Palazzo Doria Spinola - Ger-sO

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Palazzo Doria Spinola - Ger-sO
Il Palazzo Doria Spinola
Il palazzo venne costruito intorno al 1541, per conto del capitano Antonio Doria —nipote del più famoso Andrea
— dopo che questi aveva dovuto cedere al governo di Genova il suo palazzo, presso la porta di S. Tommaso, che
fu demolito per far posto alla nuova cinta muraria della città.
La scelta per la nuova abitazione cadde su di una zona completamente diversa dalla precedente, che era vicina al
mare: cioè su di una zona quasi di campagna, alta sui colli, che consentiva (allora) di dominare tutta la città.
L’aspetto esteriore originario del palazzo, e la sua pianta, sono riprodotti dal Rubens nel suo volume sui palazzi
di Genova: la facciata presenta un andamento basso e allungato del tutto diverso dall’attuale, che è conseguenza
di una sopraelevazione settecentesca e dall’abbassamento del livello stradale, in seguito all’apertura di via Roma
nel diciannovesimo secolo.
Nelle tavole del Rubens la facciata mostra un piano terreno ed un piano nobile, oltre a due piani di mezzanini; il
cornicione appare sostenuto da archetti di derivazione lombarda; il tetto è coronato da fantasiosi ed enormi
comignoli che, se in parte possono essere addebitati al gusto barocco del Rubens, non devono certo essere molto
diversi da quelli effettivamente esistenti, in questo come in altri palazzi, coronati da mensole, architravi,
pinnacoli: qualcuno esiste ancora, nel centro storico (vico S.Luca, ad esempio).
Proprio lo strano cornicione, sostenuto da archetti, ha per lungo tempo impedito l’identificazione del palazzo di
Antonio Doria nella figura 42 del volume di Rubens: la conferma venne soltanto quando, verso il 1938, durante
un restauro della facciata, verso piazza Corvetto, vennero scoperte sotto gli intonaci del 1700 le mensole in
pietra grigia che sostenevano tali archetti (mensole lasciate in evidenza dai restauratori).
Il gusto barocco del Rubens, tendente ad accentuare i chiaroscuri, si riflette anche sulla decorazione della
facciata, che sembra ornata da elementi architettonici in rilievo, mentre in realtà (con l’unica eccezione del
portale di Taddeo Canone) era decorata con quadrature e timpani ad affresco intorno alle finestre, sormontati da
figure sdraiate, mentre le superfici murarie tra le finestre del piano nobile erano decorate con composizioni
figurate coloratissime e animate; sopra correva una fascia decorata con figure maschili sdraiate; sotto le finestre
un fregio di putti, che sovrastava a sua volta un fregio con festoni; mentre altre composizioni figurate dovevano
esistere tra le finestre del piano terreno.
Questa trionfale decorazione era dovuta, secondo l’affermazione del Soprani, a Lazzaro e Pantaleone Calvi,
allievi di Perin del Vaga.
Rubens riproduce anche le piante dei due piani dell’edificio, rimaste pressochè invariate, se si escludono alcuni
vani in fondo al cortile, parzialmente rifatti in epoche diverse.
Occorre notare che le piante del Rubens sono speculari rispetto all’originale, per cui lo scalone risulta a destra,
mentre in realtà era a sinistra del portale d’ingresso; lo stesso dicasi per il giardino, sulla pianta posto a sinistra,
mentre in realtà doveva trovarsi verso l’attuale piazza Corvetto.
Architettonicamente l’atrio e il cortile non sono mutati rispetto a quelli voluti da Antonio Doria: l’unico dubbio
riguarda la scala posta tra l’atrio e il cortile, che non risulta nella pianta del Rubens, e neppure nel rilievo del
Gauthier, che mostra tra atrio e cortile un pavimento in leggera pendenza, secondo qualcuno (F.Caraceni) la
scala potrebbe essere stata aggiunta posteriormente, in occasione di un abbassamento del livello dell’atrio, ma
l’ipotesi, già scartata da Rotondi, non sembra condivisibile.
La decorazione dell’atrio fu affidata (1584) a Marcantonio Calvi, che vi rappresentò sul soffitto Antonio Doria in
assetto di guerra; la decorazione originaria della pareti, con quadrature ad affresco, è scomparsa sotto le
magniloquenti figure a monocromo che Filippo Alessio dipinse nel XIX secolo; figure che, eseguite a secco,
hanno peraltro soltanto coperto la primitiva decorazione, come hanno messo in rilievo alcuni saggi di restauro.
Sull’architetto autore del palazzo non si hanno notizie certe: alcuni documenti parlano di Bernardino Cantone,
mentre da parecchi studiosi, in base alla lettura stilistica del cortile viene avanzato il nome dì G.B. Castello, detto
il Bergamasco, nome che peraltro non risulta da alcun documento ufficiale (il Bergamasco è l’autore del palazzo
Imperiale di Campetto, del palazzo ove ha sede la Camera di Commercio, del Palazzo Pessagno di salita
S.Caterina).
E probabile, comunque, che il Bergamasco si sia limitato a terminare un’opera iniziata da altri: vi è infatti
notevole differenza fra la struttura del palazzo, i saloni con volte a lunette di sapore arcaico, e le ariose volte
delle due gallerie del cortile, decorate con una grande stella a quattro punte.
Che il cortile, col suo loggiato, sia posteriore alla progettazione del corpo dell’edificio sembra confermato anche
dal raccordo tra le volte del cortile e lo scalone: questo inizia e termina con un arcone, decorato con marmi
scolpiti, che non è in asse con il centro della volta del loggiato su cui si innesta; anzi, la volta in parte copre
l’arco di marmo decorato: segno di un raccordo “aggiustato” dovendo tener conto di elementi preesistenti.
L’intero palazzo fu decorato con affreschi che, seppure di qualità non omogenea, ricoprirono tutte le superfici
murarie: si è già detto della facciata, decorata da Lazzaro e Pantaleo Calvi, e dell’atrio decorato dal figlio di
quest’ultimo, Marcantonio.
Antonio Calvi, fratello di Marcantonio, decorò le volte delle logge del cortile e le lunette sottostanti con figure di
putti e personaggi mitologici, e le pareti con figure di guerrieri a monocrome.
Il loggiato superiore del cortile fu decorato nei 1584 da un altro Calvi, Felice, con figure mitologiche e
quadrature nelle volte e nelle lunette sottostanti, e con piante di città nei sottostanti riquadri.
Le trasformazioni del palazzo
Nel 1624 gli Spinola subentrarono ai Doria nella proprietà del palazzo, ed effettuarono radicali trasformazioni,
presumibilmente in diverse epoche: furono aperti i balconcini al piano nobile, distruggendo in parte il fregio di
putti; furono abbassate le finestre del primo mezzanino, distruggendo la decorazione alla sommità delle finestre
del primo piano; fu aggiunto un piano in altezza, alterando l’andamento longitudinale che il palazzo aveva, ancor
più accentuato dalla “galleria” che era stata eretta nel 1600 a destra della facciata, in prosecuzione di questa
verso la chiesa di S.Marta.
Fu questo, il realtà, l’intervento più qualificante degli Spinola, per due motivi: anzitutto l’architetto autore di tale
galleria, cioè Bartolomeo Bianco; in secondo luogo i motivi di tale allargamento, cioè la celebrazione delle
glorie della famiglia senza distruggere gli affreschi dei saloni principali, già decorati da Luca Cambiaso.
Della galleria, dopo la distruzione avvenuta in seguito al taglio di via Roma, non si è mai parlato.
Una notizia possiamo dare con sicurezza, cioè la paternità del Bianco, ed è dovuta alla cortesia di Armando di
Raimondo, che sta conducendo un’importante ricerca su questo architetto, e nell’archivio di Stato ha trovato il
contratto relativo a tale parte di edificio.
Lo scopo della galleria era quello di avere una disponibilità di sale in cui far decorare ad affresco le imprese di
Ambrogio Spinola in Fiandra: autore ne fu probabilmente Andrea Ansaldo, che decorò anche le sale della Villa
Spinola di S.Pietro a Sampierdarena con il mito di Perseo (trasposizione mitologica, secondo Ezia Gavazza,
dello stesso Ambrogio Spinola).
Unici resti di tale ciclo di affreschi sembrano essere, al piano nobile, la decorazione del salotto di Orfeo —
dell’Ansaldo e di Valerio Castello — nonchè la figura alata con putto affrescata sul soffitto di una saletta
adiacente alla sala del Carro del Sole.
Sulla facciata si ebbero tradizionalmente interventi del pittore Giuseppe Palmieri, e di un certo Zymer, ufficiale
del presidio tedesco; tali interventi vanno ricercati nella ripresa dei monocromi bronzei tra le finestre del piano
terreno; nonché nelle pitture dell’attico (gesta della famiglia Spinola e i soprastanti putti tra le finestre del
mezzanino).
All’interno l’edificio subì la già citata trasformazione “a padiglione” delle volte di alcuni saloni; l’apertura della
doppia scala in fondo al cortile, che sboccava sulla loggia superiore, dove adesso è la veduta di Genova.
Sul loggiato superiore furono aperte porte per l’accesso diretto ai diversi saloni; queste porte furono circondate
di scenografiche quadrature barocche che, ricoperte nei restauri del ‘900, sono venute in luce di recente (porta
del salone del prefetto).
Sopra numerose porte del cortile, furono aperte nicchie ovali, verosimilmente per contenere busti di personaggi,
oggi spariti. Agli inizi dell’800, si presume, fu attuata la completa copertura degli affreschi del cortile e dello
scalone, evidentemente molto sciupati, con un nuovo intonaco, decorato con tinte chiare e un leggero fregio
(quale si può ancora vedere nello scalone). Solo le piante di città furono lasciate in vista. Nel XIX secolo furono
anche decorate le volte di alcune sale, non ad affresco, bensì “a secco” sulle decorazioni originali. Sulle pareti
dell’atrio Filippo Alessio e Michele Canzio dipinsero le statue a monocromo, inserite su un fondale con finte
prospettive architettoniche che falsarono completamente il carattere chiuso del vano cinquecentesco.
Nel 1869, in un locale del piano terreno (con accesso diretto da salita S.Caterina) fu aperta la “Sala Sivori”,
dedicata al violinista Camillo Sivori, allievo di Paganini, che vi tenne il concerto inaugurale.
Nella sala, affrescata da Alfonso Reanda e dal Semino, si esibirono famosi concertisti; nel 1892 vi si tenne il
congresso di fondazione del Partito Socialista.
L’intervento che veramente stravolse il palazzo, con tagli irreparabili, fu l’apertura di via Roma e la sistemazione
delle strade circostanti: in vista di tali “tagli” il palazzo, nel 1870, fu acquistato dal Comune di Genova;
successivamente fu demolita la galleria del Bianco senza neppure tentare lo strappo degli affreschi ivi esistenti;
fu tagliato lo spigolo a destra della facciata; fu abbassato il piano stradale di circa un metro e conseguentemente
fu abbassato il piano dell’atrio.
Il palazzo, così, da dimora suburbana, circondato dal verde della campagna, divenne un chiuso blocco, destinato
a far da fondale ai nuovi fasti urbanistici della Genova ottocentesca; l’aspetto visto da largo Lanfranco divenne
— anche per la quasi totale scomparsa degli affreschi — più di fortezza che di palazzo suburbano.
Bibliografia
M. Pierre Gauthier, Les plus beaux édifices de la ville de Genes, Paris, 1818
F. Alizeri, Guida illustrativa per la città di Genova, Genova, 1875, pp. 232—244
U. Nebbia, Il restauro e la ricomposizione della tacciata del Palazzo del Governo,1938
E. Poleggi, Il palazzo di Antonio Doria all’Acquasola, in Palladio, 1957 P. Rotondi, Il palazzo di Antonio Doria a Genova, Siglaeffe, Genova, 1958 B.
Suida Manning, W. Suida, Luca Cambiaso-La vita e le opere, Ceschina, MIlano, 1958 E. e F. Poleggi, Descrizione della città di Genova da un anonimo
del 1818, Sagep, Genova, 1969 M. Labò, I palazzi di Genova di P.Paolo Rubens, Tolozzi, Genova, 1970 P. Torriti, ‘Luca Cambiaso”, in La pittura a
Genova e in Liguria, voi, I, Sagep, Genova, 1970 G. Biavati, Ipotesi per una vicenda artistica nel palazzo di Antonio Doria, in ‘Genova”, 1974, n.I pp. 3440 O. M. Rietmann, Il violino e Genova, Sagep, Genova, 1975 E. Peleggi, Iconografia di Genova e della riviera, Sagep, 1976 F. Caraceni, Palazzo Doria
Spinola, Sagep, 1976 (*)
Il presente Saggio, è riportato testualmente da “Storia della Provincia di Genova”, una pubblicazione edita dalla Provincia di Genova nel maggio 1980 - a
cura di M.Bottaro (coordinamento), P.Cavanna e P.Loss (grafica), M.Boccaccio, B.Cervetto, M.Fantoni, G.Isola, R.Olivieri e con la collaborazione di
I.Carlini – e ovviamente è già, in alcune parti, datato.