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Gruppo
di Studio
di Dialisi
Peritoneale
Società Italiana
di Nefrologia
XIV
Convegno del
Gruppo di Studio
di Dialisi Peritoneale
Università degli Studi
di Modena e Reggio Emilia
MODENA 2008
7 - 9 FEBBRAIO
LIBRO DEGLI ABSTRACT
XIV CONVEGNO DEL GRUPPO DI
STUDIO DI DIALISI PERITONEALE
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Libro degli Abstract
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
COMUNICAZIONI ORALI
Epidemiologia
La Dialisi Peritoneale nel nuovo anziano: l’ultraottantenne
A.R. Rocca, C. Esposto, G. Utzeri, V. Angeloni, E. Albanese, A. Filippini
pag.
7
pag.
8
Adeguatezza Dialitica
Rimozione del fosforo in Dialisi Peritoneale: Icodestrina vs Soluzione standard
A. R. Rocca, C. Esposto, G. Utzeri, A. Filippini
Aspetti Nutrizionali
Il muscolo scheletrico dei pazienti uremici all’ingresso in dialisi peritoneale esprime
citochine proinfiammatorie
M. Di Martino, A. Tarroni, V. Procopio, D. Verzola, V. Cappelli, E. Vigo, I. Mannucci, A. Sofia,
A. Valli, M. Malerba, G. Garibotto, F. De Cian, S. Saffioti
pag. 9
Il Telmisartan migliora la sensibilità all’insulina dei pazienti in dialisi peritoneale
A. Cioni, C. Sordini, R. Bigazzi
pag.
9
Clinica e Terapia
Decremento della FRR prima e dopo l’inizio della CAPD
L. Neri, S. Barbieri, G. Viglino
pag.
10
Protocollo di sorveglianza sull’insorgenza della sclerosi peritoneale (EPS) nei pz in dialisi
peritoneale (DP)
R. Corciulo, R. Russo, V. Pepe, F. P. Schena
pag. 11
Utilità del peptide natriuretico B (BNP) nel follow-up dei pazienti in dialisi peritoneale come
indicatore di funzione cardiaca
L. Maltagliati, G. Romei Longhena, R. Cimino, R. Colombo, F. Masi, A. Manfredi, A. Scilletta,
R. Savino, U. Teatini
pag. 12
Peritoniti
Possibili fattori di rischio di fibrosi peritoneale (FP): novità e conferme
A. Pappani, R. Perulli, A. M. Ferri, A. Mastrodonato, I. Clemente, D. Piano, M. Querques,
L. Cinquesanti, F. Tricarico
pag.
13
Altro
Influenza delle comorbilità pre-trattamento sulla sopravvivenza in emodialisi e dialisi
peritoneale
S. Turina, L. Manili, M. Sandrini, R. Zubani, G. Cancarini
pag. 13
Peptide natriuretico di tipo B (BNP): indicatore di sovraccarico idrico in dialisi peritoneale?
D. Ciurlino, S. Tedoldi, I. Serra, S. V. Bertoli
pag. 14
2
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER
Predialisi e Scelta Dialitica
Dal predialisi alla dialisi peritoneale: è necessario cambiare la tecnica di impianto del
catetere?
S. Mangano, D. Martinelli, S. Brenna, L. E. Bernardi, D. Pogliani, G. Tettamanti, A. Beltrame,
G. Bonforte
pag. 15
Adeguatezza Dialitica
Dati di efficienza dialitica e fattori di comorbidità: la loro importanza in dialisi peritoneale
A. Pappani, R. Perulli, M. Querques
pag. 16
Stima della funzione renale residua nei pazienti in dialisi peritoneale
M. Zeiler, D. Ricciardi, T. Monteburini, A. Federico, R. Marinelli, S. Santarelli
pag.
16
Clinica e Terapia
Effetti a lungo termine del Cinacalcet nei pazienti in dialisi peritoneale (DP) con grave
iperparatiroidismo
A. Tarroni, M. Di Martino, A. Sofia, V. Falqui, L. Morabito, G. Garibotto, G. Deferrari, S. Saffioti
pag. 17
Efficacia della dialisi peritoneale con icodestrina nel trattamento a lungo termine dello
scompenso cardiaco congestizio refrattario
F. Cazzato, D. Chimienti, A. Bruno, S. Cocola, P. Libutti, C. Basile
pag. 18
Un caso clinico di calcifilassi in paziente in dialisi peritoneale. Ruolo dell’infiammazione
E. Valicenti, V. Martella, R. Russo, R. Corciulo
pag. 19
La dialisi peritoneale nei pazienti uremici con infezione HIV. Follow-up di una popolazione
C. Cherubini, M. E. Militello, P. Arienzo, G. Noto, S. Di Giulio
pag. 19
Peritoniti
Peritonite sclerosante trattata con successo con associazione di steroidi everolimus e
tamoxifene
A. M. Ricciatti,G. Goteri*, M. D’Arezzo, S. Sagripanti, L. Bibiano, F. Petroselli, G. Fabris,
G. M. Frascà
pag. 20
La peritonite sclerosante: un problema emergente nei pazienti sottoposti a trapianto renale
R. Fenoglio, S. Maffei, E. Mezza, M. Messina, P. Stratta, G. P. Segoloni, G. Triolo
pag. 21
Variazione degli organismi causali e della loro suscettibilità agli antibiotici nelle peritoniti:
esperienza di 10 anni in un singolo centro di dialisi peritoneale
M. Marani, F. Manenti, M. Di Luca, M. Martello, K. Kulurianu, M.S. Ferreiro Cotorruelo, R. Cecchini
pag. 22
Diverticolosi del colon come fattore di rischio per peritonite enterica: risultati di uno studio
prospettico osservazionale.
G. Gentile, V. M. Manfreda, D. Rossi, G. Campus, C. Giammarioli, C. Carobi, U. Buoncristiani
pag. 23
3
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Gestione e Organizzazione
Proposta di applicazione di un’analisi prospettica del rischio clinico alla dialisi peritoneale
G. Paternoster, G. Bonfant, V. Paroli, E. Amail, P. Belfanti, D. Gabrielli, A. M. Gaiter, M. Manes,
A. Molino, V. Pellu, P. E. Nebiolo
pag. 24
Altro
Può essere il declino dell’ultrafiltrazione un importante fattore predittivo di sclerosi
peritoneale?
V. Pepe, A. Melfitano, P. delli Carri, L. Gesualdo
pag. 24
Qualità di Vita: alterazioni cognitive comportamentali e funzionali in DP, HD e IRC
A. Tralongo, S. Nicosia, B. Pisano, G. Li Cavoli, O. Schillaci, A. Ferrantelli, U. Rotolo pag.
26
La nefrectomia laparoscopica per via retroperitoneale del rene policistico
R. Marcon, G. Pastori, M. De Luca
27
pag.
Attività di gruppo di lavoro: un modello assistenziale “di presa in carico” del malato cronico
in dialisi peritoneale
E. Silvaggi, A. R. Rocca, C. Esposto, A. Filippini
pag. 28
POSTER
Predialisi e Scelta Dialitica
Indicazione limite alla dialisi peritoneale (DP) in paziente affetto da insufficienza renale
cronica (IRC)
S. Cantelli, F. Malacarne, A. Storari, G. Russo, S. Soffritti F. Fabbian, A. Bortot, L. Catizone
pag. 29
Scelta dialitica nell’ambulatorio del predialisi: follow-up di 4 anni
A. Caselli, M. Antonelli, M. Ragaiolo
pag.
30
Terapia dialitica e qualità di vita: individuare le aree di criticità per orientare alla metodica
più idonea
G. Caravello, A. Cerri, V. Galati, M. Marini, T. Sardi, I. Valenti, M. G. Betti, S. Ferretti, W. Lunardi,
A. Tavolaro, C. Del Corso, A. Capitanini, I. Petrone, A. Rossi
pag. 31
Pre-dialisi e scelta dialitica. Esperienza di Castelfranco Veneto
R. Marcon, A. Ferraro, M. De Luca
pag.
31
Dialisi peritoneale: “Ultima Spes”?
O. Schillaci, A. Tralongo, C. Tortorici
pag.
32
Scelta del trattamento sostitutivo in un paziente HIV e HCV positivo
M. Biagioli, D. Borracelli, A. Sidoti
pag.
33
pag.
34
Catetere Peritoneale
Incarceramento del catetere peritoneale autoloante: una rara complicanza
S. Galli, F. Cavatorta, F. Boraso, E. Ramò
Linezolid nel trattamento dell’infezione del tunnel/exit-site in un bambino in dialisi
peritoneale cronica.
P. Sorino, R. Bellantuono, F. Puteo, T. De Palo
pag. 35
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Il posizionamento del catetere di Tenckhoff con tragitto intramurario “obliquo” per
prevenirne la dislocazione
P. M. Caviglia, A. Tirotta, V. Berruti, M. G. Nasini, M. Repetto, O. Santoni, C. Schelotto, S. Carozzi
pag. 35
Tecnica “ad incastro” per il salvataggio chirurgico del catetere peritoneale infetto
P. M. Caviglia, A. Tirotta, R. Del Rio, N. Delfino, S. Giupponi, P. Rustighi, S. Carozzi pag.
36
La Membrana Peritoneale
Miglioramento dell’ultrafiltrazione e della pressione arteriosa sistemica dopo inizio di
icodestrine, in due pazienti in dialisi peritoneale
D. Rossi, G. Gentile, G. Campus, C. Giammarioli, V. Mugnari, R. Lisandrelli, C. Belligi,
U. Buoncristiani
pag. 37
Aspetti Nutrizionali
La dialisi peritoneale monoscambio-die associata alla dieta ipoproteica. Valutazione dopo 6
mesi.
R. dell’Aquila, C. Avanzi, C. Casale, T. Marinelli, C. Montemurno
pag. 38
Clinica e Terapia
La gravidanza di dialisi peritoneale: descrizione di un caso
G. Dessi, K. Cannas, E. Manca, A. Pani, P. Altieri, E. Loi, G. Cabiddu
pag.
39
Leakage in paziente sottoposto a colecistectomia per via laparoscopica
M. Brigante, S. Baranello, S. Di Stante, G. Sallustio
pag.
40
Efficacia del carbonato di lantanio come chelante del fosforo su un gruppo di soggetti in
trattamento dialitico peritoneale
A. Amato, B. Oliva, R. Cusimano, F. Caputo
pag. 40
Prescrizione di dialisi peritoneale in una casistica pediatrica multicentrica
E. Verrina, F. Perfumo, A. Edefonti, F. Emma, B. Gianoglio, S. Maringhini, C. Pecoraro, P. Sorino,
G. Zacchello
pag. 40
La dialisi peritoneale nei pazienti anziani: esperienza di un centro
E. Manca, K. Cannas, G. Dessi, P. Altieri, G. Cabiddu
pag.
41
Peritoniti
La peritonite in un centro dialisi peritoneale di medie dimensioni. Rewiew di sei anni di
casistica.
A. Cioni, E. Montagnani, I. Cavallini, G. Polini, C. Sordini, R. Bigazzi
pag. 42
La peritonite sclerosante in dialisi peritoneale: esperienza di un singolo centro
V. Vizzardi, G. Mazzola, M. Sandrini, L. Manili, G. Brunori, G. C. Cancarini
pag.
43
Gestione ed Organizzazione
La dialisi peritoneale in residenze per anziani: esperienza decennale di un singolo centro
R. Bergia, B. Agostini, I. M. Berto, G. M. Bosticardo, E. Caramello, S. Maroni, V. Morellini,
E. Schillaci, P. Bajardi
pag. 44
La dialisi peritoneale: 5 anni di esperienza
G. E. Russo, B. Castelmani, A. Centi, A. Morgia, B. Coppola, A. Lucchetti, M. Cavallini pag.
5
45
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Altro
Sopravvivenza del paziente in dialisi peritoneale e numero dei linfociti circolanti
P. Ancarani, P. Solari
pag.
45
Pazienti in DP sottoposti a trapianto di rene: gestione del trattamento dialitico e del
catetere. Esperienza di un Centro Trapianti di Rene.
R. Mongiovì, V. Agnello, A. Amato, A. Barillà, S. Calabrese, B. Oliva, V. Vinti, F.Caputo,
V. Sparacino
pag. 46
Prevalenza delle alterazioni del metabolismo calcio-fosforo e delle calcificazioni
cardiovascolari in pazienti in dialisi peritoneale: esperienza di un Centro
B. Oliva, R. Mongiovì, V. Agnello, A. Amato, A. Barillà, S. Calabrese, V. Vinti, F. Caputo,
V. Sparacino
pag. 47
Inatteso riscontro di ernia di ansa intestinale nel sito di ingresso del catetere peritoneale
(CP) in paziente in CAPD sottoposto a colecistectomia
B. Scalzo, P. Mesiano, T. Fidelio, S. Savoldi, M. Bianco, R. Schieroni, F. Poy
pag. 47
Marcatori di stress ossidativo nei pazienti con insufficienza renale: effetti del trattamento
dialitico
G. Torti, G. Castoldi, L. Perego, C. Bombardi, P. Mariani, F. Prolo, M. R. Viganò, L. Antolini,
M. G. Valsecchi, A. Stella
Pag. 48
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
COMUNICAZIONI ORALI
Epidemiologia
LA DIALISI PERITONEALE NEL NUOVO ANZIANO: L’ULTRAOTTANTENNE
A.R. Rocca, C. Esposto, G. Utzeri, V. Angeloni, E. Albanese, A. Filippini
Centro di Riferimento di Nefrologia e Dialisi. Ospedale S. Giacomo in Augusta. Roma
Introduzione: L’età media dei pazienti (pz) che iniziano la terapia dialitica è in continuo aumento, e
sono sempre più numerosi i pz anziani. Non esiste un criterio unanime nella definizione anagrafica
di “anziano”, per tale motivo i numerosi studi che analizzano i risultati delle tecniche dialitiche in
tale fascia di età, sono difficilmente paragonabili. Infatti le condizioni cliniche e le aspettative di vita
sono ovviamente diverse se consideriamo pz di età superiore a 65 anni o 75 anni. In quest’ultima
fascia di età si riscontrano più facilmente complicanze cardiovascolari, malnutrizione, ridotta
autonomia.
Scopo dello studio: valutare i risultati clinici ottenuti nei pz con età superiore a 80 anni trattati nel
nostro Centro con Dialisi Peritoneale nel periodo gennaio 2000 - dicembre 2007.
Pazienti e metodi: Sono stati studiati 14 pz, 10 f e 4 m, età anagrafica all’inizio della terapia
dialitica era 83,1±4,2 aa, pari al 18,4% della popolazione che aveva iniziato DP nello stesso
periodo. La terapia sostitutiva era stata scelta sulla base di motivi clinici, organizzativi, sociali. 4 pz
in CAPD con 2-3 scambi da 2 l al giorno e 10 in APD con 15 l. 10 pz avevano la necessità di un
partner per eseguire gli scambi. Dopo 3 mesi dall’inizio della DP e all’uscita dalla terapia sono stati
valutati i seguenti parametri: Clcr, KT/V, albuminemia, Hb, funzione renale residua, PTH, Ca, P,
BMI,colesterolo,trigliceridi, ferritina.
Risultati: 8 pz erano affetti da nefroangiosclerosi, 1 da nefropatia diabetica, 2 GNF cronica, nei
restanti 3 la causa era sconosciuta. All’inizio del trattamento 11 pz avevano uno o più fattori di
rischio clinico elevato oltre l’età: 5 cardiopatia ischemica, 4 vasculopatia periferica, 1 demenza, 1
DM. La durata media del trattamento dialitico è stata di di 24 ± 11,7 ms (range 11-44).9 pz sono
deceduti in DP in media dopo 25 mesi di terapia: 3 per accidenti cerebrovascolari, 1 per peritonite
(P) fungina, 2 per neoplasia, 2 per IMA, 1 per cachessia., 1 pz è stato trasferito in HD per perdita
dell’UF; 4 pz continuano ad effettuare la DP, di questi 3 in APD con partner e 1 in CAPD (2 scambi
al giorno). Durante l’osservazione 3 pz hanno sviluppato uno episodio di P. I germi responsabili
sono stati: Candida Albicans, E.Coli, e 1 a coltura sterile. Escluso il periodo di addestramento
iniziale 12 pz hanno avuto uno o più ricoveri, con una ospedalizzazione complessiva di 17gg /pz,
11 pz presentavano una diuresi > 500 cc e tutti i pz risultavano ben dializzati (Ccr/sett basale 59,7
±14 l, KT/Vsett basale2± 0,3, Ccr/sett exit 53 ±13 l, KT/V exit 2±0,2) con albuminemia bas. 3,6±0,2
e alla fine dell’osservazione di 3,4±0,3.
Conclusioni: l’invecchiamento della popolazione in generale ha fatto si che i pazienti anziani che
iniziano la dialisi sia in progressivo aumento. Per questi pz la DP rappresenta una terapia
domiciliare semplice con risultati sovrapponibili all’emodialisi. Non sono molti i lavori che prendono
in considerazione i pz ultraottantenni. I nostri dati indicano che nei pz molto anziani la DP consente
una sopravvivenza accettabile. L’incidenza della P è bassa, a dimostrazione che l’età molto
avanzata non rappresenta un fattore di rischio.
L’ospedalizzazione resta elevata, legata soprattutto, a complicanze extradialitiche, quali patologie
cardiovascolari e difficoltà nella gestione domiciliare, proprie delle scarse risorse a disposizione. In
conclusione quindi anche se la DP nei pz molto anziani consente una sopravvivenza accettabile,
dal punto di vista organizzativo richiede un impegno gravoso per la famiglia, pertanto è auspicabile
l’istituzione di un sistema assistenziale alternativo: quali ”nursing home” o case di riposo
attrezzate.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
COMUNICAZIONI ORALI
Adeguatezza Dialitica
RIMOZIONE DEL FOSFORO IN DIALISI PERITONEALE: ICODESTRINA VS SOLUZIONE
STANDARD
A. R. Rocca, C. Esposto, G. Utzeri, A. Filippini
Centro di Riferimento di Nefrologia e Dialisi. Ospedale S. Giacomo in Augusta. Roma
Introduzione: La relazione tra alterazioni del metabolismo Ca-P e mortalità/morbilità sta
assumendo un ruolo sempre più rilevante nei pz. in dialisi. Il controllo dell’iperP può essere
effettuato attraverso la restrizione dietetica (difficile da applicare in DP per le perdite proteiche
obbligate attraverso la membrana peritoneale), l’uso di chelanti e con una dose dialitica adeguata.
La DP analogamente alla HD riesce a rimuovere solo parzialmente il P introdotto con gli alimenti.
In effetti la rimozione media giornaliera di P si aggira intorno a 300 mg/die. (65 mg/scambio con
sacche a concentrazione 1,36% ). Non esistono al momento dati in letteratura sull’estrazione del P
durante uno scambio con ICO 7.5 %.
Scopo dello studio: confrontare la rimozione dialitica del P durante uno scambio di 8 ore con
icodestrina e con soluzione all’1,36%.
Pazienti e metodi: abbiamo arruolato 19 pz stabili in trattamento dialitico peritoneale come prima
scelta, età dialitica media 27 ± 21 ms, età anagrafica media 63 ± 12 aa, F/M 15/4.In tutti i pz sono
stati presi in considerazione i seguenti parametri: adeguatezza dialitica, rimozione dialitica del P
con 1 scambio notturno di 8 ore con ICO e con dialisato a concentrazione 1,36%, calcemia,
fosforemia, fosfatasi alcalina, PTH, test di trasporto peritoneale. In 16 pz che presentavano una
diuresi residua > 500 cc/24h, è stata misurata l’estrazione urinaria del P.
L’elaborazione statistica è stata effettuata con il test T per il confronto delle medie dei campioni
appaiati e sono stati considerati significativi i test con una probabilità p<0,05.
Risultati: Tutti i pz risultavano ben dializzati (Ccr/sett 63,9±18 l/sett; KT/Vsett 2,3± 0,6), con
calcemia 9,1±0,5mg/dl; fosforemia 4,9±0,9mg/dl; CaxP 50,4±9,4; FA 102±54, PTH 287±127 pg/ml.
La Clcr con un singolo scambio risultava essere 3,4 ml/min con 1,36% e 4,4 ml/min con ICO
(p<0,002). La rimozione del P era 69 mg con la 1,36 e 110 mg con la ICO (p<0,002).
110
100
90
80
Media
70
60
RIMPICO
RIMP136
Conclusioni: L’ICO è un polimero del glucosio indicato nei pazienti con alto trasporto peritoneale e
scarsa ultrafiltrazione. I risultati del nostro studio documentano una estrazione di P
significativamente maggiore con l’ICO rispetto alle soluzioni standard, verosimilmente in relazione
a una maggiore ultrafiltrazione. Ciò ovviamente necessita di ulteriori studi anche in considerazione
dell’assenza di riferimenti bibliografici in merito. Ma se venisse confermato rappresenterebbe una
ulteriore indicazione all’utilizzo della molecola in DP, rivestendo un ruolo centrale già nella prima
prescrizione.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
COMUNICAZIONI ORALI
Aspetti Nutrizionali
IL MUSCOLO SCHELETRICO DEI PAZIENTI UREMICI ALL’INGRESSO IN DIALISI
PERITONEALE ESPRIME CITOCHINE PROINFIAMMATORIE
M. Di Martino, A. Tarroni, V. Procopio, D. Verzola, V. Cappelli, E. Vigo, I. Mannucci, A. Sofia, A.
Valli, M. Malerba1, G. Garibotto, F. De Cian1, S. Saffioti
Clinica Nefrologica, Dialisi e Trapianto, DiMI e DICM1, Università di Genova, Azienda Università –
Ospedale San Martino
Introduzione: L’uremia è considerata uno stato proinfiammatorio associato ad elevata morbosità e
mortalità cardiovascolare. Uno stato infiammatorio è spesso evidente nei pazienti malnutriti,
tuttavia non è chiaro se la malnutrizione di per sé possa influire sulla produzione di citochine. Si
ritiene che l’aumento in circolo di citochine proinfiammatorie derivi dalle cellule circolanti o
dall’endotelio, tuttavia anche i tessuti somatici come il muscolo scheletrico e l’adipocita possono
rappresentare un possibile sito di produzione di citochine. In questi tessuti, diversi fattori sia fisici
che metabolici influenzano la funzione immune.
Scopo del lavoro: Valutare gli effetti dell’uremia e dei parametri nutrizionali sulla sintesi di citochine
proinfiammatorie nel muscolo scheletrico, all’inizio della terapia sostitutiva.
Materiali e metodi: Su biopsie muscolari (muscolo retto dell’addome) di pazienti (15 M, 15 F, età
69± 2 aa) con insufficienza renale cronica avanzata (CKD stadio 4), eseguite in corso di
posizionamento del catetere peritoneale, e in 9 controlli sani (4 M, 5F, età 62 ± 5) abbiamo valutato
l’espressione proteica (immunoistochimica) e molecolare (mRNA) di Il-6, Il-8, TNF-D e beta-actina
(gene housekeeping) (RT-PCR semiquantitativa). Il recettore per IL-6 e il glicogeno muscolare
sono stati valutati in immunoistochimica. I valori plasmatici di IL-6 sono stati misurati con ELISA.
Risultati: Nel tessuto muscolare dei pazienti uremici rispetto ai controlli erano iperespresse sia IL-6
(proteina ) (+100%; p<0.05) che IL-6 mRNA (+50%; p< 0.03). L’espressione del mRNA del TNF-D
era aumentata anche se in modo non statisticamente significativo, mentre l’espressione sia genica
che proteica di IL-8 era simile ai controlli. Il contenuto muscolare in glicogeno era ridotto del
25%(P=ns). L’espressione genica di IL-6 si correlava direttamente ai limiti della significatività
statistica (p<0.05-0.07), con valori di creatinina, albuminemia e azoto ureico, ma non con i
parametri infiammatori (PCR,fibrinogeno,IL-6)
Conclusioni: Questi dati mostrano che nei pazienti uremici all’inizio della terapia dialitica, il tessuto
muscolare esprime uno stato microinfiammatorio con alterazioni selettive della sintesi di citochine,
caratterizzate principalmente da aumentata sintesi di IL-6. Una riduzione del contenuto di
glicogeno e/o l’uremia per se potrebbero essere alla base di queste alterazioni.
IL TELMISARTAN MIGLIORA LA SENSIBILITÀ ALL’INSULINA DEI PAZIENTI IN DIALISI
PERITONEALE
A. Cioni, C. Sordini, R. Bigazzi
U.O. Nefrologia - A.S.L 6 , Livorno
Introduzione: E’ noto che i pazienti affetti da insufficienza renale cronica hanno un’alta mortalità
cardiovascolare, elevata aterosclerosi e una resistenza periferica all’insulina (insulino-resistenza:
IR).
Si osserva un miglioramento IR quando viene iniziato il trattamento sostitutivo: emodialisi (HD) o
dialisi peritoneale (DP).
Tuttavia i pazienti trattati con DP sono comunque più soggetti a sviluppare e mantenere uno stato
di IR: l’assorbimento peritoneale di glucosio dal liquido dialitico causa una stimolazione cronica alla
produzione d’insulina e questo può condurre ad uno stato di iperinsulinismo.
Recentemente sono stati pubblicati studi che mostrano come il Telmisartan, un bloccante del
recettore dell’angiotensina (ARB), agisca da parziale agonista dei recettori intracellulari di tipo
PPAR-y.
In tal modo esso influenza l’espressione del gene deputato al metabolismo dei carboidrati ed ha,
quindi, un effetto positivo sui parametri metabolici, in particolare la glicemia e la resistenza all’
insulina.
Scopo: Lo scopo del lavoro è la valutazione attraverso modelli certificati dell’ efficacia del
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Telmisartan in senso di riduzione dei valori glicemici e di miglioramento dello stato di resistenza all’
insulina nei pazienti trattati con DP.
Materiali e metodi: La tecnica del clampaggio, da cui deriva l’indice di sensibilità all’insulina (ISI), è
considerata la metodica di elezione per la valutazione della IR, ma questa tecnica è indaginosa e
non facilmente applicabile in studi clinici.
Il metodo di terminazione secondo il modello omeostatico della IR (HOMA-IR) correla strettamente
con ISI.
In questo studio abbiamo valutato l’IR in 30 pazienti non diabetici in DP (CAPD e CCPD) prima e
dopo trattamento con Telmisartan (80 mg/die) per tre mesi. Durante il trattamento con il sartanico i
pazienti proseguivano la loro usuale terapia, la quale comprendeva vitamina D (tutti), statine (20
pazienti), antiipertensivi (24), eritropoietina (tutti) e chelanti del fosfato (tutti). Non si sono registrate
significative modifiche della funzione renale residua (FRR), né vi sono state modifiche nella tecnica
dialitica.
Risultati: Il Telmisartan ha significativamente ridotto i livelli d’insulina a digiuno da 24.3 ± 3.5 a 11.4
± 1.4 umol/L (p < 0.0005) e lo HOMA-IR da 2.4 ± 0.32 a 1.61 ± 0.20 (p < 0.04). Nessun
cambiamento significativo si è osservato per valori pressori, glicemia a digiuno, colesterolo totale,
HDL, LDL, trigliceridi, Hgb glicosilata.
Conclusioni: I nostri risultati preliminari mostrano che il Telmisartan determina una riduzione dei
valori della insulinemia a digiuno e un’ aumento della sensibilità all’ insulina misurata con HOMAIR nei pazienti trattati con DP.
COMUNICAZIONI ORALI
Clinica e Terapia
DECREMENTO DELLA FRR PRIMA E DOPO L’INIZIO DELLA CAPD
L. Neri, S. Barbieri, G. Viglino
S.O.C. Nefrologia e Dialisi, Ospedale San Lazzaro, Alba (CN)
Introduzione: La funzione renale residua (FRR) è un fattore prognostico molto importante nei
pazienti (pz) in dialisi. Se numerosi studi hanno confrontato il decremento della FRR dopo l’inizio
della dialisi nelle diverse metodiche, mostrando come in CAPD questa si conservi più a lungo
rispetto alla HD e forse anche alla APD, gli studi che abbiano confrontato il decremento della FRR
anche con il periodo predialitico sono scarsi.
Scopi dello studio: Confronto retrospettivo tra il calo della FRR prima e dopo l’inizio della CAPD. A
questo scopo abbiamo considerato i pz che hanno iniziato la CAPD come 1° trattamento
sostitutivo presso il nostro centro dal 01/12/95 al 31/05/07.
Materiali e metodi: Nel periodo considerato hanno iniziato la DP come 1° trattamento 139 pz di cui
62 mediante CAPD. Di questi ultimi sono stati esclusi: 6 pz in CAPD per cause non renali, 8 pz per
patologie gravi tali da alterare la valutazione della FRR (cirrosi e insufficienza cardiaca
congestizia), 9 pz per follow up predialitico < 4 mesi (late referral), 14 pz per inadeguato follow up
post dialitico (incontinenza urinaria, decesso < 4 mesi, N° determinazioni < 3), 1 pz per ripresa
FRR. Di ciascun pz sono state considerate tutte le determinazioni della FRR effettuate prima e
dopo l’inizio della CAPD, fino ad un massimo di 24 mesi per ciascun periodo interrompendo
l’osservazione al passaggio dalla CAPD alla APD od alla HD. La FRR è stata valutata mediante il
GFR misurato con la raccolta urine 24 ore e calcolato come media di clearance urea e creatinina
normalizzata per 1,73 mq di superficie corporea. Il decremento medio nei 2 periodi è stato valutato
mediante il coefficiente di regressione lineare ed il confronto effettuato mediante il test T per dati
appaiati.
10
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Risultati: I pz considerati sono risultati 24 (Maschi: 14 pz; DM: 12 pz; età media 66,6 ± 10,7 anni;
GFR medio di inizio dialisi: 6,6 ± 2,2 ml/min/1,73 mq) con un follow up pre e post dialitico
rispettivamente di 17,2 ± 7,5 e 15,8 ± 7,4 mesi/pz. Le misure del GFR considerate sono risultate
252 (10,5 ± 4,3/pz) nel periodo predialitico e 237 (9,9 ± 4,6/pz) dopo l’inizio della CAPD. Con il
trattamento dialitico in 20 pz si registrava un rallentamento della perdita di FRR. In particolare il
decremento medio del GFR dopo l’inizio della CAPD nei 24 pz considerati è risultato
rispettivamente di -0,431 ± 0,393 e di -0,149 ± 0,213 ml/min/mese, valori significativamente
differenti (p < 0,002).
Conclusioni: Pur nei limiti di uno studio retrospettivo con pochi pz i risultati mostrano come l’inizio
della CAPD si associ ad un rallentamento della perdita di FRR. Le implicazioni sulla scelta della
metodica e su quando iniziare la dialisi giustificano secondo noi lo sforzo di affrontare tale
problema con uno studio adeguato che ne chiarisca anche le eventuali ragioni.
PROTOCOLLO DI SORVEGLIANZA SULL’INSORGENZA DELLA SCLEROSI PERITONEALE
(EPS) NEI PZ IN DIALISI PERITONEALE (DP)
R. Corciulo, R. Russo, V. Pepe, F. P. Schena
Divisione di Nefrologia e Dialisi, Policlinico, Bari
Introduzione: La sclerosi incapsulante del peritoneo (EPS) è una complicanza della DP che può
portare ad occlusione intestinale spesso associata alla formazione di ascite. L’incidenza varia tra lo
0.7 - 0.9% con incidenze del 40% per pazienti (pz) con età dialitica superiore ai 60 mesi ed è
caratterizzata da elevata mortalità.
Scopo del lavoro: Applicare un protocollo di sorveglianza per individuare, in pazienti in DP, segni
ecografici e/o radiologici precoci ed evocativi di danno del peritoneo per sospendere “per tempo” la
DP ed evitare l’evoluzione in EPS.
Materiali e metodi
Sono state studiate due popolazioni di pz avviati alla DP nei periodi 1.1.1991 - 31.12.1999 e
1.1.2000 - 31.12.2006 per un totale di 269 pz. Nel primo periodo venivano studiati i pz (n.127) solo
in presenza di sub occlusione intestinale (SI) durante la DP o dopo il trasferimento all’HD. Nel
secondo periodo si applicava un protocollo di sorveglianza su tutti i pz in DP con età dialitica > 36
mesi, su quelli con età dialitica minore ma con un numero di peritoniti > 4 episodi o con SI (n.193).
Il protocollo prevedeva l’esecuzione di esami quali l’Rx diretta dell’addome (RA) l’ecografia (EC) e
la TAC addominale all’inizio dello studio e la ripetizione delle indagini ogni 12 mesi.
Risultati: L’incidenza di EPS nel primo periodo è stata del 2,36% ed i tre pz con EPS sono deceduti
dopo la sospensione della DP. L’incidenza di EPS nel periodo di sorveglianza è stata dell’1,03%. I
due pz con quadri radiologici di EPS, ma clinicamente silenti, sono deceduti nonostante la terapia
farmacologica attuata. La RA ha evidenziato calcificazioni nel 7,5% e reperti normali nel 92,5%;
l’EC ha evidenziato ispessimento del peritoneo > 5 mm nel 10% dei pz mentre nel restante 90% i
reperti erano normali. I segni radiologici rilevati alla TAC sono stati: ispessimento del mesentere
(31,2%), ispessimento del peritoneo parietale (21,2%), affastellamento delle anse del tenue
(16,3%), ispessimento della parete intestinale (10%), calcificazioni (7,5%), raccolte saccate
endoaddominali (7,5%). Nel 31,2% dei pz la TAC era normale. In 10 pz con ispessimento del
mesentere, del peritoneo parietale ed iniziale affastellamento delle anse intestinali, si è sospesa
“per tempo” la DP pur in assenza di sintomi clinici. L’introduzione precoce di una terapia
farmacologica causale ha dato risultati a distanza evidenti e positivi (nessun exitus nei pz in cui si
è effettuato l’intervento).
Conclusioni: La riduzione dell’incidenza dell’EPS è stata significativa e ciò conferma che lo studio
dei segni radiologici precoci ha dato risultati incoraggianti sulla prevenzione di tale complicanza.
L’esecuzione periodica di una TAC addominale, secondo i criteri adottati nel protocollo, è uno
strumento utile ed il più sensibile per la diagnosi precoce nel paziente con fibrosi peritoneale. La
TAC, seppur dai costi non contenuti, è un’indagine attendibile, non invasiva, facilmente ripetibile, a
basso rischio radiologico e capace di sostituire indagini più complesse e cruente come la biopsia
peritoneale proposta da qualche AA. per la diagnosi di EPS. Il ricorso alla TAC, qualora esteso
come routine a casistiche più numerose, dovrà essere rivalutato criticamente in relazione alla
periodicità dei controlli per ottimizzare le risorse economiche ed umane disponibili.
UTILITÀ DEL PEPTIDE NATRIURETICO B (BNP) NEL FOLLOW-UP DEI PAZIENTI IN DIALISI
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
PERITONEALE COME INDICATORE DI FUNZIONE CARDIACA
L. Maltagliati, G. Romei Longhena, R. Cimino, R. Colombo, F. Masi, A. Manfredi, A. Scilletta, R.
Savino, U. Teatini
Divisione Nefrologia e Dialisi, Ospedale Bollate, Milano
Scopo del lavoro è di verificare la relazione tra BNP plasmatico e funzione cardiaca (determinata
con ecocardiogramma) nei pazienti in Dialisi peritoneale
Sono stati misurati i valori plasmatici di BNP in 20 pazienti in dialisi peritoneale cronica.
I pazienti sono stati divisi in due gruppi: nel gruppo 1 (10 pazienti) erano compresi i pazienti con
BNP > di 150 ng/ml; nel gruppo 2 (10 pazienti) quelli con BNP < 150 ng/ml.
Le caratteristiche cliniche (età, età dialitica, diuresi residua, UF peritoneale, Pressione Arteriosa
Media) dei due gruppi non dimostravano differenze statisticamente significative.
età
DP
diuresi
anni
mesi
ml/die
Gruppo 1 70,3±6,2 14,2±6,7 831±198
UF perit Totale UF
ml/die
ml/die
422±116 1253±238
PAM
105,7±4
Gruppo 2 67,5±4,1 17,5±8,5
616±142 565±213
1181±127 103,5±2
p
ns
ns
ns
ns
ns
ns
Risultati: Nella Tabella sottostante sono rappresentati i parametri biochimici ed ecocardiografici dei
2 gruppi:
Gruppo 1
Gruppo 2
BNP
529±271
FE %
46,8±3,8
DVS
54,3±3,1
DAS
47,2±3,2
SIV
11,6±1,1
98,6±31,5
p <0.001
54,1±4
p <0.001
49,2±4,3
p <0.001
38,1±2,2
p <0.001
10,7±1,3
p: ns
FE= frazione eiezione, DVS e DAS= diametro ventricolo e atrio sin, SIV= setto interventricolare.
Esiste una differenza significativa tra i 2 gruppi del BNP, del Diametro del VS e dell’ atrio sin, non
del Setto IV.
2
Alla regressione lineare il BNP si dimostra predittore dell’FE con R = 0.72 e p = 0.04.
60
FE %
55
50
45
R2 = 0,72
$
$$
$
$
$
$
$
$
$
40
250
$= gruppo 1
500
750
1000 BNP
= gruppo 2
In conclusione: la determinazione del BNP plasmatico nei pazienti in DP è un utile indicatore e
strumento semplice ed economico per il monitoraggio della funzione cardiaca
12
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
COMUNICAZIONI ORALI
Peritoniti
POSSIBILI FATTORI DI RISCHIO DI FIBROSI PERITONEALE (FP): NOVITÀ E CONFERME
*A. Pappani, *R. Perulli, *A. M. Ferri, *A. Mastrodonato, *I. Clemente, *D. Piano, *M. Querques,
**L. Cinquesanti, **F. Tricarico
*U.O. Nefrologia e Dialisi a Direzione Ospedaliera, “OO. RR.”, Foggia
**U.O. Chirurgia D’Urgenza a Direzione Ospedaliera, “OO.RR.”, Foggia
Introduzione: La fibrosi peritoneale rappresenta una grave complicanza della dialisi peritoneale,
con evoluzione per lo più sfavorevole (morte per cachessia), legata a diversi fattori predisponenti
tipo peritoniti, anni di dialisi, bio-compatibilità dei materiali.
Scopo del lavoro: Scopo del nostro lavoro è cercare di individuare i fattori di rischio che la possono
causare attraverso uno studio retrospettivo dei casi di fibrosi peritoneale verificatesi nel nostro
Centro negli ultimi 15 anni.
Materiali e metodi: 350 pazienti sono stati trattati in peritoneo-dialisi presso il nostro Centro dal
1982 al 2006. Di questi 23, pari al 6,3%, hanno presentato una sintomatologia riferibile a fibrosi
peritoneale. In tutti sono stati valutati: malattia di base, malattie gastro-intestinali preesistenti, età
anagrafica ed età dialitica, numero di peritoniti e germe implicato, tipo di catetere, set, sacche e
disinfettante di linea, prodotto Ca x P , antibiotici utilizzati nel trattamento delle peritoniti e terapia
farmacologica seguita dal paziente.
Risultati: Confermiamo una maggiore incidenza di FP nei pz. con più anni di dialisi( > a 38 mesi),
con maggior numero di peritoniti (1 epis./10 mesi) sostenute da stafilococco aureo, e trattati per più
di 2 settimane con antibiotici intraperitoneali, tipo vancomicina.
La novità che emerge dal nostro studio è la correlazione tra malattia di base e fibrosi peritoneale,
non ancora segnalata da AA. Infatti abbiamo riscontrato che il 55% dei pz. (12 > 23) con fibrosi
peritoneale aveva come malattia di base “rene policistico dell’adulto“. Inoltre, altro dato
interessante, in tutti e 23 pz. studiati erano presenti complicanze intestinali pre – CAPD come
diverticolosi intestinale o colelitiasi: probabilmente in tali casi e’ più facile trovare questa
complicanza perché i pazienti sono più esposti ad infiammazioni croniche anche per fattori
genetici.
Non si riscontrava nessuna correlazione con il numero degli scambi, il n. delle ipertoniche, il tipo di
catetere, o set (Y a due vie), né con i disinfettanti di linea o tipo di tampone (in tutti lattato).
Conclusioni: Ulteriori studi sono necessari per confermare tali dati, e se così fosse, la malattia
policistica non sarebbe più una controindicazione relativa, ma assoluta alla CAPD.
COMUNICAZIONI ORALI
Altro
INFLUENZA DELLE COMORBILITÀ PRE-TRATTAMENTO SULLA SOPRAVVIVENZA IN
EMODIALISI E DIALISI PERITONEALE
S. Turina, L. Manili, M. Sandrini, R. Zubani, G. Cancarini
Sezione di Nefrologia e U.O.C. di Nefrologia, Università e Spedali Civili di Brescia
Introduzione: la letteratura riporta risultati contrastanti sul confronto di sopravvivenza dei pazienti
(pz) in emodialisi (HD) e dialisi peritoneale (DP) anche dopo aver corretto per le comorbidità pretrattamento.
Scopo dello studio: valutare il diverso impatto sulla sopravvivenza in HD e DP dei fattori di rischio
pre-trattamento per definire possibili controindicazioni per una delle due metodiche.
Materiali e metodi: studio retrospettivo monocentrico su 1343 pz incidenti dal 1981 al 2006: 756
(56%) pz in HD e 587 (44 %) in DP. Sono stati registrati: sesso, razza, età, patologia di base,
fattori di rischio (vasculopatia periferica e cerebrale, cardiopatia ischemica, aritmia, ipertensione
arteriosa, ipertensione maligna, dislipidemia, neoplasia, cirrosi, BPCO, infezioni urinarie recidivanti,
diabete mellito tipo I e II), durata dei trattamenti, causa decesso, causa cambio metodo. L’analisi
della sopravvivenza è stata effettuata sia con l’approccio “as treated” (AS) che “intention to treat”
(ITT), utilizzando, per l’univariata, il metodo di Kaplan-Meier (confronti con logrank test) e, per la
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
multivariata, il modello del rischio proporzionale di Cox.
Risultati: l’età non differiva nei due gruppi. I fattori di rischio erano uniformemente distribuiti nei due
gruppi tranne la vasc. cerebrale (p<0.001) e la dislipidemia (p<0.001) prevalenti in DP e la
malattia. multisistemica (p<0.01) prevalente in HD.
All’analisi di Cox, sia AS sia ITT, il tipo di dialisi non condizionava la sopravvivenza del pz (p:NS).
Sono state individuate numerose variabili significativamente influenzanti la sopravvivenza nella
popolazione complessiva: età (p<0.0001), vasc. periferica (p<0.0001), vasc. cerebrale (p<0.001),
cardiopatia ischemica (p<0.0001), neoplasia (p<0.002), cirrosi, diabete tipo II e malattia.
multisistemica. Le medesime variabili sono risultate anche considerando separatamente le singole
metodiche. In DP la BPCO appare come fattore di rischio condizionante la sopravvivenza solo
nell’analisi AS (HR=1.59; p<0.006). La cardiopatia ischemica risulta significativa solo in HD
nell’analisi AS (HR=1.36; p<0.009), ed in entrambe le metodiche nell’analisi ITT.
L’analisi di Cox eseguita separatamente in pz diabetici, cardiopatici, vasculopatici, anziani (>65
anni) non ha rilevato un effetto del tipo di dialisi sulla sopravvivenza. Il sesso femminile in DP ha
una minor sopravvivenza (HR= 1.28; p<0.03).
Conclusioni: la sopravvivenza del paziente non è influenzata dal tipo di metodica dialitica utilizzata.
I fattori di rischio considerati non sembrano esercitare effetti diversi nelle due metodiche, salvo un
effetto prognosticamente sfavorevole all’AS della BPCO in DP della cardiopatia ischemica in HD.
PEPTIDE NATRIURETICO DI TIPO B (BNP): INDICATORE DI SOVRACCARICO IDRICO IN
DIALISI PERITONEALE?
D. Ciurlino, S. Tedoldi, I. Serra, S. V. Bertoli
Unità operativa di Nefrologia e Dialisi, IRCCS Multimedica Holding, Sesto San Giovanni, Milano
Introduzione: Il fattore natriuretico di tipo B (BNP) è una proteina prodotta prevalentemente dai
cardiomiociti ventricolari ed è considerato un importante marker di mortalità nei pazienti
cardiopatici. E’ stato osservato come i pazienti affetti da insufficienza renale terminale presentino
livelli di BNP più elevati rispetto alla popolazione generale verosimilmente come conseguenza
della contemporanea presenza di tre fattori di rischio: ridotta clearance renale, miocardiopatia,
sovraccarico idrico.
Scopo: Scopo del nostro studio è stato quello di valutare i livelli di BNP in un gruppo di pazienti in
dialisi peritoneale in relazione allo stato di idratazione, alla clearance renale residua e alla funzione
ventricolare.
Materiali e metodi: Sono stati studiati 20 pazienti in dialisi peritoneale (8 in APD –12 in CAPD), 7 F
e 13 M, di età media di 63 r 17 anni, età dialitica di 17 r 13 mesi. I livelli plasmatici di BNP sono
stati determinati mediante metodo immunoenzimatico MEIA (a cattura di microparticelle) ed
espressi in pg/ml (v.n.<100). Lo stato di idratazione è stato valutato mediante analisi
bioimpedenziometrica (Akern BIA 101). La clearance della creatinina è stata calcolata sulla diuresi
residua delle 24 ore. Per la valutazione della funzionalità cardiaca tutti i pazienti sono stati
sottoposti a studio ecocardiografico calcolando il volume telediastolico (VTD), volume telesistolico
(VTS), spessore setto interventricolare (SS), spessore parete posteriore (PP) e frazione di eiezione
(FE). L’analisi statistica è stata effettuata tramite test di Student.
Risultati: I livelli plasmatici medi di BNP erano pari a 511.3 ± 430.1 pg/ml. I valori medi di acqua
corporea totale erano di 54.9 ± 7.2%, con una distribuzione media pari a 46.9 ± 3.9% di acqua
extracellulare e di 53 ± 3.9% di acqua intracellulare. La clearance renale residua era di 6.8 ± 5.2
ml/min con una diuresi residua media di 1240 ± 855 ml/24h. I parametri ecocardiografici valutati
presentavano valori medi di: VTD 104 ± 33.1 ml, VTS 55 ± 30 ml, SS 12 ± 1.7 mm, PP 11 ± 1.7
mm, FE 54 ± 13%.
Abbiamo riscontrato una correlazione statisticamente significativa diretta tra BNP e VTD (p=0.004)
e BNP e VTS (p=0.015) e inversa tra BNP e FE (p=0.014), mentre nessuna significatività tra BNP
e spessori parietali del ventricolo. E’ risultato inoltre un trend positivo verso la significatività tra
livelli di BNP e acqua corporea totale (p=0.083). Non abbiamo riscontrato una correlazione
significativa tra BNP e clearance renale residua come pure tra BNP e trattamento DP manuale e
automatizzato.
14
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Conclusioni: Il nostro studio conferma che i livelli di BNP correlano con la disfunzione cardiaca e
che rappresentano un marker di cardiopatia anche nei pazienti in terapia sostitutiva con dialisi
peritoneale.
Tuttavia nel nostro studio i livelli di BNP sono risultati mediamente elevati rispetto ai valori attesi
per il grado di compromissione cardiaca.
Poiché nel nostro studio abbiamo riscontrato un trend positivo verso la significatività tra BNP ed
acqua corporea totale si può ipotizzare che i pazienti da noi analizzati siano in uno stato di
iperidratazione e che i livelli di BNP siano ad esso correlati.
DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER
Predialisi e Scelta Dialitica
DAL PREDIALISI ALLA DIALISI PERITONEALE: È NECESSARIO CAMBIARE LA TECNICA DI
IMPIANTO DEL CATETERE?
S. Mangano, D. Martinelli, S. Brenna, L. E. Bernardi, D. Pogliani, G. Tettamanti, A. Beltrame, G.
Bonforte
U.O. di Nefrologia e Dialisi, Azienda Ospedaliera “S.Anna”, Como
Introduzione: Dal 2004 presso l’U.O. è stato introdotto un ambulatorio di predialisi per migliorare
l’accesso al trattamento dialitico. Questo ha permesso di incrementare il numero dei pazienti che
iniziavano il trattamento emodialitico con accesso definitivo; lo stesso risultato non è stato ottenuto
in dialisi peritoneale perché i pazienti mal tollerano il posizionamento precoce del catetere per i
controlli clinici che ne derivano (lavaggi e medicazione exit-site) con il rischio di procrastinare il
posizionamento del catetere e di iniziare la dialisi con un catetere venoso centrale.
Materiali e Metodi: Per questo motivo dal febbraio 2006 nel nostro centro abbiamo modificato la
tecnica d’impianto del catetere peritoneale in due tempi:
1°) il catetere posizionato con tecnica classica ma completamente marsupializzato nel sottocute
2°) esteriorizzazione della parte terminale al momento dell’inizio del trattamento
Dall’aprile 2005 al maggio 2007 sono stati posizionati 46 cateteri peritoneali, 23 con tecnica
chirurgica standard (gruppo A) e 23 con la tecnica in due tempi (gruppo B)
Risultati:
GRUPPO A: 23 pazienti (10M, 13F) età media 61,7 (range 29 – 88), cl.creatinina 7 ± 3,7 ml/min.
Questi pazienti hanno incominciato la dialisi peritoneale a pieno carico dopo una media di break-in
di 31,4 giorni (14-49). Dopo un mese di trattamento la diuresi residua era di 929 ± 657 ml/24 ore
ma ben 7/23 pazienti hanno iniziato il trattamento con la dialisi extracorporea.
GRUPPO B: 23 pazienti (10M, 13F) età media 65,9a (range 38 – 82), cl.creatinina 11,2 ± 5 ml/min.
Dopo un follow-up di 119,4 mesi non si è verificata nessuna complicanze legata al catetere, 10
pazienti hanno iniziato la dialisi peritoneale dopo una media di 109±88 (29-250) giorni
raggiungendo il carico massimale previsto (1890 ± 208 ml) dopo 1,7 giorni (1-9).
Pazienti (n)
Cl. creat (ml/min)
Break in (gg)
Diuresi (ml/24h)
Kt/V
Inizio con HD (n)
Gruppo A
23
7±3,7
31,4
929±657
2,3±0,4
7/23
Gruppo B
23
11,2±5
110
1500±670
2±0,4
1/23
P
n.s.
n.s.
P < 0,001
P < 0,001
n.s.
P < 0,001
I due gruppi non presentavano differenze statisticamente significative tra la dose dialitica (Cl. Cret.
E Kt/V) ma era possibile riscontrare una differenza altamente significativa per i giorni di brek-in e la
diuresi residua. Tutti i pazienti del gruppo B hanno iniziato il trattamento sostitutivo con la dialisi
peritoneale; solo in un caso si è reso necessario un breve passaggio in emodialisi a causa di
prolasso uterino e secondaria flogosi pelvica.
Conclusioni: La tecnica di marsupializzazione è ben tollerata dai pazienti e permette un
posizionamento relativamente precoce del catetere peritoneale evitando il passaggio anche breve
all’emodialisi con il rischio di deteriorare la diuresi residua.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER
Adeguatezza Dialitica
DATI DI EFFICIENZA DIALITICA E FATTORI DI COMORBIDITÀ: LA LORO IMPORTANZA IN
DIALISI PERITONEALE
A. Pappani, R. Perulli, M. Querques
U.O. di Nefrologia a Direzione Ospedaliera, OO.RR., Foggia
Introduzione: Diversi Autori indicano in un Kt/V = o > a 2,0 ed in una clear.creat. di 70 litri/sett./1,73
mq di superficie corporea gli indici ottimali di adeguatezza dialitica in uremici in dialisi peritoneale ,
affermando che con questi valori ci sia una riduzione del rischio relativo di morte e drop-out della
tecnica.
Il nostro studio vuole dimostrare come nella prognosi non siano solo importanti questi fattori , ma
anche la malattia di base e i fattori di comorbilità preesistenti all’inizio del trattamento.
Materiali e metodi: Sono stati studiati retrospettivamente 91 uremici in trattamento CAPD presso il
nostro Centro negli ultimi 3 anni. In essi sono stati rilevati malattia di base , sesso, età anagrafica,
albuminemia, Kt/V, Clear,creat./sett e condizioni di rischio presenti all’inizio del trattamento
espressi come ICED, raffrontando tali dati con percentuali di morte, ospedalizzazione e drop-out.
Risultati: I pazienti sono stati sudditi in 3 gruppi in base ai dati di efficienza dialitica:
Gruppo A ( Kt/V > 1,9 e clear.creat.> 70 L/sett.) ĺ 34 pazienti ĺ 8 decessi + 6 drop-out
Gruppo B ( Kt/V 1,9—1,7 e cl.cr. 50 -70 L/sett.) ĺ 28 pazienti ĺ 6 decessi + 4 drop-out
Gruppo C ( Kt/V < 1,7 e clea.creat. < 50 L/sett.) ĺ 29 pazienti ĺ 8 decessi + 3 drop-out
Discussione: Considerando i soli dati di efficienza dialitica ci si rende conto che non ci sono grosse
variazioni tra i tre gruppi, in disaccordo con ciò che è stato ampiamente documentato da AA; il
discorso cambia se andiamo ad abbinare a ciascun pz. i fattori di rischio che erano presenti
all’inizio del trattamento: i pz del gruppo A presentavano un ICED tra 2 e 3, a differenza degli altri
gruppi in cui l’ICED era tra 1 e 2.
Conclusioni: Riteniamo che gli indici di efficienza dialitica da soli sono solo dei numeri e che
debbano essere considerati con la stessa importanza i fattori di rischio presenti all’inizio del
trattamento per una migliore visione globale del futuro della tecnica dialitica.
STIMA DELLA FUNZIONE RENALE RESIDUA NEI PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE
M. Zeiler, D. Ricciardi, T. Monteburini, A. Federico, R. Marinelli, S. Santarelli
U.O. Nefrologia e Dialisi, Ospedale A. Murri, Jesi (AN)
Introduzione: La funzionalità renale residua (FRR) è un parametro determinante per la
sopravvivenza tecnica della dialisi peritoneale. La quantificazione della FRR avviene nella routine
clinica con la raccolta delle urine delle 24 ore e prelievo ematico calcolando la clearance renale e
Kt/V urinario. La stima della FRR con la formula di Cockroft e Gault utilizzando i parametri di
creatininemia, sesso ed età non è validato in pazienti con insufficienza renale terminale con FRR
Scopo del lavoro: Scopo dello studio è stato quello di sviluppare una metodica di stima della FRR
in pazienti in dialisi peritoneale sulla base della sola diuresi giornaliera (Diuresi).
Materiali e metodi: In 39 pazienti adulti (23 maschi e 16 femmine) con diuresi residua e terapia
sostitutiva renale di dialisi peritoneale (APD in 32 casi, CAPD in 7 casi) la diuresi giornaliera è
stata registrata in concomitanza con valori biometrici (sesso, età, peso, altezza), creatininemia,
azotemia ed escrezione urinaria giornaliera di creatinina ed azoto. Il volume della distribuzione
dell’urea è stato calcolato con la formula di Watson, la superficie corporea con la formula di
DuBois. Tutti i pazienti erano sotto terapia con furosemide ad alte dosi (250-500mg al giorno). La
FRR è stato calcolato con tre metodi: clearance renale settimanale della creatinina normalizzata
per superficie corporea (Cl-Crea-renale), Kt/V renale dell’urea (Kt/V-renale) e media della somma
della clearance renale settimanale della creatinina e dell’urea (Cl-Crea+Urea-renale). Le
correlazioni venivano calcolate con la metodica di Pearson.
Risultati: I pazienti presentavano una diuresi residua tra 10ml e 2800ml (mediana 570ml). La
seguente tabella riassume i parametri principali dei pazienti:
16
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Min-Max
Mediana
Età
[anni]
28-86
62
Peso
[kg]
43-119
72
Altezza
[cm]
147-188
165
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Body Mass
Index
17.7-39.1
25.9
Crea
[mg/dl]
3.9-19.3
8.7
Urea
[mg/dl]
62-237
142
Il volume di distribuzione dell’urea era tra 24.5 e 55.7 litri (mediana 37.2 litri). La diuresi residua
giornaliera correlava significativamente con la Cl-Crea-renale (r=0.730, p<0.001), con il Kt/V-renale
(r=0.787, p<0.001) e Cl-Crea+Urea-renale (r=0.822, p<0.001) secondo le seguenti formule
matematiche:
Cl-Crea-renale [litri/settimana/1.73m2] = 10.1720 + 0.0307 * Diuresi [ml]
Kt/V-renale = 0.0891 + 0.0004 * Diuresi [ml]
Cl-Crea+Urea-renale [litri/settimana] = 4.6930 + 0.0249 * Diuresi [ml]
Il sesso non altera significativamente la relazione fra diuresi giornaliera e FRR.
Conclusioni: La stima della FRR in pazienti sotto terapia dialitica peritoneale potrebbe essere
possibile, secondo i nostri dati, con la sola quantificazione della diuresi giornaliera con formule
facilmente applicabili nell’attività clinica quotidiana.
DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER
Clinica e Terapia
EFFETTI A LUNGO TERMINE DEL CINACALCET NEI PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE
(DP) CON GRAVE IPERPARATIROIDISMO
A. Tarroni, M. Di Martino, A. Sofia, V. Falqui, L. Morabito, G. Garibotto, G. Deferrari, S. Saffioti
Clinica Nefrologica, Dialisi e Trapianto, Dipartimento di Medicina Interna Università di Genova,
Azienda Università, Ospedale San Martino
Introduzione: L’esperienza nell’uso del cinacalcet riguarda principalmente i pazienti in terapia
emodialitica (HD), mentre sono a disposizione pochi dati, e per un per un follow up relativamente
breve, nei pazienti in PD.
Scopo del lavoro: Scopo di questa analisi retrospettiva è presentare i dati relativi all’esperienza
clinica con cinacalcet ottenuta nel nostro centro nei pazienti in PD.
Materiali e metodi: Abbiamo osservato gli effetti a breve e a lungo termine (follow-up massimo 18
mesi) del cinacalcet in un gruppo di pazienti in PD (n=18) in cui era presente grave
iperparatiroidismo (mediana PTH 1300 pg/ml). Il gruppo costituiva il 29 % dei pazienti prevalenti in
PD. Il protocollo di trattamento prevedeva terapia con chelanti del P, vitamina D o suoi analoghi
per un periodo di almeno sei mesi. In caso di non raggiungimento dei valori target di PTH era
inserita terapia con cinacalcet (dose iniziale 30 mg/die).
Risultati: Prima dell’inizio della terapia con cinacalcet i target di Ca, P e prodotto Ca-P erano
raggiunti rispettivamente nel 22, 47 e 44% dei pazienti. I livelli di fosforemia basale erano 5.7
mg/dl, quelli del Ca 9.4 mg/dl. Il cinacalcet è stato sospeso in 2 pazienti per intolleranza gastrica, in
1 paziente per trapianto, in 1 paziente per mancata compliance ai farmaci.
Nel 27% dei casi la dose era ridotta o aumentata; in 2 casi il cinacalcet era sospeso per eccessiva
riduzione dei livelli di PTH. La dose massima raggiunta era 60 mg/die in 3 pazienti.
A 15 giorni dall’inizio del trattamento si osservava una significativa caduta della calcemia (-11%),
che tornava a livelli simili al basale al 30° giorno e si manteneva stabile nel tempo. La fosforemia
scendeva significativamente (pz a target 60% a 6mesi, 83% a 12 mesi, 60% a 18 mesi). La
percentuale di pazienti a target per il prodotto Ca x P passava dal 44% (basale) all’ 80% al primo
mese, e si manteneva stabile nel follow-up (83% a 18 mesi). I valori di PTH scendevano in media
del 47% già a 15 giorni (59% a 1 mese,71% a 6 mesi, 64% a 12 mesi e 57% a 18 mesi) e la
percentuale di pazienti a target era 18% al primo mese, saliva al 33% a 12 mesi, per poi attestarsi
attorno al 50% nel successivo follow-up.
17
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Percentuale di pazienti a target per PTH
% pazienti
100
80
60
PTH<300
40
PTH<150
20
es
i
es
i
m
18
es
i
12
m
es
i
m
m
6
3
i
es
e
m
1
gi
or
n
15
0
0
Nessun paziente è andato incontro a paratiroidectomia.
Conclusioni: L’uso di cinacalcet in una popolazione di pazienti in PD con grave iperparatiroidismo
si è associato a un importante caduta dei valori di PTH e a un miglior controllo dei target Ca, P e
CaxP rispetto alla terapia tradizionale, anche dopo un periodo d’uso prolungato. Una eccessiva
caduta dei valori di PTH andrebbe osservata con attenzione per prevenire il rischio di osteopatia
adinamica, frequente nei pazienti in PD.
EFFICACIA DELLA DIALISI PERITONEALE CON ICODESTRINA NEL TRATTAMENTO A
LUNGO TERMINE DELLO SCOMPENSO CARDIACO CONGESTIZIO REFRATTARIO
F. Cazzato, D. Chimienti, A. Bruno, S. Cocola, P. Libutti, C. Basile
Unità Operativa Complessa di Nefrologia e Dialisi, Ente Ecclesiastico Ospedale Generale
Regionale “F. Miulli”, Acquaviva delle Fonti, Bari
Premessa: Lo scompenso cardiaco congestizio (SCC) refrattario è gravato da elevata morbidità e
mortalità. Scopo del presente studio è riportare la nostra esperienza nel trattamento a lungo
termine dello SCC refrattario (classe NYHA IV) mediante dialisi peritoneale (DP).
Pazienti e metodi: Dal gennaio 2004 sono stati arruolati nel programma 5 pazienti. E’ stato escluso
dallo studio un paziente che presentava un follow-up di soli 3 mesi. I 4 pazienti erano maschi, con
età media di 71.5 + 5.6 (deviazione standard) anni, con diverso grado di insufficienza renale
cronica. Dopo ultrafiltrazione (UF) extracorporea e/o sedute emodialitiche di salvataggio, fu avviato
un trattamento a lungo termine di DP intermittente: monoscambio notturno con Icodestrina (ICO) in
3 pazienti e doppio scambio (ICO + soluzione isotonica di destrosio) in 1 paziente.
Sono stati monitorati (a 0, 3, 6, 12, 18, 24, 30, 36 e 43 mesi) funzione renale, diuresi delle 24 ore,
peso corporeo, UF peritoneodialitica, evoluzione della classe NYHA ed episodi peritonitici. Sono
state prese in considerazione le giornate di ospedalizzazione per problematiche cardiologiche nei
12 mesi precedenti l’ingresso in DP e nei mesi successivi all’inizio della DP.
Risultati: Il follow-up dello studio è stato di 24.3 + 15.6 mesi. Dopo stabilizzazione con la DP, in
tutti i pazienti vi fu un incremento statisticamente significativo della diuresi (da 587.5 + 165.2 a
1700.0 + 141.4 ml/die, p < 0.003) ed una riduzione non significativa della creatininemia (da 3.55 +
1.12 to 2.37 + 0.35 mg/dl). Il calo ponderale fu statisticamente significativo (11.3 + 3.4 kg, p <
0.007). Tutti i pazienti evidenziarono un miglioramento statisticamente significativo delle classi
NYHA (da 4.0 + 0.0 a 2.5 + 2.6, p < 0.01). Tre pazienti non ebbero alcuna ospedalizzazione per
problematiche cardiologiche nel periodo di follow-up in DP; normalizzando questo dato in termini di
giorni di ospedalizzazione/mese, la differenza tra i 12 mesi che precedettero l’inizio della DP ed il
periodo di follow-up in DP fu statisticamente significativa (4.4 + 2.9 vs 0.7 + 1.5 giorni, p < 0.04).
Nessun episodio peritonitico fu rilevato nel follow-up in DP. Tre pazienti sono deceduti
rispettivamente dopo 11, 13 e 43 mesi di trattamento: 2 per morte improvvisa ed 1 per cachessia
neoplastica. Nessuna delle morti è attribuibile a complicanze legate alla DP.
18
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Conclusioni: La DP con le soluzioni di ICO può essere proposta come modalità di trattamento a
lungo termine dello SCC refrattario. Essa permette un miglioramento nella qualità, se non nella
quantità di vita. Inoltre, le ospedalizzazione per problematiche cardiologiche si ridussero in
maniera straordinaria. Trials controllati e randomizzati sono necessari per confermare l’evidenza
sinora basata su case reports.
UN CASO CLINICO DI CALCIFILASSI IN PAZIENTE IN DIALISI PERITONEALE. RUOLO
DELL’INFIAMMAZIONE.
E. Valicenti, V. Martella, R. Russo, R. Corciulo
U.O. di Nefrologia, Azienda Policlinico di Bari
Introduzione: La vasculopatia calcificante è una frequente complicanza nel paziente dializzato e si
caratterizza per la deposizione di sali di calcio all’interno della parete vascolare delle piccole arterie
e arteriole. Questa complicanza è gravata da elevata morbilità e mortalità per complicanze
cardiovascolari. In questo studio riportiamo un caso clinico di calcifilassi in una paziente con
evidenti segni di infiammazione cronica.
Caso clinico: Paziente di razza caucasica, ipertesa , obesa, insufficienza renale cronica dall’età di
53 anni. A 60 anni avvio alla CAPD . A 65 anni episodio di dermatite bollosa con comparsa di
pseudoporfiria da rilascio di plastificanti (ftalati) risoltosi con l’utilizzo di sacche per dialisi
peritoneali non contenenti PVC. Durante il trattamento peritoneo dialitico cinque episodi di
peritonite. Dopo 9 anni di CAPD passaggio all’emodialisi per deficit dell’ultrafiltrazione. A un mese
dalla sospensione della CAPD comparsa di sintomi di sub-occlusione intestinale, con aumento di
volume dell’addome e ascite emorragica. L’esecuzione di una TAC evidenzia i segni di una
peritonite sclerosante e pertanto viene sottoposto a terapia con steroidi e azatioprina. A dieci mesi
dalla sospensione della CAPD comparsa di lesioni ischemiche acrali bilaterali, dolenti agli arti
superiori ed inferiori tendenti all’ulcerazione. L’Rx delle mani evidenzia calcificazioni vascolari
diffuse. Alla biopsia cutanea: calcificazioni a manicotto delle pareti delle piccole arterie e arteriole
associate a una proliferazione fibrosa intimale con occlusione del lume di alcune vasi. I valori
ematochimici evidenziano fosforemia 7mg/dl, Ca×P 72, PTH 40,4 pg/ml, albuminemia 2mg/dl,
PCR 11mg/dl (v.n. 0.0 - 0.5), Fetuin-A 0,26g/l (v.n. 0.6 - 1.5). Dopo 16 mesi dal trasferimento in
emodialisi si verifica il decesso della paziente per infarto del miocardio.
Discussione: I fattori predisponesti le calcificazioni vascolari, nell’insufficienza renale cronica, sono
legati ai disordini minerali del metabolismo osseo. Tra questi l’iperparatiroidismo secondario,
l’iperfosforemia, l’impiego di analoghi della Vit.D e di supplementi di calcio. Altri fattori sono il sesso
femminile, la malnutrizione e l’ipoalbuminemia. Un ruolo di rilievo nella patogenesi della
vasculopatia calcificante è determinato dall’infiammazione, che determina un aumento delle
proteine della fase acuta : PCR, amiloide di tipo A, fibrinogeno e una riduzione di albumina,
transferrina e fetuin A. Quest’ultima è un fattore circolante in grado di inibire in vivo i processi di
calcificazione.
Conclusioni: Il caso clinico riportato, si caratterizza per l’associazione tra stato infiammatorio
cronico secondario alla peritonite sclerosante e l’insorgenza di calcificassi, nella cui patogenesi
svolgono un ruolo significativo i bassi livelli di fetuina.
LA DIALISI PERITONEALE NEI PAZIENTI UREMICI CON INFEZIONE HIV. FOLLOW-UP DI
UNA POPOLAZIONE
C. Cherubini, M. E. Militello, P. Arienzo, G. Noto, S. Di Giulio
U.O.S. Nefrologia e Dialisi nelle Malattie Infettive, I.N.M.I. Lazzaro Spallanzani, A.O. S. Camillo,
Forlanini, Roma
Introduzione: Il notevole miglioramento dell’aspettativa di vita dei pazienti HIV positivi, ha
comportato un progressivo incremento del numero dei pazienti affetti da tale patologia che
sviluppano un’ insufficienza renale cronica e devono entrare in un programma di trattamento
sostitutivo.
19
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Dalla nostra esperienza maturata in 7 anni di attività presso l’Istituto di Malattie Infettive “Lazzaro
Spallanzani” dove vengono seguiti 4000 pazienti con infezione HIV, possiamo affermare che circa
il 30% di essi sviluppa una nefropatia che può essere determinata da glomerulopatie primitive, da
patologie secondarie all’infezione stessa e/o coinfezioni, al danno diretto e metabolico della terapia
HAART e dei chemioterapici frequentemente usati per il trattamento delle infezioni opportunistiche.
E’ da considerare inoltre che il prolungamento della vita di questi pazienti si traduce in un aumento
rilevante di comorbidità legate anche al fattore età, quali il diabete e le vasculopatie, che
costituiscono elemento scatenante o favorente l’insorgenza di classiche nefropatie ad esse
associate. Dal momento che la gestione clinica dei pazienti HIV positivi in trattamento sostitutivo
della funzione renale è estremamente complessa e peculiare, dobbiamo considerare la necessità
di poterne migliorare la qualità di vita.
Scopo del lavoro: Descrivere le problematiche cliniche e terapeutiche della popolazione uremica
con infezione HIV trattata con dialisi peritoneale, riscontrate in 7 anni di attività rivolta a pazienti
con infezioni virali sierotrasmesse ed il suo follow-up.
Materiali e metodi: Nell’ U.O.S. di Nefrologia e Dialisi nelle malattie infettive seguiamo
ambulatorialmente circa 1200 pazienti HIV positivi con nefropatie associate. In 7 anni di attività
abbiamo trattato con terapia sostitutiva 51 pazienti HIV positivi uremici cronici, di cui 41 con
emodialisi e 10 con dialisi peritoneale. In assenza di controindicazioni assolute ad entrambe le
metodiche, il tipo di trattamento è stato scelto liberamente dal paziente in sintonia con il proprio
stile di vita. Dei 10 pazienti trattati con dialisi peritoneale, 2 F e 8 M, età media 40,18 r 12,47, età
dialitica (M r D.S.) 24 r 14,5 mesi (Range 72-13 mesi), 3 presentano una coinfezione HBV-HCV e
2 sono diabetici. Tutti i pazienti assumono terapia HAART e chemioterapici per la prevenzione di
infezioni opportunistiche.
Risultati: Il presunto maggior rischio di suscettibilità alle infezioni opportunistiche, segnalato dai
dati di letteratura, ha rappresentato il problema minore della nostra popolazione. L’interferenza
della terapia HAART di ultima generazione, di cui sono ancora poco conosciute le cinetiche ed i
peculiari aspetti metabolici sviluppati nel tempo dai pazienti HIV sono responsabili di un difficile
controllo dell’assetto nutrizionale, del metabolismo carboidratico e delle patologie vascolari
correlate In dialisi peritoneale questi aspetti sono di più difficile gestione, limitandone l’indicazione.
Conclusioni: La dialisi peritoneale rimane comunque a nostro parere un’indicazione valida, seppur
limitata ad una selezionata categoria di pazienti.
DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER
Peritoniti
PERITONITE SCLEROSANTE TRATTATA CON SUCCESSO CON ASSOCIAZIONE DI
STEROIDI EVEROLIMUS E TAMOXIFENE
A. M. Ricciatti,G. Goteri*, M. D’Arezzo, S. Sagripanti, L. Bibiano, F. Petroselli, G. Fabris*, G. M.
Frascà
U. O. Nefrologia, Ospedali Riuniti, Ancona
*U. O. Anatomia Patologica, Ospedali Riuniti, Ancona
Introduzione: La peritonite sclerosante è una rara, ma severa patologia che può colpire i pazienti in
dialisi peritoneale, per la quale la terapia medica e/o chirurgica non riescono a fornire risultati
soddisfacenti, con esito infausto in circa il 50% dei casi.
Scopo del lavoro: Verificare l’efficacia di un trattamento in grado di agire a diversi livelli della via
patogenetica della malattia.
Materiali e metodi: Ragazzo di 19 anni, in APD da 68 mesi per patologia malformativa complessa
dell’apparato urinario, tetralogia di Fallot e atresia ano-rettale, trattata chirurgicamente. Dal 2005
episodi ripetuti di peritonite da Staph Epidermidis che hanno comportato una variazione del PET
da LA a HA. Per questo motivo nel febbraio 2007 il paziente è stato trasferito alla emodialisi. Dopo
3 mesi di benessere comparsa di dolori addominali, vomito e ascite. Alla TC dell’addome quadro
suggestivo per peritonite sclerosante.
Intervento chirurgico per lisi manuale delle aderenza maggiori e conferma istologica della diagnosi.
Dopo l’intervento il paziente è stato trattato con: prednisolone alla dose iniziale di1 mg/Kg/die,
progressivamente ridotto a 0,3 mg/Kg/die; everolimus 1,5 mg/die; tamoxifene 10 mg/die.
Risultati: Dopo l’inizio della terapia il paziente ha presentato un rapido miglioramento delle
20
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
condizioni cliniche con ricanalizzazione intestinale, come evidenziano i controlli TC.
A 6 mesi di distanza il paziente è del tutto asintomatico con indici di flogosi negativi. I livelli ematici
di everolimus sono circa di 4 mcg/ml e non si sono osservati effetti collaterali.
Conclusioni: Questo caso dimostra che la peritonite sclerosante può essere trattata con successo
da una terapia combinata
LA PERITONITE SCLEROSANTE: UN PROBLEMA EMERGENTE NEI PAZIENTI SOTTOPOSTI
A TRAPIANTO RENALE
R. Fenoglio1, S. Maffei2, E. Mezza3, M. Messina3, P. Stratta1, G. P. Segoloni3, G. Triolo2
1
SCDU Nefrologia e Trapianto Renale, Az. Osp. Maggiore della carità, Novara
2
SC Nefrologia e Dialisi, Az. Osp. CTO, Torino
3
SCDU Nefrologia, Dialisi e Trapianto, ASO San G. Battista di Torino
La peritonite sclerosante (PS) è stata finora considerata una grave ma rara complicanza della
dialisi peritoneale (DP). Le prime segnalazioni risalgono all’inizio degli anni ‘80 e da allora sono
state riportate delle prevalenze molto variabili; tale discordanza deriva probabilmente dalla
mancanza di una definizione “uniforme”. Recenti segnalazioni dalla letteratura indicano tuttavia un
aumento dell’incidenza di tale patologia anche in pazienti con trapianto renale sottoposti in
precedenza a dialisi peritoneale.
In questo lavoro riportiamo 3 casi di PS diagnosticata dopo trapianto renale (Tx) in pazienti seguiti
presso i 2 centri trapianto del Piemonte.
1° caso: pz di 26 aa (M), IRC in corso di sindrome malformativa sottoposto a Tx dopo 57 mesi di
DP (1 peritonite in anamnesi); a 18 mesi dal Tx comparsa di quadro subocclusivo intestinale
persistente con necessità di intervento chirurgico: peritonite incapsulante diffusa.
2° caso: pz di 47 aa (F), IRC ad eziologia non determinata sottoposta a Tx dopo 68 mesi di DP
(più peritoniti recidivanti nella storia clinica); a 6 mesi dal Tx ricovero per importante calo
ponderale, dolore in sede epi/mesogatrica e successiva comparsa di occlusione intestinale con
necessità di intervento chirurgico: cavità addominale murata da uno spesso cercine fibroso
avviluppante le anse ileali e voluminose raccolte liquide.
3° caso: pz di 63 aa (F), IRC secondaria a nefropatia interstiziale sottoposta a Tx renale dopo 48
mesi di DP (1 peritonite); a 42 mesi dal Tx ricovero per alvo alterno e importante calo ponderale,
alla TC: ispessimento delle anse del tenue impaccate tra loro; la laparotomia esplorativa
evidenziava un quadro di peritonite plastica con coinvolgimento di tutte le anse ileali, conglomerate
in un’unica matassa. L’indagine istologica confermava in tutti e 3 i casi un quadro di peritonite
sclerosante. Il decorso è stato favorevole per i primi 2 casi con necessità tuttavia di aumentare in
entrambi la posologia steroidea; nel terzo caso si è osservato l’exitus della paziente poco dopo
l’intervento chirurgico.
Nei casi riportati i pazienti erano accomunati da un’età dialitica maggiore o uguale a 4 anni e dalla
terapia immunosoppressiva che prevedeva, al tempo della diagnosi, inibitori della calcineurine e
steroidi a basse dosi; vi era discrepanza invece per altri fattori considerati a rischio quali numero di
peritoniti, utilizzo di sacche ipertoniche e/o soluzioni maggiormente biocompatibili, assunzione di
betabloccanti; ampia variabilità infine è stata osservata nel tempo di insorgenza della PS dal
momento del Tx.
In conclusione si può ipotizzare che i soggetti precedentemente sottoposti a DP per un periodo
non breve, possano sviluppare in corso di trapianto, verosimilmente in presenza di fattori
costituzionali predisponenti, quadri conclamati di PS nella cui eziopatogenesi non è escludibile un
ruolo favorente della terapia immunosoppressiva con inibitori della calcineurine, della tendenza ad
utilizzare basse dosi di steroidi e della diminuita rimozione di fibrina in assenza di lavaggio della
cavità peritoneale.
21
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
VARIAZIONE DEGLI ORGANISMI CAUSALI E DELLA LORO SUSCETTIBILITÀ AGLI
ANTIBIOTICI NELLE PERITONITI: ESPERIENZA DI 10 ANNI IN UN SINGOLO CENTRO DI
DIALISI PERITONEALE
*M. Marani, *F. Manenti, *M. Di Luca, *M. Martello, *K. Kulurianu, **M.S. Ferreiro Cotorruelo, *R.
Cecchini
*Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi, A.O. “Ospedale San Salvatore”, Pesaro
**Agenzia Regionale Sanitaria Marche, Ancona
Introduzione: Sebbene la peritonite (P) in pz in PD sia meno frequente, tuttavia contribuisce ancora
all’incremento della mortalità e rimane la principale causa di trasferimento del pz all’HD. Il carattere
degli organismi causali delle P e la loro suscettibilità agli antibiotici sono fattori determinanti
l’outcome clinico. Questi possono variare nel tempo in ogni singolo Centro e la scelta della terapia
antibiotica iniziale dovrebbe tener conto della popolazione microbica “locale”.
Scopo: Analisi retrospettiva delle P in due periodi successivi (agente causale, sensibilità agli
antibiotici, outcome clinico) al fine di verificare l’appropriatezza della terapia antibiotica.
Pazienti e metodi: É stata esaminata la documentazione clinica di 101 pz seguiti dal 1996 al 2005.
Tutti erano stati sottoposti ad inserimento chirurgico di CP Tenckhoff Swann-Neck. La DP era
iniziata dopo break-in di 3-4 settimane. La durata media del training era di 8 gg; la terapia
antibiotica iniziale della P è stata: Vancomicina IP (1.5-2gr/5gg) op. Cefalotina IP 125mg/L e
Netilmicina IP 0.6 mg/Kg/2L op. Ciprofloxacina OS 500 mgx2 op. Ceftazidime IP 125 mg/L. In
corso di P i pz avevano mantenuto la loro terapia dialitica usuale. É stato analizzato, per le variabili
“appartenenza al primo o al secondo periodo di osservazione” e “tipo metodica dialitica”, il rischio
dei pz di sviluppare una P ed il rischio di presentare una P da Gram+ o da Gram-. La significatività
statistica era determinata come valore di p inferiore a 0,05. L’analisi statistica è stata realizzata con
Epi-info 3.2
Risultati: 39 pz hanno contratto P; la loro età media era 64,7 + 14 aa. ed il follow-up medio di
4,4+2 aa. 18 pz. erano in CAPD, 16 in APD e 5 hanno utilizzato prima la CAPD poi l’APD. Nel
periodo di osservazione (10 aa) si sono verificati 59 episodi di P, durante 257,7 pz-aa, pari ad
un’incidenza di 0,23 P/pz-a.Complessivamente il 54% degli organismi era Gram+, il 22% Gram- ed
il 24% d’altro tipo. La rimozione del CP ed il passaggio in HD è stato necessario nel 25% dei casi.
La mortalità è stata del 5%. L’incidenza e la distribuzione microbica delle P nei due periodi di 5
anni sono espresse nella tabella 1.
Tab. 1
1996-2000
2001-2005
P
n.
42
17
Gr +
n (%)
28 (67)
4 (24)
Gr n (%)
7 (17)
6 (35)
altro
n (%)
7 (17)
7 (41)
Inc. tot.
P/pz-a
0,30
0,15
Inc. Gr+
P/pz-a
0,20
0,03
Inc. GrP/pz-a
0,05
0,06
I pz del primo periodo avevano un rischio 2,8 volte più alto di sviluppare una P. rispetto a quelli del
secondo periodo (Tab.2). Non ci sono differenze statisticamente significative per quanto riguarda il
tipo di metodica dialitica (Tab. 3).
Tab. 2
variabili RR
1° periodo 2,8
2° periodo 0,5
Tab. 3
Rischio P tempo
I.C. 95%
(min.-mass.)
p
(1,5-5,3)
0,0002
(0,3-0,8)
0,005
variabili
CAPD
APD
RR
1,4
0,8
Rischio P metodica
I.C. 95%
(min.-mass.)
p
(0,8-2,3)
0,2
(0,5-1,3)
0,2
Conclusioni: Il nostro studio dimostra un significativo decremento dell’incidenza delle P da Gram +
nel tempo. Costante permane l’incidenza dei Gram-. Queste evidenze inducono ad una
rivalutazione critica “locale” dei suggerimenti “ufficiali” sulla cura empirica delle P.
22
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
DIVERTICOLOSI DEL COLON COME FATTORE DI RISCHIO PER PERITONITE ENTERICA:
RISULTATI DI UNO STUDIO PROSPETTICO OSSERVAZIONALE
G. Gentile, V. M. Manfreda, D. Rossi, G. Campus, C. Giammarioli, C. Carobi, U. Buoncristiani
Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi, Ospedale S. Maria della Misericordia, Perugia
Introduzione: La malattia diverticolare del colon è stata considerata per anni un fattore di rischio
per lo sviluppo di peritonite enterica; quest’ultima è causata da microrganismi che colonizzano il
lume intestinale, generalmente gram-negativi, da soli o in associazione con gram-positivi (infezioni
polimicrobiche), o miceti. Tuttavia, tale associazione è stata in seguito messa in discussione da
alcuni studi retrospettivi, i quali hanno affermato che la diverticolosi del colon non rappresenta un
fattore di rischio per peritonite enterica.
Scopo del lavoro: Scopo del presente studio prospettico osservazionale è quello di studiare la
relazione fra malattia diverticolare del colon e sviluppo di peritonite enterica, in una popolazione di
pazienti uremici in trattamento dialitico peritoneale.
Materiali e metodi: 70 pazienti uremici (43 maschi e 27 femmine; età media 66,08 anni, IC 95%:
62,94-69,22) sono stati arruolati nello studio al momento dell’ingresso in dialisi peritoneale. Criterio
di inclusione era l’esecuzione di un clisma opaco del colon a doppio contrasto prima del
posizionamento del catetere peritoneale di Tenchkoff. Nessuno specifico criterio di esclusione è
stato considerato. La nefropatia causale era rappresentata, nell’ordine, da: causa imprecisata
(N=20, 28,6% del totale), nefroangiosclerosi (N=18, 25,7%), glomerulonefrite cronica (N=11,
15,7%), nefropatia diabetica (N=9, 12,9%), rene policistico (N=8, 11,4%), nefropatia lupica (N=2,
2,9%), tubercolosi renale (N=1, 1,4%) e nefrite interstiziale cronica (N=1, 1,4%). Dieci pazienti
(14,3% del totale) erano affetti da diabete mellito. Il follow-up terminava all’uscita dal trattamento
dialitico peritoneale, per passaggio a trattamento emodialitico (N=31), decesso (N=22) o trapianto
renale (N=9). 8 pazienti risultano ancora in follow-up attivo al 31/12/2006. La durata media del
follow-up era di 1337,2 giorni (IC 95%: 1148,77-1525,63; mediana 1157,5), per complessivi 256
anni-paziente. Tutti gli episodi di peritonite venivano registrati prospetticamente su un apposito
database elettronico, insieme ai dati anamnestici, laboratoristici e strumentali necessari alla
corretta identificazione del tipo di peritonite (esami colturali dell’exit-site del catetere, ecografie del
tunnel, tamponi nasali, ecc.). Endpoint primario dello studio era l’insorgenza del primo episodio di
peritonite enterica. Veniva quindi eseguita un’analisi di sopravvivenza (time-to-event) utilizzando il
metodo di Kaplan-Meier ed il modello dei rischi proporzionali di Cox, utilizzando come covariate la
diverticolosi, l’età, il sesso, la malattia diabetica, la malattia policistica e la terapia con antiacidi.
Veniva anche calcolato il tasso di incidenza delle peritoniti enteriche nelle due coorti.
Risultati: Dei 187 episodi di peritonite verificatisi durante il periodo di osservazione, 44 (23,5% del
totale) sono stati etichettati come peritonite enterica. Di questi, 24 si sono verificati nella coorte
senza diverticolosi (N=45, pari al 64,3%), i restanti 20 in quella con diverticolosi (N=25, pari al
35,7%). Ciò corrisponde ad un tasso di incidenza di peritonite enterica di 1 episodio/85,92 mesipaziente nella prima coorte e di 1/52,95 nella seconda. Dei 25 primi episodi di peritonite enterica,
15 si verificavano nella coorte dei pazienti senza diverticolosi e 10 in quella con diverticolosi.
Utilizzando il metodo di Kaplan-Meier, l’intervallo medio stimato fra posizionamento del catetere
peritoneale e primo episodio di peritonite enterica era 1935,387 giorni nella coorte senza
diverticolosi (IC 95%: 1588,278-2282,496) e 1915,927 nella seconda (IC 95%: 1278,0492553,806), quello mediano 2221 (IC 95%: 1505,838-2936,162) e 1330 (IC 95%: 1041,9241618,076), rispettivamente. Il log-rank test, eseguito per il confronto fra le curve di sopravvivenza
delle due coorti, non mostrava una differenza statisticamente significativa (chi-quadro 0,779,
P=0,378). Tale risultato è stato confermato dal modello dei rischi proporzionali di Cox, che non ha
mostrato una correlazione statisticamente significativa fra peritonite enterica e le covariate oggetto
di studio.
Conclusioni: Il presente studio suggerisce che la malattia diverticolare del colon non è associata ad
un incremento statisticamente significativo del rischio di sviluppare il primo episodio di peritonite
enterica. Analogo discorso vale per le altre covariate prese in esame (età, sesso, diabete, rene
policistico, terapia con antiacidi). Tuttavia, a causa della dimensione relativamente ridotta del
campione in studio (N=70), tale risultato meriterebbe di essere riconfermato da uno studio
prospettico osservazionale più ampio.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER
Gestione e Organizzazione
PROPOSTA DI APPLICAZIONE DI UN’ANALISI PROSPETTICA DEL RISCHIO CLINICO ALLA
DIALISI PERITONEALE
G. Paternoster, G. Bonfant, V. Paroli, E. Amail, P. Belfanti, D. Gabrielli, A. M. Gaiter, M. Manes, A.
Molino, V. Pellu, P. E. Nebiolo
Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi, Ospedale Regionale di Aosta
Introduzione: La gestione del rischio clinico si è evoluta contemporaneamente alle conoscenze sul
tema dell’errore in medicina ed alle esperienze sull’applicazione dei sistemi della qualità e dei
modelli di organizzazione delle strutture complesse. Dopo il superamento della visione
assicurativa, che tendeva alla riduzione delle controversie legali e, di conseguenza, dei premi, si è
giunti all’approccio clinico, che studia l’errore e le sue cause e, recentemente, ad orientamenti più
avanzati che prevedono la mappatura dei processi e l’applicazione dell’evidence based medicine.
Basandosi su queste premesse, l’Azienda Sanitaria della Valle d’Aosta ha attivato un progetto di
gestione del rischio clinico, nel cui ambito ha scelto come strumento una metodologia derivata
dall’industria, che anche la nostra struttura complessa (SC) è stata chiamata ad applicare ai suoi
processi.
Scopo del lavoro: Applicazione della failure mode and effect analysis (FMEA) al processo della
dialisi peritoneale (DP).
Materiali e metodi: La FMEA è una tecnica previsionale, utilizzata in ambiti industriali per valutare
l’affidabilità di processi, sistemi e prodotti. Negli ultimi 5 anni sono aumentate le sue applicazioni in
ambito sanitario (H-FMEA), come dimostrato anche dal crescente numero di pubblicazioni
internazionali. Si tratta di prendere in esame un processo e definire l’indice di rischio (IR) delle
attività che lo compongono in base alla loro gravità (G), alla valutazione della probabilità di
accadimento (P) e alla rilevabilità dell’attività (R). In seguito sono pianificate le azioni di
contenimento e successivamente si valuta l’impatto delle modifiche attuate sull’IR. Prerequisiti:
individuazione di un gruppo ristretto multiprofessionale che, nel nostro caso era composto da
nefrologi, biologi, infermieri professionali, dietista.
Risultati: Nella SC di Nefrologia e Dialisi l’applicazione dell’H-FMEA ha comportato diverse fasi
successive: 1) informazione/formazione al gruppo designato; 2) analisi dei processi critici della SC
con individuazione di quelli prioritari; 3) scomposizione del processo in esame in fasi elementari; 4)
individuazione degli errori e loro possibili effetti; 5) descrizione dei fattori di contenimento, cioè
delle modalità di controllo già esistenti 6) calcolo dell’IR sulla base di scale di valutazione della
gravità, della probabilità di accadimento e della rilevabilità; 7) collocazione degli IR nella matrice
delle priorità allo scopo di identificare le attività su cui intervenire; 8) analisi delle cause delle
modalità di errore e delle possibili soluzioni; 9) pianificazione ed attuazione di azioni di
contenimento del rischio; 10) verifica dei risultati raggiunti.
Conclusioni: L’applicazione dell’H-FMEA, con la sua elaborazione multidisciplinare di tipo down-top
ha permesso una maggiore conoscenza e consapevolezza del processo della DP, un conseguente
miglioramento del processo assistenziale e l’introduzione di fattori di contenimento, con una
diminuzione dell’IR globale.
DISCUSSIONE ITINERANTE POSTER
Altro
PUÒ ESSERE IL DECLINO DELL’ULTRAFILTRAZIONE UN IMPORTANTE FATTORE
PREDITTIVO DI SCLEROSI PERITONEALE?
V. Pepe, A. Melfitano, P. delli Carri, L. Gesualdo
Struttura Complessa Universitaria Nefrologia Dialisi e Trapianti, OO.RR., Foggia
Introduzione: La sclerosi peritoneale incapsulante (EPS) è una rara ma grave complicanza della
dialisi peritoneale che può compromettere la sopravvivenza del paziente.
L’EPS comporta una elevata mortalità, e si pensa che possa rappresentare lo stadio più evoluto di
un processo di severa fibrosi peritoneale che, in ultima analisi, porta alla sclerosi peritoneale e ad
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
una serie di modificazioni infiammatorie del peritoneo.
L’incidenza annuale di EPS aumenta con l’aumentare della durata del trattamento peritoneodialitico, infatti l’EPS è rara in pazienti in dialisi peritoneale da meno di 2 anni.
Anche se la sua etiologia non è sempre legata alla dialisi peritoneale, l’EPS nei pazienti in
peritoneo-dialisi ha un’etiologia multifattoriale e, nella maggior parte dei casi, non ben conosciuta.
Attualmente gli episodi ricorrenti di peritonite, con particolare riferimento allo Stafilococco aureo ed
alla Pseudomonas aeruginosa, insieme alla lunga durata del trattamento dialitico sono considerati
le più comuni cause di EPS. Un importante fattore di sclerosi peritoneale è rappresentato dalla
bioincompatibilità delle soluzioni dialitiche a base di glucosio e dal prolungato contatto del
peritoneo con i prodotti di degradazione del glucosio (PDGs) e con i prodotti finali della
glicosilazione avanzata del glucosio (AGEs), nonché con i plastificanti delle sacche dialitiche.
La diagnosi si basa soprattutto sul sospetto clinico e sui segni radiologici. Le manifestazioni
cliniche sono variabili ed includono dolore addominale, nausea, vomito, perdita di peso, deficit
dell’ultrafiltrazione, ascite e dialisato ematico. L’EPS può essere fatale quando si presenta con
sintomi dell’occlusione intestinale. I segni radiologici specifici all’esame TC sono le raccolte di
fluido, eventualmente ematico, l’ispessimento della parete intestinale e/o del peritoneo, le
calcificazioni peritoneali, l’affastellamento delle anse del tenue.
Caso clinico: Nella nostra Unità Operativa abbiamo seguito un paziente BM affetto da insufficienza
renale cronica da etiologia sconosciuta, in trattamento peritoneo-dialitico da Ottobre 2002 a Luglio
2007 (57 mesi); da Aprile 2007 fino all’exitus, il trattamento sostitutivo è stato proseguito con
sedute emodialitiche trisettimanali.
Nella storia clinica del paziente si segnalano una prima infezione dell’exit-site in data 16.03.2006;
nonostante la terapia antibiotica sistemica e loco-regionale mirata (dopo antibiogramma), tale
infezione, sostenuta da Stafilococco aureo, ha portato ad un primo episodio di peritonite in data
26.04.2006 con recidive in data 08.07.2006 ed in data 23.08.2006. Questi eventi ci hanno indotto
nel Settembre 2006 alla rimozione del catetere con reimpianto di un nuovo catetere peritoneale e
formazione di un nuovo tunnel sottocutaneo nella stessa seduta operatoria.
Inoltre, da Dicembre 2006 abbiamo documentato un deficit dell’ultrafiltrazione progressivo da 250
ml a 100 ml accompagnato da una corrispondente riduzione del Kt/V e della Clearance della
creatinina, nonostante una diuresi pressoché stabile tra valori di 1500-2000 ml al dì, ed una
permeabilità peritoneale di classe medio-alta valutata con l’esame PET (Peritoneal Equilibration
Test).
Ad Aprile 2007, in seguito alla comparsa di dolore addominale con chiusura dell’alvo a feci e gas, il
paziente è stato ricoverato, in urgenza, per essere sottoposto ad intervento chirurgico di enterolisi,
previa esecuzione di indagine TC con e senza m.d.c. che documentava come: “l’intero digiuno e
parte delle anse dell’ileo si presentano a pareti ispessite”, senza evidenza di calcificazioni; durante
l’intervento non si sono verificate lesioni accidentali del tenue, e non si è reso necessario
procedere con resezioni ed anastomosi intestinali. Inoltre, il paziente non presentava ascite
ematica al momento della comparsa della sintomatologia occlusiva.
Dopo l’intervento veniva iniziato un trattamento di nutrizione parenterale totale fino alla ripresa
della canalizzazione dell’alvo.
Ad Aprile 2007 veniva sospeso il trattamento peritoneo-dialitico ed iniziate sedute di emodialisi
trisettimanale; il paziente veniva dimesso con una terapia antinfiammatoria con Deltacortene 5 mg
1cp/die. La regressione clinica della sintomatologia occlusiva con la completa ricanalizzazione
dell’alvo non hanno potuto trovare un riscontro radiologico poiché, prima di poter effettuare una TC
di controllo, il paziente è deceduto per ictus emorragico.
Conclusioni: In letteratura non c’è accordo sulla terapia di scelta dei pazienti con EPS, ma si ritiene
che la nutrizione parenterale totale, i corticosteroidi e la chirurgia (enterolisi) siano i capisaldi del
trattamento. Si consiglia inoltre di interrompere il trattamento peritoneo-dialitico e di trasferire il
paziente in emodialisi. Nuovi approcci terapeutici includono il trattamento con il Tamoxifene alla
dose di 10-20 mg/die per il suo effetto anti-fibrotico.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
QUALITÀ DI VITA: ALTERAZIONI COGNITIVE COMPORTAMENTALI E FUNZIONALI IN DP,
HD E IRC
* A. Tralongo, **S. Nicosia, ***B. Pisano, *G. Li Cavoli, *O. Schillaci, *A. Ferrantelli, *U. Rotolo
*U.O. C. di Nefrologia Dialisi ARNAS Civico Palermo
** Neuropsicologo Ricercatore Interdipartimentale
*** Psicologa Spec. Bioetica e Sessuologia
Studi recenti suggeriscono che l’alessitimia (disturbo nel riconsocimento e/o espressione delle
emozioni) potrebbe essere un sintomo costante nei Pazienti (Pz) con insufficienza renale cronica
(IRC), correlato a disturbi d’ansia e depressione. Altri studi hanno evidenzato una significativa
correlazione tra alessitimia e disturbi neuropsicologici a carico delle funzioni frontali.
Scopo dello studio, durato 2 anni, è stato di valutare in maniera pluridisciplinare in Pz con IRC, gli
indicatori di Qualità di Vita, al fine di approfondire la relazione esistente tra la malattia e l’indicatore
scelto.
Ci siamo avvalsi dell’SF-36, del Mini-Mental State (MMSE) per le alterazioni delle funzioni
cognitive, delle scale di autovalutazione per gli aspetti comportamentali (TAS-20, Zung, Beck). I
dati ottenuti sono stati correlati con alcuni parametri clinici e nutrizionali.
Allo studio hanno partecipato 107 Pz, sottoposti preliminarmente a MMSE. Di questi sono risultati
idonei per lo studio 82 Pazienti: 46 in emodialisi (HD), 29 in Dialisi Peritoneale (DP) e 7 con IRC in
terapia conservativa. Tutti i Pz al momento dello studio erano in condizioni cliniche stabili. A un
gruppo di controllo sano omogeneo per età, sesso e scolarità abbiamo somministrato unicamente
le scale di valutazione psicopatologica ed il MMSE.
Dalla TAS-20: 63 Paz., sono risultati alessitimici, 13 border-line e 6 non alessitimici.
Risultati alla TAS-20
70
60
50
40
30
20
10
0
Alessitimici
Borderline
Non-alessitmici
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
Ansia
Depressione
Alessitimia
Abbiamo ottenuto nei Pz studiati una significativa correlazione tra Ansia (54%), Depressione
(51%), Alessitimia (77%);
I risultati ottenuti all’SF-36 mostrano punteggi medi per ciascuna scala tutti al di sotto del valore
medio DOXA (1995), sia nelle scale che valutano la funzione fisica sia in quelle che valutano la
salute mentale.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
SALUTE FISICA
AF 49,16±34,40
RF 22,67±36,92
DF 40,47±32,62
SG 28,88±22,57
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
SALUTE MENTALE
VT 35,53±26,88
AS 48,01±31,83
RSE 34,00±43,85
SM 46,48±22,82
Tab 1: Punteggi medi ottenuti all’SF-36 dal gruppo dei Pz
SALUTE FISICA
AF 84,48±23,18
RF 78,21±35,92
SALUTE MENTALE
VT 61,89±20,69
AS 77,43±23,34
DF 73,67±27,65
SG 65,22±22,18
RSE 76,16±37,25
SM 66,59±20,89
Tab 2: Punteggi medi ottenuti all’SF-36 dalla popolazione normativa italiana
Età anni
Età dialitica mesi
Hb
Glicemia
Alb.
PCR
CrCL/W
Kt/V
Ferritina
Ferro
Diuresi residua
59,66
21,59
11,6
97,85
3,5
0,53
72,47
2,3
220
67,47
1225
PD
60,5
116
10,97
95
3,2
0,67
1,6
207,75
52
0
HD
61,2
----------11,7
87,1
3,7
0,41
VFG 19,78
---------236,6
89
1945
IRC
Tab 3: Valori medi clinici e nutrizionali
L’alessitimia è veramente un sintomo dovuto alla stato uremico che ben si è correlato con i disturbi
psicopatologici come l’ansia e la depressione ed in maniera significativa con i deficit neurocognitivi.
Indipendentemente dalla patologia di base, le peggiori performances rilevate nel gruppo HD
rispetto a quello in DP e, più rispetto ai Pz IRC, è in buona parte da ascrivere alla maggiore età
dialitica media. E’ importante notare come i DP spesso mantengano una certa funzione renale
residua.
Non è stato però riscontrato un migliore stato di nutrizione nei DP.
LA NEFRECTOMIA LAPAROSCOPICA PER VIA RETROPERITONEALE DEL RENE
POLICISTICO
R. Marcon, G. Pastori, M. De Luca
U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, Azienda U.L.S.S. 8 Regione Veneto, Presidio Ospedaliero di
Castelfranco Veneto
Introduzione: La malattia policistica renale rappresenta una controindicazione relativa alla dialisi
peritoneale per l’importante ingombro addominale che determina. Anche l’eventuale trapianto di
rene è reso difficoltoso dalla presenza di questo ingombro. L'intervento di nefrectomia, spesso
indicato nei pz che soffrono di questa patologia, viene di regola eseguito per via laparotomica.
Scopo: lo scopo con questa tecnica, è quello di evitare sospensione momentanea (talora della
durata di qualche mese) dalla Dialisi Peritoneale e la conseguente conversione (temporanea e a
volte definitiva) all'emodialisi.
Materiali e metodi: un certo numero di pazienti afferenti al nostro Centro sono stati sottoposti a
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
nefrectomia mono-laterale per via laparoscopica ed accesso retro-peritoneale allo scopo di evitare
(essendo il rene un organo retro-peritoneale) lesioni intra-peritoneali e rischi di aderenze
endoaddominali tali da comprometterne la tecnica
Risultati: Con la tecnica laparoscopica retroperitoneale, nel nostro centro sono state effettuate 5
nefrectomie monolaterali
3 Nefrectomie sono state effettuate in pazienti già in dialisi peritoneale ed hanno comportato la
sospensione dalla Dialisi peritoneale per soli 2 giorni senza quindi la necessità di ricorrere ad
accessi vascolari provvisori per il passaggio momentaneo in emodialisi.
La quarta nefrectomia è stata effettuata su un paziente uremico in terapia conservativa e, nel corso
dell’intervento si è provveduto anche al posizionamento del catetere peritoneale per l'inizio della
terapia depurativa e dell'usuale addestramento.
L ‘ultima esperienza con questa tecnica è stata fatta su un paziente, molto giovane, in fase
uremica, per la necessità di essere sottoposto a nefrectomia in vista di un trapianto pre-emptive.
La scelta della tecnica laparoscopica è stata attuata anche in previsione di un possibile rigetto
cronico e della necessità, trattandosi di soggetto giovane, di preservargli la possibilità delle due
opzioni (emodialisi o dialisi peritoneale)
Conclusioni: La nefrectomia laparoscopica del rene policistico per via retroperitoneale, è a nostro
avviso la tecnica più indicata per i pazienti con reni policistici che devono essere nefrectomizzati e
che sono in dialisi peritoneale o idonei ad entrambe le tecniche depurative in quanto, non
essendovi lesioni del peritoneo, vengono ridotti ( se non annullati) i rischi di creare aderenze
addominali tali da comprometterne la metodica con sospensioni provvisorie o definitive. E non
sono da trascurare le esigenze del paziente, nel rispetto della tecnica scelta, che si trova ad avere
tempi di ripresa post-chirurgica più brevi ed evita il posizionamento di CVC e/ allestimento FAV per
HD.
ATTIVITÀ DI GRUPPO DI LAVORO: UN MODELLO ASSISTENZIALE “DI PRESA IN CARICO”
DEL MALATO CRONICO IN DIALISI PERITONEALE
E. Silvaggi*, A. R. Rocca, C. Esposto, A. Filippini.
*U.O.R.G. Psicologia Ospedale San Giacomo, Roma
Centro di Riferimento di Nefrologia e Dialisi, Ospedale S. Giacomo in Augusta, Roma
Introduzione: l’insufficienza renale cronica terminale e la conseguente terapia dialitica determina
profonde modificazioni delle abitudini e dei ritmi quotidiani, un notevole condizionamento del piano
lavorativo e dei rapporti relazionali del paziente. Le limitazioni e le rinunce che la malattia cronica
comporta, possono determinare uno stato di profonda angoscia, un senso di impotenza, di
solitudine e “diversità” facendo precipitare il paziente in uno stato di ansia e depressione. Le
caratteristiche fisiche massicce e il profondo disequilibrio a cui il corpo è sottoposto, mettono in
evidenza il rapporto mente-corpo in cui Psicologia e Medicina si dibattono da tempo. In questo
contesto diventa prioritaria la stretta collaborazione tra Psicologia (mente, psichismo) e Medicina
(corpo).
Scopo dello studio: Integrare nella professione di cura la trama dei vissuti che vengono messi in
gioco nel momento in cui ci si “prende cura delle persone”
9 storia personale della malattia: bisogni e disagi prevalenti
9 significato e livello di emotività attribuito alla malattia
9 qualità di vita ed impatto della malattia sui familiari
Fornire l’opportunità ai pazienti, attraverso il lavoro di gruppo, di esprimere le emozioni in risposta
allo stato di malattia riducendo la tensione, l’ansia o la frustrazione. Riconoscere e sostenere i
sintomi quali ansia, depressione, tratti di personalità, modalità di comportamento e di difesa, al fine
di prevenire l’insorgenza di disturbi del comportamento, della compliance e di disturbi funzionali;
migliorare l’adattamento psico-sociale alla malattia e ottimizzare le modalità di reazione.
Pazienti e metodi: Il gruppo terapeutico ha una frequenza mensile con una durata di due ore per
ogni incontro. L’attività del gruppo è illimitata nel tempo, aperta a nuove adesioni parallelamente
alle uscite. Il gruppo è condotto da un medico del reparto di Nefrologia e da uno psicologo.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Risultati: Il paziente nel gruppo può trovare un contenitore sufficientemente “robusto”che gli
permetta di contenere le proprie angosce e riconoscere il proprio stato di malattia, consentendo di
elaborare (attraverso il rapporto con i membri del gruppo e il terapeuta) difese più adattive e
funzionali. Questo modello di intervento terapeutico non sostiene una magica aspettativa di cura
volta a far scomparire ansia ,angoscia, rabbia e depressione in persone affette da questo tipo di
malattia ,ma va a costruire nel tempo una trama difensiva più adattiva e conforme alla realtà
accettazione dello stato di malattia e comprensione delle misure terapeutiche idonee, con effetti:
9 sul grado di consapevolezza
9 sullo stato di salute a lungo termine sia fisico che psicologico
9 sulle relazioni con i familiari
9 sulla compliance
9 sulla qualità della vita.
POSTER
Predialisi e Scelta Dialitica
INDICAZIONE LIMITE ALLA DIALISI PERITONEALE (DP) IN PAZIENTE AFFETTO DA
INSUFFICIENZA RENALE CRONICA (IRC)
S. Cantelli, F. Malacarne, A. Storari, G. Russo, S. Soffritti F. Fabbian, A. Bortot, L. Catizone
U.O.C. Nefrologia Azienda Ospedaliera/Universitaria di Ferrara S. Anna – Ferrara
La scelta della tecnica dialitica migliore è spesso complessa, e non deve prescindere dalla
considerazione della volontà del paziente.
Riferiamo il caso di un uomo di 61 anni, affetto da gotta, e con riscontro di IRC da nefrite
interstiziale cronica nel 1970.
1977: avvio della dialisi extracorporea domiciliare, tramite FAV distale sinistra.
1980: primo trapianto renale. Dopo tre mesi rigetto vascolare dell’organo che viene espiantato.
Riavvio dell’emodialisi.
1990: secondo trapianto renale con espianto dopo 6 mesi per rigetto cronico. Riprende l’emodialisi.
1998: terzo trapianto renale. Nel post-operatorio si ha necrosi tubulare acuta e rigetto interstiziale e
vascolare: compare anuria con ripresa della diuresi solo in 30° giornata. Nel frattempo viene
ristrutturata la FAV all’avambraccio sinistro con posizionamento di innesto in PTFE. Non è stato
possibile confezionare un accesso vascolare al braccio destro per il netto rifiuto del paziente
destrimane ad intervenire su tale arto, in quanto affetto da sindrome del tunnel carpale bilaterale
estremamente severa, con dita delle mani in atteggiamento flessorio obbligato.
2000: artrite acuta dell’articolazione della spalla destra, con liquido sinoviale positivo per il bacillo
tubercolare. Compaiono in seguito anche addensamenti polmonari, con broncolavaggio positivo
per bacillo tubercolare, raccolte ascessuali multiple ai muscoli ileopsoas bilateralmente, drenate
sotto guida TC per via inguinale, e lesioni vertebrali tubercolotiche.
2001: viene espiantato anche il terzo rene per glomerulopatia da trapianto.
2003: trombosi della FAV protesica retta all’avambraccio sinistro.
2004: recidiva trombotica con voluminoso pseudoaneurisma: si posiziona una nuova protesi retta.
Questa si trombizza di nuovo con rottura in due punti nel tratto centrale.
Come procedere? Il netto rifiuto all’utilizzo del braccio destro per la creazione di un nuovo accesso
vascolare per emodialisi, la difficoltà alla realizzazione di nuovi accessi protesici al braccio sinistro,
la tendenza all’ipotensione, la polivasculopatia, la tendenza alla ipercoagulabilità, si opponevano al
proseguimento della emodialisi.
L’uso della dialisi peritoneale poteva essere una scelta azzardata, in un soggetto sottoposto a
diversi interventi chirurgici sull’addome e già affetto da tubercolosi.
Nonostante queste considerazioni, d’accordo con il paziente dettagliatamente informato, si è scelta
la dialisi peritoneale, ritenendo preferibile non utilizzare un catetere venoso centrale in questa fase
per utilizzarlo eventualmente nel caso di esaurimento delle proprietà di filtrazione del peritoneo.
2006: posizionato catetere di Tenckhoff ed avviato il programma dialitico peritoneale, con una
NTDP [nocturnal Tidal (60%) peritoneal dialysis]. Attualmente il paziente continua ad eseguire la
NTDP e le sue condizioni cliniche sono discrete. Il kt/V è 1.72, con dialisi quotidiana in paziente
anurico. Il BMI è 24.
Noi suggeriamo che la modalità di trattamento dialitico peritoneale può essere tentata anche in
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
caso di ripetuti interventi chirurgici addominali e storia di infezione tubercolare.
SCELTA DIALITICA NELL’AMBULATORIO DEL PREDIALISI: FOLLOW-UP DI 4 ANNI
A. Caselli, M. Antonelli, M. Ragaiolo
Asur Marche ZT 13, Ospedale “C. e G.Mazzoni”, Ascoli Piceno
Introduzione: Il compito dell’ambulatorio predialisi è quello di indirizzare il paziente (pz) nefropatico
nelle migliori condizioni cliniche verso il trattamento dialitico più idoneo anche alle sue attività
sociali, lavorative e relazionali, migliorando la sopravvivenza soprattutto nei primi mesi del
trattamento dialitico e la qualità di vita. In tale ambulatorio viene svolta la funzione di “educazione
terapeutica del pz” con lo sviluppo della capacità di gestire autonomamente la cura della propria
malattia cronica.
Scopo del lavoro: Abbiamo voluto valutare l’impatto avuto dell’ambulatorio predialisi sulla scelta
dialitica e sull’aspetto psicologico relativo all’inizio del trattamento sostitutivo.
Ci siamo chiesti se l’istituzione di tale ambulatorio ha determinato un incremento dei pz in dialisi
peritoneale e se è modificato l’approccio alla dialisi.
Materiali e metodi: L’ambulatorio predialisi ha assunto veste autonoma nella Nostra Unità
Operativa dal giugno 2003 e dal data-base, è stato possibile effettuare una valutazione della
popolazione affetta da IRC seguita da questo ambulatorio. Nel data-base sono stati raccolti oltre
che i dati anagrafici ed anamnestici, gli esami ematochimici relativi a ciascun controllo e la terapia
medica anche gli aspetti psicosociali che potevano condizionare la scelta dialitica.
Questi aspetti oltre che indagati dal nefrologo venivano ancor piu’ sviluppati dall’assistente sociale
e dallo psicologo.
Risultati: Tanto piu’ è lungo il periodo di presa in cura del pz in ambulatorio predialisi tanto
maggiore diventa la capacità di gestire la propria malattia. La conseguenza è la scelta dialitica da
parte del pz della dialisi peritoneale in cui esso è attore della sua cura o in possesso di un partner
affidabile che gli permette il trattamento domiciliare con la deospedalizzazione ed una vita
pressoché normale.
La scelta dell’emodialisi come primo trattamento, al di fuori dai pz in cui tale scelta era
controindicata, si è avuta principalmente in questa tipologia di pz:
9 non autosufficiente sprovvisto di partner (in tale contesto pesano anche le condizioni
economiche in relazione alla possibilità di acquisire il partner)
9 autosufficienti con età inferiore agli 80 aa in cui il carico della propria gestione è un peso di
cui liberarsi
9 autosufficiente con carichi di gestione familiare tali da rappresentare la emodialisi un
sollevamento di impegni almeno relativi a se stessi
9 autosufficienti di giovane età in cui la scelta dell’emodialisi è stata effettuata per sollevare
se stessi e la famiglia dalla problematica dialitica
9 con età superiore agli 80 aa in cui il trattamento dialitico è stato rifiutato sia dallo stesso pz
che dai familiari ed in cui l’emodialisi è stata conseguentemente il trattamento di urgenza.
Conclusioni: Risulta evidente che la scelta della dialisi peritoneale è influenzata dal buon
funzionamento dell’ambulatorio predialisi e che tanto più viene dedicata attenzione a questi
pazienti sia nel trattamento medico sia nell’aspetto psicologico tanto più l’inizio tempestivo della
dialisi peritoneale viene vissuto senza trauma ed accettato come il proseguo della propria malattia
con la risoluzione di tutti gli scompensi clinico-metabolici associati allo stato uremico terminale.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
TERAPIA DIALITICA E QUALITÀ DI VITA: INDIVIDUARE LE AREE DI CRITICITÀ PER
ORIENTARE ALLA METODICA PIÙ IDONEA
*G. Caravello, *A. Cerri, *V. Galati, *M. Marini, *T. Sardi, *I. Valenti, **M. G. Betti, **S. Ferretti, **W.
Lunardi, **A. Tavolaro, **C. Del Corso, **A. Capitanini, **I. Petrone, **A. Rossi
* UF Consultoriale ASL 3, Ospedale di Pescia
**SA Nefrologia e Dialisi ASL3, Ospedale di Pescia
Introduzione: La convivenza con una patologia cronica si traduce per i pazienti in una “esperienza
di malattia” che, oltre ad aspetti organici coinvolge anche dimensioni emotive e psicosociali. Lo
scadimento della qualità di vita percepita, la possibile condizione di dipendenza, la difficoltà alla
compliance e la necessità di supporto sociale rappresentano elementi fondamentali di valutazione
nell'impostazione della terapia dialitica cronica.
Scopo: Valutare la qualità di vita percepita, la differenza di impatto della Dialisi Peritoneale (DP) e
dell’Emodialisi (HD) nella popolazione in trattamento presso la nostra S.A. e individuare le aree di
vita maggiormente compromesse nei soggetti indagati.
Materiali e metodi: Sono stati sottoposti all’indagine conoscitiva 56 soggetti (35 maschi - 21
femmine) di età compresa tra 29 e 87 aa; di questi 35 erano in HD e 21 in DP. Come strumento di
indagine ci siamo avvalsi dell’Inventario Pluridimensionale per il paziente in Emodialisi (IPPE
validato da S.Biasoli, 6 dimensioni, 24 affermazioni con risposte su scala a 4 punti).
Risultati: Nel suo complesso il campione totale in analisi presenta un Indice Globale di Disagio
Psicofisico (IGDP) medio di 5,44, andandosi a collocare in area non critica. Dall’analisi dei valori
medi su singola scala non si sono rilevate soglie di criticità, ma il numero dei soggetti che ha
riportato punteggi critici nelle singole dimensioni si aggira intorno al 30% del campione. Dall’analisi
dei risultati dei sottogruppi (fasce di età e tipologia di trattamento) abbiamo rilevato:
Età
< 65 aa
< 65 aa
65-75 aa
65-75 aa
> 75 aa
> 75 aa
Metodica Dialitica
DP
HD
DP
HD
DP
HD
IGDP
3.52
4.33
4.36
7,40
6,19
5,61
Conclusioni: Il livello medio dell’IGDP è per il campione osservato al di sotto della soglia di criticità
(valore soglia IGDP superiore a 6,1); ciò è indicativo per una qualità di vita sufficientemente
buona. Si rileva però un 30% con alti livelli di criticità in 4 dimensioni su 6. L’impatto del ritmo
dialitico sulla quotidianità dei soggetti è strettamente connesso alla tipologia del trattamento e all’
età: in tal senso i valori più bassi sono stati rilevati nei soggetti in DP fino a 65 aa, quelli più critici
nei i soggetti tra i 65 e i 75 aa in DP. L’alta criticità riscontrata nelle dimensioni relative al rapporto
col proprio corpo e alla compromissione delle relazioni familiari dà indicazioni verso percorsi
strutturati di predialisi e di accompagnamento alla scelta terapeutica al fine di ridurre l’impatto della
terapia cronica sulla Q.d.V. del paziente. Inoltre la presa in carico precoce ed integrata dei
nefropatici cronici attraverso programmi specifici può agevolare il processo di rimodellamento
dell’immagine di sé e favorire un miglior adattamento alla terapia dialitica.
PRE-DIALISI E SCELTA DIALITICA. ESPERIENZA DI CASTELFRANCO VENETO
R. Marcon, A. Ferraro, M. De Luca
U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, Azienda U.L.S.S. 8 Regione Veneto, Presidio Ospedaliero di
Castelfranco Veneto
Introduzione: La dialisi modifica radicalmente le abitudini del soggetto e del suo nucleo familiare e
questo comporta difficoltà sul piano relazionale, crisi d'identità, paura del futuro. Questo stato
emotivo è amplificato dalla scarsa conoscenza che il paziente ha della metodica di trattamento .E’
per questo che a Castelfranco Veneto abbiamo istituito, con il pz affetto da Insufficienza Renale
Cronica avanzata ed i suoi familiari, un percorso, di “pre-dialisi”, nel quale il punto “cardine” è da
noi considerato l’accoglienza. Con questo percorso è possibile offrire ai pazienti una serie di
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
soluzioni terapeutiche nel cui ambito si inserisce anche la Dialisi Peritoneale.
Lo scopo: quello di offrire più informazioni possibili sulle metodiche depurative, consentendo a al
pz di scegliere il miglior trattamento dialitico possibile per sé, nei limiti delle problematiche cliniche,
attitudinali e sociali cercando altresì di favorire l’accettazione del trattamento dialitico da parte del
pz e della famiglia Non è da trascurare la possibilità con questo percorso di evitare al pz il
posizionamento di CVC temporanei, e al servizio di pianificare l’inserimento dei nuovi pz in dialisi
con un migliore utilizzo delle risorse.
Nell’organizzazione del nostro ambulatorio di “pre-dialisi” abbiamo individuato“destinatari dell’
attività“, tutti i pz affetti da IRC avanzata, di età inferiore agli 80 aa (Cl. Creat. Residua di 18 ml/
min fino ai 65 aa, Clearance residua di 15 ml/ min oltre i 65 aa).
Materiali e metodi: Le Risorse professionali utilizzate sono: Infermieri, psicologo, educatrice,
caposala e Nefrologo che si avvalgono dell’aiuto di schede di accertamento, raccolte flipcharts,
opuscoli informativi, videocassette, colloqui con altri pz. Il numero di incontri necessari è di 5 con
intervalli medi di circa 45 gg nei quali alla valutazione medica, si affiancano le figure di cui sopra e
colloqui con altri pazienti al fine di scegliere la terapia depurativa più idonea
Risultati: Nell’esperienza di Castelfranco Veneto dal 2001 ad ora (considerando l’istituzione del
servizio di pre-dialisi nella sua nuova costituzione dal 2005), si è visto un importante incremento
nella scelta della Dialisi peritoneale con una percentuale del 46.2% di pz che hanno optato per
questo tipo di terapia depurativa.
Conclusioni: avvicinare sempre più persone alla Dialisi Peritoneale, richiede, per una buona
riuscita, un accurato programma di informazione-valutazione-educazione nel periodo di pre-dialisi
che ci possa consentire di individuare fattori di rischio di carattere clinico, attitudinale, sociale ed
ambientale tali da compromettere la buona riuscita del trattamento.
Appare quindi necessario, per una buona riuscita, fornire spiegazioni esaurienti sulla metodica e
responsabilizzare il pz che diventa il primo controllore del funzionamento del trattamento e del
proprio benessere.
DIALISI PERITONEALE: “ULTIMA SPES”?
O. Schillaci, A. Tralongo, C. Tortorici
U.O.C. Nefrologia e Dialisi, P.O. Civico, Palermo
L’emodialisi e la dialisi peritoneale sono metodiche terapeutiche complementari dell’ insufficienza
renale cronica.
Talvolta la dialisi peritoneale è l’unica ed obbligata metodica per mantenere in vita i pazienti senza
accessi vascolari.
Abbiamo fatto una revisione casistica dei nostri pazienti , dal 1 gennaio 2002 al 31 dicembre 2006,
avviati alla dialisi peritoneale (DP).
In quest’intervallo di tempo, nella nostra U.O., sono stati avviati alla DP n. 110 pazienti (M 49, F
61; età media 59,4 anni) dei quali 102 con opzione di prima scelta e 8 pazienti (M 4, F 4; età media
62 anni) come scelta obbligata per esaurimento di accessi vascolari (“DP rescue”) di cui
4 pazienti con malattia policistica epato-renale e 1 con alterazione congenita del Fattore V.
Tutti i pazienti hanno praticato dialisi peritoneale automatizzata (APD).
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Paz.
Età
anni
Mesi
HD
Comorb.*
partner
DP
mesi
Kt/v
CCL
tot
BMI
Hb
Alb.
PC
R
Peritoniti
GP
46
228
0
si
63
2,0
60,2
23
13.0
3,7
0,38
no
AR
59
84
2
si
3
2,1
57,6
16
11.6
2,5
0.39
no
LP
66
84
2
si
13
1,8
55,6
18
11.8
2,8
0,35
Si : 1
RV
75
13
2
si
1
1,9
53,8
13
9.9
2,5
2,78
no
LA
61
84
2
si
15
1,87
56,8
14
9,6
2,2
3.42
no
PR
66
192
2
no
31
1,.9
7
54,5
19
12.4
3,22
2,41
no
SGM
66
2
1
si
9
2.6
89,8
22
12.1
3,3
3,58
Si: 2
SG
57
36
1
no
4
2,1
50.9
24
10,7
3,8
0.30
no
exitus
† per
peritonite
† per sepsi
da cvc
† per
c.vasc.
† per
panciop.
acuta
* comorbidità; 0 = nessuna patologia; 1 = 1 patologia comorbide; 2 = > di 1 patologia comorbide
4 pazienti (50%) deceduti: 1(LP) per peritonite da candida tropicalis (12,5%) dopo 13 mesi di DP
contratta durante un ricovero in Ortopedia per frattura di femore; 1 (RV) per sepsi da
pseudomonas aeruginosa secondaria ad infezione del CVC permanente precedentemente
impiantato; 1 (LA) per cause cardio-vascolari; 1 (PR) per pancitopenia acuta da methotrexate
(artrite reumatoide).
4 pazienti (50%) hanno continuato il trattamento dialitico peritoneale automatizzato mantenendo
condizioni cliniche stabili e indici di depurazione dialitica ottimale.
Dal nostro studio possiamo concludere che:
1) La DP ha consentito in questa casistica selezionata una sopravvivenza media globale di 17
mesi. I 4 pazienti tuttora in vita hanno invece una sopravvivenza media di 20 mesi.
Chiaramente la pluripatologia è determinante nel peggiorare la prognosi “quoad vitam”.
2) I pazienti provenienti dalla metodica emodialitica, obbligati ad iniziare la dialisi peritoneale
hanno con questa metodica una buona efficienza dialitica e quindi quest’ultima non deve
essere considerata “ultima spes”.
3) La dialisi peritoneale risulterebbe essere il trattamento sostitutivo ideale per i pazienti affetti
da insufficienza renale cronica secondaria a malattia policistica epato-renale ed a tutte le
patologie responsabili dell’esaurimento precoce del patrimonio vascolare .
SCELTA DEL TRATTAMENTO SOSTITUTIVO IN UN PAZIENTE HIV E HCV POSITIVO
M. Biagioli, D. Borracelli, A. Sidoti
Sezione Nefrologia e Dialisi, Ospedale Alta Val d’Elsa, Poggibonsi, Siena
Introduzione: l’ inserimento in un programma di terapia sostitutiva cronica di un paziente giovane
con una attività lavorativa, in proprio, HCV ed HIV positivo richiede scelte con molti risvolti
organizzativi e con un’ importante impatto sulla riabilitazione.
Scopo del lavoro: illustrare i diversi passaggi della scelta del trattamento dialitico e le difficoltà all’
inserimento in lista trapianto.
Materiali e metodi: uomo di 40 anni si presenta in pronto soccorso per astenia marcata, nausea,
vomito e ipertensione mal controllata. Gli esami ematochimici evidenziano insufficienza renale
grave (Cr 5,12 mg/dl), clearance creatinina 8ml/min anemia(Hb 8,8 g/dl), acidosi metabolica.
Ecografia renale: indice cortico - midollare marcatamente ridotto con numerose piccole cisti
bilateralmente.
Dall’anamnesi: positività HIV (nota dal 1988), HCV, EBV e CMV. HIV ed HCV contratti durante l’
assunzione endovenosa di stupefacenti durata circa un anno. In terapia HAART dal 1997. Nel
2001 episodio di tossicità tubulare da cidofovir. 2003 biopsia renale: glomerulosclerosi focale HIV
correlata con note di collapsing glomerulopathy e interessamento interstiziale.
Risultati: non tollera la dieta ipoproteica né la terapia con eritropoietina, tende ad autosospendersi i
farmaci diversi dall’ HAART. Dopo 2 mesi dalla prima visita nefrologica il paziente si orienta per la
dialisi peritoneale soprattutto perché ritiene che gli darà maggiore libertà di movimento e migliore
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
reinserimento nel suo lavoro di imprenditore metalmeccanico, viene perciò posizionato il catetere
peritoneale.
Attualmente esegue Tidal PD 10 litri di Physioneal, PET: alto trasportatore, Cl. Creat./settimanale
110 ml/min, incremento di 6 kg di peso da quando ha iniziato la dialisi (16 mesi), molto apprezzato
dal paziente perché è nettamente migliorato l’ aspetto generale precedentemente tipo “slim
disease”. Permane una scarsa compliance all’ uso dell’ eritropoietina.
Reinserimento completo nel lavoro.
La conta dei linfociti CD4+ stabile da circa un anno tra 150 e 200/mmc, conta copie HIV (branched
DNA)< 50. I CD4 +> di 200 mmc sono un fattore prognostico positivo nelle serie di trapianti in
pazienti HIV positivi (Roland ME 2006, Qiu J 2006, Mazuecos A. 2006). La coinfezione con HCV
implica qualche cautela in più per l’ immissione in lista trapianto per la maggior frequenza di
recidiva di malattia. Sono stati eseguiti gli accertamenti per l’eleggibilità al trapianto renale con
attenzione allo studio delle coinfezioni. Il padre viene sottoposto alla valutazione di potenziale
donatore vivente di rene: non risultano patologie degne di nota
Conclusioni: La scelta del paziente di essere trattato con la dialisi peritoneale non comporta
differenze in termini di mortalità rispetto alla dialisi extracorporea (Ahuja 2003), il livello di
riabilitazione raggiunto è buono.
La conta dei CD4+ è attualmente al di sotto di 200/mmc però con valori stabili, adeguatezza
dialitica e le condizioni cliniche sono davvero soddisfacenti pertanto è auspicabile che il centro
trapianti a cui è stato indirizzato possa inserire il Paziente in attiva.
POSTER
Catetere Peritoneale
INCARCERAMENTO DEL CATETERE PERITONEALE AUTOLOANTE: UNA RARA COMPLICANZA
* S. Galli, *F. Cavatorta, **F. Boraso, ***E. Ramò
* Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi, Ospedale di Imperia, Asl 1 Imperiese
** Struttura Semplice di Radiologia Intervenistica, Ospedale di Imperia, Asl 1 Imperiese
*** Struttura Semplice di Day Surgery, Ospedale di Imperia, Asl 1 Imperiese
Introduzione: L’ostruzione parziale del catetere peritoneale è una complicanza severa, dovuta in
genere al dislocamento della punta. con una incidenza molta bassa con l’uso del catetere
autolocante di Di Paolo.
Scopo del lavoro: Descrizione di casi di malfunzionamento da intrappolamento della punta del
catetere autolocante senza dislocazione
Materiale e metodi: Sono stati posizionati con tecnica semichirurgica (80%), con tecnica chirurgica
(13%) e con tecnica videolapascopia (7%) dal 1999 n. 72 cateteri autolocanti in 78 pazienti (41 F,
37 M) di età media 58 +- 26 di cui 32% diabetici.
Risultati: Abbiamo avuto 5 malfunzionamenti di cui uno da vero dislocamento della punta da
briglia aderenziale e uno da incarceramento in una ernia inguinale e 3 da incarceramento del
catetere dovuto a fimbrie uterine(1 caso) ed omento(2 casi). In 4 casi il catetere è stato
riposizionato e/o liberato in videolaparoscopia ed in 1 caso rimosso con passaggio del paziente
alla emodialisi
Conclusioni: Il catetere autolocante di Di Paolo presenta il vantaggio di dislocarsi con estrema
rarità; ciononostante può essere soggetto a malfunzionamento per l’intrappolamento nel cavo del
Douglas del tip in tungsteno da parte dell’omento o nella donna della tuba uterina.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
LINEZOLID NEL TRATTAMENTO DELL’INFEZIONE DEL TUNNEL/EXIT-SITE IN UN BAMBINO
IN DIALISI PERITONEALE CRONICA
P. Sorino, R. Bellantuono, F. Puteo, T. De Palo
U.O. Nefrologia e dialisi pediatrica, Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII, Az. Osp. Policlinico
Consorziale, Bari
Introduzione: L’infezione dell’exit-site e del tunnel sottocutaneo nel pz in trattamento con dialisi
peritoneale rappresenta una complicanza ad alto rischio di perdita del catetere e di fallimento della
tecnica.
Caso clinico: Gli AA. riportano il caso di un bambino, in trattamento con CAPD dall’età di 9 anni per
insufficienza renale cronica secondaria a sindrome di Joubert, con severa infezione del catetere
peritoneale da stafilococco aureus, insorta a distanza di 5 anni dall’inizio della dialisi e risoltosi
senza rimozione del catetere.
La terapia iniziale è stata teicoplanina e.v.; mupirocina per uso topico associata a cauterizzazione
del tessuto di granulazione con nitrato d’argento. Dopo 15 gg poiché non erano evidenti segni di
miglioramento della lesione, è stata prospettata l’escissione chirurgica del tessuto di granulazione
o la rimozione del catetere; prima di procedere in tal senso, previo consenso informato dei genitori,
è stata avviata terapia con linezolid, un nuovo inibitore delle MAOI, non in uso ancora in età
pediatrica, alla posologia di 10 mg/kg due volte al dì e.v. per i primi 10 gg e poi per os nei
successivi 15 gg, associandolo a fluconazolo.
Risultati: Dopo alcuni gg di terapia si è registrato un netto e progressivo miglioramento della
lesione sino alla scomparsa di ogni segno di flogosi, in assenza di effetti collaterali e senza
rimozione del catetere.
A distanza di 12 mesi il ragazzo è libero da infezioni connesse al catetere peritoneale.
Conclusioni: Il linezolid nella nostra esperienza si è rivelato una valida alternativa medica alla
rimozione del catetere peritoneale.
IL POSIZIONAMENTO DEL CATETERE DI TENCKHOFF CON TRAGITTO INTRAMURARIO
“OBLIQUO” PER PREVENIRNE LA DISLOCAZIONE
P. M. Caviglia, A. Tirotta, V. Berruti, M. G. Nasini, M. Repetto, O. Santoni, C. Schelotto, S. Carozzi
SC Nefrologia, Dialisi, Trapianto, Ospedale San Paolo, ASL2 Savonese
Introduzione: In corso di dialisi peritoneale, non è chiaro quali fattori influenzino l’outcome del
catetere peritoneale stesso(1). Riguardo al rischio di dislocazione, è possibile che il catetere "swan
neck" presenti un certo vantaggio (1, 2) rispetto al Tenckhoff tradizionale.
Scopo del lavoro: Riportiamo l’esperienza del nostro centro circa il posizionamento del Tenckhoff
con tragitto intramurario “obliquo”, per prevenirne la dislocazione.
Materiali e metodi: 23 pazienti da ottobre 2005 ad agosto 2007 sono stati sottoposti ad inserimento
di catetere di Tenckhoff con tragitto intramurario “obliquo”.
I tempi operatori della nostra tecnica chirurgica sono i seguenti:
9 anestesia locale e sistemica (fentanil);
9 incisione su linea alba circa 5 cm al di sotto dell’ombelico, dissezione per piani della
cute, sottocute, fascia e muscoli retti che vengono divaricati manualmente,
9 isolamento del peritoneo, piccola incisione dello stesso ed introduzione del catetere
dirigendolo verso il basso,
9 prova del catetere infondendo 30 ml circa di soluzione fisiologica e controllandone il
flusso di drenaggio,
9 fissaggio del catetere sul peritoneo con borsa di tabacco che ingloba parzialmente la
cuffia in dacron,
9 prima di iniziare la sutura della parete a strati, si posiziona il tratto intramurario del
catetere con direzione obliqua su piano sagittale, diretta in basso,“sdraiato” al di sotto
della fascia dei muscoli retti,
9 la stessa direzione viene mantenuta durante la sutura della cute, del sottocute e nel
confezionamento del tunnel sottocutaneo che inizia dal punto più craniale della ferita
cutanea dirigendo in senso latero – inferiore.
La memoria elastica del catetere tenderà a fargli assumere sempre, nella porzione
intraperitoneale, un direzione verso il basso, anche dopo eventuale dislocazione.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Risultati: Nei 312 mesi di osservazione complessivi (media 13.5, DS 8.7 mesi-paziente),
segnaliamo un solo caso di dislocazione permanente del catetere. In un altro caso, al controllo
radiologico, il catetere risultava in ipocondrio sin e migrava spontaneamente dopo circa una
settimana nello scavo pelvico. Due casi sono stati complicati da ematoma della parete muscolare,
risoltosi spontaneamente. Nel follow-up: dieci casi di peritoniti (1/28,4 mesi-paziente); due infezioni
dell’exit-site che hanno richiesto terapia antibiotica.
Conclusioni:Nella nostra esperienza, il posizionamento di catetere di Tenckhoff con tragitto
intramurario “obliquo” risulta efficace nel prevenire la dislocazione del catetere.
(1) Flanigan M, Gokal R.Perit Dial Int. 2005 Mar-Apr; 25(2):132-9
(2) Gadallah MF et coll, Adv Perit Dial. 2000; 16:47-50.
TECNICA “AD INCASTRO” PER IL SALVATAGGIO CHIRURGICO DEL CATETERE
PERITONEALE INFETTO
P. M. Caviglia, A. Tirotta, R. Del Rio, N. Delfino, S. Giupponi, P. Rustighi, S. Carozzi
SC Nefrologia,Dialisi,Trapianto,Ospedale San Paolo, ASL2 Savonese
Introduzione: In dialisi peritoneale, le infezioni del catetere peritoneale, a partenza dall’exit-site e
dal tunnel sottocutaneo, sono la causa principale di rimozione del catetere stesso (1).
Scopo del lavoro:Descriviamo una tecnica di salvataggio che consiste nella sostituzione parziale di
catetere di Tenckhoff a doppia cuffia, infetto, mediante manicotto di raccordo, salvaguardando la
cuffia interna.
Materiali e metodi: Abbiamo applicato questa tecnica ad un paziente portatore di trapianto cardiaco
al fine di non interrompere la dialisi peritoneale e limitare il disagio di un intervento complesso.
Mediante ecografia, abbiamo escluso che la zona infetta (flemmone) coinvolgesse anche la cuffia
interna e la parte profonda del tunnel sottocutaneo.
L’intervento proprio è descritto dai seguenti tempi operatori:
9 Dopo anestesia locale, piccola incisione della cute e del sottocute al di sopra del punto di
attraversamento della fascia esterna del muscolo retto, cioè al passaggio tra tunnel
sottocutaneo e tratto intramurario;
9 il catetere veniva isolato, clampato e tagliato circa 1 cm al di sopra della fascia, sfilando
dall’exit site la parte esterna,infetta;
9 rimozione di tutti i ferri e della teleria con successiva ricostituzione di campo sterile ed
utilizzo di nuovo set chirurgico (durante queste operazioni il moncone di catetere rimasto e
la pinza venivano disinfettate con soluzione di amuchina al 10%);
9 ricostruzione della parte esterna utilizzando la porzione di un nuovo catetere,
comprendente la cuffia sottocutanea, che veniva unito al catetere originario, utilizzando
come manicotto di raccordo un tratto di circa 2 cm di transfert set, in silicone, all’interno del
quale i due monconi venivano forzati;
9 costituzione e posizionamento in un nuovo tunnel controlaterale al precedente;
9 fissaggio del catetere con punto di sutura sulla cute che veniva rimosso dopo 2 settimane
(tempo stimato necessario perché la nuova cuffia sottocutanea si ancorasse in modo
definitivo).
Risultati:Il paziente veniva dimesso dopo un giorno, senza interruzione del trattamento dialitico,
senza complicanze a tipo disconnessione o leakage, né immediate, né a distanza di un anno. Il
flemmone intorno al vecchio tunnel sottocutaneo guariva dopo 10 giorni di terapia antibiotica,
locale e sistemica.
Conclusioni: Questa tecnica ha il vantaggio di essere veloce, di prevenire le complicanze legate
alla rimozione chirurgica del catetere, di evitare l’interruzione della dialisi peritoneale. Rispetto a
quanto descritto da altri che hanno utilizzato uno stent come raccordo (2), il lume del catetere non
viene ridotto.
1) Wadhwa NK, Reddy GH. Contrib Nephrol. 2007;154:117-24.
2) Wu YM et coll., Perit Dial Int. 1999 Sep-Oct;19(5):451-4
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
POSTER
La Membrana Peritoneale
MIGLIORAMENTO DELL’ULTRAFILTRAZIONE E DELLA PRESSIONE ARTERIOSA
SISTEMICA DOPO INIZIO DI ICODESTRINE, IN DUE PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE
D. Rossi, G. Gentile, G. Campus, C. Giammarioli, V. Mugnari, R. Lisandrelli, C. Belligi, U.
Buoncristiani
SC di Nefrologia e Dialisi, Ospedale “R. Silvestrini”, Perugia
Introduzione: Dopo circa sei anni di dialisi peritoneale, nel 31% dei pazienti, c’è un calo
dell’ultrafiltrazione1, per sclerosi peritoneale dovuta a flogosi del peritoneo, causata da peritoniti2 e
dal contatto con irritanti come il glucosio e i suoi prodotti di degradazione3. Conseguono quindi
stato di iperidratazione e peggioramento dei livelli pressori4 e del metabolismo glucidico5. In questi
pazienti si rende necessario iniziare un trattamento emodialitico sostitutivo1.
Case report: Riportiamo il caso di due pazienti di sesso femminile, in dialisi peritoneale per otto e
sei anni, affette rispettivamente da malattia policistica dell’adulto e da pielonefrite cronica.
Entrambe hanno sviluppato, tre peritoniti da Gram negativi, durante il periodo del trattamento
dialitico.
Dopo cinque e quattro anni rispettivamente di dialisi con buona efficienza (resa media di 500 e 540
cc/die, diuresi media di 900 e 800 cc/die, peso di 55 e 56 Kg, livelli pressori medi di 128/75 mmHg,
senza terapia antipertensiva ed ACE inibitore rispettivamente), si è manifestata una progressiva
perdita della diuresi e calo del volume di scarico giornaliero, aumento del peso e dei livelli pressori
(in entrambi i casi 160/110 mmHg e comparsa di ipertrofia ventricolare sinistra), nonostante
l’incremento della terapia antiipertensiva.
In attesa di costruire una fistola AV, si decide di iniziare uno schema di CAPD con soluzioni a
1,36%, aminoacidi, bicarbonato ed icodestrine. La resa peritoneale migliorò (volumi di scarico medi
di 900 e 1200 cc/die rispettivamente), sul peso corporeo (-16%) e sui livelli pressori (da 160/110
mmHg a 135/80 e 140/80 rispettivamente, con la terapia antiipertensiva sopra riportata).
Discussione: La perdita di ultrafiltrazione della membrana peritoneale è una complicanza della
dialisi peritoneale, la cui prevalenza è stimata tra il 17 ed il 24% dei pazienti1.
Le principali cause sono il numero e la gravità delle peritoniti2 e l’irritazione del peritoneo da
glucosio e suoi prodotti di degradazione3. I segni clinici sono riduzione del volume di ultrafiltrato,
anche usando soluzioni ipertoniche, iperidratazione, ipertensione arteriosa sistemica ed edemi.
Può insorgere un diabete mellito, per l’assorbimento del glucosio del liquido peritoneale5.
Nelle nostre pazienti, per lo stato di iperidratazione eravamo intenzionati ad iniziare il trattamento
emodialitico1, per ottimizzare la rimozione di fluidi.
Con le icodestrine, polimeri del glucosio non assorbibili a livello peritoneale, si ottiene un aumento
del volume di ultrafiltrazione, senza riassorbimento, come confermato da vari studi1,5,6. Non sono
noti gli effetti negativi dell’utilizzazione a lungo termine delle icodestrine, tranne la peritonite
sterile7.
Nelle nostre pazienti abbiamo usato i schemi con icodestrine, come ponte per avere il tempo di
costruire un accesso vascolare ed iniziare l’emodialisi, per l’iperidratazione refrattaria agli schemi
classici.
I risultati a sei mesi di tale trattamento sono stati positivi, avendo ottenuto la disidratazione e il
miglioramento dei livelli pressori in entrambe le pazienti. Per l’evenienza del trapianto di rene, non
abbiamo potuto seguire nel tempo le pazienti per vedere l’andamento del volume di ultrafiltrazione
e dell’ipertrofia ventricolare sinistra.
1) Plum J et al Efficacy and safety of a 7.5% icodextrin peritoneal dialysis solution in patients
treated with automated peritoneal dialysis. Am J Kidney Dis 39(4) 2002: 862-871
2) Krediet RT. Prevention and treatment of peritoneal dialysis membrane failure. Adv Ren
Replace Ther. 5(3); 1998:212-7. Review
3) Zareie M et al. Contribution of lactate buffer, glucose and glucose degradation products to
peritoneal injury in vivo. Nephrol Dial Transplant 18, 2003: 2629-2637
4) Lameire N, Van Biesen W. Importance of blood pressure and volume control in peritoneal
dialysis patients. Perit Dial Int. 21(2); 2001:206-11.
5) Wolfson M et al. A randomized
controlled trial to evaluate the efficacy
37
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
and safety of icodextrin in peritoneal dialysis. Am J Kidney Dis 40 (5), 2002: 1055-1065
6) Glorieux G et al. Specific characteristics of peritoneal leucocyte populations during sterile
peritonitis associated with icodextrin CAPD fluids Nephrol Dial Transplant 18; 2003:1648–
1653
7) Goffin E et al. Icodextrin-associated peritonitis: what conclusions thus far? Nephrol Dial
Transplant 18, 2003: 2482–2485.
POSTER
Aspetti Nutrizionali
LA DIALISI PERITONEALE MONOSCAMBIO-DIE ASSOCIATA ALLA DIETA IPOPROTEICA.
VALUTAZIONE DOPO 6 MESI.
R. dell’Aquila, C. Avanzi, C. Casale, T. Marinelli, C. Montemurno
U.O. di Nefrologia e Dialisi, Osp. “T. Masselli”, San Severo
Introduzione: Il trattamento peritoneale viene iniziato quando la funzione renale residua diventa
insufficiente, nonostante la riduzione del carico metabolico con diete ipoproteiche. Con l’inizio del
trattamento sostitutivo viene sospesa l’eventuale dieta ipoproteica, anzi, come suggerito dalle linee
guida, viene proposta dieta leggermente iperproteica (e, pertanto, necessariamente iperfosforica,
con la consueta prescrizione di chelanti intestinali del fosforo).
L’efficacia, in termini depurativi, del singolo scambio peritoneale è di per sé modesta. Difatti ben
presto occorre incrementare la dose dialitica con più scambi giornalieri o iniziare il trattamento
automatizzato con cycler. Tuttavia la contemporanea assunzione di dieta ipoproteica e
normocalorica associata all’assunzione di chetoanaloghi, riduce il carico metabolico dietetico,
previene la malnutrizione e può rendere sufficiente il monoscambio giornaliero.
Presso la nostra U.O., viene sempre proposto al paziente l’associazione del trattamento
peritoneale all’ assunzione di dieta ipoproteica (0,6 g. proteine per Kg P.C.), normocalorica (30
Kcal per Kg P.C.), integrata con chetoanaloghi (1 cp ogni 10 Kg P.C.)
Materiali e metodi: Abbiamo valutato i parametri clinico-nutrizionali di 6 pazienti dopo 6 mesi
dall’inizio del trattamento peritoneale monoscambio associato alla dieta ipoproteica (Tab. I). 4 di
questi pazienti giungevano al trattamento sostitutivo dopo un periodo di dieta a bassissimo
contenuto proteico (0,3 g proteine/kg P.C.), 1 paziente da una dieta ipoproteica (0,6 g proteine / Kg
P.C.), una paziente, “late referral”, giungeva d’urgenza senza aver eseguito alcuna dieta
ipoproteica.
Dei 6 pazienti considerati 2 hanno eseguito il
trapianto renale (dopo un’ anno e mezzo e
Tab. I – Casistica
dopo due anni dall’inizio del trattamento
n. pazienti
6 (4 M – 2 F)
peritoneale monoscambio), 3 pazienti sono
età (anni)
49,8 ± 5,8
ancora in trattamento sostitutivo monoscambio
2 Tx;
(età media del trattamento 11 mesi), un altro è
Terapia sostitutiva attuale
3 DP m
in trattamento peritoneale continuo dopo aver
1 APD
eseguito trattamento combinato monoscambio
e dieta ipoproteica per circa un anno e mezzo.
Risultati:
Nei sei mesi di intervallo considerato, non si
Tab. II – Risultati
sono riscontrate variazioni significative dei
Creatinina (mg/dl)
7,4 ± 0,6
parametri laboratoristici e nutrizionali (Tab. II).
Azotemia (mg/dl)
127 ± 22,7
E’
stata
riferita
miglioramento
della
Colesterolo Tot (mg/dl)
204 ± 31,2
sintomatologia soggettiva dei pazienti (che
Colesterolo HDL(mg/dl)
53,3 ± 9,7
hanno deciso di continuare la dieta). Di
Trigliceridi (mg/dl)
162 ± 36,6
rilevante si è apprezzato, invece, una stabilità
Albuminemia (gr/L)
3,5 ± 0,1
dei
parametri
laboratoristici
quali
la
PTH (pg /ml)
217 ± 14
colesterolemia totale e HDL e la trigliceridemia,
Potassiemia (mEq/L)
5,9 ± 0,2
parametri che sono raddoppiati nei pazienti a
dieta libera e con più scambi peritoneali al dì.
Conclusioni: Verosimilmente la minor quantità di glucosio che viene assorbito a livello peritoneale
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
con il monoscambio, la ridotta quantità di colesterolo e grassi saturi e il maggior contenuto di fibre
alimentari che la dieta ipoproteica comporta, garantiscono un rischio aterogeno di gran lunga
inferiore (Tab. II).
POSTER
Clinica e Terapia
LA GRAVIDANZA DI DIALISI PERITONEALE: DESCRIZIONE DI UN CASO
G. Dessi, K. Cannas, E. Manca, A. Pani, P. Altieri, E. Loi, G. Cabiddu
Dipartimento Patologia Renale, Azienda Ospedaliera Brotzu, Cagliari
Introduzione: La gravidanza è infrequente nelle donne con insufficienza renale cronica in
trattamento sostitutivo (emodialisi o dialisi peritoneale).
L’incidenza di gravidanze in dialisi peritoneale è ancora più bassa rispetto all’emodialisi.
Scopo del lavoro: Descriviamo il caso di una gravidanza in dialisi peritoneale portata a termine con
esito favorevole sia per la madre che per il feto.
Materiali e metodi: La paziente è una donna di 38 anni alla quale nel 2003 venne riscontrata una
insufficienza renale cronica per la quale non effettuò nessun controllo fino al novembre 2006
quando venne ricoverata presso il nostro reparto con un quadro di insufficienza renale cronica al
V° stadio.
Nel febbraio 2007 fu posizionato un catetere peritoneale nell’ambito di un programma di dialisi
peritoneale e, nell’aprile 2007 iniziò la dialisi peritoneale manuale (CAPD incrementale con due
sacche/die).
Nel maggio 2007 presentò un episodio di infezione peritoneale da gram- (acinetobacter junii). Nel
corso degli accertamenti diagnostici ci fu l’occasionale riscontro di una gravidanza alla 22°
settimana (datazione ecografica).
L’infezione peritoneale rispose rapidamente alla antibiotico terapia e la paziente venne addestrata
alla dialisi peritoneale automatizzata.
Il decorso della gravidanza fu ulteriormente complicato da una importante anemia trattata con
eritropoietina sottocute, da un poliidramnios insorto alla 24° settimana di gravidanza e, nel luglio
2007 da un secondo episodio di infezione peritoneale (da corinebacterium species).
Dopo tale episodio, in considerazione anche della assoluta mancanza di compliance, alla 33°
settimana di gravidanza fu sospesa la dialisi peritoneale.
La paziente partorì, per vie naturali, alla 35° settimana una femmina di 1380 grammi, con Apgar: 78.
Successivamente fu allestita una fistola artero-venosa e la paziente iniziò il trattamento
emodialitico.
Conclusioni: Sebbene il caso della nostra paziente non possa essere considerato “paradigmatico”
(data la assoluta mancanza di compliance), la letteratura ci dimostra che le donne in dialisi
peritoneale possono affrontare una gravidanza.
Tale gravidanza deve essere considerata e gestita come una gravidanza ad alto rischio e richiede
l’intervento di un team multidisciplinare (nefrologico, ostetrico, neonatologico).
Infine, la donna in età fertile in dialisi dovrebbe essere avvisata della possibilità del concepimento e
dovrebbe ricevere un adeguato counseling sia sulle problematiche connesse ad una eventuale
gravidanza sia su una adeguata contraccezione per coloro che non desiderano o le cui condizioni
non consentono di affrontare una gravidanza.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
LEAKAGE IN PAZIENTE SOTTOPOSTO A COLECISTECTOMIA PER VIA LAPAROSCOPICA
* M. Brigante, *S. Baranello, *S. Di Stante, **G. Sallustio
* U.O.C. Nefrologia Dialisi, Ospedale A. Cardarelli, Campobasso
**U.O.C Radiodiagnostica, Università Cattolica Sacro Cuore, Campobasso
Introduzione: Il leakage rappresenta la maggiore complicanza non infettiva della dialisi peritoneale.
La maggior parte dei leakage sono legati ad una cattiva chiusura del peritoneo intorno alla cuffia
del catetere.
Materiali e Metodi: Nel caso clinico descritto la presenza di leakage tardivo (oltre 30giorni dal
posizionamento del catetere) è secondario alla non chiusura del peritoneo dopo rimozione di
drenaggio chirurgico. Il catetere peritoneale era stato posizionato infatti in un tempo unico in corso
di intervento di colecistectomia per via videolaparoscopica, ed al riempimento completo
dell’addome,dopo 30 giorni, con due litri di soluzione dializzante era comparso edema genitale.
Risultati e conclusioni: La peritoneoTC ha consentito di individuare il leakage in posizione
sottoepatica, sede del drenaggio posizionato nel postoperatorio, di poter effettuare intervento di
riparazione chirurgica e di continuare la metodica.
EFFICACIA DEL CARBONATO DI LANTANIO COME CHELANTE DEL FOSFORO SU UN
GRUPPO DI SOGGETTI IN TRATTAMENTO DIALITICO PERITONEALE
A. Amato, B. Oliva, R. Cusimano, F. Caputo
U.O.C. Nefrologia 2 con Dialisi e Trapianto, ARNAS Civico, Palermo
Centro Trapianti “Leonardo Sciascia”
Le alterazioni del metabolismo calcio-fosforo costituiscono una delle caratteristiche più tipiche
dell’insufficienza renale cronica. La ritenzione di fosforo (e dunque l’iperfosforemia) è uno dei
fattori chiave nella fisiopatologia delle alterazioni dell’iperparatiroidismo e risulta essere uno dei
fattori di rischio indipendenti più importanti per calcificazioni e mortalità cardiovascolare.
Numerosi farmaci sono impiegati nella pratica clinica per controllare il bilancio del fosforo
intervenendo sull’assorbimento intestinale. I farmaci “chelanti” del fosforo più utilizzati sono i sali di
calcio (acetato e carbonato di calcio), i sali di alluminio ed il sevelamer.
Il carbonato di lantanio è un chelante del fosforo di recente introduzione che non contiene calcio.
Nel nostro centro sono stati trattati con carbonato di lantanio 30 pazienti in trattamento dialitico
peritoneale da più di tre mesi.
29 soggetti hanno completato 4 settimane di trattamento. Il follow-up medio è stato di 8,3 mesi. La
dose media impiegata è stata di circa 2 g/die, da solo o in associazione con altri chelanti del
fosforo. 5 pazienti hanno sospeso il trattamento dopo un periodo medio di 3,5 mesi: quattro di
questi per disturbi di tipo gastrointestinale (nausea e vomito), una paziente per una reazione
cutanea di incerta causa.
6 pazienti durante il follow-up sono usciti dalla metodica perché deceduti (3), passati all’emodialisi
(2) o trapiantati (1).
PRESCRIZIONE DI DIALISI PERITONEALE IN UNA CASISTICA PEDIATRICA
MULTICENTRICA
E. Verrina, F. Perfumo, A. Edefonti, F. Emma, B. Gianoglio, S. Maringhini, C. Pecoraro, P. Sorino,
G. Zacchello
Registro Italiano di Dialisi Cronica in Età Pediatrica
Introduzione: La dialisi peritoneale (DP) rappresenta la terapia dialitica più frequentemente
utilizzata nel trattamento del paziente pediatrico in insufficienza renale terminale: in Italia nel 2005
il 58% dei pazienti in dialisi cronica di età pediatrica sono stati trattati con la DP, che ha
rappresentato la prima scelta dialitica per il 75% dei nuovi pazienti.
Scopo del lavoro: Analizzare i regimi di DP adottati nel trattamento di pazienti d’età < 18 anni
all’inizio della dialisi cronica nei centri di dialisi pediatrica del nostro Paese .
Materiali e metodi: Sono state valutate 149 prescrizioni dialitiche formulate nel corso del 2005 in 91
pazienti di età compresa tra 0.5 e 17.5 anni trattati in 12 centri italiani di dialisi pediatrica.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Risultati: Un solo paziente era in CAPD (2 prescrizioni); pertanto i dati presentati riguardano 147
prescrizioni di APD formulate in 90 pazienti.
La concentrazione di glucosio della soluzione di dialisi (PDF) usata nell’APD notturna era > 1.36%
nel 27% dei trattamenti e nel 12% dei casi il tampone era rappresentato da bicarbonato o
bicarbonato/lattato.
I diversi regimi prescrittivi erano così costituiti:
9 NIPD (89 Pr; 60.5%): 9.6 r 1.3 (8-13) ore; 13.3 r 5.5 (6-27) cicli/notte ; volume di carico
(DV) = 889 r 232 (465-1400) ml/m2 s.c.;
9 DP tidal (42 Pr; 28.6%): 9.7 r 1.9 (8-18) ore; 16.9 r 5.6 (9-31) cicli/notte; DV = 1008 r 182
(600-1200) ml/m2 s.c.; volume tidal 63.8 r 9.5 (50-85)%; in 9 casi (21.4%) regime
continuo con addome pieno durante il giorno;
9 CCPD (16; 10.9%): 10.3 r 1.6 (8-14) ore; 15.6 r 5.6 (7-27) cicli/notte; DV = 1017 r 162
(600-1280) ml/m2 s.c.; DV della stasi diurna: 62 r 18 (50 - 100) % del DV della seduta
notturna.
La percentuale di pazienti con funzione renale residua era del 63.5 % tra quelli in NIPD, del 56%
tra quelli in DP tidal e del 6.2% tra quelli in CCPD.
Complessivamente un regime continuo di APD, cioè con un DV della stasi diurna > 50% del DV
notturno, è stato utilizzato nel 17% dei casi (25 Pr); inoltre in un altro 37% di trattamenti veniva
lasciato in addome durante il giorno un DV sufficiente ad iniziare la seduta di PD notturna con una
fase di scarico che consenta il flush delle linee. Il tipo di soluzione impiegata nella stasi diurna dei
regimi continui era a base di glucosio 1.36% in 13 casi (52%) e di icodestrina 7.5% in 12 casi
(48%); la percentuale di casi in cui venivano utilizzate soluzioni ipertoniche di glucosio nella seduta
di APD notturna era pari al 67% nei pazienti in glucosio e al 50% in quelli in icodestrina.
Conclusioni: L’APD si conferma anche in questa casistica la modalità di DP largamente preferita
per il trattamento dei pazienti pediatrici, non solo in quanto le sedute notturne consentono una
migliore riabilitazione sociale del paziente e del suo gruppo famigliare, ma anche perché l’ampia
gamma di opzioni prescrittive contribuiscono a personalizzare il trattamento dialitico in base alle
diverse necessità cliniche e metaboliche di una popolazione di pazienti che presenta ampie
differenze di età e dimensioni corporee.
Dal punto di vista tecnico i dati di questa casistica multicentrica forniscono alcuni spunti di
discussione: 1) impiego della CCPD pressoché esclusivamente nei pazienti senza funzione renale
residua; 2) utilizzo ancora relativamente limitato delle soluzioni con tampone bicarbonato; 3) uso
della soluzione con icodestrina in non più del 50% dei pazienti cui veniva prescritta una stasi
diurna.
LA DIALISI PERITONEALE NEI PAZIENTI ANZIANI: ESPERIENZA DI UN CENTRO
E. Manca, K. Cannas, G. Dessi, P. Altieri, G. Cabiddu
Dipartimento Patologia Renale, Azienda Ospedaliera Brotzu, Cagliari
Introduzione: Negli ultimi 20 anni si è assistito ad un aumento dell’incidenza dei pazienti
ultrasettantenni affetti da insufficienza renale cronica terminale richiedenti il trattamento dialitico
sostitutivo. Nelle persone anziane la scelta delle modalità dialitica deve prendere attentamente in
considerazione non solo le condizioni mediche ma anche i fattori psicosociali. Oggigiorno sempre
più frequentemente la dialisi peritoneale sta rappresentando una valida alternativa all’emodialisi
per il management del paziente anziano richiedente terapia dialitica sostitutiva . Sebbene il ruolo
della dialisi peritoneale negli anziani sia stato confermato,questa modalità è ancora sottovalutata e
poco utilizzata; in parte forse perché il paziente “old-old” (>80 anni) ha più difficoltà ad eseguirsi la
dialisi da solo, contrariamente al paziente “young-old”.
Nonostante il numero dei pazienti “old-old” in dialisi peritoneale sia in continuo aumento, si sa
ancora poco sull’esito, sulla qualità di vita e sulle complicanze di questa metodica in tale categoria
di pazienti.
Scopo del lavoro: Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare retrospettivamente, i risultati
ottenuti da questo trattamento sostitutivo sulla popolazione “old-old”(>80 anni), esaminando
soprattutto certi aspetti: qualità di vita, sopravvivenza, complicanze, cause di drop-out e
adeguatezza dialitica.
Materiali e metodi: Abbiamo esaminato retrospettivamente, da Giugno 1998 a Dicembre 2006, i
risultati del trattamento dialitico peritoneale in 13 pazienti “old old” seguiti presso il nostro centro.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
Tre pazienti erano di sesso femminile e nove di sesso maschile. Nove pazienti effettuavano Dialisi
Peritoneale Automatizzata (APD) e 4 la Dialisi Peritoneale Manuale (CAPD).
I pazienti venivano valutati ambulatorialmente, salvo necessità, una volta al mese.
Abbiamo valutato: parametri clinici (peso, pressione arteriosa, idratazione); parametri ematochimici
(assetto lipidico, assetto marziale, emocromo, PTH, adeguatezza dialitica, equilibrio elettrolitico ed
acido-base); incidenza e tipo di infezioni peritoneali e infezioni dell’exite-site e le cause di drop-out
dalla metodica dialitica.
Risultati: I pazienti hanno effettuato la metodica in media per 43 mesi. Nei casi verificatesi di dropout la causa è stata per tutti l’exitus del paziente e non motivi legati alla metodica. L’incidenza delle
peritoniti e dei ricoveri non è stata più alta rispetto al resto della popolazione dialitica.
I principali parametri ematochimici esaminati sono rimasti più o meno invariati tra l’inizio e la fine
dell’osservazione e non si sono riscontrati casi di malnutrizione.
Conclusioni: Da tale analisi retrospettiva emerge che la dialisi peritoneale rappresenta una valida e
sicura alternativa all’emodialisi nel trattamento sostitutivo dei pazienti molto anziani
POSTER
Peritoniti
LA PERITONITE IN UN CENTRO DIALISI PERITONEALE DI MEDIE DIMENSIONI. REVIEW DI
SEI ANNI DI CASISTICA.
A. Cioni, E. Montagnani, I. Cavallini, G. Polini, C. Sordini, R. Bigazzi
U.O. Nefrologia, A.S.L. 6, Livorno.
Introduzione: La peritonite è da sempre una delle cause principali di drop-out dal trattamento
dialitico peritoneale ed è anche uno dei motivi per cui la dialisi peritoneale spesso non viene
proposta ai pazienti. Le metodiche dialitiche automatizzate (opinione controversa) ed i continui
aggiornamenti tecnici (specialmente i nuovi sistemi di connessione, ma anche la sempre migliore
biocompatibilità delle soluzioni, i tamponi fisiologici) sono stati proposti anche al fine di ridurre
questa temibile complicanza.
Scopo dello studio: valutazione retrospettiva della casistica al fine di valutare la congruità della
nostra esperienza rispetto a quanto riportato in letteratura; evidenza di punti critici da correggere.
Materiali e metodi: Il nostro centro tratta pazienti uremici cronici con la dialisi peritoneale da oltre
15 anni; nel presente studio si è considerato però un periodo più recente (1/1/2001 - 31/12/2006)
in quanto omogeneo sia per il numero di pazienti trattati (25.1 pazienti prevalenti per anno, da 22 a
29) che per quanto riguarda gli aspetti clinici ed organizzativi. In effetti nel periodo considerato
sono stati trattati 113 pazienti (per un totale di 1744 mesi/paz), tutti con catetere swan-neck doppia
cuffia posizionato da chirurgo esperto; lo staff medico ed infermieristico era dedicato alla DP, si è
eseguito training standardizzato e visite domiciliari inclusive di retraining.
La diagnosi di peritonite veniva posta su criteri clinici, conta cellule nell’ effluente, colorazione di
Gram, esame colturale.
Risultati: si sono globalmente osservati 45 episodi di peritonite correlata alla dialisi peritoneale, pari
ad una incidenza di 1 episodio ogni 38.7 paz/mese (ossia 0.31 episodi/anno).
L’incidenza delle peritoniti da Gram positivi è stata 1 episodio ogni 51.2 paz/mese; quella dei Gram
negativi di 1 episodio ogni 249 paz/mese. Le colture negative sono state 4 , quindi l’ 8.88 %. Due
le peritoniti fungine (Candida). L’outcome è stato il seguente:
Agente
eziologico
Gram Positivi
Gram Negativi
Candida
Polimicrobiche
Episodi di
peritonite
32
5
2
2
Decessi
1
1
0
0
Rimozione
catetere
2
2
2
2
Si è considerata anche la incidenza di peritoniti rispetto alla modalità di trattamento (metodiche
manuali o automatizzate). Nei pazienti trattati con APD si sono registrati 24 episodi di peritonite: 1
episodio ogni 46.8 pazienti/mese; invece in quelli trattati con CAPD gli episodi sono stati 21, quindi
42
XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
1 episodio ogni 29.5 pazienti/mese.
Valutando invece l’utilizzo di sacche contenenti diversi tipi di tampone (lattato versus sacche
contenenti bicarbonato o bicarbonato + lattato) si è riscontrata una incidenza di peritoniti pari a 1
episodio ogni 37.0 paz/mese nei pazienti trattati con lattato contro 1 episodio ogni 43.9 paz/mese
in coloro che erano trattati con soluzioni più biocompatibili.
Quando la DP veniva eseguita da un partner si è osservata una incidenza di peritoniti di 1 episodio
ogni 19.2 paz/mese; nel caso di pazienti autonomi invece la frequenza era di 1 ogni 70.4
paz/mese.
Conclusioni: Nella nostra esperienza, a fronte di una bassa incidenza globale di casi di peritonite,
si evidenzia una prognosi sfavorevole nei casi di infezioni da funghi e da germi Gram negativi.
Inoltre i nostri dati indicano come i pazienti autonomi, quelli trattati con tampone fisiologico e quelli
in trattamento con metodiche automatizzate presentino una minore incidenza di peritoniti rispetto a
quelli trattati con l’ ausilio di partner, con tampone lattato, con metodiche manuali.
LA PERITONITE SCLEROSANTE IN DIALISI PERITONEALE: ESPERIENZA DI UN SINGOLO
CENTRO
V. Vizzardi, G. Mazzola, M. Sandrini, L. Manili, G. Brunori, G. C. Cancarini
Divisione e Cattedra di Nefrologia, Spedali Civili e Università di Brescia
Introduction and aims: la Peritonite Sclerosante (PS) è una rara complicanza della Dialisi
Peritoneale (DP) nella cui patogenesi intervengono probabilmente fattori diversi: la scarsa
compatibilità delle soluzioni dialitiche, l’età dialitica, il numero di peritoniti, l’uso di beta-bloccanti.
In studi su grandi popolazioni la prevalenza della PS varia dallo 0.5 a 0.9 %. Le alterazioni indotte
dalla PS comprendono: infiltrati infiammatori, calcificazioni, rigidità ed ispessimento delle anse
intestinali che progressivamente ne riducono la motilità. I sintomi più frequenti sono: dolore
addominale, nausea, vomito, anoressia, calo ponderale, distensione addominale, masse
addominale palpabili. Nella PS si riconosce spesso la progressiva riduzione della capacità di
ultrafiltrazione.
Methods: Da luglio 1979 a novembre 2007, 758 pazienti sono stati arruolati in DP nel nostro
Centro per un’esposizione complessiva di 2159 anni/paziente. Sono stati diagnosticati 21 casi di
PS, in 14 maschi e 7 femmine, con età media di 51±13 anni (range 20-73), prevalenza di 2,7% ed
incidenza di 1/103 anni/paziente. Nel corso del trattamento peritoneale in questi pazienti sono stati
diagnosticati complessivamente 56 episodi di peritonite (range 0-8) con un’incidenza di peritonite
di 1 episodio ogni 35 mesi/paziente. La durata media della DP all’atto della diagnosi di PS era di
93±63 mesi, range 17-225. In nessun caso il sistema di connessione prevedeva l’utilizzo di
clorexidina o povidone, undici pazienti avevano effettuato terapia con beta-bloccanti. Sedici
pazienti (70%) erano in DP da più di quattro anni.
Results: La diagnosi di PS fu istologica in 9 casi, laparotomica in 2 e clinico-strumentale negli altri
10 casi. Il quadro clinico esordì con sub-occlusione intestinale in 10 pazienti, in un paziente con
emoperitoneo. In un caso la diagnosi fu successiva alla sostituzione del catetere peritoneale per
peritoniti recidivanti. In 8 pazienti la diagnosi fu contemporanea o subito dopo il primo episodio di
peritonite. Dieci pazienti furono trattatti con steroide (due di questi anche con fosfatidilcolina) ed un
paziente solo con fosfatidilcolina. La sopravvivenza a 1, 2 e 3 anni dalla diagnosi di PS era
rispettivamente del 76%, 70% e 43%. Undici pazienti sono deceduti con un’età media al decesso
di 69±7 anni.
Conclusions: Nella nostra osservazione l’insorgenza della SP si è verificata più tardivamente e la
sopravvivenza dei pazienti è risultata migliore rispetto a quella riportata in letteratura, anche se il
dato potrà essere confermato solo da un prolungamento ulteriore dell’osservazione.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
POSTER
Gestione ed Organizzazione
LA DIALISI PERITONEALE IN RESIDENZE PER ANZIANI: ESPERIENZA DECENNALE DI UN
SINGOLO CENTRO
R. Bergia, B. Agostini, I. M. Berto, G. M. Bosticardo, E. Caramello, S. Maroni, V. Morellini, E.
Schillaci, P. Bajardi
S.C. di Nefrologia e Dialisi, Ospedale degli Infermi, ASL 12, Biella
Introduzione: L’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione, una migliore educazione
sanitaria, i continui progressi della medicina, una maggiore conoscenza ed attenzione dei medici di
famiglia hanno portato negli ultimi anni ad una rapida espansione della popolazione dialitica
anziana. La possibilità di utilizzare la dialisi peritoneale (DP) nel trattamento dell’anziano con
uremia terminale è spesso limitata dalla assenza di idoneità attitudinale ad un trattamento
autogestito, associata alla mancanza di un partner disponibile o di un domicilio idoneo. In questi
casi la DP effettuata in una residenza per anziani (RA) può costituire una possibile alternativa al
trattamento sostitutivo mediante emodialisi ospedaliera.
Scopo del lavoro: Riportare la nostra decennale esperienza sull’argomento.
Materiali e metodi: Nel nostro centro dialisi da giugno 1997 a novembre 2007 abbiamo gestito la
DP presso RA in 21 pazienti, 9 di sesso maschile e 12 di sesso femminile, di età compresa fra 63
e 88 anni (età mediana 76 anni). Si trattava di pazienti molto compromessi con un numero elevato
di comorbidità associate (in media: 2.6±1; range 1-5); nessuno era in grado di gestire in modo
autonomo il trattamento dialitico; soltanto 4 erano in grado di soddisfare autonomamente i propri
bisogni di base. Quattro pazienti erano già ospiti di una RA prima dell’inizio del trattamento
sostitutivo; negli altri pazienti l’inserimento in RA si è reso necessario per poter iniziare la DP (10
casi) oppure per poterla proseguire (7 casi). Le RA coinvolte nella gestione della DP sono state
ben 12, distribuite su tutto il territorio della nostra ASL. La conduzione del trattamento è stata
affidata al personale delle RA, dopo un adeguato periodo di addestramento svolto dagli infermieri
del centro; il centro dialisi ha sempre garantito una reperibilità 24h di personale infermieristico
esperto in DP e di un medico nefrologo.
Risultati: In 15 pazienti il trattamento di scelta è stato la DP notturna automatizzata, eseguita di
norma 6 giorni alla settimana; in 6 pazienti la DP ambulatoriale continua con 3 o 4 scambi al
giorno. La durata media del trattamento in RA è stata di 10.2 r 8.6 mesi (range 1-31 mesi) per un
totale di 215 mesi/paziente di trattamento. L’incidenza di complicanze infettive, sia peritoneali sia
dell’exit site del catetere (ESI) è stata simile a quella dei pazienti seguiti a domicilio (peritonite: 1
episodio ogni 30.7 mesi/paziente; ESI: 1 episodio ogni 107 mesi/paziente). La necessità di ricovero
ospedaliero durante la permanenza in RA è stata molto bassa, con un tasso di ospedalizzazione
pari a 10.5 giorni/anno/paziente.
I pazienti attualmente in trattamento sono 3; 15 sono deceduti, 2 sono stati trasferiti fuori Regione
e uno è rientrato al proprio domicilio. In nessun caso la DP ha dovuto essere interrotta, con
successivo trasferimento del paziente all’emodialisi ospedaliera, per motivi clinici o organizzativi; in
un caso è stato necessario il trasferimento del paziente in una seconda RA per sopravvenuta
indisponibilità della prima. Conclusioni La nostra decennale esperienza dimostra che il trattamento
con DP presso le RA è un trattamento fattibile, sicuro, privo di complicanze cliniche rilevanti, con
un tasso di ospedalizzazione contenuto; esso permette la scelta o la prosecuzione della DP anche
in pazienti clinicamente molto compromessi e privi di un idoneo supporto domiciliare. I risultati da
noi conseguiti sono stati molto incoraggianti sia sul piano della qualità delle prestazioni erogate sia
sul piano della collaborazione con altre strutture socio-sanitarie.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
LA DIALISI PERITONEALE: 5 ANNI DI ESPERIENZA
G. E. Russo, B. Castelmani, A. Centi, A. Morgia, B. Coppola, A. Lucchetti, M. Cavallini
Dipartimento Scienze dell’Invecchiamento, U.O. di Nefrologia Geriatrica, Dialisi e Plasmaferesi,
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Introduzione: La dialisi peritoneale è, insieme alla emodialisi (HD) e al trapianto di rene (Tpx), uno
dei trattamenti sostitutivi nei pazienti con insufficienza renale cronica allo stadio terminale. Uno dei
suoi principali vantaggi, rispetto alla HD, è quello di dare una maggiore autonomia ed
indipendenza ai pazienti con conseguente miglioramento della QoL.
Materiale e metodi: Dal gennaio 2002 al Dicembre 2006 abbiamo immesso in un programma di
dialisi peritoneale 18 pz, di cui 14 maschi e 4 femmine, di età compresa tra 34 e 83 anni (madia
69,1r12,1 anni) in stadio di uremia. In totale sono stati posizionati 20 cateteri, in quanto in un pz si
è verificato per due volte un fenomeno di dislocamento entro 7 gg dall0’intervento. Sono stati
posizionati 8 cateteri Tenckhoff dritti e 10 “coiled”, tutti messi dallo stesso chirurgo in regime di Day
Surgery, con tecnica chirurgica convenzionale.
Dei 18 pz messi in regime di dialisi peritoneale, dopo un periodo iniziale di priming in cui tutti i pz
eseguivano la dialisi peritoneale manuale (3 scambi die), 5 pz hanno iniziato la NPD, mentre gli
altri 13 hanno proseguito con la manuale (mantenendo i 3 scambi giornalieri)
Risultati: la sopravvivenza media dei cateteri è stata di 21,3r22,2 mesi (range: 3-60 mesi).
In un caso la dialisi è stata interrotta con rimozione del catetere per lo svilupparsi di una peritonite
micotica resistente alla terapia farmacologia; in altri due casi 2 casi è stata interrotta per decesso
dei pz (per emorragia cerebrale); in altri due casi, infine i pz sono usciti dal programma di DP per
Tpx. Sono stati inoltre osservati 2 episodi di peritonite batterica franca superati senza
conseguenze sull’efficacia della tecnica dialitica.
Delle possibili complicanze chirurgiche legate alla procedura di posizionamento del catetere
(emoperitoneo, peritonite, dislocamento) abbiamo osservato solo in un pz il dislocamento omentale
del catetere con conseguente malfunzionamento dello stesso. Non riuscendo a correggere la
posizione dello stesso per via laparoscopica si è provveduto ad un suo riposizionamento in sede
controlaterale con risultati ottimali.
Conclusioni: Dalla nostra esperienza, seppur limitata nel numero di pz, ma cospicua per le durate
di trattamento, siamo portati a ritenere che tra i fattori fondamentali per il raggiungimento di buoni
livelli di trattamento vi siano una continua assistenza da parte del personale medico ed
infermieristico durante il follow up, con la possibilità di interventi rapidi e mirati, anche grazie ad
un’ottimale coesione con l’equipe chirurgica.
Un corretto percorso terapeutico viene valutato dalla psicologa della nostra equipe attraverso
periodici incontri di gruppo cui partecipa tutto il personale medico ed infermieristico.
A nostro giudizio, può risultare utile, inoltre, sottoporre i pz a brevi periodi di re-training, al fine di
prevenire incongruità durante la somministrazione della terapia dialitica, e di ottimizzare la cura
domiciliare dell’ES.
POSTER
Altro
SOPRAVVIVENZA DEL PAZIENTE IN DIALISI PERITONEALE E NUMERO DEI LINFOCITI
CIRCOLANTI
P. Ancarani, P. Solari
S.C. Nefrologia e Dialisi Ospedale di Sestri Levante (Ge)
In uno studio retrospettivo eseguito presso il nostro Centro (1998-2006) abbiamo valutato
l’influenza di un ridotto numero di linfociti circolanti sulla sopravvivenza del paziente. E’ stata
analizzata una popolazione di 73 pazienti in trattamento dialitico peritoneale domiciliare. Sono stati
esclusi dallo studio i pazienti con trattamento dialitico peritoneale < 6 mesi, i pazienti con patologie
ematoncologiche e immunologiche. Per i pazienti deceduti, trapiantati e passati ad emodialisi
abbiamo considerato come valore dei linfociti circolanti la media della routine di laboratorio negli
ultimi sei mesi prima dell’evento. Per i pazienti sopravissuti e in trattamento peritoneale al
momento della fine del periodo di osservazione, sono stati considerati come valori di linfociti la
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
media negli ultimi sei mesi prima della fine dello studio. L’età media della popolazione studiata era
di 65 +/- 21 anni .
28 pazienti sono deceduti dopo 27,5 +/- 17,2 mesi di trattamento: il 40% per patologie
cardiovascolari, il 28% per deperimento organico e cachessia, il 15% per neoplasie ed il 17% a
seguito di complicanze infettive. 12 pazienti sono stati trapiantati dopo 29,6 +/- 7,8 mesi di dialisi e
17 pazienti sono passati, dopo 24,4 +/- 16,7 mesi, a trattamento emodialitico per problemi logistici
o scarsa depurazione. 16 pazienti sono rimasti in dialisi peritoneale al termine del periodo
analizzato (durata media 24,4 +/- 16,7 mesi).
E’ stato considerato come fattore prognostico negativo un numero di linfociti circolanti < o = a 1000
Pl.
L’analisi statistica è stata eseguita con il test T Student e del chi-quadro (corretto Yates).
La media dei linfociti circolanti nella popolazione sopravissuta (45 pazienti) è stata di 1596,66 +/423,64Pl, mentre nei 28 pazienti deceduti 1171,42 +/- 318 Pl.
14 pazienti dei 28 deceduti presentavano un numero medio di linfociti circolanti di 907 +/- 80Pl.
8 pazienti nel gruppo dei sopravissuti presentavano un numero medio di linfociti di 931 +/- 53Pl.
Il numero medio dei linfociti circolanti si è dimostrato maggiore nella popolazione sopravissuta
rispetto ai pazienti deceduti (p< 0.01).
Un basso numero di linfociti si è dimostrato essere un significativo (p = 0.0079) fattore di rischio
morte (misura dell’associazione OR 4,63) nei pazienti in trattamento dialitico peritoneale. Nel
follow-up del paziente in trattamento dialitico, insieme agli indici di depurazione e nutrizionali, il
numero dei linfociti rappresenta un semplice ed economico marker di morbilità e mortalità dei
pazienti.
PAZIENTI IN DP SOTTOPOSTI A TRAPIANTO DI RENE: GESTIONE DEL TRATTAMENTO
DIALITICO E DEL CATETERE. ESPERIENZA DI UN CENTRO TRAPIANTI DI RENE
R. Mongiovì, V. Agnello, A. Amato, A. Barillà, S. Calabrese, B. Oliva, V. Vinti, F.Caputo, V.
Sparacino
U.O. Nefrologia II con Trapianto, Centro Trapianti di Rene “Leonardo Sciascia”, Ospedale Civico,
Palermo
Non sono numerosi e tanto meno recenti i lavori scientifici volti a studiare il comportamento più
idoneo da seguire nel caso che un paziente in trattamento dialitico peritoneale venga sottoposto a
trapianto di rene: quale sia il trattamento dialitico maggiormente indicato nel caso di ritardata
ripresa funzionale dell’organo trapiantato, quale sia il momento più opportuno per rimuovere il
catetere peritoneale, restano decisioni largamente discrezionali e variabili da centro a centro.
L’uso della dialisi peritoneale in caso di ATN post-trapianto può favorire per vari motivi l’insorgenza
di peritonite: in un soggetto immunodepresso ciò può essere causa di un’aumentata morbilità e
mortalità, anche se il rischio di infezione peritoneale sembra sia confinabile in una cerchia ristretta
di fattori preoperatorii e peri/post-operatori (Bakir 1998).
D’altra parte appaiono evidenti i vantaggi relativi all’utilizzo di una metodica consueta per il
paziente, senza dovere subire l’ incannulamento di un vaso centrale, manovra non scevra di
complicanze infettive e trombotiche.
Nel nostro centro abbiamo sottoposto a trapianto di rene 37 soggetti in trattamento dialitico
peritoneale, 32 hanno ricevuto un rene da un donatore cadavere e 5 da un donatore vivente.
Soltanto un catetere è stato rimosso durante l’intervento chirurgico a causa di un’infezione
dell’orifizio cutaneo sostenuta da Stafilococco aureo meticillino resistente.
In 30 pazienti si è avuta una ripresa precoce della FR del rene trapiantato mentre per 7 pazienti (6
DC - 1 DV) è stato necessario un periodo variabile di trattamento sostitutivo (range di 4-45
trattamenti) che in 2 casi è consistito in dialisi extracorporea ed in 5 in dialisi peritoneale
automatizzata.
La rimozione del catetere peritoneale è avvenuta in tutti i pazienti in un periodo variabile da 2 a 6
mesi dopo il trapianto, compresi i cinque pazienti in cui è stato utilizzato per il trattamento
sostitutivo post-trapianto; un paziente che per fallimento del trapianto secondario a complicanze
chirurgiche è dovuto rientrare in dialisi ha potuto riprendere a utilizzare il suo catetere peritoneale e
la sua abituale metodica pretrapianto.
Soltanto in una paziente abbiamo registrato un episodio di peritonite da Enterobacter cloacae
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
insorto dopo il posizionamento percutaneo di un drenaggio relativo ad una raccolta peri-rene
trapiantato.
Riteniamo pertanto che la mancanza di studi riguardanti la gestione più opportuna del catetere per
dialisi peritoneale ed il trattamento dialitico nei pazienti DP, richieda un impegno da parte di tutti
coloro che, oltre a gestire da più lungo tempo un programma di dialisi peritoneale, hanno la grande
opportunità di seguire direttamente i pazienti trapiantati.
PREVALENZA DELLE ALTERAZIONI DEL METABOLISMO CALCIO-FOSFORO E DELLE
CALCIFICAZIONI CARDIOVASCOLARI IN PAZIENTI IN DIALISI PERITONEALE: ESPERIENZA
DI UN CENTRO
B. Oliva, R. Mongiovì, V. Agnello, A. Amato, A. Barillà, S. Calabrese, V. Vinti, F. Caputo e V.
Sparacino
U.O.C. Nefrologia 2 con Dialisi e Trapianto, ARNAS Civico, Palermo
Nei pazienti in trattamento dialitico le alterazioni del metabolismo minerale sono importanti nel
determinare l’insorgenza di patologie cardiovascolari, che rappresentano la causa principale di
morbilità e mortalità. In Letteratura esistono numerosi lavori e pubblicazioni che riguardano i
soggetti in emodialisi, mentre i dati sui pazienti in trattamento dialitico peritoneale sono scarsi.
A tal scopo è stato disegnato uno studio multicentrico osservazionale denominato ROCK-PD
(Renal Osteodistrophy and Calcifications: Key factors in Periotneal Dialysis), che ha previsto il
coinvolgimento di 38 centri di Dialisi Peritoneale con un totale di 490 pazienti, per la durata di 3
anni, suddivisi in due fasi, una fase A (prevalenza) ed una fase B (osservazione degli eventi)
della durata rispettivamente di 6 e 30 mesi.
Il nostro Centro di Dialisi Peritoneale ha contribuito a questo studio con un numero di 33 pazienti. I
nostri dati mostrano alcune concordanze con i dati conclusivi dello studio ROCK-PD, mentre altri
divergenti. Dei 33 pazienti selezionati, 19 di essi non hanno terminato lo studio a 36 mesi; tra
questi 5 per passaggio in emodialisi e 10 per trapianto di rene. Sono state registrate 4 morti, solo
nella fase A, da ascrivere ad un bias di selezione.
Si sono avute 43 ospedalizzazioni, ma i ricoveri inerenti la patologia cardiovascolare e l’aspetto
metabolico - paratiroideo sono stati soltanto 4.
Questi dati divergono dall’andamento che si è ottenuto con lo studio principale, soprattutto per
quanto riguarda l’evento morte.
Inoltre, lo studio ROCK-PD ha previsto un sottogruppo di pazienti, 84 in totale in 8 centri per la
valutazione dello stato attuale sull’intossicazione da alluminio. Il nostro Centro ha partecipato con
20 pazienti. Anche in questo caso non abbiamo avuto dei risultati del tutto sovrapponibili a quelli
del dato nazionale.
I dati raccolti durante tale studio mostrano che un numero consistente di pazienti non rientra nei
limiti indicati dalle linee guida K/DOQI per il PTH, sebbene abbia un buon controllo di calcio e
fosforo.
Il 50% dei pazienti in DP non presenta calcificazioni cardiovascolari, già all’inizio dello studio: è
stata valutata la progressione delle calcificazioni e la loro relazione con i principali parametri clinici
e biochimici che non mostrano preoccupanti variazioni nel corso dei tre anni in studio. Ciò
consente di affermare che la dialisi peritoneale si mostra essere il trattamento dialitico sostitutivo
che più salvaguarda il distretto arterioso e cardiaco.
INATTESO RISCONTRO DI ERNIA DI ANSA INTESTINALE NEL SITO DI INGRESSO DEL
CATETERE PERITONEALE (CP) IN PAZIENTE IN CAPD SOTTOPOSTO A
COLECISTECTOMIA
*B. Scalzo, *P. Mesiano, *T. Fidelio, *S. Savoldi, **M. Bianco, **R. Schieroni, **F. Poy
*Nefrologia e Dialisi, **Chirurgia, ASL 6, Ospedale Civile di Ciriè, Torino
Introduzione: I pazienti in dialisi peritoneale, soprattutto in CAPD, sono a rischio di ernia
ombelicale, inguinale e leakage pericatetere. L’età, il rene policistico ed il BMI sono fattori di rischio
indipendenti.
Caso clinico: Donna di 51 anni. Familiarità per ipertensione arteriosa; BMI 28. 1998: comparsa di
poliartralgie sieronegative. 1999: ipertensione arteriosa. 2001: neuropatia periferica di origine
esotossica; anemizzazione carenziale; terapia con antiaggregante e steroide; riscontro di IRC.
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XIV Convegno del Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale
Modena, 7 – 9 febbraio 2008
2002: peggioramento dell’IR e proteinuria (5 g/24 ore); diagnosi bioptica di GSFS, trattata con ACE
inibitori e calcio-antagonisti. Gennaio 06: posizionamento di CP (Tenckohoff fast-flow), tecnica
chirurgica. Febbraio 06: avvio CAPD (3 scambi/die). 19/5: peritonite paucisontomatica, coltura
negativa, terapia antibiotica. 18-19/8 comparsa di dolore addominale e stipsi: dialisato limpido;
addome trattabile, dolente, Blumberg negativo, borborigmi presenti; non leucocitosi, PCR 1.4
mg/dl; enzimi epatici, bilirubina, LDH, amilasi di norma. Rx addome: CP in sede paramediana dx,
distensione anse intestinali, piccoli livelli idro-aerei. ETG addome: colecisti distesa, litiasica.
Successiva comparsa di Murphy positivo. Diagnosi: colecistopatia acuta. Regressione
sintomatologica con antibiotico e spasmolitico.
5/9 accesso al Pronto Soccorso per dolore addominale. Quadro sovrapponibile ai precedenti.
Consigliata colecistectomia. 12/9: colecistectomia per via laparoscopica: riscontro di ernia di ansa
intestinale nella sede di ingresso del CP, ridotta mediante trazione con pinza. Successiva riduzione
dell’orifizio di entrata del CP per via parietale. Passaggio ad emodialisi. 27/9 ripresa del
trattamento dialitico peritoneale domiciliare.
Discussione: L’erniazione può essere stata spontanea o la conseguenza di un iniziale
incarceramento di tessuto peri-intestinale dovuto a punto di sutura sul peritoneo parietale durante
la creazione della borsa di tabacco. Verosimile progressiva trazione dell’ansa con erniazione della
stessa in presenza di fattori favorenti (obesità, CAPD). In conclusione: a) vi sono rare segnalazioni
in Letteratura di casi analoghi (3 adulti e 1 bambino), ad esordio però acuto, da prendere in
considerazione nella diagnosi differenziale; b) la coesistenza di litiasi della colecisti ha consentito
in questa paziente di diagnosticare fortuitamente una complicanza che avrebbe avuto
un’evoluzione sfavorevole verso l’ischemia intestinale; C) il caso presentato sottolinea la necessità
di porre particolare attenzione nella sutura del peritoneo per evitare incarceramento di tessuto periintestinale e per creare un orifizio adeguatamente “continente”.
MARCATORI DI STRESS OSSIDATIVO NEI PAZIENTI CON INSUFFICIENZA RENALE:
EFFETTI DEL TRATTATAMENTO DIALITICO
*G. Torti, *G. Castoldi, *L. Perego, *C. Bombardi, *P. Mariani, *F. Prolo, *M. R. Viganò, **L.
Antolini, **M. G. Valsecchi, **A. Stella
* Clinica Nefrologica, Az. Ospedaliera San Gerardo, Università degli Studi di Milano-Bicocca,
Monza
**Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Monza
Introduzione: Lo stress ossidativo è coinvolto nell’ eziopatogenesi di molte malattie, tra cui le
patologie renali, favorendo la progressione dell’ aterosclerosi.
Scopo del lavoro: Valutare la presenza di stress ossidativo nei pazienti con insufficienza renale
afferenti presso il nostro centro.
Materiali e metodi: Sono stati determinati nel plasma tre diversi marcatori di stress ossidativo
specifici per la componente proteica (gruppi –SH, test di Ellman), la componente lipidica (LDL
ossidate) e il DNA (8-OHdG) in 23 pazienti uremici in predialisi, in 23 controlli comparabili come
età senza insufficienza renale, in 19 pazienti nefropatici sottoposti a dialisi peritoneale e in 57
pazienti in emodialisi (bicarbonato dialisi).
Risultati e Conclusioni: Nella nostra popolazione i pazienti uremici in predialisi e i pazienti in dialisi
peritoneale e emodialisi presentavano un aumento significativo di stress ossidativo a carico delle
proteine e del DNA (p<0.05 rispetto ai controlli). Non si osservava invece nessuna modificazione a
carico delle LDL ossidate.
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M
Y
CM
MY
CY CMY
K
S.I.N.
C
Gruppo
di Studio
di Dialisi
Peritoneale
Società Italiana
di Nefrologia
XIV
Convegno del
Gruppo di Studio
di Dialisi Peritoneale
Università degli Studi
di Modena e Reggio Emilia
MODENA 2008
7 - 9 FEBBRAIO
LIBRO DEGLI ABSTRACT