1.1 Le origini e l`evoluzione del metodo Delphi.

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1.1 Le origini e l`evoluzione del metodo Delphi.
BOZZA. MATERIALE NON FOTOCOPIABILE E NON DIVULGABILE. DA USARE SOLO A SCOPI DIDATTICI
SIMONE DI ZIO
Report Interno
1.1 Le origini e l’evoluzione del metodo Delphi.
1.1.1 Introduzione
Il metodo Delphi è una tecnica di indagine che utilizza le risposte (tipicamente opinioni) a un
questionario standardizzato fornite da un gruppo (detto panel) di esperti o attori sociali per risolvere
un problema, in genere di natura decisionale o previsionale. Si sviluppa in un certo numero di
iterazioni, o round, durante i quali l’amministratore che gestisce il processo, detto facilitator,
fornisce ai partecipanti una sintesi statistica delle risposte date da tutti i componenti del panel e le
relative motivazioni. Gli esperti non comunicano fra di loro e rispondono in forma anonima e
questo, come vedremo, risolve diversi problemi tipici delle dinamiche decisionali di gruppo.
L’obiettivo primario del Delphi è la convergenza di opinioni ovvero, di fronte a un problema,
facilitare il raggiungimento di una opinione comune il più possibile condivisa. La convergenza di
opinioni va intesa, dunque, come processo di strutturazione della comunicazione che convoglia più
pensieri competenti sulla questione trattata verso conclusioni il più possibile condivise (Pacinelli,
2008). Esistono numerosi metodi per la convergenza di opinioni e, fra questi, il metodo Delphi è
storicamente considerato il capostipite.
Nel 1952, negli Stati Uniti d’America sette esperti incaricati dal governo si confrontano su un
eventuale attacco atomico da parte dell’URSS. E’ in questo contesto che nasce il metodo che solo
successivamente, negli anni ’60, prese il nome di metodo Delphi nell’ambito della RAND
Corporation, che lo brevetta proprio con questo nome. La RAND è un istituto di ricerca fondato nel
1946 con il supporto finanziario del Dipartimento della Difesa statunitense e oggi ha sedi presso
Santa Monica, Washington, Boston e Pittsburgh e, dal 1992, possiede anche una controllata in
Europa, con una sede a Cambridge e una a Bruxelles. Il primo studio commissionato dal governo
americano, che ha portato alla messa a punto del metodo Delphi, riguardava l’applicazione delle
opinioni di esperti per la selezione, da un punto di vista di uno stratega sovietico, di un obiettivo
industriale americano e per la stima del numero di bombe atomiche necessarie per ridurre l’arsenale
convenzionale americano di una quantità prefissata.
E’ interessante sapere che il nome deriva dal famoso oracolo di Delphi (si veda il box) e fu coniato
da Kaplan, un professore associato di filosofia che lavorava per la RAND corporation. Il riferimento
era al principio dell’oracolo, secondo il quale la sua previsione non è falsificabile, ovvero è
un’asserzione che non ha la proprietà di essere vera o falsa.
Si consideri che le alternative metodologiche disponibili a quel tempo per risolvere il problema
degli armamenti nucleari esistevano e consistevano in modelli matematici complessi che
richiedevano una mole enorme e costosissima di dati, delle procedure molto lunghe e dei computer
molto sofisticati e costosi, ed è per queste ragioni che si scelse di utilizzare il Delphi.
Successivamente, questi metodi vennero comunque applicati ma la sorpresa fu che i risultati del
Delphi sulle politiche belliche russe furono migliori di quelli prodotti dai sofisticati modelli
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matematici. Questo giustifica, fino alle numerose applicazioni odierne, l’utilizzo di un metodo che
rimane sempre molto valido in tutte le situazioni in cui è molto difficile avere dati dettagliati,
oppure nei casi in cui i modelli matematici richiedono dei settaggi iniziali soggettivi al punto che i
risultati delle stime sono fortemente condizionati da essi.
Data la particolarità di questo primo esperimento, si comprende come siano dovuti passare diversi
anni prima che il metodo fosse divulgato all’esterno della difesa americana, ed esattamente questo
avvenne nel 1964 con un lavoro di T. J. Gordon e Olaf Helmer intitolato "Report on a Long-Range
Forecasting Study" (Gordon and Helmer, 1964). Lo scopo di questo articolo, pubblicato dalla
RAND corporation, era di stimare la direzione di un certo numero di trend di lungo periodo, con
particolare enfasi sui temi della scienza e della tecnologia, oltre che sui possibili impatti che i
cambiamenti previsti avrebbero potuto avere sulla società americana e mondiale. Il periodo
temporale esplorato andava da dieci a cinquanta anni e gli autori hanno analizzato sia gli aspetti
metodologici della tecnica che i risultati ottenuti. I temi toccati dalla ricerca erano problematiche
che oggi definiremmo globali: le scoperte scientifiche; il controllo della popolazione;
l’automazione; l’esplorazione dello spazio; la prevenzione delle guerre; i sistemi di armamenti. Non
è azzardato affermare che si tratta di temi tutt’ora di attualità.
Ai partecipanti fu chiesto di suggerire dei possibili futuri sviluppi su questi temi e di stimare l’anno
futuro entro il quale, con una probabilità del 50%, ogni singolo evento sarebbe accaduto. Questa
pubblicazione assieme ad un altro importante lavoro di Norman Dalkey e Olaf Helmer (Dalkey e
Helmer, 1963) che descrive i fondamenti filosofici e metodologici del Delphi, sono considerati
letteratura di base per una numerosa serie di esperimenti del metodo nel corso degli anni 60.
Durante quel decennio il Delphi comincia ad essere sempre più presente nella letteratura e, in
particolare, suscitò grande interesse nell’ambito aerospaziale e delle tecnologie elettroniche, che a
quel tempo si stavano sviluppando a ritmi molto elevati. Le società occupate in quei campi facevano
grossi investimenti nella ricerca e nello sviluppo ed ottenevano sistemi sempre più aggiornati e
sofisticati. In tale contesto le previsioni erano vitali per la pianificazione e per l’allocazione di fondi
nella ricerca e sviluppo, e molti cominciarono a capire che le estrapolazioni dei trend delle serie
storiche erano chiaramente inadeguate a tal fine (Linstone e Turoff, 1975). Di conseguenza, il
metodo Delphi divenne lo strumento principale nell’ambito delle previsioni tecnologiche ed è stato
utilizzato ininterrottamente fino ai nostri giorni.
Parallelamente, nel corso degli anni, lentamente emerse la necessità di sfruttare le informazioni
soggettive derivanti da esperti anche nel campo del management classico, ed in particolare
nell’ambito dell’analisi dei rischi. Così, il Delphi si affaccia in campi molto diversi da quelli che gli
hanno dato la luce, come ad esempio l’ambiente, la salute e i trasporti. Un metodo nato in un
particolare contesto storico, quello della guerra fredda, per risolvere un problema molto specifico
relativo agli armamenti nucleari, diventa in pochi decenni utilizzato in svariati ambiti e da
organizzazioni diverse (industrie, governi e università). La versatilità di tale strumento fa sì che le
sue applicazioni sono tantissime. Per la relativa letteratura suggeriamo, fra gli altri, Brockhaus e
Mickelsen (1975).
BOX: L’Oracolo di Delphi
Con il termine oracolo (dal latino oraculum) si intende una persona, un luogo o una profezia. Come persona l’oracolo è
considerato infallibile nel dispensare saggi consigli o nell’enunciare profezie, quindi un essere che faceva da tramite fra
gli Dei e il popolo. Nell'antichità vi erano molti luoghi dove si facevano profezie e spesso venivano conosciuti proprio
come oracoli, così come le profezie stesse che in quei luoghi venivano enunciate. I grandi templi oracolari dell'antichità
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erano soprattutto greci e nella civiltà ellenica l'oracolo più famoso era la Pizia del tempio del dio Apollo a Delfi (nota
anche come Sibilla Delfica) da cui deriva l'oracolo di Delfi. La Pizia, quindi, era la sacerdotessa che pronunciava le
profezie in nome di Apollo nel santuario di Delfi. Le donne che divenivano pizie erano vergini nate a Delphi, prescelte
tra le famiglie di poveri contadini, e una volta entrate nel tempio non potevano mai più smettere la loro funzione ed
erano costrette per sempre al nubilato. In alcuni periodi c’erano fino a tre donne nel santuario di Delphi che ricoprivano
il ruolo di Pizie e mentre nei tempi arcaici l’oracolo non poteva essere consultato più di un giorno all’anno,
successivamente si ricorreva alle sue divinazioni anche più giorni al mese.
Prima di accedere alla Pizia c’era un cerimoniale da seguire che, fra le altre cose, prevedeva il pagamento di una
discreta somma di denaro. Si doveva inoltre offrire il sacrificio di una capra su cui poi si versava acqua fredda; se le
carni non si contraevano non si poteva consultare l'oracolo, altrimenti il dio Apollo accettava di profetare e si poteva
procedere alla cerimonia.
All’interno del tempio la Pizia doveva seguire un percorso e veniva seguita da tutti coloro che avevano chiesto le
profezie e dai sacerdoti, però a un certo punto tutti dovevano fermarsi in una sala e solo la Pizia poteva proseguire fino
al luogo dove si trovava la statua di Apollo. La donna narcotizzata cadeva in trance e si sentiva posseduta da Apollo e i
sacerdoti e i richiedenti nella sala vicina udivano la sua voce ma non potevano vederla. La Pizia dava ordinatamente ad
ogni richiedente il proprio responso e questo era sempre veridico e infallibile. Ma le risposte di Apollo si prestavano
sempre a due opposte interpretazioni.
Alcuni ritengono che per rispondere alle domande la Pizia tirava a sorte delle fave e la risposta spesso era un semplice sì
o no, per cui le domande venivano in genere poste in maniera dicotomica, cioè del tipo vero/falso. Le si chiedeva se un
fatto sarebbe o meno accaduto oppure se era opportuno prendere o no una data decisione. Si trattava quindi di una vera
e propria forma di previsione del futuro, molto usata nell’antica Grecia.
Più precisamente nel tempio c’erano cinque sacerdoti, membri di altrettante famiglie dell’aristocrazia di Delphi, che
gestivano tutto il cerimoniale e si ritiene che in effetti erano loro a controllare l’oracolo perché, oltre a essere bene
informati sui fatti cittadini, erano gli interpreti ultimi delle dichiarazioni spesso oscure e ambigue dell’oracolo e,
soprattutto, erano loro ad incassare le somme di denaro pagate dai richiedenti.
Questa pratica fu perpetrata a partire dal 1400 a.c. per circa 2000 anni, fino a quando non venne proibita dall’imperatore
Teodosio I che nell’introdurre il Cristianesimo soppresse tutti i culti pagani.
1.1.2 Descrizione del metodo.
Il metodo Delphi prevede la somministrazione ripetuta di questionari e consente di ottenere sia
opinioni singole che di stimolare un dibattito intorno l’argomento di ricerca. I partecipanti sono
degli esperti relativamente al problema affrontato, e compongono il cosiddetto panel, con
numerosità variabile da poche unità fino anche a cinquanta persone, anche se nella pratica ci si
attesta intorno a una o due dozzine di partecipanti. Si possono raggiungere buoni risultati anche con
piccoli panel di 10-15 persone, ma l’ampiezza può aumentare di molto e aumentando il numero dei
componenti si registra un miglioramento nella qualità dei risultati, anche se oltre una certa soglia,
non conviene spingersi perché l’incremento migliora poco il risultato ottenuto (Dalkey e Helmer,
1963). La prima fase del Delphi, dopo aver definito il tema di ricerca, riguarda proprio la scelta dei
componenti del panel. La scelta degli esperti è un momento molto delicato, perché da questa
dipenderanno i risultati finali, per cui si raccomanda di costruire il panel nella maniera più accurata
possibile. E’ molto più importante scegliere le persone giuste che scegliere quante persone includere
nel panel per cui, a differenza delle indagini statistiche classiche, non si deve cercare di costruire un
campione numeroso o rappresentativo di un collettivo più ampio. Mentre nelle indagini statistiche
campionarie si assume che i partecipanti siano rappresentativi di una popolazione e senza particolari
conoscenze, nel Delphi, viceversa, ci si avvale di individui con particolari competenze e non
rappresentativi di alcun collettivo. Ci sono studi che dimostrano la validità del metodo
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indipendentemente dalla numerosità del panel a condizione che la scelta degli esperti sia la più
attenta possibile (Koch and Prügl, 2011). Ma come devono essere scelte queste persone? Sulla base
del cosiddetto criterio dell’expertise, secondo il quale dato l’argomento della ricerca, i partecipanti
devono avere una elevata conoscenza dell’oggetto studiato ma tra di loro devono avere competenze
diversificate. Ad esempio, se si studia il rischio dei terremoti questo può essere affrontato da
vulcanologi, da geologi, da sociologi, da architetti e così via. In questo modo si costruisce un panel
di esperti diversificati fra di loro, e questo ha il vantaggio di portare opinioni diverse sulla stessa
problematica, in modo da stimolare uno scambio di opinioni, conoscenze e punti di vista. La selezione degli elementi del panel non deve essere materia di una preferenza personale, ma bisogna
seguire una specifica procedura governata da criteri scientifici che, comunque, possono variare
secondo gli scopi ed il contesto in cui è applicato il Delphi.
Il passo successivo è una fase esplorativa, e riguarda la costruzione del primo questionario da
sottoporre al panel, composto da una serie di domande aperte volte a far emergere i punti di vista
che, una volta raccolti, selezionati e riorganizzati dai ricercatori, confluiranno in maniera strutturata
nei successivi questionari da sottoporre sempre agli stessi esperti. In questa fase quindi si inquadra
il tema e si disegna un quadro generale della problematica indagata, al fine di definire con
precisione i concetti e gli argomenti che costituiranno la base delle successive fasi.
In alcune applicazioni può essere utile raccogliere dati sull’atteggiamento dei partecipanti nei
confronti del futuro. Uno strumento adatto a tale scopo è il differenziale semantico (Osgood, 1952)
largamente utilizzato nella ricerca psicologica, ma facilmente adattabile ad altri ambiti. Il differenziale semantico è caratterizzato dall’uso di antitesi verbali, ossia coppie di aggettivi di significato
opposto e da scale, generalmente con graduazione settenaria, nel rispetto dell’ipotesi che le
cognizioni si formino in base a sistemi di opposizione semantica (Pacinelli, 2008).
L’analisi delle risposte di questo primo questionario porta alla costruzione di un secondo
questionario, che viene somministrato agli esperti in quello che viene detto “primo round” del
Delphi. Queste prime elaborazioni riguardano sostanzialmente compattazioni di tipo logicoterminologico, eliminazione di ridondanze e creazione di una lista esauriente, ma allo stesso tempo
parsimoniosa, di punti necessari all’analisi del problema. Trattandosi di un questionario autocompilato, esso viene consegnato oppure inviato ai partecipanti, che provvederanno autonomamente
alla sua compilazione. La consegna del questionario da parte di un esperto del metodo, qualora
possibile, è preferibile perché consente, mediante un colloquio, di rafforzare le motivazioni del
rispondente e fornire chiarimenti sulle modalità di compilazione. Ogni esperto troverà nel
questionario sia parte dei concetti da lui espressi nella precedente fase esplorativa, sia quelli
espressi dagli altri esperti del panel, che però rimangono anonimi durante tutta la procedura. Così,
ognuno è in grado di ragionare su come le altre forme di expertise hanno agito nell’affrontare la
problematica oggetto di studio e questo produce sia uno stimolo al dibattito che una riflessione sulle
proprie convinzioni che possono cominciare, in tutto o in parte, ad essere modificate. Questo è uno
degli aspetti più importanti del metodo Delphi: l’anonimità dei partecipanti e la possibilità di
lavorare in modo isolato dagli altri (diversamente di quanto accade ad esempio in una riunione)
consente al singolo partecipante di rivedere le proprie posizioni e di cambiarle alla luce delle
informazioni fornite dagli altri esperti e del conseguente dibattito anonimo che si innesca. Il Delphi
consente perciò di creare un processo di comunicazione fra i partecipanti dando l’opportunità ad
ognuno di esprimere il proprio punto di vista da esperto (expertise) e al contempo di rivederlo alla
luce dei giudizi di tutti gli altri esperti, che gli vengono forniti in forma anonima e aggregata.
Questo processo di “ritorno” di informazione da parte degli altri partecipanti è detto tecnicamente
feedback.
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Dopo il primo round, i ricercatori che conducono l’indagine partono dai risultati dei questionari
raccolti e riassumono (Glenn, 2009), tramite sintesi statistiche, le opinioni espresse dagli esperti.
Questi risultati sono elaborati in modo da costruire un nuovo questionario da sottoporre sempre agli
stessi esperti, durante quello che viene chiamato “secondo round”. Il metodo classico prevede, come
sintesi statistiche, il calcolo del primo e terzo quartile sulla distribuzione delle risposte del panel,
ottenendo un intervallo (detto intervallo interquartile) che contiene il 50% delle valutazioni degli
esperti. Questo intervallo costituisce una finestra di risposta da sottoporre agli esperti al round
successivo. La scelta dell’intervallo interquartile è motivata dal fatto che esso contiene la metà delle
valutazioni espresse dai componenti del panel ed è un valido approccio per l’obiettivo di far
convergere le valutazioni dei vari esperti. Quindi, il secondo round vede la somministrazione dello
stesso questionario del primo round, arricchito però con le indicazioni sintetiche del risultato del
primo round (intervallo interquartile), innescando in tal modo il processo di feedback. Il quesito (o i
quesiti) proposto è sempre lo stesso, ma in questo caso ogni esperto è invitato a rispondere dentro
l’intervallo interquartile. In tal modo già dalla seconda consultazione inizia il processo di
convergenza delle opinioni, perché alcuni esperti tenderanno a rivedere le loro precedenti
valutazioni per cercare di rientrare nel range proposto. Invitando i partecipanti a fornire le
valutazioni all’interno dell’intervallo interquartile, non serve ad obbligarli a limitare le proprie
valutazioni, ma solo chiedere a coloro che ritengono opportuno dare valutazioni esterne agli estremi
dell’intervallo interquartile di fornire delle motivazioni scritte ed anonime per ciascuno degli eventi
interessati (Pacinelli, 2008). Quindi, nel caso in cui un partecipante volesse fornire una valutazione
esterna all’intervallo lo può fare a condizione che venga data una motivazione scritta. Sono proprio
queste motivazioni che innescano la cosiddetta conferenza Delphi, cioè il dibattito anonimo che
porta gli esperti a rivedere le proprie valutazioni e ragionare sui possibili cambiamenti di opinione.
I risultati del secondo round sono elaborati di nuovo, ricalcolando le sintesi statistiche (quartili), in
modo da preparare il terzo round. Si procede così in maniera iterativa e, in genere, il campo di
variazione fra il primo e terzo quartile si restringe sempre di più, fino a che non si raggiunge un
intervallo abbastanza piccolo tale che la convergenza delle opinioni si ritiene sufficiente (Figura 2).
Quindi, ancora una volta i componenti del panel sono invitati a rispondere alle stesse domande
cercando di rimanere entro i limiti del nuovo intervallo interquartile. La novità, rispetto al round
precedente, è che in questa fase sono raccolte e presentate le motivazioni alle valutazioni esterne
fornite al round precedente, suddivise in valutazioni inferiori al primo quartile e valutazioni
superiori al terzo quartile. Gli esperti possono dunque rivedere le proprie valutazioni anche alla luce
delle motivazioni, sempre fornite anonimamente, date da coloro che sono rimasti fuori
dell’intervallo proposto. Inoltre, possono fornire delle contro-motivazioni. Grazie alla circolazione
delle motivazioni e contro-motivazioni, a partire dal terzo round si innesca un meccanismo di
“comunicazione orizzontale” che, anche se filtrato da un mediatore, genera una conferenza, ed è in
questo senso che si parla di “conferenza Delphi” (Pacinelli, 1995).
Dopo un certo numero di round (in genere da tre a cinque) i ricercatori concludono la
somministrazione dei questionari e procedono alla elaborazione finale dei risultati. Il tempo tra un
round e il successivo può essere anche molto breve, ma sarebbe prudente estendere questi tempi in
modo da non costringere i partecipanti a rivedere le proprie posizioni subito dopo averle formulate.
Naturalmente, tutta la procedura termina con la presentazione e il commento dei risultati ottenuti
(Figura 1).
Il metodo Delphi offre diversi vantaggi se paragonato ad altre metodologie che si basano su gruppi
di esperti e che permettono una comunicazione di gruppo, come ad esempio conferenze,
brainstorming, focus group eccetera. In breve possiamo affermare che i vantaggi derivano
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dall’eliminazione di una serie di problematiche, che qui chiamiamo errori, insite ed inevitabili nelle
altre metodologie. Fra i principali errori che il Delphi riesce ad evitare citiamo i seguenti:
 Errore di Leadership: quando il più alto in grado in una gerarchia (ad esempio in ambito
militare, aziendale o politico) esprime la sua opinione durante una riunione, generalmente
gli altri tendono ad assecondarlo. Quindi, il rischio è che non tutti esprimano liberamente le
proprie opinioni per paura di entrare in contrasto con chi è più alto nella gerarchia;
 Errore della Spirale del Silenzio: di sovente ci sono persone che sono poco disposte ad
esprimere i loro pareri in pubblico e questo accade soprattutto quando queste credono di
essere in minoranza, perché si ha paura di essere isolati. In un lavoro di gruppo può quindi
accadere che un individuo sia restio nell'esprimere la sua opinione se questa è contraria alla
maggioranza, per paura di riprovazione e isolamento da parte degli altri componenti del
gruppo. La persona quindi tace, e questo fa aumentare la percezione del gruppo che l’idea
prevalente sia condivisa da tutti (anche da chi è contrario ma tace), rafforzando ancora di più
il timore iniziale del singolo, in una spirale chiamata appunto spirale del silenzio.
 Errore del Gruppo Pensiero: è un modo di pensare delle persone quando si è profondamente
coinvolti in un gruppo. Quando i membri si battono per l’unanimità escludono la loro
motivazione a valutare realisticamente le linee di condotta alternative. Pertanto, con
l’espressione gruppo pensiero, o pensiero di gruppo (in inglese “groupthink”), si indica la
situazione in cui, per minimizzare i conflitti e raggiungere il consenso al fine di prendere
una decisione, i singoli individui rinunciano alle proprie idee e opinioni. I dubbi individuali
sono messi da parte per il bene del gruppo, fino al punto di raggiungere persino decisioni
irrazionali.
In definitiva, il metodo Delphi consente ad un insieme di persone di dare opinioni su un problema
come se lavorassero in gruppo, ma senza gli effetti di distorsione generati dalla contemporanea
presenza nello stesso luogo (Pacinelli, 2008).
La maggior parte degli studi su questo metodo sono stati condotti durante gli anni ’60 e ’70, e si è
dimostrato come il Delphi è particolarmente adatto ai casi in cui l’informazione che si intende
ricavare della ricerca è il giudizio informato di persone esperte e competenti su un particolare
argomento. Dato che la procedura procede per round successivi, i ricercatori che conducono la
ricerca possono intervenire in ogni momento per fare aggiustamenti e calibrare la procedura qualora
ne ravvisino la necessità.
Anche se dalla sua creazione nella RAND corporation ad oggi si sono sviluppate tantissime versioni
del Delphi, possiamo dire che le fasi principali della sua versione base sono quelle illustrate in
precedenza e cha abbiamo schematicamente riassunto nella Figura 1.
Figura 1. Le fasi del metodo Delphi
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Definizione del tema oggetto di ricerca e/o
del problema decisionale
Definizione
del problema
Costruzione del panel
Fase esplorativa
NO
scelta degli esperti secondo il criterio
dell’expertise
costruzione e somministrazione del primo
questionario
Fase analitica
costruzione e somministrazione del secondo
questionario (round i)
Fase valutativa
calcolo degli intervalli interquartili;
preparazione del questionario del round
successivo (round i+1)
Convergenza
verifica del livello di convergenza raggiunto
o del numero massimo di iterazioni previste.
SI
Risultati
presentazione e commento dei risultati.
Nella Figura 2 abbiamo uno schema che rappresenta come le diverse iterazioni di un Delphi portano
ad un restringimento dell’intervallo interquartile e, quindi, alla convergenza delle opinioni. Dopo
quattro iterazioni la distanza fra il primo e terzo quartile si è ridotta rispetto al primo round e questo
significa che il 50% delle valutazioni si concentra in un intervallo sufficientemente piccolo. Nella
figura si vede come le valutazioni esterne, argomentate per iscritto, innescano il feedback che
stimolano la conferenza Delphi. Il risultato finale di un Delphi non è quindi dato solo dall’intervallo
interquartile finale ma anche e soprattutto dal dibattito che si crea spontaneamente fra gli esperti
durante tutte le fasi.
Figura 2. Il processo di convergenza delle opinioni
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Esempio di
valutazione
interna
Esempio di
valutazione
esterna
3° Q
motivazione
FEEDBACK
3° Q
3° Q
3° Q
1° Q
1° Q
1° Q
1° Q
1° round
2° round
3° round
4° round
Possiamo quindi affermare che il metodo Delphi, come anche gli altri metodi per la convergenza di
opinioni, è caratterizzato da tre elementi (Pacinelli, 2008):
 la struttura iterativa (feedback controllato), ossia la rilevazione dei giudizi avviene in più
iterazioni, in modo che i partecipanti possano riesaminare almeno una volta le proprie
valutazioni dopo averle confrontate con le risposte, fornite in maniera aggregata, dagli altri
esperti del panel;
 l’anonimato, che impedisce a chiunque di associare le diverse opinioni a chi le ha espresse,
evitando gli errori derivanti da effetti gerarchici, di leadership o spirali del silenzio;
 la comunicazione asincrona, ossia la possibilità per i membri del panel d’interagire a
distanza e in tempi diversi, senza presenza simultanea, eliminando in tal modo le pressioni a
decidere in fretta.
Il metodo Delphi è stato criticato (soprattutto negli anni ‘70) da vari punti di vista e, in primo luogo,
viene accusato di mancanza di rigore scientifico ma non è stato ancora del tutto chiarito il motivo
per cui dovrebbe essere metodologicamente meno valido di altre tecniche come l'intervista, l'analisi
di casi di studio o le storie di vita, che sono normalmente utilizzate come strumenti di indagine e
analisi politica.
Una delle principali problematiche insite nel Delphi, tipica di tutti i metodi che utilizzano panel, è
data dal fatto che nel corso delle varie iterazioni è quasi inevitabile che alcuni partecipanti
abbandonino la ricerca. Un altro svantaggio, che in parte può essere considerato una causa del
precedente, è il lungo tempo che tale metodo richiede. Considerando tutte le fasi di preparazione e
somministrazione dei questionari, un Delphi con tre round può arrivare anche a tre o quattro mesi di
durata. Esiste anche un dibattito, tutt’ora aperto, sul fatto che in alcuni casi la tecnica Delphi
produce la convergenza di opinioni solo a causa della pressione che viene esercitata sui partecipanti,
quindi è come se questi fossero “obbligati” a raggiungere un accordo, ma tali considerazioni sono
sicuramente da approfondire (Rowe et al., 1991; Woudenberg, 1991).
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Per certo il metodo costringe i partecipanti con opinioni estreme ad un lavoro più faticoso rispetto a
quello degli altri, e questo può condurli a un cambio di opinione piuttosto che a scrivere le
motivazioni delle loro valutazioni estreme (Linstone and Turoff, 2002).
Originariamente tutti gli sforzi di ricerca sul Delphi si concentravano verso il raggiungimento del
consenso, perché si riteneva che la convergenza di opinioni fra esperti era sicuramente più accurata
di una previsione di un singolo. Con il passare degli anni, invece, l’attenzione si è spostata dal
consenso verso le motivazioni che spiegano il “dissenso”. Dalle motivazioni si possono ricavare
elementi molto utili ai fini dello studio, per cui anche se in un Delphi non si raggiunge la
convergenza l’analisi delle motivazioni e contro-motivazioni è da considerale un risultato utile.
Dato che la tecnica è molto semplice da applicare, è accaduto spesso, e accade tutt’ora, che venga
utilizzata con troppa superficialità, senza considerare con la dovuta attenzione i vari aspetti che ne
possono compromettere i risultati. Linstone e Turoff (2002) a tal proposito affermano che così come
ci sono ricercatori che hanno sperimentato con successo il Delphi ce ne sono altrettanti che hanno
avuto esperienze negative nel suo utilizzo. A tal proposito gli stessi autori nel libro “The Delphi
Method, Techniques and Applications” elencano una serie di ragioni che sono alla base dei classici
fallimenti nell’utilizzo del Delphi:
 l’imposizione sui partecipanti di punti di vista e preconcetti riguardo la problematica
analizzata, attraverso una sovra-specificazione della struttura del Delphi che non permette
contributi derivanti da altre prospettive;
 l’assunzione errata che il Delphi sia un surrogato di tutti gli altri modi di comunicare;
 l’utilizzo di tecniche errate nel riassumere e presentare i risultati dell’indagine, e
conseguente difficoltà di avere una interpretazione comune delle scale di valutazione
utilizzate nell’applicazione;
 l’ignorare, invece di esplorare, le posizioni estreme con l’unico risultato che i valutatori
estremi si scoraggiano e abbandonano il panel;
 sottovalutare il fatto che un Delphi è molto faticoso e richiede energie da parte degli esperti,
per cui questi dovrebbero essere riconosciuti come consulenti e in qualche modo
ricompensati per il lavoro e il tempo dedicato alle risposte (Linstone and Turoff, 2002).
Quindi, possiamo concludere dicendo che le critiche al Delphi sono state rivolte piuttosto al “modo”
in cui è stato applicato che non al “metodo” stesso: un Delphi fatto male darà risultati non buoni,
ma se si seguono con attenzione tutte le raccomandazioni allora può essere considerato un buon
metodo ancora oggi. Proprio per questa ragione, negli ultimi tempi esiste una notevole letterature
che lo ha riabilitato enormemente.
1.1.3 Il Delphi dagli anni ’50 ad nostri giorni
Il metodo Delphi è stato così largamente utilizzato che ormai è considerato il capostipite di una
grande varietà di metodi che sono sue varianti. Proponiamo in questo paragrafo una breve
descrizione dei più importanti metodi, seguendo un ordine cronologico.
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Dopo l’articolo di Dalkey e Helmer del 1963 (Dalkey and Helmer, 1963), nel 1970 Murray Turoff
propose il Policy Delphi (Turoff, 1970), che è orientato al consenso e si usa per le analisi delle
politiche pubbliche. Il panel è formato prevalentemente da rappresentanti di comunità (amministrative, politiche, economiche, religiose, ecc.), ed in genere questo metodo è usato come strumento
di previsione, come strumento di decision-making finalizzato alla ricerca di soluzioni innovative e
alla verifica e al perfezionamento del consenso su obiettivi e scenari alternativi (Pacinelli, 2008).
Nel panel bisogna includere attori che possono almeno in parte influenzare il futuro su cui sono
invitati a valutare determinati eventi. Il policy Delphi si differenzia dal Delphi perché il panel è più
ampio ed eterogeneo, e perché vengono incluse anche proposte, linee d’azione o progetti. Inoltre si
utilizzano anche criteri di valutazione diversi dalla sola probabilità, come ad esempio la
desiderabilità, la fattibilità, l’importanza o la validità. Una diversa versione del Policy Delphi,
chiamata Public Delphi, prevede invece la partecipazione di tutti i cittadini che spontaneamente
vogliono partecipare.
Subito dopo, nel 1972, venne proposto il Mini Delphi da Olaf Helmer (Helmer, 1972) una tecnica
che velocizza la procedura in quanto viene applicato per incontri faccia a faccia, ed infatti è noto
anche come metodo Estimate-talk-Estimate (ETE). Nella prima fase ciascun componente del panel
risponde per iscritto alle domande proposte e subito dopo si sottopongono ai partecipanti i quartili
che ne derivano. Si avvia dunque un confronto tra i presenti, che si scambiano opinioni alla luce dei
risultati appena emersi. In una successiva fase gli esperi scrivono nuove valutazioni in maniera
indipendente, allo scopo di affinare le stime in funzione degli elementi emersi nel corso del
dibattito. L’ultima fase consiste nel calcolo delle mediane delle risposte fornite dai partecipanti, che
rappresentano pertanto il risultato finale della consultazione. Il mini-Delphi viola dunque la regola
dell’isolamento degli esperti e questo può innescare gli errori di leadership, gruppo pensiero e/o
spirale del silenzio. Il vantaggio che però offre rispetto al Delphi è una maggiore velocità e
flessibilità.
Dopo due anni, nel 1974, vennero gettate le basi teoriche del Markov-Delphi in un lavoro di De
Groot (1974), che legando le modificazioni delle valutazione soggettive di un previsore ad una
combinazione lineare di quelle dei rimanenti, fornisce importanti contributi in termini probabilistici.
Inoltre, lo stesso ricompone le probabilità in una matrice stocastica che governa una catena di
Markov, ipotizzando che tutti i previsori utilizzino, in tutti gli stadi, la stessa legge di probabilità per
modificare le proprie opinioni. Secondo quest’impostazione l’evoluzione al limite della matrice
fornisce indicazioni sulla convergenza delle opinioni dei previsori. Nell’approccio di De Groot
ciascun partecipante attribuiva dei pesi alle valutazioni degli altri, che rimanevano costanti ad ogni
iterazione, mentre Chatterjee (1975) studia l’alternativa dei pesi variabili e Marbach (1980) propone
l’adozione di pesi che rendano minima la varianza complessiva delle valutazioni.
Nel 1975 venne proposto il metodo Shang (Ford, 1975). Nel metodo Shang vengono conservate
alcune caratteristiche del metodo Delphi, come l’isolamento dei partecipanti (anonimato), ma si
elimina il problema di chiedere di riformulare le valutazioni sullo stesso fenomeno ad ogni round. Il
metodo Shang, che consiste nel porre una successione di quesiti che facilitano progressivamente la
convergenza delle opinioni e che ha il vantaggio di non ancorare i partecipanti ad una posizione per
poi sollecitarli a discostarsene, proponendo più volte la stessa domanda, rende all’esperto più facile
la modifica della propria posizione precedentemente espressa.
Nel primo round i partecipanti sono invitati a formulare due stime numeriche in relazione al
fenomeno studiato: una minima (m) ed una massima (M). Ciascuno dei componenti del panel
fornirà, per ogni evento proposto (o solo per quelli per i quali si sente di poter rispondere), una
valutazione minima ed una massima. Sono poi calcolate le medie aritmetiche di ciascuno dei due
gruppi di valori, determinando così la media dei minimi (m0) e quella dei massimi (M0) che
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costituiranno i vincoli per il round successivo. Non c’è alcun motivo per adottare la media
aritmetica come unico criterio di sintesi delle stime e quindi, si potrà determinare l’intervallo di
variazione ricorrendo ad uno dei criteri seguenti: massimo dei massimi e minimo dei minimi;
minimo dei massimi e massimo dei minimi; media aritmetica dei massimi e media aritmetica dei
minimi; mediana dei massimi e mediana dei minimi. La scelta dipenderà dal tipo di applicazione
così, ad esempio, nel caso in cui si voglia iniziare con il più ampio intervallo previsionale, si
adotterà il minimo dei minimi ed il massimo dei massimi. Si può anche aumentare il massimo
fornito dagli interpellati e ridurre il minimo, proporzionalmente ad un indice di variabilità delle
indicazioni ottenute (Pacinelli, 2008). Successivamente di calcola un valore centrale fra questi due
estremi (c0) ad esempio facendo la media aritmetica o la mediana fra m0 e M0.
Nel secondo round per ciascun evento considerato, si sottopone a coloro che collaborano alla
ricerca il valore c0, senza specificare com’è stato ottenuto e quale significato assume. Ogni
partecipante è invitato a confrontare il valore c0 con quello che egli ritiene più esatto,
semplicemente rispondendo “maggiore” o “minore” - oppure secondo la natura della variabile
“prima” o “dopo”, etc. - e la risposta più frequente, è utilizzata per modificare il punto di
riferimento. Infatti, se prevale l’indicazione in favore di una stima maggiore di c0 questo diviene il
minimo di un nuovo intervallo di variazione, che sarà quindi da c0 a M0, ed il punto di riferimento
per il round successivo potrà essere calcolato come valore centrale di questo intervallo. Il contrario
accadrà, invece, qualora prevalga l’indicazione “minore” ed il nuovo intervallo sarà quindi da m0 a
c0. Nei rounds successivi si procederà similmente, giungendo rapidamente ad individuare un
intervallo molto contenuto per la stima cercata. Se gli esperti non s’irrigidiscono su contrapposte
posizioni iniziali e si comportano in modo coerente nelle successive iterazioni, la procedura in
genere converge. Non esiste una regola in base alla quale ritenere concluse le iterazioni, ma
certamente l’ampiezza dei campi di variazione porta, nei singoli casi concreti, ad indicazioni
operative. È evidente che ad ogni round si dimezza l’intervallo di variazione delle valutazioni,
indipendentemente dai valori forniti dagli esperti.
Nello stesso anno venne anche proposta la Nominal Group Technique (NGT), un processo di
problem solving che include l’identificazione del problema, la generazione della soluzione e la
decisione finale (Delbecq et al., 1975). La tecnica può essere usata in gruppi di qualunque
dimensione, che vogliono assumere decisioni in breve tempo. Questa tecnica nasce con l’intento di
sfruttare i vantaggi sia delle tecniche in cui i membri lavorano in modo isolato (come il Delphi) e
sia delle tecniche in cui i membri di un gruppo interagiscono.
Inizialmente ogni membro del gruppo fornisce il suo punto di vista relativamente alla soluzione del
problema proposto, accompagnandolo con una breve descrizione. Successivamente dalla lista di
tutte le soluzioni si eliminano quelle duplicate. I membri quindi procedono a costruire una
graduatoria di tutte le soluzioni della lista. In questa fase uno o più facilitatori incoraggiano la
discussione e lo scambio di opinioni relativamente alle scelte fatte da ogni membro del gruppo,
identificando così una pluralità di idee e di approcci. A volte la diversità di idee porta alla creazione
di una idea ibrida, attraverso la combinazione di due o più soluzioni proposte, che può essere
considerata migliore di tutte le altre idee inizialmente proposte. I punteggi ottenuti da ogni
soluzione vengono sommati e la soluzione con il punteggio totale più alto, viene selezionata come
soluzione finale. Anche la Nominal Group Technique, come il Mini-Delphi, prevede l’incontro
faccia a faccia tra i partecipanti e limita l’anonimato a specifiche fasi della procedura in cui, per
prevenire le dinamiche di gruppo negative, è necessario escludere lo scambio verbale. Pertanto, i
principali difetti della NGT sono riconducibili al mancato sfruttamento dei vantaggi derivanti dalla
comunicazione asincrona e dall’anonimato.
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Procedendo con gli anni arriviamo al 1979 quando nasce il Decision Delphi (Rauch, 1979). Si tratta
di una variante orientata a coordinare i processi decisionali di attori diversi, fino a far emergere una
tendenziale corrispondenza tra previsione e azione. In questo caso, il panel è formato unicamente
con rappresentanti delle sedi decisionali istituzionali e la validità dipende anche dal fatto che gli
eventi prospettati possano dipendere almeno in parte dal comportamento futuro dei partecipanti. La
validità della previsione, infatti, dipende anche dalla rilevanza individuale degli esperti consultati.
Nel 1986 nasce l’Abacus-Delphi che, per semplificare le valutazioni, sfrutta la logica dei colori
dell’Abaque de François Régnier (1986, 1987, 1989). Si utilizza una scala di colori con i quali si
misurano le valutazioni qualitative degli esperti. Il verde indica una posizione molto favorevole, il
verde chiaro abbastanza favorevole, i colori arancione, rosso chiaro e rosso indicano gradi crescenti
di disaccordo ed il nero la volontà di non prendere posizione. Infine il bianco indica l’incapacità di
esprimere un giudizio. Il pregio di questa variante Delphi è costituito dalla semplicità di
compilazione, che rende la procedura più rapida rispetto a quelle che utilizzano i valori di
probabilità, consentendo anche di interpellare molti esperti. Nella fase destinata alla “conferenza”,
ossia allo scambio di motivazioni e contromotivazioni ai valori esterni all’intervallo interquartilico,
Nel corso degli anni 90’, pur essendoci state numerose applicazioni del Delphi e delle sue
numerose varianti, non ci sono particolari innovazioni metodologiche degne di nota. Arriviamo
quindi al 2006 quando Theodore J. Gordon e Adam Pease proposero il Real Time Delphi (Gordon e
Pease, 2006). Il metodo, che è un Delphi computerizzato, non prevede round successivi pertanto
porta ad una maggiore efficienza in termini di tempi di esecuzione. I partecipanti possono rivedere
le proprie posizioni tutte le volte che vogliono, nel mentre osservano i risultati aggregati di tutti gli
altri partecipanti. Infatti, le sintesi statistiche delle risposte date dai partecipanti vengono calcolate
in tempo reale ed automaticamente aggiornate e visualizzate sull’interfaccia ogni volta che un
esperto fornisce una nuova valutazione. Il Real Time Delphi è un Delphi condotto in forma di
questionario on-line, che però non deve essere confuso con un normale Delphi condotto sul web,
che invece può essere definito Internet Delphi. La caratteristica principale del Real Time è che esso
non prevede singoli e specifici rounds di iterazione, ma il processo di valutazione, calcolo delle
sintesi statistiche, visualizzazione dei risultati e rivalutazioni, è continuo. Gli esperti che vengono
invitati a partecipare ricevono una password per accedere al questionario on-line e, nell’ambito di
un intervallo di tempo prefissato (che può variare da pochi giorni fino a diverse settimane) hanno la
possibilità di fare le loro valutazioni, scrivere le argomentazioni e rivalutare ogni volta che lo
ritengono opportuno. Le sintesi (mediane, medie o quartili) vengono ricalcolate automaticamente
ogni volta, per cui il partecipante è in grado di vedere, in tempo reale, fino a che punto le sue
precedenti valutazioni rimangono dentro l’intervallo interquartile o vicino alla mediana. Quindi, le
principali innovazioni di questo metodo sono il calcolo in tempo reale delle sintesi statistiche e
l’assenza di round di iterazione. Questi elementi permettono di eseguire studi, anche complessi, su
larga scala, dando la possibilità di raggiungere esperti in qualunque parte del mondo, e di svolgere
tutto in brevi periodo di tempo.
Per dare la possibilità agli esperti di fornire delle argomentazioni scritte è previsto, per ogni
domanda, un pulsante che permette di accedere ad una apposita finestra dove sono elencati tutti i
commenti forniti fino a quell’istante e dove l’esperto può aggiungere il proprio punto di vista. In
questo modo per ogni quesito, assieme alla media o ai quartili, si forma mano a mano una lista di
commenti che sono altrettanto preziosi ai fini della ricerca.
Dato che in genere in questi questionari sono presenti diverse domande (a volte anche fino a 50 o
oltre) al partecipante è data la possibilità di interrompere la compilazione del Delphi in ogni
momento, salvando le risposte date. Quando lo deciderà potrà tornare nell’interfaccia, continuare la
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compilazione del questionario e/o rivedere le precedenti valutazioni. questo produce un altro
vantaggio, perché a differenza dei classici questionari o del Delphi tradizionale, non costringe il
rispondente a completare tutto il questionario in una unica seduta e, soprattutto, entro una scadenza
prefissata. In altri termini l’esperto si sente libero di rispondere anche a una parte del questionario,
di rivalutare solo alcune delle sue valutazioni, di scegliere la sequenza di domande a cui rispondere
e, soprattutto, di farlo quando lo ritiene più opportuno.
L’ultima innovazione fra i metodi Delphi-derivati è lo Spatial Delphi (Di Zio e Pacinelli, 2011).
Dato che in molte applicazioni è presente una problematica legata al territorio, Di Zio e Pacinelli
(2011) hanno introdotto una interessante innovazione: quando un problema decisionale prevede la
scelta di un luogo dove un evento futuro può accadere, può essere utile ricorrere a un panel di
esperti per identificare un’area, sufficientemente piccola, dove l’evento si potrà verificare. Lo
Spatial Delphi si basa sulla sostituzione di alcuni degli elementi base del Delphi con degli analoghi
che sono di tipo spaziale/territoriale. Dopo aver definito il problema di ricerca e costruito il panel,
agli esperti viene chiesto, nel primo round, di indicare su una mappa con un punto (detto punto
opinione), il luogo dove egli ritiene più probabile il verificarsi di un evento futuro (ad esempio, nel
loro lavoro gli autori hanno fatto una applicazione sui terremoti). Il risultato del primo round è
rappresentato perciò da una nuvola di punti su un dato territorio. Su questa nuvola si costruisce un
cerchio, di raggio minimo, che contiene il 50% dei punti forniti, pertanto il cerchio è l’analogo
territoriale dell’intervallo interquartile. Nel secondo round si chiede agli stessi esperti di
riposizionare i loro punti cercando però di stare dentro il cerchio, così come nel Delphi classico si
chiede di rimanere nell’intervallo fra il primo e terzo quartile. Chi volesse posizionare un punto
fuori del cerchio lo può fare a condizione di fornire una motivazione scritta, in modo da innescare il
dibattito fra i partecipanti. Dopo la raccolta della seconda nuvola di punti si ricalcola un nuovo
cerchio e si ripete, come nel Delphi, la procedura per un certo numero di round, fino ad arrivare ad
un cerchio finale (detto cerchio di convergenza) sufficientemente piccolo per ritenere l’indagine
conclusa.
Fra i vantaggi di tale metodo vi è il fatto che il posizionamento di un punto su una mappa è
rapido e intuitivo, quindi non costringe il partecipante a fare ragionamenti complessi ed
elaborazioni cognitive sul quesito posto, come accade invece nei questionari classici. Nella versione
base la mappa è cartacea ma nella versione più evoluta gli autori propongono una mappa digitale
(costruita con un sistema di informazione geografica – GIS) che, pertanto, può essere spedita via
web riducendo enormemente i tempi di esecuzione di tutta la ricerca. Nell’applicazione sui
terremoti (Di Zio e Pacinelli, 2011) si è riscontrato un tasso di abbandono praticamente nullo,
pertanto si pensa che la facilità nel fornire le risposte in forma grafica e intuitiva, riduce o elimina
del tutto il classico problema dell’abbandono, tipico del metodo Delphi.
Come futura evoluzione di questo metodo stiamo attualmente studiando la possibilità di integrare
l’idea dello Spatial Delphi con la logica del Real Time Delphi, in modo da sfruttare i vantaggi di
entrambi i metodi. I punti sulla mappa possono essere spostati più volte dallo stesso esperto e il
cerchio di convergenza viene ricalcolato (cioè spostato e ridimensionato) ogni volta che un nuovo
punto viene inserito sulla mappa. Questo porterebbe alla messa a punto di un nuovo metodo che
chiamiamo Spatial Real Time Delphi.
Nella Tabella 1 riportiamo schematicamente l’elenco dei vari metodi discussi in precedenza con
a fianco il riferimento bibliografico.
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Tabella 1. Evoluzione cronologica dei metodi Delphi-derivati
METODO
RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO
Delphi
Dalkey N., Helmer O., 1963
Policy Delphi
Turoff M., 1970
Mini Delphi
Helmer O., 1972
Markov-Delphi
De Groot, 1974
Shang
Ford D. A., 1975
Nominal Group Techn.
Delbecq,Van Da Ven, Gustafson, 1975
Decision Delphi
Rauch W., 1979
Abacus Delphi
Régnier F., 1986
Real Time Delphi
Gordon T. J., Pease A., 2006.
Spatial Delphi
Di Zio S., Pacinelli A., 2011
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