Imp FEst Temozolomide-3
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Reg. Trib. di Roma n. 238 del 23/05/2002 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. 70% c/Roma/Aut. 72/2010 - Periodicità quadrimestrale - ©2013 MEDIPRINT S.r.l. a socio unico A G G I O R N A M E N T O C O N T I N U O P E R L A P R AT I C A C L I N I C A Direttore Scientifico: Ercole Concia - Direttore Editoriale: Matteo Bassetti Volume 12 - n. 3/2013 Settembre-Dicembre 2013 LAVORIAMO PER UNA VITA PIENA DI ANNI E ANNI PIENI DI VITA. Da oltre 160 anni siamo impegnati nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione di farmaci sicuri ed efficaci. Lavoriamo ogni giorno per mettere a disposizione le nostre conoscenze e le nostre risorse per la lotta alle malattie più diffuse e a quelle rare, per migliorare la salute e il benessere delle persone in ogni fase della vita. www.pfizer.it INSIEME PER UN MONDO PIÙ SANO. AGGIORNAMENTO CONTINUO PER LA PRATICA CLINICA Pubblicazione quadrimestrale - Volume 12 - n. 3 - settembre-dicembre 2013 Indice Management dell’infezione da Helicobacter pylori: Helicobacter pylori, dispepsia, reflusso gastroesofageo, malattia da antinfiammatori non steroidei. Prevenzione del cancro gastrico 71 G. Fiorini, V. Castelli, I.M. Saracino, C. Zaccaro, A. Gualandi, D. Vaira 1.000 mg: il dosaggio terapeutico giornaliero della ciprofloxacina nelle infezioni urinarie. Razionale ed evidenze scientifiche 83 L. Salzano La terapia antiretrovirale: stato dell’arte e prospettive future 91 L. De Hoffer, S. Dini, G. Gustinetti, L. Taramasso, D.R. Giacobbe, A. Di Biagio Contraccettivi orali: non solo principio attivo F. Scaglione 99 Management dell’infezione da Helicobacter pylori: Helicobacter pylori, dispepsia, reflusso gastroesofageo, malattia da antinfiammatori non steroidei. Prevenzione del cancro gastrico Management of Helicobacter pylori infection: Helicobacter pylori, dyspepsia, gastroesophageal reflux disease, non-steroidal anti-inflammatory illness. Prevention of gastric cancer G. Fiorini, V. Castelli, I.M. Saracino, C. Zaccaro, A. Gualandi, D. Vaira Dipartimento di Medicina Clinica, Università di Bologna, Studiorum, Università di Bologna Abstract Riassunto This article discusses the different possible therapies for diseases associated with the presence of Helicobacter pylori in the stomach (dyspepsia, GERD, gastric cancer, peptic ulcer disease). The empiric therapy with PPI, the strategy of the "test and treat" triple therapy (proton pump inhibitor, clarithromycin plus amoxicillin or metronidazole) are very much used, but recently there has been a decrease in Helicobacter pylori eradication caused by an increased resistance to clarithromycin. After the quadruple therapy testing, proposed by the European Guidelines, we are trying a new therapeutic approach (the sequential regimen) based on a different combination of the available antibiotics, which proved to be more successfìul than the triple therapies. 25 years after its discovery, the treatment of Helicobacter pylori remains a challenge for clinicians, since no therapy regimen proposed is able to eradicate the infection in all the treated patients. In questo articolo vengono illustrate le diverse possibili terapie delle patologie associate alla presenza dell’Helicobacter pylori nello stomaco (dispepsia, MRGE, cancro gastrico, malattia ulcerosa peptica). Molto adoperate risultano la terapia empirica con PPI, la strategia “test and treat”, la triplice terapia (inibitore della pompa protonica, claritromicina più amoxicillina o metronidazolo) ma recentemente si è assistito a una diminuzione dell’eradicazione dell’Helicobacter pylori per un’aumentata resistenza alla claritromicina. Dopo la sperimentazione della quadruplice terapia, proposta dalle Linee Guida europee, si sta tentando un nuovo approccio terapeutico (il regime sequenziale) basato su una diversa combinazione degli antibiotici disponibili, dimostratosi superiore alle triplici terapie. A 25 anni dalla sua scoperta, il trattamento dell’Helicobacter pylori rimane una sfida per i clinici, poiché nessun regime di terapia proposto è in grado di eradicare l’infezione in tutti i pazienti trattati. Indicazioni per l’eradicazione dell’Helicobacter pylori Helicobacter pylori e dispepsia Una strategia “Test and Treat” è raccomandata nei pazienti adulti di età inferiore ai 45 anni, che si presentano con dispepsia FARMACI 2013;12(3):71-82 persistente (il cut-off riguardante l’età può variare da paese a paese a seconda della prevalenza del cancro gastrico). La strategia “test and treat” è stata validata da uno studio sulla dispepsia non indagata svolto in Canada (1). L’eradicazione di Helicobacyer pylori dà un modesto ma significativo beneficio nella dispepsia non ulcerosa (2). La valutazione economica suggerisce che questo vantaggio rappresenta 71 G. Fiorini, V. Castelli, I.M. Saracino, C. Zaccaro, A. Gualandi, D. Vaira una strategia “cost-benefit” (3). Per curare un paziente con dispepsia non ulcerosa devono essere trattati dai 12 ai 15 pazienti infetti (3), questo è il dato più favorevole rispetto a qualsiasi altra terapia disponibile per la dispepsia non ulcerosa. L’eradicazione dell’infezione da Helicobacter pylori è un unico trattamento che porta al miglioramento dei sintomi a lungo termine e riduce anche il rischio di sviluppare ulcera peptica, gastrite atrofica e cancro gastrico. Nelle aree a bassa prevalenza di Helicobacter pylori (<20%) la terapia empirica con PPI (Proton-Pump Inhibitors) o la strategia “test and treat” sono state considerate opzioni equivalenti (4). Helicobacter pylori e malattia da reflusso gastro-esofageo La prevalenza dell’infezione da Helicobacter pylori, in pazienti con MRGE (malattia da reflusso gastroesofageo), è più bassa rispetto a quella dei pazienti senza malattia da reflusso (5). Molti paesi con un’elevata prevalenza di Helicobacter pylori mostrano, inoltre, una bassa prevalenza di MRGE. La riduzione della prevalenza dell’infezione da Helicobacter pylori e delle patologie a essa correlate, incluse la malattia ulcerosa peptica e il cancro gastrico, evidenziata nei paesi sviluppati, è avvenuta parallelamente a un aumento di MRGE e delle sue complicanze. La natura di questa associazione negativa non è chiara (6,7). In uno studio statunitense l’infezione da Helicobacter pylori con ceppi CagA-positivi è riportata come più bassa nei pazienti con esofago di Barrett e adenocarcinoma cardiale (8). Questa associazione è stata confermata in molti ma non tutti gli studi (9,10). La severa infiammazione che coinvolge il fondo dello stomaco è associata con una ridotta secrezione acida gastrica ed è inversamente correlata con MRGE e le sue complicanze. L’eradicazione di Helicobacter pylori non causa MRGE (8,11,12), e non esacerba i sintomi nei pazienti con MRGE sia quando non sono trattati (13) che quando ricevono una terapia di mantenimento con PPI (14). Lo screening per Helicobacter pylori in pazienti con MRGE necessita di altri studi includenti analisi costoefficacia e attualmente non è raccomandato. Helicobacter pylori e PPI Una profonda soppressione acida influenza il pattern e la distribuzione delle gastriti, favorendo le gastriti dominanti del corpo (15). 72 Tale soppressione acida con PPI o alte dosi di H2RA, in presenza di gastrite del corpo Helicobacter pylori-positiva, può accelerare la perdita di ghiandole specializzate, conducendo a gastrite atrofica e potenzialmente al cancro gastrico. Nei pazienti con reflusso gastroesofageo in soppressione acida a lungo termine, l’eradicazione dell’infezione da Helicobacter pylori riduce l’infiammazione e l’attività della gastrite (16). Helicobacter pylori e farmaci antinfiammatori non steroidei La relazione tra infezione da Helicobacter pylori e i FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) nella patologia gastro-duodenale è complessa: Helicobacter pylori e FANS indipendentemente e significativamente aumentano il rischio di ulcera peptica sanguinante da 1,79 a 4,86 volte, rispettivamente. Il rischio di sanguinamento dell’ulcera è aumentato di 6,13 volte quando entrambi i fattori sono presenti (17).I risultati dell’eradicazione dell’Helicobacter pylori, nei soggetti che assumono FANS, sono contrastanti. Parte del problema risiede nel fatto che sia i FANS che l’Helicobacter pylori possono causare ulcere peptiche. Dall’eradicazione dell’Helicobacter pylori ci si può aspettare di prevenire la ricorrenza delle ulcere da Helicobacter pylori ma anche di ridurre l’incidenza di ulcere tra i pazienti con infezione da Helicobacter pylori che fanno uso di FANS; il risultato varia a seconda della percentuale di vere ulcere da Helicobacter pylori nella popolazione studiata. Nei soggetti con ulcera peptica, che assumono cronicamente FANS, l’eradicazione di Helicobacter pylori non è superiore al placebo nel mantenimento della remissione dell’ulcera peptica con terapia PPI a 6 mesi (18). La terapia di mantenimento con PPI è superiore all’eradicazione dell’Helicobacter pylori solo per prevenire il sanguinamento gastrointestinale alto. Al contrario nei pazienti con infezione Helicobacter pylori che sono naïve per l’uso di FANS, l’eradicazione dell’Helicobacter pylori è superiore al placebo nel prevenire ulcera peptica e il sanguinamento gastrointestinale alto a 6 mesi (19,20). I pazienti che assumono aspirina a lungo termine e hanno una malattia ulcerosa e una storia di significativo sanguinamento, dovrebbero essere testati per l’infezione da Helicobacter pylori e, se positivi, ricevere una terapia eradicante (21,22). I pazienti che ricevono terapia con PPI a lungo termine, per la prevenzione delle ulcere da FANS, dovrebbero essere testati per Helicobacter pylori per ridurre l’interazione PPI- Helicobacter pylori, che porta alla per- FARMACI 2013;12(3):71-82 Management dell’infezione da Helicobacter pylori: Helicobacter pylori, dispepsia, reflusso gastroesofageo, malattia da antinfiammatori non steroidei. Prevenzione del cancro gastrico dita accelerata di ghiandole specializzate e alla gastrite atrofica. Prevenzione del cancro gastrico Il cancro gastrico è un importante problema di salute pubblica e il suo carico globale è in aumento soprattutto nei paesi in via di sviluppo. L’infezione da Helicobacter pylori è la principale causa di gastrite cronica, una condizione che avvia la sequenza patogena di eventi che portano alla gastrite atrofica, alla metaplasia, alla displasia e, successivamente, al cancro. Un’analisi congiunta degli studi siero-epidemiologici prospettici hanno dimostrato che gli individui con infezione da Helicobacter pylori hanno un aumento del rischio, statisticamente significativo, di sviluppare cancro gastrico non cardiale (23). È anche già stato stabilito che entrambi i tipi istologici di cancro gastrico, intestinale e diffuso, sono significativamente associati con l’infezione da Helicobacter pylori. Studi clinici non randomizzati di follow-up in Giappone hanno dimostrato che i tassi di cancro gastrico erano significativamente più alti nei pazienti con infezione da Helicobacter pylori rispetto a quelli in cui l’infezione era stata eradicata (24). Il tasso di neoplasie metacrone, dopo resezione endoscopica per “early gastric cancer” (25), era inoltre superiore nei soggetti con infezione persistente rispetto a quelli senza; inoltre studi di follow-up condotti in Svezia e Danimarca su coorti di pazienti sottoposti a procedure di sostituzione dell’anca, mostrano tassi significativamente più bassi di cancro gastrico; ciò si spiega con le alte dosi di profilassi antibiotica, che incidentalmente hanno eradicato l’infezione da Helicobacter pylori (26). Si è quindi convenuto che l’infezione da Helicobacter pylori è il fattore di rischio più comune provato per il cancro gastrico non cardiale umano. L’infezione da ceppi cagA-positivi di Helicobacter pylori aumenta il rischio di cancro gastrico al di sopra del rischio associato alla sola infezione da Helicobacter pylori. La determinazione dello stato di cagA, nell’infezione da Helicobacter pylori, può conferire ulteriore beneficio nell’identificare le popolazioni più a rischio per il cancro gastrico (27). I polimorfismi del gene dell’IL1 sono associati a un più elevato rischio di ipocloridria (odds ratio=9,1) e di cancro gastrico (Odds Ratio=1,9) (28). I potenziali fattori estrinseci e intrinseci, nella carcinogenesi gastrica, sono: l’ereditarietà/storia familiare, sia diretta che indiretta (eredità sociale); l’autoimmunità (Helicobacter pylori può scatenare l’insorgenza di gastrite atrofica autoimmune (AAG) in FARMACI 2013;12(3):71-82 alcuni pazienti con anemia perniciosa; nel diabete di tipo I, AAG è frequente e raramente associata con l’infezione da Helicobacter pylori), i fattori ambientali (esposizione professionale/nitrati/nitriti/composti-nitrosi); i fattori nutrizionali (sale, carne rossa in salamoia alimentare, fumo); i fattori generali (basso stato socio-economico, geografia); e i fattori farmacologici (inibizione dell’acido gastrico) (29-34). Tutte queste evidenze suggeriscono che i fattori di virulenza batterica, i fattori genetici dell’ospite e i fattori ambientali contribuiscono al rischio di sviluppare il cancro gastrico (35). L’eradicazione di Helicobacter pylori previene lo sviluppo delle alterazioni pre-neoplastiche (gastrite atrofica e metaplasia intestinale) della mucosa gastrica (36-38). L’evidenza che l’eradicazione di Helicobacter pylori può ridurre il rischio di cancro gastrico è basata su studi controllati randomizzati nell’animale e nell’uomo (39,40). Diversi studi randomizzati di controllo mostrano una regressione delle lesioni pre-cancerose o, almeno, una diminuzione di progressione rispetto ai gruppi di controllo, dopo l’eradicazione di Helicobacter pylori (41). Un controllo randomizzato non ha dimostrato la riduzione dell’incidenza di cancro in 5 anni, ma ha mostrato una riduzione significativa nel gruppo senza lesioni preneoplastiche (42). Si deduce, quindi, che l’eradicazione di Helicobacter pylori ha il potenziale di ridurre il rischio di sviluppo del cancro gastrico; inoltre la presenza di lesioni pre-neoplastiche (atrofia, metaplasia intestinale) rappresenta il momento ottimale per eradicare l’Helicobacter pylori. Si è inoltre convenuto che il potenziale per la prevenzione del cancro gastrico, su scala globale, è limitato dalle terapie attualmente disponibili (43); pertanto nuove terapie sarebbero auspicabili per una strategia globale di prevenzione del cancro gastrico. Terapie attuali Dopo 25 anni dalla sua scoperta, il trattamento dell’Helicobacter pylori rimane una sfida per i clinici, poiché nessun regime di terapia proposto è in grado di eradicare l’infezione in tutti i pazienti trattati. La triplice terapia della durata di una settimana (PPI, claritromicina più amoxicillina o metronidazolo), suggerita dalle Linee Guida europee (44), è il trattamento più usato nella pratica clinica, essendo attualmente prescritta rispettivamente dall’85%, 84%, e dal 67% dei medici di base in Italia, Israele e Stati Uniti (45-47). 73 G. Fiorini, V. Castelli, I.M. Saracino, C. Zaccaro, A. Gualandi, D. Vaira Tuttavia dati recenti suggeriscono che l’efficacia di queste terapie sta diminuendo in tutto il mondo: il tasso di successo, infatti, in molti paesi europei e asiatici, così come in USA e Canada (48-55), è sceso a valori inaccettabili, con più di un paziente ogni 5 che fallisce la terapia di eradicazione; tassi di cura del 20-45% sono stati recentemente segnalati (56,57). Questo fenomeno è stato in gran parte correlato a un aumento della resistenza batterica a livello mondiale, in particolare verso la claritromicina, antibiotico chiave nel trattamento di Helicobacter pylori (58). Pertanto, un numero crescente di pazienti richiede attualmente un ulteriore tentativo terapeutico per eradicare tale infezione, fatto che determina risvolti economici sostanziali. Le Linee Guida Europee aggiornate confermano l’uso di una triplice terapia standard di 7 giorni nelle aree dove la resistenza alla claritromicina è inferiore al 15-20%, mentre un regime prolungato per 14 giorni o una quadruplice terapia di 10-14 giorni deve essere somministrata quando la resistenza batterica è superiore (59); tuttavia diversi studi hanno trovato che i tassi di eradicazione ottenuti con queste terapie sono tutt’altro che promettenti. Una meta-analisi ha mostrato chiaramente che i 14 giorni della triplice terapia offrono, purtroppo, solo un modesto miglioramento rispetto al regime di 7 giorni in termini di tasso di eradicazione di Helicobacter pylori (+5 - 8%), a fronte di un raddoppio del costo (60). In Italia uno studio multicentrico recente, che ha coinvolto 906 pazienti con ulcera duodenale, non è riuscito a dimostrare un guadagno terapeutico neppure modesto: l’infezione da Helicobacter pylori è stata curata nel 79,7% e nell’81,7% dei pazienti trattati con una triplice terapia di 7 o 14 giorni, rispettivamente (61). Per quanto riguarda la quadruplice terapia una meta-analisi non è riuscita a trovare una differenza significativa nel tasso di successo tra la quadruplice terapia di 7 giorni e la triplice standard come trattamento di prima linea (62). Inoltre i sali di bismuto non sono più disponibili in diversi paesi, tra cui l’Italia, cosicché la terapia quadrupla non è proponibile su scala mondiale. Tutte queste osservazioni suggeriscono che sono necessari altri approcci terapeutici per la cura dell’infezione da Helicobacter pylori, il miglior trattamento di prima linea deve essere considerato come la miglior terapia di “salvataggio” (20). La domanda più ovvia da affrontare è se un regime di terapia di prima linea più efficace delle terapie triplice o quadruplice di 14 giorni proposte 74 sia già disponibile. Nel 2000 abbiamo effettuato il primo studio pilota utilizzando un nuovo regime sequenziale di 10 giorni, ottenendo un altissimo tasso di eradicazione (63). Negli anni successivi diversi studi terapeutici hanno paragonato questo regime sequenziale con le triplici terapie standard di 7-10 giorni, sostenendo l’efficacia del nuovo trattamento anche contro i ceppi resistenti alla claritromicina. Per capire definitivamente se una tale nuova terapia è pronta per essere utilizzata come trattamento di prima linea nella pratica clinica, abbiamo esaminato gli studi pubblicati sul regime sequenziale, eseguendo un’analisi aggregazione-dati dei risultati disponibili. Il regime sequenziale: dal laboratorio al letto del malato Il regime sequenziale è una semplice doppia terapia che include un PPI più amoxicillina 1 g (entrambi due volte al giorno) somministrati per i primi 5 giorni seguiti da una triplice terapia comprendente un PPI, claritromicina 500 mg, e tinidazolo 500 mg (tutti due volte al giorno ) per i restanti 5 giorni (64). Questa nuova combinazione terapeutica è basata sulla precedente osservazione che il tasso di eradicazione raggiunto con una doppia terapia di 14 giorni seguita da una triplice di 7 giorni in pazienti con eradicazione fallita era significativamente superiore a quello ottenuto quando si invertiva tale sequenza di trattamento (97,3% contro 81,6%) (65). A questo punto è stato ipotizzato che una terapia duplice, seguita da una terapia triplice, era in grado di eradicare l’infezione in un numero molto elevato di pazienti. Per applicare questa osservazione nella pratica clinica, vi era la necessità di semplificare tale combinazione terapeutica. Per questo motivo si è deciso di ridurre ogni programma di trattamento per non più di 5 giorni. In effetti era noto che una terapia duplice (PPI più amoxicillina), somministrata per meno di 7 giorni, era in grado di raggiungere un tasso di guarigione del 50% (66), e che l’efficacia di una triplice terapia (PPI, claritromicina e tinidazolo) è inversamente legata alla carica batterica (67-69). Pertanto è stato somministrato un regime sequenziale sperimentale di 10 giorni costituito da una breve, iniziale duplice terapia con amoxicillina, al fine di abbassare la carica batterica nello stomaco, per favorire l’efficacia del successivo breve ciclo di terapia triplice. Inoltre l’uso iniziale di amoxicillina può offrire un altro vantaggio essenziale per l’eradicazione di Helicobacter pylori. È stato provato che regimi contenenti amoxicilli- FARMACI 2013;12(3):71-82 Management dell’infezione da Helicobacter pylori: Helicobacter pylori, dispepsia, reflusso gastroesofageo, malattia da antinfiammatori non steroidei. Prevenzione del cancro gastrico na prevengono la selezione di resistenza secondaria alla claritromicina (70). Infatti è noto che i batteri possono sviluppare canali di efflusso per claritromicina, che rapidamente trasferiscono il farmaco fuori dalla cellula batterica, impedendo il legame dell’antibiotico al ribosoma (71-73). È stato ipotizzato che la rottura della parete cellulare, causata dall’amoxicillina, prevenga lo sviluppo di canali di efflusso, danneggiando la parete cellulare del batterio. Nel primo studio pilota (64) è stato ottenuto un alto tasso di eradicazione (98%) con il regime sequenziale e un tale risultato è stato praticamente duplicato in altri due centri (74). Questi risultati hanno suggerito che la teoria di base della combinazione sequenziale di antibiotici aveva successo quando applicato alla pratica clinica, suscitando un certo numero di studi sull’uso di un tale regime di terapia, che sono stati pubblicati negli ultimi 6 anni. Il tasso di eradicazione globale Un’analisi descrittiva dei 15 studi disponibili sulla terapia sequenziale (64,74-87). Di questi due sono studi pilota (64,74) e 13 sono studi clinici randomizzati, di cui 8 monocentrici e 7 trial multicentrici, eseguiti in 9 unità differenti che coprono l’intero territorio italiano. Tutti tranne due di questi studi sono stati pubblicati come full paper (75,78). Un ulteriore studio sul regime sequenziale è disponibile, ma non è stato incluso, rappresentando un’analisi post-hoc di uno studio precedente (88). Il regime sequenziale permette l’eradicazione di Helicobacter pylori in 1.687 di 1.805 pazienti trattati, con un tasso complessivo di eradicazione del 93,5% all’analisi “intention to treat” (ITT). In dettaglio il tasso di eradicazione è risultato costantemente superiore al 90% per tutti, tranne che in un piccolo studio eseguito sui bambini (86). Confronto con triplice terapia standard di 7-10 giorni Un confronto tra il regime sequenziale e una triplice terapia standard di 7 giorni è stato eseguito in 8 studi clinici randomizzati (75,76,78,81-85). All’analisi ITT l’infezione è stata curata in 1.073 (93,7%) su 1.145 pazienti e in 878 (75,9%) su 1.156 pazienti dopo la terapia sequenziale e la triplice terapia per 7 gior- FARMACI 2013;12(3):71-82 ni, rispettivamente. La differenza era statisticamente significativa (93,7% vs 75,9%, p<0,0001). Un confronto testa a testa tra il regime sequenziale e la triplice terapia standard di 10 giorni è stato eseguito in 4 studi randomizzati (80,85,87). All’analisi ITT l’infezione è stata curata in 354 (93,4%) su 379 pazienti e in 309 (79,6%) su 388 pazienti dopo il regime sequenziale e la triplice terapia di 10 giorni, rispettivamente. La differenza era statisticamente significativa (93,4% vs 79,6%, p<0,0001). Confronto tra triplice terapia standard di 10 giorni e il regime sequenziale La triplice terapia con PPI, claritromicina e amoxicillina o metronidazolo è il regime di trattamento più diffuso per curare l’infezione da Helicobacter pylori tra i medici di medicina generale e i gastroenterologi negli Stati Uniti e in Europa. Il successo della terapia di eradicazione è spesso riportato come ITT modificato (i pazienti che non assumono una sola dose del farmaco sono esclusi dall’analisi), e questo deve essere tenuto presente quando sono realizzati confronti con gli altri studi. Due recenti studi US multicentrici in doppio cieco hanno trovato tassi di eradicazione deludenti con la triplice terapia. In uno studio, il 75,6% dei 402 pazienti e nell’altro, il 77,2% di 307 pazienti sono stati curati dall’infezione da Helicobacter pylori all’analisi ITT modificata con la triplice terapia della durata di 10 giorni. Bassi tassi di eradicazione, ottenuti con la triplice terapia, sono stati segnalati anche in Europa, Australia e Asia. Uno studio recentemente pubblicato (86) conferma questi rapporti sullo scarso successo di eradicazione con la triplice terapia convenzionale e suggerisce che questo potrebbe in gran parte essere dovuto alla resistenza alla claritromicina. Il risultato della terapia dell’Helicobacter pylori dipende, in misura sostanziale, dalla compliance al regime e dalla presenza di resistenza agli antibiotici. La resistenza alla claritromicina è un grave problema in molti paesi occidentali e la prevalenza è del 12,9% (variabile dal 6,1% al 14,5%), negli Stati Uniti e può raggiungere il 24% in alcuni paesi europei. Una revisione sistematica della terapia dell’infezione da Helicobacter pylori ha registrato un calo del 53% dei tassi di eradicazione in presenza di resistenza alla claritromicina se si utilizzava un regime contenente la stessa claritromicina. Nel suddetto studio (86) la prevalenza di resistenza primaria alla claritromicina è stata del 17%, confer- 75 G. Fiorini, V. Castelli, I.M. Saracino, C. Zaccaro, A. Gualandi, D. Vaira mando i dati recentemente riportati in Italia. In quest’ultimo studio, quasi il 90% dei pazienti infettati con ceppi resistenti alla claritromicina, sono stati curati seguendo il regime sequenziale, un tasso di eradicazione in questo sottogruppo 3 volte superiore a quello ottenuto con il regime standard. Il regime di trattamento sequenziale può essere quindi preferibile quando la prevalenza di Helicobacter pylori claritromicina-resistente è elevata, come si verifica in molti paesi sviluppati. Il meccanismo preciso del successo della terapia sequenziale non è noto. È noto che i batteri possono sviluppare canali di efflusso per la claritromicina, che rapidamente trasferiscono il farmaco fuori dalla cellula batterica, impedendo il legame dell’antibiotico al ribosoma. Dato che l’amoxicillina agisce sulla parete cellulare batterica e la indebolisce, la fase iniziale del trattamento può prevenire lo sviluppo di canali di efflusso indebolendo la parete cellulare del batterio; ciò può migliorare l’efficacia della claritromicina nella seconda fase del trattamento. Un’altra possibilità è che l’efficacia più elevata del regime sequenziale sia correlata al numero di antibiotici (tre) a cui l’organismo è esposto con questo regime o all’uso di tinidazolo, che non è contenuto nella triplice terapia standard. Una ricerca su Medline, del dicembre 2006, utilizzando come parole chiave “terapia sequenziale” e “Helicobacter pylori” ha prodotto 62 citazioni, di cui 7 sono studi condotti su un regime di trattamento sequenziale. Tutti questi studi hanno limitazioni significative: campioni di piccole dimensioni, mancanza di cecità e incapacità di valutare la resistenza e misurare l’impatto prospettico. Il nostro studio è un miglioramento rispetto al design dei nostri precedenti studi su questo campo. Il costo è una considerazione importante in molti Paesi. In Europa, il costo del regime sequenziale è simile a quello del regime standard, rendendolo una valida alternativa all’attuale triplice terapia. Il tinidazolo è recentemente diventato disponibile negli Stati Uniti e il costo della terapia sequenziale, sulla base dei prezzi di vendita al dettaglio, è inferiore a quello della triplice terapia. La terapia sequenziale può quindi costituire una valida alternativa alla terapia standard. In conclusione questo ampio studio prospettico in doppio cieco controllato dimostra la superiorità di un regime di trattamento sequenziale per Helicobacter pylori rispetto alla triplice terapia convenzionale. Il regime sequenziale è meno costoso e più efficace della terapia convenzionale nei pazienti con microrganismi claritromicino-resistenti. Gli effet- 76 ti collaterali di entrambi i regimi sono simili e comprendono principalmente diarrea e dolori addominali. I dati suggeriscono che la terapia sequenziale può avere un ruolo come trattamento di prima linea per l’infezione da Helicobacter pylori. Tasso di eradicazione in pazienti con ulcera peptica e dispepsia non ulcerosa Alcuni dati suggeriscono che, a seguito di triplici terapie standard, il tasso di eradicazione, in pazienti con dispepsia non ulcerosa, tende a essere inferiore rispetto a quelli con ulcera peptica (89). Il confronto tra il regime sequenziale e la triplice terapia standard (7-10 giorni), in questi due sottogruppi di pazienti, è disponibile in 4 studi (74,76,80,81). Nel complesso l’infezione da Helicobacter pylori è stata curata in 199 dei 204 (97,5%) pazienti con ulcera peptica e in 496 (91,7%) su 540 pazienti con dispepsia non ulcerosa mediante regime sequenziale, e in 217 (74,1%) su 293 e 433 (75,2%) su 576 pazienti, rispettivamente, a seguito di una triplice terapia. La differenza tra la terapia sequenziale e la standard è risultata statisticamente significativa in entrambi i sottogruppi di pazienti con ulcera peptica (97,5% vs 74,1%, p<0,0001) e con dispepsia non ulcerosa (91,7% vs 75,2%, p<0,0001). Al contrario il tasso di eradicazione non differisce abbinato ai sottogruppi “ulcera peptica” e “dispepsia non ulcerosa”, seguendo una terapia sequenziale o standard. Ruolo dei diversi inibitori della pompa protonica Diversi PPI sono stati usati in combinazione sequenziale. L’eradicazione batterica è stata ottenuta in 271 (94,4%) su 287 pazienti dopo un regime basato sull’omeprazolo (90,74,75), in 133 (91,1%) su 146 pazienti con pantoprazolo (87), in 1.011 (94,4%) su 1.086 pazienti con rabeprazolo (76,77,79-83,85), e in 272 (95,1%) su 286 pazienti con l’esomeprazolo (78,84,86). Il tasso di successo tra i diversi PPI utilizzati non è statisticamente significativo. Non sono disponibili dati con lansoprazolo. Tasso di eradicazione nei bambini Il tasso di eradicazione ottenuto somministrando una triplice terapia standard della durata di 7 giorni nei bambini varia dal 68% al 75% (91,92). Ad oggi due piccole prove, effettuate nello stesso centro, sono disponibili sull’uso di regime sequenziale nei FARMACI 2013;12(3):71-82 Management dell’infezione da Helicobacter pylori: Helicobacter pylori, dispepsia, reflusso gastroesofageo, malattia da antinfiammatori non steroidei. Prevenzione del cancro gastrico bambini dispeptici (età media: 12,3 anni, range 3,3-18) (82,86). Nel primo studio randomizzato (82) l’infezione da Helicobacter pylori è stata curata in 36 su 38 (94,4%) e in 28 su 37 (75,7%) bambini rispettivamente dopo terapia sequenziale e triplice terapia per 7 giorni (p=0,02). Nel secondo studio (86) l’eradicazione batterica è stata ottenuta in 33 su 40 bambini (82,5%) che hanno ricevuto il regime sequenziale (con o senza supplementazione di probiotici). Pertanto l’analisi cumulativa ha trovato che l’infezione da Helicobacter pylori è stata curata in 69 su 78 bambini trattati (88,5%). Tasso di eradicazione nei pazienti anziani I risultati di studi italiani, che hanno arruolato complessivamente 387 pazienti, hanno dimostrato che l’eradicazione di Helicobacter pylori, nei pazienti anziani, è stata del 79,3% dopo triplice terapia standard di 7 giorni (93-95). Ad oggi un solo studio randomizzato, che ha coinvolto 179 pazienti geriatrici con ulcera peptica (età media: 69,5 anni, range: 65-83) è disponibile riguardo all’utilizzo del regime sequenziale (85). All’analisi ITT l’infezione è stata curata in 84 (94,4%) su 89 e in 72 (80%) su 90 pazienti dopo il regime sequenziale e la triplice terapia della durata di 7 giorni, rispettivamente (p=0,008). Fattori che influenzano il tasso di eradicazione Diversi fattori sono in grado di influenzare l’efficacia della terapia triplice standard, come la resistenza batterica agli antibiotici (58), la compliance alla terapia (63), la carica batterica nello stomaco (67-69), lo stato CagA (80), l’abitudine al fumo (53), e la patologia gastroduodenale (91). Tuttavia tra questi fattori sia la resistenza batterica alla claritromicina sia la compliance del paziente alla terapia svolgono un ruolo importante nella predizione del risultato terapeutico (58). Nel dettaglio la resistenza primaria alla claritromicina è considerata il principale fattore che influenza l’efficacia del trattamento, riducendo il tasso di successo delle terapie triplici standard mediamente del 18-44% (96). I dati sulla resistenza primaria alla claritromicina e l’eradicazione Helicobacter pylori, seguendo il regime sequenziale, sono disponibili in 3 studi (76,87-88). Nel complesso l’infezione è stata curata in 41 (77,4%) su 53 pazienti e in 18 (33,3%) su 54 pazienti con infezione da ceppi resistenti alla claritromicina (con o senza metronidazolo) a seguito della terapia sequenziale e della tripli- FARMACI 2013;12(3):71-82 ce terapia standard, rispettivamente. Pertanto un tasso di eradicazione significativamente più alto è stato ottenuto seguendo la terapia sequenziale rispetto alle terapie triplici di 7-10 giorni (77,4% contro 33,3%, p=0,0001). In particolare il regime sequenziale è risultato molto più efficace della terapia triplice anche in quei pazienti portatori di un ceppo Helicobacter pylori resistente alla claritromicina a causa della mutazione puntiforme A2143G, che ha mostrato un ruolo importante nel ridurre il tasso di eradicazione della triplice terapia (88). Altri studi hanno trovato che, a differenza della triplice terapia standard, il tasso di guarigione raggiunto dalla terapia sequenziale non è significativamente influenzato dalla patologia gastroduodenale (ulcera peptica contro la dispepsia non ulcerosa), dal ceppo batterico (CagA positivo contro negativo), dalla carica batterica nello stomaco (basso vs alto) e dall’abitudine al fumo (80,85). Compliance ed effetti collaterali La compliance alla terapia è un altro fattore importante che influenza l’esito terapia. Generalmente una buona compliance è definita come l’assunzione di oltre il 90% dei farmaci prescritti. I dati completi sulla compliance del paziente e l’incidenza di effetti collaterali sono disponibili in 8 studi che confrontano le terapie sequenziali e triplici (71,73,76, 83-85,87). In generale nessuna differenza è emersa tra i due trattamenti, una buona compliance alla terapia si è osservata in 1.004 (92,6%) su 1.085 pazienti che ricevono il regime sequenziale e in 1.203 (94%) su 1.280 pazienti trattati con una triplice terapia. Negli stessi studi l’incidenza di effetti collaterali è stata del 9,9% e 9,8%, rispettivamente. Nel complesso gli effetti collaterali che hanno obbligato l’interruzione della terapia sono stati solo 3 (0,003%) su 1.085 e 9 (0,007%) dei 1.280 pazienti trattati rispettivamente con terapia sequenziale e triplice terapia standard. Tutte queste osservazioni suggeriscono che il regime sequenziale e la terapia triplice standard sono caratterizzate da un’analoga compliance del paziente, incidenza di effetti collaterali e tasso di interruzione della terapia. Terapia di salvataggio dopo il fallimento del regime sequenziale Quando una nuova terapia per Helicobacter pylori è indicata per la pratica clinica, è di fondamentale importanza identificare una 77 G. Fiorini, V. Castelli, I.M. Saracino, C. Zaccaro, A. Gualandi, D. Vaira terapia di seconda linea che può essere utilizzata in caso di fallimento. È stato dimostrato che una triplice terapia, basata su levofloxacina-amoxicillina, è efficace come terapia di seconda o anche terza linea (97-99). Due recenti meta-analisi hanno mostrato un più alto tasso di eradicazione di questo regime, rispetto alla terapia quadruplice standard come ritrattamento (100,101). Abbiamo recentemente condotto uno studio pilota su 35 pazienti che hanno fallito la terapia sequenziale (102). A seguito di una triplice terapia di 10 giorni con rabeprazolo 20 mg, levofloxacina 250 mg e 1 g di amoxicillina, tutti somministrati due volte al giorno, l’infezione da Helicobacter pylori è stata curata con successo in 30 pazienti con un tasso di eradicazione pari a 85,7% (95% CI=74-97) con analisi ITT. Questi dati sembrano indicare che la triplice terapia con levofloxacina-amoxicillina è un approccio terapeutico adatto per il trattamento di seconda linea nei pazienti con insufficienza della terapia sequenziale. Pertanto il regime sequenziale di 10 giorni e 10 giorni di triplice terapia a base di levofloxacina sembra essere un convincente “pacchetto terapeutico” per la gestione dell’infezione da Helicobacter pylori nella pratica clinica. Conclusioni Le triplici terapie standard sono il trattamento più utilizzato nella pratica clinica. Tuttavia negli ultimi anni è stata osservata una critica caduta del tasso di eradicazione di Helicobacter pylori seguendo queste terapie (61,90). Questa scoperta molto probabilmente dipende da una maggiore resistenza alla claritromicina. Infatti un ampio studio, effettuato in 14 paesi europei, ha mostrato un tasso di resistenza primaria alla claritromicina che raggiunge il 20% anche nei bambini (103). Allo stesso modo recenti studi italiani hanno trovato un tasso di prevalenza variabile dal 16,9% al 31,5% negli adulti (87,88). Per migliorare l’efficacia della triplice terapia in quelle aree con resistenza primaria alla clari- 78 tromicina >15-20% l’uso di una terapia di 14 giorni o di una quadruplice terapia di 10-14 giorni è stato recentemente proposto nelle Linee Guida europee aggiornate (59). Tuttavia come sopra accennato, la quadruplice terapia non è più fattibile in Italia, e il prolungamento per 14 giorni della triplice terapia ha uno sfavorevole rapporto costo-efficacia (62). D’altra parte sono stati identificati negli ultimi 5 anni (104) solo poche nuove molecole dotate di un’azione battericida contro questo batterio e con un potenziale di sviluppo nel prossimo futuro. Il regime sequenziale è un nuovo approccio terapeutico, basato su una diversa combinazione degli antibiotici disponibili, e più di 1.800 pazienti sono stati trattati con una tale terapia: è l’unico regime terapeutico che ha dimostrato di essere superiore alle triplici terapie di 7-10 giorni in grandi studi multicentrici, randomizzati. Inoltre il regime sequenziale ha raggiunto un tasso di eradicazione costantemente superiore al 90% all’analisi ITT in tutti, tranne un piccolo studio condotto sui bambini. La resistenza primaria alla claritromicina sembra essere l’unico fattore che riduce l’efficacia di tale regime terapeutico. Tuttavia anche in questi pazienti un accettabile tasso di eradicazione (>75%) può essere realizzato seguendo la terapia sequenziale, un tasso di successo significativamente superiore a quello osservato con le triplici terapie standard di 7-10 giorni (<35%) (76,87,88). L’attenzione nei confronti del regime di terapia sequenziale è in aumento in letteratura. Il pannello Internazionale delle Linee Guida europee ha affermato che “la terapia sequenziale merita ulteriori valutazioni in diverse regioni” (59). In definitiva il regime sequenziale, allo stesso modo delle triplici terapie standard 7-14 giorni, è ora consigliato come trattamento di prima linea nelle Linee Guida italiane aggiornate sulla gestione dell’infezione da Helicobacter pylori (105). Pertanto incoraggiamo i gastroenterologi a convalidare la terapia sequenziale in altre aree geografiche in cui i dati sono ancora carenti. Se i pazienti sono - come sempre dovrebbe essere - la nostra prima priorità, il tempo per un cam- FARMACI 2013;12(3):71-82 Management dell’infezione da Helicobacter pylori: Helicobacter pylori, dispepsia, reflusso gastroesofageo, malattia da antinfiammatori non steroidei. Prevenzione del cancro gastrico Bibliografia 1. Chiba N, Van Zanten SJ, Sinclair P et al. Treating Helicobacter pylori infection not exacerbate reflux symptoms in gastroesophageal reflux disease. Gastroen- in primary care patients with uninvestigated dyspepsia: the Canadian adult dys- terology 2001;121(5):1120-1126. pepsia empiric treatment-Helicobacter pylori positive (CADET-Hp) randomised 15. Kuipers EJ, Nelis GF, Klinkenberg-Knol EC et al. Cure of Helicobacter pylori controlled trial. British Medical Journal 2002;324(7344):1012-2626. infection in patients with reflux oesophagitis treated with long term omeprazole 2. Moayyedi P, Deeks J, Talley NJ et al. 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Cure of Helicobacter pylori infec- Guidelines on diagnosis and treatment of Helicobacter pylori infection. Dig Liver 82 FARMACI 2013;12(3):71-82 1.000 mg: il dosaggio terapeutico giornaliero della ciprofloxacina nelle infezioni urinarie. Razionale ed evidenze scientifiche 1,000 mg: the therapeutic daily dose of ciprofloxacin in urinary infections. Rational and scientific evidence L. Salzano Direttore U.O. di Urologia, Azienda Ospedaliera Gaetano Rummo, Benevento Abstract Riassunto Among the fluoroquinolones, the class of antibiotics mostly used in Italy for the treatment of UTI against 90% of the isolated strains (Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Proteus mirabilis), ciprofloxacin was one of the first molecules to be used for such infections. This article discusses the advantages of its broad spectrum of action, its good bioavailability after oral administration and of its excellent tolerability: in 2012 it was used in Italy in 69% of cases at a dose of 1,000 mg/day because it is able to attack more vigorously the uropathogenics that cause UTI, eradicating them and decreasing their resistance. International guidelines suggest its use in uncomplicated and complicated UTI, prostatitis and in antibiotic prophylaxis for invasive instrumentation. Tra i fluorochinoloni, la classe di antibiotici più adoperata attualmente in Italia nel trattamento delle IVU contro il 90% dei ceppi più isolati (Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Proteus mirabilis), la ciprofloxacina è stata una delle prime molecole a essere utilizzata per tali infezioni. In questo articolo vengono illustrati i vantaggi del suo ampio spettro d’azione, della sua buona biodisponibilità dopo somministrazione orale e dell’eccellente tollerabilità: nel 2012 è stata, per il 69% dei casi, impiegata in Italia alla dose di 1.000 mg/die perché in grado così di attaccare più energicamente gli uropatogeni causa delle IVU, eradicandoli e diminuendo le resistenze. Le Linee Guida internazionali suggeriscono il suo impiego nelle IVU non complicate e complicate, nelle prostatiti e nella profilassi antibiotica per manovre strumentali invasive. Introduzione a un dosaggio terapeutico giornaliero di 1.000 mg. Tale dosaggio, infatti, permette un attacco più deciso verso gli uropatogeni responsabili delle infezioni urinarie, favorendone l’eradicazione e diminuendo, di conseguenza, il rischio di incrementare le resistenze (6). I fluorochinoloni rappresentano, attualmente, la classe di antibiotici più comunemente adoperata, in quanto molto efficace, nel trattamento delle infezioni urinarie in Italia e tale dato trova riscontro nelle caratteristiche intrinseche di questa classe di antibiotici (1): da un’attenta analisi emerge infatti che i fluorochinoloni, a differenza di altre classi di antibiotici, sono attivi verso il 90% dei ceppi patogeni più frequentemente isolati (tra cui la triade Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Proteus mirabilis) in caso di infezioni delle vie urinarie (IVU). Il loro rapporto spettro di attività/potenza intrinseca risulta il migliore fra le molecole antimicrobiche disponibili (2-4). La ciprofloxacina è stata una delle prime molecole appartenente a questa classe a essere utilizzata nel trattamento di tali infezioni per il suo ampio spettro d’azione, la buona biodisponibilità dopo somministrazione orale e l’eccellente tollerabilità (1), entrando a far parte così di quella élite, definita dall’OMS, di farmaci essenziali; farmaci, cioè, che rispondano ai bisogni sanitari di base e che siano i più efficaci, sicuri e convenienti per risolvere condizioni sanitarie prioritarie (5). Dati italiani evidenziano come nella pratica clinica, nel 2012, il 69% della ciprofloxacina prescritta dalla classe medica è stata impiegata FARMACI 2013;12(3):83-90 La formulazione innovativa In accordo con le Linee Guida e al fine di migliorare l’adesione del paziente alla terapia, riducendo il rischio di fallimento terapeutico, la ricerca farmaceutica ha continuato gli studi sulla molecola, andando ad agire sul profilo farmacocinetico e farmacodinamico della ciprofloxacina. Il risultato ottenuto è stato ciprofloxacina RM 1.000 mg: una formulazione più maneggevole, che permette un’unica somministrazione giornaliera e si caratterizza per una particolare cinetica di rilascio modulato del principio attivo, in grado di fornire un’ottimale copertura antibatterica. Si tratta del primo e unico fluorochinolone con un rilascio bifasico modulato del principio attivo, presente nella formulazione sotto forma di 2 sali: il primo, contenuto in un involucro esterno a rapida dissoluzione, rilascia immediatamente il 35% del principio attivo, assicurando un alto picco plasmatico e urinario di farmaco in tempi brevi, che per- 83 L. Salzano Concentrazione urinaria μg/ml Figura 1. Fluorochinoloni: Cmax a confronto (da: Wagenlehner FM 2006; Picollo R 2003; mod.). 1000 900 800 700 600 500 400 300 200 100 0 * * ** Ciprofloxacina RM 1000 mg Levofloxacina 500 mg Prulifloxacina 600 mg I fluorochinoloni sono farmaci concentrazione-dipendenti: maggiore è la concentrazione, migliore è la risposta terapeutica. La ciprofloxacina RM 1000, grazie al suo profilo farmacocinetico favorevole, ha un Cmax maggiore rispetto agli altri fluorochinoloni *Wagenlehner FM et al. 2006; **Picollo R et al. 2006 84 Figura 2. Ciprofloxacina: elevata efficacia clinica e batteriologica (da: Talan DA 2004; mod.). 100 Successo terapeutico % mette un effetto battericida rapido e potente (7-9); il secondo sale, che si trova nella parte centrale della compressa, rilascia costantemente nel tempo il rimanente 65% di ciprofloxacina. In tal modo si ottiene una copertura antibatterica efficace per 24 ore, poiché caratterizzata da valori di Cmax superiori alla MIC degli uropatogeni nell’intervallo delle 24 ore (7). Dopo la somministrazione di una singola dose di 1.000 mg di ciprofloxacina a rilascio modulato si osservano, soprattutto nell’intervallo delle prime 4 ore, concentrazioni urinarie del farmaco di molto superiori, sia rispetto alla formulazione della ciprofloxacina tradizionale 500 mg bid che ad altri farmaci della stessa classe, quali ad esempio levofloxacina e prulifloxacina (Fig. 1) (10,11). Grazie ad un’unica somministrazione giornaliera si ottiene un rapporto AUC/MIC simile a quello ottenibile con la somministrazione di ciprofloxacina tradizionale bid, ma con un rapporto Cmax/MIC più elevato. I due parametri AUC/MIC e Cmax/MIC sono fondamentali, in quanto l’attività battericida della ciprofloxacina è dose-dipendente e non tempo-dipendente; pertanto, maggiore è la concentrazione, migliore è la risposta terapeutica. Elevati valori del rapporto Cmax/MIC, sono correlabili con la prevenzione della comparsa di resistenze durante la terapia (7-10). In uno studio multicentrico, prospettico, randomizzato, in doppio cieco, controllato di fase III, condotto negli USA e in Canada, sono state confrontate l’efficacia e la sicurezza della ciprofloxacina 1.000 mg a rilascio modificato in somministrazione unica giornaliera con la tradizionale ciprofloxacina 500 mg somministrata 2 volte al giorno per il trattamento delle infezioni delle vie urinarie complicate e delle pielonefriti acute non complicate. I risultati dello studio (Fig. 2) indicano un’eradicazione microbiologica dell’infezione nell’89% dei casi trattati con farmaco a rilascio modificato e nell’85% dei pazienti trattati con la formulazione tradizionale, mentre il successo clinico è stato ottenuto nel 95 90 85 80 75 70 Efficacia clinica Efficacia batteriologica Ciprofloxacina RM 1000 mg Ciprofloxacina 500 mg bid Tabella I. Effetti collaterali più comuni a confronto di alcuni antibiotici (tratti dalle relative RCP). Ciprofloxacina Ciprofloxacina Fosfomicina Levofloxacina 500 mg bid RM 1.000 3 mg 500 mg Vulvovaginiti Cefalea Vertigini Diarrea Nausea Dispepsia Aumento enzimi epatici (ALT-AST, fosfatasi alcaline, GGT) X X X X X X X X X X X X X Comune: frequenza tra 1% e 10%; AST=aspartato transaminasi sierica; ALT=alanina amminotransferasi sierica; GGT=gamma glutamil transferasi 96% dei pazienti trattati con ciprofloxacina a rilascio modificato e nel 93% di quelli trattati con ciprofloxacina tradizionale (12). I più favorevoli risultati clinici e microbiologici, ottenuti con la somministrazione a rilascio modificato di ciprofloxacina, possono essere spiegati con il miglior profilo farmacocinetico/farmacodinamico (12). Infine tutti gli studi svolti sulla ciprofloxacina RM 1.000 mg, in somministrazione unica giornaliera, hanno dimostrato un’elevata tollerabilità e sicurezza dell’innovativa formulazione, dati sovrapponibili a quelli della ciprofloxacina tradizionale (Tab. I) (13-16), a conferma della straordinaria ed elevata tollerabilità della molecola; che mostra, a fronte di oltre 400 milioni di pazienti trattati in tutto il mondo, un rapporto rischio/beneficio molto favorevole (17,18). Altresì la ciprofloxacina, al dosaggio terapeutico giornaliero di 1.000 mg, risulta sicura anche nel paziente anziano, come dimostrato in uno studio di sorveglianza condotto su 3.579 pazienti trattati con ciprofloxacina, dove non sono state osservate differenze importanti di tollerabilità nell’anziano rispetto ai pazienti più giovani (19). FARMACI 2013;12(3):83-90 1000 mg: il dosaggio terapeutico giornaliero della ciprofloxacina nelle infezioni urinarie. Razionale ed evidenze scientifiche Le IVU, e in particolare quelle non complicate, rappresentano una delle patologie di maggiore interesse; esse rappresentano la più comune infezione batterica nel sesso femminile. Il 25-50% delle donne tra i 20 e i 40 anni presenta, almeno una volta nella vita, un episodio di IVU e incorre in recidive più o meno frequenti. Il sesso maschile, per ragioni anatomiche, è meno colpito di quello femminile. Tutte le IVU nel sesso maschile vengono classificate come complicate (20). IVU non complicate Tra le IVU non complicate prevalgono le cistiti, che rappresentano l’80% di tutte le infezioni urinarie. La cistite acuta non complicata è definita come un’infezione episodica, che si verifica in adulti sani e in assenza di specifici fattori di rischio. Le cistiti acute sono tipiche delle donne, 90% dei casi, sia per fattori predisponenti di natura anatomica e ormonale, sia per peculiari comportamenti propri del sesso femminile (21). In Italia la summa delle malattie genito-urinarie ha generato 25 milioni di prescrizioni, di cui il 37% è rappresentato da antibiotici. Altresì circa 6,5 milioni di IVU sono state trattate con antibiotico-terapia e il 58,9% di tali prescrizioni è stata riferita alla cistite (22,23). L’approccio terapeutico in queste infezioni è di tipo empirico e resta, quindi, di fondamentale importanza nella sua scelta la valutazione di 4 parametri: lo spettro d’attività della molecola, ricercando la molecola con più ampio spettro; la potenza intrinseca della molecola, valutata attraverso la MIC, e associata alle caratteristiche farmacocinetiche dell’antibiotico stesso; la situazione locale dell’antibiotico-resistenza dei principali uropatogeni; il grado di compliance al trattamento da parte del paziente (1). Sebbene la maggioranza delle IVU non complicate sia causata, tanto a livello ospedaliero quanto comunitario, da Escherichia coli, bisogna considerare che in tale patologia sono ampiamente coinvolti anche altri batteri (Fig. 3), sia Gram-negativi, come ad esempio Klebsiella spp. e Proteus mirabilis, che Gram-positivi, come ad esempio Staphylococcus saprophyticus ed epidermidis, Enterococcus faecium e faecalis (24-29). Nello studio IceA2 si è focalizzata l’attenzione sul quadro della cistite acuta non complicata femminile sul territorio italiano, prendendo in esame un campione di 552 pazienti (18-57 anni) distribuite uniformemente in 5 aree geografiche di riferimento, verificando l’etiologia dell’infezione e il pattern di suscettibilità degli antibiotici più comunemente utilizzati in terapia: è emerso che nell’88,7% dei casi i patogeni isolati sono stati Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae e Proteus mirabilis, mentre l’11,3% erano rappresentati da altri tipi di batteri. Infine lo studio ha di- FARMACI 2013;12(3):83-90 mostrato come i fluorochinoloni, tra cui la ciprofloxacina (Fig. 4), siano gli antimicrobici dotati di miglior attività sugli uropatogeni isolati in ambiente comunitario, risultando attivi contro il 98,8% dei ceppi maggiormente responsabili di cistite (30). Le Linee Guida internazionali raccomandano nelle IVU, e in particolare nelle cistiti acute non complicate, una terapia antibiotica su base empirica, messa in atto dopo un’attenta valutazione dell’etiologia dell’infezione e, soprattutto e imprescindibilmente, della locale antibiotico-resistenza. I fluorochinoloni, e in particolare la ciprofloxacina, che possiede un ampio spettro d’azione (a differenza di altre molecole, come ad esempio fosfomicina o nitrofurantoina, pienamente attive solo nei confronti di Escherichia coli ma non sugli altri principali uropatogeni) e un’elevata attività battericida sugli uropatogeni (Fig. 5), sono utilizzati, con successo, nel trattamento delle infezioni acquisite in comunità e ospedaliere. Le Linee GuiFigura 3. Etiologia delle infezioni urinarie: studio europeo SENTRY (da: Fluit AC 2000; mod.). Citrobacter spp. 2% Candida spp. 2% Staphylococcus aureus 2% Stafilococchi coagulasi-negativi 3% Enterobacter spp. 5% Acinetobacter spp. 1% Moraxella morganii 1% Pseudomonas aeruginosa 6% Serratia spp. 1% Escherichia coli 52% Proteus spp. 7% Klebsiella spp. 7% Enterococcus spp. 12% Figura 4. Sensibilità: confronto tra diverse molecole (da: Speciale AM 2003; mod.). 100 98,8%* 81,8%* 95,9%* 75,0%* 77,2%* 80 Sensibilità (%) Le infezioni urinarie 60 40 20 0 Ciprofloxacina Fosfomicina Levofloxacina Norfloxacina NA Amoxicillina/ Cotrimossazolo Nitrofurantoina acido clavulanico Escherichia coli Klebsiella pneumoniae Proteus mirabilis NA=non attiva *Sensibilità globale della triade batterica 85 L. Salzano Figura 5. Spettro d’azione della ciprofloxacina (da: RCP Ciproxin® 500 mg; RCP Cirpoxin® RM 1000 mg; Linee Guida EAU 2013; mod.). + + + 1 Intracellulari Legionella spp. Chlamydia spp. Mycoplasma pneumoniae + + + + + + + + + + + + Gram-positivi Streptococcus Gruppo A, B, C, G Streptococcus pneumoniae Enterococcus faecalis Staphylococcus aureus (MSSA) Staphylococcus aureus (MRSA) Staphylococcus epidermidis Listeria monocytogenes ± ± ** + O + 100% 100% 20% 4 Claritromicina Amoxicillina/ acido clavulanico Cefaclor Ciprofloxacina 80 60 40 20 0 + + + + + + ± + + + =>60% dei microrganismi suscettibili; ± =30-60% dei microrganismi sensibili; 0 =non efficace e <30% dei microrganismi sensibili; **la maggior parte dei ceppi a sensibilità intermedia (±), può essere utilizzato per il trattamento delle infezioni urinarie ma non nelle infezioni sistemiche; 1=la prevalenza di gonorrea chinolo-resistente in Europa varia dall’1% al 30,9% e a Taiwan supera il 90% mentre negli Stati Uniti nel 2006 era assestata al 6,7%. Per questi motivi i CDC non raccomandano i fluorochinoloni come terapia di prima linea della gonorrea. da europee li suggeriscono come una valida alternativa terapeutica per questa forma di patologia non complicata, con una durata di trattamento di 3 giorni (31). In uno studio multicentrico, randomizzato e prospettico, condotto su 891 donne, si è dimostrato che il trattamento per 3 giorni con ciprofloxacina è efficace e ben tollerato nell’eradicazione degli uropatogeni nelle IVU non complicate (32). Insieme alla completa eradicazione batterica, la rapida risoluzione della sintomatologia clinica è un altro importante obiettivo terapeutico da raggiungere. La ciprofloxacina si è dimostrata capace di migliorare significativamente e velocemente, già solo dopo 5-6 ore, i sintomi propri delle IVU non complicate, permettendo il ritorno alle attività quotidiane già dopo 24 ore dalla prima somministrazione (33). Bassetti, nella sua prestigiosa opera “Chemioterapici ed antinfettivi e loro impiego razionale” afferma che gli schemi terapeutici in monodose, come nel caso della fosfomicina, sebbene clinicamente efficaci, si legano a un’alta incidenza di recidive precoci e che ciò, quindi, ne fa sconsigliare l’uso (34). Inoltre, soprattutto in caso di cistiti ricorrenti, è consigliabile l’impiego di farmaci che consentano di aggredire il patogeno coinvolto in modo rapido e potente, così da favorirne un’efficace eradicazione. L’utilizzo di molecole con Cmax elevata potrebbe rappresentare un’arma per prevenire efficacemente le recidive. La 86 100 Ceppi sensibili (%) Gram-negativi Neisseria gonorrhoeae Neisseria meningitidis Moraxella catarrhalis Haemophilus influenzae Escherichia coli Klebsiella spp. Enterobacter spp. Serratia spp. Salmonella spp. Shigella spp. Proteus mirabilis Proteus vulgaris Providencia spp. Morganella spp. Citrobacter spp. Aeromonas spp. Acinetobacter spp. Pseudomonas aeruginosa Pasteurella multocida Figura 6. Impatto di alcuni antibiotici sui lattobacilli vaginali (da: Tempera G 2009; Herra CM 1995; mod.). formulazione della ciprofloxacina RM 1.000 mg, grazie alle sue peculiari caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche, rappresenta un’efficace opportunità terapeutica in tal senso (35). Altresì, sempre nell’ottica di prevenire le recidive di cistite, è importante preservare l’ecosistema microbiota vaginale, che molto spesso non viene preso in considerazione per un’appropriata scelta della molecola da utilizzare; ciò con la conseguenza che l’uso di antibiotici non adatti va a ridurre la popolazione lattobacillare, predisponendo l’ecosistema vaginale a una più facile ricolonizzazione da parte di patogeni Gram-negativi di provenienza intestinale, causa frequente di recidive di cistiti oltre che di vaginiti (36-38). I fluorochinoloni, e la ciprofloxacina in particolare, grazie alla scarsa attività sui lattobacilli vaginali, risultano la classe di antibiotici più appropriata in quanto minimizzano l’impatto sulla flora (Fig. 6); ciò risulta vantaggioso per la donna poiché aiuta a prevenire infezioni secondarie (37,39). Anche in soggetti particolari come le donne in menopausa, ciprofloxacina è risultata efficace nel trattamento delle IVU non complicate. In uno studio su 82 donne in menopausa in cui sono stati isolati Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae e Proteus mirabilis, la terapia con la ciprofloxacina ha permesso l’eradicazione di tali uropatogeni con un tasso di successo dell’82,05% (p=0,59), con un tasso di compliance al trattamento pari all’83,64% (40). Infine dai risultati di una metanalisi, condotta sulla base di 10 studi differenti e con l’obiettivo di confrontare l’efficacia e il tasso di eventi avversi dei differenti regimi terapeutici (a breve, medio, lungo periodo), prescritti in caso di IVU in donne con cultura batterica positiva, la ciprofloxacina si è dimostrata l’antibiotico più efficace (41). IVU complicate Vengono definite infezioni urinarie complicate quelle infezioni associate a disordini metabolici o a gravi comorbidità, ovvero secondarie ad alterazioni anatomiche o funzionali che possano FARMACI 2013;12(3):83-90 1000 mg: il dosaggio terapeutico giornaliero della ciprofloxacina nelle infezioni urinarie. Razionale ed evidenze scientifiche Tabella II. Opzioni terapeutiche antibiotiche per la terapia empirica delle IVU complicate (da: Linee Guida EAU 2013; mod.). Antibiotici raccomandati per il trattamento empirico iniziale • Fluorochinoloni • Aminopenicillina più BLI • Cefalosporina (Gruppo 2 o 3a) • Aminoglicoside Antibiotici raccomandati per il trattamento empirico in caso di insuccesso iniziale, o per i casi più gravi • Fluorochinolone (se non utilizzato per la terapia iniziale) • Ureidopenicillina (piperacillina) più BLI • Cefalosporina (Gruppo 3b) • Carbapenemi • Terapia di combinazione: - Aminoglicoside + BLI - Aminoglicoside + fluorochinolone Antibiotici non raccomandati per il trattamento empirico • Aminopenicilline, ad es. amoxicillina, ampicillina • Trimetoprim-sulfametossazolo (solo se è nota la suscettibilità del patogeno) • Fosfomicina trometamolo BLI=inibitore delle beta-lattamasi interferire con il drenaggio urinario. Per definizione si intendono complicate le infezioni urinarie nel corso della gravidanza, della menopausa (a causa delle modificazioni delle mucose urogenitali) e nel sesso maschile (dovute alla conformazione anatomica dell’apparato urinario e al rischio di penetrazione di germi nel tessuto prostatico) (31,42). I microrganismi coinvolti nelle IVU complicate sono più numerosi rispetto a quelli rilevati nelle IVU non complicate; si possono riscontrare, tra i principali, oltre a Escherichia coli, anche Proteus mirabilis, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa, Enterococcus spp. In particolare, in presenza di calcolosi la frequenza di Escherichia coli ed Enterococcus spp. è generalmente ridotta, mentre tendono a diventare predominanti Pseudomonas aeruginosa e Proteus mirabilis, ossia i batteri produttori di ureasi (43). Circa il 20% dei casi di IVU, riscontrati in ambulatori dai Medici di Medicina generale, riguarda gli uomini (21). In un uomo con sospetto di IVU si raccomanda di raccogliere un campione per urinocoltura prima di iniziare la terapia empirica (44,45); inoltre, nel caso si tratti di un secondo episodio di IVU in un anno, è opportuno procedere con un esame strumentale (ecografia o radiografia) per escludere malformazioni od ostruzioni delle vie urinarie come l’ipertrofia prostatica e la presenza di calcoli urinari (44,46,47). Le Linee Guida internazionali EAU 2013 (European Association of Urology), considerano i fluorochinoloni come prima scelta te- FARMACI 2013;12(3):83-90 rapeutica per il trattamento empirico delle infezioni urinarie complicate (durata terapia 7-14 giorni) (31); invece tra le molecole espressamente non raccomandate per il trattamento di tale patologia (Tab. II) vi sono le aminopenicilline, il trimetoprim-sulfametazolo e la fosfomicina trometamolo (31). Tra i fluorochinoloni ciprofloxacina RM 1.000 mg, come già anticipato, ha dimostrato, nelle infezioni urinarie complicate, di avere un trend di efficacia migliore rispetto alla formulazione tradizionale 500 mg bid, sia dal punto di vista clinico che batteriologico (Fig. 2) (12). Anche in pazienti con pielonefrite ciprofloxacina RM 1000 mg ha confermato un’elevata efficacia clinica (97,5%) e batteriologica (92,7%), in coerenza con quanto raccomandato dalle Linee Guida EAU, che raccomandano ancora una volta, anche per le pielonefriti, i fluorochinoloni come terapia di prima scelta (12,31). All’interno di questo capitolo merita un particolare focus anche l’argomento prostatiti batteriche. Le finalità della terapia delle prostatiti batteriche sono: ridurre i sintomi, eradicare i germi responsabili di infezione, normalizzare i parametri di flogosi, migliorare la qualità del liquido seminale (48). La prostata, per le sue caratteristiche strutturali, è uno dei tessuti più difficili da penetrare; pertanto, alla luce di ciò, è importante nella scelta terapeutica, valutare una serie di caratteristiche delle molecole antibiotiche a disposizione, che ne supportino l’appropriatezza, riducendo al massimo il rischio di fallimento terapeutico. I chinoloni, dotati di ottimi parametri farmacocinetici, caratterizzati da buona biodisponibilità ed elevata liposolubilità, diffondono maggiormente nel liquido prostatico rispetto alla nitrofurantoina e alle cefalosporine. Essi sono dotati di un’ottima attività contro patogeni tipici e atipici, oltre che su Pseudomonas aeruginosa. Pertanto, per tutti questi motivi, le Linee Guida EAU 2013 riconfermano la raccomandazione circa il loro utilizzo nel trattamento delle prostatiti batteriche (Tab. III) (31). In generale la concentrazione tissutale dei chinolonici e la loro efficacia clinica, in presenza di germi sensibili, si sono rivelate ottimali (Tab. IV), per cui essi sono da considerare come antibiotici di prima scelta nelle prostatiti croniche (49-55). La ciprofloxacina 1.000 mg a rilascio modificato mostra un eccellente tasso di penetrazione nella prostata, con concentrazioni pari a 1,6-7,2 μg/g (Tab. V) (56). Anche quando il trattamento, in 65 uomini con prostatite batterica cronica, si protrae per 28 giorni, ciprofloxacina 1.000 mg in monosomministrazione giornaliera è risultata efficace: tasso di eradicazione batterica pari a 88,9% al termine del trattamento. Ai successivi follow-up si è mantenuto il dato di efficacia: tasso di eradicazione batterica 82,1% dopo 3 mesi, 76,4% dopo 6 mesi, 59,1% dopo 9 mesi (49). Anche le Linee Guida olandesi, così come quelle scozzesi, sulle IVU complicate raccomandano di utilizzare, in prima battuta, i fluorochinoloni in quei soggetti maschili in cui la sintomatolo- 87 L. Salzano Tabella III. Fluorochinoloni nelle prostatiti batteriche: i vantaggi della classe indicati dalle Linee Guida EAU 2013 (da: Linee Guida EAU 2013; mod.). Antibiotici Fluorochinoloni Trimetoprim Tetracicline Macrolidi Vantaggi Svantaggi Raccomandazioni Farmacocinetica favorevole A seconda della sostanza Eccellente penetrazione a livello prostatico Interazioni farmacologiche Buona biodisponibilità Fototossicità Farmacocinetica orale e parenterale equivalente (in relazione alla sostanza) Eventi avversi al sistema nervoso centrale Buona attività contro patogeni tipici e atipici e Pseudomonas aeruginosa In generale un buon profilo di sicurezza Buona penetrazione a livello prostatico Nessuna attività contro Pseudomonas, Formulazione orale e parenterale disponibili alcuni enterococchi e alcune Enterobacteriaceae Relativamente economico Monitoraggio inutile Attivo contro i più importanti patogeni Economiche Assenza di attività contro Pseudomonas aeruginosa Formulazione orale e parenterale disponibili Attività inaffidabile contro stafilococchi coagulasi-negativi, Buona attività contro Chlamydia e Mycoplasma Escherichia coli e altre Enterobacteriaceae ed enterocchi Controindicato nell’insufficienza renale ed epatica Rischio di sensibilizzazione cutanea Ragionevolmente attivi contro i batteri Gram-positivi Dati di supporto insufficienti tratti da studi clinici Attivi contro Chlamydia Attività contro batteri Gram-negativi non rilevata Buona penetrazione a livello prostatico Relativamente non tossico Raccommandato Da considerare Da riservare per indicazioni particolari Da riservare per indicazioni particolari Tabella IV. Risultato di studi con i fluorochinoloni in pazienti con prostatiti croniche (da: Wagenlehner FM 2007; mod.). Chinolone Norfloxacina Norfloxacina Ofloxacina Ciprofloxacina Ciprofloxacina Ciprofloxacina Ciprofloxacina Ciprofloxacina Lomefloxacina Ciprofloxacina Levofloxacina Dose/die (mg) Durata della terapia (giorni) Numero di pazienti valutabili Cura batteriologica (%) Durata del follow-up (mesi) Anno dello studio 800 4-800 400 1000 1000 1000 1000 1000 400 1000 500 28 174 14 14 28 60-150 28 28 28 28 28 14 42 21 15 16 7 34 78 75 188 189 64 69 67 60 63 86 76 72 63 77 75 6 8 12 12 21-36 12 6 6 6 6 6 1990 1991 1989 1987 1991 1991 2000 2002 2002 2003 2003 Vengono elencati solo gli studi in cui la diagnosi è derivata dall’applicazione della tecnica di Maeres e Stamey e in cui erano disponibili fallow-up di almeno 6 mesi. Tabella V. Diffusibilità prostatica della ciprofloxacina RM 1000 mg (da: Childs S 2004; mod.). Concentrazione prostatica Concentrazione dopo 1,5 ore Concentrazione dopo 3,2 ore Rapporto tessuto: plasma 1,6-7,2 mg/g 4,8 mg/g 4,3 mg/g 0,97-2,4 gia sia fortemente suggestiva di un coinvolgimento prostatico cronico (43,44). A supporto di tale indicazione intervengono i risultati di uno studio condotto su 204 pazienti con IVU complicate, sottoposti a trattamento con ciprofloxacina RM 1.000 88 mg per 7-14 giorni, che hanno raggiunto un tasso di complessiva eradicazione batterica pari all’82,1% (Escherichia coli 100%, Klebsiella pneumoniae 90%, Pseudomonas aeruginosa 100%) (57), oltre che le considerazioni sulle indicazioni terapeutiche all’utilizzo dei fluorochinoloni, antibiotici con elevata permeabilità nel tessuto prostatico, in soggetti con prostatiti croniche dello studio di Wagenlenher et al. (55). Anche quando comparata con la levofloxacina 500 mg/die, in uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco di 4 settimane in soggetti con prostatite cronica batterica, ciprofloxacina, alla dose giornaliera di 1.000 mg, è risultata efficace nell’eradicazione FARMACI 2013;12(3):83-90 1000 mg: il dosaggio terapeutico giornaliero della ciprofloxacina nelle infezioni urinarie. Razionale ed evidenze scientifiche Figura 7. Confronto dell’efficacia batteriologica in pazienti con prostatite cronica trattati con ciprofloxacina e levofloxacina (da: Bundrick W 2003; mod.). 78 76 Ceppi sensibili (%) 74 72 mentale si è dimostrata un’efficace profilassi antibiotica (raccomandata peraltro, ancora una volta, dalle Linee Guida EAU oltre che dalle ultime Linee Guida italiane SIUrO sulla biopsia prostatica) garantendo, grazie alla sua elevata diffusibilità prostatica, elevate concentrazioni di farmaco in situ durante la manovra strumentale e riducendo così il rischio di possibili infezioni (60). 70 68 Conclusioni 66 64 62 60 Ciprofloxacina 1000 mg Levofloxacina 500 mg microbiologica (levofloxacina 75% vs ciprofloxacina 76,8%) (Fig. 7) (58); inoltre un recente studio, che ha coinvolto 61 ambulatori di centri urologici italiani e in cui sono stati arruolati 740 pazienti con diagnosi di prostatite cronica, con moderati valori di PSA totale compresi tra 4-10 ng/ml e in assenza di segni clinici di tumore prostatico, trattati per 2-3 settimane con ciprofloxacina RM 1.000 mg, ha messo in chiara evidenza che il 50% di tali pazienti ha ridotto i valori del PSA a livelli normali (minori di 4 ng/ml) dopo 10-12 settimane dalla prima valutazione. Pertanto è ragionevole intraprendere un ciclo di terapia antibiotica prima di indirizzare questa tipologia di pazienti a una biopsia prostatica, tecnica diagnostica strumentale invasiva (59). Qualora invece sia necessario sottoporre il paziente a una biopsia prostatica transrettale, esame cardine per la diagnosi di tumore prostatico, la somministrazione di 1 dose di ciprofloxacina RM 1.000 mg 2-3 ore prima dell’indagine stru- I fluorochinoloni, la ciprofloxacina in particolare, rappresentano già da tempo le molecole più utilizzate per il trattamento delle IVU in Italia (22,23). Le Linee Guida internazionali suggeriscono il loro impiego nelle diverse forme di IVU non complicate e complicate, oltre che nelle prostatiti, e nella profilassi antibiotica per manovre strumentali invasive (60). La ciprofloxacina ha dimostrato, nel corso degli anni, di essere un’efficace opzione terapeutica in tutte queste infezioni urologiche grazie alle caratteristiche intrinseche della molecola stessa (7-11). Il dosaggio terapeutico giornaliero 1.000 mg è il più utilizzato nella pratica clinica e in particolare la nuova formulazione in monosomministrazione, ciprofloxacina RM 1.000 mg, grazie alla sua elevata concentrazione plasmatica e urinaria (10), consente: a. una più rapida risoluzione dei sintomi clinici (33); b. una più rapida eradicazione del patogeno; c. un minor rischio di indurre resistenze (61); d. un minor rischio di recidive di cistite; e. una migliore compliance da parte del paziente (1); con una dimostrata elevata tollerabilità sovrapponibile a quella di altri antibiotici. Bibliografia 1. Tempera G. Attualità in tema di antibiotico-terapia delle infezioni urinarie. Ciprofloxacina RM: il superamento della tradizione. GIMMOC 2011;15:67-74. 2. 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Di Biagio Clinica Malattie Infettive, IRCCS AOU San Martino IST, Padiglione Patologie Complesse, Genova Abstract Riassunto The introduction of the modern combined antiretroviral treatment permitted to reach more and more successful results for the survival and the quality of life of HIV-infected patients. This goal is based on the gradual introduction of new molecules belonging to different pharmacological classes and with different structural targets. However, not being as yet a definitive cure available, the management of patients with HIV infection poses new challenges to the clinician linked to the virus, drug and host. A partire dal 1996, l’introduzione della moderna terapia antiretrovirale di combinazione (cART), ha consentito di ottenere nei pazienti con infezione da HIV, eccellenti risultati in termini di sopravvivenza e di miglioramento della qualità di vita. Il raggiungimento di questo traguardo è stato possibile grazie alla progressiva introduzione di nuove molecole appartenenti a diverse classi farmacologiche e con differenti bersagli strutturali. Tuttavia, non essendo a tutt’oggi disponibile una cura definitiva, la gestione del paziente con infezione da HIV pone al clinico nuove sfide legate al virus, ai farmaci e all’ospite. Introduzione 179 mesi di sopravvivenza totale. Il guadagno, in termini di anni, si attesta intorno ai 13,3 per persona (1). I risultati ottenuti, nell’ambito del trattamento della sindrome da immunodeficienza acquisita, sono da considerarsi di primaria importanza soprattutto quando confrontati con quelli riguardanti altre condizioni croniche come le patologie coronariche, il carcinoma polmonare non a piccole cellule o le recidive di malattia in pazienti affetti da linfoma non Hodgkin (Fig. 1). Per quanto vi siano diversi fattori in grado di influenzare l’outcome della malattia, la conta dei linfociti CD4+ al baseline sembra essere il marker determinante. I dati a oggi disponibili dimostrando come, in aeree geografiche ad alto tenore socioeconomico, i pazienti sottoposti a un trattamento efficace abbiano una Il costante miglioramento dell’efficacia dei farmaci antiretrovirali e della loro tollerabilità, nonché la semplificazione della loro assunzione, ha portato a un netto incremento della sopravvivenza dei soggetti con infezione da HIV. Confrontando infatti i dati ad oggi disponibili, partendo dai primi tentativi di profilassi delle infezioni opportunistiche e giungendo fino alle moderne associazioni terapeutiche, si è assistito alla graduale trasformazione dell’infezione da HIV da condizione a elevata mortalità a breve termine a patologia cronica. Rispetto al 1989, anno in cui la sopravvivenza mediana alla diagnosi era di 19 mesi in assenza di ogni tipo di terapia, sono stati raggiunti, nel 2003, circa FARMACI 2013;12(3):91-97 91 L. De Hoffer, S. Dini, G. Gustinetti, L. Taramasso, D.R. Giacobbe, A. Di Biagio Figura 1. Miglioramento della sopravvivenza calcolata in mesi per diverse patologie croniche negli USA (da: Walensky RP 2006; mod.). speranza di vita che molto si avvicina a quella dei soggetti non infetti. Grazie ai dati forniti dalla fondazione ICONA, che utilizzano come parametro di efficacia la percentuale di pazienti naïve con viremia inferiore a 80 copie/ml a 12 mesi dall’inizio della loro prima cART, sappiamo che tale obiettivo è stato raggiunto nel 2011 in quasi il 90% dei soggetti trattati, a fronte di un 18% raggiunto nel 1997 (2). Terapia standard nel paziente naïve Non tutti i soggetti in cui viene riscontrata un’infezione da HIV richiedono un immediato inizio della terapia specifica. Le attuali conoscenze consentono di identificare, in una conta linfocitaria CD4 inferiore ai 350 cell/µL, l’indicazione assoluta per l’inizio del trattamento in pazienti con infezione cronica asintomatica, come evidenziato da Linee Guida sia nazionali che internazionali. In Italia tale raccomandazione viene estesa a tutti i soggetti asintomatici con una conta <500 cell/µL, seppure tale evidenza provenga solamente da studi di coorte. Questa scelta appare motivata dal migliore outcome del trattamento precoce (3), dalla riduzione della trasmissione dell’infezione in coppie discordanti e dalla riduzione dei costi totali legati alla malattia. 92 L’inizio del trattamento può essere preso in considerazione anche per pazienti con CD4+ >500 cell/µL in presenza di parametri immuno-virologici sfavorevoli, quali un’elevata carica virale, (HIV-RNA >100.000 copie/mL) o un decremento dei CD4+ >100 cell/µL anno. Moderatamente raccomandata è anche l’assunzione di antiretrovirali per individui con età superiore ai 50 anni, per portatori di epatite cronica HCV-correlata non responsiva a precedenti trattamenti e in presenza di elevato rischio cardiovascolare. Altrettanto chiara risulta la necessità di trattare, indipendentemente dalla conta linfocitaria e dalla carica virale, tutti coloro che giungono, per la prima volta, all’osservazione medica con patologie AIDS-definenti o HIV-correlate (gruppo B CDC 1993), le donne gravide, i pazienti con disordini neurocognitivi, nefropatie direttamente imputabili a HIV, neoplasie non AIDS-definenti e soggetti con epatite HBV cronica che necessitano di terapia. Recentemente è stata, inoltre, sottolineata l’importanza di un’estensione di tale indicazione alle coppie discordanti e, in generale, alle situazioni che comportano un elevato rischio di trasmissione secondaria. Sono molti i parametri da prendere in considerazione nel paziente naïve che sta per intraprendere una cART: alcuni di essi sono legati alle caratteristiche del farmaco, quali l’efficacia, la tollerabilità o il grado di barriera genetica, altri sono invece legati alle caratteristiche del paziente stesso, come il grado di immunodeficienza, la presenza di comorbidità o le caratteristiche genetiche (HLA-B*5701). Ad oggi lo “standard of care” è costituito da un’associazione di due analoghi nucleos(t)idici inibitori della trascrittasi inversa (NRTI) associati a un terzo farmaco, scelto tra le varie categorie disponibili, e prevalentemente tra analoghi non nucleosidici inibitori della trascrittasi inversa (NNRTI), inibitori della proteasi (PI) e inibitori dell’integrasi (INI) di HIV. Questa strategia riflette l’evoluzione, avvenuta nelle due decadi passate, della concezione di trattamento ottimale: dall’uso di un singolo NRTI, a due NRTI e alla loro combinazione con un’altra molecola. Il cosiddetto “backbone nucleos(t)idico” privilegia, a oggi, due associazioni: tenofovir/emtricitabina (TDF/FTC) e abacavir/lamivudina (ABC/3TC), entrambi a singola somministrazione quotidiana. Studi di confronto tra le due combinazioni sostengono che siano entrambe proponibili come componenti di regimi rac- FARMACI 2013;12(3):91-97 La terapia antiretrovirale: stato dell’arte e prospettive future comandati ma che, per un HIV-RNA al di sopra delle 100.000 copie/mL, TDF/FTC garantisca una risposta virologica superiore. La validità di tale affermazione è stata dimostrata per le combinazioni con atazanavir/ritonavir (ATV/r) ed efavirenz (EFV), ma non con lopinavir/ritonavir (LPV/r). Tali studi sono stati però condotti in assenza dell’allele HLA-B*5701, che controindica l’uso di ABC per il maggior rischio di reazioni di ipersensibilità. Ulteriori limitazioni, all’uso di ABC/3TC, sono legate alla scarsità di dati sulla somministrazione combinata con nevirapina (NVP), raltegravir (RAL), rilpivirina (RPV) e darunavir/ritonavir (DRV/r)(4). I “terzi” farmaci maggiormente efficaci, nei regimi a base di TDF/FTC, sono EFV, ATV/r, DRV/r e RAL. I PI vengono generalmente somministrati con un booster di ritonavir (r) che, oltre a bloccare direttamente la proteasi stessa, è un potente inibitore del citocromo P450-3A4 ed è quindi in grado di incrementare i livelli ematici delle altre molecole della stessa classe. Tra gli NNRTI il più popolare risulta essere EFV non solo per la potenza farmacologica, ma anche perché commercializzato in combinazione con TDF/FTC in un’unica pillola a mono-somministrazione giornaliera. Da poco disponibile in commercio è infine RPV, un altro NNRTI approvato per pazienti naïve con viremia inferiore alle 100.000 copie/ml. Tale limitazione appare giustificata dai risultati ottenuti negli studi ECHO e THRIVE in cui RPV, rispetto a EFV, mostrava un maggiore tasso di fallimenti virologici a fronte di un miglioramento del profilo di tollerabilità (5). Il fallimento virologico è definito dalla mancata soppressione dell’HIV-RNA plasmatico a valori inferiori alle 50 copie/ml a 24 settimane dall’inizio della cART o dall’incremento della replicazione virale (rebound), confermato in due determinazioni successive in pazienti che avevano precedentemente raggiunto una soppressione virale completa (4). In questi casi è necessario innanzitutto indagare l’aderenza del paziente al trattamento e gli eventuali fattori che possono influenzarla, in particolare l’insorgenza di effetti collaterali. Contemporaneamente devono essere rivalutate le possibili interazioni farmaco-farmaco che alterano la cinetica degli antiretrovirali, non consentendo il raggiungimento di adeguate concentrazioni in vivo. Una volta escluse queste evenienze deve essere effettuato, laddove la viremia sia sufficientemente elevata da consentirlo, il test di resistenza che guiderà le future scelte terapeutiche. Le attuali indicazioni impongono, nei pazienti experienced, l’utilizzo di due o, ancor meglio, tre molecole che conservino efficacia nei confronti dello specifico ceppo virale. A tale proposito la meta-analisi pubblicata da Pichenot et al. nel 2012 Figura 2. Differente mortalità al secondo fallimento terapeutico nel tempo* (da: Deeks SG 2009 mod.). Trattamento dei pazienti experienced Il problema di fornire una terapia efficace diviene ancor più importante nei soggetti già in trattamento che mostrino una risposta inadeguata alla cART in termini di soppressione della carica virale. La persistente replicazione del virus si traduce, infatti, in un aumento degli eventi AIDS-correlati e dei tassi di mortalità; tale correlazione risulta peraltro maggiormente evidente nei casi in cui le resistenze farmacologiche rendono impossibile l’utilizzo di più classi di antiretrovirali (6). Tra i farmaci di prima linea a bassa barriera genetica, e quindi maggiormente associati allo sviluppo di mutazioni inattivanti, ricordiamo FTC, 3TC, EFV, NVP e RAL. FARMACI 2013;12(3):91-97 *La mortalità dopo l’esordio del 2° fallimento virologico (livelli plasmatici di HIV-RNA >1.000 copie/ml) è stata stimata con l’utilizzo del metodo di Kaplan Meier. Gli individui sono stati stratificati in base alla data in cui il secondo fallimento virologico è stato identificato. 93 L. De Hoffer, S. Dini, G. Gustinetti, L. Taramasso, D.R. Giacobbe, A. Di Biagio dimostra come il numero di farmaci attivi sia il più importante fattore predittivo di efficacia immunovirologica (7). Viene invece definitivamente sconsigliata l’aggiunta di un singolo agente attivo alla terapia in atto, per il rischio di rapido sviluppo di resistenza (8). Numerosi lavori hanno messo in luce un netto miglioramento della capacità dei trattamenti di seconda e persino di terza linea, nel raggiungere e mantenere la soppressione virologica (Fig. 2) (9). Tra i primi studi che hanno valutato l’impatto dell’utilizzo di tre molecole attive nel paziente multi-fallito è necessario citare il trial ANRS 139 TRIO. Tale lavoro, dei colleghi francesi, ha mostrato infatti che, nei pazienti con infezione da ceppi virali multi-resistenti, l’utilizzo di combinazioni farmacologiche contenenti RAL, DRV/r ed etravirina (ETV) determinava tassi di soppressione (HIV-RNA <50 copie/ml) del 90% e del 86% rispettivamente a 24 e a 48 settimane dall’inizio della terapia. L’incremento medio della conta di CD4+ si attestava sulle 108 cell./mm2 (Fig. 3) (10). Gli studi DUET 1 e 2 hanno, invece, evidenziato come ETV, appartenente alla classe degli NNRTI e somministrata in associazione a DRV/r, possa essere efficace anche in pazienti con almeno una mutazione inattivante la stessa classe farmacoloFigura 3. Variazione media, nei pazienti HIV-positivi, del carico RNA (linea verde) e della conta cellulare CD4+ (linea grigia) 95% IC (da: Yazdanpanah Y 2009; mod.). 94 gica e tre mutazioni inattivanti i PI. I tassi di HIV-RNA <50 copie/ml dopo 24 settimane di trattamento sono stati rispettivamente del 56% e del 62% nel braccio di ETV dei trial DUET 1 e 2 contro il 39% il 44% del braccio placebo (p=0,005 e p=0,0003) (11,12). Effetti collaterali della cART La gestione di pazienti con una patologia che presenta caratteristiche di cronicità ha portato il clinico a doversi confrontare quotidianamente con la tossicità associata alla terapia antiretrovirale. Sebbene i farmaci più utilizzati siano, in linea generale, sicuri e ben tollerati, nessuno di essi è scevro da potenziali effetti collaterali. Alcuni di essi determinano cambiamenti nell’aspetto fisico del paziente (lipodistrofia, rash, ittero), altri comportano l’alterazione della funzionalità d’organo (cardiopatia ischemica, osteoporosi, tossicità mitocondriale epatica). Tra gli NRTI, il TDF può causare danno renale e osteopenia, mentre ABC può determinare reazioni di ipersensibilità e un probabile incremento del rischio cardiovascolare. Ancora, per quanto riguarda EFV, l’NNRTI più prescritto, non si può non tenere conto, al momento della prescrizione, degli effetti teratogeni nel primo trimestre di gravidanza e delle alterazioni a carico del sistema nervoso centrale nelle prime settimane di terapia. La maggior parte degli PI si associa, invece, a dislipidemia e incremento del rischio cardiovascolare, oltre che alle problematiche inerenti le interazioni farmacologiche. Tra le molecole meglio tollerate vi sono maraviroc (MVC) e RAL, anche se, soprattutto per quest’ultimo, mancano ancora dati sulla sicurezza a lungo termine. Più complesso è invece l’utilizzo dell’enfuvirtide, un inibitore della fusione tra HIV e la cellula bersaglio, che richiede 2 somministrazioni sottocutanee quotidiane con elevata incidenza di dolorose reazioni locali. Quanto tali effetti collaterali possano realmente incidere nella prognosi a lungo termine dei soggetti sieropositivi non è a tutt’oggi totalmente chiaro. Il dibattito trova fondamento nella difficoltà di differenziare le alterazioni determinate direttamente dalla cART da quelle conseguenti l’infezione cronica da HIV. Uno studio retrospettivo di Kowalska et al. ha visto coinvolti 12.069 pazienti, appartenenti alla coorte EuroSIDA, per un periodo mediano di follow-up di 5,43 anni rilevando in tutto 1.297 FARMACI 2013;12(3):91-97 La terapia antiretrovirale: stato dell’arte e prospettive future decessi. Tali decessi erano stati determinati da eventi non AIDScorrelati nel 68% dei casi. Stratificando il rischio per la durata in anni del trattamento gli autori non rilevavano un aumento delle morti non AIDS-correlate (patologie epatiche, cardiovascolari, neoplasie non AIDS-correlate) al prolungarsi della durata della terapia. Complessivamente è stata, invece, dimostrata una riduzione del rischio di eventi mortali pari al 5% per ogni anno aggiuntivo di trattamento, prevalentemente determinata dalla minore frequenza di eventi AIDS-correlati (13). È tuttavia importante sottolineare che l’insorgenza di eventi avversi influenza tanto negativamente l’aderenza dei pazienti al trattamento da risultare come primo fattore responsabile della cessata assunzione di almeno un farmaco. D’Arminio et al., in un follow-up medio di 45 settimane di 862 pazienti alla prima terapia di combinazione, osservava un tasso di interruzione della terapia complessivo del 36,2%, motivato dall’insorgenza di effetti collaterali nel 58% dei soggetti. Il rischio di discontinuità del trattamento a un anno dal suo inizio era del 25,5% per tossicità e solo del 7,6% per fallimento virologico (14). L’attuale tasso di interruzione della terapia a 96 settimane, calcolato prendendo in considerazione differenti regimi, è stimato complessivamente tra il 3% e l’11%. Per quanto tale percentuale possa apparire accettabile, occorre considerare che in tali pazienti la mancata compliance terapeutica ha un forte impatto negativo sull’efficacia virologica (15). Dall’analisi di questi dati si evince come, nella pratica clinica, sia fondamentale non solo la gestione degli eventi avversi, ma soprattutto la prevenzione degli stessi tramite una scelta individualizzata del regime di combinazione, un attento monitoraggio sia clinico che biochimico e un costante counseling rivolto anche all’accettabilità del regime terapeutico. 69% alle cure, per il 14% alla ricerca, per il 13% all’assistenza domiciliare e per il 4% alla prevenzione (16). Prima dell’introduzione della cART, nel 1995, la spesa si era attestata intorno ai 3,7 miliardi di dollari. Analizzando i dati proposti da Schackman et al. emerge inoltre un progressivo e prevedibile incremento del costo della terapia che, per pazienti con un prospettiva di vita di 24,2 anni al momento di inizio della cART, giunge a rappresentare circa il 73% della spesa prevista nel 2006. La quota destinata ai costi dei ricoveri ospedalieri si riduce, invece, al 13% rispetto al 50% del 1993 (17). Lo stesso andamento è stato riscontrato anche in Italia, e in particolare in Lombardia, la regione italiana con la prevalenza maggiore di pazienti con infezione da HIV. In tale area geografica si è verificato un netto aumento della spesa per le cure del paziente con infezione da HIV tra il 2004 e il 2010 con il raddoppiare degli investimenti rivolti ai farmaci antiretrovirali (18). Nell’ambito delle linee guida italiane la strategia di trattamento che sembra garantire il migliore rapporto costo-efficacia è quella basata sulla “single tablet regimen” (STR). In particolar modo viene privilegiata la combinazione di TDF/FTC/EFV in commercio dal 2009, ma tra le novità dell’anno corrente vi è anche l’approvazione della co-formulazione di TDF/FTC/RPV, che ha un costo inferiore. Tra i regimi di seconda scelta vi sono TDF+3TC+EFV, TDF/FTC+NVP e TDF+FTC+EFV (19). I risultati ottenuti dalle formulazioni che consentono una singola assunzione giornaliera dei farmaci sembrano essere determinati dalla maggiore compliance dimostrata dai pazienti. Conclusioni Costi Tra gli effetti secondari al miglioramento delle cure è necessario menzionare anche quello legato all’incremento dei costi, argomento di grande attualità in materia di politica sanitaria. Basti pensare che negli Stati Uniti la spesa federale, stimata per l’infezione da HIV nell’anno fiscale 2011, è stata di 20,4 miliardi di dollari. Tale valore presentava un incremento netto del 4% rispetto all’anno precedente ed era complessivamente destinato per il FARMACI 2013;12(3):91-97 La comprensione delle dinamiche legate alla persistenza dell’infezione da HIV e al suo trattamento rimane complessa. Se da un lato la terapia antiretrovirale necessita di assunzione quotidiana, ha un importante impatto economico e può causare gli effetti collaterali descritti, dall’altro è necessario esaminare ciò che comporterebbe l’assenza di tali farmaci. Una replicazione virale incontrollata e uno stato avanzato di immunodeficienza possono infatti danneggiare rene, fegato, osso, apparato cardiovascolare e funzioni neuro-co- 95 L. De Hoffer, S. Dini, G. Gustinetti, L. Taramasso, D.R. Giacobbe, A. Di Biagio gnitive (20,21). La terapia stessa non è peraltro totalmente in grado di controllare l’infiammazione determinata dall’infezione cronica HIV-correlata, come dimostrato dalla presenza di disordini neurocognitivi anche in pazienti con viremia soppressa (22). Per quanto tre decadi di ricerca abbiano contribuito a migliorare le nostre conoscenze nell’ambito della patogenesi di questa condizione sistemica, consentendo di affinare le strategie terapeutiche, sono oggi neces- sarie combinazioni di più farmaci per bloccare la replicazione di HIV, garantire un recupero delle difese immunitarie specifiche e ritardare l’insorgenza di resistenze farmacologiche. Risulta quindi ancora una volta necessario non solo il miglioramento della conoscenza delle molecole attualmente in uso, ma anche l’identificazione di nuovi farmaci che possano agire su altri target virali o su componenti cellulari coinvolte nel ciclo replicativo di HIV. Bibliografia 1. Rochelle P, Walensky RP, Paltiel AD, Losina E et al. The survival benefits of study. AIDS 2008;22(16):2187-2198. AIDS treatment. The Journal of Infectious Diseases 2006;194(1):9-11. 7. Pichenot M, Deuffic-Burban S, Cuzin L, Yazdanpanah Y. Efficacy of new an- 2. 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Efficacy and ing antiretroviral treatment and clinical progression in a large European cohort safety of TMC125 (etravirine) in treatment-experienced HIV-1-infected patients 96 FARMACI 2013;12(3):91-97 La terapia antiretrovirale: stato dell’arte e prospettive future in DUET-1: 24-week results from a randomised, double-blind, placebo-con- 17. Schackman BR, Gebo KA, Walensky RP et al. The lifetime cost of current trolled trial. Lancet 2007;370(9581):29-38. human immunodeficiency virus care in the United States. Med Care 12. Lazzarin A, Campbell T, Clotet B et al.; DUET-2 study group. Efficacy and 2006;44(11):990-997. safety of TMC125 (etravirine) in treatment-experienced HIV-1-infected patients 18. Regione Lombardia - 23/04/2012. Decreto n° 3546 - Aggiornamento del in DUET-2: 24-week results from a randomised, double-blind, placebo-con- documento avente ad oggetto "percorso diagnostico terapeutico (PDT) del trolled trial. 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Scaglione Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia Medica, Università degli Studi di Milano Abstract Riassunto This article discusses issues related to the administration of contraceptives in the placing on the market of generic drugs. The bioequivalence drug may in fact not be translated into therapeutic equivalence of the two products and therefore not always contraceptives generic and branded original goods are interchangeable for both reasons of adherence to pharmacological therapy. Being marketed under fanciful names and differing for excipients, packaging, color, shape, taste, time to maturity and labeling also create confusion for patients and problems of incorrect assumption, increasing the likelihood of an unwanted pregnancy, the shift from "originator" in general or generic generic can thus vary the plasma concentrations with possible adverse effects. In questo articolo vengono illustrate le problematiche relative alla somministrazione di contraccettivi in seguito all’immissione, sul mercato, dei farmaci generici. La bioequivalenza farmacologica può infatti non tradursi in equivalenza terapeutica dei due prodotti e quindi non sempre i contraccettivi generici e quelli di marca sono intercambiabili sia per ragioni farmacologiche che di aderenza alla terapia. Essendo commercializzati con nomi fantasiosi e differendo per eccipienti, imballaggi, colore, forma, sapore, tempo di scadenza ed etichettatura creano inoltre confusione nelle pazienti e problemi di errata assunzione, aumentando la probabilità di una gravidanza indesiderata; il passaggio da “originale” a generico o da generico a generico può infine variare le concentrazioni plasmatiche con possibili effetti avversi. La contraccezione orale nasce dagli studi di Gregory Goodwin Pincus, un fisiologo statunitense che, con la collaborazione di Min Chueh Chang e John Rock, scoprì la prima forma di contraccezione orale, che è oggi conosciuta in tutto il mondo come “pillola anticoncezionale” (1). Il primo contraccettivo orale è stato lanciato, negli Stati Uniti, alla fine del decennio 19501960 con il nome di Enovid e conteneva 150 µg di mestranolo (equivalente a 90 µg di etinil estradiolo) e 9,85 mg di noretinodrel, un progestinico molto potente. Per rendere accettabile la contraccezione orale alle donne, ai medici e all’opinione pub- blica il dottor Pincus e altri scienziati decisero che il ciclo di somministrazione degli anticoncezionali orali dovesse imitare il ciclo mestruale naturale, con un ciclo di 21 giorni di terapia seguiti da una pausa di 7 giorni senza pillola. Questa decisione non ha basi biologiche ed è stata una scelta del tutto culturale (2), e questo modello di somministrazione è stato usato per decenni senza essere messo in discussione. Nel corso degli ultimi decenni sono state apportate molte modifiche ai contraccettivi orali per migliorare la loro efficacia, accettabilità e tollerabilità. FARMACI 2013;12(3):99-105 99 F. Scaglione Le donne oggi hanno la possibilità di utilizzare nuovi tipi di contraccettivi orali, che differiscono da quelli tradizionali in termini di dosaggi ormonali, lunghezza del ciclo e intervalli liberi da ormoni. Esse hanno anche la possibilità di utilizzare contraccettivi con una varietà di sistemi di rilascio ormonali, come quelli transdermici, dispositivi iniettabili, impiantabili e transvaginali. Per quanto riguarda i contraccettivi orali, oggi si dispone di una varietà di regimi di somministrazione adattabili a varie esigenze delle donne: accanto ai sistemi tradizionali, consistenti in un periodo di 21 giorni di ormoni seguiti da 7 giorni di intervallo senza ormoni, esistono nuovi contraccettivi orali che offrono un periodo più breve senza ormoni fino ad arrivare a un utilizzo in continuo off label per obiettivi terapeutici o di convenienza per la donna. Come si evince dalla tabella I esiste una vasta varietà di contraccettivi orali, con una combinazione estrogeno-progestinico. Bisogna dire che tutte le combinazioni ormonali contraccettive sono altamente ed egualmente efficaci nel prevenire la gravidanza, a patto che vengano usate correttamente seguendo le istruzioni. Le modifiche che sono state apportate ai vari regimi, dosaggi e componenti lungo il corso degli ultimi decenni, sono state intraprese per migliorare la tollerabilità e aumentare la probabilità di corretta e coerente utilizzazione per migliorare l’efficacia contraccettiva, minimizzando gli effetti avversi e massimizzando i benefici non contraccettivi. Questa vasta offerta consente, inoltre, di adattare la “pillola” alle varie situazioni fisiologiche: ad esempio le donne con sintomi da sospensione dell’ormone o grave dismenorrea possono beneficiare di somministrazioni più prolungate, con intervalli più brevi liberi da ormoni. Da questo emerge, inoltre, che ogni donna può avere la “sua pillola”, adatta alle sue esigenze fisiologiche e al suo “habitus” di aderenza alla terapia. La sostituzione tra un regime e l’altro deve essere evitata e, qualora opportuna, va decisa solo dal medico esperto in contraccezione. Questo problema emerge soprattutto con l’immissione, nel mercato, dei farmaci generici, definiti in Italia medicinali equivalenti. Tabella I. Tipi di contraccettivi orali presenti nell’uso clinico. Metodo Principi attivi Descrizione Monofasica tradizionale Etinilestradiolo + progestinico (DSG, GSD, DRSP, LNG) Blister da 21 compresse che si assumono consecutivamente seguiti da 7 giorni di sospensione Monofasica a ciclo prolungato Etinilestradiolo o estradiolo Blister da 28 compresse (24 di ormoni + 4 di placebo) che si assumono Progestinico (GSD, DRSP, NOMAC) consecutivamente senza intervallo Bifasica Etinilestradiolo e desogestrel a diversi dosaggi Trifasica Etinilestradiolo + progestinico Blister da 21 compresse. L’assunzione deve sempre iniziare dalla (DSG o GSD) a tre diversi dosaggi compressa n. 1 contrassegnata con “inizio” e proseguire quotidianamente seguendo l’ordine numerico indicato sulla confezione, con un intervallo di 7 giorni libero da pillola. Le sequenze a diverso dosaggio possono essere 6-5-10 7-7-7 a seconda del prodotto commerciale Quadrifasica Estradiolo + dienogest Blister da 22 compresse. Le compresse devono essere prese ogni giorno per 22 giorni consecutivi, iniziando dalle compresse blu per 7 giorni e continuando con quelle bianche per altri 15 giorni. Con un intervallo di 6 giorni libero da pillola. Blister da 28 compresse (26 di ormoni + 2 di placebo). Le compresse devono essere assunte ogni giorno nell’ordine in cui si presentano nella confezione blister. È necessario assumere una compressa al giorno per 28 giorni consecutivi. L’assunzione delle compresse è continua senza intervalli. GSD=gestodene; DSG=desogestrel; LNG=levonorgestrel; DRSP=drospirenone; NOMAC=nomegestrolo acetato 100 FARMACI 2013;12(3):99-105 Contraccettivi orali: non solo principio attivo Farmaci equivalenti (generici) Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “i farmaci generici sono farmaci "bioequivalenti”, ossia farmaci che, rispetto alla specialità di riferimento, hanno una biodisponibilità simile (la stessa velocità di assorbimento e percentuale assorbita)”. A livello europeo l’immissione in commercio dei farmaci viene regolamentata dall’European Medicines Agency (EMA) secondo criteri standardizzati rivolti alle ditte produttrici, che devono documentare l’equivalenza del loro farmaco generico rispetto a quello registrato. Poiché il principio attivo è lo stesso, le aziende non devono presentare tutti i documenti che certificano l’efficacia clinica, già presentati per la registrazione della specialità medicinale, ma solo la “bioequivalenza” del generico. li in uno studio disegnato in modo appropriato (3,4). Da questo si evince che gli studi di bioequivalenza si limitano a confrontare la biodisponibilità farmacologica sistemica di due prodotti ma non utilizzano parametri clinici di efficacia. I test di bioequivalenza sono effettuati generalmente in volontari sani e sono basati sul confronto statistico di parametri farmacocinetici caratterizzanti la biodisponibilità. I parametri farmacocinetici utilizzati sono l’area sotto la curva concentrazione/tempo (AUC), la concentrazione massima raggiunta nel plasma (Cmax) e il tempo in cui viene raggiunta questa concentrazione (Tmax) (Fig. 1). Figura 1. I due principi attivi sono bioequivalenti perché l’AUC, la Cmax e il Tmax differiscono all’interno dei parametri di accettabilità. Bioequivalenza La prova della bioequivalenza è necessaria perché la legge ammette che: • i vari sali, esteri, eteri, isomeri, miscele di isomeri, complessi o derivati di una sostanza attiva sono considerati la stessa sostanza attiva se non presentano differenze significative delle proprietà relative alla sicurezza e/o efficacia; • le varie forme farmaceutiche orali a rilascio immediato sono considerate una stessa forma farmaceutica; • gli eccipienti possono essere differenti. Con queste possibili differenze di formulazione farmaceutica, per ottenere la registrazione bisogna dimostrare che l’assorbimento e l’esposizione dell’organismo al farmaco siano simili per i due preparati. A questo scopo sono necessari studi di bioequivalenza, che consistono in valutazioni farmacocinetiche dopo somministrazione di una dose singola del prodotto generico in confronto a quello originale. La bioequivalenza viene definita, dalla FDA e dall’EMA, come “l’assenza di una differenza significativa nella velocità di assorbimento e nella percentuale di principio attivo che raggiunge la circolazione generale tra due farmaci quando sono somministrati alla stessa dose molare in condizioni simi- FARMACI 2013;12(3):99-105 101 F. Scaglione Le due formulazioni sono definite bioequivalenti se la differenza tra i suddetti parametri rientra in un intervallo predefinito come “intervallo accettabile” di bioequivalenza, convenzionalmente ritenuto compatibile con l’equivalenza terapeutica. Tale intervallo è fissato nel range 0,80-1,25, quando si considera la media dei rapporti individuali tra i parametri farmacocinetici (AUC, Cmax) della formulazione test (generico) e quella della formulazione di riferimento (originale); oppure è fissato entro il range ±0,20 quando si utilizza la differenza tra parametri normalizzata per il parametro della formulazione standard; il livello di confidenza è generalmente fissato al 90%. Pertanto, anche se la media cade nell’intervallo di accettabilità ma i limiti di confidenza cadono al di fuori, il prodotto non viene considerato bioequivalente. Figura 2. Bioequivalenza e bio-creep. Nella figura sono rappresentati i farmaci (media e limiti di confidenza). I farmaci generici B, C, D, E sono bioequivalenti all’originator A perché sia la media che i limiti di confidenza cadono all’interno del range di accettabilità. I farmaci generici F, G non sono approvati perché, anche se le medie cadono all’interno del range, il limiti fiduciali sono fuori. I farmaci D, E sono intercambiabili con l’originator e tra di loro mentre i farmaci B, C sono intercambiabili con l’originator ma non tra di loro perché la differenza supera il 20% (bio-creep). Bioequivalenza e sostituibilità Anche se la procedura di determinazione della bioequivalenza è molto rigorosa alcuni problemi rimangono insoluti. Una delle critiche più frequenti, agli studi di bioequivalenza, è di estrapolare, dall’intera popolazione di pazienti, i dati ottenuti su di un piccolo numero di volontari sani che non assumono farmaci concomitanti, non sono fumatori, hanno normale massa corporea e ricevono una dieta standard (5). Un’altra critica è rivolta agli eccipienti diversi. Questi, oltre a influenzare la biodisponibilità (per cui è necessario stabilire la bioequivalenza) possono indurre allergie o intolleranze che non si verificavano con i prodotti “originali” di cui sono equivalenti. Un altro punto soggetto a critiche è aver stabilito un intervallo di bioequivalenza troppo ampio, anche se necessariamente, ma non differenziato per categoria terapeutica, e per classe farmacologica. Questo può fornire una bioequivalenza farmacologica, che può non tradursi in equivalenza terapeutica dei due prodotti. In pratica per alcuni prodotti l’intervallo potrebbe essere troppo largo, per altri troppo stretto. Il problema si pone soprattutto per farmaci a indice terapeutico ristretto o per farmaci le cui fluttuazioni delle concentrazioni plasmatiche possono avere risvolti clinici importanti. Un altro problema, non di minore importanza, che può pregiudicare la sostituibilità, è il fenomeno cosiddetto “bio-creep”. I 102 test di bioequivalenza sono eseguiti tra il singolo prodotto generico e il suo corrispondente prodotto originale. Questa situazione non garantisce che due o più generici dello stesso originale siano tra loro bioequivalenti. Per esempio, supponendo che un generico abbia una biodisponibilità (AUC) +15% e un secondo generico una biodisponibilità -13%; può essere che entrambi sono bioequivalenti rispetto allo standard che imitano, ma non sono tra loro bioequivalenti. Questo implica che la sostituibilità potrebbe avvenire tra originale e generico, ma non tra generico e generico (Fig. 2). Da quanto discusso è chiaro che il concetto di bioequivalenza non gode della proprietà transitiva: non è possibile concludere, senza una verifica diretta, che due prodotti, ciascuno bioequivalente con lo stesso standard di riferimento, siano bioequivalenti tra di loro. Purtroppo il confronto diretto non è pos- FARMACI 2013;12(3):99-105 Contraccettivi orali: non solo principio attivo sibile poiché i medicinali equivalenti sono confrontati unicamente con il medicinale originale e così l’interscambiabilità fra equivalenti è solo supposta. Contraccettivi: originale o generico? Secondo le autorità regolatorie i contraccettivi generici e quelli di marca sono considerati clinicamente equivalenti e quindi sono intercambiabili. Nonostante il fatto che ci siano pochi dati in letteratura che dimostrano il contrario, questa convinzione è stata contestata per ragioni sia farmacologiche che di aderenza alla terapia (6-8). I contraccettivi sono farmaci che presentano delle peculiarità rispetto agli altri farmaci, come di seguito indicato. 1. Non hanno lo scopo di prevenire o curare malattie ma evitare le gravidanze indesiderate. Questo si ottiene con grande efficacia a patto che le “pillole” siano assunte con rigorosa regolarità. 2. I principi attivi sono ormoni che svolgono anche funzioni fisiologiche. Livelli plasmatici troppo alti o troppo bassi possono esitare in effetti avversi. Per quanto riguarda il primo punto esiste una vasta letteratura che riferisce i fallimenti dei contraccettivi alla scarsa compliance (9-11). La non aderenza del paziente gioca un ruolo importante nel fallimento della contraccezione orale. Si stima che circa il 20% dei 3,5 milioni di gravidanze indesiderate, che si verificano negli Stati Uniti annualmente, è legato alla scarsa aderenza ai contraccettivo (12). Di queste la “dimenticanza” è il motivo per il 30% (13). L’aderenza al trattamento può essere un elemento importante nell’utilizzo dei farmaci generici per la confusione che possono generare. Molti produttori di contraccettivi generici commercializzano i loro prodotti con nomi di fantasia, per cui la donna potrebbe ritenere che non si tratta di un generico (stessi principi attivi che prendeva prima) ma di una “pillola” diversa (14). Inoltre i farmaci equivalenti possono differire non solo per gli eccipienti ma anche per imballaggi, colore, forma, sapore, tempo (15) di scadenza ed etichettatura con evidenti elementi di confusione. Particolari problemi di confusione si possono creare con l’introduzione dei generici per i contraccettivi monofasici (Tab. I). Esistono, in commercio, contraccettivi che, secondo normativa sui generici (16), vengono classificati equivalenti pur avendo regimi diversi. Ad esempio: le confezioni con 21 compresse, che vanno assunte consecutivamente per poi seguire la pausa di assunzione di 7 giorni tra una confezione e l’altra e le confezioni con 28 compresse, di cui 24 con ormoni e 4 con placebo, diversificate per colore (Fig. 3), che vanno assunte con- Figura 3. Confezioni di contraccettivi in commercio da 21 e da 28 compresse. FARMACI 2013;12(3):99-105 103 F. Scaglione secutivamente senza sospensione tra una confezione e l’altra, non possono essere ritenute uguali e sostituibili anche se hanno la stessa composizione quali/quantitativa perché hanno regimi di assunzione diversi. È facile comprendere che se una donna si vede cambiare confezione, numero e colore delle compresse, nonostante il prodotto abbia lo stesso contenuto in principi attivi, potrebbe incorrere in problemi di errata assunzione. Queste differenze possono essere particolarmente importanti, perché qualsiasi confusione da parte della paziente, al momento della sostituzione tra prodotti o nel ritardare l’inizio di una nuova confezione, può influenzare l’aderenza e potrebbe aumentare la probabilità di una gravidanza non voluta. Riguardo al secondo punto, il passaggio da originale a generico o tra generico e generico può determinare variazioni delle concentrazioni plasmatiche con possibili effetti avversi. Il problema riguarda principalmente le preparazioni a basso dosaggio di estrogeno. Se il prodotto con cui si cambia, pur bioequivalente, ha una biodisponibilità del -20% o anche del -15% si possono determinare una riduzione dell’efficacia contraccettiva e un aumento di sanguinamento (6,7). Inoltre solo alcuni prodotti originali contengono l’estrogeno combinato con clatrato di beta-ciclodestrina (betadex), con lo scopo di aumentare la stabilità del prodotto, aumentare la solubilità e garantire una biodisponibilità costante e poco influenzata da condizioni fisiologiche. Se questa sostituzione viene fatta con un contraccettivo senza beta-ciclodestrina in una paziente dove si combinano una minore biodisponibilità di partenza del preparato e condizioni fisiologiche che rallentano l’assorbimento, c’è il rischio di non avere una sufficiente concentrazione di estrogeno nel sangue. Il rischio è maggiore con i contraccettivi a basso dosaggio di estrogeno. 104 Conclusioni I contraccettivi orali sono farmaci di elevata efficacia e non ci sono prove del fatto che, con l’uso perfetto, i diversi prodotti contraccettivi hanno diversi tassi di fallimento (16); gli unici problemi possono essere la prescrizione inappropriata e la scarsa aderenza alla terapia. Anche i prodotti generici hanno in teoria le stesse caratteristiche di quelli di marca; tuttavia non ci sono dati clinici, sia a favore sia contro l’efficacia dei farmaci generici, anche se sia i pazienti sia i clinici segnalano problemi, anche se aneddotici, attribuiti alla sostituibilità (14). Alcuni di questi problemi possono essere il risultato di una confusione dovuta alla confezione differente, come menzionato sopra. I medici dovrebbero informare con attenzione le pazienti quando prescrivono un contraccettivo sia originale sia generico e se vogliono evitare un qualsiasi problema legato all’eventuale sostituzione in farmacia, dovrebbero apporre la clausola di non sostituibilità, ricordando che la responsabilità della prescrizione è solo del medico che la esegue. I farmacisti dovrebbero prestare molta attenzione quando propongono la sostituzione alle clienti; i rischi di confusione possono essere causa di effetti aversi o di gravidanze indesiderate. L’American College of Obstetricians and Gynecologists conclude così un recente lavoro sul tema: “devono essere rispettate le richieste del paziente o del medico per un contraccettivo” branded” o il proseguimento con lo stesso generico, se la richiesta è basata su esperienza clinica o preoccupazioni in materia di imballaggi o di conformità, o se il prodotto di marca è considerate una scelta migliore per quella singola paziente. Le donne devono essere informate quando un diverso contraccettivo orale è sostituito con uno prescritto in precedenza.” FARMACI 2013;12(3):99-105 Contraccettivi orali: non solo principio attivo Bibliografia 1. Pincus G, Garcia CR, Rock J, Paniagua M, Pendleton A, Laraque F et al. Ef- 9.Hou MY, Hurwitz S, Kavanagh E, Fortin J, Goldberg AB. Using daily text-mes- fectiveness of an oral contraceptive; effects of a progestin-estrogen combination sage reminders to improve adherence with oral contraceptives: a randomized upon fertility, menstrual phenomena, and health. 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Meucci, 28 - 00012 Guidonia (Roma) Finito di stampare nel mese di dicembre 2013 DAL PALÙ C. DE GRANDIS D. DI BIAGIO A. ESPOSITO S. FERRARA P. FRASCHINI F. LUISETTI M. MALERBA M. MANCINI M. OLIVIERI D. PUDDU P. SCAGLIONE F. SIRTORI C. STERNIERI E. TODESCO S. VAIRA D. VISCOLI C. COMITATO SCIENTIFICO EDITORIALE Prof. CLAUDIO ALLEGRA Prof. Primario Divisione Angiologia, Ospedale S. Giovanni Addolorata, Roma Clinica Malattie Infettive Ospedale San Martino, Genova Prof. Prof. ETTORE AMBROSIONI Prof. MATTEO BASSETTI Direttore Clinica Malattie Infettive, A.O.U. Santa Maria della Misericordia, Udine Prof. VINCENZO BELLIA Prof. GABRIELE BIANCHI PORRO Dott. Dott. Prof. Prof. Prof. Direttore I Cattedra Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università “Federico II”, Napoli Prof. Prof. Prof. Prof. Prof. Prof. EMILIO STERNIERI Professore Ordinario di Tossicologia, Università di Modena e Reggio Emilia LUCIO CRINÒ Prof. CESARE DAL PALÙ Prof. SILVANO TODESCO Cattedra e Divisione di Reumatologia, Università di Padova DINO VAIRA Dipartimento di Medicina Clinica, Università di Bologna Prof. Primario Divisione Neurologica, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Rovigo CESARE SIRTORI Direttore di Cattedra di Farmacologia Clinica, Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università di Milano. Dipartimento Oncologia, Primario Unità Operativa di Oncologia, Ospedale Bellaria, Bologna DOMENICO DE GRANDIS FRANCESCO SCAGLIONE Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale, Università degli Studi di Milano Dipartimento di Medicina e Clinica Sperimentale, Università di Padova Prof. PAOLO PUDDU Cattedra e Divisione di Reumatologia, Università di Padova ERCOLE CONCIA Unità Operativa di Malattie Infettive, Azienda Ospedaliera di Verona, Università degli Studi di Verona Prof. Prof. ENZO CHIESARA Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia Medica, Università di Milano DARIO OLIVIERI Direttore Istituto di Clinica delle Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di Parma FRANCO CAMANNI LUIGI CARRATÙ MARIO MANCINI Direttore Dipartimento di Medicina Clinica Sperimentale, Università “Federico II”, Napoli Direttore Cattedra di Endocrinologia, Università, Torino Prof. MARIO MALERBA Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università, Brescia FEDERICO CACCIAPUOTI Cattedra di Medicina Interna, Facoltà di Medicina e Chirurgia, II Università, Napoli MAURIZIO LUISETTI Clinica Malattie dell’Apparato Respiratorio, IRCCS, Policlinico San Matteo, Pavia Direttore Cattedra di Gastroenterologia, Polo Universitario “L. Sacco”, Milano Prof. FRANCO FRASCHINI Direttore Cattedra di Chemioterapia, Dipartimento di Tossicologia Medica, Università di Milano Titolare della Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di Palermo Prof. PIETRO FERRARA Dipartimento di Scienze Pediatriche, Università Cattolica del S. Cuore, Policlinico Universitario “A. Gemelli”, Roma e Università Campus Bio-Medico, Roma Direttore Divisione e Cattedra di Medicina Interna, Policlinico S. Orsola, Bologna Dott. SILVANO ESPOSITO Dipartimento di Malattie Infettive, Seconda Università degli Studi di Napoli ALFREDO CARLO ALTAMURA Direttore Cattedra di Psichiatria, Università di Milano Prof. ANTONIO DI BIAGIO CLAUDIO VISCOLI Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Università di Genova