Memorie dal terremoto - Istituto Comprensivo Isola del Liri
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Memorie dal terremoto - Istituto Comprensivo Isola del Liri
Memorie dal terremoto Si chiamava Mario Quadrini, abitava in via Maria, nel Comune di Casamari. Ancora oggi non riesce a dimenticare i tragici eventi del terremoto della Marsica. Il 13 gennaio 1915 è una data che per sempre rimarrà scolpita nel suo cuore. Il boato e le oscillazioni di quella mattina le ha impresse nella memoria. Un lieve scricchiolio, poi un rumore che monta, le vibrazioni degli oggetti intorno a lui: il piccolo lume del suo letto, il catino vicino a sua moglie, le imposte di legno che sembravano impazzite. Ed ecco cadere i calcinacci e loro di corsa a ripararsi sotto l’unico muro maestro. Polvere, polvere ed ancora polvere. Per fortuna si trovano ancora sani e salvi alla fine delle oscillazioni. Non hanno mai smesso di ringraziare il Cielo per avergli dato una dimora sicura. Le tre stanze della loro misera abitazione avevano retto. Qua e là c’erano calcinacci sul pavimento, ma erano danni superficiali. Presi i primi abiti dalla cassapanca, si sono fatti coraggio e sono usciti a cercare i vicini; alcune case avevano retto, altre no. Immediatamente con altri superstiti Mario si offerse volontario. I monaci della vicina abbazia avevano già inviato i primi soccorsi; lui era stato mandato a Castelliri, un piccolo paesino nella Valle del Liri. Appena arrivato, lo colpì subito la devastazione e la disperazione degli abitanti: chi aveva perso i propri cari, chi tutto ciò che aveva. Il suo gruppo era formato da una decina di elementi e il loro compito era quello di prestare soccorso agli abitanti. Mario lascia sua moglie con una cugina, anche lei scampata al pericolo, e si avviò. Insieme a dieci suoi compagni, incominciò a percorrere le strade ormai coperte dalle macerie. I due soccorritori inviati dall’abate gli avevano offerto coperte, bende e bevande calde. Era molto freddo quella mattina del 13 gennaio. La strada era piena di gente che non aveva più niente, né una casa, né un posto in cui ripararsi. Pianti e strilli si univano in un unico suono. Mario si accorse che al bordo della strada c’era una signora anziana ferita e in preda alla disperazione, che urlava il nome di una persona. Si avvicinò e le chiese cosa fosse successo. Lei disse che suo nipote era rimasto gravemente ferito sotto le macerie della sua abitazione. Subito allertò i suoi compagni e incominciarono a spostare le macerie. Avevano con loro dei rastrelli presi di corsa da quello che restava delle stalle. Accorsero altri con vanghe, tutti capirono che erano in difficoltà e incominciarono a dare una mano a togliere le macerie, finché non riuscirono a scorgere una mano che ancora tremava. Dopo qualche attimo sentirono anche delle urla; con sforzi notevoli riuscirono ad estrarre ancora in vita il piccolo e a riportarlo dalla nonna che ci abbracciò e ci ringraziò. Purtroppo seppero dopo che era rimasto orfano. A stento riuscirono ad arrivare a quello che in passato doveva essere il centro della città; il Muraglione ancora si stagliava imponente. Alle spalle, nel centro del paese la disperazione e la devastazione erano maggiori che altrove. Al di sotto la verde pianura non consolava più. Ovunque c’erano morti. Intorno alle dodici iniziarono a salire i primi soccorritori, organizzati in comitati. Due motociclisti giunti da Roma, a stento si facevano largo tra le macerie. Presso la Chiesa di Santa Salome fu approntato un posto di prima medicazione. Mario si sentiva impotente davanti alla forza della natura, era impressionante quanto un terremoto durato pochi secondi era riuscito a distruggere. Pensò alle persone che erano state colte di sorpresa dalla scossa e non ce l’avevano fatta. Si fermarono sul ciglio della strada, stava arrivando da Roma un piccolo corteo in località Portella. Era ormai buio, il sole non c’era più; tornarono a piedi dalle donne, che avevano ricevuto viveri e intorno ad un braciere si stavano scaldando .La notte, coperti di stracci, passò tra scosse più lievi e lamenti lontani. I vicini che avevano perso tutto si stesero per terra ringraziando Mario per l’ospitalità. Da quel giorno fu un susseguirsi di scosse, le vittime crescevano di ora in ora. Furono presto approntate ottantasette baracche nella parte bassa del paese; alle strade venne dato il nome delle città che le avevano donate: Piemonte, Alessandria, Cuneo, ecc. Ogni giorno era stato assegnato a Mario e al suo comitato il compito di portare del cibo ad un gruppo diverso di abitanti . Al loro arrivo per la gioia invocavano Dio perché li benedicesse e preservasse. Da allora Mario è impermeabile al dolore. Ogni tanto ancora oggi di notte gli pare di sentire un'altra scossa di terremoto, vede una nuvola di polvere e detriti che si alza da est a ovest con una velocità altissima. Rivede alcune persone investite dalla nube, e lui, nel sogno trova rifugio nella camionetta della Croce rossa dove, nel frattempo, un gruppo di soccorritori assisteva un uomo che era rimasto ferito gravemente dal crollo della sua abitazione. Per fortuna il suo piccolo paesino è riuscito a rialzarsi, il cuore di Mario ancora sanguina. Francesco Paolucci Classe terza B Scuola media Padre Rodrigo Di Rocco-Castelliri.