Pdf Opera - Penne Matte
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Ventiquattro Dicembre 2016 Valle di Nonsisadove Pura poesia. La neve silenziosa, fiocco a fiocco, scende infinita da un cielo d’argento. Le alte cime imbiancate proteggono la stretta valle dalla confusione del mondo esterno. Uno scrigno dove l’umanità ripone i propri sogni. Il tempo cristallizzato in un eterno inverno non conosce altro che pace e silenzio. Tutto riposa. Al centro una piccola casetta di legno. Onde di luce illuminano le finestre. Il fuoco scalda come un cuore la valle di Nonsisadove. Nessuna mente umana, per quanto dotata, avrebbe potuto creare una tale meravigliosa visione. Solo la Natura, arte in ogni sua espressione, poteva partorire la perfezione estetica ed emotiva di questa luogo. Pura poesia. "M'hanno scassat' o cazz" Renny solleva il muso fermando per un attimo le mascelle. "Ogni anno la stessa storia" Pensa. Mugugna. Poi ricomincia a masticare khat. Dal suo punto d'osservazione riesce a vedere del vecchio solo i piedi pieni di duroni e l'enorme pancia; in cima, come un’equilibrista, lotta per non cadere una bottiglia di Ceres mezza bevuta con dentro, a pelo di birra, una fetta di limone. "Vacca di una renna, ogni anno la stessa storia." Getta sul tavolino alcune lettere dalla scrittura incerta. "Anzi sempre peggio" Con la bocca impastata da chili di taralli al kamut sputacchia parole e briciole. Renny, sempre più assente, cerca di grattarsi via dalle orecchie i farfugliamenti del vecchio fastidiosi come mosche, riuscendo solo a mulinare gli zoccoli a vuoto. Quella buona erba africana che mastica in continuazione le confonde il cervello ma le fa sopportare la noia dei lunghi inverni di Nonsisadove. "Adesso attacca con la storia che non ci sono più i Natali di una volta quando i bambini erano più..." "...sinceri ed umili, si scrofa di una renna, proprio così. Chiedevano piccole cose, si accontentavane la festa era stare in casa con i genitori, godersi il calore della famiglia, non solo avere, avere, avere." "Poi oggi non ci sono..." "Si esatto, asina di una renna, non ci sono neanche più le famiglie di una volta. Due madri, tre padri, amici di mamma praticamente semplici coinquilini delle figlie, nonni a vagonate, zii a non finire, sorelle acquisite, fratelli oggi domani degli sconosciuti, cani gatti e conigli... " Non si capisce più chi sia uno..." "Sì, capra di una renna, chi sia uno per l'altro. E che cazzo." Renny vede sbucare da un lato della pancia di Natale una mano piena di calli e peli bianchi. Ai suoi occhi tossici sembra avere vita propria. La vede aprirsi come la bocca di un drago pronta a ridurla in cenere. In realtà curva subito appena superata l'adipe e si piazza sul pacco. " E sai qual'è la cosa che più mi fa prudere qua sotto, cagna di una renna?" Renny ancora nell'ansia da drago, cerca inutilmente di ricordare quale santo avesse sconfitto una di quelle bestie. Alla fine sputa il Khat ormai succhiato e ne prende altri ciuffi freschi dal sacco di juta. Il primo morso, sempre il migliore. Come se ogni volta si ricominciasse da zero. Già al terzo l'assuefazione rallenta la portata del colpo. Comunque lo sa cosa, in condominio con le pulci, lo fa grattare là sotto. "Che tanto ormai..." "Già, grillo parlante di una renna, che tanto ormai non frega più niente a nessuno." Il vecchio finisce di grattarsi, si annusa, poi liquida d’un fiato la Corona. Con l'aiuto di un argano fantasma riesce a mettersi seduto. La pancia crolla quasi fino a terra. Renny convinta di essere ai piedi di una montagna che frana, schizza in piedi con gli occhi a palla dalla paura. " E tu ricordi, bradipa di una renna, com'è che funziona vero?" Bradipa non risponde. In pieno brainstorming con l'ossigeno su come coordinare inspirazione ed espirazione non ha certo tempo per le seghe mentali del vecchio. "Allora te lo ripasso io, mucillagine di una renna. Meno ci credono e meno noi esistiamo. Meno esistiamo e meno possiamo organizzare il Natale come si deve. Io, il più grande organizzatore di feste della natività ridotto a questo." Con un ampio gesto del braccio, indica, il misero interno della casetta. Un letto a castello, perché Renny non vuole dormire con le altre nella stalla, un armadio con tre costumi rossi e bianchi perfettamente identici, una vasca da bagno per il pesce rosso con ciuffi bianchi del quale il vecchio s'era invaghito, la scrivania per le risposte che non scriverà mai, un orologio a cuccù e il camino dove il fuoco danza indifferente a tutto. "Io che guidavo il carro solare tra i limpidi cieli dell'antichità." Gli occhi si perdono nel tempo che fu. "Tu non eri ancora nata. vitella di una renna..." E meno male..., pensa Renny boccheggiante. "...tu non sai che belli quei tempi, ma io me lo sentivo che con quesi diavoli di cristiani finiva male. Tutta brava gente per carità di Dio, ma mi hanno piazzato nel gelo di Nonsidovecazzosia senza un'anima intorno, costretto a viaggiare di notte con un freddo cane su e giù per sti camini zozzi e io devo pure fare oh oh oh... ma vaffancu..." "Cuccù.. cuccù..." Dall'orologio spunta e sparisce, come la lingua di un serpente, la statua della Madonna Delle Acque Rotte. Renny, ipnotizzata, segue con il collo il dentro-fuori, ad ogni passaggio gli si struttura un pezzo di pensiero... fuori... il... dentro... putto... fuori... è…dentro… quasi... fuori... pronto…dentro... stop. Ma non lo capisce. "Ma almeno all'inizio era una meraviglia. Sei arrivata tu, puledra di una renna, insieme alle altre 11, avevo uno slitta scintillante costruita dal genio artistico degli Elfi, volava che era una favola. Avevamo i migliori giochi che il ghota dei folletti avvessero mai inventato, vivevamo in una reggia che neanche la regina dei ghiacci. Tutti ci credevano, bambini, adulti, era l'evento dell'anno. E ora..." Il tono della voce cala fino a scavare la terra. "E ora, vivo in una topaia, guido un carro da letame spinto da una renna tossica e da altre due che stanno ancora in piedi solo appoggiate una all'altra. I regali me li portano quelli di Arrafazon, fatti da qualche troll extracomunitario sotto pagato, e la gente non vede l'ora che passi anche quest'altro Natale...e che dire della mia prostata?!" Renny non sa che dire della prostata, ma sente che qualcosa frullargli in testa e sembra anche importante. Da una parte all'altra del suo Khatcervello rimbalza l'immagine della Madonna a cuccù e di quello strano messaggio cifrato. Visualizza. Fuori... il... dentro... putto... fuori... è... dentro... quasi... fuori… pronto... dentro... stop. Si sente vicina alla meta. Comincia a mangiarsi i puntini, i dentro e i fuori. Il putto è quasi pronto stop "Cazzo... cazzo... cazzo..." Scatta sulle quattro zampe, il Khat le scivola dalla bocca. "Vecchio scemo è quasi mezzanotte. Il putto è quasi pronto. Dobbiamo andare.” Pensa d'un sol fiato. Poi le cede tutto e sviene. Babbo salta su come se tutte le sue ragadi si fossero aperte di colpo. "Cristo, la madonna e il diavolo incarnato!" Urlando la nuova trinità sputa briciole di kamut. L’agitazione gli fa ruttare le viscere galleggianti nella birra. Dalle cime, in risposta, masse di neve scendono spaventate verso valle. Corre verso l'armadio passando sopra Renny sdraiata a terra. Zampe larghe, corpo perfettamente aderente al pavimento, testa appoggiata sul mento, bocca spalancata in un terrificante ruggito. In effetti si sente una pelle d'orso. I piedi di Natale sulla spina dorsale la rendono orgogliosa della sua perfetta mutazione. Babbo apre l'anta ed esce/entra meglio di Klark Kent. “Lombrica di una renna, muovi quel culo peloso..." Persa in un universo a stringhe lei non reagisce. Rassegnato la prende per le corna e comincia a trascinarla. "Quanto pesi balena di una renna." Lei leggera come un'idea si lascia fare. Si sogna aratro solcante aride terre e sacco fertilizzante portatore di nuova vita. Mentre il muso insensibile a tutto si riempie di schegge, grattando sul pavimento, di bugne, rimbalzando sugli scalini, di neve fango, seguendo i passi che escono dalla casa, rilascia strisce di compost dall’orifizio meridionale. Ara e semina la dea creatrice... Si aspetta da babbo una nuova similitudine che non arriva. Quello e le stalattiti di ghiaccio che le spuntano dai baffi le fanno sfondare il muro di droga riportandolo parzialmente alla lucidità. Uno strano odore di rabbia e incredulità le pizzica il naso. Solleva il muso. Il vecchio è in piedi nella neve. Un enorme bollitore rosso che butta fumo da orecchie e naso, e che dal calore dell'incazzatura comincia a sprofondare nella neve. "Tutto sparito...” Renny gira il muso. Dio Cervo.... Babbo e Renny sembrano statue lentamente imbiancate dai fiocchi. Nei loro occhi il vuoto di quello che c'era. La stalla, le ultime due compagne di traino di Renny, la slitta, tutto sparito. Solo un grande pacco marrone con la scritta Arrafazon sul fianco va lentamente bagnandosi. "Sai cosa vuol dire questo?" Babbo trova la parola per primo. "Non ci credono più " Continua. Renny sa qualcosa in più. La mia riserva di Khat, pensa, frastornata dal lamento disperato delle scimmie già in lutto appese alle sue orecchie. E adesso?, pensa, conoscendo le difficoltà nel contattare il suo spacciatore sotto le feste, da questa cazzo di valle. "E adesso, tossica di una renna, gli daremo qualcosa per non farci dimenticare." Detto questo, a passo marziale, fa dietro-front verso la casetta innevata di Nonsisadove. La sua rabbia distoglie Renny dai primi vagiti dell'astinenza. Strisciando come un serpente, lo segue, mentre con la coda a sonagli tenta di suonare Jingle Bells. "Caro Babbo Natale sono Licia... durante le feste la mia cuginetta Sarah viene sempre a trovarmi.... Mi piacerebbe che potessimo stare sempre insieme... sarebbe un bellissimo regalo..." "Caro Babbo Natale sono Marco... i miei genitori litigano sempre... il papà è sempre ubriaco e cattivo... vorrei che se ne andasse per sempre... sarebbe un bellissimo regalo..." "Caro Babbo Natale... sono Andrea... non ho mai visto la neve... sarebbe un bellissimo regalo..." " Caro Babbo Natale sono Alessio... vorrei tanto un bel trenino... sarebbe un bellissimo regalo..." Lette, le getta nel camino. Mentre osserva con una mano sprofondata nella barba, i desideri trasformarsi in fumo, medita sul da farsi. "Sarebbe un bellissimo regalo..." Dice canzonando le voci acerbe d'innocenti bambini. Con negli occhi il riflesso delle fiamme divoratrici, gli si palesa la soluzione. In fondo la più semplice. "Avrete i vostri regali, mocciosi. Oh oh oh oh..." Renny, arrotolata su sé stessa, comincia ad intonare Stille Nacht. "Dai, pitonessa di una renna, andiamo a fare il nostro dovere. Il putto è quasi pronto no?" "Comes fassiamos sensas slittas?" Sibilla, ancora nella parte, sperando anche di fare la muta. Babbo le rifila un calcio nell'orifizio reale posto sotto al sonaglio fittizio. Con un acuto che porta altra neve verso valle, Renny si rimette in piedi. Riuscendo stavolta anche a rimanerci. "Non ti preoccupare mula di una renna." Le mette sul dorso uno dei suoi vestiti, ed uno dei suoi cappelli in testa. Poi le salta in groppa. Renny sputa aria dal davanti e dal di dietro, ma regge il colpo. Cosa vuoi fare matto di un vecchio? Pensi che possa trasportare i regali da sola? "Tu portami sopra i loro tetti, ronzina di una renna, che al resto ci penso io." Ma non riuscirò mai a trasportare la tua ciccia in cielo per tutta la notte! Babbo infila una mano nella tasca dei pantaloni e ne tira fuori due zollette di qualcosa che sembra zucchero. Sembra. Una la infila in bocca a Renny, l'altra nella sua. Poi, in molti sensi, prendono il volo. 24 DICEMBRE 2016 NOTTE In molti giurano di aver visto uno strano oggetto vagare nei cieli. Sembrava quasi che puntasse ai tetti delle case per poi sparire seguendo stranissime traiettorie. Altrettanti sono sicuri di aver sentito il suono continuo di una rauca risata accompagnata da un raglio sincopato. Se non fosse talmente assurdo, tutti giurerebbero che la cosa più vicina al visto e al sentito, sarebbe Babbo Natale in groppa ad una renna. Tutti e due strafatti. Ma si sa che non esiste. 25 DICEMBRE 2016 ALLE PRIME LUCI Licia si sveglia con una sola intenzione: buttarsi giù dal letto e correre sotto l'albero. Sa che non serve chiamare la cuginetta, è già sveglia anche lei. Ne è certa anche senza controllare. Si siede sul letto. Sa che Sarah sta facendo lo stesso. Ma qualcosa non va. Più spinge per scendere più una forza uguale e contraria la tira verso il centro del letto. Si accorge di avere una strana visuale inclinata della stanza. Più ci prova meno riesce a raddrizzare il collo. Sente ridere. "Ci siamo attorcigliate i capelli dormendo cuginetta." La voce gioiosa di Sarah le riempie il cuore. "Così resteremo per sempre insieme." Ridono ancora. In qualche modo riescono ad alzarsi. Un gioco comico che le diverte da morire. Sempre con i capelli allacciati, riescono a passare la porta della stanza e a scendere le scale. Con due sorrisi enormi arrivano in soggiorno. Sotto l'albero intravedono i loro regali. I genitori delle due ragazze sono svegli e seduti sui divani, pronti a godersi l'arrivo delle loro figliole. Un gelo da spaccare i denti cala nella stanza quando Licia e Sarah vi entrano. Ciò che loro non possono vedere è palese a chi le osserva. Sembrano uno schiaccianoci messo in piedi leggermente aperto. Due bambine inclinate attaccate per la testa, non per i capelli. Marco è teso. La cena della sera prima era stata bella. Sua madre e lui da soli stavano sempre bene. Il padre era fuori, nessuno dei due sapeva dove e sicuramente a lui poco importava. La mamma aveva preparato una cena buonissima, e il numero di biscotti che era riuscito a mangiare superava quasi quello di cui aveva voglia. Lei lo aveva riempito di carezze e una volta messo a letto, non era mancata neanche il racconto su Babbo Natale e le sue meravigliose renne. Nessuno dei due ci credeva, ma la voce di mamma era miele per Marco. Poi lo sbattere della porta. E la tensione. Adesso il giorno è arrivato e con la luce sembra anche che in casa ci sia una strana pace. Marco scende dal letto, si infila le pantofole e tende l'orecchio. Non che non fosse piacevole, ma il silenzio è quasi troppo. O forse qualcosa c'è. Marco, non sapendo neanche lui bene il perchè, si avvicina silenziosamente alla porta della stanza. La apre piano. Dal soggiorno un suono al quale è già molto abituato, arriva. Il pianto di mamma. Marco lo conosce così bene che giura di sentire anche il fruscio delle lacrime sulla pelle di lei. Lo conosce così bene da capire che quello di oggi è diverso. Più leggero quasi. Triste, ma non del tutto. Un sommesso pianto di colpevole sollievo. Non riesce a resistere ed entra. " Mamma..." Lei sul divano, lo sguardo fisso dalla altra parte della stanza. Marco gira lo sguardo. Davanti all'albero di Natale dondola un regalo grande come un uomo. Non tocca terra. E' attaccato ad una trave del soffitto. Andrea ha un dono naturale. Sente gli odori come pochi. Riconosce le persone dal loro profumo o semplicemente da ciò che emana naturalmente dalla loro pelle. Ogni aspetto della sua vita viene vagliato dal naso. E’ un bambino e tutto è ancora un gioco. Ma nel suo futuro sicuramente quella dote avrebbe fatto più volte capolino. Ogni tanto gli sembra di sentire anche l'odore delle emozioni. Certo adesso sente quello della sua eccitazione. Si fionda dal letto, corre in salotto, si inginocchia davanti all'albero. L'odore del abete è inebriante. Il muschio naturale è talmente fresco che Andrea deve guardarsi intorno nel dubbio di essere veramente a casa e non in un bosco. Sa che è ancora presto per aprire i regali. Ma l'odore di carta ed inchiostro, quello di plastica, e quello di cuoio, gli fanno intuire ciò che le confezioni colorate provano a nascondere. Solo un pacco non intuisce. Annusa. Arriccia il naso tirando indietro la testa. Un nuovo odore, molto particolare. Amarognolo con un retrogusto che non sa ancora definire ma che ha qualcosa di attraente. Sente improvviso il desiderio di andare in bagno. Ma la curiosità è troppo forte. Guarda il biglietto. Non riconosce la scrittura. Per Andrea che non ha mai annusato la neve. Il bambino preso da una sconosciuta frenesia strappa la carta. Dentro trova un pacchetto di plastica pieno di una specie di polvere bianca. "Neve." Dice, mentre vede le sue mani che rompono l'involucro senza quasi che lui possa controllarle. Prende un po’ di quella polvere e ignaro di come si usi la getta per aria. Si aspetta che si trasformi in fiocchi, invece ricade giù come una nuvola di polvere. Punta il naso verso l'alto e inspira profondamente. Ancora quel sapore amaro, pungente. Ancora quella voglia di andare di corpo. Soprattutto però una nuova sensazione di gioia e di potenza. Immerge la mano nel sacchetto, riempiendosela di neve. Poi affonda il naso, aspirando tutto ciò che il suo piccolo palmo può contenere. Di colpo spinge indietro la testa. La scuote con violenza. Così come tutto il resto del corpo. Le narici gli esplodono. Un bruciore intenso, come se le stessero per andare in fiamme. Il suo naso dotato perde ogni sensibilità, ma lui si sente una meraviglia. Pensa alle montagne piene di neve e a come gli piacerebbe annusarle tutte. Non avrebbe mai pensato che desse tutta questa gioia. Poi ci si rituffa. Quando sentono un tonfo e una porta sbattere i genitori di Andrea si svegliano di colpo. Subito preoccupati che il bambino si sia fatto male, corrono in soggiorno. L'albero di Natale è a terra. La stella e le palline a pezzi. Il divano senza più cuscini. Feci ovunque. La porta di casa aperta. " Andrea..." Gridano contemporaneamente. Corrono in strada ma del loro bambino nessuna traccia. Ancora non sanno che verranno arrestati per possesso di due chili di cocaina e che gli porteranno via il piccolo. Alessio si sveglia. Forse era nel sogno ma è convinto di aver sentito un fischio. E che fosse reale. D'altronde desidera tanto quel trenino che anche la sua giovane mente capisce che nel sonno ci si porta dietro i desideri da sveglio. Ma è convinto di averlo sentito. Tutto intorno però è silenzio. Poi, di nuovo. Non può sbagliarsi questo è il fischio di un treno. Oltre le pareti. Immagina già anche da dove arrivi. Il suo regalo sotto l’albero. Ma com’è possibile se lui non l'ha ancora aperto? Eccolo ancora. Adesso è anche più vicino. Alessio capisce. Sa benissimo che Babbo Natale non esiste, chi vuoi che ci creda a quel vecchietto che va su e giù per i camini. Ecco chi è il colpevole. Il padre gli ha regalato il trenino, ma non ha saputo, lui, resistere alla tentazione di aprirlo. Il bambino ama i trenini, ma la passione l'ha ereditata. Ore ed ore insieme, padre e figlio, a creare percorsi, a costruire stazioni, ponti, mondi inesplorati dove far correre il loro treni. Ad inventare storie di adii e bentornati, a licenziare macchinisti e a far rispettare gli orari. Un treno deve sempre arrivare puntuale, era la legge di suo padre. Come quando c'era Lui, diceva spesso suo padre, anche se Alessio non capiva a chi si riferisse. Forse parlava di un grande ferroviere. Un altro fischio. Stavolta talmente vicino da non lasciare dubbi. Alessio si mette il pigiamino, con la scritta ciuff ciuff, ed arrabbiato ma felice corre verso la stazione Albero di Natale. Quando arriva però, niente. Suo padre, che già se lo immaginava in ginocchio sul pavimento pronto a scusarsi divertito con il figlio, non c’è. Non ci sono neanche i pacchetti. Allora è stato tutto un sogno, pensa. Quando sta per tornare a letto la casa comincia tremare. Prima lievemente poi sempre più forte. Il pavimento, le pareti, il lampadario, tutto balla come quella volta del terremoto. Alessio sa che deve uscire di casa ma non riesce a muovere un muscolo. S’alza enorme il fischio. Lo sente montare, da oltre la parete che ha di fronte. Quella con la finestra che da suoi campi. Muove un passo nella direzione opposta a quello che logica vorrebbe. Arrivato al vetro, con quel coraggio figlio di un desiderio più forte della paura, sposta la tenda. “Ciuff… ciuff…” Il suono che ama di più nella vita gli riempie il cuore. “Ciuff ciuff…” La locomotiva della transiberiana che tanto desiderava per Natale è in arrivo. Puntuale come la morte, diceva spesso suo padre. La casa esplode. Il bambino viene scaraventato in dietro e poi fatto a pezzi dalla potenza del treno. Babbo e Renny non si tengono più dal ridere nascosti dietro qualche nulla. 24 Dicembre 2017 Una città qualunque Le strade della città, illuminate come fosse un giorno qualsiasi. L’ultimo Natale dell’umanità resta nascosto nella testa delle persone che passeggiano senza fretta. La Notte di Babbo Orco non richiede festeggiamenti. Nessuna compra, nessuna fa la fila ai negozi di pesce. Solo risate nervose ma in fondo sollevate, come se la paura dell’anno passato avesse addolcito lo spirito della gente. “Quest’anno sono stato buono?” Il bambino stringe forte la mano della madre. La sua voce non riesce a nascondere un certo timore. “Si, piccolo mio. Quest’anno sei stato proprio un angelo.” “Allora niente regalo?” “No, amore mio. Nessun regalo per te quest’anno.” La piccola mano si rilassa ma non lascia quella grande. “Ti voglio bene Mamma.” “Anch’io, piccolo mio.”