BOMBAY LA CITTÀ DEI SOGNI INDIANI LA CITTÀ DEI
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BOMBAY LA CITTÀ DEI SOGNI INDIANI LA CITTÀ DEI
[LETTERATURA] DI ROBERTO CARNERO Nato e cresciuto a Bombay, dove vive, è Altaf Tyrewala. Appartenente alla minoranza musulmana, è autore del romanzo Nessun Dio in vista (Feltrinelli, 2007). «Nel mio libro ho voluto dare voce a questa città con 18 milioni di abitanti, 14 lingue, 8 religioni, capitale economica e culturale del subcontinente indiano e prototipo delle me- BOMBAY LA CITTÀ DEI Tre scrittori raccontano la loro città, divenuta punto “ ” Per costruirla si rubò la terra al mare. È come se nel dna di Bombay ci fosse la volontà di conquistare qualcosa di nuovo S embra che negli ultimi tempi sia esplosa, in ambito letterario, la Bombay-mania. La città indiana viene infatti sempre più percepita come una sorta di “continente narrativo”, luogo di infinite storie e possibilità romanzesche. Sono molti i libri tradotti in italiano che hanno per sfondo questa città dai mille volti: Amore e nostalgia a Bombay (Instar Libri, 1999) di Vikram A. Chandra, che ha scritto, tra l’altro, Missione Kashmir (Sperling & Kupfer, 2004), da cui è stato tratto l’omonimo film, e un altro romanzo ambientato a Mumbai (come viene chiamata Bombay), Giochi sacri (Mondadori, 2007), in cui un ispettore di polizia getta lo sguardo su una brulicante realtà di marginalità e malaffare, ammiccando all’hard-boiled americano. C’è poi Shantaram, di Gregory D. Roberts (Neri Pozza, 2005), narrazione a cavallo tra Bombay e l’Australia. Va ricordato anche Nessun Dio in vista (Feltrinelli, 2007) di Altaf Tyrewala. Condotto attraverso una narrazione sfaccettata nei punti di vista di diversi personaggi, è un af- fresco di Bombay nelle sue varie fasce sociali. Ma qui vogliamo concentrarci su tre autori, coi quali abbiamo potuto chiacchierare a Torino al convegno L’odore dell’India, organizzato dal Premio Grinzane Cavour. Cominciamo con Suketu Mehta, nato a Bombay, dove è vissuto fino a 14 anni e poi emigrato a New York coi genitori. Nella sua città natale è tornato solo vent’anni dopo, alla riscoperta dei luoghi dell’infanzia. Che però ha trovato profondamente cambiati. Ha raccontato la sua città in Maximum city. Bombay città degli eccessi, originale libro a metà strada fra romanzo e reportage (in Italia è uscito da Einaudi nel 2007 ed è valso all’autore il prestigioso Premio Napoli). «Bombay è una sorta di cittàstato diversa dal resto del Paese. A Bombay una donna può andare da sola a cena in un ristorante senza che nessuno la guardi male. È la città più ricca: paga il 40% delle tasse dell’intera India ed è la più occidentalizzata». Una metropoli che però ha anche dei problemi: «Riguardano la pacifica convivenza tra confessioni religiose, specie fra musulmani e indù. Con 140 milioni di fedeli, l’India è il terzo Paese musulmano del mondo, dopo Indonesia e Pakistan. Però, la maggior parte di loro non è fondamentalista». sogni». Luci su Bombay parla dell’industria cinematografica “bollywoodiana”: «Ho voluto usare il cinema come metafora dell’India. Se vuoi capire l’India, devi capire Bollywood. Se c’è una cosa che unisce gli indiani è il loro cinema, che domina la mente degli indiani. Quella indiana non è una cultura razionalista, ma ha bisogno di SOGNI INDIANI d’incontro per la gente del subcontinente galopoli post-industriali del Terzo mondo». Qual è il carattere primario di Bombay? «Per costruirla si pensò di rubare della terra al mare, nonostante in India la terra disabitata non mancasse. È come se nel dna di Bombay ci fosse questo senso di lotta, questa volontà di conquistare sempre qualcosa di nuovo. È una città che si trova in Oriente ma è affacciata a Occidente, e questo determina un equilibrio particolare. C’è poi questo ricco mosaico di etnie che ha creato una complessità sociale e religiosa, peculiarità della città. Una ricchezza che però può divenire svantaggio se strumentalizzata politicamente per incrementare lo scontro». Il romanzo di Tyrewala guarda a un microcosmo di Bombay, quello del “ghetto” musulmano. «Ho preferito concentrarmi su uno specifico quartiere perché mi piace partire dal piccolo, dal particolare, magari per parlare, anche per via di metafora, del grande e del generale». Shashi Tharoor, invece, è nato a Londra, anche se di famiglia indiana, e nel Paese dei suoi avi è vissuto diversi anni. È autore, tra l’altro, del romanzo Luci su Bombay (Frassinelli, 1996). A Bombay ha abitato dai 2 ai 12 anni e di questa città il suo libro offre un’immagine cosmopolita: «È la città dove la gente viene da tutto il subcontinente indiano, per realizzare i suoi idoli, e il cinema rappresenta uno di questi idoli. Il primo film indiano fu girato nel 1897 e la produzione cinematografica del nostro Paese è anteriore a quella hollywoodiana. Per questo gli indiani non amano la definizione di Bollywood, che sa di sudditanza verso un modello straniero. Tra l’altro, i film indiani, quasi sempre musical, hanno uno straordinario successo in tutto il mondo: dai Paesi dell’ex Unione Sovietica a quelli latinoamericani, fino al Medio Oriente. I film bollywoodiani battono, per numero di spettatori nel mondo, quelli hollywoodiani. Evidentemente queste popolazioni li giudicano più 왎 vicini a sé rispetto ai film americani». Nell’altra pagina, Altaf Tyrewala. Qui, Suketu Mehta e Shashi Tharoor “ ” Questa è la città più ricca dell’India: da sola paga il 40% delle tasse dell’intero Paese. Ed è anche la più occidentalizzata “ ” Se vuoi capire l’India, devi capire Bollywood, perché se c’è una cosa che unisce gli indiani è il loro cinema CLUB3 153 LUGLIO 2008