale ha dato risultati a distanza evidenti e positivi (nessun exitus nei pz in cui si è effettuato l’intervento). Conclusioni: La riduzione dell’incidenza dell’EPS è stata significativa e ciò conferma che lo studio dei segni radiologici precoci ha dato risultati incoraggianti sulla prevenzione di tale complicanza. L’esecuzione periodica di una TAC addominale, secondo i criteri adottati nel protocollo, è uno strumento utile ed il più sensibile per la diagnosi precoce nel paziente con fibrosi peritoneale. La TAC, seppur dai costi non contenuti, è un’indagine attendibile, non invasiva, facilmente ripetibile, a basso rischio radiologico e capace di sostituire indagini più complesse e cruente come la biopsia peritoneale proposta da qualche AA. per la diagnosi di EPS. Il ricorso alla TAC, qualora esteso come routine a casistiche più numerose, dovrà essere rivalutato criticamente in relazione alla periodicità dei controlli per ottimizzare le risorse economiche ed umane disponibili. UTILITÀ DEL PEPTIDE NATRIURETICO B (BNP) NEL FOLLOW-UP DEI PAZIENTI IN DIALISI 11 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 PERITONEALE COME INDICATORE DI FUNZIONE CARDIACA L. Maltagliati, G. Romei Longhena, R. Cimino, R. Colombo, F. Masi, A. Manfredi, A. Scilletta, R. Savino, U. Teatini Divisione Nefrologia e Dialisi, Ospedale Bollate, Milano Scopo del lavoro è di verificare la relazione tra BNP plasmatico e funzione cardiaca (determinata con ecocardiogramma) nei pazienti in Dialisi peritoneale Sono stati misurati i valori plasmatici di BNP in 20 pazienti in dialisi peritoneale cronica. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: nel gruppo 1 (10 pazienti) erano compresi i pazienti con BNP > di 150 ng/ml; nel gruppo 2 (10 pazienti) quelli con BNP < 150 ng/ml. Le caratteristiche cliniche (età, età dialitica, diuresi residua, UF peritoneale, Pressione Arteriosa Media) dei due gruppi non dimostravano differenze statisticamente significative. età DP diuresi anni mesi ml/die Gruppo 1 70,3±6,2 14,2±6,7 831±198 UF perit Totale UF ml/die ml/die 422±116 1253±238 PAM 105,7±4 Gruppo 2 67,5±4,1 17,5±8,5 616±142 565±213 1181±127 103,5±2 p ns ns ns ns ns ns Risultati: Nella Tabella sottostante sono rappresentati i parametri biochimici ed ecocardiografici dei 2 gruppi: Gruppo 1 Gruppo 2 BNP 529±271 FE % 46,8±3,8 DVS 54,3±3,1 DAS 47,2±3,2 SIV 11,6±1,1 98,6±31,5 p <0.001 54,1±4 p <0.001 49,2±4,3 p <0.001 38,1±2,2 p <0.001 10,7±1,3 p: ns FE= frazione eiezione, DVS e DAS= diametro ventricolo e atrio sin, SIV= setto interventricolare. Esiste una differenza significativa tra i 2 gruppi del BNP, del Diametro del VS e dell’ atrio sin, non del Setto IV. 2 Alla regressione lineare il BNP si dimostra predittore dell’FE con R = 0.72 e p = 0.04. 60 FE % 55 50 45 R2 = 0,72 $ $$ $ $ $ $ $ $ $ 40 250 $= gruppo 1 500 750 1000 BNP = gruppo 2 In conclusione: la determinazione del BNP plasmatico nei pazienti in DP è un utile indicatore e strumento semplice ed economico per il monitoraggio della funzione cardiaca 12 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 COMUNICAZIONI ORALI Peritoniti POSSIBILI FATTORI DI RISCHIO DI FIBROSI PERITONEALE (FP): NOVITÀ E CONFERME *A. Pappani, *R. Perulli, *A. M. Ferri, *A. Mastrodonato, *I. Clemente, *D. Piano, *M. Querques, **L. Cinquesanti, **F. Tricarico *U.O. Nefrologia e Dialisi a Direzione Ospedaliera, “OO. RR.”, Foggia **U.O. Chirurgia D’Urgenza a Direzione Ospedaliera, “OO.RR.”, Foggia Introduzione: La fibrosi peritoneale rappresenta una grave complicanza della dialisi peritoneale, con evoluzione per lo più sfavorevole (morte per cachessia), legata a diversi fattori predisponenti tipo peritoniti, anni di dialisi, bio-compatibilità dei materiali. Scopo del lavoro: Scopo del nostro lavoro è cercare di individuare i fattori di rischio che la possono causare attraverso uno studio retrospettivo dei casi di fibrosi peritoneale verificatesi nel nostro Centro negli ultimi 15 anni. Materiali e metodi: 350 pazienti sono stati trattati in peritoneo-dialisi presso il nostro Centro dal 1982 al 2006. Di questi 23, pari al 6,3%, hanno presentato una sintomatologia riferibile a fibrosi peritoneale. In tutti sono stati valutati: malattia di base, malattie gastro-intestinali preesistenti, età anagrafica ed età dialitica, numero di peritoniti e germe implicato, tipo di catetere, set, sacche e disinfettante di linea, prodotto Ca x P , antibiotici utilizzati nel trattamento delle peritoniti e terapia farmacologica seguita dal paziente. Risultati: Confermiamo una maggiore incidenza di FP nei pz. con più anni di dialisi( > a 38 mesi), con maggior numero di peritoniti (1 epis./10 mesi) sostenute da stafilococco aureo, e trattati per più di 2 settimane con antibiotici intraperitoneali, tipo vancomicina. La novità che emerge dal nostro studio è la correlazione tra malattia di base e fibrosi peritoneale, non ancora segnalata da AA. Infatti abbiamo riscontrato che il 55% dei pz. (12 > 23) con fibrosi peritoneale aveva come malattia di base “rene policistico dell’adulto“. Inoltre, altro dato interessante, in tutti e 23 pz. studiati erano presenti complicanze intestinali pre – CAPD come diverticolosi intestinale o colelitiasi: probabilmente in tali casi e’ più facile trovare questa complicanza perché i pazienti sono più esposti ad infiammazioni croniche anche per fattori genetici. Non si riscontrava nessuna correlazione con il numero degli scambi, il n. delle ipertoniche, il tipo di catetere, o set (Y a due vie), né con i disinfettanti di linea o tipo di tampone (in tutti lattato). Conclusioni: Ulteriori studi sono necessari per confermare tali dati, e se così fosse, la malattia policistica non sarebbe più una controindicazione relativa, ma assoluta alla CAPD. COMUNICAZIONI ORALI Altro INFLUENZA DELLE COMORBILITÀ PRE-TRATTAMENTO SULLA SOPRAVVIVENZA IN EMODIALISI E DIALISI PERITONEALE S. Turina, L. Manili, M. Sandrini, R. Zubani, G. Cancarini Sezione di Nefrologia e U.O.C. di Nefrologia, Università e Spedali Civili di Brescia Introduzione: la letteratura riporta risultati contrastanti sul confronto di sopravvivenza dei pazienti (pz) in emodialisi (HD) e dialisi peritoneale (DP) anche dopo aver corretto per le comorbidità pretrattamento. Scopo dello studio: valutare il diverso impatto sulla sopravvivenza in HD e DP dei fattori di rischio pre-trattamento per definire possibili controindicazioni per una delle due metodiche. Materiali e metodi: studio retrospettivo monocentrico su 1343 pz incidenti dal 1981 al 2006: 756 (56%) pz in HD e 587 (44 %) in DP. Sono stati registrati: sesso, razza, età, patologia di base, fattori di rischio (vasculopatia periferica e cerebrale, cardiopatia ischemica, aritmia, ipertensione arteriosa, ipertensione maligna, dislipidemia, neoplasia, cirrosi, BPCO, infezioni urinarie recidivanti, diabete mellito tipo I e II), durata dei trattamenti, causa decesso, causa cambio metodo. L’analisi della sopravvivenza è stata effettuata sia con l’approccio “as treated” (AS) che “intention to treat” (ITT), utilizzando, per l’univariata, il metodo di Kaplan-Meier (confronti con logrank test) e, per la 13 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 multivariata, il modello del rischio proporzionale di Cox. Risultati: l’età non differiva nei due gruppi. I fattori di rischio erano uniformemente distribuiti nei due gruppi tranne la vasc. cerebrale (p<0.001) e la dislipidemia (p<0.001) prevalenti in DP e la malattia. multisistemica (p<0.01) prevalente in HD. All’analisi di Cox, sia AS sia ITT, il tipo di dialisi non condizionava la sopravvivenza del pz (p:NS). Sono state individuate numerose variabili significativamente influenzanti la sopravvivenza nella popolazione complessiva: età (p<0.0001), vasc. periferica (p<0.0001), vasc. cerebrale (p<0.001), cardiopatia ischemica (p<0.0001), neoplasia (p<0.002), cirrosi, diabete tipo II e malattia. multisistemica. Le medesime variabili sono risultate anche considerando separatamente le singole metodiche. In DP la BPCO appare come fattore di rischio condizionante la sopravvivenza solo nell’analisi AS (HR=1.59; p<0.006). La cardiopatia ischemica risulta significativa solo in HD nell’analisi AS (HR=1.36; p<0.009), ed in entrambe le metodiche nell’analisi ITT. L’analisi di Cox eseguita separatamente in pz diabetici, cardiopatici, vasculopatici, anziani (>65 anni) non ha rilevato un effetto del tipo di dialisi sulla sopravvivenza. Il sesso femminile in DP ha una minor sopravvivenza (HR= 1.28; p<0.03). Conclusioni: la sopravvivenza del paziente non è influenzata dal tipo di metodica dialitica utilizzata. I fattori di rischio considerati non sembrano esercitare effetti diversi nelle due metodiche, salvo un effetto prognosticamente sfavorevole all’AS della BPCO in DP della cardiopatia ischemica in HD. PEPTIDE NATRIURETICO DI TIPO B (BNP): INDICATORE DI SOVRACCARICO IDRICO IN DIALISI PERITONEALE? D. Ciurlino, S. Tedoldi, I. Serra, S. V. Bertoli Unità operativa di Nefrologia e Dialisi, IRCCS Multimedica Holding, Sesto San Giovanni, Milano Introduzione: Il fattore natriuretico di tipo B (BNP) è una proteina prodotta prevalentemente dai cardiomiociti ventricolari ed è considerato un importante marker di mortalità nei pazienti cardiopatici. E’ stato osservato come i pazienti affetti da insufficienza renale terminale presentino livelli di BNP più elevati rispetto alla popolazione generale verosimilmente come conseguenza della contemporanea presenza di tre fattori di rischio: ridotta clearance renale, miocardiopatia, sovraccarico idrico. Scopo: Scopo del nostro studio è stato quello di valutare i livelli di BNP in un gruppo di pazienti in dialisi peritoneale in relazione allo stato di idratazione, alla clearance renale residua e alla funzione ventricolare. Materiali e metodi: Sono stati studiati 20 pazienti in dialisi peritoneale (8 in APD –12 in CAPD), 7 F e 13 M, di età media di 63 r 17 anni, età dialitica di 17 r 13 mesi. I livelli plasmatici di BNP sono stati determinati mediante metodo immunoenzimatico MEIA (a cattura di microparticelle) ed espressi in pg/ml (v.n.<100). Lo stato di idratazione è stato valutato mediante analisi bioimpedenziometrica (Akern BIA 101). La clearance della creatinina è stata calcolata sulla diuresi residua delle 24 ore. Per la valutazione della funzionalità cardiaca tutti i pazienti sono stati sottoposti a studio ecocardiografico calcolando il volume telediastolico (VTD), volume telesistolico (VTS), spessore setto interventricolare (SS), spessore parete posteriore (PP) e frazione di eiezione (FE). L’analisi statistica è stata effettuata tramite test di Student. Risultati: I livelli plasmatici medi di BNP erano pari a 511.3 ± 430.1 pg/ml. I valori medi di acqua corporea totale erano di 54.9 ± 7.2%, con una distribuzione media pari a 46.9 ± 3.9% di acqua extracellulare e di 53 ± 3.9% di acqua intracellulare. La clearance renale residua era di 6.8 ± 5.2 ml/min con una diuresi residua media di 1240 ± 855 ml/24h. I parametri ecocardiografici valutati presentavano valori medi di: VTD 104 ± 33.1 ml, VTS 55 ± 30 ml, SS 12 ± 1.7 mm, PP 11 ± 1.7 mm, FE 54 ± 13%. Abbiamo riscontrato una correlazione statisticamente significativa diretta tra BNP e VTD (p=0.004) e BNP e VTS (p=0.015) e inversa tra BNP e FE (p=0.014), mentre nessuna significatività tra BNP e spessori parietali del ventricolo. E’ risultato inoltre un trend positivo verso la significatività tra livelli di BNP e acqua corporea totale (p=0.083). Non abbiamo riscontrato una correlazione significativa tra BNP e clearance renale residua come pure tra BNP e trattamento DP manuale e automatizzato. 14 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Conclusioni: Il nostro studio conferma che i livelli di BNP correlano con la disfunzione cardiaca e che rappresentano un marker di cardiopatia anche nei pazienti in terapia sostitutiva con dialisi peritoneale. Tuttavia nel nostro studio i livelli di BNP sono risultati mediamente elevati rispetto ai valori attesi per il grado di compromissione cardiaca. Poiché nel nostro studio abbiamo riscontrato un trend positivo verso la significatività tra BNP ed acqua corporea totale si può ipotizzare che i pazienti da noi analizzati siano in uno stato di iperidratazione e che i livelli di BNP siano ad esso correlati. DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER Predialisi e Scelta Dialitica DAL PREDIALISI ALLA DIALISI PERITONEALE: È NECESSARIO CAMBIARE LA TECNICA DI IMPIANTO DEL CATETERE? S. Mangano, D. Martinelli, S. Brenna, L. E. Bernardi, D. Pogliani, G. Tettamanti, A. Beltrame, G. Bonforte U.O. di Nefrologia e Dialisi, Azienda Ospedaliera “S.Anna”, Como Introduzione: Dal 2004 presso l’U.O. è stato introdotto un ambulatorio di predialisi per migliorare l’accesso al trattamento dialitico. Questo ha permesso di incrementare il numero dei pazienti che iniziavano il trattamento emodialitico con accesso definitivo; lo stesso risultato non è stato ottenuto in dialisi peritoneale perché i pazienti mal tollerano il posizionamento precoce del catetere per i controlli clinici che ne derivano (lavaggi e medicazione exit-site) con il rischio di procrastinare il posizionamento del catetere e di iniziare la dialisi con un catetere venoso centrale. Materiali e Metodi: Per questo motivo dal febbraio 2006 nel nostro centro abbiamo modificato la tecnica d’impianto del catetere peritoneale in due tempi: 1°) il catetere posizionato con tecnica classica ma completamente marsupializzato nel sottocute 2°) esteriorizzazione della parte terminale al momento dell’inizio del trattamento Dall’aprile 2005 al maggio 2007 sono stati posizionati 46 cateteri peritoneali, 23 con tecnica chirurgica standard (gruppo A) e 23 con la tecnica in due tempi (gruppo B) Risultati: GRUPPO A: 23 pazienti (10M, 13F) età media 61,7 (range 29 – 88), cl.creatinina 7 ± 3,7 ml/min. Questi pazienti hanno incominciato la dialisi peritoneale a pieno carico dopo una media di break-in di 31,4 giorni (14-49). Dopo un mese di trattamento la diuresi residua era di 929 ± 657 ml/24 ore ma ben 7/23 pazienti hanno iniziato il trattamento con la dialisi extracorporea. GRUPPO B: 23 pazienti (10M, 13F) età media 65,9a (range 38 – 82), cl.creatinina 11,2 ± 5 ml/min. Dopo un follow-up di 119,4 mesi non si è verificata nessuna complicanze legata al catetere, 10 pazienti hanno iniziato la dialisi peritoneale dopo una media di 109±88 (29-250) giorni raggiungendo il carico massimale previsto (1890 ± 208 ml) dopo 1,7 giorni (1-9). Pazienti (n) Cl. creat (ml/min) Break in (gg) Diuresi (ml/24h) Kt/V Inizio con HD (n) Gruppo A 23 7±3,7 31,4 929±657 2,3±0,4 7/23 Gruppo B 23 11,2±5 110 1500±670 2±0,4 1/23 P n.s. n.s. P < 0,001 P < 0,001 n.s. P < 0,001 I due gruppi non presentavano differenze statisticamente significative tra la dose dialitica (Cl. Cret. E Kt/V) ma era possibile riscontrare una differenza altamente significativa per i giorni di brek-in e la diuresi residua. Tutti i pazienti del gruppo B hanno iniziato il trattamento sostitutivo con la dialisi peritoneale; solo in un caso si è reso necessario un breve passaggio in emodialisi a causa di prolasso uterino e secondaria flogosi pelvica. Conclusioni: La tecnica di marsupializzazione è ben tollerata dai pazienti e permette un posizionamento relativamente precoce del catetere peritoneale evitando il passaggio anche breve all’emodialisi con il rischio di deteriorare la diuresi residua. 15 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER Adeguatezza Dialitica DATI DI EFFICIENZA DIALITICA E FATTORI DI COMORBIDITÀ: LA LORO IMPORTANZA IN DIALISI PERITONEALE A. Pappani, R. Perulli, M. Querques U.O. di Nefrologia a Direzione Ospedaliera, OO.RR., Foggia Introduzione: Diversi Autori indicano in un Kt/V = o > a 2,0 ed in una clear.creat. di 70 litri/sett./1,73 mq di superficie corporea gli indici ottimali di adeguatezza dialitica in uremici in dialisi peritoneale , affermando che con questi valori ci sia una riduzione del rischio relativo di morte e drop-out della tecnica. Il nostro studio vuole dimostrare come nella prognosi non siano solo importanti questi fattori , ma anche la malattia di base e i fattori di comorbilità preesistenti all’inizio del trattamento. Materiali e metodi: Sono stati studiati retrospettivamente 91 uremici in trattamento CAPD presso il nostro Centro negli ultimi 3 anni. In essi sono stati rilevati malattia di base , sesso, età anagrafica, albuminemia, Kt/V, Clear,creat./sett e condizioni di rischio presenti all’inizio del trattamento espressi come ICED, raffrontando tali dati con percentuali di morte, ospedalizzazione e drop-out. Risultati: I pazienti sono stati sudditi in 3 gruppi in base ai dati di efficienza dialitica: Gruppo A ( Kt/V > 1,9 e clear.creat.> 70 L/sett.) ĺ 34 pazienti ĺ 8 decessi + 6 drop-out Gruppo B ( Kt/V 1,9—1,7 e cl.cr. 50 -70 L/sett.) ĺ 28 pazienti ĺ 6 decessi + 4 drop-out Gruppo C ( Kt/V < 1,7 e clea.creat. < 50 L/sett.) ĺ 29 pazienti ĺ 8 decessi + 3 drop-out Discussione: Considerando i soli dati di efficienza dialitica ci si rende conto che non ci sono grosse variazioni tra i tre gruppi, in disaccordo con ciò che è stato ampiamente documentato da AA; il discorso cambia se andiamo ad abbinare a ciascun pz. i fattori di rischio che erano presenti all’inizio del trattamento: i pz del gruppo A presentavano un ICED tra 2 e 3, a differenza degli altri gruppi in cui l’ICED era tra 1 e 2. Conclusioni: Riteniamo che gli indici di efficienza dialitica da soli sono solo dei numeri e che debbano essere considerati con la stessa importanza i fattori di rischio presenti all’inizio del trattamento per una migliore visione globale del futuro della tecnica dialitica. STIMA DELLA FUNZIONE RENALE RESIDUA NEI PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE M. Zeiler, D. Ricciardi, T. Monteburini, A. Federico, R. Marinelli, S. Santarelli U.O. Nefrologia e Dialisi, Ospedale A. Murri, Jesi (AN) Introduzione: La funzionalità renale residua (FRR) è un parametro determinante per la sopravvivenza tecnica della dialisi peritoneale. La quantificazione della FRR avviene nella routine clinica con la raccolta delle urine delle 24 ore e prelievo ematico calcolando la clearance renale e Kt/V urinario. La stima della FRR con la formula di Cockroft e Gault utilizzando i parametri di creatininemia, sesso ed età non è validato in pazienti con insufficienza renale terminale con FRR Scopo del lavoro: Scopo dello studio è stato quello di sviluppare una metodica di stima della FRR in pazienti in dialisi peritoneale sulla base della sola diuresi giornaliera (Diuresi). Materiali e metodi: In 39 pazienti adulti (23 maschi e 16 femmine) con diuresi residua e terapia sostitutiva renale di dialisi peritoneale (APD in 32 casi, CAPD in 7 casi) la diuresi giornaliera è stata registrata in concomitanza con valori biometrici (sesso, età, peso, altezza), creatininemia, azotemia ed escrezione urinaria giornaliera di creatinina ed azoto. Il volume della distribuzione dell’urea è stato calcolato con la formula di Watson, la superficie corporea con la formula di DuBois. Tutti i pazienti erano sotto terapia con furosemide ad alte dosi (250-500mg al giorno). La FRR è stato calcolato con tre metodi: clearance renale settimanale della creatinina normalizzata per superficie corporea (Cl-Crea-renale), Kt/V renale dell’urea (Kt/V-renale) e media della somma della clearance renale settimanale della creatinina e dell’urea (Cl-Crea+Urea-renale). Le correlazioni venivano calcolate con la metodica di Pearson. Risultati: I pazienti presentavano una diuresi residua tra 10ml e 2800ml (mediana 570ml). La seguente tabella riassume i parametri principali dei pazienti: 16 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Min-Max Mediana Età [anni] 28-86 62 Peso [kg] 43-119 72 Altezza [cm] 147-188 165 Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Body Mass Index 17.7-39.1 25.9 Crea [mg/dl] 3.9-19.3 8.7 Urea [mg/dl] 62-237 142 Il volume di distribuzione dell’urea era tra 24.5 e 55.7 litri (mediana 37.2 litri). La diuresi residua giornaliera correlava significativamente con la Cl-Crea-renale (r=0.730, p<0.001), con il Kt/V-renale (r=0.787, p<0.001) e Cl-Crea+Urea-renale (r=0.822, p<0.001) secondo le seguenti formule matematiche: Cl-Crea-renale [litri/settimana/1.73m2] = 10.1720 + 0.0307 * Diuresi [ml] Kt/V-renale = 0.0891 + 0.0004 * Diuresi [ml] Cl-Crea+Urea-renale [litri/settimana] = 4.6930 + 0.0249 * Diuresi [ml] Il sesso non altera significativamente la relazione fra diuresi giornaliera e FRR. Conclusioni: La stima della FRR in pazienti sotto terapia dialitica peritoneale potrebbe essere possibile, secondo i nostri dati, con la sola quantificazione della diuresi giornaliera con formule facilmente applicabili nell’attività clinica quotidiana. DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER Clinica e Terapia EFFETTI A LUNGO TERMINE DEL CINACALCET NEI PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE (DP) CON GRAVE IPERPARATIROIDISMO A. Tarroni, M. Di Martino, A. Sofia, V. Falqui, L. Morabito, G. Garibotto, G. Deferrari, S. Saffioti Clinica Nefrologica, Dialisi e Trapianto, Dipartimento di Medicina Interna Università di Genova, Azienda Università, Ospedale San Martino Introduzione: L’esperienza nell’uso del cinacalcet riguarda principalmente i pazienti in terapia emodialitica (HD), mentre sono a disposizione pochi dati, e per un per un follow up relativamente breve, nei pazienti in PD. Scopo del lavoro: Scopo di questa analisi retrospettiva è presentare i dati relativi all’esperienza clinica con cinacalcet ottenuta nel nostro centro nei pazienti in PD. Materiali e metodi: Abbiamo osservato gli effetti a breve e a lungo termine (follow-up massimo 18 mesi) del cinacalcet in un gruppo di pazienti in PD (n=18) in cui era presente grave iperparatiroidismo (mediana PTH 1300 pg/ml). Il gruppo costituiva il 29 % dei pazienti prevalenti in PD. Il protocollo di trattamento prevedeva terapia con chelanti del P, vitamina D o suoi analoghi per un periodo di almeno sei mesi. In caso di non raggiungimento dei valori target di PTH era inserita terapia con cinacalcet (dose iniziale 30 mg/die). Risultati: Prima dell’inizio della terapia con cinacalcet i target di Ca, P e prodotto Ca-P erano raggiunti rispettivamente nel 22, 47 e 44% dei pazienti. I livelli di fosforemia basale erano 5.7 mg/dl, quelli del Ca 9.4 mg/dl. Il cinacalcet è stato sospeso in 2 pazienti per intolleranza gastrica, in 1 paziente per trapianto, in 1 paziente per mancata compliance ai farmaci. Nel 27% dei casi la dose era ridotta o aumentata; in 2 casi il cinacalcet era sospeso per eccessiva riduzione dei livelli di PTH. La dose massima raggiunta era 60 mg/die in 3 pazienti. A 15 giorni dall’inizio del trattamento si osservava una significativa caduta della calcemia (-11%), che tornava a livelli simili al basale al 30° giorno e si manteneva stabile nel tempo. La fosforemia scendeva significativamente (pz a target 60% a 6mesi, 83% a 12 mesi, 60% a 18 mesi). La percentuale di pazienti a target per il prodotto Ca x P passava dal 44% (basale) all’ 80% al primo mese, e si manteneva stabile nel follow-up (83% a 18 mesi). I valori di PTH scendevano in media del 47% già a 15 giorni (59% a 1 mese,71% a 6 mesi, 64% a 12 mesi e 57% a 18 mesi) e la percentuale di pazienti a target era 18% al primo mese, saliva al 33% a 12 mesi, per poi attestarsi attorno al 50% nel successivo follow-up. 17 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Percentuale di pazienti a target per PTH % pazienti 100 80 60 PTH<300 40 PTH<150 20 es i es i m 18 es i 12 m es i m m 6 3 i es e m 1 gi or n 15 0 0 Nessun paziente è andato incontro a paratiroidectomia. Conclusioni: L’uso di cinacalcet in una popolazione di pazienti in PD con grave iperparatiroidismo si è associato a un importante caduta dei valori di PTH e a un miglior controllo dei target Ca, P e CaxP rispetto alla terapia tradizionale, anche dopo un periodo d’uso prolungato. Una eccessiva caduta dei valori di PTH andrebbe osservata con attenzione per prevenire il rischio di osteopatia adinamica, frequente nei pazienti in PD. EFFICACIA DELLA DIALISI PERITONEALE CON ICODESTRINA NEL TRATTAMENTO A LUNGO TERMINE DELLO SCOMPENSO CARDIACO CONGESTIZIO REFRATTARIO F. Cazzato, D. Chimienti, A. Bruno, S. Cocola, P. Libutti, C. Basile Unità Operativa Complessa di Nefrologia e Dialisi, Ente Ecclesiastico Ospedale Generale Regionale “F. Miulli”, Acquaviva delle Fonti, Bari Premessa: Lo scompenso cardiaco congestizio (SCC) refrattario è gravato da elevata morbidità e mortalità. Scopo del presente studio è riportare la nostra esperienza nel trattamento a lungo termine dello SCC refrattario (classe NYHA IV) mediante dialisi peritoneale (DP). Pazienti e metodi: Dal gennaio 2004 sono stati arruolati nel programma 5 pazienti. E’ stato escluso dallo studio un paziente che presentava un follow-up di soli 3 mesi. I 4 pazienti erano maschi, con età media di 71.5 + 5.6 (deviazione standard) anni, con diverso grado di insufficienza renale cronica. Dopo ultrafiltrazione (UF) extracorporea e/o sedute emodialitiche di salvataggio, fu avviato un trattamento a lungo termine di DP intermittente: monoscambio notturno con Icodestrina (ICO) in 3 pazienti e doppio scambio (ICO + soluzione isotonica di destrosio) in 1 paziente. Sono stati monitorati (a 0, 3, 6, 12, 18, 24, 30, 36 e 43 mesi) funzione renale, diuresi delle 24 ore, peso corporeo, UF peritoneodialitica, evoluzione della classe NYHA ed episodi peritonitici. Sono state prese in considerazione le giornate di ospedalizzazione per problematiche cardiologiche nei 12 mesi precedenti l’ingresso in DP e nei mesi successivi all’inizio della DP. Risultati: Il follow-up dello studio è stato di 24.3 + 15.6 mesi. Dopo stabilizzazione con la DP, in tutti i pazienti vi fu un incremento statisticamente significativo della diuresi (da 587.5 + 165.2 a 1700.0 + 141.4 ml/die, p < 0.003) ed una riduzione non significativa della creatininemia (da 3.55 + 1.12 to 2.37 + 0.35 mg/dl). Il calo ponderale fu statisticamente significativo (11.3 + 3.4 kg, p < 0.007). Tutti i pazienti evidenziarono un miglioramento statisticamente significativo delle classi NYHA (da 4.0 + 0.0 a 2.5 + 2.6, p < 0.01). Tre pazienti non ebbero alcuna ospedalizzazione per problematiche cardiologiche nel periodo di follow-up in DP; normalizzando questo dato in termini di giorni di ospedalizzazione/mese, la differenza tra i 12 mesi che precedettero l’inizio della DP ed il periodo di follow-up in DP fu statisticamente significativa (4.4 + 2.9 vs 0.7 + 1.5 giorni, p < 0.04). Nessun episodio peritonitico fu rilevato nel follow-up in DP. Tre pazienti sono deceduti rispettivamente dopo 11, 13 e 43 mesi di trattamento: 2 per morte improvvisa ed 1 per cachessia neoplastica. Nessuna delle morti è attribuibile a complicanze legate alla DP. 18 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Conclusioni: La DP con le soluzioni di ICO può essere proposta come modalità di trattamento a lungo termine dello SCC refrattario. Essa permette un miglioramento nella qualità, se non nella quantità di vita. Inoltre, le ospedalizzazione per problematiche cardiologiche si ridussero in maniera straordinaria. Trials controllati e randomizzati sono necessari per confermare l’evidenza sinora basata su case reports. UN CASO CLINICO DI CALCIFILASSI IN PAZIENTE IN DIALISI PERITONEALE. RUOLO DELL’INFIAMMAZIONE. E. Valicenti, V. Martella, R. Russo, R. Corciulo U.O. di Nefrologia, Azienda Policlinico di Bari Introduzione: La vasculopatia calcificante è una frequente complicanza nel paziente dializzato e si caratterizza per la deposizione di sali di calcio all’interno della parete vascolare delle piccole arterie e arteriole. Questa complicanza è gravata da elevata morbilità e mortalità per complicanze cardiovascolari. In questo studio riportiamo un caso clinico di calcifilassi in una paziente con evidenti segni di infiammazione cronica. Caso clinico: Paziente di razza caucasica, ipertesa , obesa, insufficienza renale cronica dall’età di 53 anni. A 60 anni avvio alla CAPD . A 65 anni episodio di dermatite bollosa con comparsa di pseudoporfiria da rilascio di plastificanti (ftalati) risoltosi con l’utilizzo di sacche per dialisi peritoneali non contenenti PVC. Durante il trattamento peritoneo dialitico cinque episodi di peritonite. Dopo 9 anni di CAPD passaggio all’emodialisi per deficit dell’ultrafiltrazione. A un mese dalla sospensione della CAPD comparsa di sintomi di sub-occlusione intestinale, con aumento di volume dell’addome e ascite emorragica. L’esecuzione di una TAC evidenzia i segni di una peritonite sclerosante e pertanto viene sottoposto a terapia con steroidi e azatioprina. A dieci mesi dalla sospensione della CAPD comparsa di lesioni ischemiche acrali bilaterali, dolenti agli arti superiori ed inferiori tendenti all’ulcerazione. L’Rx delle mani evidenzia calcificazioni vascolari diffuse. Alla biopsia cutanea: calcificazioni a manicotto delle pareti delle piccole arterie e arteriole associate a una proliferazione fibrosa intimale con occlusione del lume di alcune vasi. I valori ematochimici evidenziano fosforemia 7mg/dl, Ca×P 72, PTH 40,4 pg/ml, albuminemia 2mg/dl, PCR 11mg/dl (v.n. 0.0 - 0.5), Fetuin-A 0,26g/l (v.n. 0.6 - 1.5). Dopo 16 mesi dal trasferimento in emodialisi si verifica il decesso della paziente per infarto del miocardio. Discussione: I fattori predisponesti le calcificazioni vascolari, nell’insufficienza renale cronica, sono legati ai disordini minerali del metabolismo osseo. Tra questi l’iperparatiroidismo secondario, l’iperfosforemia, l’impiego di analoghi della Vit.D e di supplementi di calcio. Altri fattori sono il sesso femminile, la malnutrizione e l’ipoalbuminemia. Un ruolo di rilievo nella patogenesi della vasculopatia calcificante è determinato dall’infiammazione, che determina un aumento delle proteine della fase acuta : PCR, amiloide di tipo A, fibrinogeno e una riduzione di albumina, transferrina e fetuin A. Quest’ultima è un fattore circolante in grado di inibire in vivo i processi di calcificazione. Conclusioni: Il caso clinico riportato, si caratterizza per l’associazione tra stato infiammatorio cronico secondario alla peritonite sclerosante e l’insorgenza di calcificassi, nella cui patogenesi svolgono un ruolo significativo i bassi livelli di fetuina. LA DIALISI PERITONEALE NEI PAZIENTI UREMICI CON INFEZIONE HIV. FOLLOW-UP DI UNA POPOLAZIONE C. Cherubini, M. E. Militello, P. Arienzo, G. Noto, S. Di Giulio U.O.S. Nefrologia e Dialisi nelle Malattie Infettive, I.N.M.I. Lazzaro Spallanzani, A.O. S. Camillo, Forlanini, Roma Introduzione: Il notevole miglioramento dell’aspettativa di vita dei pazienti HIV positivi, ha comportato un progressivo incremento del numero dei pazienti affetti da tale patologia che sviluppano un’ insufficienza renale cronica e devono entrare in un programma di trattamento sostitutivo. 19 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Dalla nostra esperienza maturata in 7 anni di attività presso l’Istituto di Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” dove vengono seguiti 4000 pazienti con infezione HIV, possiamo affermare che circa il 30% di essi sviluppa una nefropatia che può essere determinata da glomerulopatie primitive, da patologie secondarie all’infezione stessa e/o coinfezioni, al danno diretto e metabolico della terapia HAART e dei chemioterapici frequentemente usati per il trattamento delle infezioni opportunistiche. E’ da considerare inoltre che il prolungamento della vita di questi pazienti si traduce in un aumento rilevante di comorbidità legate anche al fattore età, quali il diabete e le vasculopatie, che costituiscono elemento scatenante o favorente l’insorgenza di classiche nefropatie ad esse associate. Dal momento che la gestione clinica dei pazienti HIV positivi in trattamento sostitutivo della funzione renale è estremamente complessa e peculiare, dobbiamo considerare la necessità di poterne migliorare la qualità di vita. Scopo del lavoro: Descrivere le problematiche cliniche e terapeutiche della popolazione uremica con infezione HIV trattata con dialisi peritoneale, riscontrate in 7 anni di attività rivolta a pazienti con infezioni virali sierotrasmesse ed il suo follow-up. Materiali e metodi: Nell’ U.O.S. di Nefrologia e Dialisi nelle malattie infettive seguiamo ambulatorialmente circa 1200 pazienti HIV positivi con nefropatie associate. In 7 anni di attività abbiamo trattato con terapia sostitutiva 51 pazienti HIV positivi uremici cronici, di cui 41 con emodialisi e 10 con dialisi peritoneale. In assenza di controindicazioni assolute ad entrambe le metodiche, il tipo di trattamento è stato scelto liberamente dal paziente in sintonia con il proprio stile di vita. Dei 10 pazienti trattati con dialisi peritoneale, 2 F e 8 M, età media 40,18 r 12,47, età dialitica (M r D.S.) 24 r 14,5 mesi (Range 72-13 mesi), 3 presentano una coinfezione HBV-HCV e 2 sono diabetici. Tutti i pazienti assumono terapia HAART e chemioterapici per la prevenzione di infezioni opportunistiche. Risultati: Il presunto maggior rischio di suscettibilità alle infezioni opportunistiche, segnalato dai dati di letteratura, ha rappresentato il problema minore della nostra popolazione. L’interferenza della terapia HAART di ultima generazione, di cui sono ancora poco conosciute le cinetiche ed i peculiari aspetti metabolici sviluppati nel tempo dai pazienti HIV sono responsabili di un difficile controllo dell’assetto nutrizionale, del metabolismo carboidratico e delle patologie vascolari correlate In dialisi peritoneale questi aspetti sono di più difficile gestione, limitandone l’indicazione. Conclusioni: La dialisi peritoneale rimane comunque a nostro parere un’indicazione valida, seppur limitata ad una selezionata categoria di pazienti. DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER Peritoniti PERITONITE SCLEROSANTE TRATTATA CON SUCCESSO CON ASSOCIAZIONE DI STEROIDI EVEROLIMUS E TAMOXIFENE A. M. Ricciatti,G. Goteri*, M. D’Arezzo, S. Sagripanti, L. Bibiano, F. Petroselli, G. Fabris*, G. M. Frascà U. O. Nefrologia, Ospedali Riuniti, Ancona *U. O. Anatomia Patologica, Ospedali Riuniti, Ancona Introduzione: La peritonite sclerosante è una rara, ma severa patologia che può colpire i pazienti in dialisi peritoneale, per la quale la terapia medica e/o chirurgica non riescono a fornire risultati soddisfacenti, con esito infausto in circa il 50% dei casi. Scopo del lavoro: Verificare l’efficacia di un trattamento in grado di agire a diversi livelli della via patogenetica della malattia. Materiali e metodi: Ragazzo di 19 anni, in APD da 68 mesi per patologia malformativa complessa dell’apparato urinario, tetralogia di Fallot e atresia ano-rettale, trattata chirurgicamente. Dal 2005 episodi ripetuti di peritonite da Staph Epidermidis che hanno comportato una variazione del PET da LA a HA. Per questo motivo nel febbraio 2007 il paziente è stato trasferito alla emodialisi. Dopo 3 mesi di benessere comparsa di dolori addominali, vomito e ascite. Alla TC dell’addome quadro suggestivo per peritonite sclerosante. Intervento chirurgico per lisi manuale delle aderenza maggiori e conferma istologica della diagnosi. Dopo l’intervento il paziente è stato trattato con: prednisolone alla dose iniziale di1 mg/Kg/die, progressivamente ridotto a 0,3 mg/Kg/die; everolimus 1,5 mg/die; tamoxifene 10 mg/die. Risultati: Dopo l’inizio della terapia il paziente ha presentato un rapido miglioramento delle 20 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 condizioni cliniche con ricanalizzazione intestinale, come evidenziano i controlli TC. A 6 mesi di distanza il paziente è del tutto asintomatico con indici di flogosi negativi. I livelli ematici di everolimus sono circa di 4 mcg/ml e non si sono osservati effetti collaterali. Conclusioni: Questo caso dimostra che la peritonite sclerosante può essere trattata con successo da una terapia combinata LA PERITONITE SCLEROSANTE: UN PROBLEMA EMERGENTE NEI PAZIENTI SOTTOPOSTI A TRAPIANTO RENALE R. Fenoglio1, S. Maffei2, E. Mezza3, M. Messina3, P. Stratta1, G. P. Segoloni3, G. Triolo2 1 SCDU Nefrologia e Trapianto Renale, Az. Osp. Maggiore della carità, Novara 2 SC Nefrologia e Dialisi, Az. Osp. CTO, Torino 3 SCDU Nefrologia, Dialisi e Trapianto, ASO San G. Battista di Torino La peritonite sclerosante (PS) è stata finora considerata una grave ma rara complicanza della dialisi peritoneale (DP). Le prime segnalazioni risalgono all’inizio degli anni ‘80 e da allora sono state riportate delle prevalenze molto variabili; tale discordanza deriva probabilmente dalla mancanza di una definizione “uniforme”. Recenti segnalazioni dalla letteratura indicano tuttavia un aumento dell’incidenza di tale patologia anche in pazienti con trapianto renale sottoposti in precedenza a dialisi peritoneale. In questo lavoro riportiamo 3 casi di PS diagnosticata dopo trapianto renale (Tx) in pazienti seguiti presso i 2 centri trapianto del Piemonte. 1° caso: pz di 26 aa (M), IRC in corso di sindrome malformativa sottoposto a Tx dopo 57 mesi di DP (1 peritonite in anamnesi); a 18 mesi dal Tx comparsa di quadro subocclusivo intestinale persistente con necessità di intervento chirurgico: peritonite incapsulante diffusa. 2° caso: pz di 47 aa (F), IRC ad eziologia non determinata sottoposta a Tx dopo 68 mesi di DP (più peritoniti recidivanti nella storia clinica); a 6 mesi dal Tx ricovero per importante calo ponderale, dolore in sede epi/mesogatrica e successiva comparsa di occlusione intestinale con necessità di intervento chirurgico: cavità addominale murata da uno spesso cercine fibroso avviluppante le anse ileali e voluminose raccolte liquide. 3° caso: pz di 63 aa (F), IRC secondaria a nefropatia interstiziale sottoposta a Tx renale dopo 48 mesi di DP (1 peritonite); a 42 mesi dal Tx ricovero per alvo alterno e importante calo ponderale, alla TC: ispessimento delle anse del tenue impaccate tra loro; la laparotomia esplorativa evidenziava un quadro di peritonite plastica con coinvolgimento di tutte le anse ileali, conglomerate in un’unica matassa. L’indagine istologica confermava in tutti e 3 i casi un quadro di peritonite sclerosante. Il decorso è stato favorevole per i primi 2 casi con necessità tuttavia di aumentare in entrambi la posologia steroidea; nel terzo caso si è osservato l’exitus della paziente poco dopo l’intervento chirurgico. Nei casi riportati i pazienti erano accomunati da un’età dialitica maggiore o uguale a 4 anni e dalla terapia immunosoppressiva che prevedeva, al tempo della diagnosi, inibitori della calcineurine e steroidi a basse dosi; vi era discrepanza invece per altri fattori considerati a rischio quali numero di peritoniti, utilizzo di sacche ipertoniche e/o soluzioni maggiormente biocompatibili, assunzione di betabloccanti; ampia variabilità infine è stata osservata nel tempo di insorgenza della PS dal momento del Tx. In conclusione si può ipotizzare che i soggetti precedentemente sottoposti a DP per un periodo non breve, possano sviluppare in corso di trapianto, verosimilmente in presenza di fattori costituzionali predisponenti, quadri conclamati di PS nella cui eziopatogenesi non è escludibile un ruolo favorente della terapia immunosoppressiva con inibitori della calcineurine, della tendenza ad utilizzare basse dosi di steroidi e della diminuita rimozione di fibrina in assenza di lavaggio della cavità peritoneale. 21 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 VARIAZIONE DEGLI ORGANISMI CAUSALI E DELLA LORO SUSCETTIBILITÀ AGLI ANTIBIOTICI NELLE PERITONITI: ESPERIENZA DI 10 ANNI IN UN SINGOLO CENTRO DI DIALISI PERITONEALE *M. Marani, *F. Manenti, *M. Di Luca, *M. Martello, *K. Kulurianu, **M.S. Ferreiro Cotorruelo, *R. Cecchini *Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi, A.O. “Ospedale San Salvatore”, Pesaro **Agenzia Regionale Sanitaria Marche, Ancona Introduzione: Sebbene la peritonite (P) in pz in PD sia meno frequente, tuttavia contribuisce ancora all’incremento della mortalità e rimane la principale causa di trasferimento del pz all’HD. Il carattere degli organismi causali delle P e la loro suscettibilità agli antibiotici sono fattori determinanti l’outcome clinico. Questi possono variare nel tempo in ogni singolo Centro e la scelta della terapia antibiotica iniziale dovrebbe tener conto della popolazione microbica “locale”. Scopo: Analisi retrospettiva delle P in due periodi successivi (agente causale, sensibilità agli antibiotici, outcome clinico) al fine di verificare l’appropriatezza della terapia antibiotica. Pazienti e metodi: É stata esaminata la documentazione clinica di 101 pz seguiti dal 1996 al 2005. Tutti erano stati sottoposti ad inserimento chirurgico di CP Tenckhoff Swann-Neck. La DP era iniziata dopo break-in di 3-4 settimane. La durata media del training era di 8 gg; la terapia antibiotica iniziale della P è stata: Vancomicina IP (1.5-2gr/5gg) op. Cefalotina IP 125mg/L e Netilmicina IP 0.6 mg/Kg/2L op. Ciprofloxacina OS 500 mgx2 op. Ceftazidime IP 125 mg/L. In corso di P i pz avevano mantenuto la loro terapia dialitica usuale. É stato analizzato, per le variabili “appartenenza al primo o al secondo periodo di osservazione” e “tipo metodica dialitica”, il rischio dei pz di sviluppare una P ed il rischio di presentare una P da Gram+ o da Gram-. La significatività statistica era determinata come valore di p inferiore a 0,05. L’analisi statistica è stata realizzata con Epi-info 3.2 Risultati: 39 pz hanno contratto P; la loro età media era 64,7 + 14 aa. ed il follow-up medio di 4,4+2 aa. 18 pz. erano in CAPD, 16 in APD e 5 hanno utilizzato prima la CAPD poi l’APD. Nel periodo di osservazione (10 aa) si sono verificati 59 episodi di P, durante 257,7 pz-aa, pari ad un’incidenza di 0,23 P/pz-a.Complessivamente il 54% degli organismi era Gram+, il 22% Gram- ed il 24% d’altro tipo. La rimozione del CP ed il passaggio in HD è stato necessario nel 25% dei casi. La mortalità è stata del 5%. L’incidenza e la distribuzione microbica delle P nei due periodi di 5 anni sono espresse nella tabella 1. Tab. 1 1996-2000 2001-2005 P n. 42 17 Gr + n (%) 28 (67) 4 (24) Gr n (%) 7 (17) 6 (35) altro n (%) 7 (17) 7 (41) Inc. tot. P/pz-a 0,30 0,15 Inc. Gr+ P/pz-a 0,20 0,03 Inc. GrP/pz-a 0,05 0,06 I pz del primo periodo avevano un rischio 2,8 volte più alto di sviluppare una P. rispetto a quelli del secondo periodo (Tab.2). Non ci sono differenze statisticamente significative per quanto riguarda il tipo di metodica dialitica (Tab. 3). Tab. 2 variabili RR 1° periodo 2,8 2° periodo 0,5 Tab. 3 Rischio P tempo I.C. 95% (min.-mass.) p (1,5-5,3) 0,0002 (0,3-0,8) 0,005 variabili CAPD APD RR 1,4 0,8 Rischio P metodica I.C. 95% (min.-mass.) p (0,8-2,3) 0,2 (0,5-1,3) 0,2 Conclusioni: Il nostro studio dimostra un significativo decremento dell’incidenza delle P da Gram + nel tempo. Costante permane l’incidenza dei Gram-. Queste evidenze inducono ad una rivalutazione critica “locale” dei suggerimenti “ufficiali” sulla cura empirica delle P. 22 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 DIVERTICOLOSI DEL COLON COME FATTORE DI RISCHIO PER PERITONITE ENTERICA: RISULTATI DI UNO STUDIO PROSPETTICO OSSERVAZIONALE G. Gentile, V. M. Manfreda, D. Rossi, G. Campus, C. Giammarioli, C. Carobi, U. Buoncristiani Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi, Ospedale S. Maria della Misericordia, Perugia Introduzione: La malattia diverticolare del colon è stata considerata per anni un fattore di rischio per lo sviluppo di peritonite enterica; quest’ultima è causata da microrganismi che colonizzano il lume intestinale, generalmente gram-negativi, da soli o in associazione con gram-positivi (infezioni polimicrobiche), o miceti. Tuttavia, tale associazione è stata in seguito messa in discussione da alcuni studi retrospettivi, i quali hanno affermato che la diverticolosi del colon non rappresenta un fattore di rischio per peritonite enterica. Scopo del lavoro: Scopo del presente studio prospettico osservazionale è quello di studiare la relazione fra malattia diverticolare del colon e sviluppo di peritonite enterica, in una popolazione di pazienti uremici in trattamento dialitico peritoneale. Materiali e metodi: 70 pazienti uremici (43 maschi e 27 femmine; età media 66,08 anni, IC 95%: 62,94-69,22) sono stati arruolati nello studio al momento dell’ingresso in dialisi peritoneale. Criterio di inclusione era l’esecuzione di un clisma opaco del colon a doppio contrasto prima del posizionamento del catetere peritoneale di Tenchkoff. Nessuno specifico criterio di esclusione è stato considerato. La nefropatia causale era rappresentata, nell’ordine, da: causa imprecisata (N=20, 28,6% del totale), nefroangiosclerosi (N=18, 25,7%), glomerulonefrite cronica (N=11, 15,7%), nefropatia diabetica (N=9, 12,9%), rene policistico (N=8, 11,4%), nefropatia lupica (N=2, 2,9%), tubercolosi renale (N=1, 1,4%) e nefrite interstiziale cronica (N=1, 1,4%). Dieci pazienti (14,3% del totale) erano affetti da diabete mellito. Il follow-up terminava all’uscita dal trattamento dialitico peritoneale, per passaggio a trattamento emodialitico (N=31), decesso (N=22) o trapianto renale (N=9). 8 pazienti risultano ancora in follow-up attivo al 31/12/2006. La durata media del follow-up era di 1337,2 giorni (IC 95%: 1148,77-1525,63; mediana 1157,5), per complessivi 256 anni-paziente. Tutti gli episodi di peritonite venivano registrati prospetticamente su un apposito database elettronico, insieme ai dati anamnestici, laboratoristici e strumentali necessari alla corretta identificazione del tipo di peritonite (esami colturali dell’exit-site del catetere, ecografie del tunnel, tamponi nasali, ecc.). Endpoint primario dello studio era l’insorgenza del primo episodio di peritonite enterica. Veniva quindi eseguita un’analisi di sopravvivenza (time-to-event) utilizzando il metodo di Kaplan-Meier ed il modello dei rischi proporzionali di Cox, utilizzando come covariate la diverticolosi, l’età, il sesso, la malattia diabetica, la malattia policistica e la terapia con antiacidi. Veniva anche calcolato il tasso di incidenza delle peritoniti enteriche nelle due coorti. Risultati: Dei 187 episodi di peritonite verificatisi durante il periodo di osservazione, 44 (23,5% del totale) sono stati etichettati come peritonite enterica. Di questi, 24 si sono verificati nella coorte senza diverticolosi (N=45, pari al 64,3%), i restanti 20 in quella con diverticolosi (N=25, pari al 35,7%). Ciò corrisponde ad un tasso di incidenza di peritonite enterica di 1 episodio/85,92 mesipaziente nella prima coorte e di 1/52,95 nella seconda. Dei 25 primi episodi di peritonite enterica, 15 si verificavano nella coorte dei pazienti senza diverticolosi e 10 in quella con diverticolosi. Utilizzando il metodo di Kaplan-Meier, l’intervallo medio stimato fra posizionamento del catetere peritoneale e primo episodio di peritonite enterica era 1935,387 giorni nella coorte senza diverticolosi (IC 95%: 1588,278-2282,496) e 1915,927 nella seconda (IC 95%: 1278,0492553,806), quello mediano 2221 (IC 95%: 1505,838-2936,162) e 1330 (IC 95%: 1041,9241618,076), rispettivamente. Il log-rank test, eseguito per il confronto fra le curve di sopravvivenza delle due coorti, non mostrava una differenza statisticamente significativa (chi-quadro 0,779, P=0,378). Tale risultato è stato confermato dal modello dei rischi proporzionali di Cox, che non ha mostrato una correlazione statisticamente significativa fra peritonite enterica e le covariate oggetto di studio. Conclusioni: Il presente studio suggerisce che la malattia diverticolare del colon non è associata ad un incremento statisticamente significativo del rischio di sviluppare il primo episodio di peritonite enterica. Analogo discorso vale per le altre covariate prese in esame (età, sesso, diabete, rene policistico, terapia con antiacidi). Tuttavia, a causa della dimensione relativamente ridotta del campione in studio (N=70), tale risultato meriterebbe di essere riconfermato da uno studio prospettico osservazionale più ampio. 23 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER Gestione e Organizzazione PROPOSTA DI APPLICAZIONE DI UN’ANALISI PROSPETTICA DEL RISCHIO CLINICO ALLA DIALISI PERITONEALE G. Paternoster, G. Bonfant, V. Paroli, E. Amail, P. Belfanti, D. Gabrielli, A. M. Gaiter, M. Manes, A. Molino, V. Pellu, P. E. Nebiolo Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi, Ospedale Regionale di Aosta Introduzione: La gestione del rischio clinico si è evoluta contemporaneamente alle conoscenze sul tema dell’errore in medicina ed alle esperienze sull’applicazione dei sistemi della qualità e dei modelli di organizzazione delle strutture complesse. Dopo il superamento della visione assicurativa, che tendeva alla riduzione delle controversie legali e, di conseguenza, dei premi, si è giunti all’approccio clinico, che studia l’errore e le sue cause e, recentemente, ad orientamenti più avanzati che prevedono la mappatura dei processi e l’applicazione dell’evidence based medicine. Basandosi su queste premesse, l’Azienda Sanitaria della Valle d’Aosta ha attivato un progetto di gestione del rischio clinico, nel cui ambito ha scelto come strumento una metodologia derivata dall’industria, che anche la nostra struttura complessa (SC) è stata chiamata ad applicare ai suoi processi. Scopo del lavoro: Applicazione della failure mode and effect analysis (FMEA) al processo della dialisi peritoneale (DP). Materiali e metodi: La FMEA è una tecnica previsionale, utilizzata in ambiti industriali per valutare l’affidabilità di processi, sistemi e prodotti. Negli ultimi 5 anni sono aumentate le sue applicazioni in ambito sanitario (H-FMEA), come dimostrato anche dal crescente numero di pubblicazioni internazionali. Si tratta di prendere in esame un processo e definire l’indice di rischio (IR) delle attività che lo compongono in base alla loro gravità (G), alla valutazione della probabilità di accadimento (P) e alla rilevabilità dell’attività (R). In seguito sono pianificate le azioni di contenimento e successivamente si valuta l’impatto delle modifiche attuate sull’IR. Prerequisiti: individuazione di un gruppo ristretto multiprofessionale che, nel nostro caso era composto da nefrologi, biologi, infermieri professionali, dietista. Risultati: Nella SC di Nefrologia e Dialisi l’applicazione dell’H-FMEA ha comportato diverse fasi successive: 1) informazione/formazione al gruppo designato; 2) analisi dei processi critici della SC con individuazione di quelli prioritari; 3) scomposizione del processo in esame in fasi elementari; 4) individuazione degli errori e loro possibili effetti; 5) descrizione dei fattori di contenimento, cioè delle modalità di controllo già esistenti 6) calcolo dell’IR sulla base di scale di valutazione della gravità, della probabilità di accadimento e della rilevabilità; 7) collocazione degli IR nella matrice delle priorità allo scopo di identificare le attività su cui intervenire; 8) analisi delle cause delle modalità di errore e delle possibili soluzioni; 9) pianificazione ed attuazione di azioni di contenimento del rischio; 10) verifica dei risultati raggiunti. Conclusioni: L’applicazione dell’H-FMEA, con la sua elaborazione multidisciplinare di tipo down-top ha permesso una maggiore conoscenza e consapevolezza del processo della DP, un conseguente miglioramento del processo assistenziale e l’introduzione di fattori di contenimento, con una diminuzione dell’IR globale. DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER Altro PUÒ ESSERE IL DECLINO DELL’ULTRAFILTRAZIONE UN IMPORTANTE FATTORE PREDITTIVO DI SCLEROSI PERITONEALE? V. Pepe, A. Melfitano, P. delli Carri, L. Gesualdo Struttura Complessa Universitaria Nefrologia Dialisi e Trapianti, OO.RR., Foggia Introduzione: La sclerosi peritoneale incapsulante (EPS) è una rara ma grave complicanza della dialisi peritoneale che può compromettere la sopravvivenza del paziente. L’EPS comporta una elevata mortalità, e si pensa che possa rappresentare lo stadio più evoluto di un processo di severa fibrosi peritoneale che, in ultima analisi, porta alla sclerosi peritoneale e ad 24 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 una serie di modificazioni infiammatorie del peritoneo. L’incidenza annuale di EPS aumenta con l’aumentare della durata del trattamento peritoneodialitico, infatti l’EPS è rara in pazienti in dialisi peritoneale da meno di 2 anni. Anche se la sua etiologia non è sempre legata alla dialisi peritoneale, l’EPS nei pazienti in peritoneo-dialisi ha un’etiologia multifattoriale e, nella maggior parte dei casi, non ben conosciuta. Attualmente gli episodi ricorrenti di peritonite, con particolare riferimento allo Stafilococco aureo ed alla Pseudomonas aeruginosa, insieme alla lunga durata del trattamento dialitico sono considerati le più comuni cause di EPS. Un importante fattore di sclerosi peritoneale è rappresentato dalla bioincompatibilità delle soluzioni dialitiche a base di glucosio e dal prolungato contatto del peritoneo con i prodotti di degradazione del glucosio (PDGs) e con i prodotti finali della glicosilazione avanzata del glucosio (AGEs), nonché con i plastificanti delle sacche dialitiche. La diagnosi si basa soprattutto sul sospetto clinico e sui segni radiologici. Le manifestazioni cliniche sono variabili ed includono dolore addominale, nausea, vomito, perdita di peso, deficit dell’ultrafiltrazione, ascite e dialisato ematico. L’EPS può essere fatale quando si presenta con sintomi dell’occlusione intestinale. I segni radiologici specifici all’esame TC sono le raccolte di fluido, eventualmente ematico, l’ispessimento della parete intestinale e/o del peritoneo, le calcificazioni peritoneali, l’affastellamento delle anse del tenue. Caso clinico: Nella nostra Unità Operativa abbiamo seguito un paziente BM affetto da insufficienza renale cronica da etiologia sconosciuta, in trattamento peritoneo-dialitico da Ottobre 2002 a Luglio 2007 (57 mesi); da Aprile 2007 fino all’exitus, il trattamento sostitutivo è stato proseguito con sedute emodialitiche trisettimanali. Nella storia clinica del paziente si segnalano una prima infezione dell’exit-site in data 16.03.2006; nonostante la terapia antibiotica sistemica e loco-regionale mirata (dopo antibiogramma), tale infezione, sostenuta da Stafilococco aureo, ha portato ad un primo episodio di peritonite in data 26.04.2006 con recidive in data 08.07.2006 ed in data 23.08.2006. Questi eventi ci hanno indotto nel Settembre 2006 alla rimozione del catetere con reimpianto di un nuovo catetere peritoneale e formazione di un nuovo tunnel sottocutaneo nella stessa seduta operatoria. Inoltre, da Dicembre 2006 abbiamo documentato un deficit dell’ultrafiltrazione progressivo da 250 ml a 100 ml accompagnato da una corrispondente riduzione del Kt/V e della Clearance della creatinina, nonostante una diuresi pressoché stabile tra valori di 1500-2000 ml al dì, ed una permeabilità peritoneale di classe medio-alta valutata con l’esame PET (Peritoneal Equilibration Test). Ad Aprile 2007, in seguito alla comparsa di dolore addominale con chiusura dell’alvo a feci e gas, il paziente è stato ricoverato, in urgenza, per essere sottoposto ad intervento chirurgico di enterolisi, previa esecuzione di indagine TC con e senza m.d.c. che documentava come: “l’intero digiuno e parte delle anse dell’ileo si presentano a pareti ispessite”, senza evidenza di calcificazioni; durante l’intervento non si sono verificate lesioni accidentali del tenue, e non si è reso necessario procedere con resezioni ed anastomosi intestinali. Inoltre, il paziente non presentava ascite ematica al momento della comparsa della sintomatologia occlusiva. Dopo l’intervento veniva iniziato un trattamento di nutrizione parenterale totale fino alla ripresa della canalizzazione dell’alvo. Ad Aprile 2007 veniva sospeso il trattamento peritoneo-dialitico ed iniziate sedute di emodialisi trisettimanale; il paziente veniva dimesso con una terapia antinfiammatoria con Deltacortene 5 mg 1cp/die. La regressione clinica della sintomatologia occlusiva con la completa ricanalizzazione dell’alvo non hanno potuto trovare un riscontro radiologico poiché, prima di poter effettuare una TC di controllo, il paziente è deceduto per ictus emorragico. Conclusioni: In letteratura non c’è accordo sulla terapia di scelta dei pazienti con EPS, ma si ritiene che la nutrizione parenterale totale, i corticosteroidi e la chirurgia (enterolisi) siano i capisaldi del trattamento. Si consiglia inoltre di interrompere il trattamento peritoneo-dialitico e di trasferire il paziente in emodialisi. Nuovi approcci terapeutici includono il trattamento con il Tamoxifene alla dose di 10-20 mg/die per il suo effetto anti-fibrotico. 25 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 QUALITÀ DI VITA: ALTERAZIONI COGNITIVE COMPORTAMENTALI E FUNZIONALI IN DP, HD E IRC * A. Tralongo, **S. Nicosia, ***B. Pisano, *G. Li Cavoli, *O. Schillaci, *A. Ferrantelli, *U. Rotolo *U.O. C. di Nefrologia Dialisi ARNAS Civico Palermo ** Neuropsicologo Ricercatore Interdipartimentale *** Psicologa Spec. Bioetica e Sessuologia Studi recenti suggeriscono che l’alessitimia (disturbo nel riconsocimento e/o espressione delle emozioni) potrebbe essere un sintomo costante nei Pazienti (Pz) con insufficienza renale cronica (IRC), correlato a disturbi d’ansia e depressione. Altri studi hanno evidenzato una significativa correlazione tra alessitimia e disturbi neuropsicologici a carico delle funzioni frontali. Scopo dello studio, durato 2 anni, è stato di valutare in maniera pluridisciplinare in Pz con IRC, gli indicatori di Qualità di Vita, al fine di approfondire la relazione esistente tra la malattia e l’indicatore scelto. Ci siamo avvalsi dell’SF-36, del Mini-Mental State (MMSE) per le alterazioni delle funzioni cognitive, delle scale di autovalutazione per gli aspetti comportamentali (TAS-20, Zung, Beck). I dati ottenuti sono stati correlati con alcuni parametri clinici e nutrizionali. Allo studio hanno partecipato 107 Pz, sottoposti preliminarmente a MMSE. Di questi sono risultati idonei per lo studio 82 Pazienti: 46 in emodialisi (HD), 29 in Dialisi Peritoneale (DP) e 7 con IRC in terapia conservativa. Tutti i Pz al momento dello studio erano in condizioni cliniche stabili. A un gruppo di controllo sano omogeneo per età, sesso e scolarità abbiamo somministrato unicamente le scale di valutazione psicopatologica ed il MMSE. Dalla TAS-20: 63 Paz., sono risultati alessitimici, 13 border-line e 6 non alessitimici. Risultati alla TAS-20 70 60 50 40 30 20 10 0 Alessitimici Borderline Non-alessitmici 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% Ansia Depressione Alessitimia Abbiamo ottenuto nei Pz studiati una significativa correlazione tra Ansia (54%), Depressione (51%), Alessitimia (77%); I risultati ottenuti all’SF-36 mostrano punteggi medi per ciascuna scala tutti al di sotto del valore medio DOXA (1995), sia nelle scale che valutano la funzione fisica sia in quelle che valutano la salute mentale. 26 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale SALUTE FISICA AF 49,16±34,40 RF 22,67±36,92 DF 40,47±32,62 SG 28,88±22,57 Modena, 7 – 9 febbraio 2008 SALUTE MENTALE VT 35,53±26,88 AS 48,01±31,83 RSE 34,00±43,85 SM 46,48±22,82 Tab 1: Punteggi medi ottenuti all’SF-36 dal gruppo dei Pz SALUTE FISICA AF 84,48±23,18 RF 78,21±35,92 SALUTE MENTALE VT 61,89±20,69 AS 77,43±23,34 DF 73,67±27,65 SG 65,22±22,18 RSE 76,16±37,25 SM 66,59±20,89 Tab 2: Punteggi medi ottenuti all’SF-36 dalla popolazione normativa italiana Età anni Età dialitica mesi Hb Glicemia Alb. PCR CrCL/W Kt/V Ferritina Ferro Diuresi residua 59,66 21,59 11,6 97,85 3,5 0,53 72,47 2,3 220 67,47 1225 PD 60,5 116 10,97 95 3,2 0,67 1,6 207,75 52 0 HD 61,2 ----------11,7 87,1 3,7 0,41 VFG 19,78 ---------236,6 89 1945 IRC Tab 3: Valori medi clinici e nutrizionali L’alessitimia è veramente un sintomo dovuto alla stato uremico che ben si è correlato con i disturbi psicopatologici come l’ansia e la depressione ed in maniera significativa con i deficit neurocognitivi. Indipendentemente dalla patologia di base, le peggiori performances rilevate nel gruppo HD rispetto a quello in DP e, più rispetto ai Pz IRC, è in buona parte da ascrivere alla maggiore età dialitica media. E’ importante notare come i DP spesso mantengano una certa funzione renale residua. Non è stato però riscontrato un migliore stato di nutrizione nei DP. LA NEFRECTOMIA LAPAROSCOPICA PER VIA RETROPERITONEALE DEL RENE POLICISTICO R. Marcon, G. Pastori, M. De Luca U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, Azienda U.L.S.S. 8 Regione Veneto, Presidio Ospedaliero di Castelfranco Veneto Introduzione: La malattia policistica renale rappresenta una controindicazione relativa alla dialisi peritoneale per l’importante ingombro addominale che determina. Anche l’eventuale trapianto di rene è reso difficoltoso dalla presenza di questo ingombro. L'intervento di nefrectomia, spesso indicato nei pz che soffrono di questa patologia, viene di regola eseguito per via laparotomica. Scopo: lo scopo con questa tecnica, è quello di evitare sospensione momentanea (talora della durata di qualche mese) dalla Dialisi Peritoneale e la conseguente conversione (temporanea e a volte definitiva) all'emodialisi. Materiali e metodi: un certo numero di pazienti afferenti al nostro Centro sono stati sottoposti a 27 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 nefrectomia mono-laterale per via laparoscopica ed accesso retro-peritoneale allo scopo di evitare (essendo il rene un organo retro-peritoneale) lesioni intra-peritoneali e rischi di aderenze endoaddominali tali da comprometterne la tecnica Risultati: Con la tecnica laparoscopica retroperitoneale, nel nostro centro sono state effettuate 5 nefrectomie monolaterali 3 Nefrectomie sono state effettuate in pazienti già in dialisi peritoneale ed hanno comportato la sospensione dalla Dialisi peritoneale per soli 2 giorni senza quindi la necessità di ricorrere ad accessi vascolari provvisori per il passaggio momentaneo in emodialisi. La quarta nefrectomia è stata effettuata su un paziente uremico in terapia conservativa e, nel corso dell’intervento si è provveduto anche al posizionamento del catetere peritoneale per l'inizio della terapia depurativa e dell'usuale addestramento. L ‘ultima esperienza con questa tecnica è stata fatta su un paziente, molto giovane, in fase uremica, per la necessità di essere sottoposto a nefrectomia in vista di un trapianto pre-emptive. La scelta della tecnica laparoscopica è stata attuata anche in previsione di un possibile rigetto cronico e della necessità, trattandosi di soggetto giovane, di preservargli la possibilità delle due opzioni (emodialisi o dialisi peritoneale) Conclusioni: La nefrectomia laparoscopica del rene policistico per via retroperitoneale, è a nostro avviso la tecnica più indicata per i pazienti con reni policistici che devono essere nefrectomizzati e che sono in dialisi peritoneale o idonei ad entrambe le tecniche depurative in quanto, non essendovi lesioni del peritoneo, vengono ridotti ( se non annullati) i rischi di creare aderenze addominali tali da comprometterne la metodica con sospensioni provvisorie o definitive. E non sono da trascurare le esigenze del paziente, nel rispetto della tecnica scelta, che si trova ad avere tempi di ripresa post-chirurgica più brevi ed evita il posizionamento di CVC e/ allestimento FAV per HD. ATTIVITÀ DI GRUPPO DI LAVORO: UN MODELLO ASSISTENZIALE “DI PRESA IN CARICO” DEL MALATO CRONICO IN DIALISI PERITONEALE E. Silvaggi*, A. R. Rocca, C. Esposto, A. Filippini. *U.O.R.G. Psicologia Ospedale San Giacomo, Roma Centro di Riferimento di Nefrologia e Dialisi, Ospedale S. Giacomo in Augusta, Roma Introduzione: l’insufficienza renale cronica terminale e la conseguente terapia dialitica determina profonde modificazioni delle abitudini e dei ritmi quotidiani, un notevole condizionamento del piano lavorativo e dei rapporti relazionali del paziente. Le limitazioni e le rinunce che la malattia cronica comporta, possono determinare uno stato di profonda angoscia, un senso di impotenza, di solitudine e “diversità” facendo precipitare il paziente in uno stato di ansia e depressione. Le caratteristiche fisiche massicce e il profondo disequilibrio a cui il corpo è sottoposto, mettono in evidenza il rapporto mente-corpo in cui Psicologia e Medicina si dibattono da tempo. In questo contesto diventa prioritaria la stretta collaborazione tra Psicologia (mente, psichismo) e Medicina (corpo). Scopo dello studio: Integrare nella professione di cura la trama dei vissuti che vengono messi in gioco nel momento in cui ci si “prende cura delle persone” 9 storia personale della malattia: bisogni e disagi prevalenti 9 significato e livello di emotività attribuito alla malattia 9 qualità di vita ed impatto della malattia sui familiari Fornire l’opportunità ai pazienti, attraverso il lavoro di gruppo, di esprimere le emozioni in risposta allo stato di malattia riducendo la tensione, l’ansia o la frustrazione. Riconoscere e sostenere i sintomi quali ansia, depressione, tratti di personalità, modalità di comportamento e di difesa, al fine di prevenire l’insorgenza di disturbi del comportamento, della compliance e di disturbi funzionali; migliorare l’adattamento psico-sociale alla malattia e ottimizzare le modalità di reazione. Pazienti e metodi: Il gruppo terapeutico ha una frequenza mensile con una durata di due ore per ogni incontro. L’attività del gruppo è illimitata nel tempo, aperta a nuove adesioni parallelamente alle uscite. Il gruppo è condotto da un medico del reparto di Nefrologia e da uno psicologo. 28 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Risultati: Il paziente nel gruppo può trovare un contenitore sufficientemente “robusto”che gli permetta di contenere le proprie angosce e riconoscere il proprio stato di malattia, consentendo di elaborare (attraverso il rapporto con i membri del gruppo e il terapeuta) difese più adattive e funzionali. Questo modello di intervento terapeutico non sostiene una magica aspettativa di cura volta a far scomparire ansia ,angoscia, rabbia e depressione in persone affette da questo tipo di malattia ,ma va a costruire nel tempo una trama difensiva più adattiva e conforme alla realtà accettazione dello stato di malattia e comprensione delle misure terapeutiche idonee, con effetti: 9 sul grado di consapevolezza 9 sullo stato di salute a lungo termine sia fisico che psicologico 9 sulle relazioni con i familiari 9 sulla compliance 9 sulla qualità della vita. POSTER Predialisi e Scelta Dialitica INDICAZIONE LIMITE ALLA DIALISI PERITONEALE (DP) IN PAZIENTE AFFETTO DA INSUFFICIENZA RENALE CRONICA (IRC) S. Cantelli, F. Malacarne, A. Storari, G. Russo, S. Soffritti F. Fabbian, A. Bortot, L. Catizone U.O.C. Nefrologia Azienda Ospedaliera/Universitaria di Ferrara S. Anna – Ferrara La scelta della tecnica dialitica migliore è spesso complessa, e non deve prescindere dalla considerazione della volontà del paziente. Riferiamo il caso di un uomo di 61 anni, affetto da gotta, e con riscontro di IRC da nefrite interstiziale cronica nel 1970. 1977: avvio della dialisi extracorporea domiciliare, tramite FAV distale sinistra. 1980: primo trapianto renale. Dopo tre mesi rigetto vascolare dell’organo che viene espiantato. Riavvio dell’emodialisi. 1990: secondo trapianto renale con espianto dopo 6 mesi per rigetto cronico. Riprende l’emodialisi. 1998: terzo trapianto renale. Nel post-operatorio si ha necrosi tubulare acuta e rigetto interstiziale e vascolare: compare anuria con ripresa della diuresi solo in 30° giornata. Nel frattempo viene ristrutturata la FAV all’avambraccio sinistro con posizionamento di innesto in PTFE. Non è stato possibile confezionare un accesso vascolare al braccio destro per il netto rifiuto del paziente destrimane ad intervenire su tale arto, in quanto affetto da sindrome del tunnel carpale bilaterale estremamente severa, con dita delle mani in atteggiamento flessorio obbligato. 2000: artrite acuta dell’articolazione della spalla destra, con liquido sinoviale positivo per il bacillo tubercolare. Compaiono in seguito anche addensamenti polmonari, con broncolavaggio positivo per bacillo tubercolare, raccolte ascessuali multiple ai muscoli ileopsoas bilateralmente, drenate sotto guida TC per via inguinale, e lesioni vertebrali tubercolotiche. 2001: viene espiantato anche il terzo rene per glomerulopatia da trapianto. 2003: trombosi della FAV protesica retta all’avambraccio sinistro. 2004: recidiva trombotica con voluminoso pseudoaneurisma: si posiziona una nuova protesi retta. Questa si trombizza di nuovo con rottura in due punti nel tratto centrale. Come procedere? Il netto rifiuto all’utilizzo del braccio destro per la creazione di un nuovo accesso vascolare per emodialisi, la difficoltà alla realizzazione di nuovi accessi protesici al braccio sinistro, la tendenza all’ipotensione, la polivasculopatia, la tendenza alla ipercoagulabilità, si opponevano al proseguimento della emodialisi. L’uso della dialisi peritoneale poteva essere una scelta azzardata, in un soggetto sottoposto a diversi interventi chirurgici sull’addome e già affetto da tubercolosi. Nonostante queste considerazioni, d’accordo con il paziente dettagliatamente informato, si è scelta la dialisi peritoneale, ritenendo preferibile non utilizzare un catetere venoso centrale in questa fase per utilizzarlo eventualmente nel caso di esaurimento delle proprietà di filtrazione del peritoneo. 2006: posizionato catetere di Tenckhoff ed avviato il programma dialitico peritoneale, con una NTDP [nocturnal Tidal (60%) peritoneal dialysis]. Attualmente il paziente continua ad eseguire la NTDP e le sue condizioni cliniche sono discrete. Il kt/V è 1.72, con dialisi quotidiana in paziente anurico. Il BMI è 24. Noi suggeriamo che la modalità di trattamento dialitico peritoneale può essere tentata anche in 29 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 caso di ripetuti interventi chirurgici addominali e storia di infezione tubercolare. SCELTA DIALITICA NELL’AMBULATORIO DEL PREDIALISI: FOLLOW-UP DI 4 ANNI A. Caselli, M. Antonelli, M. Ragaiolo Asur Marche ZT 13, Ospedale “C. e G.Mazzoni”, Ascoli Piceno Introduzione: Il compito dell’ambulatorio predialisi è quello di indirizzare il paziente (pz) nefropatico nelle migliori condizioni cliniche verso il trattamento dialitico più idoneo anche alle sue attività sociali, lavorative e relazionali, migliorando la sopravvivenza soprattutto nei primi mesi del trattamento dialitico e la qualità di vita. In tale ambulatorio viene svolta la funzione di “educazione terapeutica del pz” con lo sviluppo della capacità di gestire autonomamente la cura della propria malattia cronica. Scopo del lavoro: Abbiamo voluto valutare l’impatto avuto dell’ambulatorio predialisi sulla scelta dialitica e sull’aspetto psicologico relativo all’inizio del trattamento sostitutivo. Ci siamo chiesti se l’istituzione di tale ambulatorio ha determinato un incremento dei pz in dialisi peritoneale e se è modificato l’approccio alla dialisi. Materiali e metodi: L’ambulatorio predialisi ha assunto veste autonoma nella Nostra Unità Operativa dal giugno 2003 e dal data-base, è stato possibile effettuare una valutazione della popolazione affetta da IRC seguita da questo ambulatorio. Nel data-base sono stati raccolti oltre che i dati anagrafici ed anamnestici, gli esami ematochimici relativi a ciascun controllo e la terapia medica anche gli aspetti psicosociali che potevano condizionare la scelta dialitica. Questi aspetti oltre che indagati dal nefrologo venivano ancor piu’ sviluppati dall’assistente sociale e dallo psicologo. Risultati: Tanto piu’ è lungo il periodo di presa in cura del pz in ambulatorio predialisi tanto maggiore diventa la capacità di gestire la propria malattia. La conseguenza è la scelta dialitica da parte del pz della dialisi peritoneale in cui esso è attore della sua cura o in possesso di un partner affidabile che gli permette il trattamento domiciliare con la deospedalizzazione ed una vita pressoché normale. La scelta dell’emodialisi come primo trattamento, al di fuori dai pz in cui tale scelta era controindicata, si è avuta principalmente in questa tipologia di pz: 9 non autosufficiente sprovvisto di partner (in tale contesto pesano anche le condizioni economiche in relazione alla possibilità di acquisire il partner) 9 autosufficienti con età inferiore agli 80 aa in cui il carico della propria gestione è un peso di cui liberarsi 9 autosufficiente con carichi di gestione familiare tali da rappresentare la emodialisi un sollevamento di impegni almeno relativi a se stessi 9 autosufficienti di giovane età in cui la scelta dell’emodialisi è stata effettuata per sollevare se stessi e la famiglia dalla problematica dialitica 9 con età superiore agli 80 aa in cui il trattamento dialitico è stato rifiutato sia dallo stesso pz che dai familiari ed in cui l’emodialisi è stata conseguentemente il trattamento di urgenza. Conclusioni: Risulta evidente che la scelta della dialisi peritoneale è influenzata dal buon funzionamento dell’ambulatorio predialisi e che tanto più viene dedicata attenzione a questi pazienti sia nel trattamento medico sia nell’aspetto psicologico tanto più l’inizio tempestivo della dialisi peritoneale viene vissuto senza trauma ed accettato come il proseguo della propria malattia con la risoluzione di tutti gli scompensi clinico-metabolici associati allo stato uremico terminale. 30 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 TERAPIA DIALITICA E QUALITÀ DI VITA: INDIVIDUARE LE AREE DI CRITICITÀ PER ORIENTARE ALLA METODICA PIÙ IDONEA *G. Caravello, *A. Cerri, *V. Galati, *M. Marini, *T. Sardi, *I. Valenti, **M. G. Betti, **S. Ferretti, **W. Lunardi, **A. Tavolaro, **C. Del Corso, **A. Capitanini, **I. Petrone, **A. Rossi * UF Consultoriale ASL 3, Ospedale di Pescia **SA Nefrologia e Dialisi ASL3, Ospedale di Pescia Introduzione: La convivenza con una patologia cronica si traduce per i pazienti in una “esperienza di malattia” che, oltre ad aspetti organici coinvolge anche dimensioni emotive e psicosociali. Lo scadimento della qualità di vita percepita, la possibile condizione di dipendenza, la difficoltà alla compliance e la necessità di supporto sociale rappresentano elementi fondamentali di valutazione nell'impostazione della terapia dialitica cronica. Scopo: Valutare la qualità di vita percepita, la differenza di impatto della Dialisi Peritoneale (DP) e dell’Emodialisi (HD) nella popolazione in trattamento presso la nostra S.A. e individuare le aree di vita maggiormente compromesse nei soggetti indagati. Materiali e metodi: Sono stati sottoposti all’indagine conoscitiva 56 soggetti (35 maschi - 21 femmine) di età compresa tra 29 e 87 aa; di questi 35 erano in HD e 21 in DP. Come strumento di indagine ci siamo avvalsi dell’Inventario Pluridimensionale per il paziente in Emodialisi (IPPE validato da S.Biasoli, 6 dimensioni, 24 affermazioni con risposte su scala a 4 punti). Risultati: Nel suo complesso il campione totale in analisi presenta un Indice Globale di Disagio Psicofisico (IGDP) medio di 5,44, andandosi a collocare in area non critica. Dall’analisi dei valori medi su singola scala non si sono rilevate soglie di criticità, ma il numero dei soggetti che ha riportato punteggi critici nelle singole dimensioni si aggira intorno al 30% del campione. Dall’analisi dei risultati dei sottogruppi (fasce di età e tipologia di trattamento) abbiamo rilevato: Età < 65 aa < 65 aa 65-75 aa 65-75 aa > 75 aa > 75 aa Metodica Dialitica DP HD DP HD DP HD IGDP 3.52 4.33 4.36 7,40 6,19 5,61 Conclusioni: Il livello medio dell’IGDP è per il campione osservato al di sotto della soglia di criticità (valore soglia IGDP superiore a 6,1); ciò è indicativo per una qualità di vita sufficientemente buona. Si rileva però un 30% con alti livelli di criticità in 4 dimensioni su 6. L’impatto del ritmo dialitico sulla quotidianità dei soggetti è strettamente connesso alla tipologia del trattamento e all’ età: in tal senso i valori più bassi sono stati rilevati nei soggetti in DP fino a 65 aa, quelli più critici nei i soggetti tra i 65 e i 75 aa in DP. L’alta criticità riscontrata nelle dimensioni relative al rapporto col proprio corpo e alla compromissione delle relazioni familiari dà indicazioni verso percorsi strutturati di predialisi e di accompagnamento alla scelta terapeutica al fine di ridurre l’impatto della terapia cronica sulla Q.d.V. del paziente. Inoltre la presa in carico precoce ed integrata dei nefropatici cronici attraverso programmi specifici può agevolare il processo di rimodellamento dell’immagine di sé e favorire un miglior adattamento alla terapia dialitica. PRE-DIALISI E SCELTA DIALITICA. ESPERIENZA DI CASTELFRANCO VENETO R. Marcon, A. Ferraro, M. De Luca U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, Azienda U.L.S.S. 8 Regione Veneto, Presidio Ospedaliero di Castelfranco Veneto Introduzione: La dialisi modifica radicalmente le abitudini del soggetto e del suo nucleo familiare e questo comporta difficoltà sul piano relazionale, crisi d'identità, paura del futuro. Questo stato emotivo è amplificato dalla scarsa conoscenza che il paziente ha della metodica di trattamento .E’ per questo che a Castelfranco Veneto abbiamo istituito, con il pz affetto da Insufficienza Renale Cronica avanzata ed i suoi familiari, un percorso, di “pre-dialisi”, nel quale il punto “cardine” è da noi considerato l’accoglienza. Con questo percorso è possibile offrire ai pazienti una serie di 31 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 soluzioni terapeutiche nel cui ambito si inserisce anche la Dialisi Peritoneale. Lo scopo: quello di offrire più informazioni possibili sulle metodiche depurative, consentendo a al pz di scegliere il miglior trattamento dialitico possibile per sé, nei limiti delle problematiche cliniche, attitudinali e sociali cercando altresì di favorire l’accettazione del trattamento dialitico da parte del pz e della famiglia Non è da trascurare la possibilità con questo percorso di evitare al pz il posizionamento di CVC temporanei, e al servizio di pianificare l’inserimento dei nuovi pz in dialisi con un migliore utilizzo delle risorse. Nell’organizzazione del nostro ambulatorio di “pre-dialisi” abbiamo individuato“destinatari dell’ attività“, tutti i pz affetti da IRC avanzata, di età inferiore agli 80 aa (Cl. Creat. Residua di 18 ml/ min fino ai 65 aa, Clearance residua di 15 ml/ min oltre i 65 aa). Materiali e metodi: Le Risorse professionali utilizzate sono: Infermieri, psicologo, educatrice, caposala e Nefrologo che si avvalgono dell’aiuto di schede di accertamento, raccolte flipcharts, opuscoli informativi, videocassette, colloqui con altri pz. Il numero di incontri necessari è di 5 con intervalli medi di circa 45 gg nei quali alla valutazione medica, si affiancano le figure di cui sopra e colloqui con altri pazienti al fine di scegliere la terapia depurativa più idonea Risultati: Nell’esperienza di Castelfranco Veneto dal 2001 ad ora (considerando l’istituzione del servizio di pre-dialisi nella sua nuova costituzione dal 2005), si è visto un importante incremento nella scelta della Dialisi peritoneale con una percentuale del 46.2% di pz che hanno optato per questo tipo di terapia depurativa. Conclusioni: avvicinare sempre più persone alla Dialisi Peritoneale, richiede, per una buona riuscita, un accurato programma di informazione-valutazione-educazione nel periodo di pre-dialisi che ci possa consentire di individuare fattori di rischio di carattere clinico, attitudinale, sociale ed ambientale tali da compromettere la buona riuscita del trattamento. Appare quindi necessario, per una buona riuscita, fornire spiegazioni esaurienti sulla metodica e responsabilizzare il pz che diventa il primo controllore del funzionamento del trattamento e del proprio benessere. DIALISI PERITONEALE: “ULTIMA SPES”? O. Schillaci, A. Tralongo, C. Tortorici U.O.C. Nefrologia e Dialisi, P.O. Civico, Palermo L’emodialisi e la dialisi peritoneale sono metodiche terapeutiche complementari dell’ insufficienza renale cronica. Talvolta la dialisi peritoneale è l’unica ed obbligata metodica per mantenere in vita i pazienti senza accessi vascolari. Abbiamo fatto una revisione casistica dei nostri pazienti , dal 1 gennaio 2002 al 31 dicembre 2006, avviati alla dialisi peritoneale (DP). In quest’intervallo di tempo, nella nostra U.O., sono stati avviati alla DP n. 110 pazienti (M 49, F 61; età media 59,4 anni) dei quali 102 con opzione di prima scelta e 8 pazienti (M 4, F 4; età media 62 anni) come scelta obbligata per esaurimento di accessi vascolari (“DP rescue”) di cui 4 pazienti con malattia policistica epato-renale e 1 con alterazione congenita del Fattore V. Tutti i pazienti hanno praticato dialisi peritoneale automatizzata (APD). 32 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Paz. Età anni Mesi HD Comorb.* partner DP mesi Kt/v CCL tot BMI Hb Alb. PC R Peritoniti GP 46 228 0 si 63 2,0 60,2 23 13.0 3,7 0,38 no AR 59 84 2 si 3 2,1 57,6 16 11.6 2,5 0.39 no LP 66 84 2 si 13 1,8 55,6 18 11.8 2,8 0,35 Si : 1 RV 75 13 2 si 1 1,9 53,8 13 9.9 2,5 2,78 no LA 61 84 2 si 15 1,87 56,8 14 9,6 2,2 3.42 no PR 66 192 2 no 31 1,.9 7 54,5 19 12.4 3,22 2,41 no SGM 66 2 1 si 9 2.6 89,8 22 12.1 3,3 3,58 Si: 2 SG 57 36 1 no 4 2,1 50.9 24 10,7 3,8 0.30 no exitus † per peritonite † per sepsi da cvc † per c.vasc. † per panciop. acuta * comorbidità; 0 = nessuna patologia; 1 = 1 patologia comorbide; 2 = > di 1 patologia comorbide 4 pazienti (50%) deceduti: 1(LP) per peritonite da candida tropicalis (12,5%) dopo 13 mesi di DP contratta durante un ricovero in Ortopedia per frattura di femore; 1 (RV) per sepsi da pseudomonas aeruginosa secondaria ad infezione del CVC permanente precedentemente impiantato; 1 (LA) per cause cardio-vascolari; 1 (PR) per pancitopenia acuta da methotrexate (artrite reumatoide). 4 pazienti (50%) hanno continuato il trattamento dialitico peritoneale automatizzato mantenendo condizioni cliniche stabili e indici di depurazione dialitica ottimale. Dal nostro studio possiamo concludere che: 1) La DP ha consentito in questa casistica selezionata una sopravvivenza media globale di 17 mesi. I 4 pazienti tuttora in vita hanno invece una sopravvivenza media di 20 mesi. Chiaramente la pluripatologia è determinante nel peggiorare la prognosi “quoad vitam”. 2) I pazienti provenienti dalla metodica emodialitica, obbligati ad iniziare la dialisi peritoneale hanno con questa metodica una buona efficienza dialitica e quindi quest’ultima non deve essere considerata “ultima spes”. 3) La dialisi peritoneale risulterebbe essere il trattamento sostitutivo ideale per i pazienti affetti da insufficienza renale cronica secondaria a malattia policistica epato-renale ed a tutte le patologie responsabili dell’esaurimento precoce del patrimonio vascolare . SCELTA DEL TRATTAMENTO SOSTITUTIVO IN UN PAZIENTE HIV E HCV POSITIVO M. Biagioli, D. Borracelli, A. Sidoti Sezione Nefrologia e Dialisi, Ospedale Alta Val d’Elsa, Poggibonsi, Siena Introduzione: l’ inserimento in un programma di terapia sostitutiva cronica di un paziente giovane con una attività lavorativa, in proprio, HCV ed HIV positivo richiede scelte con molti risvolti organizzativi e con un’ importante impatto sulla riabilitazione. Scopo del lavoro: illustrare i diversi passaggi della scelta del trattamento dialitico e le difficoltà all’ inserimento in lista trapianto. Materiali e metodi: uomo di 40 anni si presenta in pronto soccorso per astenia marcata, nausea, vomito e ipertensione mal controllata. Gli esami ematochimici evidenziano insufficienza renale grave (Cr 5,12 mg/dl), clearance creatinina 8ml/min anemia(Hb 8,8 g/dl), acidosi metabolica. Ecografia renale: indice cortico - midollare marcatamente ridotto con numerose piccole cisti bilateralmente. Dall’anamnesi: positività HIV (nota dal 1988), HCV, EBV e CMV. HIV ed HCV contratti durante l’ assunzione endovenosa di stupefacenti durata circa un anno. In terapia HAART dal 1997. Nel 2001 episodio di tossicità tubulare da cidofovir. 2003 biopsia renale: glomerulosclerosi focale HIV correlata con note di collapsing glomerulopathy e interessamento interstiziale. Risultati: non tollera la dieta ipoproteica né la terapia con eritropoietina, tende ad autosospendersi i farmaci diversi dall’ HAART. Dopo 2 mesi dalla prima visita nefrologica il paziente si orienta per la dialisi peritoneale soprattutto perché ritiene che gli darà maggiore libertà di movimento e migliore 33 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 reinserimento nel suo lavoro di imprenditore metalmeccanico, viene perciò posizionato il catetere peritoneale. Attualmente esegue Tidal PD 10 litri di Physioneal, PET: alto trasportatore, Cl. Creat./settimanale 110 ml/min, incremento di 6 kg di peso da quando ha iniziato la dialisi (16 mesi), molto apprezzato dal paziente perché è nettamente migliorato l’ aspetto generale precedentemente tipo “slim disease”. Permane una scarsa compliance all’ uso dell’ eritropoietina. Reinserimento completo nel lavoro. La conta dei linfociti CD4+ stabile da circa un anno tra 150 e 200/mmc, conta copie HIV (branched DNA)< 50. I CD4 +> di 200 mmc sono un fattore prognostico positivo nelle serie di trapianti in pazienti HIV positivi (Roland ME 2006, Qiu J 2006, Mazuecos A. 2006). La coinfezione con HCV implica qualche cautela in più per l’ immissione in lista trapianto per la maggior frequenza di recidiva di malattia. Sono stati eseguiti gli accertamenti per l’eleggibilità al trapianto renale con attenzione allo studio delle coinfezioni. Il padre viene sottoposto alla valutazione di potenziale donatore vivente di rene: non risultano patologie degne di nota Conclusioni: La scelta del paziente di essere trattato con la dialisi peritoneale non comporta differenze in termini di mortalità rispetto alla dialisi extracorporea (Ahuja 2003), il livello di riabilitazione raggiunto è buono. La conta dei CD4+ è attualmente al di sotto di 200/mmc però con valori stabili, adeguatezza dialitica e le condizioni cliniche sono davvero soddisfacenti pertanto è auspicabile che il centro trapianti a cui è stato indirizzato possa inserire il Paziente in attiva. POSTER Catetere Peritoneale INCARCERAMENTO DEL CATETERE PERITONEALE AUTOLOANTE: UNA RARA COMPLICANZA * S. Galli, *F. Cavatorta, **F. Boraso, ***E. Ramò * Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi, Ospedale di Imperia, Asl 1 Imperiese ** Struttura Semplice di Radiologia Intervenistica, Ospedale di Imperia, Asl 1 Imperiese *** Struttura Semplice di Day Surgery, Ospedale di Imperia, Asl 1 Imperiese Introduzione: L’ostruzione parziale del catetere peritoneale è una complicanza severa, dovuta in genere al dislocamento della punta. con una incidenza molta bassa con l’uso del catetere autolocante di Di Paolo. Scopo del lavoro: Descrizione di casi di malfunzionamento da intrappolamento della punta del catetere autolocante senza dislocazione Materiale e metodi: Sono stati posizionati con tecnica semichirurgica (80%), con tecnica chirurgica (13%) e con tecnica videolapascopia (7%) dal 1999 n. 72 cateteri autolocanti in 78 pazienti (41 F, 37 M) di età media 58 +- 26 di cui 32% diabetici. Risultati: Abbiamo avuto 5 malfunzionamenti di cui uno da vero dislocamento della punta da briglia aderenziale e uno da incarceramento in una ernia inguinale e 3 da incarceramento del catetere dovuto a fimbrie uterine(1 caso) ed omento(2 casi). In 4 casi il catetere è stato riposizionato e/o liberato in videolaparoscopia ed in 1 caso rimosso con passaggio del paziente alla emodialisi Conclusioni: Il catetere autolocante di Di Paolo presenta il vantaggio di dislocarsi con estrema rarità; ciononostante può essere soggetto a malfunzionamento per l’intrappolamento nel cavo del Douglas del tip in tungsteno da parte dell’omento o nella donna della tuba uterina. 34 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 LINEZOLID NEL TRATTAMENTO DELL’INFEZIONE DEL TUNNEL/EXIT-SITE IN UN BAMBINO IN DIALISI PERITONEALE CRONICA P. Sorino, R. Bellantuono, F. Puteo, T. De Palo U.O. Nefrologia e dialisi pediatrica, Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII, Az. Osp. Policlinico Consorziale, Bari Introduzione: L’infezione dell’exit-site e del tunnel sottocutaneo nel pz in trattamento con dialisi peritoneale rappresenta una complicanza ad alto rischio di perdita del catetere e di fallimento della tecnica. Caso clinico: Gli AA. riportano il caso di un bambino, in trattamento con CAPD dall’età di 9 anni per insufficienza renale cronica secondaria a sindrome di Joubert, con severa infezione del catetere peritoneale da stafilococco aureus, insorta a distanza di 5 anni dall’inizio della dialisi e risoltosi senza rimozione del catetere. La terapia iniziale è stata teicoplanina e.v.; mupirocina per uso topico associata a cauterizzazione del tessuto di granulazione con nitrato d’argento. Dopo 15 gg poiché non erano evidenti segni di miglioramento della lesione, è stata prospettata l’escissione chirurgica del tessuto di granulazione o la rimozione del catetere; prima di procedere in tal senso, previo consenso informato dei genitori, è stata avviata terapia con linezolid, un nuovo inibitore delle MAOI, non in uso ancora in età pediatrica, alla posologia di 10 mg/kg due volte al dì e.v. per i primi 10 gg e poi per os nei successivi 15 gg, associandolo a fluconazolo. Risultati: Dopo alcuni gg di terapia si è registrato un netto e progressivo miglioramento della lesione sino alla scomparsa di ogni segno di flogosi, in assenza di effetti collaterali e senza rimozione del catetere. A distanza di 12 mesi il ragazzo è libero da infezioni connesse al catetere peritoneale. Conclusioni: Il linezolid nella nostra esperienza si è rivelato una valida alternativa medica alla rimozione del catetere peritoneale. IL POSIZIONAMENTO DEL CATETERE DI TENCKHOFF CON TRAGITTO INTRAMURARIO “OBLIQUO” PER PREVENIRNE LA DISLOCAZIONE P. M. Caviglia, A. Tirotta, V. Berruti, M. G. Nasini, M. Repetto, O. Santoni, C. Schelotto, S. Carozzi SC Nefrologia, Dialisi, Trapianto, Ospedale San Paolo, ASL2 Savonese Introduzione: In corso di dialisi peritoneale, non è chiaro quali fattori influenzino l’outcome del catetere peritoneale stesso(1). Riguardo al rischio di dislocazione, è possibile che il catetere "swan neck" presenti un certo vantaggio (1, 2) rispetto al Tenckhoff tradizionale. Scopo del lavoro: Riportiamo l’esperienza del nostro centro circa il posizionamento del Tenckhoff con tragitto intramurario “obliquo”, per prevenirne la dislocazione. Materiali e metodi: 23 pazienti da ottobre 2005 ad agosto 2007 sono stati sottoposti ad inserimento di catetere di Tenckhoff con tragitto intramurario “obliquo”. I tempi operatori della nostra tecnica chirurgica sono i seguenti: 9 anestesia locale e sistemica (fentanil); 9 incisione su linea alba circa 5 cm al di sotto dell’ombelico, dissezione per piani della cute, sottocute, fascia e muscoli retti che vengono divaricati manualmente, 9 isolamento del peritoneo, piccola incisione dello stesso ed introduzione del catetere dirigendolo verso il basso, 9 prova del catetere infondendo 30 ml circa di soluzione fisiologica e controllandone il flusso di drenaggio, 9 fissaggio del catetere sul peritoneo con borsa di tabacco che ingloba parzialmente la cuffia in dacron, 9 prima di iniziare la sutura della parete a strati, si posiziona il tratto intramurario del catetere con direzione obliqua su piano sagittale, diretta in basso,“sdraiato” al di sotto della fascia dei muscoli retti, 9 la stessa direzione viene mantenuta durante la sutura della cute, del sottocute e nel confezionamento del tunnel sottocutaneo che inizia dal punto più craniale della ferita cutanea dirigendo in senso latero – inferiore. La memoria elastica del catetere tenderà a fargli assumere sempre, nella porzione intraperitoneale, un direzione verso il basso, anche dopo eventuale dislocazione. 35 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Risultati: Nei 312 mesi di osservazione complessivi (media 13.5, DS 8.7 mesi-paziente), segnaliamo un solo caso di dislocazione permanente del catetere. In un altro caso, al controllo radiologico, il catetere risultava in ipocondrio sin e migrava spontaneamente dopo circa una settimana nello scavo pelvico. Due casi sono stati complicati da ematoma della parete muscolare, risoltosi spontaneamente. Nel follow-up: dieci casi di peritoniti (1/28,4 mesi-paziente); due infezioni dell’exit-site che hanno richiesto terapia antibiotica. Conclusioni:Nella nostra esperienza, il posizionamento di catetere di Tenckhoff con tragitto intramurario “obliquo” risulta efficace nel prevenire la dislocazione del catetere. (1) Flanigan M, Gokal R.Perit Dial Int. 2005 Mar-Apr; 25(2):132-9 (2) Gadallah MF et coll, Adv Perit Dial. 2000; 16:47-50. TECNICA “AD INCASTRO” PER IL SALVATAGGIO CHIRURGICO DEL CATETERE PERITONEALE INFETTO P. M. Caviglia, A. Tirotta, R. Del Rio, N. Delfino, S. Giupponi, P. Rustighi, S. Carozzi SC Nefrologia,Dialisi,Trapianto,Ospedale San Paolo, ASL2 Savonese Introduzione: In dialisi peritoneale, le infezioni del catetere peritoneale, a partenza dall’exit-site e dal tunnel sottocutaneo, sono la causa principale di rimozione del catetere stesso (1). Scopo del lavoro:Descriviamo una tecnica di salvataggio che consiste nella sostituzione parziale di catetere di Tenckhoff a doppia cuffia, infetto, mediante manicotto di raccordo, salvaguardando la cuffia interna. Materiali e metodi: Abbiamo applicato questa tecnica ad un paziente portatore di trapianto cardiaco al fine di non interrompere la dialisi peritoneale e limitare il disagio di un intervento complesso. Mediante ecografia, abbiamo escluso che la zona infetta (flemmone) coinvolgesse anche la cuffia interna e la parte profonda del tunnel sottocutaneo. L’intervento proprio è descritto dai seguenti tempi operatori: 9 Dopo anestesia locale, piccola incisione della cute e del sottocute al di sopra del punto di attraversamento della fascia esterna del muscolo retto, cioè al passaggio tra tunnel sottocutaneo e tratto intramurario; 9 il catetere veniva isolato, clampato e tagliato circa 1 cm al di sopra della fascia, sfilando dall’exit site la parte esterna,infetta; 9 rimozione di tutti i ferri e della teleria con successiva ricostituzione di campo sterile ed utilizzo di nuovo set chirurgico (durante queste operazioni il moncone di catetere rimasto e la pinza venivano disinfettate con soluzione di amuchina al 10%); 9 ricostruzione della parte esterna utilizzando la porzione di un nuovo catetere, comprendente la cuffia sottocutanea, che veniva unito al catetere originario, utilizzando come manicotto di raccordo un tratto di circa 2 cm di transfert set, in silicone, all’interno del quale i due monconi venivano forzati; 9 costituzione e posizionamento in un nuovo tunnel controlaterale al precedente; 9 fissaggio del catetere con punto di sutura sulla cute che veniva rimosso dopo 2 settimane (tempo stimato necessario perché la nuova cuffia sottocutanea si ancorasse in modo definitivo). Risultati:Il paziente veniva dimesso dopo un giorno, senza interruzione del trattamento dialitico, senza complicanze a tipo disconnessione o leakage, né immediate, né a distanza di un anno. Il flemmone intorno al vecchio tunnel sottocutaneo guariva dopo 10 giorni di terapia antibiotica, locale e sistemica. Conclusioni: Questa tecnica ha il vantaggio di essere veloce, di prevenire le complicanze legate alla rimozione chirurgica del catetere, di evitare l’interruzione della dialisi peritoneale. Rispetto a quanto descritto da altri che hanno utilizzato uno stent come raccordo (2), il lume del catetere non viene ridotto. 1) Wadhwa NK, Reddy GH. Contrib Nephrol. 2007;154:117-24. 2) Wu YM et coll., Perit Dial Int. 1999 Sep-Oct;19(5):451-4 36 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 POSTER La Membrana Peritoneale MIGLIORAMENTO DELL’ULTRAFILTRAZIONE E DELLA PRESSIONE ARTERIOSA SISTEMICA DOPO INIZIO DI ICODESTRINE, IN DUE PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE D. Rossi, G. Gentile, G. Campus, C. Giammarioli, V. Mugnari, R. Lisandrelli, C. Belligi, U. Buoncristiani SC di Nefrologia e Dialisi, Ospedale “R. Silvestrini”, Perugia Introduzione: Dopo circa sei anni di dialisi peritoneale, nel 31% dei pazienti, c’è un calo dell’ultrafiltrazione1, per sclerosi peritoneale dovuta a flogosi del peritoneo, causata da peritoniti2 e dal contatto con irritanti come il glucosio e i suoi prodotti di degradazione3. Conseguono quindi stato di iperidratazione e peggioramento dei livelli pressori4 e del metabolismo glucidico5. In questi pazienti si rende necessario iniziare un trattamento emodialitico sostitutivo1. Case report: Riportiamo il caso di due pazienti di sesso femminile, in dialisi peritoneale per otto e sei anni, affette rispettivamente da malattia policistica dell’adulto e da pielonefrite cronica. Entrambe hanno sviluppato, tre peritoniti da Gram negativi, durante il periodo del trattamento dialitico. Dopo cinque e quattro anni rispettivamente di dialisi con buona efficienza (resa media di 500 e 540 cc/die, diuresi media di 900 e 800 cc/die, peso di 55 e 56 Kg, livelli pressori medi di 128/75 mmHg, senza terapia antipertensiva ed ACE inibitore rispettivamente), si è manifestata una progressiva perdita della diuresi e calo del volume di scarico giornaliero, aumento del peso e dei livelli pressori (in entrambi i casi 160/110 mmHg e comparsa di ipertrofia ventricolare sinistra), nonostante l’incremento della terapia antiipertensiva. In attesa di costruire una fistola AV, si decide di iniziare uno schema di CAPD con soluzioni a 1,36%, aminoacidi, bicarbonato ed icodestrine. La resa peritoneale migliorò (volumi di scarico medi di 900 e 1200 cc/die rispettivamente), sul peso corporeo (-16%) e sui livelli pressori (da 160/110 mmHg a 135/80 e 140/80 rispettivamente, con la terapia antiipertensiva sopra riportata). Discussione: La perdita di ultrafiltrazione della membrana peritoneale è una complicanza della dialisi peritoneale, la cui prevalenza è stimata tra il 17 ed il 24% dei pazienti1. Le principali cause sono il numero e la gravità delle peritoniti2 e l’irritazione del peritoneo da glucosio e suoi prodotti di degradazione3. I segni clinici sono riduzione del volume di ultrafiltrato, anche usando soluzioni ipertoniche, iperidratazione, ipertensione arteriosa sistemica ed edemi. Può insorgere un diabete mellito, per l’assorbimento del glucosio del liquido peritoneale5. Nelle nostre pazienti, per lo stato di iperidratazione eravamo intenzionati ad iniziare il trattamento emodialitico1, per ottimizzare la rimozione di fluidi. Con le icodestrine, polimeri del glucosio non assorbibili a livello peritoneale, si ottiene un aumento del volume di ultrafiltrazione, senza riassorbimento, come confermato da vari studi1,5,6. Non sono noti gli effetti negativi dell’utilizzazione a lungo termine delle icodestrine, tranne la peritonite sterile7. Nelle nostre pazienti abbiamo usato i schemi con icodestrine, come ponte per avere il tempo di costruire un accesso vascolare ed iniziare l’emodialisi, per l’iperidratazione refrattaria agli schemi classici. I risultati a sei mesi di tale trattamento sono stati positivi, avendo ottenuto la disidratazione e il miglioramento dei livelli pressori in entrambe le pazienti. Per l’evenienza del trapianto di rene, non abbiamo potuto seguire nel tempo le pazienti per vedere l’andamento del volume di ultrafiltrazione e dell’ipertrofia ventricolare sinistra. 1) Plum J et al Efficacy and safety of a 7.5% icodextrin peritoneal dialysis solution in patients treated with automated peritoneal dialysis. Am J Kidney Dis 39(4) 2002: 862-871 2) Krediet RT. Prevention and treatment of peritoneal dialysis membrane failure. Adv Ren Replace Ther. 5(3); 1998:212-7. Review 3) Zareie M et al. Contribution of lactate buffer, glucose and glucose degradation products to peritoneal injury in vivo. Nephrol Dial Transplant 18, 2003: 2629-2637 4) Lameire N, Van Biesen W. Importance of blood pressure and volume control in peritoneal dialysis patients. Perit Dial Int. 21(2); 2001:206-11. 5) Wolfson M et al. A randomized controlled trial to evaluate the efficacy 37 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 and safety of icodextrin in peritoneal dialysis. Am J Kidney Dis 40 (5), 2002: 1055-1065 6) Glorieux G et al. Specific characteristics of peritoneal leucocyte populations during sterile peritonitis associated with icodextrin CAPD fluids Nephrol Dial Transplant 18; 2003:1648– 1653 7) Goffin E et al. Icodextrin-associated peritonitis: what conclusions thus far? Nephrol Dial Transplant 18, 2003: 2482–2485. POSTER Aspetti Nutrizionali LA DIALISI PERITONEALE MONOSCAMBIO-DIE ASSOCIATA ALLA DIETA IPOPROTEICA. VALUTAZIONE DOPO 6 MESI. R. dell’Aquila, C. Avanzi, C. Casale, T. Marinelli, C. Montemurno U.O. di Nefrologia e Dialisi, Osp. “T. Masselli”, San Severo Introduzione: Il trattamento peritoneale viene iniziato quando la funzione renale residua diventa insufficiente, nonostante la riduzione del carico metabolico con diete ipoproteiche. Con l’inizio del trattamento sostitutivo viene sospesa l’eventuale dieta ipoproteica, anzi, come suggerito dalle linee guida, viene proposta dieta leggermente iperproteica (e, pertanto, necessariamente iperfosforica, con la consueta prescrizione di chelanti intestinali del fosforo). L’efficacia, in termini depurativi, del singolo scambio peritoneale è di per sé modesta. Difatti ben presto occorre incrementare la dose dialitica con più scambi giornalieri o iniziare il trattamento automatizzato con cycler. Tuttavia la contemporanea assunzione di dieta ipoproteica e normocalorica associata all’assunzione di chetoanaloghi, riduce il carico metabolico dietetico, previene la malnutrizione e può rendere sufficiente il monoscambio giornaliero. Presso la nostra U.O., viene sempre proposto al paziente l’associazione del trattamento peritoneale all’ assunzione di dieta ipoproteica (0,6 g. proteine per Kg P.C.), normocalorica (30 Kcal per Kg P.C.), integrata con chetoanaloghi (1 cp ogni 10 Kg P.C.) Materiali e metodi: Abbiamo valutato i parametri clinico-nutrizionali di 6 pazienti dopo 6 mesi dall’inizio del trattamento peritoneale monoscambio associato alla dieta ipoproteica (Tab. I). 4 di questi pazienti giungevano al trattamento sostitutivo dopo un periodo di dieta a bassissimo contenuto proteico (0,3 g proteine/kg P.C.), 1 paziente da una dieta ipoproteica (0,6 g proteine / Kg P.C.), una paziente, “late referral”, giungeva d’urgenza senza aver eseguito alcuna dieta ipoproteica. Dei 6 pazienti considerati 2 hanno eseguito il trapianto renale (dopo un’ anno e mezzo e Tab. I – Casistica dopo due anni dall’inizio del trattamento n. pazienti 6 (4 M – 2 F) peritoneale monoscambio), 3 pazienti sono età (anni) 49,8 ± 5,8 ancora in trattamento sostitutivo monoscambio 2 Tx; (età media del trattamento 11 mesi), un altro è Terapia sostitutiva attuale 3 DP m in trattamento peritoneale continuo dopo aver 1 APD eseguito trattamento combinato monoscambio e dieta ipoproteica per circa un anno e mezzo. Risultati: Nei sei mesi di intervallo considerato, non si Tab. II – Risultati sono riscontrate variazioni significative dei Creatinina (mg/dl) 7,4 ± 0,6 parametri laboratoristici e nutrizionali (Tab. II). Azotemia (mg/dl) 127 ± 22,7 E’ stata riferita miglioramento della Colesterolo Tot (mg/dl) 204 ± 31,2 sintomatologia soggettiva dei pazienti (che Colesterolo HDL(mg/dl) 53,3 ± 9,7 hanno deciso di continuare la dieta). Di Trigliceridi (mg/dl) 162 ± 36,6 rilevante si è apprezzato, invece, una stabilità Albuminemia (gr/L) 3,5 ± 0,1 dei parametri laboratoristici quali la PTH (pg /ml) 217 ± 14 colesterolemia totale e HDL e la trigliceridemia, Potassiemia (mEq/L) 5,9 ± 0,2 parametri che sono raddoppiati nei pazienti a dieta libera e con più scambi peritoneali al dì. Conclusioni: Verosimilmente la minor quantità di glucosio che viene assorbito a livello peritoneale 38 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 con il monoscambio, la ridotta quantità di colesterolo e grassi saturi e il maggior contenuto di fibre alimentari che la dieta ipoproteica comporta, garantiscono un rischio aterogeno di gran lunga inferiore (Tab. II). POSTER Clinica e Terapia LA GRAVIDANZA DI DIALISI PERITONEALE: DESCRIZIONE DI UN CASO G. Dessi, K. Cannas, E. Manca, A. Pani, P. Altieri, E. Loi, G. Cabiddu Dipartimento Patologia Renale, Azienda Ospedaliera Brotzu, Cagliari Introduzione: La gravidanza è infrequente nelle donne con insufficienza renale cronica in trattamento sostitutivo (emodialisi o dialisi peritoneale). L’incidenza di gravidanze in dialisi peritoneale è ancora più bassa rispetto all’emodialisi. Scopo del lavoro: Descriviamo il caso di una gravidanza in dialisi peritoneale portata a termine con esito favorevole sia per la madre che per il feto. Materiali e metodi: La paziente è una donna di 38 anni alla quale nel 2003 venne riscontrata una insufficienza renale cronica per la quale non effettuò nessun controllo fino al novembre 2006 quando venne ricoverata presso il nostro reparto con un quadro di insufficienza renale cronica al V° stadio. Nel febbraio 2007 fu posizionato un catetere peritoneale nell’ambito di un programma di dialisi peritoneale e, nell’aprile 2007 iniziò la dialisi peritoneale manuale (CAPD incrementale con due sacche/die). Nel maggio 2007 presentò un episodio di infezione peritoneale da gram- (acinetobacter junii). Nel corso degli accertamenti diagnostici ci fu l’occasionale riscontro di una gravidanza alla 22° settimana (datazione ecografica). L’infezione peritoneale rispose rapidamente alla antibiotico terapia e la paziente venne addestrata alla dialisi peritoneale automatizzata. Il decorso della gravidanza fu ulteriormente complicato da una importante anemia trattata con eritropoietina sottocute, da un poliidramnios insorto alla 24° settimana di gravidanza e, nel luglio 2007 da un secondo episodio di infezione peritoneale (da corinebacterium species). Dopo tale episodio, in considerazione anche della assoluta mancanza di compliance, alla 33° settimana di gravidanza fu sospesa la dialisi peritoneale. La paziente partorì, per vie naturali, alla 35° settimana una femmina di 1380 grammi, con Apgar: 78. Successivamente fu allestita una fistola artero-venosa e la paziente iniziò il trattamento emodialitico. Conclusioni: Sebbene il caso della nostra paziente non possa essere considerato “paradigmatico” (data la assoluta mancanza di compliance), la letteratura ci dimostra che le donne in dialisi peritoneale possono affrontare una gravidanza. Tale gravidanza deve essere considerata e gestita come una gravidanza ad alto rischio e richiede l’intervento di un team multidisciplinare (nefrologico, ostetrico, neonatologico). Infine, la donna in età fertile in dialisi dovrebbe essere avvisata della possibilità del concepimento e dovrebbe ricevere un adeguato counseling sia sulle problematiche connesse ad una eventuale gravidanza sia su una adeguata contraccezione per coloro che non desiderano o le cui condizioni non consentono di affrontare una gravidanza. 39 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 LEAKAGE IN PAZIENTE SOTTOPOSTO A COLECISTECTOMIA PER VIA LAPAROSCOPICA * M. Brigante, *S. Baranello, *S. Di Stante, **G. Sallustio * U.O.C. Nefrologia Dialisi, Ospedale A. Cardarelli, Campobasso **U.O.C Radiodiagnostica, Università Cattolica Sacro Cuore, Campobasso Introduzione: Il leakage rappresenta la maggiore complicanza non infettiva della dialisi peritoneale. La maggior parte dei leakage sono legati ad una cattiva chiusura del peritoneo intorno alla cuffia del catetere. Materiali e Metodi: Nel caso clinico descritto la presenza di leakage tardivo (oltre 30giorni dal posizionamento del catetere) è secondario alla non chiusura del peritoneo dopo rimozione di drenaggio chirurgico. Il catetere peritoneale era stato posizionato infatti in un tempo unico in corso di intervento di colecistectomia per via videolaparoscopica, ed al riempimento completo dell’addome,dopo 30 giorni, con due litri di soluzione dializzante era comparso edema genitale. Risultati e conclusioni: La peritoneoTC ha consentito di individuare il leakage in posizione sottoepatica, sede del drenaggio posizionato nel postoperatorio, di poter effettuare intervento di riparazione chirurgica e di continuare la metodica. EFFICACIA DEL CARBONATO DI LANTANIO COME CHELANTE DEL FOSFORO SU UN GRUPPO DI SOGGETTI IN TRATTAMENTO DIALITICO PERITONEALE A. Amato, B. Oliva, R. Cusimano, F. Caputo U.O.C. Nefrologia 2 con Dialisi e Trapianto, ARNAS Civico, Palermo Centro Trapianti “Leonardo Sciascia” Le alterazioni del metabolismo calcio-fosforo costituiscono una delle caratteristiche più tipiche dell’insufficienza renale cronica. La ritenzione di fosforo (e dunque l’iperfosforemia) è uno dei fattori chiave nella fisiopatologia delle alterazioni dell’iperparatiroidismo e risulta essere uno dei fattori di rischio indipendenti più importanti per calcificazioni e mortalità cardiovascolare. Numerosi farmaci sono impiegati nella pratica clinica per controllare il bilancio del fosforo intervenendo sull’assorbimento intestinale. I farmaci “chelanti” del fosforo più utilizzati sono i sali di calcio (acetato e carbonato di calcio), i sali di alluminio ed il sevelamer. Il carbonato di lantanio è un chelante del fosforo di recente introduzione che non contiene calcio. Nel nostro centro sono stati trattati con carbonato di lantanio 30 pazienti in trattamento dialitico peritoneale da più di tre mesi. 29 soggetti hanno completato 4 settimane di trattamento. Il follow-up medio è stato di 8,3 mesi. La dose media impiegata è stata di circa 2 g/die, da solo o in associazione con altri chelanti del fosforo. 5 pazienti hanno sospeso il trattamento dopo un periodo medio di 3,5 mesi: quattro di questi per disturbi di tipo gastrointestinale (nausea e vomito), una paziente per una reazione cutanea di incerta causa. 6 pazienti durante il follow-up sono usciti dalla metodica perché deceduti (3), passati all’emodialisi (2) o trapiantati (1). PRESCRIZIONE DI DIALISI PERITONEALE IN UNA CASISTICA PEDIATRICA MULTICENTRICA E. Verrina, F. Perfumo, A. Edefonti, F. Emma, B. Gianoglio, S. Maringhini, C. Pecoraro, P. Sorino, G. Zacchello Registro Italiano di Dialisi Cronica in Età Pediatrica Introduzione: La dialisi peritoneale (DP) rappresenta la terapia dialitica più frequentemente utilizzata nel trattamento del paziente pediatrico in insufficienza renale terminale: in Italia nel 2005 il 58% dei pazienti in dialisi cronica di età pediatrica sono stati trattati con la DP, che ha rappresentato la prima scelta dialitica per il 75% dei nuovi pazienti. Scopo del lavoro: Analizzare i regimi di DP adottati nel trattamento di pazienti d’età < 18 anni all’inizio della dialisi cronica nei centri di dialisi pediatrica del nostro Paese . Materiali e metodi: Sono state valutate 149 prescrizioni dialitiche formulate nel corso del 2005 in 91 pazienti di età compresa tra 0.5 e 17.5 anni trattati in 12 centri italiani di dialisi pediatrica. 40 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Risultati: Un solo paziente era in CAPD (2 prescrizioni); pertanto i dati presentati riguardano 147 prescrizioni di APD formulate in 90 pazienti. La concentrazione di glucosio della soluzione di dialisi (PDF) usata nell’APD notturna era > 1.36% nel 27% dei trattamenti e nel 12% dei casi il tampone era rappresentato da bicarbonato o bicarbonato/lattato. I diversi regimi prescrittivi erano così costituiti: 9 NIPD (89 Pr; 60.5%): 9.6 r 1.3 (8-13) ore; 13.3 r 5.5 (6-27) cicli/notte ; volume di carico (DV) = 889 r 232 (465-1400) ml/m2 s.c.; 9 DP tidal (42 Pr; 28.6%): 9.7 r 1.9 (8-18) ore; 16.9 r 5.6 (9-31) cicli/notte; DV = 1008 r 182 (600-1200) ml/m2 s.c.; volume tidal 63.8 r 9.5 (50-85)%; in 9 casi (21.4%) regime continuo con addome pieno durante il giorno; 9 CCPD (16; 10.9%): 10.3 r 1.6 (8-14) ore; 15.6 r 5.6 (7-27) cicli/notte; DV = 1017 r 162 (600-1280) ml/m2 s.c.; DV della stasi diurna: 62 r 18 (50 - 100) % del DV della seduta notturna. La percentuale di pazienti con funzione renale residua era del 63.5 % tra quelli in NIPD, del 56% tra quelli in DP tidal e del 6.2% tra quelli in CCPD. Complessivamente un regime continuo di APD, cioè con un DV della stasi diurna > 50% del DV notturno, è stato utilizzato nel 17% dei casi (25 Pr); inoltre in un altro 37% di trattamenti veniva lasciato in addome durante il giorno un DV sufficiente ad iniziare la seduta di PD notturna con una fase di scarico che consenta il flush delle linee. Il tipo di soluzione impiegata nella stasi diurna dei regimi continui era a base di glucosio 1.36% in 13 casi (52%) e di icodestrina 7.5% in 12 casi (48%); la percentuale di casi in cui venivano utilizzate soluzioni ipertoniche di glucosio nella seduta di APD notturna era pari al 67% nei pazienti in glucosio e al 50% in quelli in icodestrina. Conclusioni: L’APD si conferma anche in questa casistica la modalità di DP largamente preferita per il trattamento dei pazienti pediatrici, non solo in quanto le sedute notturne consentono una migliore riabilitazione sociale del paziente e del suo gruppo famigliare, ma anche perché l’ampia gamma di opzioni prescrittive contribuiscono a personalizzare il trattamento dialitico in base alle diverse necessità cliniche e metaboliche di una popolazione di pazienti che presenta ampie differenze di età e dimensioni corporee. Dal punto di vista tecnico i dati di questa casistica multicentrica forniscono alcuni spunti di discussione: 1) impiego della CCPD pressoché esclusivamente nei pazienti senza funzione renale residua; 2) utilizzo ancora relativamente limitato delle soluzioni con tampone bicarbonato; 3) uso della soluzione con icodestrina in non più del 50% dei pazienti cui veniva prescritta una stasi diurna. LA DIALISI PERITONEALE NEI PAZIENTI ANZIANI: ESPERIENZA DI UN CENTRO E. Manca, K. Cannas, G. Dessi, P. Altieri, G. Cabiddu Dipartimento Patologia Renale, Azienda Ospedaliera Brotzu, Cagliari Introduzione: Negli ultimi 20 anni si è assistito ad un aumento dell’incidenza dei pazienti ultrasettantenni affetti da insufficienza renale cronica terminale richiedenti il trattamento dialitico sostitutivo. Nelle persone anziane la scelta delle modalità dialitica deve prendere attentamente in considerazione non solo le condizioni mediche ma anche i fattori psicosociali. Oggigiorno sempre più frequentemente la dialisi peritoneale sta rappresentando una valida alternativa all’emodialisi per il management del paziente anziano richiedente terapia dialitica sostitutiva . Sebbene il ruolo della dialisi peritoneale negli anziani sia stato confermato,questa modalità è ancora sottovalutata e poco utilizzata; in parte forse perché il paziente “old-old” (>80 anni) ha più difficoltà ad eseguirsi la dialisi da solo, contrariamente al paziente “young-old”. Nonostante il numero dei pazienti “old-old” in dialisi peritoneale sia in continuo aumento, si sa ancora poco sull’esito, sulla qualità di vita e sulle complicanze di questa metodica in tale categoria di pazienti. Scopo del lavoro: Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare retrospettivamente, i risultati ottenuti da questo trattamento sostitutivo sulla popolazione “old-old”(>80 anni), esaminando soprattutto certi aspetti: qualità di vita, sopravvivenza, complicanze, cause di drop-out e adeguatezza dialitica. Materiali e metodi: Abbiamo esaminato retrospettivamente, da Giugno 1998 a Dicembre 2006, i risultati del trattamento dialitico peritoneale in 13 pazienti “old old” seguiti presso il nostro centro. 41 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 Tre pazienti erano di sesso femminile e nove di sesso maschile. Nove pazienti effettuavano Dialisi Peritoneale Automatizzata (APD) e 4 la Dialisi Peritoneale Manuale (CAPD). I pazienti venivano valutati ambulatorialmente, salvo necessità, una volta al mese. Abbiamo valutato: parametri clinici (peso, pressione arteriosa, idratazione); parametri ematochimici (assetto lipidico, assetto marziale, emocromo, PTH, adeguatezza dialitica, equilibrio elettrolitico ed acido-base); incidenza e tipo di infezioni peritoneali e infezioni dell’exite-site e le cause di drop-out dalla metodica dialitica. Risultati: I pazienti hanno effettuato la metodica in media per 43 mesi. Nei casi verificatesi di dropout la causa è stata per tutti l’exitus del paziente e non motivi legati alla metodica. L’incidenza delle peritoniti e dei ricoveri non è stata più alta rispetto al resto della popolazione dialitica. I principali parametri ematochimici esaminati sono rimasti più o meno invariati tra l’inizio e la fine dell’osservazione e non si sono riscontrati casi di malnutrizione. Conclusioni: Da tale analisi retrospettiva emerge che la dialisi peritoneale rappresenta una valida e sicura alternativa all’emodialisi nel trattamento sostitutivo dei pazienti molto anziani POSTER Peritoniti LA PERITONITE IN UN CENTRO DIALISI PERITONEALE DI MEDIE DIMENSIONI. REVIEW DI SEI ANNI DI CASISTICA. A. Cioni, E. Montagnani, I. Cavallini, G. Polini, C. Sordini, R. Bigazzi U.O. Nefrologia, A.S.L. 6, Livorno. Introduzione: La peritonite è da sempre una delle cause principali di drop-out dal trattamento dialitico peritoneale ed è anche uno dei motivi per cui la dialisi peritoneale spesso non viene proposta ai pazienti. Le metodiche dialitiche automatizzate (opinione controversa) ed i continui aggiornamenti tecnici (specialmente i nuovi sistemi di connessione, ma anche la sempre migliore biocompatibilità delle soluzioni, i tamponi fisiologici) sono stati proposti anche al fine di ridurre questa temibile complicanza. Scopo dello studio: valutazione retrospettiva della casistica al fine di valutare la congruità della nostra esperienza rispetto a quanto riportato in letteratura; evidenza di punti critici da correggere. Materiali e metodi: Il nostro centro tratta pazienti uremici cronici con la dialisi peritoneale da oltre 15 anni; nel presente studio si è considerato però un periodo più recente (1/1/2001 - 31/12/2006) in quanto omogeneo sia per il numero di pazienti trattati (25.1 pazienti prevalenti per anno, da 22 a 29) che per quanto riguarda gli aspetti clinici ed organizzativi. In effetti nel periodo considerato sono stati trattati 113 pazienti (per un totale di 1744 mesi/paz), tutti con catetere swan-neck doppia cuffia posizionato da chirurgo esperto; lo staff medico ed infermieristico era dedicato alla DP, si è eseguito training standardizzato e visite domiciliari inclusive di retraining. La diagnosi di peritonite veniva posta su criteri clinici, conta cellule nell’ effluente, colorazione di Gram, esame colturale. Risultati: si sono globalmente osservati 45 episodi di peritonite correlata alla dialisi peritoneale, pari ad una incidenza di 1 episodio ogni 38.7 paz/mese (ossia 0.31 episodi/anno). L’incidenza delle peritoniti da Gram positivi è stata 1 episodio ogni 51.2 paz/mese; quella dei Gram negativi di 1 episodio ogni 249 paz/mese. Le colture negative sono state 4 , quindi l’ 8.88 %. Due le peritoniti fungine (Candida). L’outcome è stato il seguente: Agente eziologico Gram Positivi Gram Negativi Candida Polimicrobiche Episodi di peritonite 32 5 2 2 Decessi 1 1 0 0 Rimozione catetere 2 2 2 2 Si è considerata anche la incidenza di peritoniti rispetto alla modalità di trattamento (metodiche manuali o automatizzate). Nei pazienti trattati con APD si sono registrati 24 episodi di peritonite: 1 episodio ogni 46.8 pazienti/mese; invece in quelli trattati con CAPD gli episodi sono stati 21, quindi 42 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 1 episodio ogni 29.5 pazienti/mese. Valutando invece l’utilizzo di sacche contenenti diversi tipi di tampone (lattato versus sacche contenenti bicarbonato o bicarbonato + lattato) si è riscontrata una incidenza di peritoniti pari a 1 episodio ogni 37.0 paz/mese nei pazienti trattati con lattato contro 1 episodio ogni 43.9 paz/mese in coloro che erano trattati con soluzioni più biocompatibili. Quando la DP veniva eseguita da un partner si è osservata una incidenza di peritoniti di 1 episodio ogni 19.2 paz/mese; nel caso di pazienti autonomi invece la frequenza era di 1 ogni 70.4 paz/mese. Conclusioni: Nella nostra esperienza, a fronte di una bassa incidenza globale di casi di peritonite, si evidenzia una prognosi sfavorevole nei casi di infezioni da funghi e da germi Gram negativi. Inoltre i nostri dati indicano come i pazienti autonomi, quelli trattati con tampone fisiologico e quelli in trattamento con metodiche automatizzate presentino una minore incidenza di peritoniti rispetto a quelli trattati con l’ ausilio di partner, con tampone lattato, con metodiche manuali. LA PERITONITE SCLEROSANTE IN DIALISI PERITONEALE: ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO V. Vizzardi, G. Mazzola, M. Sandrini, L. Manili, G. Brunori, G. C. Cancarini Divisione e Cattedra di Nefrologia, Spedali Civili e Università di Brescia Introduction and aims: la Peritonite Sclerosante (PS) è una rara complicanza della Dialisi Peritoneale (DP) nella cui patogenesi intervengono probabilmente fattori diversi: la scarsa compatibilità delle soluzioni dialitiche, l’età dialitica, il numero di peritoniti, l’uso di beta-bloccanti. In studi su grandi popolazioni la prevalenza della PS varia dallo 0.5 a 0.9 %. Le alterazioni indotte dalla PS comprendono: infiltrati infiammatori, calcificazioni, rigidità ed ispessimento delle anse intestinali che progressivamente ne riducono la motilità. I sintomi più frequenti sono: dolore addominale, nausea, vomito, anoressia, calo ponderale, distensione addominale, masse addominale palpabili. Nella PS si riconosce spesso la progressiva riduzione della capacità di ultrafiltrazione. Methods: Da luglio 1979 a novembre 2007, 758 pazienti sono stati arruolati in DP nel nostro Centro per un’esposizione complessiva di 2159 anni/paziente. Sono stati diagnosticati 21 casi di PS, in 14 maschi e 7 femmine, con età media di 51±13 anni (range 20-73), prevalenza di 2,7% ed incidenza di 1/103 anni/paziente. Nel corso del trattamento peritoneale in questi pazienti sono stati diagnosticati complessivamente 56 episodi di peritonite (range 0-8) con un’incidenza di peritonite di 1 episodio ogni 35 mesi/paziente. La durata media della DP all’atto della diagnosi di PS era di 93±63 mesi, range 17-225. In nessun caso il sistema di connessione prevedeva l’utilizzo di clorexidina o povidone, undici pazienti avevano effettuato terapia con beta-bloccanti. Sedici pazienti (70%) erano in DP da più di quattro anni. Results: La diagnosi di PS fu istologica in 9 casi, laparotomica in 2 e clinico-strumentale negli altri 10 casi. Il quadro clinico esordì con sub-occlusione intestinale in 10 pazienti, in un paziente con emoperitoneo. In un caso la diagnosi fu successiva alla sostituzione del catetere peritoneale per peritoniti recidivanti. In 8 pazienti la diagnosi fu contemporanea o subito dopo il primo episodio di peritonite. Dieci pazienti furono trattatti con steroide (due di questi anche con fosfatidilcolina) ed un paziente solo con fosfatidilcolina. La sopravvivenza a 1, 2 e 3 anni dalla diagnosi di PS era rispettivamente del 76%, 70% e 43%. Undici pazienti sono deceduti con un’età media al decesso di 69±7 anni. Conclusions: Nella nostra osservazione l’insorgenza della SP si è verificata più tardivamente e la sopravvivenza dei pazienti è risultata migliore rispetto a quella riportata in letteratura, anche se il dato potrà essere confermato solo da un prolungamento ulteriore dell’osservazione. 43 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 POSTER Gestione ed Organizzazione LA DIALISI PERITONEALE IN RESIDENZE PER ANZIANI: ESPERIENZA DECENNALE DI UN SINGOLO CENTRO R. Bergia, B. Agostini, I. M. Berto, G. M. Bosticardo, E. Caramello, S. Maroni, V. Morellini, E. Schillaci, P. Bajardi S.C. di Nefrologia e Dialisi, Ospedale degli Infermi, ASL 12, Biella Introduzione: L’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione, una migliore educazione sanitaria, i continui progressi della medicina, una maggiore conoscenza ed attenzione dei medici di famiglia hanno portato negli ultimi anni ad una rapida espansione della popolazione dialitica anziana. La possibilità di utilizzare la dialisi peritoneale (DP) nel trattamento dell’anziano con uremia terminale è spesso limitata dalla assenza di idoneità attitudinale ad un trattamento autogestito, associata alla mancanza di un partner disponibile o di un domicilio idoneo. In questi casi la DP effettuata in una residenza per anziani (RA) può costituire una possibile alternativa al trattamento sostitutivo mediante emodialisi ospedaliera. Scopo del lavoro: Riportare la nostra decennale esperienza sull’argomento. Materiali e metodi: Nel nostro centro dialisi da giugno 1997 a novembre 2007 abbiamo gestito la DP presso RA in 21 pazienti, 9 di sesso maschile e 12 di sesso femminile, di età compresa fra 63 e 88 anni (età mediana 76 anni). Si trattava di pazienti molto compromessi con un numero elevato di comorbidità associate (in media: 2.6±1; range 1-5); nessuno era in grado di gestire in modo autonomo il trattamento dialitico; soltanto 4 erano in grado di soddisfare autonomamente i propri bisogni di base. Quattro pazienti erano già ospiti di una RA prima dell’inizio del trattamento sostitutivo; negli altri pazienti l’inserimento in RA si è reso necessario per poter iniziare la DP (10 casi) oppure per poterla proseguire (7 casi). Le RA coinvolte nella gestione della DP sono state ben 12, distribuite su tutto il territorio della nostra ASL. La conduzione del trattamento è stata affidata al personale delle RA, dopo un adeguato periodo di addestramento svolto dagli infermieri del centro; il centro dialisi ha sempre garantito una reperibilità 24h di personale infermieristico esperto in DP e di un medico nefrologo. Risultati: In 15 pazienti il trattamento di scelta è stato la DP notturna automatizzata, eseguita di norma 6 giorni alla settimana; in 6 pazienti la DP ambulatoriale continua con 3 o 4 scambi al giorno. La durata media del trattamento in RA è stata di 10.2 r 8.6 mesi (range 1-31 mesi) per un totale di 215 mesi/paziente di trattamento. L’incidenza di complicanze infettive, sia peritoneali sia dell’exit site del catetere (ESI) è stata simile a quella dei pazienti seguiti a domicilio (peritonite: 1 episodio ogni 30.7 mesi/paziente; ESI: 1 episodio ogni 107 mesi/paziente). La necessità di ricovero ospedaliero durante la permanenza in RA è stata molto bassa, con un tasso di ospedalizzazione pari a 10.5 giorni/anno/paziente. I pazienti attualmente in trattamento sono 3; 15 sono deceduti, 2 sono stati trasferiti fuori Regione e uno è rientrato al proprio domicilio. In nessun caso la DP ha dovuto essere interrotta, con successivo trasferimento del paziente all’emodialisi ospedaliera, per motivi clinici o organizzativi; in un caso è stato necessario il trasferimento del paziente in una seconda RA per sopravvenuta indisponibilità della prima. Conclusioni La nostra decennale esperienza dimostra che il trattamento con DP presso le RA è un trattamento fattibile, sicuro, privo di complicanze cliniche rilevanti, con un tasso di ospedalizzazione contenuto; esso permette la scelta o la prosecuzione della DP anche in pazienti clinicamente molto compromessi e privi di un idoneo supporto domiciliare. I risultati da noi conseguiti sono stati molto incoraggianti sia sul piano della qualità delle prestazioni erogate sia sul piano della collaborazione con altre strutture socio-sanitarie. 44 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 LA DIALISI PERITONEALE: 5 ANNI DI ESPERIENZA G. E. Russo, B. Castelmani, A. Centi, A. Morgia, B. Coppola, A. Lucchetti, M. Cavallini Dipartimento Scienze dell’Invecchiamento, U.O. di Nefrologia Geriatrica, Dialisi e Plasmaferesi, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Introduzione: La dialisi peritoneale è, insieme alla emodialisi (HD) e al trapianto di rene (Tpx), uno dei trattamenti sostitutivi nei pazienti con insufficienza renale cronica allo stadio terminale. Uno dei suoi principali vantaggi, rispetto alla HD, è quello di dare una maggiore autonomia ed indipendenza ai pazienti con conseguente miglioramento della QoL. Materiale e metodi: Dal gennaio 2002 al Dicembre 2006 abbiamo immesso in un programma di dialisi peritoneale 18 pz, di cui 14 maschi e 4 femmine, di età compresa tra 34 e 83 anni (madia 69,1r12,1 anni) in stadio di uremia. In totale sono stati posizionati 20 cateteri, in quanto in un pz si è verificato per due volte un fenomeno di dislocamento entro 7 gg dall0’intervento. Sono stati posizionati 8 cateteri Tenckhoff dritti e 10 “coiled”, tutti messi dallo stesso chirurgo in regime di Day Surgery, con tecnica chirurgica convenzionale. Dei 18 pz messi in regime di dialisi peritoneale, dopo un periodo iniziale di priming in cui tutti i pz eseguivano la dialisi peritoneale manuale (3 scambi die), 5 pz hanno iniziato la NPD, mentre gli altri 13 hanno proseguito con la manuale (mantenendo i 3 scambi giornalieri) Risultati: la sopravvivenza media dei cateteri è stata di 21,3r22,2 mesi (range: 3-60 mesi). In un caso la dialisi è stata interrotta con rimozione del catetere per lo svilupparsi di una peritonite micotica resistente alla terapia farmacologia; in altri due casi 2 casi è stata interrotta per decesso dei pz (per emorragia cerebrale); in altri due casi, infine i pz sono usciti dal programma di DP per Tpx. Sono stati inoltre osservati 2 episodi di peritonite batterica franca superati senza conseguenze sull’efficacia della tecnica dialitica. Delle possibili complicanze chirurgiche legate alla procedura di posizionamento del catetere (emoperitoneo, peritonite, dislocamento) abbiamo osservato solo in un pz il dislocamento omentale del catetere con conseguente malfunzionamento dello stesso. Non riuscendo a correggere la posizione dello stesso per via laparoscopica si è provveduto ad un suo riposizionamento in sede controlaterale con risultati ottimali. Conclusioni: Dalla nostra esperienza, seppur limitata nel numero di pz, ma cospicua per le durate di trattamento, siamo portati a ritenere che tra i fattori fondamentali per il raggiungimento di buoni livelli di trattamento vi siano una continua assistenza da parte del personale medico ed infermieristico durante il follow up, con la possibilità di interventi rapidi e mirati, anche grazie ad un’ottimale coesione con l’equipe chirurgica. Un corretto percorso terapeutico viene valutato dalla psicologa della nostra equipe attraverso periodici incontri di gruppo cui partecipa tutto il personale medico ed infermieristico. A nostro giudizio, può risultare utile, inoltre, sottoporre i pz a brevi periodi di re-training, al fine di prevenire incongruità durante la somministrazione della terapia dialitica, e di ottimizzare la cura domiciliare dell’ES. POSTER Altro SOPRAVVIVENZA DEL PAZIENTE IN DIALISI PERITONEALE E NUMERO DEI LINFOCITI CIRCOLANTI P. Ancarani, P. Solari S.C. Nefrologia e Dialisi Ospedale di Sestri Levante (Ge) In uno studio retrospettivo eseguito presso il nostro Centro (1998-2006) abbiamo valutato l’influenza di un ridotto numero di linfociti circolanti sulla sopravvivenza del paziente. E’ stata analizzata una popolazione di 73 pazienti in trattamento dialitico peritoneale domiciliare. Sono stati esclusi dallo studio i pazienti con trattamento dialitico peritoneale < 6 mesi, i pazienti con patologie ematoncologiche e immunologiche. Per i pazienti deceduti, trapiantati e passati ad emodialisi abbiamo considerato come valore dei linfociti circolanti la media della routine di laboratorio negli ultimi sei mesi prima dell’evento. Per i pazienti sopravissuti e in trattamento peritoneale al momento della fine del periodo di osservazione, sono stati considerati come valori di linfociti la 45 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 media negli ultimi sei mesi prima della fine dello studio. L’età media della popolazione studiata era di 65 +/- 21 anni . 28 pazienti sono deceduti dopo 27,5 +/- 17,2 mesi di trattamento: il 40% per patologie cardiovascolari, il 28% per deperimento organico e cachessia, il 15% per neoplasie ed il 17% a seguito di complicanze infettive. 12 pazienti sono stati trapiantati dopo 29,6 +/- 7,8 mesi di dialisi e 17 pazienti sono passati, dopo 24,4 +/- 16,7 mesi, a trattamento emodialitico per problemi logistici o scarsa depurazione. 16 pazienti sono rimasti in dialisi peritoneale al termine del periodo analizzato (durata media 24,4 +/- 16,7 mesi). E’ stato considerato come fattore prognostico negativo un numero di linfociti circolanti < o = a 1000 Pl. L’analisi statistica è stata eseguita con il test T Student e del chi-quadro (corretto Yates). La media dei linfociti circolanti nella popolazione sopravissuta (45 pazienti) è stata di 1596,66 +/423,64Pl, mentre nei 28 pazienti deceduti 1171,42 +/- 318 Pl. 14 pazienti dei 28 deceduti presentavano un numero medio di linfociti circolanti di 907 +/- 80Pl. 8 pazienti nel gruppo dei sopravissuti presentavano un numero medio di linfociti di 931 +/- 53Pl. Il numero medio dei linfociti circolanti si è dimostrato maggiore nella popolazione sopravissuta rispetto ai pazienti deceduti (p< 0.01). Un basso numero di linfociti si è dimostrato essere un significativo (p = 0.0079) fattore di rischio morte (misura dell’associazione OR 4,63) nei pazienti in trattamento dialitico peritoneale. Nel follow-up del paziente in trattamento dialitico, insieme agli indici di depurazione e nutrizionali, il numero dei linfociti rappresenta un semplice ed economico marker di morbilità e mortalità dei pazienti. PAZIENTI IN DP SOTTOPOSTI A TRAPIANTO DI RENE: GESTIONE DEL TRATTAMENTO DIALITICO E DEL CATETERE. ESPERIENZA DI UN CENTRO TRAPIANTI DI RENE R. Mongiovì, V. Agnello, A. Amato, A. Barillà, S. Calabrese, B. Oliva, V. Vinti, F.Caputo, V. Sparacino U.O. Nefrologia II con Trapianto, Centro Trapianti di Rene “Leonardo Sciascia”, Ospedale Civico, Palermo Non sono numerosi e tanto meno recenti i lavori scientifici volti a studiare il comportamento più idoneo da seguire nel caso che un paziente in trattamento dialitico peritoneale venga sottoposto a trapianto di rene: quale sia il trattamento dialitico maggiormente indicato nel caso di ritardata ripresa funzionale dell’organo trapiantato, quale sia il momento più opportuno per rimuovere il catetere peritoneale, restano decisioni largamente discrezionali e variabili da centro a centro. L’uso della dialisi peritoneale in caso di ATN post-trapianto può favorire per vari motivi l’insorgenza di peritonite: in un soggetto immunodepresso ciò può essere causa di un’aumentata morbilità e mortalità, anche se il rischio di infezione peritoneale sembra sia confinabile in una cerchia ristretta di fattori preoperatorii e peri/post-operatori (Bakir 1998). D’altra parte appaiono evidenti i vantaggi relativi all’utilizzo di una metodica consueta per il paziente, senza dovere subire l’ incannulamento di un vaso centrale, manovra non scevra di complicanze infettive e trombotiche. Nel nostro centro abbiamo sottoposto a trapianto di rene 37 soggetti in trattamento dialitico peritoneale, 32 hanno ricevuto un rene da un donatore cadavere e 5 da un donatore vivente. Soltanto un catetere è stato rimosso durante l’intervento chirurgico a causa di un’infezione dell’orifizio cutaneo sostenuta da Stafilococco aureo meticillino resistente. In 30 pazienti si è avuta una ripresa precoce della FR del rene trapiantato mentre per 7 pazienti (6 DC - 1 DV) è stato necessario un periodo variabile di trattamento sostitutivo (range di 4-45 trattamenti) che in 2 casi è consistito in dialisi extracorporea ed in 5 in dialisi peritoneale automatizzata. La rimozione del catetere peritoneale è avvenuta in tutti i pazienti in un periodo variabile da 2 a 6 mesi dopo il trapianto, compresi i cinque pazienti in cui è stato utilizzato per il trattamento sostitutivo post-trapianto; un paziente che per fallimento del trapianto secondario a complicanze chirurgiche è dovuto rientrare in dialisi ha potuto riprendere a utilizzare il suo catetere peritoneale e la sua abituale metodica pretrapianto. Soltanto in una paziente abbiamo registrato un episodio di peritonite da Enterobacter cloacae 46 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 insorto dopo il posizionamento percutaneo di un drenaggio relativo ad una raccolta peri-rene trapiantato. Riteniamo pertanto che la mancanza di studi riguardanti la gestione più opportuna del catetere per dialisi peritoneale ed il trattamento dialitico nei pazienti DP, richieda un impegno da parte di tutti coloro che, oltre a gestire da più lungo tempo un programma di dialisi peritoneale, hanno la grande opportunità di seguire direttamente i pazienti trapiantati. PREVALENZA DELLE ALTERAZIONI DEL METABOLISMO CALCIO-FOSFORO E DELLE CALCIFICAZIONI CARDIOVASCOLARI IN PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE: ESPERIENZA DI UN CENTRO B. Oliva, R. Mongiovì, V. Agnello, A. Amato, A. Barillà, S. Calabrese, V. Vinti, F. Caputo e V. Sparacino U.O.C. Nefrologia 2 con Dialisi e Trapianto, ARNAS Civico, Palermo Nei pazienti in trattamento dialitico le alterazioni del metabolismo minerale sono importanti nel determinare l’insorgenza di patologie cardiovascolari, che rappresentano la causa principale di morbilità e mortalità. In Letteratura esistono numerosi lavori e pubblicazioni che riguardano i soggetti in emodialisi, mentre i dati sui pazienti in trattamento dialitico peritoneale sono scarsi. A tal scopo è stato disegnato uno studio multicentrico osservazionale denominato ROCK-PD (Renal Osteodistrophy and Calcifications: Key factors in Periotneal Dialysis), che ha previsto il coinvolgimento di 38 centri di Dialisi Peritoneale con un totale di 490 pazienti, per la durata di 3 anni, suddivisi in due fasi, una fase A (prevalenza) ed una fase B (osservazione degli eventi) della durata rispettivamente di 6 e 30 mesi. Il nostro Centro di Dialisi Peritoneale ha contribuito a questo studio con un numero di 33 pazienti. I nostri dati mostrano alcune concordanze con i dati conclusivi dello studio ROCK-PD, mentre altri divergenti. Dei 33 pazienti selezionati, 19 di essi non hanno terminato lo studio a 36 mesi; tra questi 5 per passaggio in emodialisi e 10 per trapianto di rene. Sono state registrate 4 morti, solo nella fase A, da ascrivere ad un bias di selezione. Si sono avute 43 ospedalizzazioni, ma i ricoveri inerenti la patologia cardiovascolare e l’aspetto metabolico - paratiroideo sono stati soltanto 4. Questi dati divergono dall’andamento che si è ottenuto con lo studio principale, soprattutto per quanto riguarda l’evento morte. Inoltre, lo studio ROCK-PD ha previsto un sottogruppo di pazienti, 84 in totale in 8 centri per la valutazione dello stato attuale sull’intossicazione da alluminio. Il nostro Centro ha partecipato con 20 pazienti. Anche in questo caso non abbiamo avuto dei risultati del tutto sovrapponibili a quelli del dato nazionale. I dati raccolti durante tale studio mostrano che un numero consistente di pazienti non rientra nei limiti indicati dalle linee guida K/DOQI per il PTH, sebbene abbia un buon controllo di calcio e fosforo. Il 50% dei pazienti in DP non presenta calcificazioni cardiovascolari, già all’inizio dello studio: è stata valutata la progressione delle calcificazioni e la loro relazione con i principali parametri clinici e biochimici che non mostrano preoccupanti variazioni nel corso dei tre anni in studio. Ciò consente di affermare che la dialisi peritoneale si mostra essere il trattamento dialitico sostitutivo che più salvaguarda il distretto arterioso e cardiaco. INATTESO RISCONTRO DI ERNIA DI ANSA INTESTINALE NEL SITO DI INGRESSO DEL CATETERE PERITONEALE (CP) IN PAZIENTE IN CAPD SOTTOPOSTO A COLECISTECTOMIA *B. Scalzo, *P. Mesiano, *T. Fidelio, *S. Savoldi, **M. Bianco, **R. Schieroni, **F. Poy *Nefrologia e Dialisi, **Chirurgia, ASL 6, Ospedale Civile di Ciriè, Torino Introduzione: I pazienti in dialisi peritoneale, soprattutto in CAPD, sono a rischio di ernia ombelicale, inguinale e leakage pericatetere. L’età, il rene policistico ed il BMI sono fattori di rischio indipendenti. Caso clinico: Donna di 51 anni. Familiarità per ipertensione arteriosa; BMI 28. 1998: comparsa di poliartralgie sieronegative. 1999: ipertensione arteriosa. 2001: neuropatia periferica di origine esotossica; anemizzazione carenziale; terapia con antiaggregante e steroide; riscontro di IRC. 47 XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Modena, 7 – 9 febbraio 2008 2002: peggioramento dell’IR e proteinuria (5 g/24 ore); diagnosi bioptica di GSFS, trattata con ACE inibitori e calcio-antagonisti. Gennaio 06: posizionamento di CP (Tenckohoff fast-flow), tecnica chirurgica. Febbraio 06: avvio CAPD (3 scambi/die). 19/5: peritonite paucisontomatica, coltura negativa, terapia antibiotica. 18-19/8 comparsa di dolore addominale e stipsi: dialisato limpido; addome trattabile, dolente, Blumberg negativo, borborigmi presenti; non leucocitosi, PCR 1.4 mg/dl; enzimi epatici, bilirubina, LDH, amilasi di norma. Rx addome: CP in sede paramediana dx, distensione anse intestinali, piccoli livelli idro-aerei. ETG addome: colecisti distesa, litiasica. Successiva comparsa di Murphy positivo. Diagnosi: colecistopatia acuta. Regressione sintomatologica con antibiotico e spasmolitico. 5/9 accesso al Pronto Soccorso per dolore addominale. Quadro sovrapponibile ai precedenti. Consigliata colecistectomia. 12/9: colecistectomia per via laparoscopica: riscontro di ernia di ansa intestinale nella sede di ingresso del CP, ridotta mediante trazione con pinza. Successiva riduzione dell’orifizio di entrata del CP per via parietale. Passaggio ad emodialisi. 27/9 ripresa del trattamento dialitico peritoneale domiciliare. Discussione: L’erniazione può essere stata spontanea o la conseguenza di un iniziale incarceramento di tessuto peri-intestinale dovuto a punto di sutura sul peritoneo parietale durante la creazione della borsa di tabacco. Verosimile progressiva trazione dell’ansa con erniazione della stessa in presenza di fattori favorenti (obesità, CAPD). In conclusione: a) vi sono rare segnalazioni in Letteratura di casi analoghi (3 adulti e 1 bambino), ad esordio però acuto, da prendere in considerazione nella diagnosi differenziale; b) la coesistenza di litiasi della colecisti ha consentito in questa paziente di diagnosticare fortuitamente una complicanza che avrebbe avuto un’evoluzione sfavorevole verso l’ischemia intestinale; C) il caso presentato sottolinea la necessità di porre particolare attenzione nella sutura del peritoneo per evitare incarceramento di tessuto periintestinale e per creare un orifizio adeguatamente “continente”. MARCATORI DI STRESS OSSIDATIVO NEI PAZIENTI CON INSUFFICIENZA RENALE: EFFETTI DEL TRATTATAMENTO DIALITICO *G. Torti, *G. Castoldi, *L. Perego, *C. Bombardi, *P. Mariani, *F. Prolo, *M. R. Viganò, **L. Antolini, **M. G. Valsecchi, **A. Stella * Clinica Nefrologica, Az. Ospedaliera San Gerardo, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Monza **Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Monza Introduzione: Lo stress ossidativo è coinvolto nell’ eziopatogenesi di molte malattie, tra cui le patologie renali, favorendo la progressione dell’ aterosclerosi. Scopo del lavoro: Valutare la presenza di stress ossidativo nei pazienti con insufficienza renale afferenti presso il nostro centro. Materiali e metodi: Sono stati determinati nel plasma tre diversi marcatori di stress ossidativo specifici per la componente proteica (gruppi –SH, test di Ellman), la componente lipidica (LDL ossidate) e il DNA (8-OHdG) in 23 pazienti uremici in predialisi, in 23 controlli comparabili come età senza insufficienza renale, in 19 pazienti nefropatici sottoposti a dialisi peritoneale e in 57 pazienti in emodialisi (bicarbonato dialisi). Risultati e Conclusioni: Nella nostra popolazione i pazienti uremici in predialisi e i pazienti in dialisi peritoneale e emodialisi presentavano un aumento significativo di stress ossidativo a carico delle proteine e del DNA (p<0.05 rispetto ai controlli). Non si osservava invece nessuna modificazione a carico delle LDL ossidate. 48 M Y CM MY CY CMY K S.I.N. C Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Società Italiana di Nefrologia XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia MODENA 2008 7 - 9 FEBBRAIO LIBRO DEGLI ABSTRACT