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Azienda Pubblica Teoria ed esperienze di management 2.2010 Rivista trimestrale anno XXIII numero 2 aprile • giugno 2010 Direttore responsabile Paolo Maggioli Direttore Eugenio Anessi Condirettori Paola Adinolfi Luca Del Bene Ileana Steccolini Coordinatore editoriale Nicola Bellé [email protected] Comitato Editoriale Luca Brusati Alessandro Capocchi Enrico Guarini Marco Ferretti Andrea Francesconi Rosalba Martone Filosa Antonio Nisio Daniela Preite Massimo Sargiacomo Ileana Steccolini Segreteria di redazione Chiara Peverelli Comitato scientifico (riportato nell’ultima pagina) Redazione Milano 20136 Via Röntgen, 1 Tel. 02-5836.2509/5266 Fax 02-5836.2598 [email protected] Comitato di indirizzo Riccardo Mussari Eugenio Anessi Pessina Elio Borgonovi Renato Mele Luca Anselmi Marco Meneguzzo Antonello Zangrandi Eugenio Caperchione Giuseppe Farneti Stefano Pozzoli Aldo Pavan Luigi Puddu Lidia D’Alessio Condizioni di abbonamento 2010 Il prezzo di abbonamento alla rivista “Azienda Pubblica” è di Euro 114,00 Il prezzo di una copia è di Euro 39,00 Il prezzo di una copia arretrata è di Euro 41,00 I prezzi sopra indicati si intendono Iva inclusa. Il pagamento dell’abbonamento deve essere effettuato con bollettino di c.c.p. n. 31666589 intestato a Maggioli s.p.a., Periodici, via del Carpino, 8 – 47822 Santarcangelo di Romagna (RN). La rivista è disponibile anche nelle migliori librerie. L’abbonamento decorre dal 1° gennaio con diritto al ricevimento dei fascicoli arretrati ed avrà validità per un anno. La Casa Editrice comunque, al fine di garantire la continuità del servizio, in mancanza di esplicita revoca, da comunicarsi in forma scritta entro il trimestre seguente alla scadenza dell’abbonamento, si riserva di inviare il periodico anche per il periodo successivo. La disdetta non è comunque valida se l’abbonato non è in regola con i pagamenti. Il rifiuto o la restituzione dei fascicoli della rivista non costituiscono disdetta dell’abbonamento a nessun effetto. I fascicoli non pervenuti possono essere richiesti dall’abbonato non oltre 20 giorni dopo la ricezione del numero successivo. Collaborazioni Per l’invio di articoli e comunicati si prega di far riferimento al seguente indirizzo e-mail: [email protected] oppure Redazione Azienda Pubblica, Università Bocconi, via Röntgen, 1 – 20136 Milano Tutti i diritti riservati è vietata la riproduzione, anche parziale, del materiale pubblicato senza autorizzazione dell’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio, lasciandoli responsabili dei loro scritti. L’autore garantisce la paternità dei contenuti inviati all’Editore manlevando quest’ultimo da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi che dovessero rivendicare diritti su tali contenuti. Amministrazione e diffusione Maggioli Editore presso c.p.o. Rimini Via Coriano, 58 47924 Rimini Tel. 0541/628111 Fax 0541/622100 Maggioli Editore è un marchio Maggioli s.p.a. 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Rivista Accreditata AIDEA Ambiti e missione della rivista Azienda Pubblica Sono sempre più forti le esigenze di modernizzazione e di riforma delle amministrazioni pubbliche e di tutti i soggetti che operano nell’interesse pubblico a seguito di stimoli derivanti dai cambiamenti dei valori individuali e collettivi, dell’apertura della società e dei mercati, della maggiore mobilità delle persone e dei beni, dell’innovazione tecnologica e delle forme organizzative in cui si svolge l’attività sociale ed economica, dei media, ecc. AZIENDA PUBBLICA si propone di contribuire a dare risposte a tali esigenze concentrando l’attenzione sulla migliore utilizzazione delle risorse economiche (dimensione dell’efficienza), per dare risposte di alto livello qualitativo e quantitativo ai bisogni di singoli cittadini, famiglie, imprese e altri corpi intermedi della società (dimensione dell’efficacia e della funzionalità), della soddisfazione, mantenendo condizioni di equilibrio economico di lungo periodo (dimensione dell’economicità). La Rivista intende farlo partendo dal profondo convincimento che solo le persone sono in grado di promuovere e realizzare il cambiamento sostanziale. I metodi, gli strumenti e le tecniche giuridiche, economiche, aziendali e manageriali esistono, sono anche molto affinati. Ma sono i valori, le conoscenze, le motivazioni, i reali comportamenti delle persone che consentono un loro corretto uso con la finalità di migliorare il benessere e la qualità di vita di comunità locali, nazionali, sovranazionali. Occorre aumentare il numero delle persone per le quali esercitare una funzione e garantire i diritti significa acquisire la cultura del “servizio”, inteso sul piano dei valori e sul piano dell’operatività e renderle maggioranza rispetto a quelle che ancora si richiamano a modelli di amministrazione validi nel passato ma non più coerenti con i problemi posti oggi dalla società o rispetto a quelle che difendono privilegi o interessi particolari. Una via efficace per raggiungere questo obiettivo è quella di presentare ad amministratori di carica politica, dirigenti, personale che opera in varie posizioni nel settore pubblico, risultati di ricerche rigorose sul piano scientifico, rilevanti rispetto ai problemi quotidiani dei Lettori, influenti in senso migliorativo sui processi decisionali e operativi. Nella convinzione che non vi sia nulla di più pratico di una buona teoria, a condizione che le teorie siano costruite sui fatti, Azienda Pubblica si caratterizza come una Rivista che accoglie sia articoli di contenuto teorico che aiutino gli operatori a sistematizzare e a consolidare le proprie esperienze e competenze concrete, sia i risultati di ricerche empiriche basate su rigorose metodologie quantitative e qualitative. Una Rivista accademica capace di aprirsi e dialogare con decisori delle politiche, manager e operatori del settore pubblico e dei settori privati che hanno fini di pubblico interesse. Tramite un rigoroso sistema di referaggio secondo gli standard internazionali, la Rivista intende pubblicare contributi di alto valore scientifico che siano comprensibili da chi ogni giorno deve far funzionare al meglio le istituzioni che garantiscono una società libera, in cui siano rispettate le regole, tollerante nei confronti della multiculturalità e della molteplicità di valori ed interessi, democratica in senso sostanziale. 167 Azienda Pubblica 2.2010 Azienda Pubblica 2.2010 Teoria ed esperienze di management Rivista trimestrale anno XXIII numero 2 aprile • giugno 2010 Sommario Editoriale Elio Borgonovi Amministrazioni pubbliche e sostenibilità economica 173 Saggi Pina Puntillo, Paolo Tenuta Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali 181 Paolo Ricci, Paolo Esposito, Tiziana Landi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management delle amministrazioni pubbliche locali 205 Mariafrancesca Sicilia La contrattazione formale e relazionale a supporto dei processi di esternalizzazione dei servizi pubblici locali 233 Esperienze innovative Nunzio Angiola, Roberto Marino La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche. La progettazione del modello bottom-up 253 Simona Bonetti L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach: alcune riflessioni 277 Fonti di approfondimento Spoglio riviste 311 In libreria 313 Cambia la governance di Azienda Pubblica Raggiunta la fase del consolidamento e diventata ormai un punto di riferimento per gli studiosi di economia aziendale e di management applicati alle amministrazioni pubbliche e per gli operatori del settore, è giunto per Azienda Pubblica il momento del cambiamento della propria governance sul piano editoriale e scientifico. Ciò con lo scopo di rispondere sempre meglio alle esigenze di un ambiente economico, sociale e istituzionale in rapido cambiamento, dell’apertura all’internazionalizzazione e del rispetto dei requisiti per l’accreditamento AIDEA ottenuto nel 2009. La nuova governance prevede i seguenti organi decisi dal Comitato Scientifico che si è riunito a Roma il 24 marzo in occasione del 4° Workshop della Rivista: - - - - Direttore Comitato Editoriale Comitato di Indirizzo Comitato Scientifico La funzione di Direttore è stata assunta da Eugenio Anessi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nominato all’unanimità. A far parte del Comitato Editoriale sono stati chiamati, oltre al Direttore, i Co-Direttori Paola Adinolfi, Università di Salerno, Luca Del Bene, Università Politecnica delle Marche, Ileana Steccolini, Università Bocconi. Nicola Bellè, Università Bocconi, svolgerà la funzione di coordinatore del Comitato Editoriale e Chiara Peverelli, Università Bocconi, quella di assistente allo stesso. Il Comitato di Indirizzo, presieduto da Riccardo Mussari, Università di Siena, è composto da Docenti che rappresentano principali poli di studi aziendali applicati alle amministrazioni pubbliche presenti nel sistema universitario italiano. Di esso fanno parte Riccardo Mussari – Università di Siena, Eugenio Anessi Pessina – Università Cattolica del Sacro Cuore, Elio Borgonovi – Università Bocconi, Renato Mele – Università di Salerno, Luca Anselmi – Università di Pisa e Scuola Superiore di Pubblica Ammministrazione, Marco Meneguzzo – Università Tor Vergata Roma, Antonello Zangrandi – Università di Parma, Eugenio Caperchione – Università di Modena, Giuseppe Farneti – Università di Bologna, Stefano Pozzoli – Università Parthenope, Aldo Pavan – Università di Cagliari, Luigi Puddu – Università di Torino, Lidia D’Alessio – Università di Roma3. Il Comitato Scientifico è composto da Docenti di ruolo, Ordinari e Associati, che si sono dedicati in termini significativi e prevalenti agli studi di economia aziendale e di management applicati alle amministrazioni pubbliche e da 171 Azienda Pubblica 2.2010 Docenti e Ricercatori stranieri con i quali la comunità scientifica del nostro Paese ha instaurato stabili contatti. Esso è composto da Fabio Amatucci, Michael Barzelay, Maria Bergamin Barbato, Carmine Bianchi, Massimo Bianchi, Geert Bouckaert, Armando Buccellato, Roberto Cafferata, Dario Cavenago, Jim Chan, Giovanni Costa, Mariano D’Amore, Mario Del Vecchio, Fabio Donato, Peter Eichhorn, Bill Eimicke, Marco Elefanti, Giovanni Fattore, Giorgio Fiorentini, Andrea Francesconi, Giuseppina Gandini, Andrea Garlatti, Lucia Giovanelli, Katia Giusepponi, Giuseppe Grossi, James Guthrie, Luciano Hinna, Federico Lega, Francesco Longo, Lawrence R. Jones, Nancy Kane, Walter Kickert, Davide Maggi, Francesco Manfredi, Giuseppe Marcon, Ludovico Marinò, Antonio Matacena, Mario Mazzoleni, Paola Miolo Vitali, Marcella Mulazzani, Roberto Negri, Paola Orlandini, Stephen Osborne, Fabrizio Panozzo, Niccolò Persiani, Fabrizio Pezzani, Cristopher Pollit, Adriano Propersi, Gianfranco Rebora, Christoph Reichard, Angelo Riccaboni, Paolo Ricci, Paolo Rondo Brovetto, Renato Ruffini, Massimo Sargiacomo, Kuno Schedler, Barbara Sibilio, Alessandra Storlazzi, Jeffrey D. Straussman, Sebastiano Torcivia, Emidia Vagnoni, Giovanni Valotti, Francesco Vermiglio, Alfred Vernis, Stefano Zambon, Mara Zuccardi Merli, Elena Zuffada. Il nuovo Comitato Editoriale è composto da Ricercatori che uniscono la ancor giovane età ad una pluriennale esperienza didattica in Corsi di Laurea, di Laurea Specialistica, Master di primo e secondo livello, Master post esperienza, Corsi Executive e di ricerca di base ed applicata. Ciò consentirà loro di selezionare i contributi sulla base del criterio di rigore metodologico e di capacità analitica ed interpretativa dei problemi reali nonché un processo di referaggio realizzato con il criterio del doppio anonimato (double blind). Al Comitato di Indirizzo è attribuita la difficile ma innovativa e stimolante funzione di realizzare un network italiano di ricerca in grado di alimentare la Rivista con contributi di qualità sempre più elevata nonché quella di collaborare con il Comitato di Direzione nella definizione dei programmi editoriali della Rivista. I componenti del Comitato Scientifico sono chiamati a svolgere il delicato compito di referaggio nonché a proporre articoli propri e dei propri collaboratori in grado di assicurare continuità e prestigio alla Rivista. L’Editore Maggioli, che ha condiviso il nuovo assetto di governance e i piani per il futuro, si è impegnato ad un’azione di sostegno della Rivista nelle forme e con le modalità che saranno concordate nei prossimi mesi con gli organi scientifici. Azienda Pubblica 2.2010 172 Editoriale Amministrazioni pubbliche e sostenibilità economica Elio Borgonovi Nei giorni 25 e 26 marzo 2010 si è svolto a Roma il IV Workshop della rivista Azienda Pubblica, sul tema “Il sistema delle amministrazioni pubbliche per un modello economico sostenibile”. La formulazione del titolo è stata influenzata dalla crisi finanziaria ed economica scoppiata nel 2008, ma i cui sintomi, in generale sottovalutati, si erano già manifestati negli anni precedenti. Già dal titolo appare chiara l’ipotesi forte su cui i ricercatori sono stati chiamati a confrontarsi: un sistema economico sostenibile non può prescindere da modificazioni significative strutturali del sistema delle amministrazioni pubbliche. Va immediatamente chiarito che oggetto del convegno non sono stati gli interventi diretti o indiretti delle amministrazioni (sovranazionali, statali, regionali, locali) nel salvataggio di banche e imprese, nelle politiche di welfare e di tutela dell’occupazione tramite ammortizzatori sociali, né le politiche di incentivi ai vari settori, quali sgravi fiscali o contributi finanziari per la sostituzione di beni durevoli o sostegno al potere di acquisto delle famiglie come è il caso della social card, delle garanzie per il credito al consumo, di servizi gratuiti o a tariffe fortemente calmierate per le famiglie in difficoltà. L’attenzione è stata posta soprattutto sugli aspetti di funzionamento delle amministrazioni pubbliche da cui dipende in misura significativa l’effettiva, e non solo auspicata, sostenibilità. L’aumento dell’efficienza della qualità nello svolgimento delle funzioni pubbliche e nella produzione/erogazione dei servizi, infatti, consente da un lato un minore assorbimento di reddito prodotto da parte del settore pubblico (a parità di risposta ai bisogni pubblici e di pubblico interesse) e dall’altro riduce i “costi della burocrazia” per le imprese contribuendo ad aumentare la competitività del sistema Paese. Concetti ampiamente noti e scontati, è stato detto nella sessione di apertura; nella quale tuttavia sono stati sottolineati tre aspetti meritevoli di essere portati all’attenzione dei lettori e dell’opinione pubblica: 1. il titolo, in quanto la specificazione “sistema delle amministrazioni pubbliche” e non “pubblica amministrazione” o “settore pubblico”, ha lo scopo di evidenziare l’articolazione del settore, la numerosità, eterogeneità e specificità di migliaia di amministrazioni ed enti territoriali, enti funzionali, agenzie, imprese caratterizzate da differenti forme giuridiche e grado di autonomia operativa, organizzativa ed economica; 2. il riferimento al contesto economico (crisi), sociale (attenzione e pressione della opinione pubblica), politico (consenso raccolto dai partiti e dai movimenti che dimostrano impegno nell’affrontare e risolvere i problemi concreti delle comunità locali e nazionali), istituzionale (approvazione di riforme), che oggi genera una richiesta di cambiamento molto più forte rispetto al passato; 173 Azienda Pubblica 2.2010 Editoriale 3. l’esigenza di ridurre in modo decisivo e in tempi rapidi la distanza tra il mondo della ricerca sulle amministrazioni pubbliche e coloro che in esse operano. Sul primo punto è stato ricordato che a livello di sistema è opportuno porre solo regole (poche), principi (chiari), criteri (trasparenti), indirizzi (idonei a premiare comportamenti virtuosi), mentre la difficoltà consiste nel far calare regole, principi, criteri, indirizzi in migliaia di contesti nei quali la capacità di produrre cambiamento effettivo dipende dalla presenza o meno di persone in grado di governare complesse relazioni tra politici, dirigenti, altro personale professionale o tecnico operativo, sindacati, gruppi di pressione esterni. Temi sui quali Azienda Pubblica si è soffermata più volte negli editoriali e in numerosi articoli. Su questi temi oggi esistono, rispetto al passato, condizioni più favorevoli per rompere schemi e comportamenti tradizionali, passando dall’analisi critica all’applicazione diffusa di metodi e strumenti di buona gestione. Innanzitutto, ed è stato il secondo tema conduttore, i vincoli e le pressioni esterne impongono scelte coraggiose e impediscono i rinvii e i ritardi del passato, manovre finanziarie che consentivano di posticipare il raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario (e non di quello puramente contabile), l’uso del decentramento di funzioni per aumentare la spesa senza assunzione delle correlate responsabilità. Sono stati presentati alcuni esempi di amministrazioni “virtuose” che hanno eliminato sprechi e hanno ridotto il personale e il numero dei dirigenti con politiche di sostituzioni “mirate” del turnover con persone dotate di professionalità più elevate richieste dalle nuove funzioni. Oggi anche le amministrazioni pubbliche sono chiamate alla duplice sfida di premere sul freno (della spesa, per il personale e per l’acquisto di beni e servizi, di trasferimenti che non siano motivati da credibili piani di efficiente impiego da parte dei destinatari) e sull’acceleratore (di alcune spese che servono da stimolo allo sviluppo economico, alla riqualificazione urbana o di aree degradate, alla creazione di capitale sociale). Il principio che deve guidare il cambiamento nelle amministrazioni pubbliche è quello di avere meno quantità (numero di dipendenti, ammontare assoluto della spesa) e più qualità (maggiore professionalità, migliori servizi, più elevato rapporto benefici costi). Investire in capitale sociale significa aumentare la spesa per istruzione e formazione a tutti i livelli (da quella primaria all’università), salute, sicurezza, servizi sociali, servizi per persone non autosufficienti, per gli anziani, casa, trasporti e altri servizi a rete, ma anche incentivi, servizi e garanzie a favore delle imprese che devono riconvertirsi o di chi vuole avviare nuove imprese. Per i politici è sempre più difficile promettere e vendere illusioni e l’idea che si possa “fare tutto per tutti”. Anche per molti di loro, specie a livello locale, sembra giunto il momento della verità che consiste nel definire le Azienda Pubblica 2.2010 174 Editoriale priorità in termini più o meno precisi a seconda della fase del ciclo elettorale nel quale si trovano. Per i burocrati di cultura tradizionale è sempre più difficile trincerarsi dietro vincoli formali di leggi e procedure obsolete. Ciò è ancor più vero dopo i vari provvedimenti di snellimento attuati dal Ministro Calderoli e con la manovra finanziaria approvata a fine giugno di cui, peraltro, dovranno essere attentamente monitorati gli effetti concreti. Per i manager provenienti dal privato o che proponevano fino ad alcuni anni fa il puro e semplice trasferimento di metodi o tecniche privatistiche, è giunto il momento di coniugare l’attenzione ai risultati, alle decisioni rapide, al “fare”, con il rispetto della legalità sostanziale e con il recupero del concetto di interesse pubblico. Esso non può essere inteso come sommatoria o compromesso di interessi particolari ma deve essere inteso come insieme di condizioni che generano vantaggi per tutta (o per la maggior parte) della popolazione, il che diventa sempre più difficile in una società con molteplici culture e attese nei confronti dell’azione pubblica. I processi nella direzione di maggiore trasparenza hanno fatto progressi, molte volte con fatica, ma rendono sempre più difficile nascondere e difendere rendite di posizione. È possibile agire contestualmente sul freno (della spesa improduttiva) e l’acceleratore (di quella produttiva) se si mettono in campo strumenti già disponibili quali piani e programmi sottoposti ad analisi di fattibilità, inventario e valorizzazione delle risorse patrimoniali, programmazione dei flussi di entrata e di spesa, mappatura delle professionalità del personale, misurazione dei livelli di produttività e dei costi. Con riguardo al terzo punto, rapporto ricerca e mondo delle amministrazioni, sono emerse riflessioni critiche e autocritiche. È stato evidenziato che le amministrazioni non possono essere considerate prevalentemente “oggetto” di studio, ma devono diventare i primi “destinatari” e “fruitori” di conoscenze applicabili. D’altra parte è stato sottolineato che le amministrazioni pubbliche non sembrano in grado di autoriformarsi poiché sono prigioniere della stratificazione della cultura della ricerca del puro consenso politico, degli adempimenti formali, delle soluzioni astrattamente ottimali, ma non possono nemmeno essere cambiate solo imponendo interventi dall’esterno, salvo i casi di traumi istituzionali o di rivoluzioni. Occorre produrre un cambiamento della cultura e dei comportamenti tramite un mix di immissione di nuove persone, di valorizzazione e motivazione di chi è già inserito, di strumenti valutativi idonei a riconoscere e premiare il merito. Perciò la ricerca deve partire dai problemi concreti di amministrazioni che devono rinnovarsi e deve produrre risultati comprensibili per gli operatori. Entrando nel merito delle varie sessioni tematiche è possibile sintetizzare quanto emerso dai numerosi e ricchi contributi presentati. Innanzitutto il concetto di “governo delle amministrazioni pubbliche” deve essere ripensato nella prospettiva innovativa non solo della governance ma in senso più ampio della governabilità (governmentability). In effetti il concetto 175 Azienda Pubblica 2.2010 Editoriale inglese è di difficile traduzione in italiano e tuttavia si può dire che si tratta di un concetto che riguarda sia i contenuti che il metodo di governo. Per quanto riguarda i contenuti viene ripreso quanto affermato da più leggi anche nel nostro Paese secondo cui bisogna passare da un’amministrazione centrata sugli atti e sui procedimenti a un’amministrazione “orientata ai cittadini, alle imprese, in generale ai bisogni”. Questo concetto sembra ormai largamente accettato e proposto dagli studiosi ed è ormai presente in molte dichiarazioni di politici e di manager pubblici; tuttavia esso è meno presente sul piano applicativo, anche se nel Convegno sono stati presentati significativi casi di buone pratiche ed efficaci metodi per le “analisi dei bisogni”. Per quanto riguarda il metodo occorre da un lato passare dalla semplice informazione al cittadino al miglioramento dell’accessibilità ai servizi e dall’altro passare dalla semplice consultazione di soggetti esterni alla condivisione di scelte. Ciò vuol dire che gli organi politici devono sviluppare la loro capacità di elaborare proposte “convincenti” per un vasto numero di soggetti esterni, sulle quali è possibile aggregare energie e risorse finanziarie provenienti dalla società. Governabilità significa non solo decidere in modo razionale e con prospettive di lungo periodo ma anche stimolare comportamenti di molti soggetti convergenti verso interessi comuni. Significa ancora proporre “politiche pubbliche” credibili e, in quanto tali, capaci di mobilitare molti soggetti nella società e incentivarli ad assumere, ognuno per la sua parte, il rischio del cambiamento. Rispetto al concetto di governance, la “governabilità” implica un passo avanti in quanto include anche la propensione a raccogliere suggerimenti da parte della società circa proposte di legge, politiche di intervento, miglioramento dei servizi. Non è sufficiente acquisire un vasto consenso tramite le elezioni, né realizzare momenti di concertazione con le forze economiche e sociali presenti nel territorio, come previsto dalla maggior parte degli statuti di enti locali. Occorre andare oltre e utilizzare le nuove tecnologie informatiche e della “rete” per raccogliere dai cittadini e dalle imprese, da associazioni e altri corpi intermedi della società civile suggerimenti su come migliorare l’amministrazione, secondo la logica open government che incomincia a diffondersi anche nel nostro paese. Un secondo filone di contributi ha riguardato la misurazione e la valutazione delle performance. Molti sono gli schemi concettuali e le metodologie di valutazione delle performance proposte dagli studiosi e applicati da enti di vario livello (locale, regionale, statale e, recentemente, dalle istituzioni internazionali). Il concetto è recepito anche dal decreto legislativo 150/2009 (decreto Brunetta) che presenta in modo articolato il ciclo di definizione degli obiettivi, misurazione e valutazione delle performance, incentivi collegati alle valutazioni. In questo editoriale si ritiene utile ricordare che occorre distinguere la valutazione delle performance del singolo ente (Comune, Provincia, Regione, Ministero), di settori, servizi o unità operative, di singoli dirigenti. Mentre la valutazione riferita ai dirigenti, alle posizioni organizzative ed eventualmente a tutto il personale ha l’obiettivo di corriAzienda Pubblica 2.2010 176 Editoriale spondere la parte di retribuzione variabile, la valutazione delle performance dell’amministrazione o di parti di essa può essere utilizzata soprattutto per confronti con altre amministrazioni e per individuare gli spazi di miglioramento. Sicuramente, è utile tener conto delle performance generali dell’ente o parti di esso anche nelle valutazioni delle performance individuali per stimolare lo spirito di collaborazione. Ad esempio se gli obiettivi individuali sono definiti includendo il 30-40% degli obiettivi generali, si potranno evitare sistemi che spingono i singoli dirigenti e operatori a raggiungere obiettivi individuali anche a danno degli obiettivi generali. L’incentivazione individuale è importante, ma se essa provoca un’eccessiva competizione interna, le amministrazioni rischiano di essere spinte verso situazioni che i matematici definiscono di “ottimi parziali che non corrispondono all’ottimo generale” del sistema aziendale. Ciò contrasta con l’esigenza della società di avere un’amministrazione efficiente e funzionale nel suo complesso e non in settori e funzioni particolari. Su questo tema sono stati presentati contributi che hanno sottolineato un altro aspetto che oggi appare rilevante: il concetto di perfomance va sempre più declinato in termini di misurazione della soddisfazione dei “destinatari, degli utenti finali dell’azione amministrativa”. Molti enti utilizzano indicatori di efficienza interna, un numero più limitato utilizza strumenti per la valutazione della qualità delle prestazioni dei servizi, mentre un numero ancor troppo limitato si spinge allo stadio equivalente alla customer satisfaction delle imprese che operano sul mercato. Sono stati peraltro sottolineati i rischi che varie metodologie di citizen satisfaction possono determinare, ad esempio le famose macchinette introdotte dal ministro Brunetta con le quali il cittadino poteva esprimere la sua soddisfazione/non soddisfazione per il servizio ricevuto. Applicando il principio, poco etico ma molto pratico, molte amministrazioni hanno incaricato alcuni dipendenti o persone amiche di premere con una certa frequenza il bottone della soddisfazione rendendo poco significativi i risultati delle rilevazioni. Allo stesso modo i risultati di questionari di vario tipo, utilizzati da servizi sociali di enti locali o da strutture sanitarie, sono condizionati dal momento della somministrazione e anche da certe “distorsioni strutturali”. È noto, infatti, che nel nostro paese, sono presenti due tendenze: - quella di essere molto critici nei confronti di tutto ciò che è pubblico anche quando le disfunzioni dipendono da comportamenti degli stessi individui che criticano le amministrazioni o da imprese private che gestiscono i servizi per conto delle stesse; - quella contraria di valutare positivamente le amministrazioni con le quali vi è un’affinità di carattere politico o ideologico, tendenza questa peraltro in netta diminuzione. Un terzo filone ha riguardato i sistemi di accountability per la qualità e la trasparenza delle informazioni e delle azioni. In questa sessione è stata 177 Azienda Pubblica 2.2010 Editoriale sottolineata soprattutto l’importanza di chiarire in modo preciso i destinatari delle informazioni. Infatti, affinate metodologie di rilevazione contabile ed extra contabile e la disponibilità di potenti tecnologie informatiche consentono di raccogliere ed elaborare una quantità enorme di informazioni utili sia per la gestione interna sia per la comunicazione esterna. I punti critici sembrano essere quelli della “convenienza” dei vari soggetti a comunicare le informazioni e la “capacità” di utilizzare le stesse. Sono ormai numerose nel nostro paese ma anche nelle realtà più avanzate, quali Nuova Zelanda, Regno Unito, Canada, ecc., le esperienze di bilanci inviati alle famiglie in forma semplificata e facilmente comprensibile, e di “bilanci sociali” ossia che completano le informazioni economico-finanziarie con quelle sulla qualità dei servizi e sugli effetti positivi o negativi per la società. Tuttavia in molte di queste esperienze è stata rilevata una limitata utilizzazione dei dati ai fini di promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. Si può dire che oggi anche nelle amministrazioni vi è un’ampia disponibilità di informazioni, mentre sono meno diffuse le capacità di “selezionare” le informazioni più significative e di trarne le conseguenze in termini decisionali sia all’interno che da parte di soggetti esterni. Quindi gli sforzi maggiori dovranno essere concentrati sullo sviluppo di processi idonei a rendere la trasparenza e la qualità dell’informazione fattori di reale cambiamento. Un quarto filone ha riguardato le modalità di erogazione dei servizi. I contributi si sono concentrati sulle diverse forme giuridiche, gestionali e organizzative adottate per la produzione e l’erogazione dei servizi di pubblica utilità. Su questo fronte preme sottolineare che le scelte dovrebbero tener conto dei seguenti principali aspetti: a) evitare che la costituzione di enti funzionali, agenzie e imprese a controllo pubblico (maggioritario e di minoranza) sia utilizzata come escamotage per superare vincoli di vario tipo quali il patto di stabilità interna o i vincoli sulle remunerazioni dei manager pubblici; b) ridurre il rischio che l’obiettivo positivo di perseguire una “gestione più imprenditoriale” di servizi pubblici sia annullato dall’effetto negativo di un’eccessiva frammentazione che impedisce di coordinare le politiche e gli interventi adottati da comuni, province, regioni e dalle loro aziende autonome; c) predisporre metodi e tecniche per realizzare bilanci consolidati “del gruppo pubblico”, operazione che implica la soluzione di complessi problemi tecnici quando si è in presenza di bilanci redatti secondo il principio della competenza finanziaria (per gli enti capogruppo) e competenze economicopatrimoniali per le imprese costituite in forma s.p.a. o s.r.l. Mentre i primi due aspetti riguardano soprattutto la sfera politica, e perfino quella etica, il terzo presenta complesse problematiche tecnico-contabili e di raccordo tra diversi sistemi informativi. Il dibattito è stato ricco e articolato Azienda Pubblica 2.2010 178 Editoriale sia su temi di carattere generale sia su aspetti più puntuali. Agli studiosi, come si è scritto all’inizio di questo editoriale, spetta ora la responsabilità di rendere le proprie conoscenze maggiormente operative sia per i propri studenti (al fine di promuovere una nuova cultura per le amministrazioni del futuro) sia nelle iniziative di formazione e nei progetti di ricerca e intervento e consulenza per le amministrazioni, al fine di produrre in tempi brevi il cambiamento richiesto dal Paese. Un impegno, questo, che proseguirà per gli studiosi che si confronteranno il 20 e 21 ottobre presso l’Università Bocconi nell’annuale convegno di AIDEA (Accademia Italiana di Economia Aziendale) sul tema “Amministrazioni pubbliche & non profit per un mercato responsabile e solidale”. Si può dire che il 2010 è per gli studiosi di economia aziendale applicata alle amministrazioni pubbliche l’anno del definitivo superamento della tradizionale separazione o contrapposizione tra sistema pubblico e sistema di mercato. 179 Azienda Pubblica 2.2010 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali * Pina Puntillo Ricercatrice di Economia Aziendale – Università della Calabria Paolo Tenuta Assegnista di Ricerca in Economia Aziendale – Università della Calabria Sommario: 1. Introduzione. 2. La dimensione finanziaria del management pubblico locale. 3. I principali modelli quantitativi predittivi del rischio finanziario. 4. Le determinanti del financial risk assessment da trattare come variabili esplicative nei modelli econometrici predittivi del rischio finanziario. 5. I rischi derivanti dai derivati. 6. I rischi derivanti dai debiti fuori bilancio 7. I debiti fuori bilancio e i derivati: un’analisi quantitativa. 8. La teoria della diversificazione del portafoglio finanziario per gli enti locali. Fino agli anni Novanta dello scorso secolo la gestione finanziaria degli enti locali poteva definirsi di tipo passivo, in quanto la certezza e la stabilità delle entrate pubbliche locali, costituite prevalentemente da trasferimenti erariali, lasciavano poco spazio all’analisi del fabbisogno finanziario e delle fonti di copertura. Le riforme degli anni novanta (culminate nella modifica del titolo V della Costituzione) hanno modificato l’assetto economico-finanziario degli enti locali affermando il principio dell’autonomia finanziaria per tutti i livelli di governo per garantire la copertura delle funzioni pubbliche loro attribuite, a seguito dell’attuazione dei principi di sussidiarietà. Il sistema di finanza pubblica si sta pertanto evolvendo verso un modello decentrato caratterizzato dalla progressiva riduzione dei trasferimenti statali, dal superamento del criterio della spesa storica a favore del criterio della spesa attesa per i livelli essenziali di assistenza e di prestazioni, e dal peso sempre maggiore che avranno le risorse proprie e la capacità di trovare fonti di finanziamento diversificate. La disciplina meno garantista e il modello di finanza autonoma impongono pertanto agli enti locali di sviluppare una maggiore “sensibilità al rischio”, e di individuare una metodologia appropriata di financial risk assessment. Scopo del presente lavoro è individuare e analizzare le principali tipologie di rischio delle quali occorre tener conto nella definizione di un modello di valutazione del rischio finanziario degli enti locali. Until the nineties of last century, the financial management of local authorities could be called passive type, since the certainty and the stability of local government revenue, consisting mainly transfers from revenue, leaving little room for analysis of financial needs and sources of coverage. The reforms of the nineties (which culminated in the amendment of Title V of the Constitution) have changed the economic and financial structure of local affirming the principle of financial for all levels of government to ensure coverage of public functions devolved upon them, following the implementation of the principles of subsidiary. The system of public finance is therefore moving towards a decentralized model characterized by the progressive reduction of transfers state, more than the criterion of historical expenditure for the expenditure criterion waiting for essential levels of assistance and benefits, and weight increased resources that will and their ability to find diverse sources of funding. Discipline less guaranteed and the model of self-finance necessary therefore to local to develop a greater “risk sensitivity”, and to identify an appropriate methodology of financial risk assessment. The purpose of this study is to identify and analyze the main types of risk which must be taken into account in formulating a model of financial risk assessment of local authorities. L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare e programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università di Salerno – Università degli Studi del Sannio, giugno 2008. * Sebbene sia frutto di uno studio congiunto i paragrafi 1, 2, 3, 4 e 8, sono attribuibili a Pina Puntillo e i paragrafi 5, 6 e 7 a Paolo Tenuta. Parole chiave: financial risk assessment – enti locali Key words: financial risk assessment – local government 181 Azienda Pubblica 2.2010 Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Saggi 1. Introduzione Il presente studio si focalizza sugli strumenti che possono offrire un valido supporto alla previsione di difficoltà e crisi finanziarie degli enti locali. A tale scopo verrà analizzato il tema del risk measurement, focalizzato sullo sviluppo di un insieme di misure finalizzate a individuare il livello di performance soggetta a rischio. Dopo una attività preliminare di review delle disposizioni normative dell’ultimo ventennio in materia di finanza locale, tesa ad individuare i parametri ritenuti più eloquenti in sede di previsione di situazioni di disequilibri finanziari, si analizzeranno i fattori di rischio finanziario per gli enti locali generati da indicatori di bilancio e dalle decisioni di natura strategica ed operativa connesse alla gestione finanziaria dell’ente. Tali fattori di rischio costituiscono le variabili esplicative da inserire nei modelli quantitativi di stima del rischio di insolvenza. 2. La dimensione finanziaria del management pubblico locale Fino agli anni Novanta dello scorso secolo la gestione finanziaria degli enti locali poteva definirsi di tipo passivo, in quanto la certezza e la stabilità delle entrate pubbliche locali, costituite prevalentemente da trasferimenti erariali, lasciavano poco spazio all’analisi del fabbisogno finanziario e delle fonti di copertura. Nel sistema di finanza pubblica derivata i trasferimenti statali e i finanziamenti della Cassa depositi e prestiti venivano infatti erogati e concessi a condizioni indifferenziate rispetto al grado di rischio dei singoli beneficiari (Mori, 2001: pp. 485-501), alimentando la convinzione che fosse superfluo valutare la meritevolezza di credito degli enti locali in quanto soggetti poco rischiosi se non addirittura privi di rischio creditizio. Questo clima ha, di fatto, impedito l’instaurarsi di una “cultura del rischio” accanto alla “cultura del risultato” che va sempre più consolidandosi. Le riforme degli anni Novanta (culminate nella modifica del titolo V della Costituzione) hanno modificato l’assetto economico-finanziario degli enti locali affermando il principio dell’autonomia finanziaria per tutti i livelli di governo per garantire la copertura delle funzioni pubbliche loro attribuite a seguito dell’attuazione dei principi di sussidarietà. Il sistema di finanza pubblica si è pertanto evoluto verso un modello decentrato caratterizzato dalla progressiva riduzione dei trasferimenti statali, dal superamento del criterio della spesa storica a favore del criterio della spesa attesa per i livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni (Borgonovi, 2009: p. 15; Paoloni et al., 2007: pp. 577-615). In tale sistema avranno un peso sempre maggiore le risorse proprie e la capacità di trovare fonti di finanziamento diversificate mediante il ricorso al mercato dei capitali. Il sistema di finanza locale autonoma produce infatti effetti di responsabilizzazione con riguardo alla qualità delle scelte interne e di competizione fra enti (Borgonovi, 2005: p. 162). Azienda Pubblica 2.2010 182 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Il monitoraggio di tutto ciò che produce riflessi sull’assetto finanziario dell’ente diventa pertanto fondamentale per la sopravvivenza degli enti locali (Mele et al., 2005: p. 487). La disciplina meno garantista che si profila in materia di finanziamento impone pertanto agli enti locali di sviluppare una maggiore “sensibilità al rischio” (Speca, 2002: pp. 772-821), e di individuare una metodologia appropriata di financial risk assessment. Se l’azione di contrasto avverso disfunzioni, sprechi e illeciti a danno dei conti pubblici si è finora realizzata prevalentemente attraverso la repressione e l’applicazione di norme penali e amministrative, la prevenzione necessita invece di un disegno più articolato, da sviluppare su molteplici fronti con l’ausilio di competenze tecniche specialistiche e di strumenti quantitativi di analisi. È evidente che il monitoraggio del rischio finanziario non rientra nella fattispecie del controllo finanziario di competenza della Corte dei conti, controllo, quest’ultimo, che si risolve in un sindacato successivo ed esterno alla amministrazione, di natura imparziale e nella sua manifestazione in un referto. Il controllo finanziario appartiene al genus dei controlli di legittimitàregolarità di natura amministrativo-contabile: esso ha per oggetto la conformità della esposizione e della informazione finanziaria ai canoni di legge, regolamentari e ai principi contabili, ricavabili direttamente o indirettamente dalla normativa. Il controllo finanziario ha quale esito una valutazione in termini di correttezza, attendibilità, chiarezza e trasparenza; in particolare si estrinseca in un giudizio di corretta rispondenza dei fatti amministrativi e gestori di un certo periodo temporale (generalmente l’anno solare) alla loro illustrazione nelle scritture contabili ufficiali. Diversamente il monitoraggio del rischio finanziario non è un’attività di natura amministrativa che ha per oggetto la verifica della legittimità e/o conformità dell’azione di governo alla normativa giuscontabilistica. Il rischio finanziario è definito come la possibilità che un intermediario non adempia puntualmente la propria obbligazione finanziaria, e si presenta come un problema dei sistemi evoluti. Esso può riferirsi alla incapacità assoluta di adempiere (rischio di credito), oppure temporanea (rischio di liquidità); può inoltre riguardare la posizione debitoria maturata nei confronti di una controparte (rischio di controparte) o del sistema (rischio di regolamento). Il processo di analisi dei rischi, generalmente denominato risk assessment, può essere articolato in tre fasi: • identificazione dei rischi; • analisi e valutazione dei rischi; • allocazione dei rischi. L’attività di risk assessment consiste, quindi, nell’identificare, selezionare, misurare e gestire i fattori di rischio (Martiniello, 2005: pp. 678-689). L’identificazione e la classificazione delle fonti di rischi è quindi 183 Azienda Pubblica 2.2010 Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Saggi indispensabile per la loro corretta gestione. Al fine di individuare una metodologia appropriata di risk assessment può essere opportuno osservare i sistemi adottati dagli organismi operanti sul mercato dei capitali per accertare la solvibilità degli enti debitori. I rating delle agenzie specializzate costituiscono da tempo un importante strumento per gli investitori, soprattutto nei Paesi in cui il mercato dei capitali rappresenta un ampio canale di finanziamento per le imprese. Il principale motore alla base dei giudizi di rating risiede certamente nell’analisi della situazione economica e finanziaria della società (Cannata, 2001: pp. 37 e ss.). Le stesse agenzie di rating sottolineano la centralità che i dati bilancio rivestono nella valutazione dell’affidabilità complessiva di un’azienda; d’altra parte gli studi condotti sull’argomento hanno dimostrato l’esistenza di relazioni significative tra rating e variabili quantitative. Pur nella consapevolezza che la metodologia di analisi che le società specializzate seguono nell’attribuzione dei giudizi si presenta come una combinazione di valutazioni quantitative e qualitative, non tutte catturabili da algoritmi matematici, l’analisi quantitativa costituisce una fase di assoluta centralità. Evidentemente anche nella valutazione del rischio finanziario di un ente locale hanno un peso rilevante sia variabili economico-finanziarie, sia variabili politiche. L’analisi delle variabili economiche-finanziarie tuttavia è più oggettiva in quanto poggia direttamente sulle informazioni di bilancio. (1) L’attendibilità di tali dati costituisce condizione necessaria (anche se non sufficiente) per la validità dei modelli quantitativi predittivi del rischio finanziario. Assumono, in tal senso, particolare rilievo il Postulato della veridicità ed attendibilità del sistema di bilancio, ed il Principio contabile n.1 “Programmazione e previsione nel sistema di bilancio”, (2) emanati dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, istituito presso il Ministero dell’interno, laddove sottolineano, rispettivamente, che per essere utili le informazioni devono essere attendibili, e l’importanza di una consapevole e seria attività di programmazione. Come sottolinea, infatti, l’autorevole dottrina, la programmazione serve a razionalizzare il processo decisionale in condizioni di incertezza (Farneti, 2009, p. 277). Subentrano inoltre fattori esterni riconducibili a variabili macroeconomiche 1 Numerosi sono in dottrina gli studi sugli indicatori negli enti locali. Fra gli altri si vedano Farneti G., Padovani E., Il check-up dell’ente locale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2003; M. Bellesia, Enti locali. Analisi di bilancio, Milano, Ipsoa, 1998; L. Gallo, M. Simonetto, Gli indicatori di bilancio per l’ente locale, Rimini, Maggioli Editore, 2004; A. Ziriuolo, Il supporto informativo – contabile degli enti locali nel processo di programmazione e controllo, Torino, Giappichelli, 2000; Farneti G., Mazzara L., Savioli G., Il sistema degli indicatori negli enti locali, Torino, Giappichelli Editore, 1996; Mulazzani M., Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, vol. II, Padova, Cedam, 2006; Mazzoleni M., L’analisi di bilancio negli enti pubblici territoriali, in Azienda Pubblica, n. 2/1989; Puntillo P., Gli indicatori per l’analisi della dinamica finanziaria degli enti locali, Milano, Franco Angeli, 2007. 2 Per approfondimenti si veda Farneti G., 2009, Il principio contabile n. 1. La programmazione nel sistema di bilancio, in Azienditalia, vol. 16, fasc. 6 – Supplemento. Azienda Pubblica 2.2010 184 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali e congiunturali. Anche nelle aziende profit oriented l’attribuzione del rating finale dipende dallo stato di salute economico-finanziaria opportunamente rettificato in funzione dei rischi ambientali e politici (Ferrara, 2003: pp. 89). Di conseguenza il financial risk assessment non è una procedura di natura statica ma dinamica, che si evolve in funzione di fattori endogeni, quali la situazione economica e finanziaria dell’ente, la sua struttura organizzativa, l’assetto socio-economico del territorio in cui l’ente opera, e di fattori esogeni, quali il quadro economico e istituzionale nazionale (Scaramucci, 2005: pp. 245). La richiesta di assegnazione del rating è un’operazione comunque costosa alla quale gli enti ricorrono, generalmente, in occasione dell’emissione di prestiti obbligazionari (Piscino, 2004: p. 109). Generalmente gli enti locali non possiedono al loro interno le competenze tecniche idonee ad analizzare in termini prospettici, attraverso elaborazioni particolarmente sofisticate, il proprio assetto finanziario al fine di valutare la propria solvibilità. Tuttavia lo scenario che va prefigurandosi con la piena attuazione del federalismo fiscale impone un’attenta valutazione del rischio di insolvenza e l’utilizzo di modelli idonei allo scopo. Dato lo stato attuale della finanza pubblica, assumono pertanto rilevanza i modelli quantitativi predittivi del rischio di insolvenza delle aziende pubbliche. La capacità di individuare prontamente una potenziale situazione di crisi, consente, infatti, l’adozione di efficaci misure correttive. Generalmente le variabili quantitative utilizzate in tali modelli sono rappresentate da dati di natura sia contabile che extracontabile. Partendo da queste premesse nel prosieguo del lavoro saranno esaminati da un punto di vista teorico i modelli predittivi del rischio finanziario, e successivamente le principali tipologie di fonti di rischio finanziario che i modelli predittivi devono catturare, e che da un punto di vista metodologico rappresentano le variabili esplicative dei modelli. 3. I principali modelli quantitativi predittivi del rischio finanziario Dato il contesto appena illustrato, si propone l’utilizzo di modelli quantitativi al fine di identificare tempestivamente i rischi di insolvenza. Si percepisce chiaramente l’importanza di utilizzare modelli quantitativi, in grado di rilevare una situazione di crisi in modo rapido e oggettivo. Le stesse autorità di vigilanza, variamente intese, hanno sempre avvertito l’esigenza di servirsi di strumenti in grado di evidenziare la fragilità finanziaria delle imprese, al fine di prevedere l’evoluzione delle sofferenze e quindi monitorare la stabilità del sistema economico. In questo studio si illustrano brevemente alcune delle principali tecniche di analisi econometrica impiegate per stimare il rischio di insolvenza delle aziende, le ipotesi che devono essere esplicitate nei modelli, e il ruolo delle 185 Azienda Pubblica 2.2010 Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Saggi variabili esplicative da utilizzare. (3) Questi ultimi due aspetti, congiuntamente al profilo metodologico, sono importanti affinché il modello di stima abbia efficacia predittiva. Gli obiettivi dei modelli predittivi del rischio di insolvenza nelle aziende certamente sono correlati alle analisi per indici e per flussi, storiche e prospettiche, che tipicamente sono impiegate allo scopo di rilevare tempestivamente situazioni di crisi prima della loro manifestazione evidente. La ratio dell’impiego di tali tecniche di analisi è ravvisabile nel fatto che situazioni di crisi, interne o esterne, inevitabilmente determinano dei riflessi sui valori di bilancio. (4) Il valore aggiunto dei modelli di stima del rischio di insolvenza, in quanto modelli econometrici, rispetto alle analisi di bilancio, è rappresentato dalla capacità di astrarre un giudizio sintetico sulla singola azienda mediante un sistema di equazioni che connette la misurazione del fenomeno che si intende spiegare ai valori assunti da una serie di variabili che, secondo la teoria economica, misurano il fenomeno oggetto di indagine. Quando il modello economico prende la forma di relazioni matematiche, è possibile utilizzare i dati disponibili sul fenomeno studiato per verificare la rispondenza del modello stesso alla realtà osservata. I modelli predittivi costituiscono un’applicazione dei modelli di regressione che non verifica la stima degli effetti causali, ma la probabilità che un evento si verifichi. Si tratta di modelli di regressione che forniscono previsioni, anche se i loro coefficienti non hanno un’interpretazione causale. I modelli predittivi utilizzano le serie temporali per prevedere eventi futuri (Stock, Watson, 2005, p. 422). L’efficacia di un modello di previsione delle insolvenze è direttamente proporzionale all’accuratezza metodologica dell’analista, sia nella scelta della tecnica statistica (compresa la definizione del campione di stima) che nella selezione delle variabili esplicative (dette anche regressori). Fra i diversi modelli che la letteratura propone per individuare la crisi aziendale (5) in questo studio si sostiene la validità dei modelli di regressione con variabile dipendente binaria. La regressione con variabile dipendente 3 Variabile è una proprietà di cui sia stata data una definizione operativa, permettendo cosi di trasformare una serie di situazioni reali (stati) in una serie di dati vettore (Marradi, 1993, p.10). 4 Sulle potenzialità informative dell’analisi di bilancio si veda Montrone A., Elementi di metodologie e determinazioni quantitative d’azienda, Milano, Franco Angeli, 2002; Montrone A., Il sistema delle analisi di bilancio per la valutazione dell’impresa, Milano, Franco Angeli, 2005; Brunetti G., Coda V., Favotto F., Analisi, previsioni, simulazioni economico-finanziarie d’impresa, Milano, EtasLibri, 1990. 5 Le principali tecniche utilizzate a tal riguardo sono: 1. l’analisi univariata, tecnica molto semplice che classifica un’azienda come “sana” se il valore assunto da un indice di bilancio è superiore ad un valore critico, detto punto di cut off, determinato opportunamente; al contrario l’azienda viene considerata problematica se l’indice individuato è inferiore al punto di cut off. 2. Modelli di scoring soggettivi, caratterizzati dall’individuazione di un indice composto, in grado di ponderare, sulla base delle valutazioni dell’analista, diversi indicatori di rischio. 3. Probability linear model. 4. Logit model; Probit model. Questi ultimi tre modelli, di tipo econometrico, saranno descritti nel testo. Per approfondimenti si veda R. Barontini, La valutazione del rischio di credito. I modelli di previsione delle insolvenze, Bologna, Il Mulino, 2000. Azienda Pubblica 2.2010 186 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali binaria consente di interpretare la regressione come un modello della probabilità che la variabile dipendente sia uguale a uno. In altri termini la Y è una variabile dummy o dicotoma (nel senso che assume soltanto due valori, 1 oppure 0). Il modello di regressione più semplice utilizzabile, quando la variabile dipendente è binaria, è il modello lineare di probabilità. Lineare perché è una retta, e modello di probabilità perché modella la probabilità che la variabile dipendente sia uguale a uno. Siccome la variabile dipendente Y è binaria, la funzione di regressione della popolazione corrisponde alla probabilità che la variabile dipendente sia uguale a 1, data X. Il coefficiente β1 associato ad un regressore X è la variazione nella probabilità che Y = 1 associata ad una variazione unitaria in X. La formula del modello lineare di probabilità è quella del modello di regressione lineare multipla. Yi = β0 + β1X1i + β2X2i +…. + βkXki + ui; dove Yi è binaria, cosicché Pr(Y = 1|X1;X2;…. ;Xk) = β0 + β1X1i + β2X2i +…. + βkXki + ui La linearità che rende il modello lineare di probabilità facile da usare è anche il suo maggior difetto. Questi modelli presentano infatti problemi di inferenza, e le assunzioni di normalità/omoschedasticità degli errori sono violate (cioè i residui sono dicotomi e eteroschedastici). Per affrontare questi problemi sono più adatti i modelli non lineari specificamente disegnati per variabili dipendenti binarie: i modelli di regressione probit e logit. In altri termini la relazione tra la probabilità che l’evento si verifichi e le variabili esplicative è, nella maggior parte dei casi, non lineare. Per tale ragione si ricorre a funzioni di distribuzione cumulata logistica (nei modelli logit) o normale (nei modelli probit). Siccome una regressione con una variabile dipendente Y binaria modella la probabilità che Y = 1, è ragionevole adottare una formulazione non lineare che costringa i valori predetti ad assumere valori tra zero e uno. Nelle regressioni logit e probit si utilizzano pertanto le funzioni di ripartizione (c.d.f., acronimo dall’inglese cumulative distribution function), poiché producono probabilità tra zero e uno: la funzione di ripartizione normale standard per la regressione probit; la c.d.f. logistica per la regressione logit, anche detta regressione logistica. Il modello di regressione probit con regressori multipli assume la seguente forma: Pr(Y = 1|X1,X2, ……Xk) = Ф (β0 + β1X1 + β2X2 +…. + βkXki) 187 Azienda Pubblica 2.2010 Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Saggi Dove Ф è la funzione di ripartizione normale standard. Se β è positivo, allora un aumento di X fa aumentare la probabilità che Y = 1. Se β è negativo allora un aumento di X fa diminuire la probabilità che Y = 1. Il modello di regressione logit con regressori multipli assume la seguente forma: Pr(Y = 1|X1,X2, ……Xk) = F (β0 + β1X1 + β2X2 +…. + βkXki) = = 1/ 1+e -(β0 + β1X1 + β 2X2 +…. + β kXki) Dove F è la funzione di ripartizione logistica standard. Se β è positivo, allora un aumento di X fa aumentare la probabilità che Y = 1. Se β è negativo, allora un aumento di X fa diminuire la probabilità che Y = 1. Le regressioni probit e logit producono frequentemente risultati simili. (6) Nell’analisi del rischio di insolvenza degli enti locali i modelli logit e probit possono essere utilmente impiegati, a parere di chi scrive, proprio perché consentono di stimare la probabilità che si verifichi una crisi, dati i valori assunti dalle variabili di bilancio, che costituiscono le variabili esplicative del modello (cioè le X). Lo scopo di questa ricerca è individuare quali sono le variabili esplicative, e quindi quali sono gli indici di bilancio, da inserire in un modello econometrico di stima del rischio di insolvenza. Lo sviluppo futuro di questo studio è rappresentato dall’applicazione empirica del modello econometrico su un campione stratificato. Dopo aver individuato gli enti locali che hanno dichiarato dissesto in un dato intervallo temporale, si selezionano in maniera random altrettanti enti locali che possono essere invece considerati “sani”, nel senso che rilevano una gestione finanziaria che non presenta caratteri di disequilibrio. Si misurano quindi i valori di bilancio degli enti individuati, che nel modello saranno pertanto i regressori, al fine di costruire la matrice su cui misurare la stima. La fase successiva sarà pertanto costituita dalla stima del modello (probit o logit) cioè dalla stima dei parametri incogniti; seguirà quindi la validazione del modello attraverso le opportune procedure di carattere statistico. L’impiego delle informazioni prodotte dalla contabilità per fini decisionali 6 Per approfondimenti sui modelli econometrici illustrati si rimanda a Stock J. H., Watson M.W., 2005. Azienda Pubblica 2.2010 188 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali richiede sempre un’attività di analisi e di interpretazione (Mussari R., 2003, p. 599). L’utilizzo dei modelli econometrici per la stima del rischio di insolvenza rende tale attività sicuramente più laboriosa e complessa, ma fornisce, tuttavia, risultati più attendibili in quanto le ipotesi testate sono desunte dall’evidenza empirica. Nel paragrafo che segue ci si focalizzerà, pertanto, sui fattori di rischio finanziario da considerare come variabili esplicative nei modelli econometrici di stima del rischio di insolvenza. 4. Le determinanti del financial risk assessment da trattare come variabili esplicative nei modelli econometrici predittivi del rischio finanziario La politica tributaria e tariffaria Nella valutazione del rischio finanziario degli enti locali le politiche, tributaria e tariffaria, si rilevano sotto due profili. Innanzitutto la presenza di ingenti entrate tributarie e tariffarie indica che l’ente locale è dotato di flessibilità finanziaria per far fronte ad eventuali pressioni di bilancio. Poiché l’accertamento e la riscossione sono due fasi giuridiche distinte dell’iter di acquisizione delle entrate, assumono inoltre importanza le modalità e i tempi della riscossione. La regolarità delle riscossioni è infatti un elemento determinante della valutazione della qualità creditizia degli enti locali (Mussari, 2002: pp. 27-77). Un sistema di riscossione poco efficace genera residui attivi. Se i residui attivi non si trasformano in entrate di cassa in tempi ragionevoli generano residui passivi, e possono altresì inficiare il significato e il valore del risultato di amministrazione. A tal proposito si rileva che, secondo il Principio contabile n. 2 Gestione nel sistema di bilancio emanato dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, i funzionari incaricati della gestione delle entrate sono responsabili della sana e corretta riscossione delle potenziali entrate loro affidate, e sono direttamente responsabili delle omissioni che potrebbero causare danni all’ente. La riforma autonomistica degli enti territoriali è approdata al riconoscimento e alla valorizzazione della loro potestà regolamentare con riferimento alla gestione delle entrate. Ciò implica che gli enti locali possono provvedere alla riscossione diretta delle proprie entrate tributarie oppure possono rivolgersi ad un agente della riscossione. Nel primo caso la responsabilità diretta della riscossione produce effetti sul grado di prevedibilità dei flussi di cassa in entrata, (Carnevale, 2001: pp. 39-343) ma anche implicazioni di carattere organizzativo (predisposizione di procedure, personale, logistica), e eventuali costi legati alle procedure coattive. Nello specifico per i crediti non riscossi l’ente potrà valutare la 189 Azienda Pubblica 2.2010 Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Saggi convenienza a procedere ad una riscossione coattiva oppure cedere il proprio credito tributario. (7) Attraverso l’istituto del factoring gli enti locali possono effettuare la cessione dei crediti a terzi abilitati. Complessivamente per l’ente locale i vantaggi del factoring sono così sintetizzabili (Piscino, 2005): • riduzione del rischio di insolvenza; • economie di contenzioso; • semplificazione operativa della gestione contabile; • semplificazione della fase della riscossione; • miglioramento del coefficiente di liquidità, • riduzione del fabbisogno di capitale di credito; • riduzione del ciclo di rotazione del capitale circolante; • miglioramento delle capacità di programmazione finanziaria. Il ricorso ad un agente della riscossione comporta invece costi legati al servizio, ma evita i costi connessi alla riscossione coattiva. È evidente che l’ente dovrà fare una corretta analisi costi/benefici in entrambi i casi. Ne deriva che nel modello econometrico tra le variabili esplicative si devono includere l’indice di autonomia finanziaria e la velocità di riscossione delle entrate proprie. La situazione debitoria L’entità e la struttura del debito contratto dagli enti locali e le risorse di bilancio a copertura del rimborso del debito sono fra i parametri più importanti tra quelli presi in considerazione per l’analisi del rischio finanziario degli enti locali. L’analisi del grado di indebitamento consente infatti di verificare il complessivo profilo di rischio in relazione al grado di dipendenza dalle fonti di finanziamento esterne. A parità di altre condizioni, un elevato livello di indebitamento rispetto alle entrate di natura corrente implica un maggior livello di rischio, per la maggiore rigidità che imprime al bilancio dell’ente, e per le maggiori probabilità di dover ricorrere ad un rinnovo del prestito. L’esposizione debitoria comprende: tutto il debito a breve (8) e a lungo 7 I crediti sono attività finanziare caratterizzate da un differente grado di incertezza sull’an e sul quantum, a causa della probabile insolvenza del debitore. La loro monetizzazione comporta la necessità di calcolare il valore attuale del credito stesso. Il factoring si pone come operazione di finanziamento in quanto l’ente acquisisce, prima della scadenza, il valore attuale dei crediti ceduti, ossia l’ammontare al netto delle commissioni del factor; esso rappresenta inoltre una sorta di assicurazione sui crediti stessi, in quanto per l’ente locale l’operazione deve avvenire con clausola pro soluto, il che comporta l’assunzione da parte del factor del rischio di insolvenza del debitore. Questo aspetto rappresenta il principale vantaggio di tale operazione per gli enti locali, e che lo identifica come un sistema di riscossione migliore rispetto per esempio ai ruoli ex d.P.R. 602/1973. 8 Sebbene il legislatore abbia precisato che non costituiscono indebitamento le operazioni che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare spese per le quali è già prevista idonea copertura di bilancio (per es. aperture di credito nelle more di alienazioni patrimoniali e anticipazioni di cassa del Tesoriere), ai fini dell’analisi Azienda Pubblica 2.2010 190 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali termine dell’ente locale; le obbligazioni di debito emesse dall’ente locale per conto di aziende controllate, oppure emesse dalle aziende controllate stesse anche in assenza di garanzie da parte dell’ente locale; il debito garantito dall’ente locale; gli strumenti assimilabili a debito, come i leasing finanziari, le operazioni di partnership pubblico-privato (public-private partnership o PPP) e le operazioni di cartolarizzazione. (9) Il livello di indebitamento deve essere posto in relazione con gli indici relativi alla capacità di rimborso, e l’esposizione all’indebitamento a breve termine e a tasso variabile. Il ricorso a questo tipo di indebitamento richiede di prendere in considerazione i rischi di rifinanziamento e di accesso al mercato, e comporta inoltre la necessità di valutare l’esposizione dell’emittente al rischio del tasso d’interesse e la sua capacità di adeguamento a variazioni sfavorevoli dei tassi. Maggiore è la componente di indebitamento a breve termine e a tasso variabile, superiore è il grado di incertezza sui costi futuri; e quindi sull’adeguatezza del flusso di entrate alla copertura del servizio del debito. Il tasso fisso comporta un elevato rischio di natura economica legato alla possibilità di sostenere costi superiori a quelli di mercato, i tassi variabili comportano invece rischi per gli equilibri di bilancio di parte corrente negli esercizi in cui si registrano gli aumenti. Infatti, un aumento della spesa per interessi passivi non previsto, e quindi non stanziato in bilancio, determina un aumento delle spese correnti, che se non coperto dall’aumento delle entrate correnti o dalla riduzione di un’altra spesa corrente per un uguale ammontare, determina un disequilibrio di parte corrente. Anche il rischio di cambio generato da posizioni debitorie in valuta estera deve essere opportunamente valutato. Il debito in valuta estera, sebbene non costituisca necessariamente un aspetto negativo dal punto di vista creditizio, espone gli enti locali al rischio di cambio, e quindi a potenziali variazioni nel servizio del debito. A parità di altre condizioni, gli enti locali con un’ampia percentuale di debito in valuta estera risultano esposti a rischi maggiori nella copertura del servizio del debito qualora si verifichino shock negativi di origine esterna o interna, come un aumento dei tassi d’interesse a livello internazionale o brusche oscillazioni dei tassi di cambio. Fra i diversi strumenti di debito a cui possono ricorrere gli enti locali, il mutuo rimane la forma di finanziamento prevalente per gli investimenti (Coppola et al., 2005: pp. 66-89). A tal proposito si osserva che la sensibilità degli oneri passivi calcolati sul debito pregresso, è funzione dell’ammontare dei mutui contratti a tasso variabile e della tipologia del piano di ammortamento scelto. La combinazione tra peso dei mutui indicizzati e variazione dell’andamento dei tassi, del rischio finanziario devono essere ricomprese fra i debiti anche le aperture di credito temporanee e le anticipazioni di cassa, in quanto generano interessi passivi che necessitano di opportuna copertura finanziaria. 9 La definizione degli swap come soli strumenti di “gestione” del debito è riconfermata dal fatto che in nessuna delle norme in materia di indebitamento si fa menzione degli strumenti derivati, i quali non sono pertanto configurabili come operazioni di indebitamento. 191 Azienda Pubblica 2.2010 Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Saggi determina perciò un diverso impatto sul limite di indebitamento. Fra gli strumenti di debito si annoverano le operazioni di cartolarizzazione, mediante le quali l’ente locale può ridurre/trasferire alcuni rischi modificando la struttura del proprio attivo di bilancio. Le operazioni di cartolarizzazione ai fini della valutazione del grado di rischiosità sono valutate in termini prudenziali. Le agenzie di rating a tal proposito, infatti considerano i debiti della società veicolo che fa da tramite per la cartolarizzazione come se fossero passività dell’ente locale. Sempre in tema di politiche dell’indebitamento rileva la c.d. gestione attiva dell’indebitamento (Liability Management). Per gestione attiva dell’indebitamento si intende quell’insieme di operazioni attraverso cui l’ente locale modifica le proprie posizioni debitorie e, tramite il cambiamento di alcune o di tutte le condizioni cui le stesse erano state contratte, riesce ad avvantaggiarsi delle particolari condizioni presenti sul mercato per raggiungere un beneficio economico che libera risorse in bilancio ed apporta liquidità aggiuntiva (Speca, 2002: pp. 772-821). Gli obiettivi che si vogliono perseguire tramite una gestione attiva sono pertanto: ottimizzare il costo dell’indebitamento; minimizzare i rischi ad esso connessi. Gli strumenti di ristrutturazione del debito tradizionali (che riguardano il solo debito residuo) sono la rinegoziazione e l’estinzione anticipata; entrambi hanno una diversa disciplina a seconda che siano riferibili ai mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti (Cassa dd.pp.), o ai mutui contratti con istituti di credito ordinari. Gli strumenti innovativi (che si estendono al debito da attivare nell’immediato futuro) sono rappresentati da prodotti derivati, tra cui rientrano gli swap, (10) le cartolarizzazioni, e il project financing. Sono tipiche operazioni di ristrutturazione del debito pregresso la conversione dei mutui contratti collocando titoli obbligazionari di nuova emissione o rinegoziando le condizioni dei mutui esistenti. Sebbene si tratti di operazioni realizzabili solo a condizione che comportino una convenienza economica per gli enti stessi, esse presentano due tipologie di criticità: 1) non è prevista una quantificazione del livello minimo di convenienza economica che possa giustificare l’operazione di ristrutturazione (per cui è praticabile anche un’operazione che preveda, ad esempio, un risparmio di un euro); 2) l’immediata conseguenza del punto precedente è che, nel caso in cui l’operazione di ristrutturazione comporti una trasposizione consistente nel tempo della scadenza del debito attuale, ciò possa comportare un conseguente trasferimento dell’onere di estinzione alle generazioni future. La gestione attiva dell’indebitamento assume particolare rilievo se buona parte delle fonti di finanziamento esterno dell’ente sono ancorate a tassi di interesse variabili. In tal caso infatti le oscillazioni del mercato dei tassi di interesse avranno non poche ripercussioni sui bilanci degli enti locali, con effetti positivi o negativi a seconda dell’andamento seguito dalla curva dei tassi di interesse. 10 Si rinvia al paragrafo 5. Azienda Pubblica 2.2010 192 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali La scelta fra tasso fisso e un tasso variabile presenta vantaggi e svantaggi in entrambi i casi (vedi sopra). Il calcolo della convenienza per l’una o per l’altra forma non è agevole per il fatto che mentre il tasso fisso è sempre confrontabile (si possono, infatti, conoscere e confrontare i tassi fissi applicati dalla Cassa depositi e prestiti o da istituti di credito privati), il tasso variabile non è omogeneo, perché calcolato in maniera diversa a seconda della tipologia di finanziamento considerata, e quindi, non è confrontabile. Nel modello econometrico tra le variabili esplicative si devono includere l’incidenza dei prestiti, l’incidenza degli interessi passivi e la rigidità della spesa per l’indebitamento. La gestione dei residui La gestione dei residui si pone certamente come fattore critico della gestione finanziaria degli enti locali. L’analisi dei residui attivi al fine di individuare i crediti esigibili, di dubbia esigibilità, e quelli inesigibili, unitamente all’analisi dei debiti contratti, è, infatti, di innegabile rilevanza. L’analisi puntuale delle posizioni creditorie e debitorie è fondamentale per ovviare ad irregolarità nella determinazione delle risultanze consuntive, e quindi ad una loro inattendibilità che porterebbe inevitabilmente a squilibri finanziari nelle gestioni future. È particolarmente importante che i residui attivi mantenuti in bilancio siano certi ed esigibili, in quanto si tratta di valori che vanno ad alimentare il risultato di amministrazione, e conseguentemente, se sovrastimati, producano l’effetto di gonfiare l’avanzo di amministrazione o di ridurre l’entità del disavanzo, con evidenti ripercussioni sull’equilibrio di bilancio dell’esercizio successivo. Il monitoraggio dei residui è fondamentale inoltre con riferimento alla natura del debito contratto, infatti, se i debiti sospesi dessero luogo ad interessi moratori, l’eccessivo allungamento dei tempi di smaltimento genererebbe costi finanziari e successive uscite che potrebbero minare l’equilibrio economico-finanziario dell’ente. Nel modello econometrico la gestione dei residui può essere sintetizzata utilizzando come variabili esplicative i seguenti indici: l’indice di efficienza delle procedure di spesa; l’indice di efficienza delle procedure di entrata; il tasso di smaltimento dei residui attivi; il tasso di smaltimento dei residui passivi. L’applicazione dell’avanzo di amministrazione La normativa in materia di applicazione dell’avanzo di amministrazione è abbastanza puntuale. Si distingue, infatti, la fase di applicazione dell’avanzo al bilancio da quella di utilizzo dello stesso o di attivazione delle spese con esso finanziate. (11) 11 Recenti disposizioni del legislatore hanno introdotto la possibilità di utilizzo dell’avan193 Azienda Pubblica 2.2010 Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Saggi È evidente, ai fini dell’analisi del rischio finanziario derivante dall’applicazione dell’avanzo, che i maggiori pericoli sono connessi all’attendibilità di tale posta contabile, e perciò ad errori nella valutazione e/o calcolo del risultato. L’attendibilità del risultato di amministrazione è strettamente connessa alla gestione dei residui, la quale è il frutto di una serie di operazioni soggette ad una certa discrezionalità, riconducibili alla mancata cancellazione di residui attivi di dubbia esigibilità, e di residui passivi caduti in prescrizione o per i quali non ci sono le ragioni giuridiche di mantenimento in bilancio. In tal senso un annacquamento dell’avanzo di amministrazione, causato da errori materiali nel calcolo del fondo cassa finale, o da errori di valutazione della esigibilità dei residui attivi e passivi, causerebbe squilibri finanziari a carico degli esercizi futuri. Una riduzione invece dell’avanzo, creerebbe delle riserve occulte, da non considerarsi ugualmente positive se non utilizzate. (12) Nel modello econometrico si può utilizzare l’incidenza dell’avanzo di amministrazione come variabile esplicativa che sintetizza il risultato della gestione finanziaria. 5. I rischi derivanti dai derivati Gli enti locali molto spesso effettuano operazioni con gli intermediari finanziari investendo in particolari strumenti di finanza innovativa, i “derivati” (nella maggioranza dei casi contratti swap). I derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende da variabili c.d. sottostanti. Tali variabili possono avere diversa natura: il valore di un derivato può dipendere, ad esempio, dal corso di un titolo, dal valore di mercato di un altro derivato ovvero di una merce, dall’andamento di un tasso di interesse o dalla quotazione di una valuta (Puddu, 2005: p. 44). Nati come strumenti di copertura di rischi (il rischio di cambio, quello del tasso d’interesse, il rischio di oscillazione dei prezzi, o il rischio di credito) legati ad una attività, ben presto sono diventati strumenti speculativi, volti a nascondere e traslare in avanti perdite di bilancio difficilmente fronteggiabili. (13) zo di amministrazione anche per l’estinzione anticipata di prestiti, (sia mutui che prestiti obbligazionari) oltre per la copertura di debiti fuori bilancio riconoscibili a norma del articolo 194 del Tuel. 12 Per approfondimenti sul risultato di amministrazione si veda Giovannelli L., Il sistema di bilancio come strumento di governo dell’ente locale, in Anselmi L., (a cura di) Principi e metodologie economico aziendali per gli enti locali. L’azienda comune, Milano, Giuffrè, 2005. 13 È possibile individuare quattro principali tipologie di derivati: • gli interest rate swap sono contratti attraverso i quali due soggetti si scambiano pagamenti periodici di interessi su un capitale di riferimento e per un periodo prestabilito. Di tali contratti la tipologia più conosciuta e semplice è denominata plain vanilla swap e prevede che una parte effettui pagamenti a tasso variabile e riceva pagamenti a tasso fisso per l’intera durata del contratto; • i contratti forward sono derivati che prevedono un accordo di comprare o vendere un’attività ad una certa data futura e ad un prezzo prestabilito; • i contratti futures sono anch’essi contratti a termine. Anche in questo caso vi è un acAzienda Pubblica 2.2010 194 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Concretamente l’operazione in derivati può svolgersi come di seguito indicato: • un ente locale con un indebitamento preminente a tasso fisso e previsioni di discesa dei tassi di interesse potrebbe stipulare uno swap “fisso contro variabile”. Il tasso fisso relativo all’indebitamento dell’ente sarà pagato dalla controparte dell’ente locale che, a sua volta, pagherà il tasso variabile sull’indebitamento contratto dalla controparte. Naturalmente se il tasso variabile pagato dall’ente risultasse inferiore a quello fisso pagato dalla controparte, l’ente locale otterrebbe un risparmio di oneri finanziari; • un ente locale con un indebitamento preminente a tasso variabile e previsioni di ascesa dei tassi di interesse potrebbe stipulare uno swap “variabile contro fisso” non essendo esposto, nel caso le previsioni dovessero avverarsi, ad un più elevato onere per interessi; • se un ente locale si è indebitato a tasso variabile, ma con una forma di indicizzazione poco conveniente potrebbe trovare beneficio nella stipulazione di uno swap “variabile contro variabile” che gli consente di modificare i parametri di indicizzazione cui è legato il proprio finanziamento; • un ente locale che detiene passività a tasso variabile e vuole porre un limite superiore all’onerosità per interessi cui è soggetto può acquistare un interest rate cap. Questo strumento derivato consente all’ente locale, qualora il tasso variabile crescesse al di sopra di un livello fisso predefinito, di contenere il costo dell’indebitamento che risulterebbe pari al predetto tasso fisso; il differenziale tra quest’ultimo ed il tasso variabile verrebbe in questo caso versato dal venditore del cap, ossia dalla controparte dell’ente locale nella transazione (Oriani, 2003). Ulteriori possibilità sono poi offerte da altri strumenti derivati quali opzioni, future, e così via. I derivati possono costituire, per gli enti locali italiani, un importante strumento di gestione finanziaria in quanto consentono di ottenere una maggiore diversificazione dei rischi, più flessibilità nella gestione del bilancio e una riduzione del servizio del debito. I ‘guadagni’ da derivati possono essere utilizzati, inoltre, per creare nel bilancio dell’ente dei fondi di riserva a protezione dalle fluttuazioni di mercato. Il problema principale rimane però quello dell’elevata esposizione alla volatilità dei tassi di interesse che, in un contesto di bilanci rigidi e non ancora strettamente correlati con l’economia, può compromettere gravemente la posizione finanziaria dell’ente locale. Da qui l’importanza, di una valutazione accorta del rischio che richiede cordo di comprare o vendere un’attività ad una data futura e ad un prezzo stabilito. La differenza rispetto ai contratti forward consiste nella negoziazione che avviene usualmente in borsa; • il contratto di opzione è una compravendita a termine in base alla quale una parte si riserva la possibilità di eseguire un acquisto o una vendita a termine in base alle condizioni che si verificheranno alla data stabilita, in cambio di un premio alla controparte (Tenuta 2008). 195 Azienda Pubblica 2.2010 Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Saggi un’analisi puntuale del contesto economico, della situazione di bilancio dell’ente e dell’impatto del derivato sul bilancio stesso. Nella realtà, inoltre, gli enti locali hanno spesso utilizzato gli strumenti derivati non per coprire rischi di tasso o di cambio, bensì per perseguire obiettivi di tipo speculativo, ovvero, più prosaicamente, per “fare cassa”. In questo modo diversi comuni, sia di grande che di piccola dimensione, hanno ottenuto liquidità immediata traslando il debito alla Giunta successiva. Ciò avviene di solito con il ricorso agli swap con opzioni corredate da premi di liquidità che consentono al sottoscrittore di ottenere risparmi immediati, in cambio di una perdita maggiore in caso di andamento negativo dei tassi d’interesse. È evidente che gli strumenti finanziari intesi sotto questa logica, servono a produrre benefici immediati ai quali corrispondono forti rischi di maggiori oneri futuri difficilmente quantificabili. Il rischio delle operazioni in derivati è quindi un rischio reale, e di ciò se ne è accorto anche il legislatore. Già la legge finanziaria del 2007 aveva previsto l’invio al Dipartimento del tesoro di tutti i contratti sottoscritti dagli enti locali, al fine di attuare un controllo preventivo sull’operazione prima della stipula. I contratti stipulati in violazione di questa norma devono essere inviati alla Corte dei conti per l’adozione dei provvedimenti necessari. I dati diffusi dal Dipartimento del tesoro, mostrano un fenomeno in crescita, del quale è perfino difficile capire la misura, e le motivazioni sono da ricercare nelle disposizioni antecedenti la legge finanziaria del 2008. Infatti, il mark to market, ovvero la perdita potenziale alla fine del contratto, non dava luogo a spesa nel triennio di programmazione, né a contabilizzazioni nel conto del bilancio, con rischi e perdite potenziali ignorate dai documenti di bilancio (Pozzoli, 2007). La finanziaria 2008 ha disciplinato il ricorso ai derivati predisponendo un doppio livello di trasparenza. Innanzitutto demanda ad un decreto del ministro dell’economia e delle finanze, da emanare sentite la Consob e la Banca d’Italia, il compito di indicare le informazioni che devono recare i contratti su strumenti finanziari, anche derivati, sottoscritti da regioni ed enti locali nonché il compito di specificare le indicazioni secondo le quali tali contratti devono essere redatti. Il Ministero dell’economia e delle finanze sarà quindi tenuto a verificare la conformità dei contratti ai modelli di cui al predetto decreto ministeriale. Inoltre stabilisce che la regione o l’ente locale sottoscrittore dello strumento finanziario deve attestare espressamente di aver preso piena considerazione dei rischi dello strumento proposto e delle caratteristiche dello strumento proposto, evidenziando in apposita nota allegata al bilancio gli oneri e gli impegni finanziari derivanti da tali attività. I contratti stipulati in violazione di quanto previsto saranno oggetto di comunicazione alla Corte dei conti per l’adozione dei provvedimenti di competenza. Inoltre, l’art. 62 del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, a voler ulteriormente indicare la pericolosità di tali strumenti, ha posto il divieto per gli enti locali di sottoscrivere derivati finché il Ministero dell’economia sentite la Banca d’Italia e la Consob non Azienda Pubblica 2.2010 196 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali provvederà ad individuare un regolamento da seguire nella sottoscrizione di tali strumenti (Tenuta, 2008). Tali disposizioni rappresentano un passo avanti sotto il profilo della conoscenza di quegli aspetti fondamentali delle operazioni in derivati, quali: il prezzo di estinzione (mark to market), i flussi differenziali generati a partire dalla stipula, i flussi potenziali previsti per i successivi tre anni, il mark to market su base trimestrale, e una relazione sull’andamento dell’operazione (Pozzoli 2008). Inoltre, il Dipartimento del tesoro del Ministero dell’economia e delle finanze ha di recente emanato lo schema di regolamento ministeriale di attuazione dell’art. 62 del d.l. 112/2008, convertito nella legge 133/2008, come modificato dall’art. 3 della legge 203/2008. Lo sforzo riscontrabile nel regolamento suddetto è volto, già a partire dall’art. 1, a rendere più chiara e accessibile la disciplina dei derivati sia sul piano finanziario che su quello normativo. Da una parte, vengono elencate le quattro tipologie di derivati consentiti (IRS, FRA, cap, collar), dall’altra, viene esclusa la possibilità di “combinazioni di operazioni che consentono il passaggio da tasso fisso a variabile e viceversa al raggiungimento di una soglia predefinita o passato un tempo predefinito” e le “operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito”. È previsto, per la prima volta, l’obbligo di evidenziare la simulazione numerica dei processi stocastici utilizzati dalle banche. Inoltre, a maggior tutela delle pubbliche amministrazioni l’art. 5 del regolamento suddetto prevede la possibilità per l’ente di far valere alcune ipotesi di nullità del contratto stipulato (Benedetti, 2009). Nei modelli predittivi dovrebbero essere incluse fra le variabili esplicative l’incidenza delle perdite generate dalle operazioni in derivati. 6. I rischi derivanti dai debiti fuori bilancio Un altro fattore di rischio di natura finanziaria è certamente legato alla contrazione di debiti fuori bilancio. Quando l’ente non rispetta il procedimento di spesa discostandosi dai principi ordinamentali previsti a presidio della struttura del bilancio annuale, l’impegno erroneamente contratto prende il nome di debito fuori bilancio (Nobile, 2004). Si tratta di partite non legittimate dal bilancio che costituiscono una violazione dei principi di veridicità e universalità, costituite, come rileva l’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, da obbligazioni pecuniarie, relative al conseguimento di un fine pubblico, valide giuridicamente ma non perfezionate contabilmente. La normativa riguardante i debiti fuori bilancio è strettamente connessa a quella degli equilibri di bilancio. Il legislatore, in tal modo, ha voluto garantire il rispetto degli equilibri di bilancio dell’ente, non solo nella fase di previsione, quanto in tutta la fase di gestione fino alla chiusura dell’esercizio finanziario. Per tale motivo gli enti locali sono stati obbligati ad effettuare 197 Azienda Pubblica 2.2010 Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Saggi periodicamente e comunque almeno una volta all’anno, entro il 30 settembre, la verifica degli equilibri di bilancio, in modo da apportare i correttivi necessari. L’ente che, appurata la presenza di debiti fuori bilancio, non provvede al loro ripiano, si trova in una posizione che è equiparata alla mancata approvazione del bilancio di previsione e, inoltre, si trova impossibilitato ad assumere impegni e pagare spese per servizi non espressamente previsti per legge, escluse le spese i cui impegni risalgono ad esercizi precedenti. L’art. 194 Tuel attribuisce all’organo consiliare dell’ente locale la capacità di riconoscere la legittimità delle fattispecie di debiti fuori bilancio e di ricondurli nell’ambito del bilancio. Le tipologie di debiti fuori bilancio riconosciute dall’art. 194, comma 1, derivano da sentenze esecutive, dalla copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio di cui all’art. 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione e sia riconducibile alla copertura dei costi che derivano dall’applicazione di prezzi politici e di tariffe (artt. 31 e 114), dalla ricapitalizzazione di società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali, dalle procedure espropriative o di occupazione di urgenza per opere di pubblica utilità giuridicamente concluse (d.P.R. n. 327 del 2001), dall’acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191 (qualsiasi spesa, anche se erroneamente effettuata, purché abbia soddisfatto esigenze fondamentali dell’ente e nei limiti del valore acquisito al patrimonio, costituisce debito fuori bilancio suscettibile di riconoscimento). La presenza di debiti fuori bilancio presuppone l’obbligo del riconoscimento della legittimità del debito e del suo contestuale finanziamento. La deliberazione del consiglio dell’ente locale rappresenta l’ultima parte di un processo, che è volto ad individuare la presenza di tutti gli elementi necessari al fine del riconoscimento del debito fuori bilancio e le sue cause generatrici, siano spese di investimento o spese correnti. Per quanto attiene al finanziamento dei debiti fuori bilancio l’art. 193 del Tuel stabilisce che possono essere utilizzate per l’anno in corso e per i due successivi tutte le entrate e le disponibilità, ad eccezione di quelle provenienti dall’assunzione di prestiti e di quelle aventi specifica destinazione per legge, nonché i proventi derivanti dalla alienazione di beni patrimoniali disponibili (Tenuta, 2007). Nel modello econometrico sarebbe di grande utilità inserire tutti i debiti fuori bilancio. Tuttavia si tratta di un’informazione non facilmente acquisibile, pertanto si può inserire fra le variabili esplicative l’incidenza dei debiti fuori bilancio riconosciuti. 7. I debiti fuori bilancio e i derivati: un’analisi quantitativa Nel corso dell’anno 2007 sono stati riconosciuti dai comuni italiani debiti fuori bilancio per un totale di 451,665 milioni di euro. Le regioni più Azienda Pubblica 2.2010 198 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali massicciamente coinvolte nel fenomeno sono: la Sicilia con 239 comuni, che hanno riconosciuto debiti fuori bilancio per un ammontare complessivo di 126,520 milioni di euro, la Campania con 225 comuni con 70,771 milioni di euro, la Puglia con 134 comuni con 57,699 milioni di euro ed il Lazio con 106 comuni con 47,724 milioni di euro. Per quanto attiene alle tipologie riconoscibili di debiti fuori bilancio, quelle derivanti da sentenze esecutive rappresentano la parte più consistente dei riconoscimenti con 318,257 milioni di euro, pari al 63,82% dell’ammontare complessivo dei debiti fuori bilancio riconosciuti dai comuni e dalle province. La seconda tipologia riguarda, invece, i debiti per l’acquisizione di beni e servizi (135,421 milioni di euro), che hanno inciso per il 27,16% sul totale dei debiti fuori bilancio riconosciuti dai comuni e dalle province nel 2007 (498,661 milioni di euro). Mentre meno rilevanza hanno i debiti derivanti da procedure espropriative e di occupazioni di urgenza (26,253 milioni di euro) che gravano solo per il 5,26% sul totale, i debiti relativi alla copertura dei disavanzi dei consorzi, delle aziende speciali e delle istituzioni e quelli relativi alla ricapitalizzazione di società costituite per la gestione di servizi pubblici che rappresentano rispettivamente l’1,27% e il 2,49% del totale dei debiti riconosciuti (Sferra, 2008). La presenza costante e significativa dei debiti fuori bilancio nelle masse passive di tutti gli enti che hanno dichiarato dissesto finanziario, fino a rappresentare oltre il 70% del totale delle passività accumulate da tali enti chiarisce la motivazione che ha spinto il legislatore a considerare la presenza di debiti fuori bilancio, per i quali non si sia trovata copertura finanziaria, uno dei parametri di deficitarietà strutturale. Tavola 1 – Percentuale di debiti fuori bilancio riconosciuti nel 2007 dalle province italiane per tipologia 4,73% 4,04% 0,82% Sentenze esecutive (69,45%) Acquisizione beni e servizi (20,97%) 20,97% Ricapitalizzazioni (4,73%) Espropri (4,04%) 69,45% Disavanzi (0,82%) Fonte: Adattata da Sferra G. (2008), Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali, cit. 199 Azienda Pubblica 2.2010 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Tavola 2 – Percentuale di debiti fuori bilancio riconosciuti nel 2007 dai comuni italiani per tipologia 2,49% 5,26% 1,27% Sentenze esecutive (63,82%) Acquisizione beni e servizi (27,16%) Ricapitalizzazioni (2,49%) 27,16% Espropri (5,26%) 63,82% Disavanzi (1,27%) Fonte: Adattata da Sferra G. (2008), Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali, cit. Per quanto riguarda la diffusione dei derivati, l’assenza di standardizzazione dei prodotti e l’articolazione delle operazioni ne rende difficile la misurazione. A giugno dell’anno 2004 il controvalore nozionale delle posizioni in derivati detenute da intermediari italiani nei confronti di imprese ed enti locali risultava pari a circa 146 miliardi di euro, con perdite medie da parte degli enti locali molto più elevate di quelle delle imprese (circa 430.000 euro contro 76.000 per le imprese, anche a causa della dimensione media dei contratti più elevata – circa 12 milioni di euro di valore nozionale, contro i 2,6 milioni di euro delle imprese). Alla fine dell’anno 2006 le regioni, le province e i comuni italiani avevano un’esposizione in derivati verso banche italiane stimabile in circa 13 miliardi di euro di nozionale, pari al 36% dell’indebitamento totale verso intermediari residenti. I dati pubblicati dal Dipartimento del tesoro mostrano un fenomeno in evoluzione, infatti, fino al 31 dicembre 2007 sono stati più di 900 i derivati firmati da 559 enti (497 Comuni, 44 Province e 18 Regioni), con un mark to market (il valore di mercato) negativo per oltre un miliardo, ossia circa il 2,9% dell’indebitamento per cassa. Tavola 3 – I derivati negli enti locali Informazioni Regioni Province Comuni capoluogo Comuni non capoluogo e Comunità montana e isolana Totale Numero di enti interessati 18 44 50 447 559 3,2% 7,9% 8,9% 80% 100% 3.775.584.884 35.276.487.781 % di numero di enti interessati Nozionale complessivo (€) 16.554.684.946 3.387.454.699 11.558.763.251 % sul nozionale complessivo Nozionale medio dei contratti per tipologia di ente (€) 46,9% 9,6% 32,8% 10,7% 100% 192.496.337 26.057.344 63.509.688 6.453.991 35.886.559 Fonte: Dipartimento del tesoro, Ministero dell’economia e delle finanze. Azienda Pubblica 2.2010 200 Saggi Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Il fenomeno ha assunto dimensioni maggiori se si tiene conto che tali dati non conteggiano il ricorso, da parte degli enti locali, ad intermediari stranieri per i quali non si possiedono dati certi (Scianca, 2008). 8. La teoria della diversificazione del portafoglio finanziario per gli enti locali Nell’ottica di ridurre il livello complessivo di rischio, l’obiettivo del risk assessment è stabilizzare l’equilibrio finanziario instaurando una migliore corrispondenza temporale tra i flussi monetari prodotti dalle attività e i flussi monetari prodotti dalle passività in modo che non si creino situazioni di mancanza di liquidità. L’insufficiente liquidità rende necessario il ricorso ad anticipazioni di tesoreria che comportano il pagamento di interessi passivi, irrigidendo ulteriormente il bilancio. In tal senso è opportuno valutare le poste di bilancio sulla base della loro “sensibilità”, cioè sulla base della reattività che tali poste presentano rispetto alle variazioni del tasso di interesse di mercato, con riferimento ad un periodo di tempo prefissato. Dovranno in tal senso essere considerate sensibili tutte quelle attività e/o passività che, nel periodo di riferimento considerato, o sono in scadenza, e generano, quindi, una conseguente entrata e/o uscita monetaria per l’ente, o sono sottoposte ad una revisione contrattuale avente ad oggetto il tasso di interesse attualmente applicato (Speca, 2002: pp. 772-821). Conoscendo ed analizzando il saldo tra attività e passività sensibili l’ente può agire attivamente ed in maniera integrata per raggiungere gli obiettivi di copertura che si è prefissato. Per classificare correttamente come sensibili le poste finanziarie è necessario raccogliere tutte le informazioni utili relative alla composizione, alla scadenza, ai tassi di mercato, ecc. Quindi si deve determinare l’effetto di possibili variazioni dei tassi di interesse. Alla luce dell’analisi fin qui svolta sembra potersi opportunamente proporre anche per gli enti locali la teoria della diversificazione del portafoglio finanziario. Diversificare significa scegliere la combinazione del proprio indebitamento in modo da minimizzare i rischi legati alle diverse fasi della politica monetaria, per diminuire la volatilità dei flussi per interessi e scadenze. Tramite la diversificazione si combinano insieme prodotti a tasso fisso e prodotti a tasso variabile, scadenze adeguatamente combinate, in modo che la struttura dell’indebitamento risulti caratterizzata da un livello di rischio economicamente e socialmente sopportabile. Una struttura del passivo “ottimale” dal punto di vista finanziario, economico e temporale consente la riduzione del peso complessivo degli oneri relativi dell’indebitamento e la minimizzazione dei costi opportunità. Le oscillazioni di mercato comporteranno per alcune posizioni un aumento del costo, per altre una sua diminuzione e l’effetto complessivo sarà quindi nullo perché gli effetti si distribuiranno in maniera sostanzialmente 201 Azienda Pubblica 2.2010 Le determinanti del financial risk assessment negli enti locali Saggi equilibrata tra le varie posizioni in essere e pertanto si avrà la neutralizzazione e l’immunizzazione dalla volatilità dei tassi. Per ottenere lo scopo voluto occorre, naturalmente, che le posizioni debitorie siano adeguatamente scelte e graduate fin dalla loro origine, in modo da avere una composizione, in termini percentuali, “ottimale” tra le differenti passività. La diversificazione del passivo può essere realizzata in vari modi, rispetto all’Istituto finanziatore, alla scadenza, alla tipologia di prodotto. Tutti perseguono uno stesso obiettivo, non far dipendere le poste passive da un solo parametro. Una gestione dell’attivo oculata deve invece preoccuparsi di ricercare il mix ottimale tra le fonti di finanziamento, scegliendo ognuna di esse sulla base del rapporto finalità/convenienza, e monitorare continuamente la composizione quantitativa e temporale delle risorse in modo da assicurare un turnover che generi adeguata liquidità. Riferimenti bibliografici Anselmi L. (2003), Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, Torino: Giappichelli. Anselmi L. (a cura di) (2005), Principi e metodologie economico aziendali per gli enti locali. L’azienda comune, Milano: Giuffrè. Barontini R., (2000), La valutazione del rischio di credito. I modelli di previsione delle insolvenze, Bologna: Il Mulino. Bellesia M., (1998), Enti locali. 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L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management delle amministrazioni pubbliche locali * Paolo Ricci Professore Ordinario di Economia delle Aziende e delle Amministrazioni Pubbliche – Università degli Studi del Sannio Paolo Esposito Dottore di Ricerca – Università Roma Tor Vergata – Roma Tiziana Landi Dottoranda di Ricerca – Università degli Studi del Sannio – Benevento Sommario: 1. Introduzione: la rilevanza del tema di ricerca. – 2. Metodologia della ricerca. – 3. “Bacco, Tabacco e Venere”: quali strumenti manageriali per una gestione pagana? 4. Introduzione e commento al questionario. – 5. Conclusioni e implicazioni gestionali. Scopo del presente lavoro è analizzare le situazioni patologiche di distorsione che si manifestano sempre più frequentemente nella gestione di un ente pubblico locale e verificare relazioni, correlazioni, dirette e indirette, tra livello di accountability che una P.A. può implementare e consolidare e presenza o assenza di queste situazioni perverse di corruttela o addirittura di State Capture. Attraverso una analisi empirica si vuole verificare come, ponendo un filtro (accountability e dovere di rendere il “conto” dei risultati conseguiti) agli attuali sistemi di governo nella gestione delle amministrazioni pubbliche in particolare l’azienda pubblica locale, si possa ovviare a persistenti situazioni di discrezionalità decisionale, arbitrio e abuso di potere politico, nel rispetto delle nuove esigenze di controllo, di rendicontazione e di monitoraggio imposti dal legislatore nazionale e internazionale per una crescita sostenibile e trasparente della P.A. The purpose of this paper is to analyze the existence of a relationship between the level of accountability that a P.A. can demonstrate and consolidate, and the presence or absence of corruption or even perverse situations of State Capture. Through an empirical analysis is verified if placing a filter (accountability) to the current systems of local government, we could overcome persistent situations of arbitrage and abuse of public power, rather than in the new needs for reporting and monitoring required by national and international legislation relating to transparency and sustainable P.A.’s development. L’articolo è una elaborazione del paper presentato al IV Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Il sistema delle amministrazioni pubbliche per un modello di crescita economica sostenibile, Università di Roma Tor Vergata, 25-26 marzo 2010. * Pur essendo il paper frutto di un lavoro comune, il paragrafo 1 è a cura di Paolo Ricci, il paragrafo 2 è opera di Tiziana Landi, il paragrafo 3 è opera di Paolo Esposito, il paragrafo 4 a cura di Paolo Esposito e Tiziana Landi, mentre il paragrafo 5 è frutto della ricerca congiunta dei 3 autori. Parole chiave: Accountability – Public governance – State Capture – corruzione Key words: Accountabiliy – Public governance – State Capture – corruption 205 Azienda Pubblica 2.2010 L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Saggi 1. Introduzione: la rilevanza del tema di ricerca La Pubblica Amministrazione (in seguito anche P.A.) è chiamata ad assolvere un ruolo cruciale nel processo di sviluppo e di innovazione che sta interessando l’economia moderna a livello nazionale e internazionale. Già negli anni ‘90, gli interventi legislativi comunitari e nazionali erano rivolti alla creazione di istituzioni più efficienti e responsabili per il miglioramento dello Stato democratico, nonché per la regolamentazione dell’economia e della gestione della macchina amministrativa. (1) Ad oggi è possibile ricondurre alla P.A. l’assolvimento di tre grandi macro-attività che si sostanziano nell’attuazione di (D’Alessio L., Vermiglio C., Virginillo M., 2008): • politiche per lo sviluppo, al fine di garantire un adeguato livello della qualità della vita in relazione alla crescente richiesta di benessere da parte dei cittadini; • politiche di ridistribuzione della ricchezza prodotta nell’interesse di tutte le classi della comunità amministrata; • politiche di stabilizzazione in caso di squilibri congiunturali (inflazione, disoccupazione, crisi finanziarie, instabilità politica), quegli stessi squilibri che da diversi anni caratterizzano l’andamento della nostra economia. Questo evidenzia la forte correlazione che esiste tra l’attività svolta dalla P.A. e la crescita, la competitività del Paese in una economia di mercato sempre più dinamica e difficilmente prevedibile. Un Governo proteso allo sviluppo dell’interesse collettivo, infatti, organizza una P.A. capace di monitorare efficacemente i fenomeni sociali, erogare adeguati servizi pubblici, dirimere conflitti e tensioni sociali, definire politiche soddisfacenti per l’intera comunità. È legittimo pertanto considerare la P.A. come “tecnostruttura” (Borgonovi, 2005) su cui poggia l’intero sistema delle istituzioni pubbliche, le quali perseguono come obiettivo ultimo e finalizzato quello di coordinare i diversi attori per fare emergere strategie sociali di successo allo scopo di conciliare interessi spesso divergenti e promuovere e migliorare la qualità della vita della comunità amministrata. (2) Si passa in questo modo dal Welfare State (Glaeser, Schleifer, 2001; Bresser 1 Grindel Merilee S. (2000), Ready or Not: The Developing World and Globalization in Joseph S. Nye and John D. Donahue (eds) (2000) Governance in a Globalizing World, Washington, DC: Brookings Institution Press, p. 189. Nel Rapporto sullo Sviluppo la Banca Mondiale sul finire degli anni ’90 espone infatti: Uno Stato efficace è essenziale per lo sviluppo, le giuste regole e le buone istituzioni permettono ai mercati di prosperare ed alle persone di condurre una vita sana, una vita più felice. Senza di essa, lo sviluppo sostenibile, sia economico che sociale, è impossibile. Lo Stato è fondamentale per lo sviluppo economico e sociale, non come un fornitore diretto di crescita, ma come partner, catalizzatore e facilitatore. Cfr. O.E. Hughes, Public management and Administration. An introduction, third edition, New York: Palgrave MacMillen, 2003, p. 229. 2 Sarebbe infatti corretto parlare di istituzione pubblica quale sistema organizzato che esercita un potere sovraordinato sui soggetti insediati in un determinato territorio, in E. Borgonovi, L. Fattore, E. Longo, Management delle istituzioni pubbliche, Milano: Egea, pp. 11-15. Azienda Pubblica 2.2010 206 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Pereira,1999; Scott, 2003), da uno Stato sociale, ad uno Stato dei servizi (Borgonovi E., Fattore L., Longo E., 2009), caratterizzato dalla forte diversificazione di funzioni e di attività che la P.A. si trova a dover assolvere (Meneguzzo M., Rebora G., 1990). Il delicato equilibrio tra ricchezza creata e poi distribuita alla comunità in un’ottica di generale interesse pubblico, consente di perseguire uno sviluppo sostenibile a durare nel tempo (Giannessi E., 1961) che, come vuole la tradizione aziendale, si sostanzia nel principio di economicità, che insieme all’efficienza ed all’efficacia, rappresentano gli assunti di base del movimento riformatore del New Public Management (Meneguzzo M.,1996, 1997; Meneguzzo M., Lega F., 1999) volto ad una gestione manageriale della macchina amministrativa. (3) L’esigenza, sempre più ricorrente, di innovare il sistema della P.A. italiana può essere ricondotta a fattori provenienti dall’ambiente esterno (esogeni) ma anche a ragioni di natura “dimensionale” (D’Alessio L. et al., 2005). (4) Spostando il campo di osservazione a livello locale, sugli enti pubblici territoriali, la spinta al cambiamento deriva non solo da fattori esterni ma anche e soprattutto da fattori interni alla stessa organizzazione. Tra i principali fattori esterni, determinante è stata l’azione di decentramento amministrativo con l’attribuzione di nuove e più incisive funzioni agli enti locali dove, la stessa elezione diretta del sindaco, crea un forte legame tra l’ente e la sua comunità di riferimento, diventando propulsore e promotore dello sviluppo e della competitività locale. È il Comune infatti a decidere sulla destinazione delle risorse pubbliche raccolte, sui livelli di tassazione e di redistribuzione della ricchezza prodotta, sull’efficienza dei servizi offerti, e a garantire con il proprio concorso, al contenimento della spesa pubblica attraverso il rispetto del Patto di stabilità interno. Basti pensare ai servizi sanitari e socio-assistenziali, o ancora di più, ai servizi pubblici locali, il settore dell’acqua, dei rifiuti, del trasporto pubblico, tutto rimesso al potere ed alle decisioni del “politico di turno”. L’operare e l’agire delle istituzioni pubbliche locali esprimono quindi l’identità di quel territorio e della comunità che sono chiamati ad amministrare. I fattori interni di cambiamento a livello locale discendono invece proprio dalla cattiva gestione sia delle nuove che delle tradizionali funzioni che competono all’ente locale. L’attività della P.A. rappresenta “l’anello di congiunzione” tra le richieste dei cittadini e le istituzioni pubbliche (dello Stato), le uniche capaci di dar seguito a tali necessità, anche mediante l’esercizio dei propri poteri sovraordinati. Pierre, 3 Per un approfondimento sui principi e gli assunti di base del New Public Management si veda Mussari R., Public sector financial management reform in Italy, in J. Guthrie et al. (a cura di), International public financial management reform: progress, contradictions, and challenges, Information Age Publishing Inc., 2005; Pollitt C., Bouchaert G., La riforma del management pubblico, Università Bocconi Editrice, Milano, 2002; Jones L.L., Thompson F. , L’implementazione strategica del New Public Management, Azienda Pubblica, n. 2, 1997; James P., Kenneth K., Public Management: Public and Private Perspectives, Mayfield Publishing Company, 1983. 4 Confronta anche ASTRID, Semplificare l’Italia, a cura di Bassanini F., Castelli L., Passigli Editore, Firenze: 2008, Il sistema istituzionale italiano è macchinoso (…). La ripartizione dei compiti e poteri è disordinata e in molti casi irrazionale, con duplicazioni di funzioni e sovrapposizioni di competenze. Ciò rende sempre più lungo l’iter decisionale e sempre più complesso l’elefantiaco sistema della P.A. sia a livello nazionale che locale. 207 Azienda Pubblica 2.2010 L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Saggi studioso francese, nel 1995, considera infatti la P.A. come “output linkage” perché consente allo Stato di trasmettere i suoi output alla società civile, cioè informazioni e risorse, e alla società civile di trasmettere input ovvero richieste e domande verso lo Stato. Le istituzioni vengono costituite per far fronte a specifici bisogni socio-economici; in base a questi bisogni vengono poi definiti degli obiettivi e acquisiti gli input necessari allo svolgimento delle attività per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. I processi sono tutte le attività che la P.A. svolge per generare output intermedi e outcome finali. L’intervento pubblico passa quindi dal livello di singola organizzazione pubblica (“micro”) e di sistema di aziende e di organizzazioni pubbliche (“meso”) a quello di governance (Cepiku D., 2005) del livello “macro” relativo all’intero sistema socio-economico in cui la P.A. è responsabile delle performance di un sistema complesso di organizzazioni (Meneguzzo M., 1997) in cui soggetti e istituzioni si influenzano vicendevolmente. In particolare, autorevole dottrina (Borgonovi et al., 2009), sintetizza in tre sistemi le regole chiave da cui discende l’attività concreta della P.A.: - il sistema istituzionale, nel quale si definiscono le “regole del gioco”, diritti e doveri delle istituzioni pubbliche nell’esercitare poteri e funzioni “sovraordinate”, il sistema elettorale, gli organi e i rispettivi ruoli; - il sistema politico, da cui discendono le nome per regolamentare il confronto tra rappresentati e rappresentanti, il rapporto tra maggioranze e minoranze, le modalità e le forme tramite cui acquisire, conservare, aumentare il consenso politico; - il sistema aziendale, da cui discendono le regole e i comportamenti tramite i quali perseguire e mantenere una equilibrata razionalità economica nella gestione delle risorse collettive disponibili da cui trarre il maggior beneficio possibile. Dai tre sistemi, che interagiscono e sono in continua correlazione, nasce il complesso processo decisionale della P.A., cosiddetta black box (Pasquino C., 2004), da cui scaturiscono le politiche, le decisioni, le azioni pubbliche (output) e gli effetti sociali ad essi collegati (outcome). L’assetto istituzionale definisce i caratteri di trasparenza dell’azione pubblica, la struttura organizzativa, il tipo di rapporti tra quest’ultima e gli organi politici; il sistema politico definisce gli obiettivi dell’intervento pubblico e le modalità del loro perseguimento (Pavan A., Reginato E., 2004) intrecciando, grazie alle regole ed alla presenza del sistema aziendale, i cosiddetti “valori theta” (equità ed onestà) con i valori di tipo “sigma” (efficienza, efficacia, economicità) senza sacrificare quelli di tipo “lampada” (sicurezza ed elasticità). (5) Ciò significa quindi che a livello di P.A., sia essa centrale che locale, è importante individuare soluzioni non necessariamente “ottimali” sul piano dell’efficienza, della produttività, del contenimento della spesa e del disavanzo, ma che 5 Hood C., Jackson M.W., Administrative argument, Dartmouth, Aldershot, 1991. Azienda Pubblica 2.2010 208 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... siano invece in grado di creare un miglioramento, una crescita compatibile con il corretto funzionamento delle istituzioni, sostenibile sul piano sociale e del consenso, coerente con le dinamiche politiche attuali e potenziali (Borgonovi et al., 1999). In un modello ideale di P.A. democratica le istituzioni pubbliche dovrebbero reggersi a loro volta su un adeguato sistema di governance e di accountability (Pezzani F., 2003; Ricci P., 2006; Esposito P., 2006; Cardillo E., 2008) per programmare prima e rendicontare poi, i risultati e gli obiettivi da perseguire nel medio/lungo periodo. Tabella 1 – L’importanza del ruolo svolto dalla Pubblica Amministrazione WORLD BANK Uno Stato efficace è essenziale per lo sviluppo, le giuste regole e le buone istituzioni permettono ai mercati di prosperare ed alle persone di condurre una vita sana, una vita più felice. Senza di essa, lo sviluppo sostenibile, sia economico che sociale, è impossibile. Lo Stato è fondamentale per lo sviluppo economico e sociale, non come un fornitore diretto di crescita, ma come partner, catalizzatore e facilitatore. LETTERATURA INTERNAZIONALE LETTERATURA NAZIONALE La P.A. come “output linkage” perché consente allo Stato di trasmettere i suoi output alla società civile, cioè informazioni e risorse, e alla società civile di trasmettere input ovvero richieste e domande verso lo Stato. La P.A. è un catalizzatore della comunità amministrata attuando: - politiche per lo sviluppo, al fine di garantire un adeguato livello della qualità della vita in relazione alla crescente richiesta di benessere da parte dei cittadini; - politiche di ridistribuzione della ricchezza prodotta nell’interesse di tutte le classi della comunità amministrata; - politiche di stabilizzazione in caso di squilibri congiunturali (inflazione, disoccupazione), quegli stessi squilibri che da diversi anni caratterizzano l’andamento della nostra economia. Fonte: Nostra elaborazione Secondo autorevole dottrina (Moore N. H., 1995) i manager pubblici e le loro organizzazioni svolgono un ruolo di primo piano nella “creazione di valore pubblico”, inteso non solo come produzione di beni e servizi efficienti ed efficaci capaci di aggiungere valore alla società amministrata, ma anche e soprattutto come perseguimento di finalità e di obiettivi di natura strettamente sociale, etica (Masini C., 1970) quale attività istituzionale di qualsivoglia istituzione pubblica. Il soggetto pubblico deve rappresentare il garante dell’interesse pubblico, mettendo il benessere dei propri cittadini/ utenti/clienti prima di ogni interesse personale. Nell’attuale sistema della P.A. italiana, però, la gestione della “macchina amministrativa” è tutt’altro che ispirata a principi di equità, socialità ed etica (Borgonovi E., Giavazzi F., 1994; Cavalieri E., 2002); si sono create nel tempo alterazioni e distorsioni a causa di uno squilibrato rapporto tra il riconoscimento di maggiore autonomia e potere alle autorità locali, e l’attribuzione delle conseguenti responsabilità nella gestione delle risorse pubbliche. Il perseverare di questi squilibri ha prodotto negli ultimi anni distonie e lacerazioni profonde, al punto di corrodere alle “radici”, i processi di pianificazione, amministrazione, 209 Azienda Pubblica 2.2010 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... gestione e finanche controllo, delle “cosa pubblica” e dei poteri sovraordinati ad essa riconducibili. L’effetto più comune di questo fallimento dei meccanismi di gestione della P.A., è la corruzione, allorquando si manifesta il disprezzo per il bene comune e si ritiene preferibile trasformare gli affari pubblici in affari privati, e le organizzazioni pubbliche in beni personali. La corruzione è un fenomeno diffuso, capillare, troppo spesso trascurato o addirittura giustificato e perdonato. Solo di recente sembra si stia diffondendo la consapevolezza della gravità e degli effetti negativi che questo fenomeno può comportare in tutti i settori in cui si manifesta: nell’economia, nella società, nella politica. Ne è dimostrazione della diffusa consapevolezza del governo attuale il decreto-anticorruzione (6) che introduce “l’ineleggibilità alle cariche di deputato e senatore per coloro che sono stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per i reati di cui alla lett. b) dell’art. 58 del Tuel (ossia quelli sulla corruzione, ndr) per un periodo di 5 anni” ed è articolato secondo tre principali direttrici di intervento (vedi tabella n. 2): Tabella 2 – Decreto-Anticorruzione I Direttrice II Direttrice III Direttrice il Piano nazionale anticorruzione, predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica sulla base dei singoli Piani di azione Una Rete nazionale anticorruzione, formata dai referenti individuati dalle diverse amministrazioni, che fornirà al Dipartimento della funzione pubblica elementi per valutare l’idoneità degli strumenti adottati e monitorare l’effettiva attuazione dei singoli Piani di azione Presso il Dipartimento della funzione pubblica viene istituito l’Osservatorio sulla corruzione e gli altri illeciti nella Pubblica Amministrazione, con compiti di analisi e informazione In attuazione del d.lgs. 150/2009 (Riforma Brunetta) valorizzando il ruolo dell’AULP (Autorità e Vigilanza Lavori Pubblici) con particolare riguardo a: a)autorizzazione o concessione; b)scelta del contraente per l’affidamento dei lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta; c)concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari; d)concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera. Ha il compito di informare il Governo, il Parlamento, gli organismi internazionali nonché la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle Pubbliche Amministrazioni riguardo a: a)le statistiche della delittuosità, originate grazie al Sistema di indagine del Ministero dell’interno: fotografano il numero dei casi denunciati da parte di tutte le forze di polizia, la regione nella quale è stato accertato l’illecito, il genere e l’età dell’autore; b)le statistiche sulla criminalità o giudiziarie predisposte dal Ministero della giustizia e dall’Istat, con l’indicazione dei dati relativi all’esercizio dell’azione penale e alle condanne; c)l’attività in materia di responsabilità svolta dalla Corte dei conti. In attuazione dell’articolo 5 della Convenzione ONU contro la corruzione (ratificata con legge n. 116 del 3 agosto 2009). Esso prevede che le amministrazioni pubbliche debbano: a)valutare e ‘mappare’ il livello di corruzione dei diversi uffici b)definire misure idonee a presidiare il rischio corruzione e prevenire le potenziali minacce all’integrità del sistema c)integrare i programmi di formazione continua con azioni informative dedicate. 6 D.d.l.-Anticorruzione approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 marzo 2010. Azienda Pubblica 2.2010 210 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Anche le organizzazioni internazionali cercano di recente di monitorare e prevenire il verificarsi di questi fenomeni. Transparency International (7) presenta ogni anno il ranking mondiale dell’indice di percezione della corruzione (CPI) su 180 Stati, grazie alla presenza di istituzioni (World Bank, ONU, Asian Development Bank) che svolgono sistematicamente indagini riguardanti la corruzione negli Stati o in specifiche aree geografiche. Data la suggestività dei dati statistici e degli indicatori di corruzione percepita, sarebbe opportuno che tali valori fossero comprovati da contributi scientifici assolutamente indipendenti. Per rendere l’idea di quanto è oramai diffuso solo in Europa il fenomeno della corruzione si riporta il ranking per l’anno 2009 (tabella n. 2): (8) Tabella 3 – Classifica CPI (Corruption Perceptions Index) 2009 in Europa Rank Regional Rank 2 3 5 6 6 8 11 12 14 14 16 17 21 21 27 27 27 32 35 45 46 49 52 52 56 56 63 71 71 71 1 2 3 4 4 6 7 8 9 9 11 12 13 14 15 15 15 18 19 20 21 22 23 23 25 25 27 28 28 28 Country/ Territory Denmark Sweden Switzerland Finland Netherlands Iceland Norway Luxembourg Germany Ireland Austria United Kingdom Belgium France Cyprus Estonia Slovenia Spain Portugal Malta Hungary Poland Czech Republic Lithuania Latvia Slovakia Italy Bulgaria Greece Romania Confidence Interval CPI 2009 Surveys Score Used Lower bound Upper bound 9.3 9.2 9.0 8.9 8.9 8.7 8.6 8.2 8.0 8.0 7.9 7.7 7.1 6.9 6.6 6.6 6.6 6.1 5.8 5.2 5.1 5.0 4.9 4.9 4.5 4.5 4.3 3.8 3.8 3.8 9.1 9.0 8.9 8.4 8.7 7.5 8.2 7.6 7.7 7.8 7.4 7.3 6.9 6.5 6.1 6.1 6.3 5.5 5.5 4.0 4.6 4.5 4.3 4.4 4.1 4.1 3.8 3.2 3.2 3.2 9.5 9.3 9.1 9.4 9.0 9.4 9.1 8.8 8.3 8.4 8.3 8.2 7.3 7.3 7.1 8.9 6.9 6.6 6.2 6.2 5.7 5.5 5.6 5.4 4.9 4.9 4.9 4.5 4.3 4.3 6 6 6 6 6 4 6 6 6 6 6 6 6 6 4 8 8 6 6 4 8 8 8 8 6 8 6 8 6 8 7 Organizzazione non governativa no-profit fondata nel 1993 con lo scopo specifico di combattere la corruzione nel mondo collaborando con le istituzioni internazionali, gli Stati e le imprese. 8 Per la tabella completa dell’indice di percezione della corruzione nel mondo consultare inoltre il sito: www.transparency.org/policy_research/surveys_indices/cpi/2009/cpi_2009_table. 211 Azienda Pubblica 2.2010 L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Saggi Sui fenomeni di corruttela nelle amministrazioni pubbliche locali ed i problemi di sviluppo e crescita economica del nostro Paese, robusta è l’attenzione di organizzazioni e istituti di ricerca come l’Istat ed il Cnel. In particolare il Cnel, attraverso l’Osservatorio socio-economico sulla criminalità, ha posto al centro della sua attività di studio e di ricerca sin dalla metà degli anni ’90 la pervicacia dei fenomeni di corruttela nella gestione delle amministrazioni pubbliche (1996), evidenziando inoltre i rischi di infiltrazione della criminalità organizzata nei finanziamenti comunitari (legge 488), nelle grandi opere ed anche in diversi enti locali del nord del nostro Paese in una conquista silenziosa di pezzi di economia legale. Recente è inoltre il rafforzamento delle strutture di indagine e della Dia anche attraverso protocolli d’intesa e accordi di collaborazione interistituzionale con il Cnel e l’Alto Commissario per le prevenzione ed il contrasto della corruzione e di altre forma di illecito nella P.A. (organismo successivamente soppresso) e i chiari indirizzi anche da parte di organizzazioni rappresentative come Confindustria attraverso l’espulsione dagli organi associativi di imprenditori ed industriali che non denunciano fenomeni di pizzo alimentando la cultura dell’illegalità e del silenzio dell’illegalità. “La presenza della criminalità organizzata nell’economia della penisola rende necessari e non più rinviabili una serie di provvedimenti”, primi tra tutti quelli sugli appalti: per il Cnel (Rapporto 2010), (9) servono “un attento controllo e monitoraggio della realizzazione delle grandi opere del Nord Italia”, “una griglia molto stretta per l’assegnazione degli appalti e subappalti”, “il monitoraggio della rete dei subappalti con elenchi preventivi delle aziende che si occupano di edilizia” e “il ripristino della tracciabilità dei pagamenti relativi al progetto con pagamento elettronico”. Al riguardo la legge 13 gennaio 2003, n. 3 ha istituito nel nostro ordinamento l’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della Pubblica Amministrazione. L’articolo 68, comma 6, del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, ha successivamente soppresso l’Alto Commissario. Con D.P.C.M. del 5 agosto 2008 le relative funzioni sono state attribuite al Dipartimento per la Pubblica Amministrazione e l’innovazione che ha istituito il Servizio anticorruzione e trasparenza. 2. Metodologia della ricerca Oggetto di analisi del presente studio sono i meccanismi perversi che si manifestano nella gestione di un ente locale nell’assolvere a quelle funzioni che la stessa Costituzione ritiene di legittima competenza degli enti locali, e quali possono essere gli strumenti, le proposte delle recenti riforme istituzionali e strutturali per ovviare il più presto possibile a questa persistente 9 Dal sito www.portalecnel.it Azienda Pubblica 2.2010 212 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... situazione di corruzione o addirittura cattura dello Stato che caratterizza in maniera sempre più frequente, il contesto socio-economico delle istituzioni locali ormai dissacrate e delegittimate. L’abuso del potere politico e la continua ricerca del consenso elettorale attraverso interventi ad personam, oscurano completamente il più generale interesse pubblico che dovrebbe invece rappresentare il “filo conduttore” di tutte le scelte e le decisioni di una P.A. che si dichiari democratica. Il prevalere in questi ultimi decenni di interessi particolari a tutto discapito di quelli generali, va ad inquinare, ad inficiare anche il più noto e fondante principio costituzionale dell’“imparzialità e della buona amministrazione” (art. 97 Cost.) assumendo sempre di più i caratteri e la forma di una vera e propria piaga della società moderna (in Italia riguarda non più solo il Mezzogiorno, ma anche “i santuari” della buona amministrazione dell’area centro-settentrionale). La studio parte dalla consapevolezza che sia la letteratura teorica, sia la letteratura empirica italiana riguardo questi fenomeni corruttivi, è molto scarsa, se non del tutto assente, mentre nel resto d’Europa è già possibile parlare di Anti-Corruption Management (Esposito P., Cillo V., Landi T., 2009). L’obiettivo è quello, non solo di evidenziare la rilevanza e l’importanza del tema, ma anche sensibilizzare la letteratura aziendalistica italiana a trovare un rapido rimedio a tali situazioni di squilibrio e abuso di potere pubblico attraverso politiche mirate e soprattutto una diffusione della cultura della trasparenza democratica, della ricostruzione del sistema fiduciario e del sistema valoriale di riferimento, del senso di appartenenza alla nostra comunità, della lealtà, della giustizia ed equità. Il successo dei programmi anti-corruzione dipendono da informazioni disponibili al pubblico, da un’abile leadership politica, da azioni collettive, dal supporto dei mass-media e attraverso il cosiddetto “effetto annuncio” (Borgonovi E., 2004). Al quesito di ricerca, è premessa pertanto la convinzione che si potrebbe effettivamente dare una svolta a tale sistema perverso attraverso un modello di Public Governance capace di porre un freno allo sperpero di risorse pubbliche, ai monopoli politici, migliorando i livelli di trasparenza e di accountability dei soggetti chiamati a gestire e a dirigere la macchina amministrativa in un’ottica di crescita sostenibile (Anselmi L., 2003). Lo scopo del presente lavoro è pertanto verificare l’esistenza di correlazioni, dirette e indirette, tra livello di accountability che una P.A. può manifestare e consolidare, e presenza o assenza di situazioni perverse di corruttela, di lacerazione del rapporto fiduciario elettore-eletto o addirittura State Capture. (10) 10 La cattura dello Stato è la collusione da parte di attori privati con pubblici ufficiali o politici per ottenere un reciproco beneficio privato. In questa forma di corruzione, il settore privato “Cattura” lo Stato, cioè il potere legislativo, esecutivo, giudiziario e gli strumenti pubblici (risorse, uffici, ecc.) per il perseguimento di propri fini. La cattura dello Stato quindi potrebbe essere considerata una particolare forma di corruzione che caratterizza ormai la società moderna. Cfr. A. Shah, Performance accountability and combating corruption, The Work Bank, Washington DC, 2007, pp. 235 e ss. 213 Azienda Pubblica 2.2010 L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Saggi Ponendo un filtro agli attuali sistemi di governo nella gestione delle aziende pubbliche in particolare l’azienda pubblica locale, è possibile ovviare a persistenti situazioni di arbitrio e abuso di potere pubblico, nel rispetto invece delle crescenti esigenze di controllo, di rendicontazione e di monitoraggio imposti dal legislatore nazionale e internazionale in materia di P.A. e servizi pubblici locali. Attuando processi decisionali e amministrativi semplici e trasparenti, lasciando ai cittadini la possibilità di controllare le azioni politiche, comparando i risultati con standard predefiniti, sarebbe più difficile “infiltrarsi” in una sana e corretta gestione pubblica. L’obiettivo della ricerca è capire se realmente a maggiori livelli di accountability degli enti che si andranno ad osservare corrisponda un maggior grado di rigore e trasparenza dell’azione pubblica limitando in tal modo, comportamenti opportunistici ed elusivi di una “buona e corretta amministrazione”. Il contributo che si vorrebbe dare e le valutazioni propositive sono incentrate su di una proposta di modello generale di Public governance (Meneguzzo M., 1997; Cepiku D., 2005) nel cui ambito le funzioni decisionali, di amministrazione, di programmazione e di controllo siano incentrate su alti livelli di accountability e trasparenza dell’azione amministrativa posta in essere nell’interesse di tutti gli stakeholders, e non per il soddisfacimento di alcune esclusive categorie di interessi o lobby. Le riflessioni critiche afferiscono al ruolo cruciale ed al contributo che un adeguato sistema di accountability, inteso come capacità dell’ente pubblico di “render conto” della gestione e dell’impiego delle risorse pubbliche (Ricci P., 2005) potrebbe apportare alla gestione della “cosa pubblica” ed alla creazione di un valore aggiunto per tutti i fruitori e i destinatari dell’azione amministrativa, stimolando riflessioni sul tema dell’Anti-Corruption Management anche nella letteratura economico-aziendale italiana. A tal fine oggetto di osservazione sono quei Comuni campani sciolti per presunta infiltrazione mafiosa ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. 267/2000 e con una popolazione superiore ai 15 mila abitanti, in quanto obbligati alla redazione dei documenti contabili di programmazione disciplinati dal Testo Unico degli enti locali (PGS, RPP, BPP). Data la diffusione capillare del fenomeno, come precedentemente accennato, l’universo di riferimento si presenta molto esteso (circa la metà, precisamente il 44,3%, dei provvedimenti di scioglimento adottati in Italia dal ’91 ad oggi, ha interessato enti campani, sessanta in tutto, dodici dei quali sciolti ben due volte). Il fenomeno osservato, già previsto nella legge 221/1991, legge che consentiva di sciogliere i Consigli comunali e provinciali quando emergevano elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, tali da comprometterne la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per Azienda Pubblica 2.2010 214 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... lo stato della sicurezza pubblica (art. 2, comma 1), è oggi interamente disciplinato dall’art. 143 del Tuel. Tale articolo prevede (comma 2) che, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, si può avere lo scioglimento degli organi elettivi. L’obiettivo del provvedimento è evidentemente proprio quello di coinvolgere i massimi organi costituzionali dei diversi poteri dello Stato al fine di garantire maggiore trasparenza e partecipazione a tutti i livelli di governo. 3. “Bacco, Tabacco e Venere”: quali strumenti manageriali per una gestione pagana? Verrebbe immediatamente da chiedersi da cosa nascono questi comportamenti opportunistici e perversi? La risposta a tale fenomeno è piuttosto complessa: il controllo del territorio in concorrenza con l’autorità statale tanto da arrivare a definire questo filone sotterraneo e nascosto come una autorità parallela che opera e si organizza con gli stessi strumenti della P.A. tradizionale, ovvero legittimità, risorse pubbliche, sovra-ordinazione verso quei soggetti ormai inficiati e cooptati nel circolo vizioso della corruzione. (11) La “zona grigia” tra le due autorità si è ampliata a dismisura in questi ultimi anni testimoniata da una crescita vorticosa dei reati per corruzione e concussione. È la mala gestione della cosa pubblica a preparare il terreno alla corruzione. La corruzione è un tumore maligno che avvolge il tessuto più vitale e operoso del paese e non accenna neppure lentamente a dissolversi. (12) Questo fenomeno non risente neanche dell’influenza di squilibri congiunturali in quanto proprio nelle situazioni di maggiore crisi e confusioni, il patrimonio delle organizzazioni criminali dilaga. L’instabilità segna una veloce e significativa usura del sistema politico-istituzionale e “ara il terreno” per la crescita di gruppi, lobbies, interessi particolari, leciti e soprattutto illeciti (Cavaliere C., 2004). La cattiva gestione in sanità, gli inquadramenti illegittimi, la crescita delle procedure negoziate, l’opaco sistema degli appalti pubblici, e ancora le frodi alla Ue e le truffe interne della riscossione dei tributi, gli affidamenti dei servizi pubblici locali che fin dagli anni ’70 hanno sempre rappresentato in maniera eclatante forse il più evidente tra i cosiddetti “costi della democrazia”, in quanto tali imprese, a totale o prevalente partecipazione pubblica, sorrette dai politici, hanno generato scandali finanziari e strategie industriali fallimentari (Gallino L., 2005) al fine di coltivare clientele politiche in grado di determinare continuità amministrative grazie a durevoli e collaudati cartelli elettorali. Si potrebbe rappresentare tale forma di corruzione seguendo questo schema (figura n. 1): 11 Lo stesso Procuratore generale della Corte dei conti, presenta così l’Italia di oggi alla cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario 2010: la corruzione – ha detto – è ormai una patologia e va vista come una nebbia che sovrasta e avvolge il tessuto più vitale e operoso della società, Tratto da Il Sole24Ore del 18 febbraio 2010, p. 6. 12 Inaugurazione dell’anno giudiziario 2010, il Presidente Lazzaro. 215 Azienda Pubblica 2.2010 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Figura 1 – Le possibili forme di corruzione nell’erogazione di un servizio pubblico PAR TITI POLITICI Regolatore F ornitore/PA committente/ Politic o Processo regolatorio Fornitori Relazione di committenza Erogazione del servizio Produttore/Erogatore del servizio Produttori concorrenti Cittadino - Utente Fonte: adattato da Borgonovi E., Fattore G., Longo F., Management delle istituzioni pubbliche, 2009. I casi presi in esame dalla magistratura contabile, rappresentano esempi di scarsa responsabilità pubblica e soprattutto politica o come li definirebbe ancora Gallino, esempi di irresponsabilità sociale (Gallino L., 2005) che mai come per la cosa pubblica, la responsabilità sociale dovrebbe essere invece una virtù innata (Borgonovi E., 2005). La crescente rilevanza del sistema dei partiti politici (leggi elettorali) con le degenerazioni gestionali nelle situazioni patologiche suddette (appalti pubblici, gestione dei servizi pubblici) non trova giustificazione di alcun tipo nell’art. 49 della Costituzione il quale recita espressamente: tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti politici per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Il diritto costituzionale della libera associazione in partiti politici, componente essenziale del sistema politico, è frutto di una idea positiva e protettiva del legislatore repubblicano volta a garantire il superamento dell’oggettiva impossibilità per il soggetto economico “cittadino” (utente/elettore) di imporsi individualmente (Ricci P., 2010). Il partito politico, “luogo” in cui si organizza il soggetto economico pubblico, esercita di fatto il potere supremo sull’azienda (dimensione sostanziale). Il soggetto economico “partito politico” dovrebbe però esprimere una volontà davvero superiore, ampiamente condivisa e generale, e allo stesso tempo interpretare e rappresentare, in modo trasparente e controllabile, la maggioranza delle esigenze e dei bisogni dei cittadini, consentendo alle amministrazioni pubbliche locali di funzionare secondo una logica ispirata all’efficienza e all’efficacia, attraverso scelte manageriali realizzate per mezzo di un management aziendale selezionato sulla base delle proprie competenze. Tale meccanismo o sistema di governo (vedi figura n. 2) presenta però anche Azienda Pubblica 2.2010 216 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... elevati rischi di “sovversione” dei principi di sana gestione aziendale. Il soggetto economico pubblico (il partito politico, i suoi dirigenti o i suoi leader), per rafforzare ancora di più il proprio consenso e per mantenere ed accrescere il proprio potere politico sulla comunità di riferimento, può assumere decisioni – generando vere e proprie patologie – che si discostano notevolmente dall’interesse generale, piegandosi alla dimensione personale o all’interesse particolare, snaturando la P.A. nei suoi valori e nelle sue finalità (Ricci P., Landi T., 2009). Figura 2 – Sistema di governo delle aziende pubbliche italiane SISTEMA POLITICO SISTEMA POLITICO PARTITI POLITICI SISTEMA ISTITUZIONALE CITTADINI/ UTENTI/ELETTORI (Political Power) PARTITI POLITICI (Political Power ) AZIENDE e AA. PUBBLICHE Fonte: Nostro adattamento Le riflessioni fatte, ci inducono a considerare il processo di reclutamento e selezione della classe dirigente del nostro Paese “assolutamente inadeguato” (Cavaliere C., 2004), con eccessiva enfasi alle riforme ed all’aspetto normativo tralasciando invece i processi di selezione e di formazione della classe politica. Pensare infatti di aumentare le sanzioni elettorali e accrescere l’autonomia degli esecutivi (attraverso l’elezione diretta o il federalismo fiscale) senza migliorare la qualità del personale politico può generare gravi effetti perversi: attribuire più forza ai soggetti di discutibile livello culturale e morale, tanto da renderli più inclini all’opportunismo ed alle lusinghe di “truffatori e faccendieri”, altri politici, dirigenti, imprese (come li definiva Schumpeter a proposito delle democrazie di successo) va a tutto discapito degli interessi collettivi (13) (vedi figura 3). Figura 3 – Dalla corruzione alla cattura dello Stato • Il modello di relazione politico-tecnica “Corruttiva” PIANIFICAZIONE/ PROGRAMMAZIONE CORRUZIONE AMMINISTRATORI GESTIONE CONTROLLO CATTURA DELLO STATO RIGIDA SEPARAZIONE TRA IMPRESE DIRIGENTI DETERMINAZIONI DIRIGENZIALI programmazione, gestione e controllo LO “STATE CAPTURE” NEL PROCESSO DECISIONALE SEQUENZIALE DI TIPO RAZIONALE, SEPARABILE NELLE DIVERSE FASI Fonte : P. Esposito 13 C. Trigilia, I cervelli giusti per le riforme, da Il Sole24Ore del 2 gennaio 2010, p. 13. 217 Azienda Pubblica 2.2010 L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Saggi Il sistema politico italiano, è purtroppo ancora ispirato ad un modello di divisione del lavoro in cui i politici possono godere di ampi margini di autonomia e discrezionalità nell’interpretare i bisogni della comunità e non ad un modello di responsività (responsivness), quindi la cultura che prevale è troppo spesso il “compromesso a tutti i costi” e la “mediazione in ogni caso” (Ricci P., 2007). Afferma Pezzani nel suo Patto di Lucidità: andrebbero sostenute strenuamente nuove politiche di gestione del personale, finalizzate a rafforzare la componente professionale nella selezione e valutazione e a diffondere un nuovo sistema di valori condiviso e legato a principi di natura etica e morale (Pezzani F., 2008). Sarebbe quindi legittimo pensare ancor prima di un Patto di lucidità ad un Patto di moralità (Ricci P., 2010), per diffondere la cultura dell’etica e della responsabilità morale. Altro elemento determinante ma fortemente inadeguato nel nostro Paese è il sistema di programmazione e controllo in un’ottica di completa separazione tra indirizzo politico e autonomia gestionale (vedi figura n. 3). Nella realtà non avviene mai una netta separazione tra organo politico e management pubblico, anzi, la stessa letteratura (Mussari R., 1994; Sancino A., 2009) ha abbondantemente superato tale dicotomia, in quanto, se pur i politici, espressione degli elettori, sono deputati ad interpretare i bisogni della collettività, traducendoli in obiettivi e il management pubblico solo a tradurre gli stessi obiettivi in risultati, quest’ultimo resta sempre legato al primo da un rapporto critico di fiducia e di nomina (sistema dello spoil system). La chiusura e l’alta informalità nelle procedure di selezione associate ad un basso livello di concentrazione della struttura del potere (Sancino A., 2009) identificano un modello di contingency spoil system (Jacobsen J. K., 2006). Ne deriva che le decisioni vengono assunte non in base a criteri di convenienza economica (come dovrebbe essere in ambito manageriale) bensì in funzione dei “tempi” della politica (durata dei mandati elettorali). La dipendenza dei tempi e dei ritmi della gestione dai tempi e ritmi istituzionali (Borgonovi E., 2005), comporta un forte orientamento della gestione al breve periodo. I politici assumono decisioni anticipandone i benefici e differendone i costi, attentando così al principio di equità intergenerazionale, ma salvaguardando invece quello del consenso politico. (14) In un modello corretto e trasparente la complementarietà sistemica tra politica e burocrazia consente invece di distinguere senza equivoci le funzioni di indirizzo e di controllo da quelle di gestione inducendo ciascuno a svolgere il proprio ruolo con chiarezza, competenza, professionalità e soprattutto responsabilità delle proprie azioni (Mussari R., 1994). Si tratterebbe in questo caso di un modello di applicazione 14 Interessante a tal riguardo l’opinione di Graham T. Allison Jr, il quale sostiene che: i tentativi di tracciare una linea netta tra “politica” e “amministrazione”, come i più recenti sforzi di segnare un simile spartiacque tra “policy-making” ed “implementazione”, riflette una comune ricerca di una semplificazione che permetta di porre i problemi di valore della politica da una parte (chi fa cosa, quando, come), e focalizzare il più limitato problema di come assolvere i compiti più efficientemente. Ma può qualcuno realmente negare che il “come” influenza sostanzialmente il “chi”, il “che cosa” e il “quando”? in R. Mussari, Il management delle aziende pubbliche. Profili teorici, Padova: Cedam, 1994, nota p. 118. Azienda Pubblica 2.2010 218 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... dello spoil system di tipo accountable e competitivo (Sancino A., 2009), che presenti appunto un alto grado di formalità, apertura e competitività nel processo di nomina dei dirigenti pubblici (Amado L., 2001; Borgonovi E., 2002; Panozzo F., 2007). In un contesto organizzativo, quale quello della P.A. oggi, è ricorrente il fatto che tutti fanno tutto e nessuno è responsabile di ciò che solo lui dovrebbe fare (Farneti G., 2008), non c’è responsabilità, moltiplicando burocrazie, conflitti di competenza, complicazioni procedurali, duplicazione di costi e strutture. Il problema della deresponsabilizzazione alimenta in maniera esponenziale il proliferare di occasioni e situazioni di corruzione, sempre più spesso, infatti, gli scandali economici e politici non vengono rilevati dal buon funzionamento della magistratura o dei sistemi di controllo interni ma vengono denunciati direttamente da coloro che ne sono stati vittime o talvolta da coloro che non hanno potuto trarre alcun vantaggio personale dal fatto doloso. (15) 4. Introduzione e commento al questionario L’osservazione del fenomeno indagato è avvenuta mediante la somministrazione di un questionario nell’ottica di recuperare informazioni tra loro omogenee e comparabili secondo una logica di semplicità, agilità, neutralità e comprensibilità dei quesiti onde evitare equivoci e soprattutto per invogliare i destinatari a rispondere velocemente ed in modo corretto. Dati i requisiti della ricerca, ovvero indagare i sistemi di gestione, controllo e rendicontazione (governance e accountability) dei Comuni campani sciolti ex art. 143 del Tuel con una popolazione superiore ai 15.000 ab., dall’universo di riferimento è emerso un campione di 29 Comuni concentrati nelle province di Napoli e Caserta (vedi figura n. 4): Figura 4 – Composizione campione osservato 14% Napoli (86%) Caserta (14%) Benevento Avellino Salerno 86% Sulla base degli obiettivi della ricerca, si è proceduto poi alla puntuale definizione dei dati da richiedere agli enti ponendo particolare attenzione a far emergere dalle risposte raccolte (risposte multiple guidate) le correlazioni tra sistemi e strumenti di controllo e rendicontazione adottati e predisposizione ad un comportamento responsabile, aperto e partecipativo verso i propri cittadini. Il questionario è stato strutturato nelle seguenti sezioni: 15 Pezzani F., Il patto di lucidità. Come avvicinare istituzioni e paese reale, cit., p. 22. 219 Azienda Pubblica 2.2010 L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Saggi DATI ANAGRAFICI DELL’ENTE QUESTIONARIO COMUNE DI __________________________ PROVINCIA DI _______________________ DATI ANAGRAFICI DELL’ENTE LOCALE Indirizzo:________________________________ Popolazione Nome e Cognome del compilatore ___________________________________________ Telefono: _____________ fax: ____________ E-mail: ___________________________________ Posizione __________________________________________________________________ Consiglio Comunale sciolto ex art. 43 Tuel nell’anno/i ________________________________ CONTROLLI INTERNI A) CONTROLLI INTERNI CONTROLLO STRATEGICO 1) Indicare se: previsto in corso di predisposizione istituito ma non attivo attivato (indicare l’anno) _________ CONTROLLO DI GESTIONE 8) Il controllo di gestione ex artt. 197 e ss. è: previsto in corso di predisposizione istituito ma non attivo attivato (indicare l’anno) _________ REGOLARITÀ AMMINISTRATIVA E CONTABILE 14) Qual è il ruolo che il collegio revisori assume nel vostro ente locale: mero controllore collaborativo entrambi altro (specificare) ______________________________ VALUTAZIONE DEI DIRIGENTI 35) Ai dirigenti/apicali responsabili di servizio è applicata la valutazione dei dirigenti: sì (indicare l’anno) _________ no Azienda Pubblica 2.2010 220 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... SISTEMI CONTABILI E DI RENDICONTAZIONE SOCIALE B) SISTEMI CONTABILI E RENDICONTAZIONE SOCIALE 42) Quali tipologie di Sistemi Contabili vengono utlizzate dall’Ente, per la rilevazione degli accadimenti gestionali?: solo Contabilità Finanziaria Contabilità Finanziaria e Contabilità Economico-Patrimoniale Contabilità Finanziaria e Contabilità Economico-Patrimoniale con rilevazione degli accadimenti attraverso il metodo della partita doppia 43) Realizzate percorsi di Rendicontazione sociale: sì no 44) A quali Linee Guida è stato ispirato il Vs. percorso di rendicontazione sociale: nessuna direttiva baccini Gruppo di studio sul Bilancio Sociale Linee Guida dell’Osservatorio sulla contabilità e la finanza degli enti locali ALTRE QUESTIONI PER IL COMPLETAMENTO DELLA RICERCA C) ALTRE QUESTIONI PER IL COMPLETAMENTO DELLA RICERCA 49) Conoscete il significato di State Capture: sì no 50) Se sì, registrate fenomeni di questo tipo nel Vs. Ente: sì no 51) A quale organo li denunciate: politico manageriale forze dell’ordine pubblico Alto Commissariato competente Corte dei conti Altro (specificare autorità giudiziaria) _______________________________ 221 Azienda Pubblica 2.2010 L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Saggi Come tecnica di indagine si è preferito contattare i Comuni (unità statistiche) del campione selezionato tramite invio del questionario per posta elettronica (prevalentemente indirizzate al segretario generale). Con tale metodo di rilevazione, il rispondente riceve il questionario sulla propria casella di posta elettronica in formato Word, lo compila nelle parti di sua competenza e lo rinvia allo stesso indirizzo e-mail. I vantaggi di tale metodo sono evidenti: rapidità di lettura e compilazione da parte del rispondente; rapida raccolta dei questionari compilati. In realtà questa prima fase di somministrazione non ha prodotto i risultati sperati: molte e-mail sono addirittura tornate indietro perché rigettate dal server del destinatario (probabilmente intasato di e-mail non lette). Anche questo elemento è stato per noi oggetto di analisi: si evidenzia infatti la scarsa attenzione ai mezzi di comunicazione e la repulsione all’utilizzo delle nuove tecnologie. Questo è indice di scarsa trasparenza e di poca apertura al cambiamento e all’innovazione. Successivamente infatti, verrà proposto come elemento caratterizzante di un comportamento accountable e responsabile anche l’impiego apprezzabile delle tecnologie nei processi di comunicazione. Si è pensato quindi di passare ad una modalità di rilevazione alternativa, ovvero l’invio dei questionari a mezzo fax contattando preventivamente i Comuni telefonicamente per richiamare la loro attenzione e recandoci, in alcuni casi, di persona presso gli enti per interviste dirette. Primi risultati della ricerca Dall’indagine condotta, i risultati della ricerca sono alquanto limitati data la resistenza di risposta da parte del campione esaminato. Dopo ripetuti tentativi di contatto, anche diretti con i dirigenti e con i segretari generali, la percentuale di risposta allo stato attuale si attesta al 20,7%. Questo evidenzia la mancanza di una cultura della trasparenza e la scarsa, se non assente, predisposizione al confronto ed al dialogo. Da altri studi esaminati prima di avviare la presente ricerca, avente ad oggetto bad practices, è emerso che anche le best practices sono difficili da ricercare a causa del disinteresse da parte di questi enti a ricerche di mercato, interviste, analisi di banchmarking. Dalle risposte ottenute si è cercato di far emergere il grado di conoscenza e di utilizzo da parte di questi enti, di specifici strumenti manageriale di programmazione prima e di controllo e rendicontazione dopo la gestione. L’obiettivo del presente contributo è capire se l’adozione di questi strumenti e sistemi manageriali, che potrebbero, se effettivamente adottati, salvaguardare l’ente da comportamenti illeciti, illegali e fraudolenti nella gestione delle già scarse risorse pubbliche, è propria di un processo culturale interno, o è la determinante di scelte pubbliche di esternalizzazione. Per quanto riguarda l’attività di programmazione è stato esplicitamente chiesto ai Comuni del campione statistico, quali documenti vengono predisposti in fase di previsione della gestione oltre il Bilancio Annuale e Pluriennale di Previsione (Piano Generale di Sviluppo, Programma di Mandato e Relazione Previsionale e Programmatica). Azienda Pubblica 2.2010 222 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Tabella 4 – Nel processo di programmazione l’ente utilizza i seguenti documenti 90,00% 80,00% 70,00% 60,00% 50,00% No 40,00% Sì 30,00% 20,00% 10,00% 0,00% P.G.S. P.M. R.P.P. Dai risultati ottenuti si evidenzia una generale tendenza al rispetto della norma, ma non una sistematica attività di programmazione di lungo periodo. La bassa percentuale di risposte positive alla domanda sulla predisposizione del Piano Generale di Sviluppo, evidenzia la poca attenzione alla pianificazione strategica. Questo documento, infatti, dovrebbe rappresentare l’intelaiatura dell’intera attività di programmazione derivata dal Programma di Mandato, al fine di evidenziare, per tutta la durata del mandato, le linee di azione, il fabbisogno di risorse necessario e la compatibilità tra interventi di sviluppo che si vogliono realizzare e le capacità operative dell’ente. Per quanto riguarda la gestione e l’attività di controllo, interessanti sono i dati relativi al sistema di contabilità adottato e se questo è utile per rilevare fenomeni corruttivi durante la gestione (tabella 5). Tutti i Comuni che hanno risposto al questionario adottano un sistema di contabilità finanziaria (100%) e solo il 33% di questi, ha definito la contabilità finanziaria utile per analizzare e monitorare la congruità tra il servizio reso e le risorse impiegate, oltre che per rilevare eventuali fenomeni corruttivi. Tabella 5 – Il sistema informativo contabile adottato è stato utile per rilevare o registrare fenomeni corruttivi negli ultimi cinque anni? 4,5 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0 No Sì Contabilità Finanziaria 223 Azienda Pubblica 2.2010 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Dalle considerazioni degli intervistati è emerso che il legislatore non ha avuto la forza di imporre l’utilizzo della contabilità economica, lasciando ai comuni la possibilità di scegliere il sistema che ritengono più idoneo per le loro esigenze (art. 232 Testo Unico). Pertanto i Comuni non intendono adottare alcuna linea di cambiamento finché non verrà imposto per legge. Passare ad un sistema di contabilità economico-patrimoniale richiederebbe sicuramente un impegno economico, ma, a parere di chi scrive, consentirebbe all’ente di misurare la giusta correlazione tra input e output andando ad intervenire laddove esiste un maggior spreco di risorse o dove le risorse pubbliche vengano utilizzate in modo “improprio”. Mancando un sistema di rilevazione contabile adeguato anche il controllo di gestione diventa difficile da implementare. I dati sull’adozione del controllo strategico (tabella 6) confermano una scarsa visione di medio/ lungo periodo, mirando al raggiungimento di obiettivi di breve termine per accrescere nell’immediato consenso e fiducia. Per il controllo di gestione, sempre in risposta ad un mero adempimento normativo (art. 197 Testo Unico), si rileva un altro tasso di risposte positive ma, nella maggior parte dei casi (70%), tale attività viene affidata completamente ad una organizzazione esterna. Ciò evidenzia la mancanza di utilizzo di competenze professionali interne all’organizzazione restando il Collegio dei Revisori l’unico organo di controllo, interno all’ente stesso. Tabella 6 – Adotta il controllo strategico e il controllo di gestione? 4,5 4 3,5 In corso di predisposizione 3 2,5 2 No 1,5 1 Sì 0,5 0 Controllo di gestione Controllo strategico Anche i fenomeni corruttivi, vengono rilevati in tal modo, solo occasionalmente non essendoci un controllo concomitante. Le irregolarità rilevate dall’organizzazione responsabile del controllo di gestione o dal Collegio dei Revisori, vengono direttamente denunciate alla Procura della Repubblica per avviare la conseguente attività investigativa sui presunti casi di corruzione (70%). Nella parte conclusiva del questionario, i quesiti posti sono volti ad indagare il livello di infrastruttura etica di ogni ente, quale investimento irrinunciabile per rinsaldare il grado di fiducia e di legittimità da parte della Azienda Pubblica 2.2010 224 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... comunità amministrata e del senso di appartenenza ad essa da parte di tutti i cittadini onesti, attraverso percorsi di trasparenza nel processo democratico di amministrazione e di gestione. Tabella 7 – Realizzate percorsi di rendicontazione e di responsabilità sociale? 7 6 5 4 No 3 Sì 2 1 0 Bilancio sociale Codice Etico Dalla rilevazione emerge che solo il 33% degli enti intervistati ha da poco avviato percorsi di rendicontazione sociale seguendo prevalentemente la Direttiva Baccini. Nessun ente intervistato ha invece adottato un codice etico per definire e regolare comportamenti che si conformino all’etica pubblica nel rispetto dei cittadini. Per ovviare alle emerse situazioni di default informativo nei sistemi di programmazione e controllo e di rendicontazione verso l’esterno, diventa sempre più evidente la necessità per questi enti di attuare politiche di direzione capaci di coniugare interessi, potenzialmente contrastanti, su obiettivi comuni e condivisi, il cui grado di perseguimento venga comunque continuativamente monitorato, attraverso un rinnovato disegno dei sistemi di controllo interni ed esterni, e dimostrato all’esterno mediante innovativi strumenti di accountability (Ricci P., Landi T., 2009). Infatti, la correlazione tra livelli di accountability e presenza di fenomeni di corruttela emerge dall’indagine complessiva, e in particolare con riferimento a: a) utilizzo esclusivo della contabilità finanziaria, che non consente di monitorare l’impiego delle risorse pubbliche e di rilevare eventuali fenomeni di uso “improprio” di tali risorse; b) rilevazioni e denunce dei fenomeni corruttivi vengono fatti alle Autorità giudiziarie competenti direttamente dagli organi di controllo esterno, spesso a seguito di interrogazioni consiliari da parte di partiti politici e non a seguito di controlli manageriali. 225 Azienda Pubblica 2.2010 L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Saggi 5. Conclusioni e implicazioni gestionali La realtà della P.A. italiana si caratterizza per una visione di governo multidimensionale, cioè orientato verso tutti quei fattori e quei soggetti che ruotano intorno alla macchina amministrativa e che ne condizionano e ne influenzano le decisioni e le scelte. Tale approccio, prende in Italia il nome di Public Governance proprio perché caratterizzato da (Meneguzzo M., 1997): a) centralità delle interazioni con gli attori presenti ai veri livelli nel contesto politico e sociale; b) governo e coordinamento di network e reti; c) orientamento all’esterno, in particolare verso l’ambiente economico e sociale. Data quindi la complessità del sistema e delle relazioni che si sviluppano nella P.A. l’adeguatezza degli interventi volti ad affrontare e, si spera, risolvere le situazioni patologiche innanzi descritte, si misura attraverso l’adozione di un modello di governance capace di contemperare contemporaneamente tutti i diversi interessi coinvolti (Garlatti A., 2004; D’Aries C., Sarcina S., 2006) consentendo alla stesse istituzioni pubbliche locali di diventare stakeholder (portatore di interessi) del proprio sistema amministrativo (Mulazzani M., 2005). Il concetto di governance introdotto e importato dalla letteratura anglosassone, in Italia resta di non facile interpretazione dato il suo aspetto multi-dimensionale. A detta di alcuni studiosi (Pierre J., Peters G. B., 2000), il segreto del suo successo è dovuto proprio alla vaghezza concettuale e alla flessibilità interpretativa che lo rendono “duttile” e adattabile a differenti contesti e situazioni accrescendo di volta in volta la sua utilità. (16) Secondo un’interpretazione prettamente anglosassone (Schick A., 2003) la governance viene identificata con l’espressione governing without government che sta a significare il superamento dello Stato-Nazione, ritenuto troppo distante dai cittadini, appesantito da strutture burocratiche, insensibile alle esigenze dei cittadini, troppo orientato al rispetto della norma e non dei risultati e incapace di reagire agli stimoli dell’ambiente esterno (Cepiku D., 2005). Secondo la dottrina di stampo olandese(Kickert W. J. M., 2004), sarebbe corretto parlare di public governance intesa come influenza che la P.A. riesce ad esercitare sui processi sociali che si sviluppano all’interno di reti complesse di attori autonomi ma allo stesso tempo interdipendenti tra loro. In questo contesto nessun attore è dominante ma solo influente, compresa la P.A. La differenza tra i due approcci, consiste proprio nell’apertura della seconda impostazione (public governance) verso l’esterno, cioè verso tutti quei soggetti coinvolti nelle attività decisorie. Questo è il tipico approccio seguito anche dalla nostra tradizione italiana. Autorevole dottrina (Borgonovi 16 “A key reason for the popularity of this concept is its capability to cover the whole range of institutions and relationship involved in the process of governing”. Pierre J., Peters G.B., Governance, politics and the State, cit. Azienda Pubblica 2.2010 226 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... E., 2005) afferma infatti che la governance non è decidere sui problemi in modo autonomo, dopo aver consultato altri soggetti ma determinare i criteri e i processi per decidere sui problemi di interesse comune, tenendo conto delle diversità, per adottare politiche, indirizzi e scelte capaci di far convergere tutti gli interessi verso soluzioni reciprocamente accettabili. In tal senso, la governance di impostazione italiana rappresenterebbe un superamento del “paradigma” del NPM volta ad affinare gli strumenti di coinvolgimento degli stakeholder nella definizione e implementazione di politiche pubbliche e a migliorare gli aspetti di accountability della P.A. verso i cittadini/utenti (accountability democratica). La public governace che l’ente locale dovrebbe adottare nel particolare caso in esame, si estende e si sviluppa su tre diversi livelli (Mulazzani M., 2008): a) governance o governabilità interna, ossia il complesso di strumenti e metodologie contabili e organizzative che consentono la gestione efficiente ed efficace della struttura amministrativa; b) governance o governabilità esterna, che consiste nell’insieme di strumenti e criteri che regolano proprio i rapporti tra ente pubblico e propri “bracci operativi” (società partecipate) preposta alla gestione di quei servizi ritenuti meritori perché di interesse collettivo; c) governance o governabilità inter-istituzionale, che va a definire regole, procedure e strumenti da attivare per facilitare l’integrazione operativa e strategica di soggetti istituzionali che operano al servizio della comunità di riferimento. La funzione dell’ente locale è quindi di pianificare attività, risultati ed effetti al fine di promuovere il progresso – in tutte le dimensioni – della collettività amministrata ed anche al fine di tutelare, trasformare, valorizzare il territorio e le sue istituzioni per conservarne ed aumentarne il valore sia per la generazione attuale sia per quelle future evitando situazioni perverse di “infiltrazioni” esterne e illecite che possano “snaturare” il ruolo e le funzioni di tali istituzioni. Occorre, inoltre, poter contare su un efficace e pregnante sistema di accountability che possa stimolare comportamenti di resa del conto verso l’esterno, sia nei confronti delle altre istituzione sia nei confronti dei cittadini, e che soprattutto sia in sintonia con il modello di governance adottato. Anche il concetto di accoutability si presenta come termine camaleontico (Mulgan R., 2000), ovvero variamente configurabile e coniugabile con altre espressioni quali: responsability, responsivness (Uhr J., 1999). (17) Per lo scopo del presente lavoro l’accountability si inserisce nel rapporto di delega conferito dai cittadini ai propri rappresentati politici per interpretare prima e soddisfare efficacemente poi i bisogni dell’intera comunità mediante l’utilizzo e l’impiego efficiente delle risorse pubbliche. (18) L’accountability dunque esprime il dovere 17 Sul concetto di accountability si vedano: Ricci P., 2005; Farneti F., 2004; Pezzani F., 2003; Guthrie J. et al., 2001; Buccellato A., 1997. 18 Data l’esistenza di una delega ad amministrare, cui corrisponde, come un Giano bifronte, la coesistenza di autorità/responsabilità degli organi di governo e degli organi esecutivi 227 Azienda Pubblica 2.2010 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... di rendere conto del proprio operato da parte di un soggetto nei confronti di un altro soggetto allo scopo di definire responsabilmente e credibilmente le relazioni esistenti tra programmazione – decisione – azione – controllo (Ricci P., 2005). Quindi oltre alla delega politica, si crea tra accountor e accountee un rapporto di fiducia da cui scaturisce l’obbligo morale e sociale di chi amministra di rendere adeguatamente conto delle proprie azioni ai diversi stakeholder per mantenere consenso e credibilità nei loro confronti. Non è quindi una mera resa del conto ma è un concetto più ampio che include la responsabilità e l’impegno morale di chi viene eletto (politicamente) a rappresentate la comunità. Per qualificare e misurare il grado di accountability raggiunto rispetto ad un modello di governance interistituzionale notevolmente mutato sarebbe necessario (Ricci P., 2005): - un articolato e chiaro processo di programmazione - una trasparente definizione delle responsabilità interne ed esterne; - un adeguato sistema di rilevazione contabile; - un efficace sistema interno di controllo e di valutazione; - una periodica attività informativa sull’azione svolta; - una significativa attività di benchmarking; - un apprezzabile impiego della tecnologia nei processi di comunicazione. A migliori condizioni di esistenza di tali fattori dovrebbero per tanto corrispondere migliori processi non solo di valutazione delle azioni svolte ma soprattutto di responsabilizzazione delle persone chiamate a svolgerle. Graficamente potremmo rappresentare questi concetti attraverso un ideal-tipo di “Tempio della democrazia” (vedi figura n. 5): Figura 5 – Prototipo di una sana e corretta amministrazione CITTADINI ISTITUZIONI PUBBLICHE Output DEMOCRAZIA BUONA GOVERNANCE SISTEMA DI ACCOUNTABILITY MANAGEMENT BUROCRAZIA Input Outcome STAKEHOLDERS Fonte: Nostra elaborazione sul comportamento aziendale, l’accountability è deputata a svolgere il ruolo di volano per il mantenimento del consenso della comunità politico-amministrativa, e a garantire il necessario coordinamento dell’azione pubblica (Pulejo, 2005). Azienda Pubblica 2.2010 228 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... In questo modello tutte le componenti organizzative, compresa quella politica, sono finalizzate al perseguimento di un interesse collettivo generale che è interpretare prima e soddisfare poi le crescenti richieste della comunità di riferimento; una società che si possa definire democratica (rispettosa dei principi di equità, lealtà, legalità, trasparenza) poggia le sue basi su solidi sistemi di accountability e su un adeguato modello di governance. Contemporaneamente in questo modello, ad un graduale aumento della cultura manageriale deve associarsi una riduzione della burocrazie. Il livello di qualità e la buona amministrazione si misurano in termini di: grado di soddisfazione dei cittadini, livelli di performance realizzate, outcome positivi effettivamente prodotti. Ciò detto le nostre proposte riguardano la possibilità di: a) passare da un reclutamento della quantità ad un reclutamento per merito, qualità e professionalità; b) migliorare i meccanismi di controllo; c) garantire la certezza della pena in caso di scarsa responsabilità e di reati (legalità). d) individuare standard di controllo su cui valutare l’efficacia delle azioni realizzate; e) creare task-force nelle fasi di previsione e programmazione degli interventi di interesse politico. Verificare la trasparenza dei processi di reclutamento pubblico, di affidamento delle consulenze, procedure di acquisto e affidamento degli appalti e della gestione dei servizi pubblici diventano passaggi obbligati di una P.A. democratica attenta ai bisogni ed alle esigenze dei propri cittadini/ utenti. È necessario se non indispensabile adottare: 1) una efficace programmazione democratica, intesa come programmazione realizzata con la partecipazione attiva delle forze politicosociali, degli enti pubblici locali e di tutti i soggetti portatori di interesse che possono sicuramente contribuire alla definizione degli obiettivi e delle priorità da perseguire (Ricci P., 2010); 2) un sistema di controllo di gestione nel rispetto delle competenze e delle funzioni assegnate dal nuovo Codice delle Autonomie. Con il concreto obiettivo di combattere il complesso e diffuso fenomeno della corruzione, ancora una volta le Organizzazioni Internazionali sono intervenute stipulando Convenzione Anti-Corruzione (UNCAC) contenente un programma attuativo (vedi tabella n. 8) delle misure necessaria a prevenire tali disfunzioni del sistema dalla P.A. (Nazioni Unite): 229 Azienda Pubblica 2.2010 L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Saggi Tabella 8 – Le misure preventive previste dalla UNCAC Settore Pubblico Creazione organi di vigilanza Riforma sistema retributivo del pubblico impiego Riforma modalità accesso al pubblico impiego Accordi di collaborazione interistituzionale Approvazione codici di condotta per i funzionari pubblici Approvazione legge sulle procedure di bilancio Approvazione legge su appalti pubblici Settore Privato Adozione standard contabili Promozione trasparenza e pubblicità bilanci Fonte: adattato da Borgonovi E., Fattore G., Longo F., Management delle istituzioni pubbliche, 2009 La corruzione quindi si presenta sì come un fenomeno complesso e di difficile delimitazione perché spazia del pubblico al privato, dalla vita economica alla vita sociale, ma è una situazione che non può essere più tollerata e sottaciuta. Grazie agli strumenti proposti in questo lavoro e attraverso la diffusione di una cultura della trasparenza e della responsabilità si potrebbe davvero creare un sistema pubblico istituzionale non solo ispirato ma realmente indirizzato verso una “sana e corretta amministrazione”, ovvero quell’inviolabile principio della nostra Costituzione che nell’art. 97 racchiude tutti i nostri buoni propositi per combattere la corruzione ribadendo l’imparzialità dell’azione amministrativa e l’indisponibilità delle istituzioni e delle organizzazioni pubbliche per fini speciali o particolari. Riferimenti bibliografici Anselmi L. (2003), Percorsi aziendali per le Pubbliche amministrazioni, Torino: Giappichelli. Astrid, Bassanini F., Castelli L. (a cura di) (2008), Semplificare l’Italia, Firenze: Passigli Editore. 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Azienda Pubblica 2.2010 230 Saggi L’Accountability per il fronteggiamento dello State Capture nel management... Cepiku D. (2005), “Governance: riferimento concettuale o ambiguità terminologica nei processi di innovazione della p.a.?”, Azienda Pubblica, 1, pp. 105-131. D’Alessio L., Vermiglio C., Virginillo M. (2008), Accountability nel sistema di programmazione dello Stato, in Innovazione e accountability nella Pubblica Amministrazione. I drivers del cambiamento, RIREA, Roma. D’Aries C., Sarcina S. (2006), “Gli assetti organizzativi interni all’ente in ottica di governance”, Azienditalia, 11, pp. 791-801. Esposito P. (2006), “Il Bilancio Sociale si è fermato ad Eboli. Limiti e Prospettive di Sviluppo degli enti Locali del Mezzogiorno” in P. Ricci Lo standard G.B.S. per la rendicontazione sociale nella Pubblica Amministrazione – Riflessioni a confronto, Milano: Franco Angeli. Esposito P., Cillo V., Landi T. 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L’obiettivo del presente lavoro è investigare come gli enti locali esercitano la loro funzione di “acquirenti” di servizi pubblici tramite meccanismi di contrattazione formale e relazionale. Lo studio è stato condotto tramite un’analisi di casi multipli. I risultati che emergono supportano l’idea che l’approccio formale e l’approccio relazionale alla contrattazione sono complementari, seppure esista un certo livello di varianza tra i casi, che sembra essere giustificata da fattori legati alle caratteristiche dei servizi esternalizzati (misurabilità e programmabilità), all’interesse del fornitore a costruirsi una buona reputazione, alla natura del fornitore, alla durata della relazione, alla distribuzione delle informazioni e delle responsabilità tra i contraenti. Since the early Eighties the contracting out for the delivery of public services has been increasing in different countries. The aim of this paper is to analyze how Local Authorities carry out their purchaser function through formal and relational contracting. The research is carried out by a cross case analysis. Results show that formal and relational contracting are complementary, although a certain degree of variance seems to emerge between the cases analyzed. The governance system appear to be affected by public service characteristics (measurability and programmability), the provider’s search for reputation, the nature of the provider, the length of the contractual relationship, the distribution of information and responsibility between governments and their contractors. Parole chiave: esternalizzazione – servizi pubblici – contrattazione formale – contrattazione relazionale Key words: public service outsourcing – formal contracting – relational contracting 233 Azienda Pubblica 2.2010 La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Saggi 1. Introduzione In molti Paesi, soprattutto in quelli occidentali, la gestione dei servizi pubblici è interessata, da alcuni decenni, da ripensamenti e innovazioni (Hood 1991, 1995; Ferlie et al. 1996, OECD, 2005; West, 2005; Davis, 2007; Grossi, Reichard, 2008; Brown, Potosky, 2003; Warner, Bel, 2008). I cambiamenti in atto scaturiscono dalle critiche all’efficienza e all’efficacia dell’intervento diretto delle aziende pubbliche nella produzione dei servizi. A partire dall’inizio degli anni ‘80 si è assistito ad una rapida diffusione di processi di esternalizzazione dei servizi. Ciò ha comportato la crescente distinzione fra responsabilità per lo svolgimento della funzione pubblica, che permane in capo all’amministrazione pubblica, e responsabilità per l’erogazione del servizio, che viene trasferita a soggetti esterni (Borgonovi, 2000). Osborne e Gabler (1992) a riguardo parlano di “steering not rowing”, proprio a sottolineare che le amministrazioni pubbliche sono chiamate a svolgere un ruolo di governo strategico e di definizione delle politiche, liberandosi progressivamente della gestione operativa dei servizi. Gli studi condotti sino ad oggi sul tema hanno approfondito soprattutto le ragioni sottese alla scelta di esternalizzare i servizi (Donahue, 1989; Savas, 1987; Sclar, 2000), evidenziandone i vantaggi (diminuzione dei costi, incremento dell’efficienza, della qualità, della flessibilità, miglioramento delle performance complessive, ampliamento dell’offerta) e gli svantaggi (incremento dei costi di transazione, riduzione della qualità dei servizi, perdita di controllo sugli output). Minore attenzione è stata dedicata alle caratteristiche dei meccanismi adottati per la gestione dell’esternalizzazione. Riguardo a ciò, gli studiosi di contracting out hanno evidenziato la necessità di limitare la perdita di controllo sulle attività di produzione enucleate dalla struttura organizzativa aziendale (Milward et al. 1993) e di qualificare l’attività di acquisto dell’azienda pubblica come “smart e prudent” (Kettl, 1993; Fossett et al. 2000), proprio per evitare che i fornitori di servizi si comportino in modo opportunistico. Lo scopo del presente lavoro è investigare quale tipologia di contrattazione gli enti locali impiegano per esercitare la loro funzione di “acquirenti” di servizi pubblici nell’ambito dei processi di esternalizzazione. A tal fine nel paragrafo 2 è presentato il framework sviluppato da MacNeil (1978, 1985), che identifica due tipi di contrattazione: la contrattazione formale e quella relazionale. Il metodo di analisi è approfondito nel paragrafo 3, mentre i risultati sono presentati e discussi nei paragrafi 4 e 5. Infine il paragrafo 6 trae alcune considerazioni conclusive. 2. Approccio formale e relazionale all’esternalizzazione dei servizi MacNeil (1978; 1985) individua due modelli per la gestione delle relazioni che derivano da processi di esternalizzazione dei servizi: il modello formale Azienda Pubblica 2.2010 234 Saggi La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione e il modello relazionale. Ognuno dei suddetti modelli si basa su assunzioni differenti circa le relazioni tra i due soggetti coinvolti nello scambio. L’approccio formale prevede una situazione di conflitto tra le controparti con la conseguenza che la preoccupazione di chi esternalizza il servizio (principale) diventa il contenimento dei comportamenti opportunistici (1) dell’agente. Questo approccio si colloca nel solco della teoria dell’agenzia (Jensen, Meckling, 1976; McAfee, McMillan, 1986): l’agente che agisce per conto del principale non necessariamente condivide le sue stesse finalità e può utilizzare i propri margini di discrezionalità per massimizzare i propri interessi. Tali comportamenti opportunistici derivano dall’esistenza di asimmetrie informative (Alchian, Demsetz, 1972; Eisenhardt, 1989a; Jensen, Meckling, 1976) e dipendono da fattori di contesto come le caratteristiche dei servizi in termini di specificità degli investimenti e grado di misurabilità (Williamson, 1981; Eisenhardt, 1989a). I sostenitori dell’approccio formale suggeriscono (Wesemann, 1981; Marlin, 1984; Savas, 1987; Kettl, 1993; Lavery, 1999; Romzek, Johnston, 2002; Hefetz, Warmer, 2004; Van Slyke, 2007) le seguenti prassi per contenere l’emersione di comportamenti opportunistici: (i) elaborazione di precisi e dettagliati contratti, (ii) controllo delle performance, (ii) ricorso a meccanismi legali sanzionatori, (iv) limitazione della discrezionalità del fornitore. La completezza dei contratti risulta una questione dibattuta in letteratura in merito a due dimensioni: la possibilità e l’opportunità di elaborare dei contratti completi e gli aspetti che determinano la completezza dei contratti stessi. Per quanto riguarda il primo punto alcuni autori rilevano che raramente è possibile riscontrare contratti completi (Bernheim, Whinston, 1998) data la razionalità limitata degli agenti economici. Con riferimento ai contenuti, Lou (2002) individua due dimensioni rilevanti per la completezza del contratto: l’adattabilità ai cambiamenti e la specificazione dei termini. La prima caratteristica fa riferimento alla necessità di contenere la discrezionalità futura del fornitore definendo ex ante come agire nel caso si dovessero presentare degli eventi la cui manifestazione non è certa. La seconda dimensione riguarda il livello di dettaglio e precisione con cui sono definiti i termini del contratto. In particolare, si fa riferimento alla chiara definizione di ciò che si attende dalla controparte e delle modalità tramite cui procedere alla valutazione delle performance realizzate (Wesemann, 1981; Marlin 1984; O’Looney, 1998; Savas, 2000; Romzek, Johnston, 2005; Brown et al., 2007). Un alto livello di specificazione risponde a due finalità: da un lato chiarisce al soggetto chiamato a fornire il servizio le attese circa le prestazioni da offrire, dall’altro supporta l’attività di controllo dell’azienda pubblica (Fernandez, 2007). Il contenuto dei contratti può essere definito in termini di obiettivi di 1 Un comportamento opportunistico si manifesta quando, nell’ambito di una relazione, un soggetto, al fine di massimizzare il proprio interesse personale, sfrutta la vulnerabilità della propria controparte (Williamson, 1985). 235 Azienda Pubblica 2.2010 La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Saggi performance che il fornitore deve perseguire o delle specifiche modalità cui il fornitore deve attenersi nello svolgimento delle attività richieste. Nel primo caso si parla di performance contracting, mentre nel secondo caso di regulatory o conventional contracting (Donahue, 1989; Behn, Kant, 1999). Strettamente connesso al livello di specificazione del contenuto del contratto è il tema del controllo delle performance realizzate dal gestore del servizio esternalizzato. Lo sviluppo di un sistema di controllo delle performance è considerato fondamentale per il successo del contracting out. Infatti, l’assenza di un attento e definito sistema di controllo sembra determinare un maggiore livello di contracting back, ovvero di ritorno alla gestione diretta dei servizi da parte delle amministrazioni pubbliche (Hefetz e Warner, 2004). Un altro elemento critico nell’approccio formale è il ricorso a meccanismi legali nel caso non venga ottemperato quanto previsto nel contratto. Rientrano in questa fattispecie l’applicazione di sanzioni pecuniarie e l’opportunità di rescindere il contratto. In contrasto, l’approccio relazionale prevede che tra le parti coinvolte in una relazione di scambio non vi sia contrapposizione, ma allineamento degli interessi secondo la teoria della stewardship (2) (Davis et al., 1997; Van Slyke, 2007). Si tratta di un approccio che enfatizza la flessibilità, il confronto e l’utilizzo di meccanismi non legali per risolvere eventuali conflitti. Esso si fonda sull’assunto che risultati migliori possono essere raggiunti se le parti collaborano per individuare le soluzioni a eventuali problemi, comunicano tra di loro frequentemente e rafforzano la fiducia reciproca. Le comunicazioni frequenti e la collaborazione sono considerate un elemento fondamentale per poter adattare l’originario contratto ai cambiamenti che intervengono durante la gestione. La fiducia ha una connotazione sociologica, in quanto è un elemento che affonda le sue radici nelle specificità della relazione di scambio. Essa può essere definita come la convinzione che in una situazione a rischio un altro soggetto si comporterà in linea con quanto atteso (Luhumann, 1979). Pertanto, la definizione di fiducia riguarda aspettative positive sul comportamento altrui (Gambetta, 1988). Dagli studi condotti la fiducia ha effetti positivi sui processi di esternalizzazione in quanto da una parte esercita un ruolo di deterrente rispetto a comportamenti opportunistici e dall’altra riduce i costi di transazione, ovvero i costi legati all’implementazione di meccanismi di controllo (Arrow 1974; MacNeil 1980; Williamson 1985; Zaheer, Venkatraman 1995; Bennett, Ferlie 1996; Sclar 2000). Tradizionalmente la contrattazione formale e la contrattazione relazionale sono stati considerati come meccanismi sostitutivi. Secondo questa prospettiva l’utilizzo di uno dei due meccanismi inibirebbe l’utilità dell’altro (Larson, 1992; Gulati, 1995; Dyer, Singh, 1998; Macaulay, 1963; Poppo, Zenger, 2002). L’esistenza di un rapporto sostitutivo tra i contratti 2 La teoria della stewardship “defines situations in which managers are not motivated by individual goals, but rather are stewards whose motives are aligned with the objectives of their principals” (Davis et al., 1997: 21). Azienda Pubblica 2.2010 236 Saggi La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione formali e la contrattazione relazionale è da attribuire secondo alcuni autori (Macaulay, 1963; Ghoshal, Moran, 1996; Bernheim e Whinston, 1998) alla convinzione che il ricorso ai primi può avere degli effetti negativi sulla nascita e lo sviluppo di atteggiamenti cooperativi. I contratti formali e i relativi meccanismi di controllo e monitoraggio, venendo percepiti come segnali di sfiducia, possono ostacolare comportamenti collaborativi. Macaulay (1963) evidenzia che alcune aziende non adottano consapevolmente contratti eccessivamente dettagliati, poiché ostacolano lo sviluppo di un rapporto cooperativo. Bernheim e Whinston (1998), invece, sottolineano che è preferibile elaborare dei contratti quanto più possibile incompleti qualora vi siano dei termini non ben specificabili, in modo da lasciare ad aggiustamenti successivi la declinazione di ciò che è poco definibile ex ante. Secondo Carson et al. (2006) la contrattazione formale e relazionale non sono dei semplici sostituti. Dal loro studio emerge che ognuna delle due forme è adatta a controllare fattori differenti tra quelli individuati come cause di comportamenti opportunistici. In particolare, il contratto formale sembra essere uno strumento più adatto nei casi ad elevata ambiguità (ovvero quando esistono difficoltà nella lettura ed interpretazione degli eventi presenti e passati), mentre il contratto relazionale nei casi ad elevata volatilità (ovvero di incertezza rispetto al futuro). Accanto alla letteratura che considera la contrattazione formale e quella relazionale come sostitutivi, vi sono autori che sostengono la loro complementarietà, poiché ritengono che l’adozione congiunta delle due logiche contrattuali sia più efficace per contenere i comportamenti opportunistici e migliorare la performance complessiva. Il rapporto relazionale è considerato complementare al contratto formale in quanto capace di compensarne alcuni limiti. In particolare, il contratto formale si caratterizza per la specificazione dei termini dello scambio e dei meccanismi di controllo, ma non garantisce cooperazione, mutualismo e continuità nel momento in cui sorgono conflitti (MacNeil, 1978). La contrattazione relazionale potrebbe intervenire proprio a controbilanciare questi aspetti. Essa, da una parte, può conferire stabilità e flessibilità al rapporto e, dall’altra, può favorire l’elaborazione di contratti più completi, facendo leva sullo scambio e la condivisione di informazioni tra le parti (Sitkin, 1992; Lorenz, 1999; Poppo, Zenger, 2002). 3. Obiettivi e metodo di indagine Il processo di esternalizzazione nel nostro Paese si configura come un fenomeno diffuso. Come dimostrano i dati di un’indagine (3) condotta dal Dipartimento della funzione pubblica (2005) il 61% del totale degli enti oggetto di studio entro il 2003 aveva affidato lo svolgimento di almeno 3 L’indagine è stata condotta presso un campione rappresentativo di amministrazioni pubbliche con più di 150 dipendenti. Sono state coinvolte 1.035 amministrazioni facenti parte del livello centrale, regionale e locale. 237 Azienda Pubblica 2.2010 La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Saggi un’attività ad un altro soggetto. (4) Data la rilevanza del fenomeno sembra rilevante interrogarsi sui meccanismi utilizzati da parte delle amministrazioni pubbliche per gestire la funzione di committenza nell’ambito dei processi di esternalizzazione. Più in dettaglio, si intende investigare se e quando le aziende pubbliche impiegano la contrattazione formale e quella relazionale. L’analisi consente anche di contribuire al dibattito circa la relazione (di complementarietà o di sostituzione) tra contrattazione formale e relazionale. Al fine di rispondere all’interrogativo di ricerca si è proceduto tramite un’analisi di casi multipli, nella formulazione prospettata da Eisenhardt (1989b) e Yin (1994). (5) La ricerca effettuata attraverso lo studio dei casi agevola la connessione tra teoria ed evidenza empirica ed è indicata per esplorare fenomeni contemporanei (Yin, 1994), realtà non troppo lontane nel tempo che possono essere analizzate sia attraverso l’analisi documentale sia attraverso questionari ed interviste con gli attori (Grandori, 1996). La ricerca è stata sviluppata tramite l’analisi di tre realtà comunali. Si è deciso di scegliere il livello locale in quanto gli enti locali appaiono le amministrazioni più attive nell’esternalizzazione dei servizi, soprattutto di quelli finali (Dipartimento della funzione pubblica, 2005). Per ogni comune è stata analizzata la presenza della contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione dei servizi di igiene urbana e del servizio di assistenza domiciliare per anziani. Sono stati scelti i suddetti servizi al fine di tenere sotto controllo alcune variabili che possono impattare, secondo Brown e Potosky (2003), sulla possibilità di scrivere contratti dettagliati e di controllare le prestazioni del fornitore dei servizi: il livello di misurabilità e programmabilità. In particolare, i servizi di igiene urbana presentano un elevato livello di programmabilità e misurabilità, mentre i servizi sociali un basso livello. Inoltre, dall’indagine condotta dal Dipartimento della funzione pubblica (2005) risulta che i comuni hanno esternalizzato soprattutto i servizi di igiene e i servizi socio-assistenziali. I comuni oggetto di studio sono stati selezionati attraverso un processo articolato in due fasi (Patton, 2002; Flick, 2002). Innanzitutto, gli enti nel corso del 2006-2007 dovevano avere esternalizzato sia i servizi di igiene urbana sia il servizio di assistenza domiciliare a soggetti privati o non profit. Inoltre, al fine di neutralizzare l’impatto di alcune variabili ambientali (Powell, 1985), sono stati scelti enti simili rispetto alla dimensione (25.000 - 40.000 abitanti) e rispetto al contesto normativo ed istituzionale (Regione 4 È da sottolineare che il concetto di esternalizzazione utilizzato nell’indagine non corrisponde a quello usato nell’ambito di questo lavoro. Infatti, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha inteso per esternalizzazione quei fenomeni che coinvolgono nella produzione dei servizi imprese private, imprese sotto controllo pubblico, altre istituzioni pubbliche, istituzioni non profit private e anche pubbliche o sotto controllo pubblico. L’operazionalizzazione di esternalizzazione adottata nel presente lavoro non include i casi in cui il fornitore è sotto il controllo pubblico in quanto, essendoci una coincidenza tra il soggetto economico del titolare e del fornitore dei servizi, non si configura la separazione tra funzione di produzione e titolarità (Savas, 1987; Longo, 2001; Borgonovi, 2000). 5 In questa sede lo studio dei casi è inteso come metodologia di ricerca in contrapposizione all’utilizzo dei casi con finalità prevalentemente didattiche. Azienda Pubblica 2.2010 238 Saggi La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Lombardia). I comuni sono stati individuati a seguito di una breve indagine effettuata tramite intervista telefonica volta ad investigare le modalità di gestione dei servizi su cui il presente lavoro si focalizza. Le domande sono state rivolte al responsabile dell’Ufficio Ambiente/Ecologia e al responsabile dell’Ufficio Servizi Sociali. Alla luce delle risposte e della disponibilità ed interesse manifestati dagli enti alla ricerca sono stati scelti tre comuni in virtù del criterio di accessibilità dei dati (De Masi, 1885). Per la raccolta dati si è proceduto tramite il ricorso a più fonti e metodi al fine di realizzare la triangolazione dell’evidenza empirica e garantire la validità interna attraverso la replicabilità dell’osservazione e dell’interpretazione (Stake, 1995). Si è fatto ricorso sia all’analisi documentale sia all’effettuazione di interviste. I documenti analizzati sono stati, oltre al contratto di servizio e al capitolato di appalto, il regolamento del servizio, il Piano Esecutivo di Gestione (PEG), la Relazione Previsionale e Programmatica (RPP) ed eventuali documenti prodotti dal gestore del servizio. Le interviste sono state condotte presso gli enti locali con il dirigente del servizio e/o con il funzionario che gestisce il rapporto con il gestore. Con riferimento all’approccio formale alla contrattazione sono stati considerati i seguenti elementi: • la specificazione dei risultati attesi (Lou, 2002) in termini di input, output e outcome. È possibile distinguere tra performance e regulatory contracts (Donahue, 1989; Behn, Kant, 1999). I primi dettagliano gli output e gli outcome attesi, mentre i secondi gli input e i processi, in linea con un approccio più burocratico (Borgonovi, 2000); • il ricorso a meccanismi legali qualora non venga ottemperato quanto previsto nel contratto. Si è considerato se gli enti hanno applicato penali o fatto ricorso ad arbitrati per risolvere conflitti con i fornitori (Jensen, Meckling, 1976; Dias, Maynard-Moody, 2007); • il sistema di monitoraggio delle performance. A riguardo è stata considerata la tipologia di informazioni raccolte (input, output, outcome, processi, costi, accuratezza delle fatture, lamentele dei cittadini); • l’ampiezza della discrezionalità lasciata al gestore dei servizi. A tal fine si è considerato se nel contratto sono identificati in modo esplicito i destinatari dei servizi e se sono esplicitati i comportamenti da adottare nel caso dovessero cambiare i fattori di contesto (Lou, 2002). Per quanto, invece, attiene alla contrattazione relazionale sono stati indagati i seguenti aspetti: • la presenza di comunicazioni frequenti tra il comune e il fornitore dei servizi per lo scambio di informazioni tramite incontri, telefonate ed e-mail; • la collaborazione tra le parti nell’individuazione dei problemi e nella risoluzione degli stessi; • la presenza di un sentimento di fiducia da parte dell’ente nei confronti del gestore. 239 Azienda Pubblica 2.2010 La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Saggi 4. L’esternalizzazione dei servizi di igiene urbana e del servizio di assistenza domiciliare per anziani In questa sezione sono presentati i risultati emersi dallo studio prima con riferimento ai servizi di igiene urbana e poi al servizio di assistenza domiciliare per anziani. I comuni analizzati sono indicati con i seguenti nomi: Comune di B., Comune di S. e Comune di P. L’esternalizzazione dei servizi di igiene urbana Il Comune di S. e il Comune di P. hanno affidato la gestione del servizio a società private, mentre il Comune di B. ad una società il cui capitale è di proprietà di un comune limitrofo (tabella 1). Tutti i comuni hanno adottato, come previsto dalla normativa, un contratto di servizio che definisce i servizi attesi in termini di input, processi e output. Il Comune di S. e il Comune di P. definiscono nel contratto anche gli outcome intermedi attesi in termini di percentuale di raccolta differenziata che si propongono di raggiungere. I contratti prevedono delle sanzioni nel caso il fornitore non adempia alle previsioni in esso contenute, mentre non sono contemplati premi qualora siano raggiunte le performance attese. Le sanzioni non sono impiegate dal Comune di S., neppure qualora il gestore non adempia in pieno gli impegni contrattuali: “Noi non applichiamo le sanzioni per non irrigidire il rapporto con il fornitore”, afferma il referente per i servizi di igiene urbana. Si tratta, quindi, di una scelta consapevole per evitare di ridurre gli spazi di collaborazione che si sono creati nel corso del tempo con il fornitore. Tutti i comuni effettuano controlli formali sulle fatture ricevute per verificare che vi sia corrispondenza tra quanto richiesto in termini monetari e la quantità di rifiuti raccolti. Settimanalmente sono effettuati controlli ispettivi sul territorio da parte di personale comunale dedicato. Un’altra forma di controllo è rappresentata dalla raccolta delle lamentele dei cittadini in merito ai servizi erogati. A riguardo esistono dei comportamenti diversi tra i comuni. Infatti, il Comune di S. raccoglie direttamente le lamentele dei cittadini e in base ad esse contatta il fornitore perché ponga rimedio a situazioni non in linea con quanto previsto nel contratto. Il Comune di P. e il Comune di B. hanno attribuito al gestore dei servizi il compito di raccogliere le lamentele. In entrambi i casi le società di igiene urbana hanno attivato dei numeri verdi ad hoc. Tuttavia, il Comune di P. richiede alla controparte di produrre una reportistica indicante l’elenco delle telefonate ricevute e il relativo contenuto, al fine di tenere monitorate le indicazioni provenienti dai cittadini, in quanto ritenute molto importanti per verificare la qualità delle prestazioni offerte dal gestore dei servizi. Si evidenzia in tutti i casi la mancanza di analisi di customer satisfaction strutturate. La relazione con il fornitore dei servizi, seppure con diverse sfumature tra i casi studiati, prevede anche degli elementi che ricadono nell’approccio Azienda Pubblica 2.2010 240 Saggi La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione relazionale. Innanzitutto, è da evidenziare che quotidianamente intercorrono delle comunicazioni tra i comuni e le imprese che forniscono i servizi di igiene urbana (“Si fanno dalle 10 alle 15 telefonate al giorno” afferma il referente del Comune di P.). Le comunicazioni sono in gran parte stimolate dalle segnalazioni dei cittadini e dall’attività di monitoraggio effettuata dagli ispettori comunali sul territorio. Quest’ultima è volta a richiedere al gestore di conformarsi a quanto previsto nel contratto. Tutti i comuni hanno evidenziato che per far valere le loro richieste nei confronti del gestore è importante avere un contratto dettagliato che espliciti i risultati attesi. Inoltre, la comunicazione è il modo tramite cui “riempire” le maglie del contratto laddove esso prevede che il comune possa richiedere l’erogazione di servizi aggiuntivi dietro pagamento di un certo corrispettivo. Seppure da entrambe le parti si ponga molta attenzione alla definizione dei costi aggiuntivi correlati a modifiche contrattuali, i gestori si mostrano abbastanza disponibili a soddisfare le richieste comunali. Essi non richiedono a volte il pagamento di un corrispettivo per gli interventi sporadici non contemplati nel contratto (Comune di B. e S.). Tuttavia, mentre nel Comune di P. e S. al gestore sono fatte richieste specifiche, nel caso del Comune di B. il gestore ha un ruolo attivo nel definire il servizio. I referenti del Comune di S. e di P. riconducono la disponibilità del gestore alla necessità di quest’ultimo di costruire e preservare una buona reputazione da poter spendere nei confronti dei comuni limitrofi. Infatti, il referente dei servizi di igiene urbana del Comune di S. afferma “Il comune è spesso chiamato in causa dai comuni della zona in cui il fornitore partecipa alle gare di appalto per esprime un giudizio sulla affidabilità e qualità dei servizi”. La contrattazione relazionale più intensa si riscontra nel Comune di B, dove la collaborazione tra le controparti è volta sia a risolvere situazioni contingenti sia a definire le caratteristiche del servizio erogato. Ciò potrebbe essere spiegato in parte dalla natura del fornitore, che, in quanto pubblico, è ritenuto “più affidabile rispetto ad un fornitore privato”, come evidenzia il responsabile comunale del servizio, in parte dal fatto che uno dei meccanismi di controllo, ovvero la raccolta delle lamentele, è delegato. Avendo attribuito al gestore questa prerogativa e non richiedendo una reportistica ad hoc, il gestore rappresenta il soggetto che meglio conosce gli aspetti del servizio percepiti dai cittadini come critici e, quindi, rappresenta un interlocutore fondamentale per il comune. In questo caso sussiste il rischio che, se non adeguatamente gestito, il fornitore si sostituisca al comune nello svolgimento della funzione di committenza. 241 Azienda Pubblica 2.2010 Saggi La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Tabella 1 – I meccanismi della contrattazione formale e relazionale nell’ambito dei servizi di igiene urbana Comune di S. Comune di P. Comune di B. Meccanismi di contrattazione formale Specificazione dei risultati attesi - output con indicatori e relativi target (correlati alla frequenza delle diverse tipologie di raccolta) - outcome intermedio(percentuale di raccolta differenziata) - output con indicatori e relativi target (correlati alla frequenza delle diverse tipologie di raccolta) - outcome intermedi (percentuale di raccolta differenziata per tipologia di rifiuto) Ricorso a meccanismi legali le sanzioni non sono applicate come conseguenza di una specifica scelta le sanzioni sono applicate “Non vogliamo irrigidire la relazione con il fornitore” Sistema di monitoraggio delle performance - ispezioni sul territorio - raccolta delle lamentele - controllo delle fatture - ispezioni sul territorio - report sulle lamentele elabo- - ispezioni sul territorio rato dal gestore del servizio - controllo delle fatture - controllo della fatture Discrezionalità lasciata al gestore dei servizi il contratto non fa esplicito riferimento alle azioni da intraprendere in situazioni particolari il contratto non fa esplicito riferimento alle azioni da intraprendere in situazioni particolari il contratto non fa esplicito riferimento alle azioni da intraprendere in situazioni particolari - input (il numero di addetti per specifiche attività) - output con indicatori e relativi target (correlati alla frequenza delle diverse tipologie diraccolta) le sanzioni sono applicate Meccanismi di contrattazione relazionale Comunicazioni le comunicazioni sono frequenti le comunicazioni sono frequenti le comunicazioni sono frequenti Collaborazione le parti a volte cooperano per risolvere situazioni non previste nel contratto le parti a volte cooperano per risolvere situazioni non previste nel contratto le parti cooperano per giungere ad una migliore lettura dei bisogni locali Fiducia non esiste fiducia nella controparte non esiste fiducia nella controparte non esiste fiducia nella controparte L’esternalizzazione del servizio di assistenza domiciliare per anziani In tutti i casi analizzati il servizio di assistenza domiciliare per anziani è stato esternalizzato a cooperative, seppure sia rimasta in capo ai comuni la responsabilità di selezionare, tra gli anziani che ne fanno domanda, gli utenti del servizio (tabella 2). I comuni preferiscono agire direttamente nella scelta degli anziani da assistere piuttosto che esplicitare dei criteri guida per la cooperativa. Gli anziani bisognosi di assistenza presentano domanda direttamente all’ufficio servizi sociali del comune, che tramite proprie assistenti sociali provvede a valutare il fabbisogno dei singoli anziani e a predisporre una scheda individualizzata indicante le specifiche attività di assistenza che l’anziano ha diritto di ricevere. La scheda individualizzata è il frutto del lavoro congiunto delle assistenti sociali del comune con le operatrici della cooperativa sociale. Inoltre, sono previsti continui contatti con la cooperativa sia telefonici sia tramite incontri. La frequenza degli incontri Azienda Pubblica 2.2010 242 Saggi La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione varia tra comuni: sono settimanali nel Comune di P. e quindicinali negli altri due. In questi incontri si discutono gli aspetti organizzativi del servizio (ad esempio il calendario con i turni degli operatori) e lo stato degli assistiti ed eventuali aspetti critici. Le schede individualizzate, insieme con gli incontri tra assistenti sociali comunali e operatori della cooperativa, rappresentano gli strumenti tramite cui sono dettagliati i contenuti del contratto di servizio. Nelle schede si trova l’esplicitazione delle ore di assistenza che la cooperativa deve erogare, mentre sono vaghi gli obiettivi di outcome. Essi non sono mai corredati da opportuni indicatori. È possibile rintracciare nei contratti una certa attenzione alle competenze degli operatori che si recano presso gli anziani. Sono richiesti, infatti, il possesso di alcuni requisiti formali (attestati, corsi, ecc.). Sempre nel contratto si trovano indicazioni sulle sanzioni da adottare qualora gli impegni non vengano rispettati. Il Comune di S. non ha mai applicato sanzioni “perché la cooperativa lavora bene” ha commentato il dirigente dei servizi sociali. Anche il Comune di B. non applica sanzioni, ma il dirigente ha affermato “Non applichiamo le sanzioni perché il contratto è poco specifico. È difficile sanzionare su elementi che non sono stati dettagliati ex-ante”. Tutti i comuni controllano il gestore del servizio tramite il foglio firme, che attesta le ore di assistenza prestate. Si tratta di un controllo finalizzato a verificare la corrispondenza tra le cifre fatturate e le ore effettivamente prestate. Nel Comune di P. vengono anche effettuate delle telefonate agli utenti per controllare che nelle ore previste l’operatore si trovi presso il loro domicilio. Accanto a questi controlli di natura più burocratica, in quanto finalizzati a verificare solo l’adempimento formale di quanto richiesto, sono previste delle visite da parte delle assistenti sociali del comune agli anziani beneficiari del servizio per tenere monitorate le loro condizioni. È da notare che per questo servizio non è applicabile il controllo basato sulla raccolta dei reclami degli utenti: “Si tratta di utenti che anche per le loro condizioni psico-fisiche non sono inclini a lamentarsi del servizio” ha evidenziato la responsabile dei servizi sociali del Comune di P. 243 Azienda Pubblica 2.2010 Saggi La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Tabella 2 – I meccanismi della contrattazione formale e relazionale nell’ambito del servizio di assistenza domiciliare Comune di S. Comune di P. Comune di B. - quantificazione delle ore di assistenza acquistate - outcome non corredati da indicatori e standard (ad esempio: procrastinare il ricorso alle strutture residenziali; facilitare le dimissioni protette da ospedali o da altre strutture in un continuum assistenziale da proseguire al domicilio) - quantificazione delle ore di assistenza acquistate - outcome non corredati da indicatori e standard (ad esempio: sostegno delle dimissioni da ospedali e da istituti; riduzione del ricorso alle strutture residenziali qualora non sia indispensabile) Meccanismi di contrattazione formale Specificazione dei risultati attesi - quantificazione delle ore di assistenza acquistate - outcome non corredati da indicatori e standard (ad esempio: recupero da parte del singolo individuo della propria autonomia al fine di consentire la permanenza nel proprio ambiente di vita) Ricorso a meccanismi legali le sanzioni non sono applicate perché “La cooperativa le sanzioni sono applicate lavora bene” Sistema di monitoraggio delle performance - ispezioni presso il domicilio dell’utente - foglio firme - controllo delle fatture - ispezioni presso il domicilio dell’utente - foglio firme - telefonate al domicilio dell’utente - controllo delle fatture - ispezioni presso il domicilio dell’utente - foglio firme - controllo delle fatture Discrezionalità lasciata al gestore dei servizi il contratto non fa esplicito riferimento alle azioni da intraprendere in situazioni particolari il contratto non fa esplicito riferimento alle azioni da intraprendere in situazioni particolari il contratto non fa esplicito riferimento alle azioni da intraprendere in situazioni particolari le comunicazioni sono frequenti. Sono previsti anche incontri settimanali formalizzati le comunicazioni sono frequenti. Sono previsti anche incontri quindicinali formalizzati le sanzioni non sono applicate “Il contratto è poco specifico. È difficile sanzionare su elementi che nono sono stati dettagliati ex ante”. Meccanismi di contrattazione relazionale Comunicazioni le comunicazioni sono frequenti. Sono previsti anche incontri quindicinali formalizzati Collaborazione le parti cooperano le parti cooperano le parti cooperano per giungere ad una migliore per giungere ad una migliore per giungere ad una migliore lettura dei bisogni locali lettura dei bisogni locali lettura dei bisogni locali Fiducia non esiste fiducia nella controparte non esiste fiducia nella controparte non esiste fiducia nella controparte 5. La contrattazione formale e relazionale come due meccanismi complementari L’analisi empirica mostra che la funzione di acquirente nei processi di esternalizzazione è svolta tramite meccanismi propri sia dell’approccio formale sia dell’approccio relazionale. I due approcci non sembrano essere tra di loro sostitutivi, come hanno evidenziato alcuni autori (Larson, 1992; Gulati, 1995; Dyer, Singh, 1998; Macaulay, 1963; Poppo, Zenger, 2002), ma complementari, seppure con alcune differenze (figura 1). Azienda Pubblica 2.2010 244 Saggi La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Figura 1 – La contrattazione formale e relazionale per il servizio di igiene urbana e assistenza domiciliare per anziani Contrattazione relazionale Alto Medio Contrattazione formale Basso Alto Comune S Igiene urbana Comune P Basso Comune S Comune P Comune B Comune B Assistenza domiciliare per gli anziani Medio Comune S Comune S Comune P Comune P Comune B Comune B La contrattazione formale rappresenta il meccanismo utilizzato principalmente nella fase di definizione ex-ante dei termini dello scambio. Tuttavia, si riscontra che il livello di dettaglio del contratto risulta essere maggiore per i servizi di igiene urbana, per il quali sono individuati indicatori e standard sia in termini di input/processi sia di output e outcome. I contratti del servizio di assistenza agli anziani risultano più generici, specialmente per quanto riguarda gli outcome che sono enunciati prevalentemente in modo descrittivo. Ciò sembra essere riconducibile alla diversa misurabilità dei due servizi. Infatti, i servizi di igiene urbana sono identificati in letteratura (Brown, Potoski, 2003) come più misurabili rispetto al servizio di assistenza domiciliare, in quanto è più semplice identificare un set di indicatori che consentono di verificare la qualità e la quantità delle prestazioni erogate. La presenza di un contratto dettagliato è individuata dagli operatori comunali come un elemento che favorisce la loro attività di controllo e facilita il rapporto con la controparte in quanto delimita i ruoli e le aspettative. In generale, i contratti si presentano prevalentemente come performance contract piuttosto che regulatory contract, in linea con le richieste del New Public Management, che enfatizza la misurazione delle performance e il controllo dei risultati. La contrattazione relazionale si connota come meccanismo per meglio specificare quanto scritto nel contratto di servizio e nel capitolato d’appalto. È attraverso la comunicazione e la collaborazione che i comuni riescono ad adattare il contratto alle contingenze emergenti. Il livello di contrattazione informale presenta delle differenze tra i casi analizzati. In alcuni casi si 245 Azienda Pubblica 2.2010 La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Saggi declina solo in termini di comunicazione tra le parti (vedi servizi di igiene urbana nel Comune di S. e di P.), mentre in altri come vera e propria collaborazione, seppure nessuno degli intervistati abbia parlato di nutrire fiducia nei confronti del fornitore. Appare che la relazione con i fornitori dei servizi sia interpretata dai comuni secondo la prospettiva propria della teoria di agenzia e, quindi, come caratterizzata dalla contrapposizione di interessi. Ciò non impedisce lo sviluppo della comunicazione e di alcune forme di collaborazione in quanto ritenute necessarie per rendere flessibile il rapporto di contracting out. Assumendo la prospettiva dei fornitori dei servizi, si osserva che essi si mostrano disponibili a scambiare informazioni e a venire incontro anche a quelle richieste dei comuni che si discostano dal contratto perché interessati a crearsi una buona reputazione da spendere nelle procedure di aggiudicazione del servizio in comuni limitrofi (Comune di S. e Comune di P.). L’approccio relazionale alla contrattazione sembra rispondere a differenti fabbisogni. Innanzitutto, la contrattazione relazionale è utilizzata per procedere alla declinazione ex post di quelle situazioni che si configurano come poco prevedibili. Ciò è tanto più vero per il servizio di assistenza domiciliare in quanto caratterizzato da minore programmabilità. Infatti, dai casi analizzati, si evince che la contrattazione informale risulta più strutturata per il servizio di assistenza domiciliare con la previsione di incontri sistematici tra comune e cooperativa, finalizzati alla specificazione delle quantità e della tipologia di interventi da destinare ad ogni utente. Al momento della messa a gara del servizio si quantifica solo l’ammontare complessivo delle ore di assistenza acquistate, lasciando ad un secondo momento la destinazione delle stesse a dati utenti in funzione del loro fabbisogno di assistenza. La contrattazione relazionale sembra configurarsi anche come lo strumento tramite cui gestire situazioni in cui le informazioni sul servizio e su come esso è percepito dagli utenti sono possedute principalmente da parte del fornitore. Infatti, quando è il fornitore ad avere queste informazioni – in quanto è il soggetto a cui è stato affidato l’onere di raccogliere i reclami (servizi di igiene urbana nel Comune di B.) o in quanto ha relazioni dirette e frequenti con gli utenti come nel contracting out dei servizi di assistenza domiciliare – si osserva un suo maggior coinvolgimento nei processi decisionali del comune e lo sviluppo di forme di collaborazione. Il rischio emergente in questa fattispecie è che il comune trasli inconsciamente sul fornitore l’esercizio della funzione di committenza (Stewart, 1993). L’approccio relazionale non sembra essere inficiato dall’impiego di sanzioni da parte del comune qualora il fornitore non ottemperi a quanto previsto nel contratto. Nei casi in cui le sanzioni vengono applicate (servizi di igiene urbana del Comune di B. e di P. e assistenza domiciliare del Comune di S.) le relazioni tra le parti sono comunque sviluppate (vedi figura 1). Di conseguenza, l’applicazione puntuale delle sanzioni non è controproducente per il rapporto con la controparte in quanto non determina necessariamente un irrigidimento sulle posizioni individuali e non inibisce Azienda Pubblica 2.2010 246 Saggi La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione la flessibilità e la collaborazione. Per evitare che emergano conflitti tra le parti quando si applicano le sanzioni è rilevante definire nel contratto le situazioni in cui si può provvedere a sanzionare il fornitore, come enfatizza il responsabile dei servizi sociali del Comune di B. Ciò sembra essere in linea con i risultati della ricerca svolta da Fernandez (2007), secondo cui le esperienze di contracting out di maggior successo si caratterizzano per essere gestite in modo flessibile e cooperativo, senza, tuttavia, rinunciare ai meccanismi sanzionatori. Inoltre, se delimitiamo l’analisi ai casi di esternalizzazione del servizio di igiene urbana al fine di neutralizzare l’effetto delle caratteristiche del servizio (misurabilità e programmabilità) sul tipo di contrattazione impiegata, risulta che il livello di contrattazione relazionale è influenzato anche dalla natura del fornitore e dalla durata della relazionale con il medesimo fornitore. Nel Comune di B. la contrattazione relazionale più intensa rispetto agli altri comuni è spiegata dal referente comunale del servizio come conseguenza della natura pubblica del fornitore, che è ritenuto più affidabile di un fornitore con soggetto economico privato, perché meno incline a comportamenti opportunisti e più propenso ad atteggiamenti cooperativi (Brown, Potosky, 2003). Il livello medio-alto della contrattazione relazionale nel Comune di S sembra suggerire che interfacciarsi nel tempo con lo stesso fornitore favorisce la conoscenza reciproca e lo sviluppo di una maggiore contrattazione relazionale. 6. Conclusioni Il presente lavoro si è posto l’obiettivo di investigare i meccanismi utilizzati dai comuni per svolgere la loro attività di committenza nei confronti di soggetti terzi cui hanno esternalizzato i servizi di igiene urbana e di assistenza domiciliare agli anziani. Più in dettaglio, si è proceduto ad indagare se e quando gli enti locali impiegano la contrattazione formale e quella relazionale. Dall’analisi effettuata è possibile trarre delle considerazioni sia di natura teorica sia manageriale. I risultati che emergono dalle interviste condotte supportano l’idea che l’approccio formale e l’approccio relazionale alla contrattazione sono complementari, seppure con differenze, che sembrano dipendere da fattori legati alle caratteristiche dei servizi analizzati (misurabilità e programmabilità), all’interesse del fornitore a costruirsi una buona reputazione, alla natura del fornitore, alla durata della relazione e alla distribuzione delle informazioni e delle responsabilità tra i contraenti. Trattandosi di uno studio di casi non è possibile giungere a delle conclusioni con valore generale. I risultati emergenti possono rappresentare una base per lo sviluppo di alcune ipotesi di ricerca da verificare tramite un’indagine quantitativa. Da un punto di vista manageriale emerge che i comuni per esercitare il loro ruolo di committenti dei servizi utilizzano un approccio prevalentemente 247 Azienda Pubblica 2.2010 La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Saggi formale, ma impiegano anche strumenti tipici dei meccanismi relazionali per seguire l’evoluzione dinamica del rapporto. Il solo contratto non si configura come adatto a orientare il comportamento del fornitore verso le azioni necessarie per rispondere alle mutevoli condizioni ambientali. È preferibile prevedere dei meccanismi che consentano di esercitare la committenza pubblica in maniera dinamica ed evoluta. La contrattazione relazionale è un mezzo tramite cui si riesce a meglio specificare il quadro delineato con il contratto di servizio. Essa, basandosi sullo scambio di informazioni e sulla collaborazione, consente di ridurre il rischio di ingabbiare la gestione entro vincoli che non necessariamente sono consoni al raggiungimento degli obiettivi. La contrattazione relazionale dovrebbe essere adottata non nella prospettiva di sostituzione dei meccanismi formali di controllo delle attività esternalizzate, ma come meccanismo per sfruttare il know how del fornitore del servizio nell’ottica del miglioramento e dell’innovazione degli elementi critici dei servizi. D’altronde la contrattazione relazionale presenta delle debolezze: proprio perché non si basa su documenti formali potrebbe configurarsi poco trasparente e potrebbe determinare comportamenti collusivi tra le parti. Pertanto, le due forme di contrattazione devono agire insieme. Guardando alla contrattazione formale e relazionale come ai due poli di un continuum, la soluzione ideale sembra essere la collocazione della governance dell’esternalizzazione in un punto intermedio. Questa soluzione, infatti, dovrebbe consentire una gestione dinamica del contracting out di un servizio, evitando che le previsioni contrattuali, che non sono in grado da sole di sostenere lo scambio in itinere, siano considerate l’unico punto di riferimento. L’equilibrio tra elementi della contrattazione formale ed elementi della contrattazione relazionale dovrebbe essere dinamico in funzione del contesto di riferimento (ad esempio in funzione delle caratteristiche del servizio), ma comunque tale da consentire di massimizzare il valore dell’esternalizzazione per tutti i soggetti coinvolti: ente locale, fornitore del sevizio e cittadini. Infine, i risultati della ricerca suggeriscono implicazioni in termini di formazione per coloro che si occupano di gestire le relazioni con i gestori dei servizi pubblici esternalizzati. Essi hanno bisogno di formazione volta a fornire le conoscenze sia per scrivere contratti puntuali e controllare le performance dei fornitori sia per meglio gestire gli strumenti propri dell’approccio relazionale. Ciò affinché siano in grado di combinare strumenti formali e relazionali al fine di catturarne i vantaggi per la produzione di valore pubblico. Riferimenti bibliografici Alchian A., Demsetz H. (1972), “Production, information costs, and economic organization”, American Economic Review, vol. 62, n. 5, pp. 777-795. Arrow K. (1974), The Limits of Organization, New York: Norton. Azienda Pubblica 2.2010 248 Saggi La contrattazione formale e relazionale per l’esternalizzazione Behn R.D., Kant P.A. 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Azienda Pubblica 2.2010 252 Esperienze innovative La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche. La progettazione del modello bottom-up Nunzio Angiola Professore ordinario di Economia aziendale nell’Università di Foggia Roberto Marino Dottorando di ricerca in Scienze dell’economia e della gestione aziendale nell’Università di Foggia Sommario: 1. Introduzione. 2. Review della letteratura e scopi della ricerca. 3. La progettazione: precisazioni in merito a finalità, oggetto e strumenti del modello bottom-up. 4. Sintesi e conclusioni. Il presente contributo invita ad una riflessione sul modello di valutazione del personale dirigenziale “dal basso verso l’alto” (bottom-up model), che coinvolge nel processo di valutazione delle prestazioni dei dirigenti i loro collaboratori, ossia i dirigenti sott’ordinati se esistenti e il personale di comparto. Il lavoro si sofferma, in particolare, sul processo di progettazione del modello – attraverso l’analisi delle finalità, dell’oggetto e degli strumenti – nel tentativo di colmare una lacuna delle ricerche in materia di misurazione e valutazione delle performance nelle amministrazioni pubbliche. This paper aims at analysing a model of public sector managers evaluation, according to the bottom-up approach. The bottom-up model emphasizes the contribution that subordinates of the managers – other managers if existing and the not executive personnel – can offer in the evaluation process. Particularly, this paper focuses on the planning process of the bottom-up model – through the analysis of the aims, of the object and of the tools – in attempting to fill a gap in the researches about the measurement and the evaluation of the public administrations performance. * Il presente lavoro è frutto dell’impegno comune degli autori che ne condividono appieno le responsabilità. Ai fini di una ripartizione del lavoro, i paragrafi 1 e 4 sono attribuibili a Nunzio Angiola e i paragrafi 2 e 3 a Roberto Marino. Parole chiave: valutazione dei dirigenti – modello bottom-up – misurazione e valutazione delle performance Key words: managers evaluation – bottom-up model – measurement and evaluation of performance 253 Azienda Pubblica 2.2010 La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Esperienze innovative 1. Introduzione La valutazione del personale con incarico dirigenziale nelle amministrazioni pubbliche costituisce uno dei controlli interni introdotti nel nostro ordinamento con il d.lgs. 286/1999. (1) Nell’impianto normativo risalente al 1999, la valutazione dei dirigenti si fonda sui principi di seguito richiamati (d.lgs. 286/1999, art. 5; Paoloni, Grandis, 2007: pp. 560-561): 1. occorre polarizzare l’attenzione su due componenti: le prestazioni dei dirigenti, da un lato, e le loro competenze organizzative (spesso si parla di comportamenti organizzativi), dall’altro. Le prime sono correlate al grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati, le seconde fanno riferimento invece alle “caratteristiche individuali di un dirigente (conoscenze, capacità, valori, motivazioni) che, contrassegnandone lo stile di direzione, determinano in misura decisiva l’andamento di un ufficio” (Pastorello et al., 2004: p. 86); 2. la valutazione deve avere cadenza annuale e fa affidamento – in particolare per quanto attiene alle prestazioni – sulle conclusioni raggiunte dal “controllo di gestione” che, pertanto, assume un ruolo nevralgico ai fini della valutazione di cui si discute; 3. il decreto precisa che “il procedimento per la valutazione è ispirato ai principi della diretta conoscenza dell’attività del valutato da parte dell’organo proponente o valutatore di prima istanza, della approvazione o verifica della valutazione da parte dell’organo competente o valutatore di seconda istanza”; 4. la partecipazione al procedimento del dirigente valutato. Questa previsione assolve ad una duplice finalità: da un lato, consente al soggetto interessato di sottoporre eventuali osservazioni o rilievi a conclusione del “ciclo generale” della valutazione (ossia a seguito della formulazione del giudizio finale), ma anche in itinere, mentre il processo si svolge; dall’altro, crea i migliori presupposti affinché si instauri un clima di collaborazione e di fiducia, condicio sine qua non, vincolo irrinunciabile per la riuscita di qualsiasi iniziativa in materia di valutazione della dirigenza. Se si focalizza l’attenzione sui soggetti coinvolti nel processo di valutazione, rileviamo che essi possono essere generalmente individuati nel dirigente sovraordinato e nel Nucleo di valutazione. Il primo ha conoscenza diretta del dirigente e assume il ruolo di soggetto proponente la valutazione o valutatore di prima istanza; il secondo di norma si fa carico della valutazione 1 Più precisamente, il decreto, che dispone il “riordino e il potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche”, prevede quattro tipologie di controllo interno: il controllo di regolarità amministrativa e contabile (c.d. controllo “burocratico”), il controllo di gestione, la valutazione dei dirigenti e il controllo strategico (cc.dd. controlli “manageriali”). Azienda Pubblica 2.2010 254 Esperienze innovative La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche finale, fungendo da valutatore di seconda istanza. Pertanto, alla luce delle previsioni contenute nel decreto 286, l’intero processo valutativo soggiace ad una logica top-down, dal momento che la valutazione è essenzialmente collegata al giudizio espresso dal dirigente sovraordinato. Si rammenta, infatti, che al Nucleo competono funzioni di verifica o di approvazione dei giudizi espressi dal valutatore di prima istanza. Sebbene la metodologia valutativa testé descritta sia ampiamente diffusa tra le aziende del comparto pubblico, non possiamo esimerci dal rilevare che un approccio alla valutazione che si fondi essenzialmente sul parere del dirigente sovraordinato è destinato, non di rado, a non intercettare importanti driver del processo di creazione del valore pubblico. (2) È questo il motivo per cui si va diffondendo la convinzione che la performance di un dirigente debba essere riguardata da diverse angolature. Il superiore gerarchico, i colleghi (peers), i collaboratori del dirigente e – in alcuni casi – i clienti/utenti possono offrire un contributo rilevante nell’ambito del processo valutativo. L’obiettivo è quello di fornire al soggetto cui è demandata la responsabilità di formulare il giudizio finale un ampio spettro di informazioni di diversa provenienza. Va da sé che il modello di valutazione “multi-dimensionale” è utile – per le informazioni che è in grado di fornire – anche e soprattutto al dirigente, che potrà disporre di maggiori elementi per poter costantemente migliorare la sua performance. Il dirigente viene, in altri termini, messo nella condizione di avere “una visione globale (a 360 gradi) delle percezioni di altri soggetti in merito alla sua prestazione di lavoro” (Mundell, 2001: p. 29). (3) È appena il caso di notare che tali riflessioni sembrano trovare riscontro nei recenti provvedimenti legislativi che, direttamente o indirettamente, impattano sulla valutazione della dirigenza. Ci si riferisce, in particolare, alla legge-delega 15/2009 e al successivo d.lgs. 150/2009 di attuazione (c.d. “Decreto Brunetta”) che introducono importanti elementi di novità “in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”. Analizzando il contenuto dei provvedimenti richiamati, si fa osservare che la legge 15 assegna al Governo il compito di “riordinare gli organismi che svolgono funzioni di controllo e valutazione del personale delle 2 Per approfondimenti sulla nozione di valore pubblico, si vedano: Hatry (2006: capp. 1-2); Moore (2003: p. 83); Poister (2003: capp. 3-8); Pollitt (2003: pp. 112-126). Per la letteratura italiana, si rinvia, tra gli altri, ai seguenti lavori: Anselmi (2003: pp. 8-12); Borgonovi (2004: pp. 122-127); Del Vecchio (2001: pp. 76-87); Farneti (1995: pp. 7-15); Meneguzzo (2005: pp. 714); Mulazzani (2001: pp. 24-29, 49-55); Paletta (1999: p. 106); Rebora (1999a: p. 15-73); Rebora (1999b: p. 25); Valotti (2005: p. 129-133); Zangrandi (1994: p. 245-246). 3 Il Comune di Ravenna ha sperimentato, tra i primi enti locali in Italia, un modello di valutazione della dirigenza “multi-dimensionale”. Tale modello – introdotto sin dal 1999 – collega la formulazione del giudizio finale sulla performance manageriale sia alle percezioni del dirigente sovraordinato sia a quelle del dirigente valutato (c.d. autovalutazione) e dei suoi diretti collaboratori (di 8° e 7° livello; oggi si parla di categoria D). Per una approfondita disamina delle caratteristiche del sistema di valutazione del Comune di Ravenna si rimanda a Della Rocca, Randi (2001) e Randi (2004). 255 Azienda Pubblica 2.2010 La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Esperienze innovative amministrazioni pubbliche” (art. 4, comma 2, lett. e). Il decreto 150 abroga l’art. 5 del d.lgs. 286/1999 (4) in precedenza citato e dà attuazione alla delega affidando il processo di misurazione e valutazione della performance – organizzativa e individuale – delle amministrazioni pubbliche a quattro soggetti chiaramente definiti (art. 12): 1) la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CiVIT), 2) gli Organismi indipendenti di valutazione (OIV), 3) l’organo di indirizzo politico e amministrativo di ciascuna amministrazione, nonché 4) i dirigenti di ciascuna amministrazione. Inoltre, stando al decreto, gli Organismi indipendenti di valutazione devono potersi avvalere – ai fini dell’espletamento dei loro compiti – anche del giudizio formulato dai collaboratori del dirigente. A tal riguardo, l’art. 14, comma 5, del d.lgs. 150 così recita: “L’Organismo indipendente di valutazione della performance, sulla base di appositi modelli forniti dalla Commissione di cui all’articolo 13, cura annualmente la realizzazione di indagini sul personale dipendente volte a rilevare il livello di benessere organizzativo e il grado di condivisione del sistema di valutazione nonché la rilevazione della valutazione del proprio superiore gerarchico da parte del personale, e ne riferisce alla predetta Commissione” (corsivo aggiunto). Quest’ultimo aspetto assume particolare rilevanza ai fini del nostro lavoro. Riteniamo, infatti, che i collaboratori siano interlocutori privilegiati del dirigente e che, in quanto tali, siano titolati ad esprimere un giudizio articolato e fedele in merito alla performance del dirigente stesso, riguardata – com’è ovvio – dallo specifico versante dei comportamenti organizzativi. (5) Infatti, i collaboratori osservano da vicino il comportamento del dirigente di riferimento e sono in grado di elaborare convincimenti non meno pregni di significato di quelli espressi dagli altri soggetti coinvolti o potenzialmente coinvolgibili nel processo di valutazione (dirigente sovraordinato, colleghi dirigenti, clienti/utenti). Alla valutazione dei dirigenti da parte dei loro collaboratori – i dirigenti sott’ordinati se esistenti e il personale di comparto – può essere assegnata la denominazione di “valutazione bottom-up”. Mutuando un’altra locuzione rinvenibile nella dottrina anglosassone, la valutazione “dal basso verso l’alto” può essere anche denominata upward appraisal. Nel paragrafo seguente si fornisce una sintetica panoramica dei principali contributi che la dottrina economico-aziendale – e non solo – ha fatto registrare sull’argomento. 4 Si veda, a tal riguardo, l’art. 30, comma 4, lett. c), del d.lgs. 150/2009. 5 La Riforma Brunetta assegna un posto di assoluto rilievo al giudizio sui comportamenti organizzativi nel complessivo sistema di valutazione della performance manageriale. Scendendo nei dettagli, già l’art. 4 della citata legge 15/2009, che fornisce utili indicazioni in merito ai principi che devono ispirare la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, prevede l’”estensione della valutazione anche ai comportamenti organizzativi dei dirigenti”. In tale alveo si muove il d.lgs. 150/2009 di attuazione della legge 15 che include, tra i vari criteri che devono ispirare il processo di misurazione e valutazione della performance del dirigente, anche “le competenze professionali e manageriali dimostrate” (art. 9, comma 1, lett. c). Azienda Pubblica 2.2010 256 Esperienze innovative La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche 2. Review della letteratura e scopi della ricerca Per meglio comprendere la rilevanza che può assumere un sistema di valutazione bottom-up, ricordiamo che, negli ultimi quaranta anni, registra non pochi consensi la tesi secondo la quale la partecipazione dei collaboratori al processo di valutazione dei dirigenti può contribuire a migliorare la qualità del giudizio finale. Partendo da questa considerazione, diversi Autori focalizzano la propria attenzione sugli elementi caratteristici di tale approccio. Tra gli aspetti esplorati più di frequente, si richiamano i seguenti: - fattori che influenzano l’“onestà” del giudizio espresso dai collaboratori. A tal riguardo, in un recente studio del 2008, Smith e Fortunato individuano otto elementi in grado di condizionare l’attendibilità del feedback prodotto dai collaboratori (atteggiamento dei collaboratori verso l’azienda in cui operano; finalità assegnata alla valutazione bottom-up; conoscenza del processo di valutazione bottom-up da parte dei collaboratori; fiducia dei collaboratori nell’utilità della valutazione bottom-up; opportunità di osservare regolarmente il comportamento del dirigente da valutare; percezione dei benefici connessi all’implementazione di un sistema di valutazione bottomup; timore di ritorsioni da parte del dirigente che riceve un giudizio negativo; grado di autostima del collaboratore); (6) - esistenza di una correlazione tra i giudizi espressi dai collaboratori, dai superiori gerarchici e dal dirigente medesimo. Dall’analisi delle principali ricerche empiriche sull’argomento non emerge un orientamento univoco. Infatti, mentre alcuni studiosi (Mount, 1984) certificano l’esistenza di una significativa correlazione tra i giudizi che promanano dai collaboratori del valutato, dai suoi superiori e dal valutato stesso, altri (Harris, Schaubroeck, 1988), al contrario, registrano una correlazione di modesta entità. Non mancano, poi, autori (London, Wholers, 1991) che analizzano la questione alla luce delle caratteristiche “personali” del soggetto valutato (sesso, inquadramento all’interno della struttura organizzativa, ecc.), nonché delle scelte effettuate in sede di implementazione del modello di valutazione (ad es. con riferimento al numero di collaboratori da coinvolgere nel processo di valutazione). I due autori dimostrano, tra le altre cose, l’esistenza di una correlazione tra i giudizi espressi dai collaboratori e quelli che discendono dal processo di “autovalutazione” del dirigente valutato. L’intensità della correlazione aumenta considerevolmente quando il valutato è di sesso femminile e opera all’interno di organi di line; l’intensità della correlazione aumenta, inoltre, al crescere del numero di collaboratori coinvolti nel processo di valutazione; 6 Con riferimento ai fattori che influenzano l’onestà del giudizio espresso dai collaboratori, ulteriori spunti di riflessione sono rinvenibili in Weinrauch, Matejka (1975). 257 Azienda Pubblica 2.2010 La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Esperienze innovative - incidenza dell’upward appraisal system sulla performance futura del dirigente. Diversi studiosi (Hegarty, 1974; Bush, Stinson, 1980; Bernardin, Beatty, 1987; Walker, Smither, 1999; Heslin, Latham, 2004) concordano nel ritenere che il giudizio dei collaboratori possa condurre ad un miglioramento significativo delle prestazioni e del comportamento organizzativo del dirigente valutato. Si registrano, tuttavia, differenti convincimenti con riferimento ai tempi necessari affinché il miglioramento concretamente si manifesti. A titolo esemplificativo, si noti che mentre alcuni osservatori (Walker, Smither, 1999) rilevano la presenza di cambiamenti significativi nella performance manageriale soltanto a partire dal secondo anno successivo all’implementazione del sistema di valutazione bottomup, altri (Hegarty, 1974; Heslin, Latham, 2004), al contrario, sono convinti che il processo di miglioramento del dirigente possa avviarsi in tempi sensibilmente più contenuti (secondo Hegarty, anche entro 10 settimane); - profili di accountability nel processo di valutazione bottom-up, con particolare riferimento alla possibilità di identificare il soggetto che formula il giudizio. Se si volge lo sguardo ai principali contributi che si propongono di analizzare tale aspetto (Klimosky, Inks, 1990; London, Wholers, 1991; Antonioni, 1994; Brajkovich, 1995; Westerman, Rosse, 1997; Silva, Tosi, 2004) è possibile individuare due orientamenti prevalenti: quello di chi ritiene che il giudizio dei collaboratori debba essere formulato in forma anonima (per evitare possibili ritorsioni sui collaboratori da parte del dirigente che riceve un giudizio negativo) e quello di chi, al contrario, è convinto che il dirigente debba essere messo nelle condizioni di conoscere il feedback di ciascun collaboratore che partecipa al processo di valutazione bottom-up (nel tentativo di meglio tutelare il dirigente valutato); - punti di forza e punti di debolezza della valutazione bottom-up. Gli scritti che si soffermano su questi aspetti solitamente pongono enfasi su due punti di forza: 1) i collaboratori sono in grado di osservare più da vicino il comportamento del dirigente, rispetto a tutti gli altri soggetti potenzialmente coinvolgibili nel processo di valutazione; 2) taluni comportamenti possono essere osservati in modo più efficace dai collaboratori del dirigente, piuttosto che dai dirigenti sovraordinati o dai colleghi del valutato (Bernardin, Beatty, 1987; Rubin, 1995). I punti di debolezza più di frequente citati sono i seguenti: 1) i collaboratori possono non detenere le competenze necessarie per valutare i propri dirigenti; 2) i collaboratori sono portati, in alcuni casi, a formulare un giudizio tendenzialmente elevato per “compiacere” il proprio superiore; 3) i dirigenti possono tentare di “influenzare” il giudizio dei collaboratori; 4) la valutazione bottom-up può trasformarsi in una “gara di popolarità” tra i dirigenti valutati (Bernardin, 1986); Azienda Pubblica 2.2010 258 Esperienze innovative La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche - importanza dei comportamenti dirigenziali da valutare, dallo specifico punto di vista dei collaboratori. A tal proposito, Rubin (1995) dimostra che i collaboratori pongono particolare enfasi sulla capacità del dirigente di creare un clima organizzativo positivo all’interno dell’azienda, nonché di assumere un ruolo di “guida”, in particolare rispetto al proprio gruppo di lavoro; - reazioni dei dirigenti ai feedback ricevuti dai propri collaboratori. Secondo McEvoy (1990), i dirigenti sono propensi ad accettare l’esito della valutazione bottom-up allorquando ad esso non siano collegate conseguenze immediate sul piano “amministrativo” (connesse cioè alla gestione di incentivi, trasferimenti e sanzioni). (7) Alla luce degli elementi richiamati e della letteratura citata – di matrice economico-aziendale e non solo – è possibile svolgere alcune considerazioni. In primo luogo, notiamo che i contributi scientifici focalizzano l’attenzione su aspetti di dettaglio; non si registrano, in dottrina, lavori che analizzano in maniera sistematica il processo di progettazione di un modello di valutazione bottom-up. (8) In secondo luogo, notiamo che non pochi studi ritengono possibile la generalizzazione dei risultati delle ricerche effettuate – trattasi, per lo più, di ricerche empiriche condotte nell’ambito di specifici contesti aziendali – a tutte le categorie di aziende. Dal canto nostro riteniamo, invece, che i risultati delle analisi che, di volta in volta, vengono esperite debbano essere interpretati alla luce della “cultura aziendale”, intesa come abitudini, opinioni e schemi di comportamento consolidati all’interno dell’organizzazione (Zanda, 1984). In tale prospettiva, siamo convinti che l’approccio bottom-up – nel caso in cui se ne studi l’eventualità di una sua introduzione – debba essere “confezionato ad arte”, in base alla “cultura” che l’azienda ha potuto sedimentare nel corso del tempo. Sulla base di queste premesse, il presente lavoro si sofferma sul processo di progettazione di un modello di valutazione della dirigenza pubblica secondo l’approccio bottom-up, polarizzando l’attenzione su alcuni aspetti di fondamentale rilievo, quali le finalità da perseguire, l’oggetto della valutazione e gli strumenti di raccolta dei feedback. Precisiamo sin d’ora che si tratta di ragionamenti sviluppati alla luce degli studi condotti – in Italia e all’estero – sull’argomento nell’ultimo ventennio e che intendiamo “testare” le nostre conclusioni a stretto giro. (9) L’analisi è ritagliata su misura rispetto 7 L’argomento sarà trattato più approfonditamente nel paragrafo seguente, al quale, pertanto, rimandiamo il lettore. 8 Degno di nota è invece il dibattito che si registra con riferimento alla progettazione e all’implementazione dei modelli di valutazione “multi-dimensionali” (c.d. “multi-source feedback o “a 360°”) che, come in precedenza ricordato, si avvalgono della valutazione bottom-up. 9 Nella prospettiva descritta, abbiamo già preso contatti con i dirigenti delle amministrazioni provinciali e comunali della regione Puglia per ottenere la loro disponibilità a “testare” le conclusioni cui perveniamo nel presente lavoro. 259 Azienda Pubblica 2.2010 La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Esperienze innovative all’azienda-Regione e all’azienda dell’ente locale, accomunate – com’è noto – dallo stesso CCNL. 3. La progettazione: precisazioni in merito a finalità, oggetto e strumenti del modello bottom-up L’implementazione di un modello di valutazione bottom-up deve essere opportunamente “progettata”, affinché sia in grado di intercettare importanti driver del processo di creazione del valore pubblico. In fase di progettazione dovranno essere approfondite le seguenti questioni cruciali: - finalità che si intendono assegnare alla valutazione; - oggetto della valutazione; - strumenti di raccolta dei feedback. Nelle pagine che seguono si analizzano i tre aspetti testé elencati. Finalità della valutazione Le finalità per cui le aziende si dotano di strumenti per l’apprezzamento delle performance dirigenziali possono essere molteplici. Focalizzando l’attenzione sul comparto delle Regioni e degli enti locali, tali ragioni possono essere così compendiate: - la valutazione dei dirigenti fornisce validi elementi di giudizio per riconoscere incentivi di natura economica; (10) - la valutazione delle performance dirigenziali è collegata a decisioni in materia di trasferimenti e sanzioni; (11) - il programma di valutazione costituisce un valido strumento di miglioramento delle capacità manageriali del dirigente (Fedrigotti, 10 “L’amministrazione attribuisce la retribuzione di risultato ai dirigenti … sulla base del grado di raggiungimento di predefiniti obiettivi e/o livelli di prestazione”. Art. 43, comma 2, Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro nell’area della dirigenza del Comparto Regioni e Autonomie locali per il quadriennio normativo 1994-1997 e per il biennio economico 1994-1995. 11 Sul punto, appaiono eloquenti le parole di Zanda (1984: p. 22), secondo il quale «la valutazione dei dirigenti consente di impostare su basi uniformi e quanto più è possibile oggettive i provvedimenti relativi… ai trasferimenti interni e alle molteplici sanzioni previste per i contributi negativi all’efficienza dell’impresa». Anche la contrattazione collettiva sembra aver accolto l’orientamento in parola. A tal riguardo, si noti che, in base al disposto dell’art. 13 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro nell’area della dirigenza del Comparto Regioni e Autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e per il biennio economico 2002-2003, “La valutazione del personale dirigenziale può condurre, in caso di esiti negativi, a: a) riassegnazione alle funzioni della categoria di provenienza, per il personale interno al quale sia stato eventualmente conferito, con contratto a termine, un incarico dirigenziale sempreché detto conferimento sia consentito dalla normativa vigente nell’ente; b) affidamento di un incarico dirigenziale con un valore di retribuzione di posizione inferiore; c) sospensione, nei confronti del personale a tempo indeterminato con qualifica dirigenziale, da ogni incarico dirigenziale per un periodo massimo di due anni; d) recesso dal rapporto di lavoro, nei casi di particolare gravità”. Azienda Pubblica 2.2010 260 Esperienze innovative La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche 2007). (12) In questa prospettiva, la valutazione “è impostata in maniera costruttiva: e cioè volta a favorire la qualificazione e lo “sviluppo” del personale mediante la scoperta e l’analisi dei suoi punti di forza e di debolezza, l’individuazione dei cambiamenti necessari a livello individuale e di gruppo e l’accertamento continuo dei progressi compiuti nel corso del tempo” (Zanda, 1984: p. 24). Quelle sopra descritte sono le finalità che possono essere generalmente assegnate alla valutazione dei dirigenti nelle Regioni e negli enti locali. Tuttavia, secondo un’opinione piuttosto diffusa, non tutte possono essere perseguite adottando un approccio bottom-up. Diversi studi concordano, infatti, nel ritenere utile la valutazione dei collaboratori soltanto quando non comporta conseguenze immediate sul piano “amministrativo” (connesse cioè alla gestione di incentivi, trasferimenti e sanzioni), assolvendo, piuttosto, esclusivamente a finalità di “miglioramento individuale” del dirigente valutato. Tra le varie motivazioni che contribuiscono ad avvalorare questo orientamento, ci limitiamo a riportare le principali. (13) In primo luogo, viene da più parti evidenziato che i collaboratori sono più motivati ad offrire un contributo significativo alla valutazione quando il loro giudizio è finalizzato ad individuare possibili percorsi di sviluppo individuale del dirigente (Westerman, Rosse, 1997; Avis, Kudisch, 2000). In secondo luogo, non è da sottacere che i dirigenti, allorquando non è in discussione il livello di retribuzione, il ruolo e la reputazione di cui godono, sono più propensi ad accettare il feedback ricevuto dai collaboratori. In questa prospettiva, particolare interesse suscita l’indagine condotta da McEvoy (1990) su di un campione di 128 manager pubblici con riferimento alle possibili applicazioni della valutazione bottom-up. È agevole constatare che il maggior livello di consenso si registra nei confronti di un impiego «for development only», mentre soltanto una percentuale di poco superiore al 15% dei dirigenti si dice favorevole ad assegnare alla valutazione bottomup il medesimo “peso” che viene attribuito ai giudizi elaborati dai dirigenti sovraordinati (trattasi di giudizi che, generalmente, sono impiegati per finalità di carattere “amministrativo”). Un’altra parte della dottrina – meno ampia per la verità – non esclude, 12 A tal riguardo, si noti che alcuni sistemi di valutazione – in particolare, quelli della Regione Lombardia e della Regione Umbria – prevedono che gli esiti della valutazione costituiscano un importante supporto alle decisioni concernenti la formazione del dirigente. In questi casi, valutazioni poco soddisfacenti – soprattutto se reiterate nel corso del tempo – possono suggerire l’attivazione di percorsi formativi e/o di aggiornamento professionale ritagliati su misura in base alle specificità del dirigente, al fine di colmare le lacune emerse durante il processo di valutazione (Marcantoni, Veneziano, 2007: p. 109). 13 Con riferimento a tutti i processi valutativi, e non solo rispetto alla bottom-up, si registra un’ampia convergenza sul principio che quando un sistema di valutazione delle performance assolve a obiettivi di miglioramento del capitale umano è più probabile che i feedback prodotti dai rater siano “sinceri” (DeCotiis, Petit, 1978; DeNisi et al., 1983; Mohrman, Lawler, 1983; Longenecker et al., 1987; Murphy, Cleveland, 1995; Tziner et al., 2001, 2002). 261 Azienda Pubblica 2.2010 La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Esperienze innovative invece, che la valutazione a 360° (14) e, nel suo ambito la bottom-up, possa costituire un valido strumento di supporto anche per la gestione di incentivi, trasferimenti e sanzioni. Tra le varie motivazioni addotte a sostegno di questa tesi, si richiamano quelle che appaiono le più incisive (Bracken, 1996; London, 2001): 1. la valutazione dei collaboratori consente di produrre informazioni “di qualità” in merito al comportamento organizzativo dei dirigenti, dal momento che i collaboratori rappresentano i soggetti che più da vicino osservano il “modo di agire” del valutato; 2. la valutazione bottom-up è piuttosto dispendiosa in termini di tempo e risorse, tanto nella fase di progettazione quanto nella fase di implementazione. Pertanto, è opportuno che le informazioni ottenute vengano destinate a molteplici utilizzi, in modo da massimizzare i benefici per l’azienda; 3. i collaboratori profondono un maggior impegno nella formulazione del giudizio allorquando l’azienda assegna maggiore importanza alle informazioni che da essi provengono; 4. quando la valutazione assolve soltanto a finalità di miglioramento individuale del dirigente, è più probabile che quest’ultimo non prenda in seria considerazione il feedback ricevuto. Tra i due orientamenti in precedenza enucleati (quello che assegna alla valutazione bottom-up finalità di “miglioramento individuale” e quello che non esclude conseguenze sul piano “amministrativo”), riteniamo di poter concordare con il secondo, seppur minoritario. Più precisamente, crediamo che la valutazione dei collaboratori non debba assolvere soltanto a finalità di miglioramento personale del dirigente, ma possa fornire, altresì, un utile elemento conoscitivo nella formulazione del giudizio finale sulla performance manageriale, anche nella prospettiva che in questa sede più ci interessa, quella cioè della determinazione della retribuzione di risultato prevista dal CCNL. (15) 14 Si veda la nota 8. 15 La retribuzione di risultato sta assumendo un “peso” sempre più consistente nell’ambito della complessiva retribuzione del dirigente. A tal riguardo, si noti che l’art. 6 della legge 15/2009 individua un tetto “minimo” per tale componente, disponendo che, nel medio periodo, la retribuzione di risultato sia fissata “in una misura non inferiore al 30 per cento della retribuzione complessiva”. L’art. 45 del d.lgs. 150 modifica l’articolo 24 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 prevedendo che: “1. All’articolo 24 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modifiche: a) al comma 1, le parole: “e alle connesse responsabilità” sono sostituite dalle seguenti: “, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti”; b) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti: “1-bis. Il trattamento accessorio collegato ai risultati deve costituire almeno il 30 per cento della retribuzione complessiva del dirigente considerata al netto della retribuzione individuale di anzianità e degli incarichi aggiuntivi soggetti al regime dell’onnicomprensività. 1-ter. I contratti collettivi nazionali incrementano progressivamente la componente legata al risultato, in modo da adeguarsi a quanto disposto dal comma 1-bis, entro la tornata contrattuale successiva a quella decorrente dal 1° gennaio 2010, destinando comunque a tale componente tutti gli incrementi previsti per la parte accessoria della retribuzione. La disposizione di cui al Azienda Pubblica 2.2010 262 Esperienze innovative La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Tuttavia, una precisazione ci sembra al riguardo doverosa. Crediamo fermamente che l’attribuzione di un “peso” alla valutazione bottom-up nel complessivo sistema di apprezzamento della performance dirigenziale presupponga che l’amministrazione interessata sia pervasa da un “clima organizzativo” positivo. Livelli soddisfacenti di “benessere organizzativo” sono un vincolo irrinunciabile nella prospettiva dell’efficace implementazione di un modello bottom-up: i collaboratori, da un lato, esprimono un giudizio tendenzialmente sincero e costruttivo; i dirigenti, dall’altro, sono propensi ad accettare la valutazione ricevuta, anche quando quest’ultima si attesta su livelli tendenzialmente bassi. Non si tratta di un aspetto scontato, di poco conto. È questa una questione rilevante e sostanziale, nella prospettiva dell’introduzione dell’upward appraisal. Specifiche indagini rivelano, infatti, che diverse amministrazioni pubbliche non “navigano in acque tranquille” sul piano dei rapporti che intercorrono tra i dirigenti e i loro collaboratori. Più precisamente, agli occhi dei collaboratori, i dirigenti appaiono spesso poco propensi al dialogo e non costituiscono un reale punto di riferimento sul lavoro. I dirigenti, dal canto loro, si sentono “distanti” dal proprio gruppo di lavoro, non riuscendo, di frequente, ad esercitare proficuamente il proprio ruolo di leader (Avallone, Bonaretti, 2003). È questo il motivo per cui riteniamo che l’introduzione della valutazione “dal basso verso l’alto” nel sistema di valutazione della dirigenza debba essere preceduta da un’analisi – attenta e approfondita – del clima organizzativo aziendale. Oggetto della valutazione In questa sezione ci chiediamo in quale direzione il giudizio valutativo dei collaboratori debba essere formulato. A tal riguardo, riteniamo che i collaboratori non debbano esprimersi in merito al grado di raggiungimento degli obiettivi, per una serie di motivazioni tra cui assumono particolare rilievo le seguenti: - la valutazione delle prestazioni dei dirigenti pubblici è un processo che, avvalendosi anche delle risultanze del controllo di gestione, pone enfasi sugli obiettivi raggiunti attraverso l’azione amministrativa. In questa prospettiva, il giudizio sul grado di raggiungimento degli obiettivi deve essere affidato a soggetti “professionalmente qualificati”, comma 1-bis non si applica alla dirigenza del Servizio sanitario nazionale e dall’attuazione del medesimo comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 1-quater. La parte della retribuzione collegata al raggiungimento dei risultati della prestazione non può essere corrisposta al dirigente responsabile qualora l’amministrazione di appartenenza, decorso il periodo transitorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, non abbia predisposto il sistema di valutazione di cui al Titolo II del citato decreto legislativo”. 263 Azienda Pubblica 2.2010 La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Esperienze innovative dotati cioè delle competenze necessarie a presidiare le diverse fasi di definizione degli obiettivi, verifica dei risultati, interpretazione degli scostamenti, ecc. è opinione condivisa che i collaboratori non possiedano i requisiti professionali richiesti; (16) - il collaboratore non può avere una visione d’insieme sul grado di raggiungimento degli obiettivi che vengono affidati al dirigente, dal momento che “osserva” la performance manageriale soltanto dal proprio angolo visuale, per sua natura ristretto e settoriale. (17) Assegniamo, pertanto, ai collaboratori il compito di esprimere un giudizio soltanto sul comportamento organizzativo del dirigente, espressione di conoscenze, capacità, valori e motivazioni che il dirigente stesso nel tempo ha sviluppato. A questo punto della nostra analisi, qualche approfondimento si rende necessario per comprendere quali comportamenti debbano essere valutati dal collaboratore. A tal riguardo, occorre procedere ad una “selezione” delle competenze che contraddistinguono un manager “efficace”, indicando, per ciascuna di esse, una serie di comportamenti tipici in base ai quali è possibile “misurare” il livello di competenza che il collaboratore riconosce al dirigente. Abbiamo preferito prendere come punto di riferimento, tra i vari modelli disponibili (McClelland, 1973, 1976; Boyatzis, 1982; Murlis, Fitt, 1991; Spencer, Spencer, 1993, 1995; ecc.), il modello di Spencer e Spencer (1995). Gli Autori, nel loro “Competenza nel lavoro”, individuano un modus operandi che contraddistingue ogni manager “efficace”, a prescindere dal livello e dall’organizzazione di appartenenza. (18) Tra i vari comportamenti indicati dagli Autori, ci siamo sforzati di individuare quelli che, più degli altri, si prestano ad essere analizzati da parte dei diretti collaboratori dei dirigenti, precisando che, per ragioni di ordine pratico, ai collaboratori potrà essere sottoposto un numero limitato di quesiti. È appena il caso di notare che l’analisi sull’“oggetto” della valutazione (comportamenti organizzativi) è consequenziale all’analisi dei soggetti cui verrà chiesto di esprimere un giudizio. (19) È possibile prospettare due 16 Sul punto, il Della Rocca (2001: p. 26) così si esprime: «il superiore diretto, per quanto riguarda le prestazioni, è riconosciuto come la figura più adatta a conoscere le prestazioni del valutato e a proporre e valutare qualsiasi tipo d’ulteriore accorgimento». 17 “[S]ubordinates often lack experience in making formal performance evaluations. Subordinates may be in a position to see only a relatively small portion of their supervisors’ job performance”. (Hedge et al., 2001: p. 23). 18 L’elevato grado di dettaglio impiegato per descrivere le competenze manageriali rende, a nostro avviso, il modello elaborato da Spencer e Spencer particolarmente utile ai fini della presente ricerca. Gli Autori non si limitano ad elencare le competenze che contraddistinguono ogni manager “efficace”, ma si sforzano di declinare una serie di comportamenti organizzativi da associare a ciascuna di esse. 19 Si rammenta che nella pionieristica esperienza del Comune di Ravenna, soltanto alcuni collaboratori – quelli più “qualificati” (di 8° e 7° livello; oggi si parla di categoria D) – venAzienda Pubblica 2.2010 264 Esperienze innovative La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche distinte soluzioni al riguardo: - il dirigente viene valutato dai dirigenti sott’ordinati e dal personale di comparto di livello più elevato (categoria D); - il dirigente viene valutato da tutti i suoi collaboratori, dirigenti e non. A seconda della soluzione prescelta, si ripete, anche l’“oggetto” della valutazione si atteggerà diversamente. Allorquando si decida di coinvolgere nella valutazione tutti i collaboratori del dirigente, bisogna ricercare un “nocciolo duro” di comportamenti organizzativi che possano essere valutati indistintamente da tutti i collaboratori. Diversamente, nel caso in cui si voglia affidare la valutazione soltanto ai più diretti collaboratori del dirigente – dirigenti sott’ordinati e personale non dirigente di categoria D – è utile e opportuno ampliare lo spettro dei comportamenti sottoposti a giudizio, dal momento che i soggetti coinvolti operano di frequente a stretto contatto con il dirigente e sono in grado di osservare gli aspetti più intimi e qualificanti del suo “modo di essere” dirigente. Noi crediamo che ambedue le soluzioni siano percorribili. Va da sé che allorquando la valutazione venga affidata a tutti i collaboratori indistintamente sia necessario acquisire informazioni in merito alla loro “autovalutazione” sul grado di conoscenza del dirigente cui si riferisce la valutazione. La tabella 1 riporta – in ordine decrescente di importanza – l’elenco delle competenze proposto nello scritto di Spencer e Spencer. (20) A ciascuna di esse è associata una breve descrizione, unitamente all’indicazione dei soggetti cui – secondo il nostro parere – dovrebbe essere affidata la valutazione. Si richiamano, inoltre, alcuni “comportamenti tipici” associabili alla specifica competenza. (21) gono coinvolti nel processo di valutazione del dirigente. 20 Gli Autori individuano anche una serie di “requisiti di base” (“consapevolezza organizzativa”, “costruzione di rapporti”, “capacità tecnica/specializzazione”) che ogni individuo dovrebbe possedere per ricoprire ruoli dirigenziali. Su tali elementi, i collaboratori non sono chiamati ad esprimere un giudizio. 21 Si ribadisce che l’elenco delle competenze, i comportamenti tipici e i pesi sono mutuati dallo scritto dei citati autori. 265 Azienda Pubblica 2.2010 La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Esperienze innovative Tabella 1 – L’oggetto della valutazione bottom-up Peso •••••• •••••• •••• •••• •••• ••• Valutatori Competenze Descrizione Comportamenti tipici - prevedere l’effetto che le proprie iniziative avranno sugli altri; - fare continuo riferimento a dati di fatto e cifre; - usare esempi concreti, sussidi audiovisivi, dimostrazioni Tutti i collaboratori Persuasività e influenza Capacità di avere un’influenza o un effetto specifico sugli altri, in modo da convincerli o indurli a collaborare per portare a termine un progetto o un impegno Tutti i collaboratori Orientamento al risultato Interesse a lavorare bene e a misurarsi con standard d’eccellenza - lavorare per raggiungere gli standard di risultato assegnati; - fissare, per sé e per gli altri, obiettivi “sfidanti” e adoperarsi per raggiungerli Lavoro di gruppo e cooperazione Attitudine ad essere parte di un gruppo, piuttosto che a lavorare da solo o in competizione con gli altri - sollecitare idee e opinioni utili per prendere decisioni e/o assumere piani specifici; - condividere informazioni rilevanti; - incoraggiare e responsabilizzare gli altri; - riconoscere pubblicamente agli altri la paternità di determinati successi Dirigenti sott’ordinati e personale di categoria D Pensiero analitico Capacità di comprendere le situazioni, scomponendole nei loro elementi costitutivi, e di valutare le conseguenze in una catena di cause ed effetti - stabilire le priorità di lavoro in ordine di importanza; - prevedere ostacoli e preparare in anticipo le azioni per superarli; - identificare più soluzioni e più criteri di valutazione delle stesse Tutti i collaboratori Spirito d’iniziativa - rifiutare di arrendersi Predisposizione ad agire, di fronte ad ostacoli rilevanti; realizzando più di quanto - riconoscere e sfruttare sia richiesto dalla mansione le opportunità che possono presentarsi Tutti i collaboratori Tutti i collaboratori Sviluppo degli altri Intenzione di promuovere lo sviluppo di una o più persone - esprimere giudizi positivi sugli altri, anche in situazioni “difficili”; - manifestare la convinzione che gli altri possono imparare; - offrire consigli “personalizzati” a fini di sviluppo; - identificare le necessità di sviluppo e provvedere alla predisposizione di programmi e materiali didattici per soddisfarle; - delegare compiti e/o responsabilità per sviluppare le capacità degli altri (segue) Azienda Pubblica 2.2010 266 Esperienze innovative Peso •• •• •• •• •• Valutatori Tutti i collaboratori Tutti i collaboratori Tutti i collaboratori Tutti i collaboratori Dirigenti sott’ordinati e personale di categoria D La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Competenze Fiducia in sé Descrizione Comportamenti tipici - dichiararsi fiduciosi della propria abilità e capacità di giudizio; - esporre fermamente Convinzione di poter il proprio parere, anche quanassolvere un compito, di do apparentemente in contraassumere decisioni o di sto con quello degli altri; reagire costruttivamente agli - assumersi la responsabilità insuccessi di errori, insuccessi o inconvenienti; - imparare dagli errori commessi Capacità di far obbedire gli altri ai propri ordini - affrontare gli altri con fermezza per risolvere problemi di rendimento; - esigere dai subordinati elevati livelli di performance; - fissare limiti ben precisi al comportamento dei subordinati; - impartire ordini precisi e ben dettagliati Desiderio di saperne di più su fatti, persone o questioni - porre una serie di domande per avere informazioni esatte su specifiche questioni; - ove necessario, effettuare “ricerche sul campo”, analizzando in loco le situazioni di lavoro Leadership del gruppo Capacità di assumere il ruolo di guida all’interno di un gruppo - impegnarsi affinché tutti i componenti del proprio gruppo di lavoro ottengano un trattamento equo; - adottare strategie per risollevare il morale del gruppo; - accertarsi continuamente che gli altri seguano la missione e gli obiettivi del leader Pensiero concettuale - usare regole empiriche, il senso comune e l’esperienza per identificare problemi e situazioni; Capacità di riconoscere mo- riconoscere differenze delli astratti o rapporti tra le rilevanti tra le situazioni attuali situazioni più complesse e e i fatti già accaduti; i loro elementi principali o - applicare e modificare sottostanti. in maniera appropriata concetti e metodologie acquisite; - identificare relazioni fra dati complessi di aree non correlate Attitudine al comando/ assertività Ricerca delle informazioni Fonte: adattato con modifiche da Spencer, Spencer (1995: 51, 56, 59, 71, 82-83, 86, 88, 93, 98-99, 113, 174). 267 Azienda Pubblica 2.2010 La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Esperienze innovative Il modello manageriale proposto da Spencer e Spencer costituisce un utile supporto per la definizione delle competenze oggetto di valutazione e dei comportamenti ad esse associati. È appena il caso di notare che il Nucleo di valutazione (o l’Organismo indipendente di valutazione dove già istituito) può proporre soluzioni diverse da quelle presentate, limitando o ampliando la numerosità dei fattori di valutazione, enucleando comportamenti differenti da quelli su indicati, ordinando le competenze in base ad un diverso ordine di priorità, ecc. (22) A tal riguardo, riteniamo che l’attivazione – nei casi in cui ciò sia possibile – di un processo di definizione “partecipata” delle “regole del gioco” della valutazione bottom-up possa creare i migliori presupposti per l’efficace implementazione del modello. Va da sé che i criteri generali su cui poggia il complessivo sistema di valutazione della dirigenza dovranno essere sottoposti, appena possibile, alla concertazione tra la rappresentanza di parte pubblica e le rappresentanze sindacali dei dirigenti. (23) Strumenti di raccolta dei feedback In questa sezione riteniamo utile svolgere alcune riflessioni circa gli strumenti di raccolta dei giudizi prodotti dai collaboratori. Tra le varie tecniche impiegate nella ricerca sociale per la raccolta di informazioni polarizziamo, in questa sede, l’attenzione sul metodo del questionario. Il questionario si compone di una sequenza prestabilita di domande, invariabile per l’intero campione di riferimento, mediante il quale le risposte fornite da ciascun individuo possono essere agevolmente comparate con le risposte elaborate da ogni altro individuo del campione. Nel caso specifico della valutazione bottom-up, il collaboratore è chiamato ad esprimere il proprio “grado di condivisione” rispetto ad una serie di affermazioni che attengono al comportamento del dirigente. 22 In base ai risultati di una recente indagine empirica (Marcantoni, Veneziano, 2007), in diverse amministrazioni regionali esiste già un “modello delle competenze”, elaborato dal Nucleo di valutazione – con il supporto dei dirigenti – ovvero da società di consulenza esterne all’ente. Di recente, anche l’Agenzia delle entrate ha sviluppato, nell’ambito del sistema S.I.R.I.O. (Sistema Integrato Risultati Indicatori Obiettivi), un “Dizionario delle competenze” per la valutazione dei comportamenti organizzativi dei propri dirigenti. Attraverso lo strumento in parola, viene definito un profilo di competenze che qualifica ciascun ruolo dirigenziale presente all’interno dell’Agenzia. È appena il caso di segnalare che l’elenco delle competenze riportato nel “Dizionario” (segnatamente assertività, empowerment e sviluppo dei collaboratori, flessibilità, iniziativa, integrità e coerenza, orientamento all’altro, pensiero ideativo, persuasività, sicurezza di sé ed equilibrio, sviluppo e trasferimento del sapere, team leadership, tensione al risultato) presenta evidenti sovrapposizioni con quello proposto nel modello di manager “efficace” di Spencer e Spencer. Il Dizionario può essere reperito in versione integrale sul sito dell’Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.gov.it). 23 L’art. 14 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro nell’area della dirigenza del Comparto Regioni e Autonomie locali per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999 prevede espressamente la concertazione dei criteri di valutazione dei dirigenti tra la rappresentanza di parte pubblica e le rappresentanze sindacali. In base al citato articolo, “gli enti adottano preventivamente i criteri generali che informano i sistemi di valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti nonché dei relativi risultati di gestione. Tali criteri, prima della definitiva adozione sono oggetto di concertazione”. Azienda Pubblica 2.2010 268 Esperienze innovative La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Il giudizio viene espresso in base ad una scala di Likert a 5 gradi bilanciata con criteri antinomici Totalmente contrario e Pienamente d’accordo, di seguito riportata. totalmente contrario 1 2 3 4 5 pienamente d’accordo A titolo meramente esemplificativo, la tavola 1 riporta alcuni esempi di affermazioni con riferimento alle aree Sviluppo degli altri, Lavoro di gruppo e cooperazione, nonché Leadership del gruppo, partendo sempre dal modello di Spencer e Spencer. Tavola 1 – Il questionario di valutazione delle competenze organizzative Quanto è d’accordo con le seguenti affermazioni? (esprima un’opinione barrando una casella) Sviluppo degli altri Il dirigente identifica le necessità di sviluppo e provvede alla predisposizione di programmi e materiali didattici per soddisfarle; delega compiti e/o responsabilità per sviluppare le capacità degli altri; offre consigli “personalizzati” a fini di sviluppo 1 2 3 4 5 Il dirigente esprime giudizi positivi sugli altri, anche in situazioni “difficili”; manifesta la convinzione che gli altri possono imparare 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 Lavoro di gruppo e cooperazione Il dirigente sollecita idee e opinioni utili per prendere decisioni e/o assumere piani specifici; condivide informazioni rilevanti; incoraggia e responsabilizza gli altri; riconosce pubblicamente agli altri la paternità di determinati successi Leadership del gruppo Il dirigente si impegna affinché tutti i componenti del proprio gruppo di lavoro ottengano un trattamento equo; adotta strategie per risollevare il morale del gruppo; si accerta continuamente che gli altri seguano la missione e gli obiettivi del leader Nelle pagine precedenti si è detto che, nel caso in cui la valutazione sia estesa a tutti i collaboratori del dirigente, è opportuno che, preliminarmente, questi ultimi si esprimano in merito al grado di conoscenza del dirigente. Tale giudizio è espresso in base ad una scala di valori compresa tra 0 e 3, dove: 0 = nessuna conoscenza; 1 = rapporti di lavoro sporadici; 2 = rapporti di lavoro abbastanza frequenti; 3 = rapporti di lavoro sistematici. 269 Azienda Pubblica 2.2010 La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Esperienze innovative Tale informazione consente di “ponderare” i punteggi assegnati, attribuendo maggiore importanza alle risposte ottenute dai collaboratori che dichiarano di conoscere più approfonditamente il dirigente. È appena il caso di notare che, per i collaboratori che dichiarano di avere una conoscenza pari a 0, non è richiesta alcuna valutazione e, se formulata ugualmente, non verrà tenuta in considerazione. Particolarmente delicata appare la scelta della metodologia di somministrazione del questionario. A tal riguardo, si noti che il collaboratore può essere chiamato a compilare il questionario secondo due differenti modalità: l’intervista personale e l’autocompilazione. Nel primo caso, un “intervistatore” assiste personalmente il collaboratore durante la compilazione, provvedendo a dirimere i dubbi che possono sorgere in merito alla comprensione delle affermazioni proposte. Nel secondo caso, il collaboratore procede autonomamente alla compilazione, nei tempi e nei modi che ritiene più convenienti. (24) Entrambe le modalità prospettate rappresentano validi strumenti di somministrazione del questionario; entrambe, tuttavia, presentano pregi e difetti. A titolo meramente esemplificativo, si osservi che l’intervista personale stimola la collaborazione da parte dell’intervistato, facilita la spiegazione di aspetti che risultassero eventualmente oscuri, consente di meglio apprezzare i profili più rilevanti; l’intervista è particolarmente adatta nel caso in cui si voglia mostrare del materiale all’intervistato, nonché allorquando il questionario sia piuttosto lungo. Nel contempo, si noti che l’intervista personale può richiedere costi elevati e condurre ad una dilatazione dei tempi necessari per concludere l’indagine; non è da sottacere, inoltre, che la presenza dell’intervistatore può influenzare le risposte del collaboratore. Diversamente, l’autocompilazione richiede un minor dispendio di risorse ed evita che vi possano essere condizionamenti da parte dell’intervistatore; si noti, inoltre, che il collaboratore ha più tempo a disposizione per “meditare” sui giudizi da assegnare al dirigente. È agevole constatare, tuttavia, che l’autocompilazione è efficace soltanto in presenza di questionari molto semplici (l’assenza dell’intervistatore non consente di chiarire eventuali incomprensioni) e, tra l’altro, non fornisce alcuna garanzia sulla reale identità del compilatore (Facchini, 2004; Fontana, Rossi, 2005). La scelta della modalità di somministrazione dipenderà da svariati fattori, quali, ad esempio, la numerosità dei partecipanti alla valutazione e i “vincoli di sistema” (tempo, risorse, informazioni). 24 In questa seconda ipotesi, è opportuno che il questionario sia accompagnato da una lettera che contiene le istruzioni per la compilazione. La lettera deve riportare anche un riferimento – telefonico o di posta elettronica – cui il collaboratore può rivolgersi per ottenere ulteriori chiarimenti, nonché la deadline fissata per la restituzione del questionario. Azienda Pubblica 2.2010 270 Esperienze innovative La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche 4. Sintesi e conclusioni La locuzione “valutazione bottom-up” viene comunemente utilizzata per contrassegnare l’apprezzamento della performance dirigenziale da parte dei collaboratori del dirigente, ossia dai dirigenti sott’ordinati e dal personale di comparto. Si parla pure di valutazione “dal basso verso l’alto” e, più raramente, di upward appraisal. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, raccoglie non pochi consensi la tesi che consegna un ruolo di importanza non trascurabile al giudizio dei collaboratori nel complessivo sistema di valutazione della dirigenza. Diversi studi analizzano aspetti cruciali dell’intera discussione: dai fattori che influenzano l’onestà del giudizio espresso dai collaboratori all’esistenza o meno di una correlazione tra i giudizi espressi dai collaboratori, dai superiori gerarchici e dal dirigente medesimo (autovalutazione); dall’incidenza dell’upward appraisal system sulla performance futura del dirigente ai profili di accountability nel processo di valutazione bottom-up, con particolare riferimento alla possibilità di identificare il soggetto che formula il giudizio; dai punti di forza e punti di debolezza della valutazione bottom-up alle reazioni dei dirigenti ai feedback ricevuti dai propri collaboratori, passando per l’analisi dei comportamenti che i collaboratori considerano importanti nella valutazione dei dirigenti. Si tratta di contributi scientifici che polarizzano l’attenzione su singoli aspetti della problematica trattata. Di studi che si soffermino, in modo sistematico, sul processo di progettazione di un upward appraisal system non se ne registrano. Inoltre, i lavori disponibili sulla valutazione bottom-up ritengono, per lo più, possibile la generalizzazione dei risultati ottenuti, senza mettere in adeguato risalto la circostanza che un modello di valutazione “dal basso verso l’alto” debba essere sempre “confezionato ad arte”, in base alla “cultura” che l’azienda ha potuto sedimentare nel corso del tempo. Non è questo un aspetto scontato, di poco conto. È questa una questione rilevante e sostanziale, nella prospettiva dell’introduzione dell’upward appraisal. Con precipuo riferimento al processo di progettazione dell’upward appraisal, alcuni elementi debbono essere, secondo la nostra opinione, preliminarmente indagati. Ci riferiamo, in particolare, alle finalità che si intendono assegnare alla valutazione, all’oggetto della valutazione e agli strumenti di raccolta dei feedback dei collaboratori. Errori commessi in questa delicata fase potrebbero, infatti, vanificare gli sforzi compiuti con notevole spreco di energie, tempo e risorse finanziarie. Per ciò che attiene alle finalità della valutazione, registriamo in dottrina due distinti punti di vista: quello di chi ritiene che alla valutazione dei collaboratori non debbano essere associate conseguenze immediate sul piano “amministrativo” e quello degli studiosi che al contrario non si sentono di escludere che ciò possa verificarsi, che cioè la valutazione bottom-up possa 271 Azienda Pubblica 2.2010 La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Esperienze innovative rappresentare, altresì, un utile elemento conoscitivo nella formulazione del giudizio finale sulla performance manageriale. In ambedue i casi, vi è perfetto accordo sul fatto che la valutazione dei collaboratori stimola il miglioramento individuale del dirigente. Alla luce delle analisi effettuate, riteniamo di poter propendere per la seconda tesi, purché l’amministrazione interessata sia pervasa da un “clima organizzativo” positivo. Al fine di appurare i livelli di benessere organizzativo dovranno essere esperite indagini ad hoc. Per ciò che attiene all’oggetto della valutazione, la dottrina economicoaziendale e non solo è piuttosto unanime nel ritenere che i collaboratori debbano esprimersi con riferimento ai comportamenti organizzativi del dirigente e non rispetto al grado di raggiungimento degli obiettivi programmati. I collaboratori, infatti, non possiedono i requisiti professionali richiesti per presidiare le fasi di definizione degli obiettivi, verifica dei risultati, interpretazione degli scostamenti, ecc., né possono formarsi un giudizio d’insieme sull’operato del dirigente, potendolo osservare solo dal loro angolo visuale. Per ciò che attiene, infine, agli strumenti di raccolta dei feedback, nel presente lavoro si è polarizzata l’attenzione sul metodo del questionario che, nel caso specifico della valutazione bottom-up, offre grandi opportunità. Particolarmente delicata appare la scelta della metodologia di somministrazione del questionario (intervista personale o autocompilazione). Le analisi sviluppate nel presente lavoro prendono spunto dagli studi che la dottrina economico-aziendale – e non solo – ha fatto registrare sull’argomento nell’ultimo ventennio. Intendiamo “testare” le conclusioni cui siamo pervenuti appena possibile, raccogliendo il punto di vista dei dirigenti sui diversi temi trattati. A tal fine, è nostra intenzione sottoporre ai dirigenti alcuni quesiti che attengono alle finalità da assegnare alla valutazione bottom-up (“amministrative” o connesse al miglioramento della performance del dirigente); all’opportunità di assegnare un “peso” alla valutazione bottom-up ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato al dirigente; all’individuazione delle competenze che possono essere valutate da tutti i collaboratori, nonché delle competenze che, al contrario, si prestano ad essere valutate soltanto da una parte di essi; all’indicazione delle competenze che meglio qualificano il profilo manageriale (cui assegnare, di conseguenza, maggiore importanza ai fini della valutazione bottom-up); all’opportunità di portare a conoscenza del valutato il giudizio espresso da ciascun collaboratore; alle modalità di somministrazione del questionario da impiegare nel processo di valutazione; all’utilità di diffondere i risultati finali della valutazione bottomup all’interno e/o all’esterno dell’ente. Nella prospettiva descritta, abbiamo già preso contatti con i dirigenti delle amministrazioni provinciali e comunali della Regione Puglia. Azienda Pubblica 2.2010 272 Esperienze innovative La valutazione dei dirigenti nelle amministrazioni pubbliche Riferimenti bibliografici Antonioni D. (1994), “The effect of feedback accountability on upward appraisal ratings”, Personnel Psychology, vol. 47, 2, pp. 349-356. Anselmi L. (2003), Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, Torino: Giappichelli. Avis J.M., Kudisch J.D. (2000), “Factors influencing subordinates’ willingness to participate in upward feedback”, paper presentato alla 21a conferenza annuale “Industrial & Organizational Behavior”, Knoxville, TN. Avallone F., Bonaretti M. (a cura di) (2003), Benessere organizzativo, Soveria Mannelli: Rubettino. Bernardin H.J. (1986), “Subordinate appraisal: A valuable source of information about managers”, Human Resource Management, vol. 25, 3, pp. 421-439. Bernardin H.J, Beatty R.W. 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L’emanazione dei principi contabili internazionali nell’ambito della riforma contabile della pubblica amministrazione. 3. Principi contabili nazionali e internazionali a confronto: analisi di alcune differenze. 4. Riflessioni e proposte di revisione degli IPSAS e dei sistemi contabili degli enti locali. 5. Conclusioni. L’introduzione in ambito pubblico di principi contabili internazionali suscita attualmente ampio dibattito, soprattutto in merito alla potenzialità informativa legata ad un loro utilizzo. Obiettivo del presente lavoro è indagare ed evidenziare i vantaggi, i limiti e gli effetti sul bilancio in termini di informativa e accountability derivanti dall’adozione degli IPSAS attualmente previsti per il settore pubblico, attraverso una disamina dell’impianto contabile proposto dai principi contabili internazionali ed un confronto con quello scaturente dai principi contabili nazionali italiani. Il contributo che tale articolo si prefigge è quello di suggerire una proposta di revisione dei sistemi contabili degli enti locali, al fine di superare o migliorare i limiti informativi individuati nel corso della trattazione. The introduction of International Public Sector Accounting Standards (IPSAS) is currently stirring up a broad debate, particularly about the informative potentiality connected with their use. In this work, we proceeded to compare the different accounting procedures provided for the representation of business transactions by the Italian accounting standards with the ones established by the international accounting standards, emphasizing their advantages, their limits and their effects on the financial statements in terms of disclosure and accountability. Through this article we would like to suggest a proposal in order to review the accounting systems of local authorities, so that the informative limits we emphasized in this discussion could be overcome or improved. Parole chiave: principi contabili internazionali applicabili al settore pubblico – contabilità finanziaria ed economico-patrimoniale – riforme dei sistemi contabili pubblici Key words: International Public Sector Accounting Standards – local government accounting – accruals and budgetary accounting 277 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative 1. Introduzione Il processo di “aziendalizzazione” che ha contraddistinto i sistemi amministrativi pubblici di molteplici Paesi occidentali a partire dagli anni settanta del secolo scorso si è tradotto in un processo di acquisizione di criteri di gestione economico-aziendali tipici del settore privato, comportando molteplici risvolti anche sotto il profilo contabile. Coerente con tale fenomeno risulta essere l’operato dell’International Public Sector Accounting Standard Board (IPSASB) che, attraverso l’emanazione dei principi contabili internazionali per il settore pubblico, sembra perseguire come finalità quella di avvicinare i sistemi contabili e gestionali degli enti locali a quelli di natura privatisitica, tenendo tuttavia conto delle peculiarità proprie delle entità economiche pubbliche, al fine di diffondere ed affermare una “cultura manageriale negli enti locali” (D’Aristotile, Rosa, 2004). In merito a tale priorità, espressamente contenuta nella Preface to International Public Sector Accounting Standards, si può affermare che l’operato dei primi anni di vita dell’IPSASB è stato contraddistinto quasi esclusivamente da uno sforzo di convergenza con i principi Ias/Ifrs previsti per il settore privato, con alcuni adattamenti che tengono conto delle specificità del contesto pubblico. Per tale ragione, l’applicazione degli IPSAS presuppone il passaggio da sistemi contabili basati sulla contabilità finanziaria “cash basis” a sistemi contabili che fanno riferimento al principio della competenza economica, denominati “accrual basis”, così come previsto nella Preface. Alcuni studiosi hanno evidenziato come la convergenza con la contabilità ed i principi contabili del settore privato sia necessaria sotto molteplici aspetti: • in primo luogo, per garantire maggiore trasparenza informativa nei confronti dei cittadini, che devono essere in grado di giudicare l’operato della propria amministrazione, e nei confronti dei mercati finanziari. Tale maggiore trasparenza rappresenta infatti “un’esigenza molto sentita dai mercati finanziari, che trovano difficoltà nel comprendere i bilanci delle amministrazioni pubbliche, i quali rappresentano tuttavia una quota importante degli investimenti finanziari” (Pozzoli, 2006; Farneti, 2003). A tale scopo si è assistito all’introduzione di un sistema contabile e di un sistema di bilancio simile a quello previsto per le imprese, più facilmente comprensibile dai cittadini e, pertanto, in grado di consentire di disporre delle informazioni atte a “render conto” della gestione della cosa pubblica; • in secondo luogo, per armonizzare le “regole” contabili utilizzate in ambito pubblico dai Paesi coinvolti nell’International Federation of Accountants (IFAC), configurando sistemi contabili pubblici standardizzati, al fine di consentire la comparazione dei risultati conseguiti da altri Azienda Pubblica 2.2010 278 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach enti aventi caratteristiche simili sia a livello nazionale che internazionale. In altre parole, l’adozione dei principi contabili internazionali ha permesso alle entità pubbliche dei Paesi implicati nell’IFAC di adottare un linguaggio comune in ambito contabile, allo scopo di incentivare la confrontabilità e la chiarezza nella gestione delle risorse pubbliche. (1) Va tuttavia evidenziato come alcuni studiosi (Pozzoli, 2005a: pp. 64 – 66; Borgonovi, 2000) auspichino che il processo di armonizzazione coinvolga l’informativa esterna e non i processi contabili e di gestione dell’ente, che deve essere libero di scegliere la contabilità ed i modelli di management che ritiene maggiormente adatti in relazione alle proprie peculiarità e al proprio stile di amministrazione. A loro avviso, infatti, esigere che tutte le amministrazioni pubbliche, naturalmente ed irrimediabilmente diverse, seguano omogenee regole di gestione contabile interna risulta inopportuno e discutibile sotto il profilo della legittimità costituzionale e, per tale ragione, lo standard setter deve “possedere la caratteristica di terziarietà rispetto agli enti di cui deve regolamentare i documenti contabili”; • in terzo luogo, per consentire la redazione del bilancio consolidato (Terzani, 1993; Giaccari, 1996; Grossi, 2002), al fine di fornire informazioni complete anche sulle attività esternalizzate dall’ente. La tendenza ad assegnare la gestione di determinati servizi pubblici ad aziende esterne o a società di diritto privato, partecipate da enti della pubblica amministrazione che svolgono sulle stesse funzioni di coordinamento (Anselmi, 2001: pp. 33-34; Anselmi, 2005: p. 130), volta a slegare la gestione di tali servizi dai vincoli ed adempimenti burocratici propri della pubblica amministrazione, ha reso infatti necessaria la redazione di un bilancio consolidato, in grado di informare periodicamente la collettività amministrata sui risultati conseguiti dall’intero gruppo. Tuttavia, la redazione di un bilancio consolidato presuppone un’armonizzazione dei sistemi contabili, ossia la redazione di un bilancio da parte degli enti pubblici compatibile con quello utilizzato in ambito privato dalle società partecipate, che gestiscono i servizi ad esse affidati. Emerge anche sotto questo aspetto la volontà di promuovere la convergenza con la contabilità del settore privato, riconoscendo l’importanza di arrivare ad una informativa contabile uniforme, al fine di assicurare maggiore trasparenza informativa a vantaggio di tutti i destinatari coinvolti. (2) 1 “In una Europa che tende progressivamente alla standardizzazione, pensare di continuare ad avere una frammentazione dei sistemi contabili a livello di pubbliche amministrazioni è irragionevole...”, Pozzoli, 2005b. 2 La scelta di ricorrere all’outsourcing non è stata, tuttavia, esente da critiche (Cristofoli, 2004: pp. 102, 118; Anselmi, 2003: p. 111), in quanto in molti casi sembra non aver funzionato affatto (Buratti et al., 2002: p. 202) e in quanto sembra limitarsi a sviare il problema del ritardo culturale ed economico tipico degli enti pubblici nella produzione ed erogazione dei propri servizi, problema che può essere risolto definitivamente alla radice solo modificando completamente gli atteggiamenti assunti da parte del cosiddetto “capitale umano”, agendo “prioritariamente sulla cultura dell’amministrazione” (Borgonovi, 1999: p. 63). 279 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative L’introduzione in ambito pubblico di principi contabili internazionali, che ricalcano in buona sostanza quelli previsti per le imprese in ambito privato, suscita, tuttavia, attualmente ampio dibattito, notevoli riflessioni e perplessità, soprattutto in merito alla potenzialità informativa legata ad un loro utilizzo. Obiettivo del presente lavoro è indagare ed evidenziare i vantaggi, i limiti e gli effetti sul bilancio in termini di informativa e accountability derivanti dall’adozione degli IPSAS attualmente previsti per il settore pubblico, ponendo a confronto i diversi trattamenti contabili prescritti per la rappresentazione delle operazioni aziendali dalla normativa e dai principi contabili nazionali italiani rispetto a quelli internazionali. Il contributo che tale articolo si prefigge è quello di fornire al lettore, attraverso una disamina dell’impianto contabile proposto dai principi contabili internazionali ed un confronto con quello scaturente dai principi contabili nazionali italiani, spunti di riflessione sull’utilità legata all’applicazione degli IPSAS, individuando proposte per superare o migliorare i limiti informativi individuati nel corso della trattazione. 2. L’emanazione dei principi contabili internazionali nell’ambito della riforma contabile della pubblica amministrazione Il problema dell’insoddisfazione nei riguardi del funzionamento del settore pubblico ha riguardato molte nazioni ad economia avanzata, rendendo indispensabile provvedere ad introdurre profonde innovazioni e riforme, volte a migliorare le performance del settore pubblico, attraverso il recepimento da parte degli enti pubblici di criteri di gestione economico-aziendali tipici del settore privato, volti a conseguire “condizioni gestionali di competitività affini a quelle delle imprese che operano nel mercato” (Cristofoli, 2004: p. 102). Tali processi di rinnovamento (3) hanno implicato l’assunzione, anche in ambito pubblico, di una cultura volta, in primo luogo, a raggiungere apprezzabili livelli di efficacia, ossia a massimizzare la soddisfazione dei bisogni dei cittadini, visti come i “clienti” dell’azienda pubblica, fornendo agli stessi le informazioni necessarie per controllare l’operato degli amministratori, nel rispetto della logica del controllo democratico ed, in secondo luogo, a ricercare condizioni di gestione efficienti, responsabilizzando maggiormente i dirigenti al raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. La volontà di analizzare i fatti di gestione ed i risultati conseguiti dall’ente in termini di economicità, efficienza ed efficacia ha reso inadeguati i tradizionali sistemi contabili, rendendo necessario procedere ad introdurre dei cambiamenti anche in ambito contabile (Caperchione, 2000: pp. 51-52, 70), 3 Definiti con la terminologia “diffusione del New Public Management Approach” (N.P.M.) o “aziendalizzazione degli enti locali” (G. Farneti, S. Pozzoli, 2005: p. 3). Per una disamina degli elementi distintivi di tale approccio si veda: Lawrence e Thompson, 1997: pp. 567586; Meneguzzo, 1997: pp. 587-606; Gruening, 1998: pp. 669-691; tabella tratta da Larbi, 1999: pp. 14-15; Roots, 2001: pp. 317-329; Steccolini, 2002: pp. 137-154; Cepiku, 2002, pp. 155-178; Pollitt, Bouckaert, 2000; Ferrari, Donno, 2004: pp. 453-476; Bianchi, 2004: pp. 141-161. Azienda Pubblica 2.2010 280 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach volti a sperimentare nuovi metodi di accountability, attribuendo maggiore rilevanza ad approcci di contabilità “accrual basis”, basati sulla contabilità economica ed abbandonando o ridimensionando la contabilità “cash basis”, ossia quella finanziaria, utilizzata in sede di autorizzazione politica (bilancio di previsione). (4) Coerente con il processo di acquisizione di criteri di gestione economicoaziendali tipici del settore privato risulta essere l’operato dell’IPSASB nei primi anni di vita, caratterizzato principalmente da uno sforzo di convergenza con i principi Ias/Ifrs previsti per il settore privato, (5) al fine di avvicinare i sistemi contabili e gestionali degli enti locali a quelli di natura privatistica. Nella presente trattazione, appare utile provvedere ad inserire una disamina dell’impianto complessivo proposto dai principi contabili internazionali, avendo particolare riguardo delle finalità e del sistema di contabilità e bilancio che lo contraddistinguono, attraverso un confronto con l’impianto previsto a livello nazionale in Italia dal documento intitolato “Finalità e i postulati dei principi contabili per gli enti locali” emanato dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali. In merito alle finalità perseguite, l’IPSAS 1 ritiene che il bilancio abbia quale scopo principale quello di fornire ai destinatari di bilancio informazioni attendibili di tipo finanziario, economico e patrimoniale sulla società, necessarie per prendere le decisioni più opportune e per individuare le responsabilità all’interno dell’ente pubblico. Il documento redatto dall’Osservatorio prevede, invece, delle finalità del bilancio riconducibili a tre diverse funzioni: una funzione politicoamministrativa (il bilancio viene visto come uno strumento essenziale per permettere all’organo politico di esercitare i poteri di indirizzo e controllo sull’organo esecutivo), una funzione economico-finanziaria (il bilancio fornisce informazioni di tipo finanziario che consentono di conoscere la destinazione prevista per le entrate in sede di previsione e di verificare il loro corretto impiego) e una generale funzione informativa, dando indicazioni sotto l’aspetto finanziario, patrimoniale ed economico. L’individuazione di tali finalità è in perfetta sintonia con le categorie di stakeholder individuate e considerate dall’Osservatorio, e si presenta molto più esaustiva e completa rispetto a quelle individuate dai principi contabili internazionali, che tendono a privilegiare unicamente le esigenze informative dell’investitore, visto quale stakeholder privilegiato. Infatti, l’Osservatorio della finanza e della contabilità degli enti locali ha elencato con chiarezza, al punto 19 dei principi contabili emanati dallo stesso, i vari destinatari dell’informativa di bilancio, annoverando tra gli 4 Per una rassegna dei principali limiti del sistema contabile tradizionale, soprattutto in relazione alla limitata potenzialità informativa in termini di misurazione dei risultati, si veda: Borgonovi, 1988: p. 181; Borgonovi, 2000: pp. 252-261; D’Aries, 1997; Caperchione, 1999; Caperchione, 2000: pp. 70-71; Farneti, 2000: p. 236; Anessi Pessina, 2000: p. 29; Mussari, 2005: pp. 39-40; Maurini, 2005. 5 Infatti, molti dei principi contabili internazionali previsti per il settore pubblico e, più precisamente, i primi 21, ricalcano, laddove possibile, quelli in vigore per le imprese (Ias/Ifrs). 281 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative stessi tutti i portatori di interesse, che utilizzano il bilancio per soddisfare le proprie esigenze informative. Il quadro framework IPSAS non è altrettanto esauriente nell’elencare i destinatari dell’informativa di bilancio: esso reputa quale destinatario privilegiato del bilancio il finanziatore, in quanto rappresenta il soggetto che fornisce all’azienda il capitale di rischio (ne è prova il fatto che, come ribadito più volte, gli IPSAS ricalcano, salvo alcuni adattamenti, i principi Ias/Ifrs previsti per le imprese). Tale atteggiamento non è tuttavia condiviso da molti autori (Ricci, 2005), che hanno evidenziato il fatto che il vero soggetto economico di un ente pubblico, ossia il principale portatore di interessi di un ente locale, è il cittadino, in qualità di utente dei servizi erogati, di elettore e di contribuente. (6) In merito al sistema di contabilità, l’IPSAS 1 si riferisce esclusivamente ad una contabilità economico-patrimoniale, prevedendo un bilancio molto simile a quello prescritto per le imprese, composto da: Stato Patrimoniale, Conto Economico, Rendiconto finanziario, Prospetto delle variazioni del Patrimonio netto, Principi contabili e note al bilancio. Gli IPSAS tendono, infatti, a privilegiare i documenti provenienti dalla contabilità economicopatrimoniale, tipica delle imprese, e ad attribuire maggiore importanza ai documenti utilizzati in sede di rendicontazione, in grado di rappresentare i risultati effettivamente conseguiti durante l’espletamento dell’attività pubblica sotto il profilo patrimoniale, finanziario e economico e “più immediatamente comprensibili, perché – a differenza della documentazione finanziaria – sono pensati per un solo fine: informare i terzi” (Pozzoli, 2005a: pp. 56-61). I principi contabili italiani previsti dall’Osservatorio, invece, fanno riferimento ai fondamenti dei sistemi finanziari autorizzatori. Tale aspetto è ravvisabile, in primis, nella struttura di bilancio prevista da tale documento per gli enti locali, caratterizzata: - a livello preventivo, dalla redazione di tutti quei documenti tipici dei sistemi contabili finanziari, costituiti dalla relazione previsionale e programmatica, dal bilancio annuale di previsione, dal bilancio pluriennale, dal Piano esecutivo di gestione e dagli allegati al bilancio di previsione (punto 11 del documento); - solo a livello consuntivo viene prevista la redazione di documenti che contengono dati di carattere economico-patrimoniale (conto economico e conto del patrimonio), limitandosi tuttavia ad auspicare un atteggiamento contabile più economico e invitando gli enti a predisporre una documentazione informativa supplementare di natura patrimoniale ed economica da allegare alla relazione previsionale e programmatica (punto 28 del documento). Inoltre, il legislatore italiano ha lasciato i vari enti locali liberi di scegliere il sistema contabile a loro più idoneo, limitandosi a prevedere come obbligatorio un sistema contabile economico di tipo minimale, senza prevedere 6 Da tale affermazione ne deriva l’importanza di alcuni strumenti, quali gli indicatori di qualità, volti a misurare il grado di “customer satisfaction” raggiunto (Giusepponi, 1993: p. 193; Mazzara, 2000: pp. 459-468). Azienda Pubblica 2.2010 282 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach l’obbligatorietà della tenuta di un sistema di contabilità economica in partita doppia giorno per giorno. Ne deriva che il sistema contabile previsto dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali tende a privilegiare ancora tutti quei documenti tipici della contabilità finanziaria. La diversa rilevanza assunta dalla contabilità finanziaria e da quella economica nel sistema informativo contabile di un Paese risulta fortemente influenzata dal contesto politico e sociale del Paese stesso e dalle funzioni attribuite agli enti locali in tale contesto: in merito a tale aspetto, alcuni autori (Anessi Pessina, 2000: p. 35) hanno infatti evidenziato come la rilevanza attribuita alla contabilità economico-patrimoniale sia maggiore nei Paesi contraddistinti dalla presenza di enti locali che assumono sempre più la veste di “holding” rispetto a quelli dove gli enti locali continuano a tenere presso di sé le funzioni tradizionali. Nella prima ipotesi, infatti, l’utilizzo della contabilità economica faciliterebbe la redazione di bilanci omogenei a quelli utilizzati dalle aziende partecipate di diritto privato e, conseguentemente, la redazione di bilanci consolidati in grado di evidenziare la gestione del gruppo nel suo complesso, al fine di fornire un “quadro fedele dell’entità economica costituita dal gruppo” (Terzani, 1993). Per tali ragioni, il passaggio a sistemi contabili di tipo “accrual basis” sta avvenendo nelle varie nazioni in modi difformi e ha avuto inizio in tempi diversi. Le differenze nel passaggio a sistemi “accrual basis” riguardano prevalentemente i seguenti aspetti (Lüder, Jones 2003): a) l’introduzione di un sistema “accrual accounting”, ossia di un sistema di contabilità economica: in merito a tale aspetto, la tabella n. 1 mostra la diversa tempistica (Lüder, Jones 2003; Wynne, 2008: p. 118) con cui è avvenuto il passaggio a sistemi “accrual accounting” in alcuni Stati europei, mettendo in evidenza come la riforma contabile che ha caratterizzato il settore pubblico sia iniziata in talune nazioni già negli anni Settanta, mentre in altre (quali l’Italia) riguardi, ancora oggi, solo le amministrazioni locali (proprio in Italia, per le amministrazioni centrali risulta essere ancora applicata esclusivamente la tradizionale contabilità “cash basis”); Tabella 1 – Periodo di inizio del passaggio a sistemi contabili “accrual basis” in Europa 1978-1989 Local Governments Central Governments Svizzera Paesi Bassi Svezia 1990-1999 2000-2005 Spagna Francia Finlandia Regno Unito Germania Italia Spagna Finlandia Svezia Regno Unito Svizzera Francia 2009 Germania (riforma non ancora operativa) Non ancora iniziate Italia Paesi Bassi Fonte: (Lüder, Jones 2003; Wynne, 2008: p. 118) 283 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative b) l’introduzione di un sistema di “accrual accounting and budgeting”: l’aggettivo accrual può infatti far riferimento sia alla contabilità che al bilancio di previsione. In merito a tale aspetto, è doveroso sottolineare come in alcuni Paesi (quali, Svizzera e Regno Unito) l’introduzione della contabilità economica abbia coinvolto anche l’attività di “budgeting”, potendo definire il loro sistema contabile con la terminologia “Accrual Accounting and Budgeting”, mentre in altri sussista ancora un sistema di “accrual accounting” e “cash budgeting”, rimanendo la fase di previsione ancorata alla contabilità finanziaria (si pensi, ad esempio, agli enti locali italiani) (Lüder, Jones 2003). (7) Tale situazione risulta essere la diretta conseguenza della scelta compiuta dai vari legislatori nazionali di: - prevedere la coesistenza della contabilità finanziaria con quella economica-patrimoniale, al fine di assicurare i benefici di entrambi i sistemi di accountability, superandone nel frattempo i limiti (Farneti, 2000, Christiaens, Vanhee, 2002; Monsen, 2002); - alternativamente, prevedere la sostituzione della tradizionale contabilità cash basis con quella economica. A tal proposito, risulta doveroso evidenziare come in certi casi, quali il Regno Unito, (8) il passaggio alla contabilità economica sia stato realizzato integralmente, introducendo un sistema basato esclusivamente su criteri di competenza economica, nei quali la contabilità economico-patrimoniale ha sostituito e non solo affiancato quella finanziaria tradizionale. In altri casi si è concretizzato solo parzialmente, prevedendo l’introduzione di un sistema contabile di tipo misto, contrassegnato non dall’eliminazione della contabilità finanziaria, che continua ad essere mantenuta in relazione alla sua funzione autorizzatoria e di garanzia degli equilibri di bilancio tra entrate e spese, ma dalla sua integrazione con quella economico-patrimoniale (Khan A., Mayes S., 2009: p. 2). In Francia, ad esempio, nonostante in via formale il principio di rilevazione contabile da adottare per pervenire alla redazione del conto economico e dello stato patrimoniale sia quello della competenza economica, l’applicazione di tale principio è prevista solo in sede di scritture di assestamento alla fine dell’esercizio, mentre durante l’anno la contabilità è guidata prevalentemente da logiche di cassa, con finalità autorizzatorie giuridiche (Alvino, 2005; Caperchione, Steccolini, 2000). Anche in Italia il legislatore ha preferito mantenere per le amministrazioni locali, la contabilità finanziaria, per la sua funzione autorizzatoria, affiancando alla stessa una contabilità economica-patrimoniale, senza 7 Anche a livello di governo centrale, Lüder provvede a suddividere i Paesi nei quali è stata introdotta la contabilità economica in due parti: quelli caratterizzati da un sistema di “accrual and budgeting accounting”, costituiti dalla Svizzera e dal Regno Unito; quelli contraddistinti da un sistema di “accrual accounting” e “cash budgeting”, rappresentati dalla Spagna, Francia, Finlandia, Svezia e Germania (benché in Germania la riforma contabile non sia ancora operativa a livello centrale). 8 Per un approfondimento si veda D’Amore, 2005. Azienda Pubblica 2.2010 284 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach tuttavia prevedere l’obbligo di adottare un sistema contabile economico e patrimoniale da tenersi in corso d’anno, utilizzando il metodo della partita doppia, ma limitandosi a prevedere come obbligatoria la tenuta di un sistema contabile minimale, caratterizzato dalla rilevazione delle operazioni gestionali sotto il profilo economico solo al termine dell’esercizio, apportando le modifiche necessarie ai dati finanziari rilevati in corso d’anno. In Germania, la Conferenza permanente dei Ministri dell’interno dei Länder (Stati), a cui compete l’emanazione delle leggi di contabilità, ha evidenziato un orientamento di favore verso il passaggio al sistema di competenza economica (Caperchione, 2005: p. 94), delegando agli Stati (Länder) il compito di legiferare sui sistemi di rilevazione locali, scegliendo tra due sistemi alternativi, in base alle proprie caratteristiche (9): un sistema tipicamente economico-patrimoniale e un sistema misto, caratterizzato dalla presenza contestuale di una contabilità finanziaria e una contabilità economica. Va tuttavia sottolineato che alcuni sostenitori della contabilità economica hanno messo in rilievo talune perplessità legate alla previsione di un sistema contabile di tipo misto, in quanto ritengono, in primo luogo, che la contabilità economica possa svolgere, come avviene già nei Paesi anglosassoni, funzioni autorizzatorie, attraverso la redazione di un budget e, in secondo luogo, in quanto sostengono che la previsione di due contabilità con orientamenti diversi possa provocare forte ambiguità, persino una profonda contraddizione del sistema (Pozzoli, 2005a: pp. 59-60). Tale tematica sarà trattata in maniera più approfondita nel successivo paragrafo 4. Alcuni studiosi (Lüder, Jones 2003) hanno inoltre messo in evidenza come gli IPSAS abbiano avuto un impatto limitato nelle riforme contabili dei Paesi europei, dovuto principalmente ai seguenti fattori: - le riforme contabili sono iniziate prima della disponibilità degli IPSAS; - le traduzioni autorizzate dei testi in inglese non sono disponibili; - gli IPSAS fanno riferimento a principi e regole del settore privato e, pertanto, sembrano di limitato uso in ambito pubblico; - nell’Europa continentale le regole contabili vengono tradizionalmente stabilite dalla legge e non da organismi esterni internazionali o nazionali. 3. Principi contabili nazionali e internazionali a confronto: analisi di alcune differenze Dopo aver inquadrato l’emanazione di principi contabili internazionali destinati al settore pubblico nell’ambito del processo di riforma contabile della pubblica amministrazione, evidenziando le finalità perseguite con il 9 Ad esempio, negli Stati caratterizzati dalla presenza di enti di piccole dimensioni, quali la Baviera, lo Stato lascerà probabilmente la possibilità agli enti locali di optare tra la contabilità economico-patrimoniale ed il cameralismo allargato. 285 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative loro recepimento, appare doveroso procedere a focalizzare l’attenzione sul confronto di tali principi contabili con quelli nazionali italiani, al fine di cogliere alcune differenze, per poter sviluppare riflessioni e individuare delle proposte in merito alla loro applicazione. Sull’argomento, appare doveroso evidenziare il fatto che i principi contabili internazionali consentono a ciascun ente di presentare un bilancio in base alle proprie esigenze e peculiarità, attribuendo allo stesso il potere discrezionale di scegliere la struttura, l’ordine di esposizione delle voci contabili più consono e i criteri di valutazione di alcuni elementi patrimoniali. Tale libertà è ravvisabile in molteplici IPSAS e viene schematicamente messa in evidenza nella tabella 2, attraverso un confronto tra la normativa ed i principi contabili italiani rispetto ai principi contabili internazionali in ambito pubblico. Tabella 2 – Differenze principali tra prospetti contabili previsti dai principi contabili internazionali e italiani IPSAS Principi contabili nazionali italiani Stato patrimoniale / Conto del patrimonio 1) Forma del prospetto L’IPSAS 1 lascia ampia libertà ai redattoForma obbligatoria a sezioni divise prevista ri dei prospetti, prevedendo solo criteri dal d.P.R. n. 194/1996 di massima a cui fare riferimento 2) Contenuto del prospetto L’IPSAS 1 non prescrive uno schema rigido, né un ordine preciso da rispettare nell’esposizione delle voci patrimoniali, limitandosi a fissare il contenuto minimo obbligatorio 1) Forma del prospetto L’IPSAS 1 non prevede una forma obbligatoria da adottare, lasciando ampia libertà ai redattori del prospetto Il d.P.R. n. 194/1996 prevede una forma scalare obbligatoria 2) Contenuto del prospetto L’IPSAS 1 si limita a prevedere un contenuto minimo per tale prospetto, lasciando ampia libertà ai redattori del prospetto Il d.P.R. n. 194/1996 prevede una struttura rigida, nel senso che le voci contenute devono essere le medesime per tutti gli enti e devono essere evidenziate rispettando l’ordine prescritto dalla norma È prevista una struttura rigida, nel senso che le voci contenute devono essere le medesime per tutti gli enti e devono essere evidenziate rispettando l’ordine prescritto dalla norma Conto economico È possibile scegliere se presentare 3) Criteri un conto economico con i costi di classificazione classificati per natura oppure dei costi per destinazione 4) Esposizione gestione accessoria Non statuendo una struttura rigida di conto economico obbligatoria da adottare, gli IPSAS consentono di evidenziare separatamente il contributo dato alla gestione operativa dalla gestione caratteristica e da quella accessoria È prevista una struttura a costi e ricavi della produzione ottenuta, con una classificazione dei costi in base alla natura dei fattori produttivi acquisiti Il d.P.R. n. 194/1996 prevede un contenuto del conto economico che consente di esprimere i risultati della gestione operativa, finanziaria e straordinaria, senza però specificare il contributo dato alla gestione operativa dalla gestione caratteristica e da quella accessoria (segue) Azienda Pubblica 2.2010 286 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach IPSAS Principi contabili nazionali italiani Rendiconto finanziario/Conto del bilancio 1) Forma del prospetto L’IPSAS 2 lascia ampia libertà al redatto- Il d.P.R. n. 194/1996 prevede una forma re del prospetto obbligatoria per il conto del bilancio 2) Contenuto del prospetto L’IPSAS 2 non prescrive un contenuto obbligatorio, limitandosi a prevedere la necessità di presentare i flussi finanziari di cassa distintamente a seconda che derivino dall’attività operativa, dall’attività di investimento e dall’attività di finanziamento Il d.P.R. n. 194/1996 prevede uno schema obbligatorio per il contenuto del conto del bilancio, in quanto sia le voci di entrata che di spesa previste dalla normativa italiana, in cui si articolano i flussi finanziari positivi e negativi, risultano inderogabili 3) Gestione considerata Considera i flussi finanziari di cassa. Pertanto considera la gestione di cassa Il conto del bilancio degli enti locali considera sia la gestione di competenza finanziaria, di cassa, che dei residui Valutazione delle immobilizzazioni materiali Gli IPSAS adottano criteri di valutazione diversi a seconda del carattere strumentale o accessorio del bene all’attività di produzione ed erogazione dei servizi dell’ente I principi contabili nazionali non adottano criteri di valutazione diversi a seconda del carattere strumentale o accessorio del cespite Gli IPSAS consentono agli enti di scegliere se applicare quale criterio di valutazione dei propri beni il cost model oppure adeguare il valore di iscrizione di tali beni al fair value Il sistema ordinario previsto dai principi contabili nazionali per la valutazione delle immobilizzazioni materiali fa riferimento al criterio del costo (non consente l’adeguamento del valore al fair value) Fonte: Ipsas 1, 2, 6 e 7; d.P.R. n. 194/1996; d.lgs. 77/1995; principi contabili italiani previsti dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali. In primo luogo, in merito alla forma con cui vengono esposte le voci di Stato Patrimoniale, l’IPSAS 1 lascia ampia libertà ai redattori dei prospetti, prevedendo solo i criteri di massima a cui fare riferimento. I principi contabili internazionali previsti per il settore pubblico consentono infatti a ogni ente pubblico di scegliere se classificare i propri elementi patrimoniali distinguendo le attività e le passività tra correnti e non correnti, oppure, alternativamente (IPSAS 1, par. 75), in base a criteri di liquidità crescenti o decrescenti, nel caso in cui questo criterio fornisca informazioni attendibili e più significative. Diversamente, in Italia, il Testo Unico degli enti locali delega ai regolamenti attuativi l’approvazione del relativo schema, che è stato recepito nel modello n. 20 contenuto nel d.P.R. n. 194/1996, prevedendo l’utilizzo della forma a sezioni divise, coerentemente con la tradizione italiana. Il legislatore italiano ha optato, con l’approvazione del modello n. 20 contenuto nel d.P.R. n. 194/1996, per un conto del patrimonio di tipo misto, nel senso che coesistono sia aspetti di tipo destinativo-soggettivo che di tipo finanziario, anche se prevalgono quelli della prima tipologia. Per quanto riguarda le voci del passivo appare prevalere una classificazione delle stesse fondata su una logica di tipo soggettivo: l’art. 108 del Principio contabile n. 3 per gli enti locali al riguardo prevede che “(la logica classificatoria) del passivo rispetta la natura delle fonti di finanziamento”, dove con “natura delle fonti di finanziamento” si intende la provenienza delle 287 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative risorse finanziarie aziendali, sia in termini soggettivi che giuridici. Anche in merito al contenuto del prospetto di Stato Patrimoniale, l’IPSAS 1 non prescrive uno schema rigido, né tanto meno un ordine preciso da rispettare nell’esposizione delle voci patrimoniali, dando ampia libertà ai redattori di bilancio, limitandosi a fissare il contenuto minimo obbligatorio (IPSAS 1, par. 89) e prevedendo la necessità (IPSAS 1, par. 90) di aggiungere voci qualora un altro IPSAS lo richieda o quando risulta essenziale per ottenere una rappresentazione fedele della situazione dell’ente considerato. Viceversa, la struttura del conto del patrimonio previsto dalla normativa italiana è rigida, nel senso che le voci in esso contenute devono essere le medesime per tutti gli enti e devono essere evidenziate rispettando l’ordine prescritto dalla norma. In secondo luogo, anche con riferimento alla forma e al contenuto del conto economico, l’IPSAS 1 non prevede una struttura rigida di conto economico obbligatoria da adottare, lasciando ampia libertà ai redattori dei prospetti e limitandosi a dettare alcuni criteri di massima a cui fare riferimento e a prevedere un contenuto minimo per tale prospetto (IPSAS 1, par. 101), dal quale emerge la necessità di individuare dei risultati parziali afferenti alle diverse aree dell’attività gestionale dell’ente. Il modello n. 17 di cui al d.P.R. n. 194/1996 prevede invece una forma scalare, consentendo di evidenziare alcuni risultati intermedi, particolarmente utili a scopo informativo, e presenta una struttura rigida, in quanto le voci in esso contenute devono essere le stesse per tutti gli enti locali e devono essere esposte nel rispetto dell’ordine richiesto dalla norma, salvo la possibilità di fornire poi in un ulteriore documento informazioni più dettagliate (D’Aristotele, Rosa, 2002: p. 190). L’ampia libertà data dai principi contabili internazionali ai redattori del consuntivo permette agli stessi di scegliere se presentare un conto economico con i costi classificati per natura oppure per funzione di destinazione. La scelta tra le due diverse tipologie di classificazione dei costi è lasciata al singolo ente in base alle proprie necessità e peculiarità (IPSAS 1, par. 112). Viceversa, il conto economico previsto dal d.P.R. n. 194/1996 prevede, al fine di semplificare la redazione del prospetto e di ridurre il grado di soggettività nella ripartizione dei costi in base alla loro destinazione funzionale, una struttura a costi e ricavi della produzione ottenuta, con una classificazione dei costi in base alla natura dei fattori acquisiti, ossia in base alla causa economica che li ha generati. (10) Un conto economico con la suddivisione dei costi per natura offre il vantaggio di presentare un soddisfacente grado di oggettività rispetto ad un conto economico che classifica i costi per destinazione, tenuto conto dell’elevato grado di soggettività insito nel riparto dei costi tra le aree funzionali tipiche dell’azienda, riparto che richiede la 10 La rappresentazione dei costi per natura presenta il vantaggio di assumere uno stretto collegamento con il contenuto del conto del bilancio, che prevede una suddivisione della spesa per interventi sulla base della natura economica dei fattori produttivi nell’ambito di ciascun servizio. Azienda Pubblica 2.2010 288 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach tenuta di una contabilità analitica; questa classificazione presenta tuttavia lo svantaggio di offrire un limitato valore segnaletico se confrontato con le informazioni che è possibile trarre in alternativa da una ripartizione dei costi per destinazione, non consentendo “soprattutto per quanto attiene all’attività ordinaria dell’ente, la comprensione delle dinamiche correlate alle differenti aree gestionali tipiche” (Andrei, 1996: p. 169) o riferite ai singoli servizi (Farneti, 2004: p. 131). È doveroso sottolineare il fatto che alcuni autori hanno definito la possibilità di prevedere una suddivisione dei costi per destinazione “suggestiva ma non perseguibile nella sua applicazione letterale” (Andrei, 1996: pp. 169-170), considerato sia il notevole impegno economico, amministrativo e contabile che una suddivisione del genere richiederebbe, sia l’elevato grado di soggettività insito nel riparto dei costi comuni tra i vari servizi o centri di costo, il tutto a discapito della chiarezza e rilevanza dei risultati ottenuti. Inoltre, i principi contabili internazionali, non statuendo una struttura rigida di conto economico obbligatoria da adottare, ma attribuendo ampia libertà ai redattori dei prospetti, consentono a questi ultimi di evidenziare separatamente il flusso reddituale prodotto dall’area gestionale accessoria. Viceversa, il d.P.R. n. 194/1996 prevede un contenuto del conto economico che consente di esprimere i risultati della gestione operativa, finanziaria e straordinaria, senza però specificare il contributo dato alla gestione operativa dalla gestione caratteristica e da quella accessoria. Pertanto, un limite informativo insito nel conto economico previsto dal d.P.R. n. 194/1996 è rappresentato dall’assenza dell’area accessoria, con il suo contenuto “spalmato” su altre aree, in particolare su quella caratteristica. (11) In terzo luogo, in merito alla forma e al contenuto del rendiconto finanziario, l’IPSAS 2 non prescrive un contenuto obbligatorio, limitandosi a prevedere la necessità di presentare i flussi finanziari di cassa distintamente a seconda che derivino dall’attività operativa, dall’attività di investimento e dall’attività di finanziamento. L’IPSAS 2 si limita infatti a fornire indicazioni di massima sul contenuto di tale prospetto, senza indicare un elenco dettagliato delle voci che vi devono essere obbligatoriamente riportate; lo dimostra il fatto che la stessa esemplificazione riportata nel principio contabile internazionale citato non costituisce parte integrante del principio stesso, ma solo un allegato inserito a titolo dimostrativo, per aiutare gli incaricati nella redazione del prospetto, come sottolineato dallo stesso IPSAS 2. Il d.P.R. n. 194/1996 prevede invece uno schema obbligatorio per il contenuto e la struttura del conto del bilancio, in quanto sia le voci di entrata che di spesa previste dalla normativa italiana, in cui si articolano i flussi finanziari positivi e negativi, risultano inderogabili. (12) 11 L’assenza dell’evidenziazione dell’area accessoria rappresenta anche un limite che contraddistingue il conto economico civilistico previsto dall’art. 2425 c.c. per le imprese in ambito privato. 12 Fa eccezione la suddivisione delle entrate in “risorse”, che può essere liberamente stabilita dagli enti locali in relazione alle loro necessità e peculiarità. Infatti, per le entrate, mentre i titoli e le categorie devono seguire lo schema obbligatorio previsto dal d.P.R. n. 194/1996, 289 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative Infine, in merito al criterio di valutazione considerato per la valutazione degli elementi patrimoniali, appare utile fare una considerazione sul principio di prudenza: sebbene si tratti di un principio contemplato sia dall’IPSAS 1 (Appendice 2 dell’IPSAS 1), che dal principio contabile n. 1 dell’Osservatorio degli enti locali, tali documenti conferiscono al concetto di prudenza due accezioni diverse nel senso che: - per i principi contabili internazionali il principio di prudenza non ha lo scopo di garanzia dell’integrità del patrimonio dell’ente nell’interesse dei terzi, ma ha solo la finalità di assicurare la neutralità e l’attendibilità del bilancio ed una rappresentazione fedele dei risultati e della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’ente pubblico. Infatti per tali principi l’applicazione della prudenza non consente, ad esempio, “la creazione di riserve occulte o accantonamenti eccessivi, la sottostima deliberata di attività o ricavi o la sovrastima deliberata di passività o costi, poiché così facendo il bilancio non sarebbe neutrale e, quindi, non avrebbe la caratteristica dell’attendibilità”; (13) - per i principi contabili dell’Osservatorio, invece, il principio di prudenza (punti da 85 a 90 del quadro sistematico) deve avere come scopo la tutela dei terzi attraverso la garanzia e la difesa dell’integrità del patrimonio. Tuttavia, pur essendo la prudenza rilevante ai fini del processo di formazione del bilancio, anche i principi contabili nazionali (in particolare il punto 88 del quadro sistematico) prevedono che gli eccessi vadano evitati, in quanto pregiudizievoli del rispetto della rappresentazione veritiera e corretta della situazione dell’ente locale, finendo per rendere il bilancio inattendibile e non corretto. Pertanto l’applicazione di tale principio trova un limite nel principio dell’attendibilità, dovendo mirare alla qualità di giudizi a cui si deve ispirare il processo di formazione del sistema del bilancio (punto 89). Da tale diversa accezione attribuita al principio di prudenza deriva un’ulteriore conseguenza: - per i principi contabili nazionali non si fa alcun riferimento al fair value come criterio di valutazione degli elementi patrimoniali, il criterio contemplato è quello del costo, con obbligo di riesame (punto 107 del documento “Finalità e postulati dei principi contabili degli enti locali” redatto dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali); - gli IPSAS, invece, fanno riferimento all’applicazione del criterio di valutazione al fair value, che comporta la valutazione di un reddito potenziale rispetto ad una configurazione di reddito prodotto. le risorse, invece, possono essere liberamente stabilite dagli enti in base alle loro specifiche esigenze informative. 13 Ciò è espressamente previsto nell’Appendice 2 dell’IPSAS 1 in merito alla prudenza. Azienda Pubblica 2.2010 290 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Con riferimento alla valutazione delle immobilizzazioni materiali, nella tabella n. 3 vengono sinteticamente riportati i criteri di valutazione previsti per le immobilizzazioni materiali dai principi contabili nazionali ed internazionali. Tabella 3 – Criteri di valutazione previsti per le immobilizzazioni materiali dai principi contabili nazionali ed internazionali Tipologia di bene Valutazione in base ai principi contabili nazionali italiani Valutazione in base ai principi contabili internazionali per il settore pubblico Immobilizzazioni strumentali all’attività caratteristica Valutazione al costo al netto degli ammortamenti operati e delle svalutazioni durevoli (*) Valutazione al costo al netto degli ammortamenti accumulati e delle svalutazioni durevoli (trattamento preferenziale) Valutazione al fair value, con imputazione degli incrementi di valore a riserva indisponibile di patrimonio netto (trattamento alternativo) Investimenti immobiliari estranei all’attività caratteristica dell’ente Valutazione al costo al netto degli ammortamenti operati e delle svalutazioni durevoli (*) Valutazione al fair value, con imputazione a conto economico delle differenze di valore (trattamento preferenziale) Valutazione al costo al netto degli ammortamenti operati e delle svalutazioni durevoli (trattamento alternativo) (*) Fatta eccezione per le immobilizzazioni materiali già acquisite dall’ente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 77/1995, ossia al 17 maggio 1995, per le quali si applicano criteri semplificati, diversi a seconda della tipologia di bene. (Fonte: Ipsas 6 e 7; d.lgs. 77/1995). Da essa emerge il fatto che i principi contabili internazionali prevedono criteri di valutazione diversi a seconda che si tratti di investimenti immobiliari oppure di beni strumentali per l’attività di produzione ed erogazione di beni e servizi, offrendo al redattore del bilancio la possibilità di scegliere se applicare il trattamento contabile preferenziale o alternativo previsto. Gli enti possono pertanto decidere se adottare quale criterio di valutazione dei propri beni il cost model – valutazione al costo al netto degli ammortamenti e delle svalutazioni durevoli – oppure adeguare il valore di iscrizione di tali beni al fair value. I principi contabili nazionali italiani invece prevedono un doppio sistema in merito ai criteri di valutazione delle immobilizzazioni materiali: un sistema semplificato da applicare alle immobilizzazioni materiali già acquisite dall’ente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 77/1995 e un sistema ordinario per le immobilizzazioni materiali acquisite dall’ente in una data successiva al 17 maggio 1995. Il sistema ordinario fa riferimento alle disposizioni contenute nel codice civile, pertanto ai criteri di valutazione generali stabiliti dall’art. 2426 c.c., in base al quale le immobilizzazioni 291 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative materiali devono essere iscritte al costo storico (al netto degli ammortamenti complessivi e delle perdite per riduzione durevole di valore) e possono essere rivalutate solo in applicazione di leggi di rivalutazioni speciali. Tale differente impostazione è dovuta alla diversa finalità perseguita dagli IPSAS rispetto ai principi contabili nazionali italiani, tendente a privilegiare un’informazione rivolta all’investitore, quale stakeholder privilegiato, che, per prendere decisioni economiche, deve far riferimento prevalentemente al fair value dell’azienda e alle sue capacità reddituali potenziali piuttosto che al costo storico della stessa e al reddito da essa prodotto in passato. A livello europeo, il criterio di valutazione degli elementi patrimoniali applicato nelle varie nazioni può essere sinteticamente rappresentato nella tabella 4. Tabella 4 – Criterio del costo e del fair value in Europa Criterio di valutazione Nazioni Svizzera Costo Fair Value Amm. centrali X Amm. locali X Germania Amm. centrali Spagna Amm. centrali X X Amm. locali X Amm. locali Francia Finlandia Italia Paesi Bassi Svezia Regno Unito X Amm. centrali Amm. locali X X Amm. centrali X Amm. locali X Amm. centrali X Amm. locali X Amm. centrali X Amm. locali X Amm. centrali X Amm. locali X Amm. centrali Amm. locali Costo/Fair value X X Fonte: (Lüder, Jones 2003) Da tale tabella emerge come il criterio del fair value sia stato previsto come obbligatorio solo con riferimento all’amministrazione pubblica centrale inglese, mentre in tutti gli altri Paesi prevale ancora il criterio del costo, al quale viene in alcuni casi (ad esempio, in Svizzera, o con riferimento alle amministrazioni centrali francesi e finlandesi) affiancato il criterio del fair value. Azienda Pubblica 2.2010 292 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach 4. Riflessioni e proposte di revisione degli IPSAS e dei sistemi contabili degli enti locali Nel presente lavoro si è proceduto dapprima a delineare le finalità perseguite con il recepimento degli IPSAS, emanati nell’ambito del processo di aziendalizzazione che ha interessato la realtà pubblica e, in secondo luogo, ad effettuare un confronto con i principi contabili nazionali italiani, al fine di sviluppare alcune riflessioni ed individuare delle proposte in merito alla revisione dei sistemi contabili attuali degli enti locali. Al fine di avanzare proposte di revisione dell’impianto contabile delle amministrazioni pubbliche locali, mettendo in luce i punti forza e di debolezza degli IPSAS, appare indispensabile fare alcune considerazioni preliminari, avendo riguardo delle seguenti varie tematiche: - dell’importanza che la funzione autorizzatoria ha da sempre rivestito in ambito pubblico e della possibilità di applicarla a documenti preventivi di cassa o a base economica; - della compresenza della contabilità economico-patrimoniale e di quella finanziaria, che ha comportato, come conseguenza, il fatto che quest’ultima abbia continuato a ricoprire un ruolo fondamentale; - della bassa attendibilità dell’informativa economico-patrimoniale come conseguenza della mancata tenuta delle scritture in contabilità generale. In merito all’importanza della funzione autorizzatoria, è doveroso sottolineare come tale funzione abbia da sempre contribuito a conferire alla contabilità finanziaria un ruolo essenziale e predominante in ambito pubblico, attribuendo all’organo decisore la possibilità di fissare a livello preventivo un tetto massimo di spesa complessiva e per ogni singola voce dell’azienda pubblica. Tuttavia, alcuni studiosi hanno messo in evidenza come tale funzione possa essere gestita a prescindere dalla base contabile considerata (cassa, competenza finanziaria, competenza economica) (Anessi Pessina et al., 2008; Nasi, Steccolni, 2007). (14) Pertanto, il rispetto del carattere autorizzatorio potrebbe essere assicurato imponendo la redazione di un preventivo di cassa, avente la stessa struttura del rendiconto finanziario consuntivo (Maurini, 1997: p. 10), in modo da agevolare la comparabilità e la verifica dei vincoli e limiti imposti in sede previsionale, oppure prescrivendo la redazione di un budget economico, assegnando così alla contabilità economica funzioni autorizzatorie, come già avviene nei Paesi anglosassoni (Pozzoli, 2005a: p. 60, Anessi, 2005, Anessi, Steccolini, 2007). 14 In tale testo gli autori hanno proceduto ad effettuare un’analisi sperimentale dalla quale è emerso che la maggior parte degli operatori degli enti locali si sono dichiarati favorevoli a un’eventuale sostituzione della contabilità finanziaria con quella economico-patrimoniale, qualora quest’ultima permetta di assolvere la funzione autorizzatoria. 293 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative Il limite di tali soluzioni è che fare riferimento a prospetti che si limitano a considerare esclusivamente la gestione di cassa o valori economici potrebbe comportare per gli amministratori locali l’implementazione di politiche e atteggiamenti di fatto poco rispettosi del vincolo autorizzatorio (Bergamin Barbato M., 1997: p. 491). (15) Da ciò deriva la necessità di rafforzare la funzione di controllo e di revisione, rendendola maggiormente efficace e di adottare un sistema di controlli contabili in grado di garantire tutti i soggetti interessati circa la veridicità dei dati contenuti nei documenti contabili (Anessi Pessina et al., 2008: p. 14). “La contabilità economico-patrimoniale, facendo ampio ricorso a stime e congetture, presenta margini di soggettività e quindi fabbisogni di controllo superiori alla contabilità finanziaria… i principi contabili offrono ai revisori un indispensabile riferimento” (Anessi Pessina, 2005: p. 581). In merito alla convivenza della contabilità economico-patrimoniale e di quella finanziaria, si evidenzia come, al fine di garantire trasparenza dell’attività pubblica nei confronti dei cittadini, che devono essere in grado di giudicare l’operato della propria amministrazione, e di agevolare un processo di armonizzazione in materia di sistemi contabili, appare necessario adottare anche in ambito pubblico un sistema di bilancio e di contabilità in grado di consentire di disporre delle informazioni atte a “render conto” della gestione della cosa pubblica. La letteratura nazionale ed internazionale ha sottolineato in molteplici occasioni che l’unica contabilità in grado di fornire una corretta rappresentazione degli aspetti finanziari, economici e gestionali delle aziende, e in grado di produrre un’informativa adeguata ed attendibile, risulta essere quella fondata sul principio di competenza economica, ossia su una logica full accrual (Pozzoli, 2006, IPSAS 11 e 14). (16) La contabilità finanziaria, infatti, non fornisce le informazioni necessarie per valutare le condizioni di economicità con cui si svolge la gestione e la convenienza economica di determinate scelte, risultando pertanto scarsamente utile ai fini decisionali (Anselmi, 2003: p. 108, Maurini, 2005: p. 132). Essa si pone come obiettivo quello di assicurare la regolarità e correttezza formale delle procedure ed il rispetto dei vincoli di bilancio, ma trascura completamente l’aspetto economico e patrimoniale, privilegiando le necessità di regolarità amministrativa. Ne deriva che è la contabilità economico-patrimoniale ad assicurare 15 Ad esempio, gli amministratori locali potrebbero, con un bilancio preventivo di cassa avente funzioni autorizzatorie, essere indotti a contrarre obbligazioni per un importo molto elevato, riuscendo tuttavia a rispettare “formalmente” il carattere autorizzatorio del bilancio posticipando il pagamento di tali obbligazioni nel tempo (ottenendo, ad esempio, dilazioni di pagamento). Inoltre, fare riferimento a prospetti che si limitano a considerare valori economici potrebbe comportare il rischio di assistere ad “alterazioni e manipolazioni” nella quantificazione di detti valori, rese possibili dal grado di soggettività che può richiedere la determinazione dei costi e ricavi di competenza economica e che risulta invece assente in quella dei valori finanziari. 16 Si fa riferimento, in merito, anche alla letteratura menzionata in Anessi Pessina et al., 2008: p. 13. Azienda Pubblica 2.2010 294 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach un livello maggiore di trasparenza nei confronti dei terzi, misurando l’andamento della gestione sia sotto il profilo finanziario, che economico e patrimoniale e avvalendosi di prospetti (quelli di matrice privatistica) più facilmente comprensibili perché, contrariamente a quelli provenienti dalla contabilità finanziaria, sono concepiti al fine di informare i terzi (Pozzoli, 2005a: pp. 56-61). I documenti e prospetti contabili tradizionalmente utilizzati in ambito pubblico risultano tuttora scarsamente interpretabili dai destinatari, a causa dell’elevata complessità, risultando, conseguentemente, di scarsa utilità nel fornire informazioni sulle performance dell’ente e nel supportare ed orientare le decisioni (Farneti, Pozzoli, 2005; Mussari, 2003; Pozzoli, 2004). Pertanto, solo attraverso l’introduzione della contabilità economica è possibile, da un lato, consentire all’organo politico di verificare il grado di realizzazione degli obiettivi prefissati e al manager di valutare l’efficacia della propria gestione attraverso un confronto tra i risultati conseguiti e gli obiettivi programmati (Anselmi, 2003: pp. 54, 116; Farneti, 2004: p. 157; Maurini, 2005: p. 169) e, dall’altro, di “rendere conto” (principio di accountability) ai diversi portatori di interesse sui risultati conseguiti e sulla corretta utilizzazione degli strumenti stabiliti dalla normativa. Pertanto, al fine di responsabilizzare i manager, creando figure professionali in grado di dirigere il processo di mutamento in atto verso una cultura dei risultati più che verso un’azione rivolta all’assolvimento degli atti, risulta fondamentale adottare un sistema contabile che miri non solo a verificare la rispondenza alle norme di legge, ma miri a monitorare il grado di efficienza, efficacia ed economicità conseguito dagli enti pubblici nell’espletamento della propria attività e in grado di stimolare processi di autocorrezione. Si deve pertanto innescare un circolo virtuoso che consenta all’ente di sviluppare e rendere conto (principio di accountability) ai diversi stakeholder, dei programmi e dei risultati conseguiti, nonché della corretta utilizzazione dei processi e degli strumenti previsti dalla normativa. Alcuni autori hanno anche sottolineato il fatto che l’incapacità della contabilità pubblica tradizionale di fornire una rappresentazione della situazione economica e patrimoniale di un ente pubblico rende molto complicata la misurazione della c.d. “equità intergenerazionale”, nel senso che tale incapacità impedisce di fatto di determinare “se e in che misura ogni generazione stia utilizzando solo le risorse da essa prodotte, o viva al di sopra dei propri mezzi. In mancanza di tale misura, e di sanzioni per comportamenti del secondo tipo, questo secondo atteggiamento è senz’altro favorito” (Caperchione, Steccolini, 2000: p. 120). I limiti della contabilità finanziaria tradizionale che accomunano i sistemi contabili pubblici a livello internazionale (Caperchione, 1999: pp. 252-261; Borgonovi, 2000: pp. 252-261; Farneti, 2000: p. 236; D’Aries, 1997) sono costituiti dall’incapacità a fornire informazioni attendibili sull’impatto di medio-lungo periodo, dalla scarsa leggibilità dei bilanci, dalla difficoltà di valutare l’equità 295 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative intergenerazionale e dalla scarsa utilità ai fini decisionali delle informazioni generate dal sistema contabile. Taluni studiosi (Farneti, 2000; Christiaens, Vanhee, 2002; Monsen, 2002) hanno condiviso la decisione effettuata dal legislatore italiano di aver mantenuto la contabilità finanziaria accanto a quella economica, giudicando tale scelta un efficace compromesso, in grado di assicurare i benefici di entrambi i sistemi di rilevazione e ribadendo la maggior coerenza di tale contabilità con le caratteristiche tipiche delle aziende pubbliche (Grandis 2006; Monsen, 2002: p. 39-72; Monsen, Näsi, 1998, 1999, 2000). Altri studiosi, invece, hanno giudicato un compromesso insoddisfacente e inefficace optare per la convivenza della contabilità economica accanto a quella finanziaria, per i seguenti motivi: - “avendo di fronte due contabilità che hanno orientamenti diversi, siamo di fronte, oltre che ad una forte ambiguità, anche ad una profonda contraddizione del sistema, perché da una parte pretendiamo dagli amministratori che decidano ed agiscano secondo una logica finanziaria, dall’altra prevediamo che gli stakeholder, e cioè i vari pubblici interessati al funzionamento dell’ente, dai cittadini ai loro rappresentanti, giudichino l’operato anche secondo logica economica. Ora è chiaro che un sistema più è contraddittorio e meno risulta efficace. L’alternativa, quindi, razionalmente, dovrebbe consistere nella scelta di un sistema “puro”, e quindi o esclusivamente finanziario o rigorosamente economico (Pozzoli, 2005a: p. 59)”; - la scelta compiuta dal legislatore italiano di prevedere la coesistenza di due contabilità diverse, affiancando alla contabilità finanziaria (e non sostituendola) una contabilità economico-patrimoniale ha indotto a mantenere in ambito pubblico un sistema di bilancio molto diverso da quello previsto in ambito internazionale dagli IPSAS. I documenti di bilancio prescritti dai principi contabili internazionali in ambito pubblico, infatti, prescindono dalla gestione autorizzatoria e considerano valori finanziari ed economici prodotti dalle operazioni gestionali, rilevandoli con il metodo della partita doppia. Fino ad oggi, in Italia, a tali documenti non è stata riservata la dovuta attenzione, anzi sono stati posti su un piano secondario rispetto ai documenti relativi alla programmazione, portando ad una generale indifferenza nei confronti della veridicità dei documenti prodotti e all’irrilevanza del rendiconto come fatto gestionale; (17) - la scelta di mantenere la contabilità finanziaria e il bilancio finanziario come documento obbligatorio ai fini della verifica del rispetto 17 Sull’argomento può essere particolarmente interessante la lettura del testo (Pizzo, 2003), che evidenzia i risultati ottenuti da una ricerca condotta su un campione statistico significativo di Comuni della Campania per sondare il loro grado di “permeabilità” alle novità introdotte dalla riforma. Azienda Pubblica 2.2010 296 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach del carattere autorizzatorio ha indotto i politici e i dirigenti pubblici a focalizzare l’attenzione solo sull’aspetto finanziario, relegando ad un piano secondario tutte quelle informazioni di carattere economico. L’introduzione dell’obbligo di redigere il conto economico e il conto del patrimonio sembra aver provocato un aggravio di adempimenti amministrativi, anziché comportare effetti benefici sui processi decisionali degli stakeholder degli enti (Anessi Pessina et al., 2008). Lo Stato tende a far riferimento esclusivamente ai documenti e ai valori tratti dalla contabilità finanziaria nel valutare l’equilibrio economico-finanziario degli enti locali (si pensi, ad esempio, ai parametri di deficitarietà strutturale). Tale situazione contribuisce a condizionare significativamente l’operato degli amministratori pubblici locali che concentrano la loro attenzione sui dati provenienti dalla contabilità finanziaria, finendo per sminuire e redigere con superficialità i documenti di contabilità economica, a scapito dell’attendibilità dei dati in essi contenuti (Anessi, Steccolini, 2007: pp. 211-212). In merito alla scarsa attendibilità dell’informativa economico-patrimoniale come conseguenza della mancata tenuta delle scritture in contabilità generale, risulta doveroso evidenziare come la scelta compiuta dal legislatore italiano di consentire ai vari enti di scegliere il sistema contabile con cui rilevare gli aspetti economici, se da un lato ha permesso agli enti locali di adattare il proprio sistema contabile alle proprie peculiarità e caratteristiche, dall’altro ha però indotto molti operatori in ambito pubblico, anche di enti di dimensioni medio-alte, a “sottovalutare” la contabilità economica e conseguentemente i benefici da essa scaturenti. Molti enti pubblici si sono infatti limitati ad adottare un sistema “minimale”, accontentandosi di disporre di dati economici approssimati, (18) nella convinzione che la redazione del conto economico sia solo un adempimento formale, senza alcuna utilità in termini di controllo dell’attività amministrativa. Alla luce di tali premesse, dalle quali scaturisce la necessità di abbandonare la contabilità finanziaria, appare interessante mettere in evidenza alcune proposte di revisione dell’impianto contabile delle amministrazioni pubbliche locali, avendo riguardo dei punti di forza e debolezza degli IPSAS, di seguito esposti e schematicamente riportati nella tabella 5. 18 La derivazione extra contabile dei dati da inserire nel conto economico e nel conto del patrimonio può portare ad ottenere dati poco affidabili e attendibili (Anessi Pessina, Steccolini, 2001, 2007). 297 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative Tabella 5 – Vantaggi e limiti informativi attribuiti agli IPSAS Vantaggi Limiti Gli IPSAS, che ricalcano i principi contabili internazionali previsti per il settore privato, assumono quale stakeholder privilegiato il finanziatore, in quanto rappresenta il soggetto che fornisce all’azienda il capitale di rischio, fornendo informazioni necessarie per prendere decisioni di tipo economico Privilegiare il finanziatore quale top stakeholder appare in contrasto con il fatto che il vero soggetto economico di un ente pubblico, ossia il principale portatore di interessi di un ente locale, è il cittadino. Ne deriva la necessità di elaborare un nuovo Conceptual Framework rispetto a quello previsto per le imprese in ambito privato Il carattere autorizzatorio del bilancio preventivo potrebbe essere assicurato: - o imponendo la redazione di un preventivo di cassa, considerato che l’IPSAS 2 prevede per il rendiconto finanziario l’esposizione dei flussi di cassa, non di competenza finanziaria; - oppure prevedendo la redazione di budget economici Fare riferimento a prospetti che si limitano a considerare esclusivamente la gestione di cassa o quella economica potrebbe comportare per gli amministratori comunali l’implementazione di politiche e atteggiamenti di fatto poco rispettosi del vincolo autorizzatorio Gli IPSAS consentono a ogni ente di presentare un bilancio in base alle proprie esigenze e peculiarità. Ciò rappresenta il risultato della ricerca di un compromesso tra l’obiettivo di armonizzazione e la necessità di rispettare le peculiarità proprie di ogni realtà aziendale Tale libertà può essere vista come un ostacolo al processo di armonizzazione delle regole contabili e di comparabilità tra gli enti, che possono valutare alcuni elementi patrimoniali utilizzando criteri nettamente diversi tra loro, che producono risultati differenti e non sempre confrontabili La possibilità riconosciuta dagli IPSAS di poter valutare alcuni elementi patrimoniali adeguando il loro valore di iscrizione al fair value permette di poter fare riferimento a dati correnti, utili per prendere decisioni finanziarie L’applicazione del fair value necessita a volte di informazioni difficilmente reperibili e potrebbe conferire ai valori di bilancio una certa volatilità, dovuta all’incertezza che può caratterizzare la loro determinazione L’adozione di metodi necessari per determinare il fair value può richiedere il sostenimento di notevoli costi (es. costi delle perizie necessarie, costi dei consulenti incaricati di determinare il valore attuale dei flussi finanziari futuri previsti sulla base di stime attendibili) In primo luogo, sarebbe auspicabile sviluppare un Conceptual Framework autonomo rispetto a quello previsto per le imprese in ambito privato, che tenga conto delle peculiarità e caratteristiche tipiche del settore pubblico. A sostegno della necessità di adottare un corpus di principi contabili coerente con le specificità degli enti locali, alcuni autori (Anessi Pessina et al., 2008: p. 13) hanno evidenziato come i principi contabili rivolti alle imprese mirino a privilegiare le informazioni necessarie per prendere decisioni di tipo economico da parte dei destinatari (principio della decision usefulness). Tuttavia tale esigenza, in ambito pubblico, deve essere contemperata con la necessità di “render conto” (principio di accountability) delle molteplici dimensioni di responsabilità del proprio agire nei confronti dei vari stakeholders, portando ad implicazioni diverse sulle caratteristiche dell’informativa di bilancio (Steccolini, 2004: pp. 62-64). È necessario pertanto un sistema contabile che non miri a privilegiare le esigenze informative dell’investitore o finanziatore, bensì quelle dei vari stakeholder (in particolare, dei Azienda Pubblica 2.2010 298 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach clienti/cittadini, che devono poter monitorare e valutare l’operato della dirigenza pubblica, e degli amministratori pubblici, che necessitano di informazioni utili nell’ambito del processo di programmazione e controllo delle attività dell’ente). Recentemente, nell’incontro tenutosi a Tokyo nel marzo 2006, l’IPSASB ha previsto la necessità di procedere ad elaborare un proprio Conceptual Framework, (19) contenente le finalità ed i postulati per le aziende pubbliche, mutando l’orientamento assunto inizialmente di adottare il framework previsto in ambito privato. Tale esigenza è tanto più sentita a seguito della decisione dello IASB e del FASB (Financial Accounting Standards Board) di procedere a revisionare il framework previsto in ambito privato per le imprese, introducendo contenuti che, a parare dell’IPSASB, saranno difficilmente riferibili al contesto pubblico. Nello specifico, il progetto dell’IPSASB di revisionare il framework, avvalendosi della collaborazione dei diversi National Standard Setters (NSS), al fine di tenere in considerazione anche le esperienze nazionali dei paesi che partecipano al progetto, dovrebbe concludersi nel 2012. In linea generale, l’IPSASB mira a sviluppare un framework articolato in due parti distinte: - una prima parte, definita “accrual framework”, contenente disposizioni che regolamentano la redazione del bilancio fondato su un’impostazione full accrual. In tal caso, il progetto deve tener conto del framework dello IASB e degli IAS/IFRS laddove sussistono affinità tra settore pubblico e privato mentre, in caso contrario, deve prevedere delle integrazioni con specifici contenuti riguardanti esclusivamente il settore pubblico; - una seconda parte, definita “cash framework”, contenente disposizioni inerenti la contabilità finanziaria. Tale progetto pare presentare i seguenti vantaggi: - costituisce un ausilio per i singoli standard setter nazionali nell’applicazione di principi solo accrual basis o solo cash basis; - l’emanazione di principi contabili rivolti anche ai Paesi che basano ancora il proprio sistema di contabilità pubblica su quella finanziaria pare essere una conseguenza della volontà dell’IFAC di poter emettere dei principi che siano applicabili al maggior numero di Paesi possibili. Tuttavia, tale progetto pare non immune da punti di debolezza. Infatti, alcuni studiosi (Pozzoli, 2006) hanno evidenziato come la volontà di adottare principi basati sulla tenuta della contabilità finanziaria sembra essere rivolta ai Paesi in via di sviluppo, non a quelli ad economia avanzata, a cui viene raccomandata la tenuta di una contabilità economico-patrimoniale. Gli stessi sottolineano come l’IPSASB debba rappresentare un punto di riferimento 19 “At this meeting (March 2006) the IPSASB would discuss its strategy for the development of its own conceptual framework project”, IPSASB Tokyo, March 2006. 299 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative internazionale, una sorta di “ottimo contabile”, attraverso l’individuazione delle modalità di contabilizzazione delle operazioni aziendali “migliori”, lasciando ad ogni Paese aderente la facoltà di adeguarsi o meno, sulla base delle proprie caratteristiche. Per tale ragione ritengono non opportuno rincorrere i Paesi in via di sviluppo che basano il loro sistema di contabilità pubblica ancora su un’ottica finanziaria, mediando con i principi da questi utilizzati, al solo scopo di ampliare la sfera di applicazione dei principi contabili internazionali. Il problema in merito all’emanazione del nuovo framework risulta essere costituito dal fatto che lo sviluppo di un autonomo quadro di riferimento in ambito pubblico sta avvenendo successivamente all’emanazione di più di venti IPSAS, ispirati agli Ias/Ifrs, e ciò potrebbe comportare come pericolo lo sviluppo di un framework nuovamente “ancorato” a logiche e principi mutuati dal settore privato, oppure di un framework autonomo ma in contrasto con alcuni IPSAS vigenti (richiedendo, in tale ipotesi, la revisione di diversi principi). Le tematiche che saranno trattate nei due prossimi anni riguardano il Financial statements under the accrual basis of accounting e il Financial reporting. Alcuni autori (Carlin, 2003, Barton, 2002) hanno sottolineato la necessità di stabilire principi e norme per il settore pubblico slegate da quelle utilizzate in ambito privato. Pertanto, tale quadro dovrà, a parere dello scrivente: a) in primo luogo contenere informazioni anche sui budget e non solo sui documenti redatti in sede di rendicontazione, alla luce dell’importanza della funzione autorizzatoria che caratterizza il settore pubblico; b) in secondo luogo dare ampio spazio nel Financial reporting alle informazioni di natura extra contabile, ai prospetti, alle relazioni e alle comunicazioni di natura qualitativa e descrittiva, volte ad integrare i dati contabili presenti nel Financial statement e a fornire informazioni sul grado di efficacia raggiunto dall’ente pubblico attraverso l’espletamento della propria attività. In secondo luogo, in relazione alla documentazione contabile da redigere, si è sottolineato come i prospetti contabili tradizionalmente utilizzati in ambito pubblico, propri della contabilità finanziaria, risultino scarsamente comprensibili e, conseguentemente, utili nel fornire informazioni sulle performance conseguite dall’ente (Farneti, Pozzoli, 2005; Mussari, 2003; Pozzoli, 2004). Tuttavia, la scelta compiuta dal legislatore italiano di prevedere la coesistenza della contabilità finanziaria accanto a quella economico-patrimoniale ha indotto a mantenere in ambito pubblico un sistema di bilancio molto diverso da quello di matrice privatistica, portando ad una generale indifferenza nei confronti della veridicità dei documenti prodotti e all’irrilevanza del rendiconto come fatto gestionale. Azienda Pubblica 2.2010 300 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Al fine di superare tale limite sarebbe auspicabile adottare un sistema di bilancio (20) che preveda: • un impianto di previsione costituito dai seguenti documenti: a) un piano strategico, da revisionare annualmente, contenente gli obiettivi ed i programmi principali che l’ente si prefigge di perseguire nel medio periodo e le azioni strategiche da implementare per il conseguimento di tali obiettivi; b) uno stato patrimoniale ed un conto economico preventivi, annuali e pluriennali. Al fine di assicurare la funzione autorizzatoria in un sistema di contabilità economico-patrimoniale si potrebbe prevedere l’obbligo di redigere un conto economico preventivo in situazione di pareggio o utile, ponendo dei vincoli sulla destinazione del possibile risultato economico positivo; (21) oppure, l’obbligo di coprire in un lasso periodale prestabilito un’eventuale perdita economica conseguita, sottoponendo al consiglio un adeguato piano di rientro (Anessi Pessina, Steccolini, 2007, p. 213; Anessi Pessina, 2005: p. 572). Tale funzione potrebbe essere assicurata anche imponendo la redazione di un sistema di budget degli acquisti (dettagliando ulteriormente le voci del Conto economico preventivo), degli investimenti e dei finanziamenti aventi carattere autorizzatorio; c) un bilancio finanziario, annuale e pluriennale: tale documento potrebbe essere redatto in termini di flussi di cassa, al fine di renderlo confrontabile con i dati contenuti nel rendiconto finanziario, per il quale l’IPSAS 2 prescrive l’evidenziazione dei flussi di cassa conseguiti. Anche tale documento potrebbe assolvere finalità autorizzatorie, ponendo vincoli su determinate voci di flussi di cassa; d) una relazione previsionale e programmatica, che illustri le caratteristiche generali dell’attività amministrativa programmata dall’ente, mettendo in evidenza le caratteristiche generali della popolazione, del territorio e dell’economica e individuando gli obiettivi da raggiungere, in termini di bilancio, efficacia, efficienza ed economicità dei servizi; e) una relazione redatta dall’organo esecutivo, che evidenzi le modalità di formazione delle previsioni ed il loro collegamento con il piano strategico; 20 Per un maggior approfondimento, si veda: Anessi Pessina et al., 2008. 21 L’Ipsas 1 prevede per gli enti la possibilità di scegliere una classificazione dei costi per natura oppure per destinazione. Alcuni autori (Anessi Pessina et al., 2008, p. 23) hanno ritenuto ammissibile attribuire finalità autorizzatoria ad entrambe le due tipologie di classificazioni “dettagliando la prima solo rispetto ad alcune classi di costo (es. trasferimenti passivi) e mantenendo la seconda molto aggregata e comune a tutti gli enti, in modo sia da limitare il ricorso a congetture, sia da consentire confronti spazio-temporali e permettere il consolidamento dei conti pubblici”. 301 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative • un rendiconto che, parallelamente a quanto previsto in sede di previsione, comprenda: a) stato patrimoniale, conto economico e rendiconto finanziario. La struttura di tali documenti deve essere la medesima di quella prevista per i prospetti preventivi, al fine di garantire il confronto dei dati contenuti. Nello specifico, si potrebbe far riferimento a quella prevista dagli IPSAS 1 e 2, salvo alcuni adattamenti. Inoltre, si è sottolineata l’ampia liberta conferita a ciascun ente di presentare un bilancio in base alle proprie esigenze e peculiarità, attribuendo allo stesso il potere discrezionale di scegliere la struttura e l’ordine di esposizione delle voci contabili più consono. Tuttavia, poiché i principi contabili internazionali in ambito pubblico sono stati recepiti anche e soprattutto per promuovere la comparazione con altri enti aventi caratteristiche simili a livello nazionale ed internazionale, tutta questa libertà potrebbe essere vista come un ostacolo al processo di armonizzazione delle regole contabili e di confrontabilità tra gli enti. A tale osservazione si potrebbe obiettare evidenziando che la maggiore autonomia conferita agli enti dagli IPSAS rappresenta il risultato della ricerca di un compromesso tra l’obiettivo di armonizzazione (22) e la necessità di rispettare le peculiarità proprie di ogni realtà aziendale; b) relazione sulla gestione, contenente informazioni di natura extra contabile, prospetti, relazioni e indicatori, di natura anche qualitativa, volti a fornire informazioni sul grado di realizzazione del piano strategico e sul livello di efficacia raggiunto dall’ente pubblico attraverso l’espletamento della propria attività; c) nota integrativa, contenente informazioni esplicative ed aggiuntive rispetto a quelle che è possibile trarre dai documenti di bilancio; d) prospetto delle variazioni di patrimonio netto e della destinazione del risultato economico. Infine, in merito ai criteri di valutazione di alcune poste di bilancio, è doveroso sottolineare come l’ampia liberta conferita a ciascun ente di scegliere i criteri di valutazione di alcuni elementi patrimoniali possa essere percepita come un freno al processo di armonizzazione delle regole contabili e di comparabilità tra gli enti, potendo valutare alcuni elementi di patrimonio utilizzando criteri nettamente diversi tra loro, che producono risultati differenti e non sempre confrontabili. A tale osservazione si potrebbe obiettare evidenziando che, nel caso di valutazione dei cespiti strumentali, chi utilizza il criterio del cost model deve tuttavia indicare in nota integrativa il fair value di tali beni e, pertanto, la comparabilità verrebbe assicurata 22 Obiettivo di armonizzazione che, per alcuni studiosi (Pozzoli, 2005a: pp. 64-66) deve limitarsi a riguardare l’informativa esterna e non i processi contabili e di gestione dell’ente. Quest’ultimo deve, infatti, essere libero di scegliere la contabilità ed i modelli di gestione che ritiene maggiormente idonei in base alle sue caratteristiche e al proprio stile di management. Azienda Pubblica 2.2010 302 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach dalla possibilità di ricavare tali informazioni nelle note esplicative. La possibilità offerta dai principi contabili internazionali di procedere a valutare alcuni elementi patrimoniali (quali i beni strumentali, gli investimenti immobiliari, gli strumenti finanziari), adeguando il loro valore di iscrizione al fair value, (23) permette di poter fare riferimento a dati correnti, utili per prendere decisioni finanziarie: l’applicazione del criterio del fair value implica infatti la valutazione di un reddito potenziale piuttosto che una configurazione di reddito prodotto. Tuttavia, l’applicazione del fair value necessita a volte di informazioni difficilmente reperibili e potrebbe conferire ai valori di bilancio una certa “volatilità”, dovuta all’incertezza che può caratterizzare la loro determinazione: infatti, la misurazione del fair value può essere effettuata, nel caso in cui manchino i prezzi correnti presenti in un mercato attivo per immobili in condizioni e localizzazione simili, facendo riferimento a metodi basati sull’attualizzazione dei flussi finanziari futuri previsti sulla base di stime attendibili (IPSAS 16, par. 48). L’adozione di tali metodi potrebbe inoltre incontrare molteplici resistenze, dovute soprattutto ai notevoli costi che comporterebbe per un ente locale, quali, ad esempio, i costi delle perizie necessarie per valutare il fair value dei beni ed i costi dei consulenti incaricati di determinare il valore attuale dei flussi finanziari futuri previsti sulla base di stime attendibili. Tale impostazione è dovuta al fatto che gli IPSAS, che ricalcano in buona sostanza quelli previsti per il settore privato, tendono a privilegiare un’informazione rivolta all’investitore, quale stakeholder privilegiato, che, per prendere decisioni economiche, deve far riferimento più al fair value dell’azienda e alle sue capacità reddituali potenziali che non al costo storico della stessa e al reddito da essa prodotto in passato. Al riguardo nasce spontaneo chiedersi, in primo luogo, se risulta corretto adottare un sistema contabile che tende a privilegiare le esigenze informative dell’investitore o finanziatore, tenuto conto che il New Public Management è caratterizzato dall’adozione di una cultura orientata prioritariamente alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini (applicazione della customer satisfaction), visti come i “clienti” dell’azienda pubblica; in secondo luogo, se in aziende quali gli enti pubblici, dove molte entrate provengono dall’imposizione tributaria e dall’ottenimento di trasferimenti da parte di altri enti, sia corretto ed opportuno considerare un impianto contabile e un sistema di valutazione “pensato” per il settore privato (Borgonovi, 2004). Fare riferimento al criterio del fair value può comportare i seguenti svantaggi: • elevata volatilità delle poste patrimoniali e del risultato di periodo; • maggiori costi di implementazione, dovuti al fatto che il sistema contabile al fair value risulta più complesso rispetto a quello del costo; • elevata soggettività, dovuta al fatto che il criterio del fair value implica, ai fini della sua concreta determinazione, l’assunzione di maggiori ipotesi, i cui valori potrebbero rivelarsi di difficile verificabilità. 23 In merito all’utilità e convenienza di applicare il criterio del fair value anziché quello del costo storico ed al dibattito in ambito dottrinale che ne è scaturito, si veda: Pizzo, 2000. 303 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative Infine, in merito alla valutazione di alcuni beni, quali i beni di elevato valore culturale, ambientale e storico e di un’ampia gamma di infrastrutture, sussiste un’ampia letteratura sui problemi e le difficoltà connesse ad una loro valutazione (si fa rinvio alla letteratura presente in Anessi Pessina et al., 2008: p. 13). Ne deriva la necessità di inserire principi contabili che tengano conto delle peculiarità del settore pubblico e non ancorati alla realtà delle imprese. 5. Conclusioni Alla luce di quanto evidenziato in merito alla possibilità di attribuire la funzione autorizzatoria a documenti preventivi a base economica e alla bassa attendibilità assunta attualmente dall’informativa economico-patrimoniale, a causa del mantenimento della contabilità finanziaria e della derivazione extra contabile dei dati da inserire nel conto economico e nel conto del patrimonio, si ritiene auspicabile adottare una contabilità economicopatrimoniale sia in sede previsionale che di rendicontazione, ed eliminare quella finanziaria. In merito al sistema di bilancio, in estrema sintesi, si potrebbe prospettare un impianto contabile così costituito: • un impianto di previsione che preveda: piano strategico, stato patrimoniale, conto economico e bilancio finanziario annuali e pluriennali, oltre ad una relazione previsionale e programmatica e ad una relazione sulla gestione; • un rendiconto che, parallelamente a quanto previsto in sede di previsione, comprenda: stato patrimoniale, conto economico e rendiconto finanziario, relazione sulla gestione, nota integrativa e prospetto delle variazioni di patrimonio netto e della destinazione del risultato economico. Si tratta pertanto di prevedere come obbligatoria anche in sede previsionale la redazione di prospetti di stato patrimoniale, conto economico e bilancio finanziario uniformi a quelli utilizzati in sede di rendicontazione, al fine di consentire di verificare il grado di raggiungimento degli obiettivi fissati in fase preventiva, di attuazione e realizzazione dei programmi, il rispetto degli equilibri economici e finanziari ed i risultati socialmente rilevanti conseguiti. Inoltre, poiché la comprensione di risultati di tipo sociale presuppone la conoscenza di informazioni qualitative e quantitative non contenute nei prospetti che costituiscono il rendiconto, riveste un ruolo fondamentale la relazione al rendiconto della gestione, che deve essere in grado di delineare il grado di benessere sociale raggiunto (punti 32 e 33 dei principi contabili previsti dall’Osservatorio). In Nota integrativa o nella relazione sulla gestione sarebbe auspicabile inserire informazioni obbligatorie o volontarie che vadano a completare quelle contenute nel Financial Statement, con particolare riguardo alle peculiarità del settore pubblico. Si Azienda Pubblica 2.2010 304 Esperienze innovative L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach pensi, ad esempio, all’informativa relativa al giudizio sulla qualità dei servizi erogati, al grado di soddisfazione dell’utenza e alla sostenibilità fiscale dei programmi di governo (Christiaens, Rommel, 2008). Si pensi, inoltre, all’utilità che può avere prevedere l’indicazione nella relazione sulla gestione o in nota integrativa di indicatori di qualità, al fine di misurare il grado di “customer satisfaction” raggiunto (Giusepponi, 1993: p. 193; Bellandi, 1996; Mazzara, 2000: pp. 459-468) Ad avvalorare tale affermazione contribuisce la resistenza culturale mostrata nei confronti dell’introduzione di nuove norme contabili ed il ritardo e la lentezza con cui tende a diffondersi la cultura della valutazione dei risultati dell’attività svolta in ambito pubblico (Rebora, 1999: p. 19; Bianchi, 2004: pp. 173-176; Bergamin Barbato, 1997: p. 491), dovendo spesso scontrarsi, come evidenziato da alcuni studiosi (Naschold, 1996: p. 69; Larbi, 1999: p. 20; Pizzo, 2003; Anselmi, 2003: p. 56), con forti resistenze culturali e tensioni all’interno della struttura organizzativa dell’azienda pubblica. Per tale ragione, affinché la diffusione della cultura del merito e della valutazione e, conseguentemente, l’introduzione di un “accrual accounting and budgeting” possano rivelarsi veramente utili in ambito pubblico, è necessario che tali principi vengano accettati dall’intera struttura organizzativa pubblica, anziché limitarsi ad una loro meccanicistica e passiva adozione, obbligando gli enti ad abbandonare la contabilità finanziaria e ad adottare strumenti contabili più costosi e complessi, rispetto al contenuto minimale, ma anche più efficaci. Ci si potrebbe chiedere se il sistema minimale possa continuare ad essere ancora utilizzato negli enti di piccole dimensioni, (24) nei quali, secondo alcuni studiosi, “non si giustifica di certo una sistematica attività di controllo mensile o trimestrale (Bellesia, 2001: p. 16)”, obbligando invece gli enti di maggiori dimensioni ad adottare un sistema contabile più complesso che consenta l’acquisizione di dati economici in corso d’anno. Tuttavia, tale soluzione porterebbe a una frammentazione dei sistemi di contabilità e di budgeting esistenti all’interno del territorio italiano, comportando, conseguentemente, la disponibilità di informazioni economiche scarsamente comparabili, oltre alla necessità di far riferimento continuamente alla contabilità finanziaria tradizionale anche a livello di governo centrale, e non solo in certe unità organizzative. Concludendo, si può sostenere che lo scenario futuro auspicabile pare essere orientato ad un abbandono della contabilità finanziaria, a favore di un sistema di “accrual accounting e budgeting”, nonostante ciò possa richiedere tempo, considerate le resistenze culturali attualmente esistenti. Inoltre, risulta fondamentale che l’introduzione di principi contabili internazionali avvenga con razionalità sulla base delle caratteristiche e peculiarità 24 I Comuni italiani sono per la maggior parte di piccole dimensioni. Infatti, dai dati demografici (Maurini, 2005) emerge come in Italia si vada da un estremo di 828 Comuni con una popolazione inferiore a 500 abitanti, dall’altro estremo di 6 Comuni con una popolazione superiore a 500mila abitanti. 305 Azienda Pubblica 2.2010 L’applicazione degli IPSAS agli enti locali nell’ambito del New Public Management Approach Esperienze innovative specifiche dell’ambiente a cui sono destinati; (25) pertanto tali principi dovrebbero tenere in maggiore considerazione le specificità pubbliche e consentire di introdurre un sistema contabile realmente capace di contribuire al miglioramento della gestione sotto il profilo dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità, valutando con attenzione i benefici ed i costi derivanti dalla sua adozione. Riferimenti bibliografici Alvino F. (2005), “Il sistema contabile delle pubbliche amministrazioni: l’esperienza francese”, in G. Farneti, S. Pozzoli (a cura di), Principi e sistemi contabili negli enti locali. 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West, “State Government Human Resource Professionals’ Commitment to Employment at Will”, 40(2): 189-208. 311 Azienda Pubblica 2.2010 Fonti di approfondimento In libreria In libreria Società Libera Processi di liberalizzazione in Italia Ottavo Rapporto Milano: Guerini Associati, 2010 pp. 185, € 19,50 Monica Morganti Non profit: produttività e benessere Come coniugare efficienza e solidarietà nelle organizzazioni del terzo settore Milano: Franco Angeli, 2010 pp. 192, € 24,00 Indice del volume: Un percorso tortuoso, di Vincenzo Olita. L’illusione di un “Paese normale”. Le politiche di liberalizzazione in Italia tra annunci e non decisioni, di Raimondo Cubeddu e Alberto Vannucci. La scuola: una liberalizzazione dai passi lenti, ma irreversibili, di Stefania Fuscagni. Politiche e azioni per la difesa del suolo in Italia, di Sergio Mattia, Alessandra Oppio, Alessandra Pandolfi. Comunicazioni e digital divide, di Franco Morganti. Codici, etica e responsabilità di impresa, di Massimo Olivotti. Le privatizzazioni nel 2009: opportunità nelle strategie di uscita dalla crisi economica, di Giuseppe Pennisi. Trasporto collettivo locale a lezione di inglese, di Marco Ponti e Francesco Ramella. Considerazioni in merito alle concessioni autostradali, di Giorgio Ragazzi. La libertà di informazione in Italia e in Europa nell’era di Internet, di Ruben Razzante. L’altra sicurezza, di Ernesto U. Savona e Romolo Capuano. Manifesto della libertà. Società Libera. Indice del volume: Presentazione, di Donata Francescato. Introduzione. Parte I. L’efficienza nelle organizzazioni non profit. 1. Come leggere le organizzazioni non profit. 1.1. L’analisi organizzativa multidimensionale e le metafore organizzative. 1.2. La psicologia di comunità e la qualità totale. 2. Mettersi in rete. 2.1. Cosa è una rete. 2.2. Come promuovere l’integrazione a rete. 2.3. Quali fattori favoriscono un lavoro di rete. 2.4. Come governare una rete. 2.5. L’analisi del territorio e i profili di comunità. 3. Lavorare per progetti. 3.1. La pianificazione strategica. 3.2. La progettazione. Parte II. Le persone nelle organizzazioni non profit. 1. Dipendenti, volontari, soci, attivisti. 1.1. I clienti interni: chi sono? 1.2. Il volontariato. 2. Il bourn-out e l’organizzazione in team. 2.1. Il rischio di bourn-out. 2.2. Lavorare in team. 3. Tipi di comunicazione e stili di potere. 3.1. La comunicazione. 3.2. Il potere. Conclusione. Postfazione, di Gianfranco Bologna. 313 Azienda Pubblica 2.2010 Fonti di approfondimento In libreria Laura Maran (a cura di) Economia e management dell’università La governance interna tra efficienza e legittimazione Milano: Franco Angeli, 2009 pp. 336, € 41,00 Francesco Badia Sistemi e strumenti di corporate governance nelle local utilities Milano: Franco Angeli, 2010 pp. 175, € 21,00 Azienda Pubblica 2.2010 Indice del volume: Presentazione, di Patrizio Bianchi. Introduzione. 1. L’azienda università. 1.1. Università come azienda. 1.2. Caratteri di aziendalità nell’università: sguardo d’insieme. 2. Il contesto manageriale dell’università. 2.1. Verso l’autonomia. 3. L’efficienza e le possibilità applicative dei sistemi di programmazione e controllo. 3.1. Quale accountability. 3.2. Efficienza. 3.3. Esigenze di programmazione e controllo nelle università ed esperienze estere. 3.4. Valutazione della performance ed esperienze italiane. 4. La legittimazione e la governance delle università. 4.1. Legittimazione. 4.2. Possibili definizioni di governance. 4.3. Attori della governance. 5. Il binomio fra efficienza e legittimazione: analisi di un caso. 5.1. Disegno e protocollo d’indagine. 5.2. Caratteristiche contestuali e organizzative del caso. 5.3. Verifica dei limiti dell’efficienza: risultati. 5.4. Verifica delle sfere di legittimazione: risultati. 5.5. Alcune criticità: l’autonomia dei Dipartimenti. 6. L’implementazione del Processo di Bologna: analisi di un caso. 6.1. Processo di Bologna. 6.2. Disegno e protocollo d’indagine. 6.3. Verifica dell’efficienza: risultati. 6.4. Valutazione della legittimazione: risultati. 6.5. Potenziale e limiti del Processo di Bologna. Riflessioni conclusive, di Enrico Periti. Commento. Bibliografia. Allegati. Indice del volume: 1. La prospettiva di analisi e di ricerca 1.1. L’oggetto di indagine. 1.2. Lo scopo della ricerca e la metodologia adottata. 1.3. La struttura del lavoro. 2. I concetti chiave. 2.1. La corporate governance nella visione sistemica dell’azienda. 2.2. Il concetto di servizio pubblico. 2.3. Il processo di aziendalizzazione della pubblica amministrazione. 3. L’evoluzione dello scenario per le aziende di servizi pubblici. 3.1. Il mutamento della concezione del ruolo dello Stato. 3.2. Dal New Public Management alla Public Governance. 3.3. L’analisi del contesto italiano ed europeo. 4. Gli strumenti economico-aziendali per la corporate governance. 4.1. Il controllo a livello di gruppo. 4.2. I sistemi di misurazione delle performance. 4.3. La responsabilità sociale e il bilancio di sostenibilità. 5. I casi aziendali. 5.1. La metodologia di analisi. 5.2. I gruppi e le aziende di grandi e medie dimensioni. 6. I risultati conclusivi della ricerca: una visione di insieme. Bibliografia. 314 Fonti di approfondimento Alessandro Rovinetti Comunicazione pubblica Sapere & Fare Milano: Gruppo24Ore, 2010 pp. 268, € 35,00 In libreria Indice del volume: 1. La comunicazione pubblica: origine ed evoluzione. 2. La comunicazione pubblica e la legge 150. 3. Le relazioni con i media: l’ufficio stampa. 4. Le relazioni con i cittadini: l’ufficio relazioni con il pubblico. 5. Le relazioni con i dipendenti: la comunicazione interna. 6. Tecnologia e comunicazione. 7. Marketing, customer, pubblicità, campagne di comunicazione. 8. Valori e specificità della comunicazione pubblica in Italia e in Europa. 9. Le professioni della comunicazione pubblica. 10. Il futuro della comunicazione pubblica. 315 Azienda Pubblica 2.2010 Note per gli autori Azienda Pubblica: note per gli autori Condizioni essenziali per la considerazione dei manoscritti, l’ammissione al referaggio e la pubblicazione La pubblicazione di contributi su Azienda Pubblica avviene sulla base della seguente procedura: 1) i contributi, della lunghezza indicativa di 40.000 battute, devono essere inviati alla Segreteria in formato word completo di tabelle, figure, note, bibliografia e rispondenti alle norme redazionali. È richiesta l’indicazione di un autore di riferimento, al quale saranno trasmesse tutte le comunicazioni successive. 2) I contributi sono sottoposti al vaglio del Comitato di redazione che, accertatane la conformità con lo scopo della rivista e i requisiti richiesti, li invia, assieme alla scheda di referaggio (vedi allegato), in forma anonima a due dei referee ufficiali della Rivista e contestualmente richiede l’impegno da parte degli Autori stessi a non proporre il contributo per altre pubblicazioni per la durata di tutto il processo di valutazione. 3) Le osservazioni dei referee vengono inviate in forma anonima agli Autori con la richiesta delle revisioni indicate. 4) La nuova stesura, con lettera degli Autori ai referee in cui si precisino l’entità e le ragioni delle modifiche operate, viene valutata dal Direttore (Editor) Scientifico e, in caso di dubbi residui, sottoposta agli stessi referee iniziali per un giudizio definitivo (o eventuale richiesta di ulteriore modifica). 5) Ottenuta la valutazione definitiva, l’articolo viene accettato per la pubblicazione con la richiesta agli Autori di predisporre un abstract e parole chiave in italiano, inglese e francese (per l’inserimento in un database di EGPA European Group of Public Administration). Non saranno considerati ed ammessi al referaggio i contributi che non rispettano le seguenti condizioni: – i manoscritti sottoposti ad Azienda Pubblica non devono essere già stati pubblicati o essere stati presentati per la considerazione presso altre riviste; – i manoscritti devono rispettare gli standard di struttura, abstract, note, tabelle, riferimenti bibliografici precisati di seguito. Gli autori sono invitati a rispettare le richieste relative alla forma e allo stile per minimizzare ritardi e necessità di revisione. Inoltre, deve essere evitato ogni riferimento che possa consentire un loro riconoscimento diretto o indiretto ed assicurare così un corretto processo di referaggio. Invio dei contributi I contributi devono essere presentati alla rivista presso: Redazione Azienda Pubblica Istituto di Pubblica Amministrazione e sanità, Università L. Bocconi, IPAS – Via Röntgen, 1 – 20136 Milano e-mail: [email protected] Formato e stile carattere: arial 12 - margini: 3x3x3x3 La prima pagina: deve indicare 1) il titolo 2) i nomi degli autori, 3) i loro titoli e le istituzioni di appartenenza, 4) l’indicazione dell’autore che curerà la corrispondenza e il suo indirizzo completo, 5) eventuali ringraziamenti. La seconda pagina: deve contenere 1) il titolo, 2) l’abstract in italiano, in inglese e francese (massimo 10 righe), 3) le parole chiave in italiano, inglese e francese (fino ad un massimo di tre) e 4) il Sommario. 317 Azienda Pubblica 2.2010 Note per gli autori Nella terza pagina: dopo la ripetizione del titolo, dovrebbe iniziare l’articolo. La struttura del testo si articola in: Titolo del testo, Titoli numerati di Paragrafi (es. 1. Introduzione). Non è prevista un’articolazione in sottoparagrafi (es. 1.1, 1.2, ecc.). Sono invece ammessi “sottotitoli” in corsivo non numerati. Si richiede il sommario iniziale. Lunghezza: il contributo si intende di circa 40.000 caratteri (conteggio parole di word). I contributi che si discostano in maniera significativa da questi standard non saranno ammessi al referaggio. Note: le note si intendono a pié di pagina e devono essere identificate da un numero cardinale. Il numero delle note e la lunghezza di ciascuna nota devono essere ridotti al minimo indispensabile in modo da favorire la snellezza del testo. Si consiglia di non inserire nelle note citazioni o riferimenti bibliografici. È responsabilità dell’autore adeguare l’assetto delle note agli standard della rivista. Tabelle e figure: figure e tabelle devono essere numerate e avere didascalia, vanno richiamate nel testo e riportate in file separato. Si ricorda che la rivista è in bianco e nero. Non saranno accettate figure a colori. Riferimenti bibliografici: i riferimenti bibliografici devono limitarsi a quelli espressamente citati nel testo. In particolare, la rivista utilizza, per le citazioni nel testo, il sistema autore-data. La citazione nel testo prevede la seguente forma: (Rossi, 1997: pp. 345-347). Per contributi con più di due autori, si usi la forma (Rossi et al. 1997: pp. 345-347). Per citazioni multiple dello stesso autore e nello stesso anno, far seguire a, b, c, ecc. all’anno. Nei riferimenti bibliografici, in coerenza con il sistema autore-data, i riferimenti devono essere riportati a fine testo nella seguente forma: Monografie Brunetti G. (1979), Il controllo di gestione in condizioni ambientali perturbate, Milano: Franco Angeli. Pubblicazioni con più autori Bruns W.J., Kaplan R.S. (a cura di) (1987), Accounting and Management: Field Study Perspectives, Boston, MA: Harvard Business School Press. Saggi in pubblicazioni Kaplan R.S. (1985), “Accounting lag: the obsolescence of cost accounting systems”, in K. Clark, C. Lorenze (a cura di), Technology and Productivity: the Uneasy Alliance, Boston, MA: Harvard Business School Press, pp. 195-226. Articoli in riviste Meneguzzo M., Della Piana B. (2002) “Knowledge management e p.a. Conciliare l’inconcilibaile?”, Azienda pubblica, 4-5, pp. 489-512. Rapporti/Atti OECD (1999), Principle of corporate Governance, Paris: OECD. Non pubblicati Zito A. (1994), “Epistemic communities in European policy-making”, Ph.D. dissertation, Department of Political Science, University of Pittsburgh. Stile e forma: si richiede uno stile lineare e scorrevole e il testo inviato deve essere già stato sottoposto al controllo ortografico. È raccomandato l’utilizzo della forma impersonale. Azienda Pubblica 2.2010 318 Comitato scientifico Fabio Amatucci, Michael Barzelay, Maria Bergamin Barbato, Carmine Bianchi, Massimo Bianchi, Geert Bouckaert, Armando Buccellato, Roberto Cafferata, Dario Cavenago, Jim Chan, Giovanni Costa, Mariano D’Amore, Mario Del Vecchio, Fabio Donato, Peter Eichhorn, Bill Eimicke, Marco Elefanti, Giovanni Fattore, Giorgio Fiorentini, Andrea Francesconi, Giuseppina Gandini, Andrea Garlatti, Lucia Giovanelli, Katia Giusepponi, Giuseppe Grossi, James Guthrie, Luciano Hinna, Federico Lega, Francesco Longo, Lawrence R. Jones, Nancy Kane, Walter Kickert, Davide Maggi, Francesco Manfredi, Giuseppe Marcon, Ludovico Marinò, Antonio Matacena, Mario Mazzoleni, Paola Miolo Vitali, Marcella Mulazzani, Roberto Negri, Paola Orlandini, Stephen Osborne, Fabrizio Panozzo, Niccolò Persiani, Fabrizio Pezzani, Cristopher Pollit, Adriano Propersi, Gianfranco Rebora, Christoph Reichard, Angelo Riccaboni, Paolo Ricci, Paolo Rondo Brovetto, Renato Ruffini, Massimo Sargiacomo, Kuno Schedler, Barbara Sibilio, Alessandra Storlazzi, Jeffrey D. Straussman, Sebastiano Torcivia, Emidia Vagnoni, Giovanni Valotti, Francesco Vermiglio, Alfred Vernis, Stefano Zambon, Mara Zuccardi Merli, Elena Zuffada