NIHONTO - introduzione

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NIHONTO - introduzione
NIHONTO
- introduzione -
La spada giapponese è stata descritta come "l'anima vivente del samurai, e come l'orgoglio dei
guerrieri e l'argomento dei poeti". Il Bushi (guerriero) considerava la sua spada come il bene più
prezioso dopo l'onore e la venerava in maniera quasi superstiziosa; per più di cinque secoli intere
scuole di forgiatori hanno dedicato le proprie migliori energie esclusivamente a costruire e
decorare spade.
Uno sguardo agli innumerevoli riferimenti alla spada nelle leggende giapponesi, nonché alla
minuziosa etichetta alla quale si deve attenere chi la utilizza o chi ne trasporta una, dimostra come
quest'arma abbia enormemente influenzato la vita dei samurai dell' antico Giappone.
A parte la sua straordinaria efficacia come arma da combattimento, probabilmente insuperata nel
mondo, la katana era considerata come l'emblema più vero ed autentico della virtù, del valore e
della forza del guerriero, che aveva il potere di rafforzare la sua fermezza e di proteggerlo da ogni
tentazione che potesse infangare il suo nome o quello dei suoi antenati.
Va notato infine come i cinque elementi (acqua, terra, fuoco, legno e metallo) prendano tutti parte
al complesso processo di forgiatura (che non consiste semplicemente in una serie di operazioni
effettuate meccanicamente, ma di un vero e proprio rito nel quale lo spadaio entra in simbiosi con
la lama che sta creando), con la lama che combina la purezza del metallo con l'energia del fuoco
utilizzato per forgiarla.
IL MITO
Nel Kojiki, testo sacro fondamentale dello Shintoismo, si narra di come Haya Susanoo, figlio di
Izanagi ed Izanami (gli dei creatori del Giappone) venne esiliato nella regione di Izumo. Qui il dio
venne a sapere che ogni anno un enorme drago dalle otto teste si presentava nella regione ed
esigeva come tributo una vergine. Haya Susanoo si offrì di sconfiggere il drago e, facendolo
ubriacare con otto botti di sakè, riuscì ad ucciderlo. Cominciò quindi a tagliarlo a pezzi con la sua
spada ma, arrivato alla coda, la lama di ruppe. Incuriosito aprì la coda e scoprì che al suo interno
era custodita la grande spada Tsumugari (la ben affilata).
Subito riferì l'accaduto ad Amaterasu (la dea del sole), che decise di donare la spada, insieme allo
specchio e ai Magatama, a suo nipote Ninigi, incaricandolo di regnare sul Giappone e di
tramandare questi tesori ai suoi successori.
Il decimo imperatore, Suigin, fece porre successivamente la spada nel tempio di Ise.
Il principe Yamato Takeru, figlio del quattordicesimo imperatore, si fece prendere la spada dal
tempio e la portò con sé nella sua campagna contro gli Ainu. Un giorno i nemici attirarono il
principe in una prateria e diedero fuoco alla vegetazione; Yamato Takeru allora falciò le erbe (altre
versioni raccontano che la spada agì magicamente da sola) velocemente e si creò un varco. Da
quel giorno la spada prese il nome di Kusanagi no Tsurugi; ancora oggi ì uno dei tre tesori che
vengono consegnati ad ogni imperatore giapponese all'atto del suo insediamento.
Fa riflettere che la spada leggendaria provenga dalla regione di Izumo, ricca di minerali ferrosi e
quindi zona ideale per i forgiatori di lame.
LA SPADA ATTRAVERSO I SECOLI
La lavorazione del ferro, sia per fusione che per forgiatura, era conosciuta nella Cina del Nord sin
dal VI secolo a. C. Il Giappone nel 362 d.C. invase la Corea e, rimanendovi per duecento anni,
ebbe modo di acquisire dalla vicina Cina la conoscenza delle armi di ferro ed in particolare della
spada, dritta e ad un solo taglio. Fino ad allora, le armi erano state sempre prodotto in pietra e in
bronzo, durante le culture Jomon Yayoi.
Dopo una massiccia importazione di spade cinesi, reperibili nelle sepolture preistoriche, il
Giappone sul finire del quarto secolo inizia una propria produzione di spade in ferro, elaborando e
raffinando tecniche e forme assolutamente originali.
Queste prime spade, chiamate jokoto, erano dritte e la lama (tachi) era lunga dai 90 cm al metro,
secondo le misure che vengono date nel Kojiki e nel Nihonshoki. Già in quest'epoca erano presenti
vari tipi di spade, come la tsurugi (molto appuntita con il filo su tutti e due i lati della lama, spesso
raffigurata nell'iconografia buddista), la tsurugi no tachi (con il filo da un solo lato nella parte di
lama vicino all'impugnatura e doppio verso la punta) o la warabite no tachi (una specie di corto
pugnale nel quale la lama, spessa e larga, e l'elsa sono formate da un unico pezzo di metallo
lavorato).
Con l'avvento del periodo Heian (794- 1185) la lama comincia ad assumere alcune caratteristiche
distintive che renderanno la spada giapponese simile a come la intendiamo oggi (migliorandone
l'efficacia come arma e la bellezza come oggetto d'arte), come una lunghezza media di 80 cm, una
certa riduzione di spessore rispetto al periodo precedente e, soprattutto, la curvatura vicino
l'impugnatura (koshizori), che indica come in battaglia fosse ormai diventato più importante il
fendente piuttosto che la stoccata. Bisogna ricordare che in questo periodo numerose guerre
scoppiarono in tutto il Giappone, ed un editto governativo del 984 (attraverso il quale si vietava ai
civili, tranne a color che fossero in possesso di un permesso speciale, di indossare spade) ci
mostra come in quel tempo il possesso di un'arma fosse diventata un'abitudine diffusa tra la
popolazione.
Nel primo periodo Kamakura (1185-1333), durante il quale la classe militare divenne la colonna
portante del paese, si assiste allo sviluppo del tanto, una specie di corto pugnale che si portava
alla cintura, e alla nascita del kodachi (piccola tachi), sulla cui origine si discute ancora. Si pensa
venisse generalmente usato accompagnandolo al normale tachi (forse come un primitivo daisho),
o che fosse un tipo di spada specificatamente pensato per guerrieri molto giovani. In ogni caso, a
parte le dimensioni ridotte (la lama misurava meno di 60 cm), esteticamente si presentava come
un classico tachi.
Nel 1274 e nel 1281 il Giappone venne invaso dai Mongoli, e si salvò entrambe le volte grazie
all'intervento del provvidenziale kamikaze (il "vento divino" che spazzò via la flotta mongola).
Temendo un terzo assalto (che tuttavia non si verificò mai), in tutto il paese le manovre militari si
intensificarono e la produzione di spade aumentò. Uno dei risultati di questo incremento di
produzione fu la creazione di un nuovo tipo di spada, la ikubi kissaki no tachi, leggermente più
larga e spessa delle precedenti.
Anche la produzione di tanto aumentò notevolmente, probabilmente a causa del perfezionamento
che le tecniche di combattimento stavano subendo in questo periodo; il tanto infatti si rivelava
molto utile nel combattimento ravvicinato (era lungo infatti attorno ai 25 cm), nel quale la lunga
tachi non si dimostrava altrettanto maneggevole.
Verso la fine del periodo Kamakura cominciò a manifestarsi la tendenza ad allungare le lame,
costume che esplose nel periodo Nambokucho (1333-1391), durante il quale la lunghezza delle
spade divenne di circa un metro; questa tendenza colpì anche la naginata (l'alabarda).
Il motivo di queste esagerazioni va ricercato probabilmente nel fatto che in questo periodo
esistevano due corti imperiali contrapposte che ovviamente rivaleggiavano tra di loro, e che quindi
cercavano di ostentare il proprio potere anche attraverso il dispiego di attrezzature militari ed armi
dall'imponente apparenza.
Il periodo Muromachi (1392- 1573) vede l'unione delle due corti rivali, e quindi cessa di esistere la
necessità di ostentare armi di proporzioni esagerate; si ritorna quindi alle dimensioni consuete, ma
presto nuove innovazioni appaiono sulla scena.
Nasce un nuovo tipo di spada, la uchigatana, che possiede due caratteristiche principali: la
curvatura è vicino alla punta (sakizori) e non vicino all' impugnatura (koshizori) come nelle spade
precedenti. L' uchigatana, inoltre, veniva portata con il filo rivolto verso l'alto. Questo perchè si
stava diffondendo la tecnica di combattimento che prevedeva estrazione ed attacco con un unico
movimento (tecnica che più tardi prenderà il nome di Iaijutsu); ciò era possibile solo se il filo della
lama, al momento dell'estrazione, era rivolto verso l'alto, e la curvatura sakizori rendeva più
agevole la procedura.
Le uchigatana venivano forgiate con varie misure. Quelle più lunghe di 60 centimetri erano
chiamate katana (termine che col tempo passerà ad indicare tutte le spade in generale), mentre
quelle più corte erano chiamate wakizashi o ko-dachi.
In ogni caso le spade di questo periodo erano realizzate abbastanza alla buona, in quanto le lame
più diffuse erano ancora le tachi. Uchigatana di qualità cominceranno ad essere prodotte solo nel
periodo Momoyama.
Verso la fine del periodo Muromachi si diffonde un nuovo tipo di tanto, lungo solo 15 centimetri,
che veniva portato nascosto tra le vesti.
La più importante innovazione nel campo delle spade, che avvenne tra la fine del sedicesimo
secolo e l'inizio del diciassettesimo (tanto è vero che le spade prodotte dal periodo Momoyama in
poi saranno chiamate Shinto, nuove spade), fu il praticamente totale abbandono del tachi e
l'abitudine di portare una coppia di uchigatana (katana e wakizashi) insieme; questa coppia prese il
nome di daisho (grande-piccolo) e si diffuse sempre più, anche se nei primi tempi le lame di questi
daisho non erano altro che tachi accorciate per lo scopo.
Come per il kodachi, anche l'introduzione del wakizashi non ha una spiegazione ben definita.
Tuttavia si può cercare una spiegazione nell'abitudine, per i samurai, di lasciare la katana
all'esterno di un edificio ed entrare armati solo di wakizashi, che quindi troverebbe la sua ragion
d'essere nel venire usata come un'arma per combattimenti al coperto (anche se il più famoso
utilizzatore del daisho fu Miyamoto Musashi, il grande samurai che per primo formalizzò l'utilizzo
contemporaneo in combattimento di katana e wakizashi)
Con l'introduzione e la diffusione del daisho, il tanto cadde in disuso. Venne utilizzato però, col
nome di harakirigatana, per compiere il suicidio rituale (harakiri, appunto).
Nel 1876, otto anni dopo la restaurazione Meiji, venne promulgato un editto che proibiva ai
samurai di portare la spada; in questo modo, di riflesso, i maestri forgiatori di spade si ritrovarono
senza lavoro. Tuttavia anni dopo (dopo le guerre contro Cina e Russia) la produzione di spade
riprese, essenzialmente per gli ufficiali dell'esercito; queste lame prendono il nome di gendaito
(spade moderne). Tuttavia dopo l'editto Meiji molti armaioli avevano abbandonato l'arte, ma
Gassan Sadakazu, uno spadaio di Osaka, non aveva mai smesso di forgiare spade e nel 1906
venne nominato Armaiolo ufficiale della Corte Imperiale.
La sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale, e la conseguente occupazione delle
forze occidentali, fu un altro duro colpo per l'arte della forgiatura delle spade, in quanto gli
occidentali vietarono la produzione di armi di qualsiasi tipo (anche le arti marziali a mani nude
vennero proibite).
Ma nel 1953 venne emanata una nuova legge che permetteva la forgiatura delle spade, e nel
1954, sotto il patrocinio della neofondata "Società per la preservazione dell'arte della spada
giapponese" si tenne la prima esposizione postbellica di spade; da allora si sono susseguiti
numerosi eventi di questo tipo.
IL SEGRETO DELL'ACCIAIO: IL TAMAHAGANE
Uno dei segreti dell'insuperata qualità delle spade giapponesi risiede nell'utilizzo di un metallo
eccezionale e particolarissimo chiamato tamahagane (acciaio gioiello), che si ottiene
esclusivamente con il metodo tradizionale giapponese per la fabbricazione dell'acciaio, chiamato
tatara. Questo processo permette di fabbricare un acciaio purissimo (alto contenuto di carbonio,
bassissime percentuali di zolfo e fosforo che potrebbero deteriorarne la qualità), utilizzando sabbia
ferrosa arroventata con fuoco di carbone in una fornace di creta. Dell'acciaio ottenuto con questo
processo, solo una parte, la più perfetta, viene classificata "tamahagane". Il forno tradizionale
misura tre metri in lunghezza, uno in larghezza e uno e mezzo in altezza. Vi si versano sabbia
ferrosa e carbone per un arco di tempo di settanta ore, durante il quale la sabbia ferrosa fonde. In
un ciclo di lavorazione si utilizzano otto tonnellate di sabbia ferrosa e tredici di carbone, che
producono un blocco d'acciaio di circa tre tonnellate. Di questo enorme blocco, solo una tonnellata
+ tamahagane.
Dopo la seconda guerra mondiale (durante la quale vennero prodotte molte spade per gli ufficiali)
tutti i forni tradizionali vennero chiusi e vennero introdotti i metodi siderurgici occidentali, mettendo
in crisi la fabbricazione moderna di sciabole tradizionali.
Nel 1977 la Nihon Bijutsu Token Hozon Kyokai ripristinò le operazioni tatara, grazie ad un
finanziamento del governo. Si ricorse all'aiuto ed alla consulenza di Abe Yoshizo, unico spadaio
sopravvissuto dai tempi della seconda guerra mondiale; egli venne nominato Tesoro Nazionale per
la sua grande abilità nell'arte della forgiatura. Da allora, negli impianti costruiti a Yokotamachi,
viene regolarmente prodotto il tamahagane col metodo tradizionale, e giovani giapponesi vengono
addestrati affinchè quest'antica arte non vada perduta.
LA FORGIATURA
Le tecniche di forgiatura sviluppate dai fabbri giapponesi sono decisamente uniche. Le
caratteristiche distintive di queste opere d'arte sono sempre state la rigidità, l'infrangibilità e
l'incredibile capacità di tagliare; il fascino della spada giapponese sta proprio nel soddisfacimento
di tutti questi requisiti apparentemente l'uno in contrasto con l'altro (l'infrangibilità infatti dipende dal
fatto che l'acciaio deve essere morbido, mentre l'affilatezza dipende dal suo essere duro. Ma se è
troppo duro la spada può spezzarsi, e se è troppo morbido può tagliare poco).
Le parti più caratteristiche e distintive del processo di forgiatura posso essere schematizzate come
segue:
1) La lavorazione di una parte esterna (kawagane), molto dura e ad alto contenuto di carbonio,
formata piegando e battendo lo stesso pezzo di metallo per moltissime volte. Questo processo
elimina impurità come i fosfati e i solfati e produce un numero elevatissimo (anche un milione,
anche se di solito si aggirano attorno ai trentamila) di strati di metallo, rafforzando la lama.
2) La lavorazione di un'anima più morbida (shingane), creata usando un acciaio dal basso
contenuto di carbonio mischiato al ferro utilizzato per i coltelli da cucina. Il tutto viene battuto
numerose volte per ridurre il peso ed inserito all'interno del kawagane.
3) Il fabbro avvolge il kawagane attorno allo shingane e continua ad arroventare (fino a 1100°C) e
battere il tutto (fino ad una della temperatura fino circa a 700°C, poi la spada viene nuovamente
arroventata), creando una lunga sbarra d'acciaio rettangolare che viene lavorata a porzioni di circa
quindici centimetri per volta.
In seguito, taglia un pezzo triangolare da questa lunga sbarra e, lavorando ancora con fornace e
martello sulla parte tagliata, forma il kissaki, la punta della spada.
Continuando ad arroventare e a battere la sbarra di metallo, il fabbro ne assottiglia un lato
(formando il tagliente), imprime la forma e la curvatura alla lama e determina l'uniformità della
distribuzione del metallo in essa.
Successivamente, l'intera lama viene coperta con una mistura di argilla e cenere di carbone
chiamata yakibatsuchi. Questa mistura viene poi rimossa parzialmente seguendo il profilo
desiderato e la lama viene messa (con la cera sopra) nella fornace (la mistura formerà il disegno
dell'hamon, il profilo visibile del tagliente che spesso permette l'identificazione dello spadaio).
L'acciaio inizia ad arroventarsi e ad un certo punto il fabbro esperto si accorge dal colore
della lama che è stata raggiunta la temperatura adatta. In quel momento prende la lama e la
immerge brevemente nell'acqua. Questo è il momento più delicato dell'intero processo di
forgiatura, e il fabbro deve possedere, oltre ad una tecnica eccellente, un'affinità
spirituale con la lama. Ci sono molte tradizioni segrete che riguardano la giusta temperatura
dell'acqua e del fuoco, ma il fattore decisivo è rappresentato dalla temperatura della lama al
momento dell'immersione nell'acqua. Se la temperatura non è quella giusta si possono produrre
crepe nell'acciaio, oppure la lama può piegarsi troppo.
Infine, il fabbro dà gli ultimi ritocchi al nagako (la parte finale non lavorata della lama, quella che va
ad incastrarsi nell'impugnatura, la tsuka), realizzando il mekugi ana (il buco che permette di fissare
il nagako alla tsuka) e firmando la sua opera.
Eventualmente realizzerà anche l'horimono, un'incisione apposta sulla lama e raffigurante vari tipi
di soggetti (canne di bambù, fiori di ciliegio, draghi, divinità, caratteri in sanscrito o altri richiami al
Buddismo).
L'horimono ha origini molto antiche, ed oltre al significato religioso e decorativo ha anche la
funzione di alleggerire la lama.
A questo punto il compito del fabbro finisce, e si passa alle operazioni di politura.
LA POLITURA
Il politore (togishi) lavora con una serie di pietre naturali con un vario potere abrasivo; si tratta di
un'operazione che deve rispettare ed esaltare le geometrie della lama magistralmente prodotta
dallo spadaio. La politura si effettua in due fasi: shitajitogi e shiagetogi.
SHITAJIDOGI
Si procede per brevi sezioni e trattando un lato alla volta, utilizzando inizialmente tre pietre (arato,
binsui e kaisei), con le quali si definiscono le esatte geometrie delle lame già impostate dallo
spadaio. La lama viene passata sulla pietra fissa (mai il contrario), con diverse incidenze di
angolatura; ogni pietra successiva cancella le tracce lasciate dalla precedente.
In seguito si passa alla pietra nagura, sulla quale la lama viene passata in senso longitudinale e
con un movimento leggermente oscillatorio, che rende visibile il profilo dell'hamon.
Infine si arriva alla pietra uchigumori, che serve ad evidenziare i particolari di forgia dell'acciaio.
SHIAGETOGI
In questa fase della politura si usano abrasivi sempre più fini. Le pietre sono utilizzate in spessori
minimi inferiori al millimetro, e passate sulla lama tenuta fissa, contrariamente alla procedura
precedente.
Si comincia con la hazuya (scaglie di uchigumori), che viene utilizzata in quadrati di 2.5 cm di lato
e 0,1 mm di spessore. La hazuya viene passata sulla lama, insieme ad una pasta lubrificante
(tojiru) costituita da una poltiglia di acqua e polvere di uchigumori, lavorandola dallo shinogi al filo,
sempre per piccole aree alla volta; durante questa procedura il boshi (la punta della lama) non
viene toccato. La lama assume un colore biancastro e, se le operazioni sono state bene seguite, la
procedura è di breve durata; segue la politura del ji, operazione che renderà la lama di colore più
scuro e lucido.
Su tutta la lama (sempre ad eccezione della punta) viene ora passato il nugui una sospensione in
olio vegetale di ossido di ferro, residuo dei processi di forgiatura. Questo processo serve per
scurire l’acciaio ed evidenziarne i particolari ed è considerato molto importante, tanto che ogni
politore ha una propria ricetta di nugui.
Il procedimento amori, invece, serve per evidenziare la differenza cromatica tra ji ed ha (il tagliente
delimitato dallo hamon), e si realizza con una pietra hazuya tagliata in forma ovale.
Per ultima si polisce la punta (boshi); isolando il resto della lama già polita coprendola con tessuto
di cotone e delimitando lo yokote (spigolo di separazione tra la punta e la lama) con una striscia di
bambù, si passa la punta sopra un quadratino di hazuya incollato su un cuscinetto di carta a sua
volta posto all'estremità di un apposito strumento di legno. L'aspetto finale del boshi è satinato e
contrastante col resto della lama.
MIKAGI
La lucidatura completa le operazioni di politura; il mune e lo shinogiji (il dorso ed il piatto della
lama) vengono lucidate con i mikagi-bo, piccole aste di acciaio durissimo che, sfregate
velocemente sull’acciaio, ne compattano la superficie rendendola lucida e riflettente.
In ogni caso, ogni lama richiede pietre adatte alla propria peculiare costituzione, per il cui il togishi
dovrà disporre di un'ampia gamma di materiali al fine di esaltare le caratteristiche di ciascuna
spada, che avrà attentamente studiato prima di procedere alla politura.
LA MONTATURA (KOSHIRAE)
Nella spada giapponese la lama è l'elemento di gran lunga più importante ed è quello che la rende
unica rispetto a tutte le altre armi bianche del mondo. Tuttavia per un popolo che, come il
giapponese, ha una spiccata sensibilità artistica ed ha sempre posto un' estrema cura nel
fabbricare anche i più semplici oggetti di uso comune, sarebbe stato impossibile non riuscire a
creare dei veri capolavori anche in un elemento considerato secondario come la montatura delle
spade, nata in origine semplicemente per preservare la lama dall'usura e facilitarne il trasporto.
Le lame, a seconda della tipologia e destinazione d'uso hanno peculiari montature che si possono
classificare nei seguenti tipi fondamentali:
JINDANCHIZUKURI
Questa montatura è destinata sia all'uso sul campo che alla tenuta da cerimonia. Si porta in senso
orizzontale sospesa alla cintura, ed il tipo utilizzato dalla corte Imperiale o Shogunale è sempre
molto decorato, anche con elementi preziosi. Il tipo da guerra è relativamente più semplice ed è
utilizzato ugualmente con certi abiti cerimoniali.
BUKEZUKURI
Questa è la montatura più diffusa a partire dal XV secolo, ed è contraddistinta dalla mancanza di
elementi di sospensione, dal momento che la spada si porta infilata nella Obi (la cintura della
veste) col taglio rivolto verso l'alto.
SHIRASAYA
E' la montatura più semplice (letteralmente shirasaya significa 'fodero bianco'), con tsuka (elsa) e
saya (fodero) ricavati da un pezzo di legno unico, senza tsuba nè altre decorazioni. Funzione della
shirasaya era quella di conservare perfettamente la lama al riparo dagli agenti atmosferici quando
non veniva utilizzata, tuttavia molti samurai utilizzavano questo tipo di montatura anche in
combattimento.
Gli elementi principali delle montature sono (partendo dalla punta della lama):
HABAKI
Pur essendo l'elemento artisticamente meno importante, l'habaki è meccanicamente
indispensabile, tanto da essere presente in ogni tipo di spada giapponese. Si tratta di una solida
fascetta di metallo incastrata tra la fine della lama e la tsuba (ma entra di qualche centimetro
anche nella tsuka), che assolve a molte funzioni: fa da fermo alla lama quando è riposta nel fodero
(evitando estrazioni accidentali o che la lama sfreghi eccessivamente); protegge un delicato punto
della lama dalla ruggine; trasmette l'onda d'urto del colpo attraverso la tsuba fino alla tsuka,
evitando di indebolire il mekugi (vedi sotto).
L' habaki è generalmente fatto di rame lucido (anche se spesso vi veniva inciso un mon, lo
stemma di famiglia), ma occasionalmente ne sono stati prodotti anche in ferro, avorio, e legno.
TSUBA
La tsuba, o guardia, è l'accessorio più importante della spada. Realizzata in ferro o acciaio (anche
se in spade da cerimonia poteva essere di pelle laccata, pelle su legno, oro, osso o avorio), grazie
alla sua grandezza, e al conseguente spazio che ne deriva, offre agli artisti giapponesi una
superficie abbastanza ampia su cui esprimere la propria abilità artistica. Per le loro raffigurazioni
essi presero spunto da racconti popolari, eventi storici, religione, araldica ed opere dei più grandi
pittori cinesi e giapponesi.
Prima del sedicesimo secolo, la maggior parte delle tsuba erano solide, spesse e senza firma, ed
erano realizzate e consegnate al committente dallo stesso fabbro che forgiava la spada. Ma
inevitabilmente, con il miglioramento delle tecniche decorative (e soprattutto con la lunga epoca di
pace inaugurata da Ieyasu Tokugawa), i creatori di tsuba divennero dei veri specialisti.
L'elsa era decorata su entrambi i lati, sebbene la faccia con la decorazione di minore importanza
era quella che guardava la lama; era infatti questa la parte più esposta ai danni derivanti da colpi di
spada. Le tsuba che presentano questo tipo di "ferite" possiedono senza dubbio un tocco
romanzesco che porta a speculare sul loro passato e sull'origine dei tagli, retaggio magari di epici
duelli tra samurai.
La tsuba viene generalmente identificata come appartenente ad uno di cinque gruppi principali:
AORI, MOKKO, OTAFUKU, AOI e SHITOGI (quest'ultima veniva però usata principalmente per
spade cerimoniali. C'erano anche delle forme molto irregolari (volti, pugni ed altre), frutto dell'estro
dell'artista e che non rientrano nelle categorie sopra menzionate.
Spesso, rapiti dall'ammirazione dell'abilità dei creatori della tsuba, non ci si accorge che al centro
c'è un'apertura (nakago ana) attraverso la quale passa la lama. Il nagako ana è compreso in un
ovale generalmente non decorato, chiamato seppa dai, sul quale generalmente l'artista incideva la
sua firma.
In entrambi i lati del nagako ana generalmente si trovano due aperture addizionali (kozuka bitsu e
kogai bitsu), rispettivamente per un coltellino (kozuka) e per uno spillone (kogai), che si andavano
ad infilare in due fessure laterali del fodero. Mentre il kozuka bitsu ha una forma semicircolare, , il
kogai bitsu è a forma di trifoglio.
TSUKA
L' elsa era sempre di legno, preferibilmente di magnolia, formata da due metà incollate insieme
con pasta di riso. Il legno era generalmente coperto da un unico pezzo di pelle (same) di razza
(Rhinobatus armatus), sul quale poi veniva avvolto lo tsukaito, una striscia di seta o cotone
(generalmente di color nero, anche se erano usati anche il marrone, il blu scuro, il verde o il
bianco) disposta e ripiegata in modo tale da coprire interamente la tsuka fatta eccezione per dei
piccoli spazi a forma di rombo che si venivano a formare su entrambi i lati dell'impugnatura. Lo
tsukaito manteneva inoltre fermi i menuki (vedi sotto), ed era bloccato a sua volta dal kashira, il
pomello dell'impugnatura.
MENUKI
Erano una coppia di piccoli ornamenti in metallo decorato che venivano posti in posizione
asimmetrica su entrambi i lati dell'elsa, con la funzione di rafforzare la presa della spada e di
decorarla ulteriormente. Erano lavorati con una decorazione abbinata a quella del kozuka e del
kogai (vedi sotto).
MEKUGI
Il mekugi è un'asticella di bambù (o corno) che, passando attraverso un apposito buco nell'elsa
(mekugi ana) ed infilandosi nella lama, la fissa ed impedisce che esca dalla tsuka.
KOZUKA e KOGAI
Il kozuka (o kogatana) è un coltellino decorato presente nella montatura di alcune spade, e viene
inserito in un apposito spazio ricavato nel fodero.
Il kogai è invece uno spillone (anch'esso decorato) che viene montato nello stesso modo descritto
sopra, e serviva probabilmente a sistemare i capelli sotto l'elmo o a pettinarli.
Essendo questi oggetti prodotti in coppia, le decorazioni sono sempre in comune.
SAYA
Il fodero, come l'elsa, è formato da due parti incollate tra loro, anch'esse realizzate in legno di
magnolia. Era quasi sempre pesantemente laccato, generalmente in nero o comunque con un
colore molto scuro; anche le decorazioni mantenevano questo stile sobrio. Tuttavia era possibile
trovare foderi laccati con colori molto accesi, generalmente quando i proprietari delle spade erano
dei kabukimono (samurai eccentrici che amavano distinguersi dagli altri nell'abbigliamento e nel
modo di comportarsi).
Particolari del fodero erano, oltre ai già citati spazi per custodire kozuka e kogai, il koiguchi (un
anello ovale di rinforzo posto all'imboccatura del fodero, realizzato in metallo o in corno nero di
bufalo) e il kurigata,una protuberanza posta sul fodero, attraverso la quale passava il sageo, una
lunga striscia di corda che aveva molti usi (fissare il fodero alla cintura, legare un prigioniero,
ecc?). Quando la spada non veniva usata, il sageo veniva annodato (seguendo una procedura ben
precisa) attorno al kurigata e al fodero.
TIPOLOGIA DELLE LAME
Questo elenco non ha la pretesa di essere esaustivo, ma solo di dare una panoramica delle
tipologie di lame più diffuse e di fungere da riferimento (unitamente alle tavole finali) per alcuni
termini utilizzati nelle pagine precedenti.
TACHI
Dal periodo Heian fino al primo Muromachi, le spade si portavano appese alla cintura in senso
orizzontale con il taglio rivolto verso il basso. Queste lame erano chiamate Tachi ed avevano una
forte curvatura. La loro lunghezza era solitamente compresa tra i 65 e i 70 centimetri (ma poteva
essere anche maggiore).
NO- DACHI
Era una spada lunghissima e pesante, usata generalmente dai guerrieri a cavallo. La sua
lunghezza superava del 25 % quella di una spada normale, e veniva portata a tracolla sulla
schiena. Questa spada è diventata famosa per essere utilizzata dal celebre samurai Kojiro Sasaki,
che pare riuscisse a tagliare le rondini in volo usando il no-dachi.
KATANA
Questo tipo di lama sostituì la tachi a metà del periodo Muromachi e divenne la spada più diffusa
del paese. Lunga attorno ai 70 cm, la katana si portava infilata nello obi (la cintura) con il taglio
rivolto verso l'alto.
CHISA- KATANA
Come dice il nome stesso, si trattava di katana più corta del normale, dalla lunghezza compresa
tra i 55 ed i 59 centimetri.
WAKIZASHI
Spade di lunghezza compresa tra i 30.3 cm e i 59 centimetri vengono chiamate wakizashi e si
portavano come la katana. Fino alla fine del periodo Edo, katana e wakizashi erano portate
insieme e formavano il daisho, emblema dell'appartenenza alla casta samuraica.
TANTO
Si chiamano così tutti i pugnali usati dai samurai e in generale tutte le lame fino a 30.3 centimetri.
KAIKEN
Piccolo pugnale di circa 13 centimetri, spesso finemente decorato ed utilizzato dalle donne.
YOROI- DOSHI
E' un pugnale particolarmente spesso e potente, con una lama di lunghezza compresa tra i 25 ed i
30 centimetri che veniva usato usata per penetrare le lamelle delle armature. Si portava infilata
verticalmente nella cintura sulla schiena, ma anche sul fianco destro col filo verso l'alto. Veniva
usata a distanza ravvicinatissima sui campi di battaglia, dove i samurai combattevano corpo a
corpo con le armature indossate.
JITTE
Anche se non si tratta propriamente di una lama, veniva portata come tale. Era lunga circa 30
centimetri ed aveva sezione quadrata, esagonale o tonda; veniva usata per parare i colpi di spada
e spezzarne la lama. Aveva praticamente lo stesso uso della "Mano Sinistra" utilizzata in
occidente.
Durante il periodo Edo era il simbolo dei poliziotti e dei pubblici ufficiali del governo (metsuke) che
lo usavano come distintivo.
CONCLUSIONE
E' ormai chiaro che la spada in Giappone non è mai stata considerata una semplice arma. Le
spade più pregiate venivano personificate o addirittura deificate, una consuetudine ancora oggi in
uso. Molte spade vennero proclamate kami (esseri soprannaturali, divinità), indicazione degli
attributi divini e delle qualità supreme loro ascritte. La letteratura giapponese narra storie di spade
magnifiche che, essendo kami, diedero alla luce altri kami; di spade che andavano e venivano da
sole o che si avventuravano in mare; di spade che uscivano magicamente dal fodero e
combattevano per il proprio padrone in caso di pericolo; che punivano la profanazione con la
malattia o con la morte, o che curavano le infermità ed esaudivano le preghiere.
Mi è sembrato interessante concludere questo lavoro con un articolo di Dave Lowry, che con
poche parole riesce perfettamente a dare un'idea dei numerosi volti che caratterizzano la spada
giapponese.
"Per provare una spada forgiata dal maestro armaiolo Muramasa, un samurai posizionò il filo della
lama rivolto verso la corrente di un ruscello. Una foglia trascinata a valle sfiorò la spada e, grazie
alla sola forza della corrente, venne tagliata di netto. Questo genere di prova era considerata il test
definitivo per stabilire la qualità di una spada, finchè qualcuno non pensò di sottoporvi una lama
forgiata dal maestro di Muramasa, il grande Masamune. La spada di Masamune venne allora
piantata nel ruscello e la corrente portò verso di essa un'altra foglia. A quel punto,
miracolosamente, la rotta della foglia mutò. Essa galleggiò attorno al micidiale filo, riprendendo la
sua corsa intatta, come se la spada di Masamune possedesse un benefico potere che andava al di
là della sola capacità di portare distruzione".
La spada (ken), insieme al gioiello ed allo specchio, costituisce uno dei tre sacri tesori associati
alla mitica creazione del Giappone. Ancora oggi in taluni casi la forgiatura di una spada avviene
secondo un rituale mistico; l'armaiolo compie il suo lavoro indossando l'abito bianco simile a quello
dei monaci shintoisti. Accompagnato dai suoi assistenti, equipaggiati con martelli dalla lunga
impugnatura, recita canti mentre martella sull'incudine con un ritmo particolare e la barra d'acciaio
riluce emettendo lapilli luminosi. Battuto ed arroventato, il metallo viene manipolato e ripiegato fino
a formare migliaia di lamine. L'intero rituale si svolge di fronte d un altare scintoista e ad altri
paramenti rituali che adornano la forgia, e prevede stadi di conoscenza sia rituale che tecnica noti
soltanto al forgiatore. Il prodotto finale è un'arma che ispira una sorta di stupore mistico, come la
lama di Masamune. Il ken esiste in una dimensione che sta tra il reale ed il fantastico.
Il kanji per ken ha un semplice radicale, due tratti che rappresentano la lunga lama della spada ed
un altro componente che significa "una combinazione". Una combinazione di cosa? Forse del
fuoco, della preghiera e della lavorazione del metallo, che producono la spada. Una combinazione
del suo filo, duro ed acuminato come un rasoio di diamante, e del suo dorso pesante e flessibile,
necessario per assorbire lo shock dell'impatto. La "combinazione" nel kanji può riferirsi
all'incarnazione della spada quale oggetto di bellezza e di micidiale utilità, capace di recidere un
uomo sotto ogni profilo. Oppure potrebbe essere una combinazione tra la realtà e la leggenda, le
quali, come accade nella storia della prova del ken di Masamune e di Muramasa, caratterizzano la
doppia natura della spada giapponese.

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