Un milione di genitori a distanza

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Un milione di genitori a distanza
adozioni a distanza
UN MILIONE DI “GENITORI A DISTANZA”
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C
’è chi conserva la foto dei bambini «adottati» nel portafogli, chi l’ha messa in cornice nel
salotto buono. Ma non solo. Sono sempre di più gli italiani che non si accontentano di guardare da
lontano i frutti di quell’amore a distanza. Li vogliono toccare, stringere tra le braccia, provare a
parlargli. E c’è chi ci riesce: spesso riportando a casa emozioni e sensazioni difficili da descrivere.
Elisa Tumedei di Forlì, per esempio, è andata in viaggio di nozze in Brasile con il marito Paolo, per
incontrare Ariel. «Avevo iniziato a versare la quota per il sostegno a distanza quando ero fidanzata
– spiega Elisa –. Ha otto anni e vive in una favela di Rio de Janeiro. Suo padre è tassista, la madre
è casalinga e ha altri quattro tra fratelli e sorelle. Campa in una realtà difficile, violenta. Ho visitato anche la scuola cattolica dove studia: è l’unica isola felice in quella favela, la possibilità più
grande che ha di crescere senza buttare via l’esistenza». Elisa non ha coinvolto solo il marito, ma
anche altre persone: i suoi genitori hanno adottato tre bambini in Africa. Altri sposi hanno rinunciato ai regali per sostenere giovani in qualche villaggio nel Sud del mondo. È come un effetto
domino, che in questi anni ha assunto dimensioni sempre più imponenti: chi vede e tocca con mano
quei «figli adottati» non può far altro che trasmettere ad amici e conoscenti la gioia incontrata.
Oppure si rimane sconvolti da tanta miseria e dalla sensazione di poter dare di più. Com’è successo a Tamara F., studentessa al quarto anno di Medicina, originaria di Montecarotto nelle Marche.
«Ero già stata in Africa come volontaria nel 2001 – racconta –. Alcuni anni prima avevo adottato
Janette, orfana di madre e padre, ruandese. Tre estati fa ho lavorato proprio in Ruanda e ne ho
approfittato per andare a conoscerla di persona in orfanotrofio. Un’esperienza incancellabile, ma
mi sono accorta che potevo fare di più per gli altri 107 bambini ospiti dello stesso orfanotrofio».
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Tamara ha molto sofferto per questa situazione: «Vedevo questi orfani curati con tanto amore da
un’istitutrice, ma anche malnutriti e in cattive condizioni igienico-sanitarie. Dovevo fare di più».
Tamara rientra nel suo piccolo paese di duemila anime, organizza incontri e una pesca di beneficenza per comprare una mucca da donare all’orfanotrofio. Alcuni compaesani rinunciano ai regali
di Natale e offrono la cifra che avrebbero speso. In poche ore sono stati venduti 800 biglietti. Ma
soprattutto è nata una coscienza comune intorno alla proposta lanciata da Tamara, che adesso
vuole laurearsi e lavorare come medico in Africa.
Il sostegno a distanza è una realtà sempre più diffusa in Italia. Si contano circa 500 soggetti, tra
iniziative spontanee, enti, associazioni, scuole, parrocchie che non fanno esclusivamente sostegno a
distanza, impegnati nell’attività a favore di bambini del Terzo Mondo. Spesso fioriscono così tanti
progetti che diventa difficile quantificare il fiume di carità e di solidarietà che dal nostro Paese
scorre verso i più sperduti villaggi africani, le favelas brasiliane, ma anche le località sulle coste
dell’Asia devastate dal maremoto del dicembre 2004 o i Paesi in difficoltà dell’Europa dell’Est.
Tutti i progetti, però, hanno in comune l’aiuto dei minori senza sradicarli dalle loro famiglie:
bastano pochi centesimi al giorno per un sostegno negli studi, nell’educazione, nell’alimentazione,
nel vestiario. Ufficialmente sono 131 gli enti attivi in questo campo, 70 dei quali si riconoscono nel
Forum Sad (Sostegno a distanza). La prima esperienza venne lanciata nel 1958 dal PIME
(Pontificio Istituto Missioni Estere) attraverso il missionario padre Mario Meda, mettendo in relazione una famiglia americana con alcuni bambini in Birmania. Oggi i benefattori italiani sono
circa un milione e sostengono due milioni e mezzo di persone in 110 Paesi per un totale di 240
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milioni di euro donati ogni anno. «Il sostegno a distanza è iniziato in maniera spontanea, non è
frutto di progetti elaborati a tavolino – racconta Fabrizio Carabelli, responsabile del settore al
PIME di Milano –. I nostri missionari avevano capito che c’era bisogno di far studiare i ragazzi sul
posto. L’istruzione era il primo passo per migliorare la condizione di quelle popolazioni svantaggiate. È iniziata proprio così: da pochi benefattori si è passati alla costituzione di organismi e associazioni». A Napoli, il 25 e 26 febbraio, si è svolto il settimo Forum Sad: è stata l’occasione per
illustrare il quadro attuale, fornire indicazioni utili e migliorare i servizi. E incoraggiare a un maggior impegno, specie nel Mezzogiorno.
Chi adotta compie un gesto di carità, solidarietà, condivisione, diventa fattore di crescita e di formazione, oltre che di conoscenza fra culture e nazioni diverse. Ma il vero focus di questa esperienza è l’educazione: sia per chi viene aiutato a crescere in situazioni economiche e ambientali difficili, sia per chi, sottoscrivendo la sua quota annuale (che si aggira sui 300 euro all’anno), garantisce stabilità ai progetti di sviluppo, mette in gioco un po’ della sua vita e si confronta con contesti dove lo sviluppo della persona è il valore centrale attorno al quale si costruisce qualsiasi progetto di sviluppo che non voglia essere ideologico o utopistico.
E sono sempre più numerosi i casi in cui nel tempo si viene a creare un legame affettivo tra chi
adotta e il bambino. In tanti non si accontentano delle foto o di qualche lettera, ma vogliono
recarsi sul posto e conoscere di persona quel «figlio» che vive a migliaia di chilometri di distanza.
E la cui esistenza è spesso appesa agli spiccioli di un italiano.
Maurizio Carucci
da Avvenire, 2 febbraio 2006
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I RAGAZZI DI PADRE CHICO IN BRASILE
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ono un padre domenicano italiano, missionario in Brasile da più di venticinque anni. Mi trovo
di passaggio al Santuario di Fontanellato ed ho avuto la gioia di incontrare il Padre Mauro Persici,
direttore del Movimento del Rosario e della Rivista. Sono venuto per pagare un debito di riconoscenza verso di lui e verso i tanti amici che ci aiutano con le adozioni a distanza per i bambini e
adolescenti di Padre Chico.
Il Brasile è un paese immenso, dove il Creatore ha profuso con grande generosità tante risorse e
tante ricchezze naturali. Ma in questa terra benedetta c’è molta gente che non ha il necessario per
vivere. È una lunga storia di dominazione coloniale e di ingiustizie istituzionalizzate, contro le quali
il popolo brasiliano sta lottando con coraggio e perseveranza. Uno dei frutti più belli di questo cammino di riscatto sociale è stato l’elezione a Presidente della repubblica del metalmeccanico Lula.
La chiesa sta dando tutto il suo appoggio a questo movimento di ‘liberazione’ del popolo brasiliano. Uno dei modi più efficaci di questo suo impegno è la creazione di opere sociali, rivolte soprattutto all’accoglienza, alimentazione ed educazione dei bambini e dei giovani, che rappresentano la
parte più vulnerabile della popolazione e ne rappresentano il futuro. Queste opere non risolvono
“tutto” il problema, ma sono segni di speranza che mostrano che è possibile cambiare la situazione
e che i poveri hanno diritto ad una vita più degna... più umana!
Il Domenicano frei Chico fondò, ormai venti anni fa, a Santa Cruz do Rio Pardo, nello Stato di San
Paolo, uno di questi centri della gioventù che è articolato in due proposte di accoglienza. Il primo,
chiamato “Centro Social San Josè”, è una casa in cui più di trecento bambini e adolescenti delle
favelas di Santa Cruz sono accolti ogni giorno e ricevono il pasto del mezzogiorno con una meren-
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chi è interessato
ad una adozione
a distanza
può rivolgersi a
P. Mauro o.p.
(335 5938327)
da, aiuto per l’istruzione, l’educazione umana e religiosa e l’avvio professionale. L’altro centro,
detto “Casa de Apoio ao Menor Carente” è un orfanotrofio che accoglie una ottantina di bambini
e adolescenti, da zero a 18 anni, che hanno perso i genitori o si trovano in situazioni di rischio
sociale o familiare. Da più di due anni ormai il Signore ha chiamato a sé, in Paradiso, il Padre
Chico, che ha profuso in questa sua Opera tutto il suo grande cuore di sacerdote e di “papà”.
La sua opera però continua, grazie all’impegno dei confratelli Domenicani di Santa Cruz e di tante
persone generose della città, del Brasile e degli amici italiani, soprattutto dei padrini e madrine delle
“adozioni a distanza”. I brasiliani si danno molto da fare. Sono state organizzate varie attività come
la fabbrica del cioccolato, l’artigianato fatto dai ragazzi e da persone volontarie del luogo, la coltivazione di verdura e frutta ed altro.
Il vostro appoggio dall’Italia però rimane fondamentale perché possiamo garantire ai nostri bambini
quello di cui hanno bisogno e diritto. Oltre al sostegno profuso direttamente per loro e per le loro
famiglie, le immancabili spese per la manutenzione ordinaria dei due centri, poi... stiamo investendo per migliorare le strutture e per garantire un equipaggiamento sempre migliore. Ultimamente
abbiamo inaugurato una nuova ala nel “Centro Sociale San Josè” e ci stiamo preparando per
costruire uno spazio coperto nella “Casa do Menor”, in modo che quando piove i ragazzi possano
giocare e svolgere le altre attività educative all’asciutto. In nome di tutti i nostri ragazzi e degli
amici brasiliani voglio esprimere il più vivo ringraziamento per il bene che state facendo.
Esprimo anche l’invito perché veniate a trovarci in Brasile! I nostri ragazzi saranno felici di accogliervi e di conoscervi personalmente! La Madonna del Rosario vi protegga e vi benedica!
Fr. Mariano S. Foralosso OP
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