Dall`immagine all`indagine – Galleria fotografica #2 | Chometemporary

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Dall’immagine all’indagine – Galleria
fotografica #2
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Pubblicato il 13 giu, 2011 • 5:44 pm
Francesco Cascino, Contemporary Art Consultant e Cooltural Projects Manager riflette sul presente attraverso le
immagini degli artisti contemporanei. La realtà “reale” del mondo che evolve raccontata, per metafore e dispositivi
formali, attraverso la realtà “virtuosa” della cultura.
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Un artista argentino innamorato e domiciliato in Italia,
che vive a cavallo dei due mondi che si rifugiano l’uno
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nell’altro, da sempre. L’omaggio a Picasso questa volta
non c’entra; l’opera surrealista del grande artista
spagnolo è presa a spunto per denunciare la staticità di
chi ama la storia dell’arte classica o, in questo caso,
moderna e storicizzata. Il quadro è fatto tutto ed
esclusivamente di pajettes, simbolo per eccellenza di
moda e glamour, quindi vuotezza e caducità, status
symbol privo di vera informazione culturale ed educativa.
In sintesi ci sta dicendo: se per mezzo mondo l’arte è
solo quello che capite, allora non capite l’arte. L’arte
segue il tempo, si evolve come si evolvono i mezzi e i
linguaggi espressivi. Come si evolvono le auto, la moda
stessa, il cibo, le case… Restare innamorati a vita di
Picasso è un errore, per estremizzare il concetto, perché
ormai è solo un brand, un marchio, un amore figlio di
compesso di appartenenza al bel mondo. Ma non è più
cultura contemporanea; è storia, insegna come
eravamo, ma non come dovremmo o potremmo essere
oggi per rispondere al passare del tempo e viverlo
pienamente mentre ci siamo.
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L'artista nasce e vive in Sicilia, terra di grandi esoterismi
sacrali, di calma e riflessione, di osservazione
contemplativa della natura e del lento scorrere del
tempo. Lui stesso ha scelto di vivere in Sicilia pur
avendo mercati internazionali che lo amano e lo
presentano nelle migliori gallerie. Perché la fretta è una
cattiva consigliera, e lascia indietro emozioni e valori. Le
sovrapposizioni dei sui molteplici scatti, mai digitali,
frutto di grande perizia e competenza tecnica della
fotografia ai massimi livelli (elemento strategico!), gli
servono per esprimere un concetto fortemente educativo
per chi convive con le sue foto tutti i giorni: le immagini
del nostro mondo mediatico e della nostra quotidianità,
si sovrappongono e non ci lasciano il tempo necessario
per capire, vivere, respirarne l’essenza, coglierne
l’anima. Pericolosissimo. E’ come dover fotografare per
conservare il ricordo, è come non vivere. L’affollamento
di informazioni, visive o uditive, non lascia spazio alla
digestione, all’interiorizzazione, al possesso dell’attimo
fuggente. Le sue foto sono straordinariamente belle
quanto straordinariamente struggenti, nostalgiche,
intelligenti e pungenti. Chi rifiuta di pensare, non avrà
mai la consapevolezza del proprio tempo.
Silenzio, parla la storia. Quest'artista di Boston, docente
di fotografia contemporanea a Yale, ha ristrutturato una
chiesa sconsacrata e ci vive dentro. Poi un giorno vede
Roma, sente il pericolo della decadenza, capisce che gli
italiani amano il loro passato in maniera eccessiva, e
questo li rallenta dalla ricerca del futuro o, almeno, del
presente, e chiede di fotografare i set cinematografici
abbandonati di CineCittà che vedete nell’opera. La
sottile metafora dell’Italia. Sembrano ruderi della Roma
antica, invece sono ruderi di scenografie usate mille
volte per rappresentare la Roma antica nei vecchi film
storici. Ma il silenzio che potete “sentire” nella sua
magnifica foto è voluto, è la prova che la storia ha
smesso di parlarci. O, meglio, ha smesso di parlarci di
noi, parla solo di come eravamo. Il paradosso
rappresentato in forma metaforica è un avvertimento
prezioso: il cinema è finzione, l’architettura è funzione
del pensiero, e il pensiero non può che andare al passo
con i tempi.
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Giovane artista turca, usa la fotografia come mezzo
espressivo ma il suo obiettivo, è il caso di dirlo, è
raccontare le ansie e i desideri delle giovani donne
medio orientali, le loro paure, le aspettative per il futuro
mentre sono ancora gravate del pesante passato.
Donne come le altre, che il mondo dei media qualifica a
seconda della provenienza geografica e religiosa, come
se le persone fossero diverse nella loro essenza.
Naturalmente le persone sono diverse dal punto di vista
culturale, ma la comunicazione le trasforma in donne
dell’est, in donne dell’ovest, in donne “diverse” da chi
guarda la notizia. Questa donna, in particolare, guarda il
mare come il suo nuovo orizzonte, di fronte al quale è
nuda, sola, senza qualifiche, senza aggettivi che ne
cambierebbero la natura di essere umano. Una ricerca
intelligente che ci spinge a riflettere sulle manipolazioni,
volute o involontarie, che la comunicazione di massa ci
restituisce dopo aver filtrato la realtà. Allora il paradosso
dell’arte contemporanea ci informa su un dato
spiazzante: la fotografia di una donna vera, per quanto
sia una foto costruita con un soggetto messo lì per
“recitare” una parte, ci racconta la verità. Una donna è
una donna, e come tutte le donne del mondo, di fronte al
mare, all’infinito, al mistero della vita e della terra, ha le
stesse inquietanti domande. E questo le rende uguali a
tutte le donne del mondo. Uguali a noi stessi.
Importante è sempre sottolineare la provenienza degli
artisti. Perché questo identifica il modo di vedere le
cose; la provenienza ne innerva la cultura e,
conseguentemente, la ricerca artistica ed espressiva. In
questo caso, il fotografo romano, racconta il disincanto,
le promesse non mantenute dagli eroi della nostra
adolescenza, finiti tutti a tavola, come finiscono tutte le
cose romane, dopo anni di battaglie e di slogan, di
dimostrazioni di forza e onnipotenza, di eroismo,
appunto, e di abnegazione. Sono tutti traditori, sono tutti
Giuda, per quanto l'artista non creda affatto alla
leggenda di Giuda; semplicemente lo usa da spunto,
come tutto si usa in arte quando si ha bisogno di
esplorare un concetto. Si ricorre ai luoghi comuni, a
volte per confutarli, a volte per esprimere un concetto e
renderlo comprensibile ai più o solo per avere una base
di partenza concettuale sulla quale costruire l’idea e
l’opera. L’Ultima Cena non è che un’icona presa in
prestito dall’immaginario collettivo e dalla storia che lo
ha originato, per chiedersi che fine ha fatto Batman,
l’unico, l’irripetibile, l’originale. Gli occhi dell’adolescente,
che ci suggerisce di usare mentre ricorre alla Fantasy, ci
aiutano meglio a capire che le icone sono solo illusioni,
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e che la vera forza è nelle idee. E nella difesa etica ed
estetica che se ne fa nella vita reale.
Tags: Art Agenda, cultura
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