LibertàEdizioni

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Renzo Franzini
ATLANTE MARINO
POEMA
LibertàEdizioni
MATERIA
arcipelago del ritorno: come reagire di fronte a una patria usurata e usurpata,
come reagire al degrado politico e civile? questo si chiede dolfìn al ritorno
dopo anni di peripezie, conversando con sibylle, la sorella che lo ospita.
si tratta di costruire un pensiero della resistenza nella teoria e nella prassi: di
opporre misura alla dismisura.
poi offrirla in dono agli uomini.
questa la risoluzione.
in carattere normale la voce di dolfìn; in corsivo quella di sibylle, in grassetto
voci altre
quaderno dolfìn
ma giunge notizia della morte di dolfìn e il quaderno, con il resoconto delle
peripezie è quanto resta. in esso, alle memorie dei luoghi si uniscono
momenti di riflessione politica
atlante marino
una vecchia e non datata lettera di dolfìn giunge a tomàs, suo amico fraterno:
questi, dubitando della morte di lui, decide di rintracciarlo. inutilmente
è quanto narra tomàs a sibylle
alla fine del racconto però, come da esso evocata, appare l'ombra di dolfìn,
che non sembra avere consapevolezza piena della propria condizione; sibylle
lo asseconderà e dolfìn inviterà al viaggio verso un'isola, una patria possibile.
tuttavia prima occorrerà ripercorrere vecchie tracce per un tragitto nuovo che
condurrà all'incontro con lo storico, nonché alla visita e all'ascolto di tre
figure dell'esclusione e della lucidità (sezione hph).
seguirà il movimento verso il mare.
qui in grassetto la voce di dolfìn.
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ARCIPELAGO DEL RITORNO
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l’opera è una maschera mortuaria della concezione (w.b.) non siamo ancora
nel suo aldilà )sic(
il poema è una lunga notte
nella quale si perde il sapere
l’uomo acquista però conoscenza di sé volgendosi indietro ai primi luoghi
della sua origine e della sua nascita (macrobio)
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la linea è visibile nella sua leggerissima fondamentale curvatura
là
nel suo mai essere raggiungibile iniziano gli stati delle
cose
la cui indelebile indefinitezza gioca a ritroso con le cacce di noi
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prologo
adotta i rumori di questa notte ultima
lo spiovio delle rame e le siepi e il intimo brusio
de i nascosti dormienti
in una tale vita primigenia
gioia e dolore si equivalgono
le case celesti si sfaldano nascono dramatiche aporie
il limite cela un ripristino
dove giace il tempo
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dolfìn dopo lunga assenza narra a sibylle gli incontri nel ritorno
il riflusso del corso maggiore blocca il deflusso dei corsi minori
le acque gonfiano i pigri ventri sopra cui mollemente si inarca
il riflesso della luna
l’età cola sulle carni un siero molle colloso nella oscurità procuriamo di
evadere ove l’equilibrio impossibile rimanda a una perpetua onda perpetua e
cupa e dura
sopra il muro della disperazione posano farfalle tenacemente vive di una
epoca già sfiorita ma
il tatto loro quasi assenza di tatto una provocazione
quanto l’essere eretti una sconcertante obliquità
siedi
il silenzio agisce cortese
fino alla lucida rama della limpidezza
l’aria frizzante travaglia le soglie
irrompe nel campo de i possibili
scioglie lacere deboli filosofie a stento dispiegate
il volto dentro alla serena oscurità
conviene a smarrimenti bellezza e confusione l’ora del tuo vegliare
stai e resta resta resta qui liberati dagli abiti pregni del dolore
la maniera del tuo tempo antico appoggiato al balcone delle infanzie
i ritorni delle ombre sono nostalgia
mi sono a lungo costretto a pensare malattia la nostalgia
oggi
adesso
prima l’ho associata al bisogno di ripristinare
al parallelo di un
mutamento
all’asse attorno cui ruota idealmente il meccanismo di
distanziamento da qui tutto
il principio di un moto di muta
modificazione e cancellazione
ricordo
dinamico la sua forza
prodotta in seno alla ribellione
il passato forse
non esiste
la vita trascina rapinosa al grande varco delle primavere
cammini della lentezza ove il ricordo non ha alcun valore
o forse lei aveva ragione questo è l’inizio di una fine
la alienazione degli alberi le foglie di argento il teorema radente del tempo
l’aereo luttuoso indurimento del cielo
piccoli spettri ne i piccoli cortili ne i vasi di terracotta
guarda la brina si è sciolta nelle regioni inondate dal sole
in queste fasi i sepolti sorridono e i sorrisi hanno forma di
fiori
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e accade la intenzione della parola
qui nel silenzio si incontra la cosa
ti prego sii ardua difficile
feroce
non permettermi altro che me
dimmi il giorno del mese dell’anno dimmi
come
mi devo regolare
chi sono io
non so l’assillo di ora
i nostri volti dopo il temporale
colmi di ansia anche
dopo
era dunque un sopore esistenziale una noia trascorsa
nella estivale asprezza dei giorni senza meta e
i viottoli
squarci di amplitudini e magie di fosca luce
il ritorno pensavi
senza circoscriverlo senza
neppure sapere
cosa fosse
e dell’eterno suo fluire tu ignoravi
essendo esso ripetuto e mai attuato
quanto poco rimane dell’avere vissuto
lampi nel sole bianchi di illusione
giorni miei giorni ricorsi alla casta intensità di un febbraio ventoso
madori profumati di una fuga a marzo
dimmi
chi eri dimmi
chi eri
non ero
nessuno
il vento tra i capelli i tramonti feroci
disuguali
il taglio delle notti sopra i volti
sei sempre stato un bambino
avanti dammi la mano
sei sempre stato un bambino
lugubre inedia di un giorno accudito
quanti anni hai
quanti ne ho
provo a contarli
sono caduto sì è colpa mia
quanti anni hai
sono caduto e tornato
sono qui con te
narrami allora del tuo vagare
il giardino si inombra proprio qui nel mattino possibile del tuo stato
incompreso a questa ora già sì inatteso cono d’ombra turbolenza fatiscenza
epiche tracce versi occasioni nei giochi insicuri della età
qualcosa come un dubbio lì davanti o dietro nei frescori delle lunghe
interminabili frequenze degli insetti
lavorio usurpazione
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pace quiete purissimo ozio totale vacanza sulle dighe di terra
rifiuto resistenza diserzione in qualche modo
latitanza una scopertissima dunque insospettabile
non è più il senso sognato dei sogni senza forma dentro a giorni di complessa
eternità no
no non c’è terra
non c’è sito
non c’è passo alcuno non c’è posto non c’è terra
non c’è più terra
non c’è più cielo da tempo da
tempo da
tempo
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l’allegoria del tempo si colora dell’ironia dentro cui i corpi deperiscono
e la corrente apocrifa caldo languore di una materia inerte forse una illusione
lo scorrimento stesso nello smargine alla vaga stazione dell’udito
magnitudine
ampia incertezza del come piuttosto la pigrizia
la vita delle mani sulla vita degli oggetti
partire fuga o
dovere
nelle brumose paci dell’ignoranza altrui tu
te ne andavi
mancava il punto a cui rivolgere il canto dell’addio
lo splendore di un luogo la
cava soglia della consuetudine
mancano
i volti del saluto i
corpi della fede le
voci del lamento
ma
il mare profuma d’aria e delle consuetudini del tempo
da là un destino giungerà ora riposa nella astrazione fuori dai giochi delle
rondini
i vini d’ottobre le giovani donne i libri interrogati presto chiusi
apprendevi il profumo delle vergini
la aprica solitudine del mare si apriva alla vasta indifferenza
il mito delle acque non aveva potestà sullo sguardo rivolto al futuro
segui dunque se l’hai il tuo destino
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il viaggio e il mare
la calma domina il piccolo accento delle stanze occupate dal regime di
guerre locali
sistemi quanto puoi come puoi
nel raggio mobile della distrazione il disordine consueto un altro ordine
com’è fuori
coltre bianca sul cielo notte senza stelle
isolata sola il vento da est non dà tregua
il falustrio alimentato dall’aria si impennava poi tornava giù non lontano
dagli alvei paludosi dai corsi prosciugati alberi pietrificati
neri
puntuti
dentro il silenzio
il ghiaccio crepava in urli secchi cupi poi una grigia babele di sospiri
filavamo sotto cortine di bruma bianca
filavamo sì sui rettilinei senza storia
nella speranza di un ritorno in ombra
il cielo alto si amplificava nella plenitudine di stelle diverse a lato le lepri
trepidavano vegliando le oscurità
in quale solitudine geografica in quale latitudine animale alla deriva nel
macrocosmo perso delle nebbie
eravamo addormentati quando ci colse la parca rovina del vento de i quartieri
confusi da identiche facciate sorbiti dall’odore di caserma
hai conosciuto
una ragione di te in una fossa di afrore sotto i volti
furti
tutto rubato
anche tu rubato
gli avvenimenti sono rari evocarli inutile saperli vanità
ignorarne la forza
presunzione
il sudore meticcio dell’alba declinò sopra i corpi un pensiero di spossatezze
indefinite e il mare non era non era la terra accanto alle rovine
il
profilo affannato della voce tentava un contatto con le cose il tocco delle dita
e dello sguardo per quanto si chiedesse cecità
piuttosto sradicare abbandonare sconfessare le leggi disdire disdire tacere
fino alle regioni del tuono dopo i sudori anomali del giorno gravò sopra le
membra la marcia stirpe di un sole malato scompaiono isole e i continenti
il tempo della loro nostalgia in una lanugine muffosa le fronti erano torpide
placate
pareva così sfilassero generazioni senza genealogie voci senza notizie
incredula quiete una aritmia di pensiero ostacolato da plaghe di aridità
andavamo avvolti dalla follia de i digiuni i volti avvolti dall’incubo
de i buoi
le sabbie violate le menti toccate da paura la cava fame delle membra
l’intimo malore de i senza nostalgia
forse
tramutati nel pallido barbaglio della metamorfosi
falsa meta la casa usurpata
sogni i sogni illusioni le illusioni ma vere e nel generale stordimento
uccidevano i buoi mangiandone avidi i visceri
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e poi la pioggia
era mattina era buio un buio imprevisto per l’ora
per me
nel bacino il mare scuoteva i lumi non capivo se barche o quanto artigliava
dentro sé nell’avidare la tempesta in atto
era mattina cupa e violastra forse
la grande duna arretrava ancora come ieri con il vento lanciato dall’oceano
contro le forme della terra divorata
era mattina sì era mattina dopo la notte sotto il piovasco enorme e tutto
quanto il carico di strade avvolte attorno al corpo
e
si placò la fame di sapere
dopo mi sono perso nel bosco delle fate ho ascoltato i rumori del presente
abbi paura
abbi la paura nulla è più terrificante del presente
e io era andato via dal primo sottobosco lume fatuo un giunco in riva alla
corrente
una terra inerte come mai verso i docili passi della morte alla vaga luce del
nodove
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c’è un punto interessante nella tua debolezza
stelle gemelle ma solo in apparenza
chiosa quanto qui
si ritrova nel cielo e quanto sprofonda nell’onda delle solitudini
miraggi nello spazio de i tuoi occhi bestie mostri il petalo del mare
dove emergono rapidi sfuggendo leggieri alla presa della curiosità
era l’eco del mare profondo lo stupore del regno dei venti
stupore la sua densità nel canto di voli ignoti indici di rotte
il mare i sogni del mare
pensi al puro suono di una voce quanto manchi se manca
quanto dolce in presenza se sia
la mattina era un sesso adolescente quasi bruno l’umore del tempo del
novembre quando il sole declina (il viaggio va ripetuto condotto alla
estremità)
quanto caldo sorgeva da i temporali
di tutto resta una calma inquieta dove il vento appoggia la stanchezza
il ritorno la sua foria
i tonnetti guidavano la nostra meraviglia
tangendo lo scafo nella corsa felici
la bianca ora apriva al cielo le quinte alte
di lontane foreste dove anche si dilatavano le coste in una sproporzione
sconosciuta tale respirava il cammino ma poi ristabilito il vicino ritornava la
antica dimensione
e io era perduto in una terra conosciuta essendo i margini sfrondati dalla
nettatura e
stabilendosi i vapori delle albe dentro alle forme dello spazio
loro
ascoltavano
la
mia
voce
irregolare
io era mostro agli occhi divaganti sulle rocce
impredicabile tutto
imperimetrabile pan
tranquillo alla deriva nelle incolpevoli acque
poi un riflusso di principio della sera in una ora inconsueta o nel sogno si
disperdeva alle pendici della natura della regione di lì detta della fine del
mondo
(c’è stato un momento in cui si è deciso di tornare indietro a una regione ove
l’aria sembrava meno violenta cupa l’azione delle nebbie
siamo
esseri sfortunati e sghembi sì di una altra epoca di un altro regime)
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midons du jardin
l’opacità del mare il mare opaco la fissità de i suoli ammortizzati
la vita oscura delle vegetazioni
le serpi sono lente ancora trascinano i sonni da i profondi
svestendo le spire de i sogni in uno scarso movimento di apertura
come le vecchie lune impronunciabili il rinnovarsi del loro ottundimento
potrò per la tua primavera raccogliermi in un soffio di viole
le ore vere sono quelle della solitudine
la origine oscura senza territori da scalfire con la punta bianca
di una direttrice
domina il tutto la oscura generazione della notte
l’invisibile gorgo la caduta
e
sogni di corno luoghi già veduti
smetti con la speranza
traduci la tua ottusità
rimani perfetto
nella imperfezione
rapaci evadevano alti oltre gli ultimi rami de i boschi
nel cielo primitivo si perdeva la ragione
ombra complessa luce catafratta profilo etereo della dissipazione
sapevi de gli animali putrefatti nel torbido delle acque
de i grandi pesci prigionieri dell’acquario
sapevi de i raccoglitori queste le visioni
terra simile a sé indifferente a noi
di rocce figlie della tranquillità
le brune volpi sparendo misteriose
scrutano l’arrivo delle piogge
sopra gli agili velli delle daine
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la meravigliosa ansa scavata nella nube
ospita un limpido abisso dove il quarto crescente
del pianeta possiede la legge del distanziamento
l’essere tutto disorienta nel vacillante impero degli astri
l’alea del destino nell’imprevedibile fianco della vita
il suo nero mantello di luna cattura il mio sguardo infantile
calato nell’incanto del volume spesso della carne
i corpi uniti
le mani
i richiami de
i galli precisi
vola verso la notte la vedo sospesa in un liquido oscuro una nenia una culla
attende distesa sulle sabbie bianche nel corallo bianco del suo annuncio di
onda
clima dolce dolcissimo senza volto di cielo
svegliati dal silenzio del giardino cattura il suo odore
dolciastro
lo spettro cromatico che scinde la luce aveva un acerbo profumo di
limone
la pelle di bronzo l’avido occhio che vuole comprendere sorbiva la voce col
calco dello sguardo
dentro al frescoso rovinoso delle foglie dure
foschi sprofondamenti in densità nebulose la resistenza bella del passato qui
sali ove sia una quiete di palpebre
e quasi non si oda il respiro
e
placandosi il battito del cuore
resti il profumo del vento
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nel conseguito silenzio dei lontani le presenze sono pure ipostasi qualcosa
come un profondo estatico a cui il capo cede la misura delle azioni
la voce si tace in una fatiscenza inoperosa
a questa ora della stanchezza il moto imperpetuo del giorno si fa ascendente
ibridato dalla realtà de i sensi
i sensi sfumano nella anonimia
i valori si abbassano a
quote di rigidità così si intavola il resto
nulla è più toccante del tentativo di sfiorare la bellezza
il profumo della sua persona sopita nella luce lunare
illimite canto delle cose perdute
acre parsimonia delle rose cadute la decadenza stessa delle cose
vocio di ieri collocato altrove
diventeremo pioggia anche noi sulle foglie dell’ultimo autunno
e
io finirò con lo sparire
la linea d’ombra del nostro mattino la nostra protezione il circolo dischiuso
de i rumori
preferisci i notturni negli invernali alberghi quando le gelide fedi
cercano nei fuochi spenti la brace ancora viva di ieri
vai contro le
cose benché tu sappia quanto
le cose siano dure
scegli le lente travolgenti ore senza misura ove lo spavento degli stormi il
tremitio delle lepri la fame delle volpi temono il destino dei tramonti
riprende l’epoca dei grandi cammini
al di là del tramonto non una altra aurora però
(la terra prese dopo a modulare un movimento di onda sinuoso e ipnotizzante
la terra era
rara oramai e
introvabile
e
quasi senza terra)
le tue labbra pispigliano sulla mia pelle sonorità fini di fisica profondità
al di là del tramonto nessuna altra aurora
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era dunque placata la uniforme materia del tuo racconto
si chiama principio di prigionia
si può passare ma non tornare
indietro
(il luogo poi diventava un labirinto loculo senza uno stilo di
salvezza o voce accompagnatrice)
nel tuo corpo l’oscuro sangue dei porti
recita il tempo divenuto
le isole stanotte allontanate riparano nel cuore degli esilii
e se l’eterno è un ramo solo ma vizzito
i boschi colgono l’essenza della crescita
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l’indovino
la fallacia accade nel campo della certezza
questa la condizione complessiva nella quale fatica è ritorno
allora il ritorno, se si dà un ritorno, coincide con l’epilogo di un
descensus inferi coronato da successo perché il ritorno è proprio l’errare
alla fine forse
forse proprio la fine (polumechano eroe fatti da parte) nella
certezza del nostro comporci nell’alea e nelle cronologie assumiamo la
profondità come distanza e distacco e il valore come lungo e amaro deserto /
dolcemente
poi ci siamo noi le scarpe rotte le parole stente i ruoli approssimativi per
nostra responsabilità
quanto a me posso solo accontentarmi di annusare
il profumo di una ombra
l’alto spettro di una luce solitaria il rimbalzo successivo alla caduta
quel che si intende è una discesa tutta
un salto appunto
il primo salto dall’alto delle cose
moviamo a altri vettori impariamo l’alfabeto delle trappole
hai visto lo stelo dell’astro pregno della tinta della notte
e fosco nell’abito buio della luna
lunghe filettature di liquido nero alimentano il cuore della malattia
i segni sono rari sovente indistinguibili
largo lo odore de i resti
dei dadi gettati cogli il risultato nell’istante variabile del vortichio
però
non andare oltre gli
indirizzi dettati da i morti
non oltre la cintura del luogo dove l’eredità convoca le pietre
e le raduna in forma di prigione
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le grandi maree risalgono
gli evi salmastri dei fiumi
calmando i languori languenti di lune
il nord una quiete d’oriente
redatta quasi da una grande astrazione
là alla confluenza de i corpi con la foce oscura
la terra è nomade e il giorno si intride di notte
tristo il sonito de gli uccelli biondi
rapide su i suoli le ombre de i voli
lascio spazio a la tua fluttuazione
le ere trascinano alle rive del mare oceàno
la carcassa del mare oceàno
le sfoglie di un sogno
l’inesistenza quasi di un oltraggio vivi del vento
e agiti foglie di ieri
dove va come sta la stessa strada
come un livido astro nello splendore del cielo o cielo ocra nelle pupille di un
cieco
hai sognato il nome intraducibile
forse non sognerai più
biondo divieto delle fogliazioni
un’aria condizionale accoglie il corpo nell’ora canonica della cerimonia
riflessi di un mondo oscuro chiamano all’ufficio dei mattini soglie senza
difesa aprono al terrore un territorio di debolezza e insonnia
accompagnami nel mondo degli altri
giungi con un po’ di ritardo
bene così
credimi
più tardi chiederai come pagare
cosa mi dici
è un dono
e così ssia
ia
hai sacrificato pronunciato le formule recitato le cifre epoche simili
di
scomposizione
esigono un rantolo di unione
questa è una meditazione intorno
al valore di una terra
se cioè si possa comporre una difesa o nulla valga più
portare via portare vvia
ia portare incombenza pesante
dell’oggi ma
secondo una logica del senso
tenere fermamente ciò che è morto è quel
che esige la forza più grande
nostalgia del debito a cui una scrittura si vota
siano allora le cifre vocaliche tutte multipli di tre se mai tu voglia soddisfare il
dio o la legge poetica
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nel silenzio frattale dei grafi dita cieche cercavano il suono
annusando il livello della differenza
cammini radendo l’abisso la variabile ombra
pazienta con coloro che ti hanno preceduto
adesso sono lepri iineffabili
neffabili
volgiti al planisfero senza proporzione
alla umbratile forma della disperazione
il planisfero non ha margine o centro
concluso l’illuso cerchio della demolizione
in una lingua mi sono addormentato in un’altra mi sono risvegliato
explebo numerum reddarque tenebris
le leggi del labirinto sono esigue
occorre attendere correnti di discesa
ove nulla resiste e il vortice del moto
raccoglie le voci annullandole
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dal fondo della mia ignoranza dormo
no veglio chiuso nel gesto
di tentare le membra de le ombre
di corsa hai traversato le terre dei morti il sigillo delle finestre oscurate i mobili
tarati nell’inuso
forse ancora una rapida visita (un gesto ripetuto) le tracce di un gesto tentato
ma altre intocche le vieta il timore maggiore l’avere compreso l’avere veduto
così ti dico
descriverai le stanze
le meteore divagano sopra il mio recesso (la camera il tappeto il leggio la
poltrona il cuscino lo zainetto gli articoli determinativi uno spazio il
perpetuo accampamento mi va bene
chi vuole muoversi dove già c’è movimento
fa caldo adesso
la scelta di comporre un diario della esistenza
l’altra di non comporre nulla fermo al fuggiasco motivo di partire
vivo sotto il primitivo cielo quasi un arcaico pensiero se mai sia stato colto
l’atto di una concezione
ultimo gesto di chi cerchi la vita e lotti per la morte
benché vivi per gli altri siamo ombre
presenze lontane nella marginalità
quasi ribrezzo se mai succeda un tocco eppure
invero il diaframma tra loro e noi è sottile
siamo talmente vicini
strano non ci si possa vedere parlare appunto toccare
quale elemento divida quale garza nasconda (padre pensoso ne i sogni
sempre avvolto da provvisorietà esistiamo per sopravvivere)
ma del presente cosa si può dire manchiamo sempre al presente del presente
sola speranza che una parte di noi non controllata lo mantenga in
forma di memoria e qualche volta possa farsi viva
oscura stagione dei sensi
spostarsi dall’essere dell’essere verso il non essere
o
essere altro
giace lungamente il vento del tempo sul pavimento di terra battuta nel
florilegio fine delle muffe
poi viene la notte quando nessuno può operare
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evocazione dei morti
le mattine cadono addosso alla finitudine di noi alla nostra età antichissima
alla invisibile meta quando l’estate accade brutale su i lamenti delle cose
ferme
la nebbia ci elide dolcemente strappandoci dal modo violentemente lento e
senza movimento
i tempi non hanno fine
diluiscono le membra nei freddi abbracci delle
scorrerie
scavalcano le soglie senza uscirne mai
le alte terre si muovono oscurando il sole
tutto è finito
tutto
il libro perduto de i tuoi
sonni
giace senza memoria
non
sottolineato breve immagine della ora dello
adesso
intruso in una sterilità
di corpi in una sterile verginità
altre evocazioni saranno concesse a soli salmastri e acidi
la poetica della paura pispiglia nekuia nekuia singulto di un enigma la
velatura trepida di un barbaro
copio le cose ascoltate compitandole in una morfologia
inconoscibile anche a me
archeologia che tratti l’oggi alla maniera di un oggi assoluto fatto già di
rovine
archeologia del futuro presumendo quasi un indizio di ciò che sarà sua
proiezione all’indietro
verso noi
specchio di un riflesso tardivo
ombre leggerissime semitrasparenti sfiorano le pareti del reame de i sogni
i fiori stemprano evocando profondità ove niente è segreto e l’odore si fa
liquido
brusco risveglio nella marea di luce in sonni senza svelamenti una attenzione
spogliata a oggetti disordinatamente arrecati nello spazio tutto di
sconfinamento di trattarsi col tu generico dell’indolore quasi altro o
totalemente altro di un io anche esso progettualmente indolore se non leggo
male (o incolore)
guarda tutto è diverso
si è pulito il cielo gli astri sono luminosissimi
la luna in fase calante
come me ma io non ho ritorno
modo spurio di conoscere e no dote di limite e a freschi
viviamo intanto la calma della grande orsa il gemito dei sonni senza riparo
col muschio rugiadoso le terre di nuovo paludose in superficie
le parole non mancano ma non sono obbedienti
vagano nelle loro mansioni ignare della cortesia dei suoni
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vivo di queste scritture rimaneggiate stralci collazionati nel senso
compassionevole della storia sulla pietra illividita dal tenero muco del lichene
certo
parlo con gli spiriti cosa dicono non so bollettini robe del genere
sembra abbiano dimenticato
dimentichino completamente
molto è assai complesso
lo stesso letto dalle visite
ineliminabile
lo è
molto complesso e inaugurale
adesso si tratta di percorrerne le tappe i nodi le
commessure
lo stesso crimine del letto
solo premesse
si scompare indossando sempre premesse
abbozzi
benché si parli con gli spiriti
e gli spiriti sollevano le mani
dakrua
dakrua
in tale inquietudine i ripartiti doni sono mescolati
siamo allora confusi
perduti o
ritrovati resti
barlume della
nostra risonanza
dove non è detto
qualcosa di simile a una strada
finisce con un filo
sogno
tu come lo sai
l’ho saputo in
renditi conto stai distruggendo un pensiero
sto solo consolidandolo
qui (pagina tale) quando la voce si inalbera
quando poi si fa la cadenza
qualcosa si manifesta
una incertezza velata una peluria
i cani rovistano tra odori e placche continentali
finisce con un filo di colori cangianti a seconda dei tropi e mi domanderai la
natura delle orme de i sonni paga lo scotto a veglie e tramonti
comunica
le
formule del rito
tenta le labbra col sangue delle vigne più antiche
di poi me hai tradotto da una lingua dichiarata morta
ma ci coinvolge la pienezza de i fieni
rammenta quanto ti definisce è il tuo fato e saltando ti dividi dall’ombra
ahhahhahha
la risata svolta l’angolo e svanisce
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l’isola usurpata e la risoluzione
sul bordo inferiore del tempo
un sito minimo e cupo
affollato dalle solitudini
l’idea di chi ha dimenticato
la propria sofferenza
e tenuto per sé
la vendetta
esci e cammini sotto l’ombrello della tempesta originaria
statuari uccelli immobili su i campi a pena appena
quasi ti bagni
pollicin senza fratelli gioannin senza paura
porti ritagli da i secreti registri delle ruberie da i penduli impiastri senza
amenti
isola penisola usurpata gli uragani incrociano al largo relativo del mare senza
spazio
siimi testimone nell’atto della mia vendicazione
in girum imus nocte et consumimur igni per i canali della grigia serenissima
repubblica – 1978 (sic) a cui segue il 1979 (ricerca eseguita) e l’acrilico
terrore degli ‘80
domande future trovano risposte nel presente tempus edax sola
manent
interceptis vestigia muris
ruderibus latis tecta sepolta iacent
(in questo anno di altri cieli a destra si scancella la dialettica non c’è
intelligenza politica cernimus antiquas nullo custode ruinas)
rischio
certo
è tornare
il padrone di casa celebra le sue orge coi titoli di borsa
adesso in questo anno di altri cieli anno decimoquinto della opera buffa
oscuri atolli affondano ne i sogni di possesso e occupazione
le
vele strappate bandiere incolori
le
foreste deflorate illimitatamente
queste carni grevi e le cose da gli ozi
il tremulo oro del tuo mondo ancora di tramonti e ferocia di ferita perpetua
come sei senza voce isola terra penisola scavata dalla insistente rapina de i
raccoglitori
cerca riparo nell’affondamento
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mendìco mi aggiro
tra vecchie architetture
fissazioni sopra i siti
(eri in una doppia notte in
una doppia città
una piazza sovrapposta all’altra nel prospettico destino di edifici
) appunto occupazioni
piazze in uno stile noto
solidificato dalle pratiche di conferimento (il dire non dire la
insinuazione uno stile indiretto)
(miiiii hèscci)
elenchi (degli) il primo come si dice di una serie
non revocabile statico
nella precarietà
diritto all’ozio diritto alla presenza diritto al sacrificio diritto alla
sperequazione (cerca il nesso) diritto all’insulto alla volgarità della
divulgazione (anche devulvazione) della volgarità – nell’intento (da un brano
di autore conosciuto storicizzabile apologeta di sé passabile di costrizione al
volgersi del canto) in una tale prospettiva è lecito o risulta tale (ripetizione
corrigenda) dati e soggetti e risultati dato altresì il trasferimento esplicito
(secondo la relazione si trovava colà quando veniva colpito da un soggetto
contundente) le rovine sulle quali altri hanno ri-costruito
poi in questo
tempo umano si invoca un gesto ahannullatore
ripresa elenco ( )
diritto al veto al pensiero alla religione (no questa poi no è un doppione tra
l’altro che ci sia il klaerung in aufklaerung in questa peneisoletta della
minchia trasforma il lupo in agnello o smaschera l’agnello sotto il lupo scegli
tu infelix putat illuvie caelestia pasci)
diritto alla esistenza ma quale o come o come mai diritto alla caccia in senso
molto ampio
diritto alla dipendenza se mai si voglia o si desideri a tal
punto (e va bén)
diritto alla sopravvivenza condizione essenziale
all’apprendimento solo così giungerai alla quiete della sopportazione
alla cornice della consolazione
fede
la
fede
non ha dote
ma doveri cari citoyens in aggiunta del cazzo
/permesso/
so bene quanto lo sc-tato sia inutile (comparsa)
ma
una parvènza di sc-tatiscità serve all’ammore per
la patria infondendolo per la inegguaglianza per l’odio verso la divverzità
usw
concedimi una metà di quanto mi auguro
dicevi di essolui protoumano una categoria del ritorno
anche formazione discorsiva per la quale vedasi quel che si vuole
dicesi di essolui de-umano quasi una deviazione /deiezione/
esigita da una ricreazione dei perimetri in cui filosoficamente
percorrere un tale soggetto presentissimo a sé
fottitore produttore di
feci e di urine
egli /l’imperimetrato/ se ne fotte de las palabras
date in atto
29
egli /l’imperimetrabile/ caca duro sopra i terreni
al fine di aedificcare la propria volitura
egli /l’indomabile dongionannin senza paura/ piscia nei
giardini tropicali poi costruisce una teoria della errabonda condizione dello
smarrimento causidiche complicazioni comprese e torna poi a ruttaare in
nome della disperazione
nessuna bestia a paragone del volto rifatto
la smorfia beffarda su un paese sospeso sopra il vuoto de i vulcani
tentennamenti blatera della realtà blatera (blatera dell’ordine costituito nella
misura non so di che cazzo blatera compagni amici camerati grida non
lasciatemi solo vaccadio
la spudorata labia della ipocrisia
composti con ordine però e a destra biascica essolui oramai più che parlare
mostrando lo smalto dei denti rinnovati (wo bist du meine heimat)
prosseneta paraninfo corruttore
disciplina poi proclama (seguono applausi e canzonette)) il qual caso
autorizza alla disperazione blatera pletora diaspora caccole lappole trappole
orrore acrilico torpore visivo muto melodramma e varietà (abbiamo
interpretato le difficoltà della evoluzione civile come una difficoltà evolutiva
generale - 243 sigmund/sigismondo jude)
(più che spostarti scompari)
e tu
mia piccola escrescenza geografica di personalità peneinsulare
ascolta
vaste meteore vacillano sotto l’impulso del vento
si aprono spazi nella notte profondissima e buia
parla to pan nella fase di svolta ma il reticolo si dipana dentro noi
il lavoro degli storici parentesi aperta delle religioni chiusa la parentesi
procede da racconti in quanto si fonda su racconti o più correttamente su miti
così la quota di accettabilità è punto di irrequietezza rispetto a “questo”
presente
il male della storia altresì è proprio qui nel costringere a una cronologia
[(a ciascuno il suo) rifiuto]
la fissa della archeologia dipendendo quasi da una specifica incapacità di
esistere
e se davvero volessimo morire
morire ritornare
a
altro
rumore
condizione incondizionale
(bolk vedere la inibizione cfr etc)
la poesia è più filosofica della storia (pag.810)
30
dovremmo fuggire
lo sento lo so
e neppure difendere
quale terra desideri abitare
de i
settentrioni
tu abitante del pensiero
l’universo si allarga sopra i nostri luoghi
percorsi nella fine rapidità di una fuga
riconosci le costellazioni benché
velate dalla nube delle confutazioni
riconosci la identità di
come ti si è definito
abitante del pensiero
quale di fatto
sei e niente altro
ma è questo niente altro a condurmi a declinare l’essere dell’altro e il perdersi
e il trovarsi
come un gioco di fratta assurdità
leggo solo libri del destino legati alla mia vita
al
suo fluire immoto e repentino
l’autunno si misura nell’inverno sulle primavere tardive e
misteriose sul misterioso stesso meccanismo del qui
di noi del tempo qui
di
noi
né so cosa sia tale languente arte del pomeriggio
il mese si inoltra nel proprio passato seduce le bianche ombre dei fiori
dischiusi difficile darne il portento
è indubbio la terra cammina sopra noi ombre fatte di una sola superficie
e il tempo non è mai andato avanti arrestato in una manovalanza di cotidiane
entità senza spessore
fotografie soprammobili falsi documenti
di una dote il solitario fogliettino uscito da non si sa dove
proteggine
allora le figure accrescine fiducia e fedeltà
nelle tue discordanze una amarezza esistenziale una negritudine
di
umore di
linea tracciata prima del totale questo ultimo inteso in forma
circolare
ho paura come mai devo avere paura
ho paura solo di me
chi
si
aaa
mo
(siamo forse la cosa
lo si era nell’infanzia numinosa quando il tocco
dava vita alla cosa e la cosa muta parlava) quale ritmo tiene l’uomo
come mai si vive creando sofferenza
la volontà di agire
di sapere
corrode
la bellezza estatica del mondo
al di là del principio del sapere c’è
il principio del dolore
tensione abboccamento fondo surrettizio abracadabra bianco della
protezione)
31
dovremmo fuggire
lo sento lo so
e neppure difendere
questo paese è una discarica a cielo aperto (è una regione unica
il mio
orecchio il mio volto la parola come va respirata l’oscurità complessiva della
legge fari
cigni controcorrente nel nebuloso mattino verso saint michel la vezère e gli
alvei nudi
solo giochi di passo sulla tua cronica anonimia
la stessa notte la stessa notte limitata e locale proclamava la venuta
del re la successione di un regno e altro di poi un mattino di umidità e
semplice
l’estate brucia il radicale dolore pietra eri e dente sei rimasto
forse nella sweet odusia un salto breve nella tua ignoranza nel freddo delle
piazze de i mercati col profumo degli oggetti organizzati nella tratta delle
cose da mangiare
inesplorabile ansa di memoria
scaverai nelle zone vuote innominabile
violenza del cuore
occorre cogliersi alle spalle
la ebetudine stessa una metodica della salvezza
sarà poi la amorfa istituzione di un altro paese retroattivo
oscuro occupato da oscuri burattini
fuck shismus pretume di merda
e qui si situa la tua mezza profezia
il nero pozzo di una storia sbagliata
32
sempre si torna dove mai si è stati regressione e destrutturazione sono le
uniche vie di uscita di una partita mondana giunta al vicolo cieco dunque si
tratta di pensare in modo militare e in esso modo è compresa la balistica
raggiungimento dello
obiettivo
precisione il fine la causa la causa il fine né causa né fine
il lancio è lo indeterminato
una arte della follia
una disciplina della incertezza
come si comprenderà nei paragrafi successivi dedicati alla certezza
il nostro è un modo medio di pensare e come tale tende alla
conservazione
ci si era illusi che la storiografia soprattutto in qualità di metodologia della
ricerca potesse offrire etc
oggi la tendenza antistorica significa depoliticizzazione
qui cade tutto e non si trova nulla
ho fatto storia in funzione di queste lotte
bruciate le pubbliche scuole e le private bottega solo bottega
vedere come non vedere intendere in una sottrazione delle anfibolie o
storpiare il tutto strabuzzando gli occhi
pedagogia spicciola di derivazione polemica
calma non è la conoscenza
il grido del rapace giunge regolare dentro agli intervalli
le scuole chiuse
definitivamente in questa ombra di fuochi il fuoco è l’ombra e l’ombra la
tortura
33
glossario
territorio: attraversamento nell’ordine del cammino, uno spazio vuoto, anche
psicologico: territori della solitudine, da non considerarsi in senso
metaforico. qui non ha luogo metafora.
campo: politico e concentrazionario, essenzialmente, pertanto economico
frontiera: non c’è frontiera, non c’è fronte; la guerra è totale, sovente non
visibile, sottoposta a legiferazioni di allerta o specialissime. la frontiera valica
se stessa e si smarrisce, finisce col non avere identità se mai se ne necessiti.
frontiere dei sonni respirano nelle risacche dei sogni (sic) (nessuna metafora
rilevata).
cartografia: occupazione ramificazione radicamento squadra e compasso
forma mundi formula mundi.
invasione: quasi mai negativa, almeno qui; desiderio di essere invasi.
isola: di terra ferma di ammottamenti e smottamenti in un regime di deriva
immobile.
arcipelago: sempre errante. a esso il compito di annunciare il futuro e il
passato
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tutte le cose sono silenziose fuori da i territori occupati
il corpo si dilata disciolto dal compito di resistere
tutti hanno radici
ritorno colore del sughero
il vento scorreva sugli addii contro i nudi volti degli ultimi quartieri la città
affondava nella neritudine
occhi affilati scrutano la innocenza del vuoto e più in là
resta il cielo pulito dall’est
invariabilità è tormento pena la variabilità
siamo soli dentro solo il livido colore del vino unisce il calibro del nostro
sentore
mentre la frana delle primavere cerca il tempo delle vegetazioni
il tramonto degli astri ignora le fatiche de i campi
dell’esilio
nell’esilio per
l’esilio
il romore delle lingue e nulla
35
meditazione
con le giornate semiscure il tepore fascina in una dimensione di stenta
incertezza
passa così la voglia di pensare nel cammino dei tetti
regolare
scrivo ai morti attendo mi rispondano
ma il tempo è sempre tagliato
così si pone il problema
dell’esistere
nel ramo della esistenza scorre la cifra di una intelligenza
ineludibile
tragicamente
sceglie nello scorgere la
vita
un brano di vento sopra le rive bianche
il tempo ci elude ci esclude ci
trascina
tacciamo dunque in tanto poca esperienza e età di minima cedua attenzione
nella chiacchiera
si perde l’essenziale
et c’est ce que nous appellons dieu
ci sappiamo illudere ci sappiamo eludere o radicalmente esposti alla
mediazione tentiamo di costruire una profondità (non c’è
molto
lo
spazio tecnico del pensiero
elabora pochi
pochissimi nodi e li avvolge e
dipana riducendoli al senso del colore
dopo boschi e deserti dopo mura perimetrali di città spopolate
inter custodes publica furta volant non esiste degrado è l’aspetto comune
delle epoche da cui l’arte della decifrazione
quanto fragile sia il tocco su noi per il timore di un dolore assoluto sciolto
cioè da ogni consolazione
- si solleva così il vento e i corpi inclinano flessuosi a (ecco come
emendato il testo costituirà fondale intervenendo però solo più
tardi –
è tecnica di centone
- devo tornare a ritroso nel tempo dell’uragano
in questa stanca memoria si assommano dati alla rinfusa confusa materia una
collezione principio ritardato della proliferazione i voli delle piche tagliano il
campo bianco della nube in una noia di apparenti migrazioni
in questa stanca memoria le maculate superfici traducono il canto balbo della
luce in ombra (tecnicamente nulla si ritrova ma si trova e forse quanto invero
non cercato) a volte nello spaurimento ho l’impressione che non si debba
resistere avere quel tanto che basta (disambiguando: un limite appena non
molto le parole della montagna)
la natura è perpetua sottrazione
36
(
all’improvviso comprendi di comprendere
e comprendere è
giustificare
comprendere è anche tradurre in qualche modo benché la traduzione
come detto apra a una zona di oscillazione ove nessuna sostituzione o
supplenza si rende garante della somiglianza
zona di movimento viva
perpetuamente dove a guadagnarci è la densità
necessità la mia fine tra passaggi nitidi chiari
così è chiara la vita
il secondo teorema non avrà poi ragione di essere)
37
conclusione
lo scorrimento lentissimo del giorno dentro alla modulazione delle ipnosi tue
legittima eredità di un crepuscolo filtrato da i crocili d’aria
quando ancora l’aria si solleva gonfiando il cielo poi svanendo via
e
il glicine reagisce vellicato nudo
bevi in ritardo il caffé delle quindici inzuppando i biscotti con la cura della
golosità il ritorno non è ancora cominciato il disordine regna tra le cose
della stanza promiscua e provvisoria degli antichi soggiorni de i tuoi sogni
tu ristai mentre le vespe filano la luce nella solita incertezza in una
propensione alla fatica gravata dal procedere degli anni una quota severa in
quantità
piccolo ancora il controllo de i tuoi frutti e la vergogna pena a presunzione
adesso chiedi dove tutto andrà
gli atomi indivisi del tuo corpo la forma del pensiero la stessa vanità delle
passioni e quanto assume dote di memoria
rimani dove sei
in frammenti si organizza la fine
la notte non è ancora notte
la inoperosa notte tra le stelle e la alte stagioni delle nuvole risentono di un
tardivo crepuscolo
della tua elegia eri convinto di
avere proprietà
ora il canto è monco approssimativo
sentiero interrotto in
cantieri bloccati
dall’usura di te ora spento il tuo canto
ti appartiene un canto senza proprietà
immobile attesa senza identità
38
è una grande notte adesso non una notte estrema incondizionale
quasi spaventosamente serena
è la notte perlucida della salvezza
una brezza di luna susurra ai rami un modo tenue e raro
l’aria pura lo
scarno modo sensuale de i mondi
nell’unisono vuoto di tempo
lande mute aprono l’infanzia de i sensi al tortuoso membro di oscurità
dunque in qualche modo la
materia si esprime e noi sorridiamo all’accesso d’ombra
non so se te ne sia accorta ma c’è una imprescindibile melancholia anche in
questo giugno frutto di erranze immature di nubi di luci schermate da un
sereno dolore senza cause
è il vento del sud a raccogliere i sensi a disperdere l’intento primitivo e
la noia della calura
su i bianchi pavimenti l’aria guida petali di rosa
penso non ci sia viaggio il viaggio una degenerazione della utopia di noi un
sogno di eternità possibile nel movimento senza sosta
precede il tempo e lo annulla
salto con cui ci si divide dalla propria
ombra
sempre sottilissima ma incolmabile distanza
eravamo così neppure maturi non avevamo età esisteva il ragno di emozioni
nel cortile
un gomitolo di vergogna nell’inabile smarrimento di racconti da inventare
la sofferente distanza si ripristina in diseguali regioni di gioco nella distesa
implacata luce delle estati il disturbo delle finestre temperato dal primitivo
rigore de i suoli sotto la pelle quasi rude de i piedi
distacco
latitudine aprica di un angolo dove sosta la linea di ascesa di un muro
una remora attuata domeniche di eternità tra polveri dormienti e sonni di
altri tu tu sempre sveglio ascoltatore muto hai conosciuto lo stato delle
attese immobili fino allo annullamento e trasferito più tardi nelle stazioni di
notte dei tuoi spostamenti o meglio spaesamenti d’abitudini nel fumo delle
sigarette nel caldo meridionale di un appuntamento
poi ci sono i morti spiagge bianche dove ci si addormenta
nel romore de gli uragani quando se ne vanno
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lascio a questo giorno tutta la sua stanchezza la complessa inadempienza
mi chiedeva dove il mare finisse dove principiasse il cielo e diceva il
cielo si riversa nel mare e noi siamo nuvole era forse un pensiero della fine e
c’era nelle visioni la necessità di aprire il vaso delle azioni tenute segrete nel
giorno di oggi nella sua felice completa discrasia di destino
condizione delle generazioni
mai come le foglie noi
noi come noi semplicemente
recita la tua parola tra le dita
viaggio senza ritorno
pace senza quiete
calma è la materia del caos
eterna la poesia degli stretti
40
QUADERNO DOLFIN
(LUOGHI E MEMORIE)
41
sotto quale forma ti ritroverai
in quale spazio giungerai di nuovo dalle tue lontananze
o forse dalla mia nell'appianante differenza del ritorno
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anitre e germani accanto a gabbiani nella foce separata da un istmo resistente
a cui vani salivano i mari il colle si oscura contro la tersa lamina dell'est
si oscurano le superfici ancora modulate
rimarranno rumori le sagome grandi le piccole lune dei sentieri illuminati
in questa fase il bianco diventa colore pronto a servirsi del timbro del
crepuscolo
i pini conquistano il canto del loro sperare nel vagare
folli follemente salsi e senza voce
detto del tempo del tempo la sua sacca di vita senza umana intenzione
tanta anonimia di paesaggio denuda la presenza la dispone a un totale di sé
accade in questo mese cancellato dalle carte topografiche degli eserciti dalle
sincopate narrazioni dalle voci tediose degli inviati
e il mese si cova dormendosi in veglia
la meraviglia delle stagioni alte
si protende ai balconi di albe crepuscolari
in filacciosi mutismi e gli isolati resistenti uccelli sui cavi traversano la piatta
successione tra l'attuale e il mai
(sopporta il dolore delle viti spogliate il pianto vigesimo dei coltivi
come i cani sopporta il linguaggio delle tenebre
chiama le tue pallide dita a recitare l'influsso dei sepolcri vuoti sulle vene
prosciugate di altri cieli)
la sepoltura dell'inverno si è compiuta nel brutale brillio della luce
ora la luce si è spenta io
vago per la perplessità di cantieri vuoti
col sugo di una donna nelle labbra i vuoti ancora delle case in costruzione
bocche cieche vani ciechi corridoi
parlami della anarchia del
mondo delle stelle nel buio
entrare nei corpi poi uscirne non capire come ciò sia accaduto
più tardi la scena di uno stupro buttato giù nel peso della vita
ora tutto può accadere nella onda di estrema leggerezza
perché non spero oramai di ritornare
il mare lo spazio gli oleandri morti androni appassiti nelle stazioni chiuse
stagioni sospese gli archi alti dei portici alati e le vele fiammeggianti di
epoche ignote la fine della era della età de i tempi
43
nord
non sto adesso a contare le pagine della infelicità
il momento dell'aria si scopre verso
gli interni maternali verso la passione per la vita comunque
in questo tempo difficile di diserzione e resistenza
di sottrazione e spopolamento la trepidante notte si concentra in temporali
relativamente lontani manca solo il tuono e nella protezione dello scuro
la terra se ne va rifiuta ogni progetto e agitazione
ogni anche forma di ricostruzione
poiché in questo tempo di difficile ponderazione
giunge la ipotesi seria di una materia dotata di morale
i rami flessuosi cavalcano nel bruno soffio della brezza bruna il bruno
silenzio della notte bianca
troppo brevi stagioni hanno lasciato
uno spazio vuoto (ore undici col corpo e la fronte a nord
i traghettatori la spoglia di un grande gabbiano nel mancamento della
spiaggia nuda
i sogni vengono incontro bianchi scialli di sabbie i sogni vengono incontro
le forme straniere del luogo di loro de i tempi sfuggenti
continuo recitativo muto continuo alveolare delle voci
i ritrovi si colmano del sapore acido delle bevute e contro la terra rivestita di
cemento il dilavante compito della pioggia non giunge agli angoli dove sé
distilla l'anima degli uomini nel rancido di urina
gli esseri umani sono
semplici punti di entrata e di uscita in cui alberga lo strepito discreto del male
e (forse) la sua risoluzione
là
la pulsazione profonda
schiaccia il cielo contro il punto di precipitazione della terra
esso si trova nel prossimo orizzonte del mare poco dopo la linea di
passaggio dei grandi vascelli traghettatori
dopo i punti di penetrazione verso i fondali degli uccelli marini
ora
in questa desolazione di sosta il canto si fa memoria
la palpitazione irregolare la irregolare epifanica stazione del sole impone
sonni ai risvegli
se volsi a nord è perché sono stato baciato dalla coda dello scorpione
perché il volume greve delle bilance si è spezzato
perché l'arco del sagittario ha mete già raggiunte e non esiste l'irraggiungibile
domani
io era tra vele e il soffio tra tempesta e naufragio tra le oscure murate
e i vortici sfiorati da gli albatri
44
la alta poesia me prese all'ingresso delle grandi pianure
e mi colse la sua ragione costringendomi a un altro antico silenzio quando
io abbandonando l'automobile
scesi verso la riva scogliosa
tormentato felicemente tormentato dal grande silenzio di quel settentrione
di quel punto dove una folla muta regolare e però festosa occupava
l'estremo limite continentale e creava un insieme cromaticamente
essenziale un nero e bianco in movimento mai convulso
fino al dove delle sinuose orme di arrivo del fiotto
allora abbracciato dal soffio occidentale anche io
nello estremo prolungarsi delle sabbie verso il pettine continuo del fiotto
compresi la natura della mia natura propriamente marina e settentrionale e
stetti immobile in una posa effimera
e ero nella mia terra o
meglio ritornavo così io proprietà di una terra dalla quale troppo a lungo
ero stato separato e i carghi incrociavano delicatamente lontani ma non molto
lontani
ne i profili velati e trasportavano la mia esistenza assieme alle merci
verso paradisi perduti dentro alla mia speranza
il passo di uscita dall'abitacolo incerto il passo per lo sfinimento
della lunga proiezione verso il nord ebbe dunque a premio un accoglimento
continuo
del posarsi lungo della onda senza alcuno rumore sopra la vita degli scogli
quando carezzati i corpi dalle notti bianche
si sostava sulle sabbie accanto a le dune accanto
a la purezza delle erbe del vento accanto
a le meraviglie di un ritrovamento a la esistenza stessa ricongiunta
ma poi ho incontrato i luoghi della ferocia la casa de i condottieri
la mai quietata follia degli scismi
così dunque di nuovo superato amputato privato de le periodiche
mutazioni de le fossili sezioni
di uno scudo di basalto a cui attraccano le grandi acque
io
così di nuovo separato defraudato della residenza
in un impero decaduto in un impero incapace di
memoria il pensiero teso verso le passioni
delle latitudini estreme roccia sbriciolata
polvere condotta verso dove le ignorate pianure accolgono fertili antichità di
grandi venti
45
io così disperso ora
condotto di poi al riposo modulato delle dune
agli spettri felici delle sabbie corsare
allora
e occupando così cancellando in una scelta cavità la distorsione della
umana visione
in una tattile felice vastità dell'essere
effimero del trapassare effimero e tuttavia
perdurante nel grande momento e unico
là dove il mare incontra sé e chiama il cielo nella concorde disarmonia del
rovescio tutto
ebbi di fronte la morbosa fatiscenza di
un territorio redatto a tavolino puro impuro subbuglio di gesta sbagliate
dove sì e no una lingua tiene me
come foglia tardiva al tardivo concepimento di un ramo
e già le lepri abbandonano le siepi e scavano tane
per lavorare dentro a i corpi lascivi delle fughe
forse davvero
si
è
uno stesso solo lontanamente un tempo divisi
46
descrizione occidentale
città bianca città nera così si definisce un campo araldico così si divide
uno spazio ove l'azione pare geometrizzata dal libro della storia in quello
della memoria
e dell'intuizione del prima
dopo i cavalli di frisia dopo il timbro e la pornografia dietro al claustrale
romore
di terre e
dopo il meridiano al suo finire
città bianca città nera
turisti
insegne dormono esposte alla stanca ipocondria dei
lapidi sbilenche bassorilievi cantico di nomi
materie suscitate dalle dita
nella fetida grana agostana
il panorama propende al miraggio gli ori allora infinibili dei tetti prendono a
pulsare
in un brillio discerpto e i tetti aggettano un reticolo obliquo allucinante
e questo è quanto sa lo spazio la resistenza al moto irretito di un falso
movimento
certi vuoti sono vuoti totali inarrivabili alla meditazione taciturna dell'aurora
adescamento dell'imperfezione propensione per punti ove gli oggetti
definiscono l'esistere in una delle forme dello accatastamento
città bianca città nera
il ponte la piazza la cripta il manicomio
(nella grande onda dell'oriente le mandrie bivaccavano / fumanti in zone
disastrate slarghi di terre impresse dai crolli / oggetti paralizzati dal tocco del
perduto verbo della fede / marce forzate durarono / una infinità di sogni
indecifrabili ore di veglie comatose / o sonni falcidiati ma poi superate le
regioni / della larghezza si vide il volto risentito di una dolce / sparizione o
il culto di una costa o un aspettare / il rapimento estatico del mare / non il
sangue dell'erba o il suo trasporto)
quanto ai cimiteri
senza battere ciglio
possiedono
la fissità quiescente d'un totale pagato
47
con calma tornerò alle sue lente lettere barche
nell'estuario inclinato del fiume
e la città trasuda
il proprio fiato di devoluzione calda torpida fantasia
troncata dal ponte limata dal colore di oceàno
il riscoperto amaro cortisone a medicare un morbo indefinito
quando è marea grandi gabbiani laicamente virano
nel suo gorgo lontano e trasparente
incede la bonaccia sulle cose divise
dal tardo pomeriggio nebuloso
48
perpetuo nei punti marginali e largo / un respiro d'onde in arco più in là / il
romore trapassa verso il grado sonoro del silenzio sordo / profondamento
mormorio coma di vento ma lontano e cupo / e profano più in là ma non
al suo di / fuori giungono ampi bordi / estremi spume grevi oleose
là /
comincia il ristagno nell'esordio dell'esito / ultimo di patti contratti accordi
stipulati conto solenne risguardo di / una mescolanza monca detrito unica
putrescente / immarcescente livida viva favorevole allo scambio di reperiti
meccanismi congegni ereditati / dal fiotto e la insistenza sua perenne fetida
di tutti / gli occidenti altre onde talvolta leggerette rapide / corrono ad altri
destini / dura qui la cultura / pietosa dello scarto compendio umìle di una
alchimia senza sfondi
fioca una spiaggia traspare in rilievo perlaceo / appena al di sopra del crespo
livellarsi delle acque / neroglauche sgranulamento e altro un iridare del
primo sunto / di sapore senza odore (in un tardi relativo gli escrementi /
richiamano al forse quotidiano alla energetica privazione da un / rabesco
adolescente sul muro poroso di uno stabilimento / ventagli della notte si
attardano su liquidi specchi di campi / irrorati di pioggia sottrarsi al
palpamento della mano / adulare un tema di rosa / o una patria perduta lo
scarico di merci e le valigie /ordure raccolte frontiere senza storni a decifrare
grossi corpi di pesci gittati / sulla riva trasalgono lentissimi contro il / profilo
del cielo e convulsamente / sì ma lentissimi soggiacciono al gravame dell'aria
confusa / da un accento cupo di rovine altri pesci delirano / o spirano tra gli
algacei impasti qualche / sasso li coglie scagliato / da mani infantili
proiettando il viluppo / del colore in un incendio effimero di sofferenza /
fredda bambini costruiti dai fanghi di un'era / esplosa sottoterra nella
sonnacchiosa ubriacatura / di uno sperma sterile sono tutti morti prima del
giorno sono morti i giorni e il vento è morto finito / il sorriso dei teatri la
calma cornice dei colli loro parto di pietre cotidiano
ancora restano i colori sulle cose svoleranno poi / impalpabili nella intoccata
periferia dello sguardo / i fuochi hanno compiuto il proprio inganno / ora la
brace crepola tra ceneri nere / ora i brividi di nuovo evadono al circostante
spazio / adescando delle membra la fervida parte di reazione / la resa
spettacolare d'artificio decade allo / squallore di una recita varia tuttavia
incapace d'allestire un argine/ alle meschinità pose imbelli minime crudeltà
segnature d'incagli / croci di fogge diverse falsi crediti arbusti di idiomi
stento senza fine / con riluttanza i sensi scandagliano luoghi minori / (quando
poi gli orrori si fanno aderenti alle passioni il tempo si accovaccia nel palmo
della mano e chiede)
49
pietre d'allora pietre d'adesso (adesso è un'alba scura di sfilacciati convogli di
vapori e / nubi il resto opposizione tetra alla profondità / di prima alta tersa
tentata da nude presenze / essenziali verifica di un piano tacitare / e l'alba
tuttavia rinasce nel tessere i gorgheggi del risveglio // le cose costruite
sconfinano la notte / oltre gli atti di concentramento / architettonico
recuperando un clima di purerezze future e / primitive finalmente disumane
le tese superfici / si rilasciano abbandonando lunghi strascichi di fumi
carnosi / sulle recalcitranti terre bonificate / sensuali / chiaroscuri di queta
solitudine o si impregnano di tumide / timide capriole di bruma // serbatoi
aggruppati proteggono l'ansia dello scorrere diurno del diurno / tacitarsi dei
canti delle geometrie della sinuosa loquela / degli incroci dell'intervallo cauto
dei semafori / talora rompe il velo delle calme patenti un moto rettilineo / di
partenza il sidereo comporsi dei lampioni l'annunzio / delle loro catastrofi
quando il tocco feroce dell'aurora li / ammutisce e li costringe a un folle
lividarsi in cecità / passi disturbano la coatta veglia / ricompone il mattino
un drastico atto di differimento)
nel momento della rarefazione delle tenebre notturni rapaci / sfiorano bianchi
i passaggi virando larghi nei ridotti e le cose si prevedono / pure senza colore
immote nell'attesa del dopo / nei chiusi luoghi piccoli mobili occupano angoli
malcerti ampiamente / dialogano strani silenzi nessuna spiegazione dovuta
/ al basso schematico indagarsi dei frammenti di provvisorio tempo /
consumato quotidiane relazioni intorno all'omogeneo indistribuito // forse
questa la paura
non resistere all'annullamento / non essere neppure relitti
rovine insabbiate tra cielo lontano e / terre eterizzate
// dalla altra parte stanno gli scontrosi aspetti degli animali / freschi corpi
sopraggiunti al dopo e qui inconciliati inconciliabili / assoluti e vivi
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puppen puppen puppen liriche torri solleticano i cieli coi biondi / fumi dagli
insediamenti colore della madreperla notturna purezza nei bagni d'argento
/ della luna e le aree di sosta ove scuote la brezza i / rimasti fogli di una
deportazione
puppen puppen puppen nei sessi vostri accennati dagli stampi scorrono / dita
di un'infanzia prolungata / e dalla rosea plastica il profumo promana /
parvenze opache di sudore
ora bambole il vostro tempo di / eterne società
devoluto agli orchi divoratori / ora agili mosse di una vita nuova replicato
istinto / nei simulacri fecondi di ripetizioni ora ora e per sempre / una docile
satura perpetuità
puppen puppen puppen occhi palpebre labbra vagine / mani mirabilmente
delle infante / speculando aprono i recessi dei corpi semplici vostri
evocandone / siti ove torni la vita a sconfessare collassi di un'età / smagrita
e nell'enfasi mezza dello squartamento / bambole gole bocche le vostre
false intimorite / resistono un risvolto di agudeza seria
/ o il gusto cieco del lillà / basta un cumulo / di merci trasferite in aldilà mai
del tutto nettati
ideali architetture ove sé escluda / un feticcio di natura
bambole mai incanutite / bambole sistemate in una mostra imaginifica sopra
mensole dove il pigolio volgare di uno stupro / è negli occhi vostri stuporosi
un canto eroico di scelta corruzione / ed era la coltura nelle vasche ermetiche
negli alambicchi / sterilizzati e sterili un giacimento di estraneità possibili
votate / alla debilitazione di una vertenza esautorata oramai e di / pazzia il
suo senno facondo // ora pare di sentire la pioggia domani sarà un piccolo
viaggio / nella notte della vita o in un giorno di totale rivelarsi delle cose
VELATE LE IMAGINI VIRGINALI LE PARETI SI RITRASSERO
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solo per un momento mi sono affacciato a una alba tetra pulita / tormentosa
pesante sui tetti con la impietosa ruvida rugiada / secreta dai pori dell'aria
solo per un momento mi sono affacciato al freddo del suo corpo mentre pieno
di angoscia era il senso della morte e della sua scomparsa il volume
composto del suo compianto sterile la certezza della negazione
bombardieri continuano da ore verso est e ci si va abituando al rumore dei
voli qui non ci sono più mosse qui neppure la scelta ultima della ultima
disperazione e della ultima soluzione costituisce un risultato privato di valore
non c'è né / buona morte né morte non c'è atto gesto ripulsa segnatura
calcolo bersaglio né ignoto il termine dell'universo si è condotto in un
punto dove sdoganare le polveri del suo strofinamento è cosa semplice come
ricomporre la paura dalla quale ci si sentiva liberati ma solo in un appiglio
intermedio / ove a tratti comparivano avvisaglie di un possibile rientro / ora il
freddo del fuori penetra le sudate stanze dell'appartamento spugnosità
effettiva dei corpi ritenuti rigidi o catafratti e / refrattari un senso perpetuo
di
INVASIONE // ricompare la monotonia dello stupore / raffermo e
tuttavia si scivola verso il fermo assoluto
(rimangono anche gli ultimi tentativi di recuperare la cosa nominata
AMORE il senza volto lo illuminato solo nel vigilare tramortito di una
notte sfumata nel pulsare di una ala leggera no greve di muscoli e tornita e
inadatta al volo sempre però tentante una ala sola non due come si crede
ma nello spreciso tremolio della lanterna / nella continua intermittenza
dell'indugio nulla veramente risulta evidente se non la comunanza della
curiosità o dell'odio) ( si sono articolate enciclopedie dei sensi punti di
sutura dove una locale chirurgia ha asportato grumi di grasso fastidioso si
sono definite per vie plurime le facoltà di un mondo interiore
né le sue
mappe sono conosciute né si sa bene dove esse si consumino come stato o
governo come proliferazione si è costruito il bisogno della storia / offrendo
ai sogni facoltà di un segreto svelabile / costruzione di un mondo dopo il
crollo / provo sempre pietà quando abbandono per qualche giorno le / stanze
le prime righe di sole alla parete / o quando le farfalle recitano prigioniere di
un vetro / movimenti creduti una danza
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al crepuscolo assistito dalle antiche donne golfo d'ombra discreta e
trasparente sorgono lunghe abluzioni preparativi ai sonni
tacitato il corpo
si rilascia prima la cura dei fiori
stinti vasi d'argilla
sgocciolio irregolare e nei quaderni annotata la dote /
del ritrovamento perno ove ruota per poco la vita lo stile / diverso ritmo
calmo d'una piena incurante del tempo del / disgelo
sapiente del proprio
scioglimento
nelle vasche inutilmente si decantano ori fangosi di parti cresciute oltre
misura
altro il vocabolario illusione incanto e incantamento
e tenebra
scelta di un lessico ridisegnato sugli assenti
ora gli oggetti hanno preso il sopravvento /e dall'alto del loro
provenire
preme un bianco risuonare di costanza
irraggiungibile mutevole
altero
attraente nell'ora della sua
formazione il dispositivo dei ritrovamenti si allarga al tempo in una teca di
trasparenze dure risuonano senza nostalgia regioni di sguardo incontrastato
incapace di approdare e si esaurisce tutto in una vuota cartilagine di vento
umbre di ombre immobili presenti stagnanti passati indeclinabili dove del
dubbio dove sia il dopo dove scandisca la propria ricerca nel sentiero
scancellato nella rena spremuta nessuna prolusione oracolare (entrato
dunque nella distanza semprigna / nella località sempre prossima e
irraggiungibile sto / senza una guida sordo a osservare / il silenzioso
rovinare degli esseri / rimane la cecità degli altri a produrre l'illusione della
profezia / i mesi non finiscono mai gli anni
finiscono i nomi / fantocci
conculcati nelle terre brune / inchieste conducono giudizi sempre affrettati
o / superati dal vaglio effimero di impietà infantili / la codardia de i vecchi
pareggia la ipocrita baldanza / de i giovani tutto ruota nell'esito di barbarie
ragionate / dunque una residenza scomoda tra due pareti / olocausto inerme
di meditazioni a cercare un fraseggio / di sperperi dove rivoli indichino vuoti
permessi di uscita / invalidazioni o altro patenti di arrangiamento al
canicolare / risvolto di uno stato / tace il sonno della crescita lo echeggiare
dei rumori / dei semplici rincalzi di cadenza o rimbalzo / dona senso un
portato indefinito dei luoghi / oppressi dalle nevi di domani / la solitaria cosa
indecifrata ora appartiene mancando
53
ma consola la esistenza inudita certo di terre della magia solo una intuizione
ma aveva il sapore della notte prima la sua vasta luce velata per troppo
fulgore della tenebra / mosse lesive della eternità breve del mondo / de i vivi
o dello inconcepibile nulla / solo morte guarirà dalla vita carezzando le
antiche vesti / dei libri o il sentore di un approdo ora tanto vicino da /
indurre concreti dubbi sull'arte del contatto / letture labili si fanno un
susurrato flebile cammino / nell'antro verecondo della discrezione // e in
differenti tempi albergano le nostre attese / i piani paralleli defalcati
scompongono le simmetrie / in debordanti traffici di differenze
forse le foreste non sono fuori forse il loro margine / sconfina nel periplo di
regioni animate da una / concordia dissonante senso di rilasciamento e
sbando / esse le foreste arretrando avvolgono / e dei boschi il profilo
costruisce variabile / un oltrelimine ove perdere sé finalemente
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memoria del tempo dei disordini
prologo per lei)
qualcosa vive se suona e risuona
una antica corrente o il loto sussultorio di un vulcano
di ombre e forse a mezzo passo scoprirai
quanto debole sia la memoria quanto larga vanifichi
il progetto infantile di un attimo
ancora presa da uno spasmo di lentezza
a stormi cangianti i gabbiani folti risalivano
i terreni del crepuscolo e si crepava il ghiaccio
sotto i tuoi passi infantili
le dita intrecciate il residuo dilagare del mese tuo di nascita
gli arbusti contro gli abiti
un resto
d'animale polveroso e tumefatto
i cani smaniosi nel freddo del ritorno
si fa candido poi il tessuto del cielo intrasparente e prossimo
trasvolano i corvi alla altra riva
ove tengono dimora i loro corpi scuri
lo scricciolo non fugge
all'ardore dello sguardo indagatore
il tuo padre perduto quando ancora sapevi
della aspra difesa di una terra profumata e scoscesa
un tratteggio di odore
e la brama delle palme per il vento
e tutto accaduto troppo presto troppo presto
evocato troppo presto concretato l'azzurro e la sabbiosa luna
e i fiori gialli bagnati di rugiada
momentanee flessioni
giunte ai balconi della solitudine nutrite di un latte conservato
in recipienti di strano nonricordo
la fascia tra i capelli le mani sulle foglie il profumo viluppante dalla rua di
sotto
rituali separati sciolti da
attenzioni circoscritte ai germogli
ai ferrosi arbusti cocciuti alle brevi potature senza nostalgie
tuoi breviari compitati di calligrafie appuntite
conoscenza di un mondo tuo distrutto
rapido corso dalla corruzione tuttavia tu intatta lo coltivi
altri avrebbe riparato nel compianto
hai preferito una silloge muta
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hai regolato a una meta la deriva
eternandoti in tanta estraneità
come allora ripassi sulle labbra il polpastrello
nel pigolio languente delle agavi
la carta da memorie sminuzzata messa via
la pietra liscia sulla quale sedevi il peso dell'infanzia
tortuoso tra le pieghe e un aroma di madre tra i vestiti
dove sfioriscono le spume silenziose
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lettera dall’esilio)
dormirei oggi nella tua indocile vita requieta amerei della sera la linea di
sconfinamento tra il chiaro e la tenebra lontania marginale casi nel fogliame
forse non è così difficile morire del vento se desideroso giace il corpo nella
polla capovolta del suo seno torna intanto la sottile pioggia il solletico
erosivo nel fossato
è così bello l'autunno qui dove ti scrivo regione precaria provvisoria
e così docile il cielo benché freddo
le modificazioni sociali e politiche mi hanno superato
(diviene tra l'altro quasi pericolosamente prevedibile questa civiltà un
disordine di guerre maggiori il dato di una detronizzazione un lato
sospensivo dei voli e dell'aria l'arrivo mai completo altre occupazioni riti di
sangue intenzioni falsamente quete)
c'è un punto in cui l'età è stanca e ridicolo per chi la possiede o la subisce
provare a seguirla
il respiro non si confà abituato a una altra atmosfera più o meno pesante
ci si parcheggia in aree le si spera poco affollate e si rimane nel disincanto
ma
sorge una perplessità
perché ti ho amato e perché tra noi
nonostante scaramucce prevedibili quindi naturali non c'è mai dico mai
stato altro
tu sì hai subìto me come io ho subìto me stesso
non so se saprò sistemare la mia anima nella quiete di un sereno sapere
un tempo mi dicevo
l'amore
ma l'amore non è sufficiente e non so cosa accada
sento l'alito in caduta delle foglie lo ascolto
si diventa selettivi verso l'alto o verso il basso
la sordità spesso un pretesto con cui mascherare o nascondere la stanchezza
dell'attenzione il rifiuto di una discussione
ignoro cosa mi abbia indotto a scriverti se nostalgia legittima o il bisogno
sorto improvviso di respirare con te
come stai cosa fai
siedi anche tu nel centro del giorno alla piccola ombra di un platano
ascolto chiacchiere sul clima il bollettino delle temperature oggi fa meno
freddo altri discutono pacatamente di nuove case tirate su alla svelta
in una nicchia geometrica di cemento
pensiamo a noi stessi come presenze fisiche solo quando si subisce una
malattia
allora solo diventiamo concreti e ci accorgiamo di avere voluto assimilare la
nostra esistenza a quella degli altri
tu sai quanto sia parco nel vestire un po' tirchio in tutto l'essere
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me lo hai segnalato
non evito più di osservare il mio volto allo specchio
però la mattina
esitante rimango davanti alla macchia chiara senza decidermi
non esente da decisioni la vecchiaia può essere però più riflessiva
domanderai come possa parlare di vecchiaia alla mia età
non il tempo piuttosto le cose mi inducono ad essa
non mi sembra di avere agito poi il computo delle azioni sulle dita i nei sulla
pelle le sensazioni di prevedibilità di stanchezza anche piacevole o di volontà
di ritirarmi a osservare
sei sempre stato così hai preferito osservare immagino replichi tu
prepariamoci alle future non lontane notti invernali quando il battito d'ala e
le febbri improvvise sono il segno pesante del passato
le voci in fondo non disturbano
gli scherzi dei giovani sempre
fortunatamente fuori misura
l'equilibrio è noioso lo dico perché probabilmente non sono mai riuscito a
comporre un'immagine di me esente da incertezza o da instabilità
la sensazione di mancare del corpo di avere sciupato porzioni di essere di
averlo allevato in maniera friabile deperibile deperita
mai ho compiuto gesti radicali neppure l'ultimo creduto tale
penso alla predisposizione mia al gioco come hai detto ad amare situazioni
più degli esseri
amare la disciplina amata perché meno ferisce e richiede un impegno relativo
in fondo in fatto di rapporti con le cose
scrittura il cui rilievo si percepisce se la luce incide l'altra facciata bianca del
foglio
come sfumature leggere di sonno
(probabilmente ci si innamora lentamente e per stazioni d'ozio
sotto il peso della età e inconcludente il primo dato
supplisce sottopelle il secondo si infetta di culture
sarà a valere un altro impiastro corolla di future letture
attendo in silenzio tue notizie rami di gelso sui fossi
le api nere il gusto delle more
il biancospino tardo in fretta svanirà
nel dolceamaro aroma delle nevi)
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sequenza)
cosa resta della notte e la mattina quale buio ti conduca la falce calante della
luna il breve viale di tuie col cancello l'impero piccolo dei sepolcri vuoti
quale gesto resta se resta il tuo potere scaramantico su me
difficile sapere se fosse desiderio o un complesso più ampio nell'averti
accanto
avvolta irraggiungibile lontana
dove devo pensarti adesso domanda non a margine quando bene è sostare
solitari nella infanzia felice di un segreto il tuo tutto ridotto a una valigia
elegia l'asfalto nero nell'a lato il metallo scipito ai tuoi estremi
siamo così pesantemente leggeri pesantemente così gravidi di notti
talvolta annunciato da un sordo vibrato visita l'errore di un piccione
follemente imprigionato dalla stanza
irrequieto esso collabora alla
ricognizione degli oggetti tutti rimasti nelle pose occupative
canestri di
plastica raccoglitori recipienti vari
il ricarico di profumo si stempra nell'abito nocivo di una sigaretta
esiti ancora esiti e esiterai
nella prigione attuata posto di fortuna
sito corte della alienazione da un ufficio mondano di lezione
intorno alla cocciuta materia di rifiutate attività
trovata la fuga il piccione se ne va nella canicola
la nostalgia a pretesto nasconde un punto cavilloso di inadeguatezza anche
al riposo e a circostanze effimere di sistemazioni
sentore d'autunno nel magico protervo agosto immoderato
dal suo muschio selvaggio sortiscono le coltri sui campi maturati
[quanto alla forma per troppo aspirata inseguita
sfocia in naturali
propensioni agli squilibri
si rilascia sempre influssa da un respiro
voluttuoso ( città
città
città
saputa cercata forse nella magia inutile di un latifondo incredulo di proprietà)
nell'involucro aperto le cose regnano la dominante offre senso al complesso
questo il chiarimento sulla forma attinta dal voluminoso disperante includersi
di voci
nello spazio inabile del vano di un uscio sull'abisso]
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il cortile si riduce al ripetuto intrudimento della condizione quasi postuma del
silenzio
qualcuno se n'è andato in sordina complicando l'assetto del passo in un
felpato movimento immisurato
griglie raccolte storpiano la strana
rimanenza del pomeriggio
e un torpore diffuso nelle asimmetrie
(fammi ritrovare la casa fammi ritrovare gli usati strani silenzi tra noi
discreti no ma conosciuti i loro toni fradici di anni levigati
nei soliti illimpidi pertugi tra i muri
fammi ritrovare la piccola prigione di preghiere offerte a pagine sempre
visitate
l'alone della mano sulla sovraccoperta chiara segna l'atto ripetuto
dell'omaggio)
(nell'anno millenovecento e ottanta il mese dell'agosto ulceroso e torrido alle
ore dieci e venticinque del mattino del giorno suo secondo
tutto si è fermato per un attimo nel vibrato mostruoso della esplosione
giunse e non giunse notizia incredula a sé
e il barbaglio agostano sembrò un insulto al lutto rinnovato
la sera cenammo ci ubriacammo fumammo la giovane spagnola si
addormentò sul proprio volto greve sopra il tavolo come morta all'improvviso
a noi
dei morti uno rimase senza nome)
ora la cosa ancora benché laicamente scancellata un poco da stranite
turbolenze di risacca giace ANCORA nella modalità di una voragine e
della lapide nella sala di attesa
dove un giorno IO FUI FERMATO alla maniera di un ricercato poi
blandamente rilasciato col pretesto di un errore
vorrei tornare nella stanza alla finestra sul cortile interno
al setacciante rumore di carrucola all'udito concentrato sopra i gesti dello
stenditore
al pervicace sole di una tarda estate
vorrei e voglio tornare e tornare io voglio dove
ho perduto il sonno e la sua riva)
l'orologio fermo concorre a soverchiare il crudo fraseggio originario di
macerie
e il resto LA NASCITA DI UN DOPO
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la nascita DEL dopo e L'ALTRO RESTO (riportammo dentro tutto quanto
riponemmo stoviglie e suppellettili più tardi vomitai dimenticando l'evento
nel malessere del corpo (quegli altri li hanno suicidati - un buon modo per
allertare la pubblica opinione se mai esista opinione se mai sia pubblica e
sappia opinionare
ora si parla di delirio storico
(storia o non storia)
MA
non credo al minimale chicchiericcio pattume inscenato per vent'anni
sull'esperimento
verbali archiviazioni custodie cautelari carcere preventivo
libertà vigilate leggi speciali non luogo a procedere trasferimenti d'ufficio
stralci soffiate insabbiamenti
riordina pure la serie se vuoi non credo modifichi il totale
di un oggi diversamente ruvido di ieri e stranamente lucido e lordato
poiché le nostre strade si dividono senza divergere e io perdo la mia
trascinandola nei fossi (lasciami dunque tornare al raro balcone dove lo
stenditore sta alla obiettiva afa
lasciami tornare un poco ritornare ai dove di un giorno al futuro )
m'insonno con l'ombra il pomeriggio scialbo
rannicchiato in una lingua ora ferita lacerata abbandonata nella sua comba
incerta
provo tento una zona di ricostruzione invero di cosa non so
la mia etica fragile il fragile disegno di un comune destino
in questa terra noi non esistiamo noi non abbiamo identità
(alle ore dieci e venticinque il tempo
il tempo si è fermato il tempo in assoluto
si è fermato
io ti cuoricino t.v.b. troia testa di cazzo mafioso ebreo di merda negro
schifoso
chatta con me non global rappista
graffiti a memoria di niente)
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(il rinnovarsi del caldo l'esplosione molto cauta degli esseri la flocculazione
delle membra loro in casi simili tutto va rimosso
benché concesso nella forma dell'omaggio imprecazioni agli obblighi di
spiegazioni
il mondo come appare induce a sospendere ogni fiducia nella possibilità
diciamo pure nel libero arbitrio e l'ananche nervosa nevrotica
patologicamente torbida
sublima l'aspetto mediocremente basso del potere - più o meno diffuso impossibile una arte della guerra
inattivabile una arte del comportamento
inattuabile una arte della arte
dove domina ananche domina sovrana l'attenuazione di ogni sfumatura
il cieco caso perso nel purpureo rilasciamento degli dei)
torno dunque al tuo naturale intuito politico perché adesso non piove da un
po' e io sono sfinito dalle false altrui nostalgie dai falsi moti di rinnovamento
si vorrebbe a ragione così un orologio funzionante di nuovo
(città città città assediata annichilita arida di scorrimenti e svincoli)
un orologio rispondente alle esigenze di una stazione ove il traffico
amalgamato
dei destini può e può talora talora può ma raramente una due tre volte in un
secolo
subire la alterazione secca di un desciramento
ma se si contano i giorni se si favorisce il lato esperienziale delle
percentuali è
è irrisorio fermare mantenere ostinarsi a mantenere fermo l'orologio
sulle ore dieci e venticinque
di un giorno impopolare retrivo di agosto
quando le erbe impallidiscono e la mia malinconia si nutre dei deserti
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il tuo agosto autunnale spirava ricorsivo alle pendici
del monte velato svelato svuotato di materia dalla alchimia pervicace delle
piogge scure
la penombra si affondava tra limiti indecisi delle geografie
nel sogno del leone e del fogliame
quella estate non so dire come accadde ci sfinimmo di notti non dormite mai
se non su cumuli di tempo arrugginito
ci abbigliammo di vento in una sera
sotto un manto tardivo di paesaggio
i principii del freddo non ci videro assieme separati da un amore
ma aveva il sapore di una guerra
brunita sensuale i capelli pettinati come il corpo
nella poca notturna intensità delle candele
ora tu ascendi alla tua alta casa ridotta a una virtù tumultuosa
ancora il tocco mai saziato cerca te nel vuoto dell'adesso inalterato
di sotto domestiche faccende di fuori una afa moderata
tento a lato in tua assenza di riviverti
forse l'ultimo estremo coraggio
di un ripristino di tempo già concluso
domandavo se il potere tra noi sia riflesso o lo specchio di un potere più
ampio
se sapremmo noi essere migliori o viviamo condizioni inalienabili
una carezza non greve di profumo invade le tue labbra quando dici la nostra
fratellanza
riscontri nelle stanze del poco necessario e un pallore adolescente invoca
dall'alto il basso relativo delle ombre
vacue il loro non ritorno
vorrei poterti offrire una altra versione della favola più umana e possibile
questa
ove il cantore credendosi vivo confonde sé nel domandare ancora
quando tutte le domande sono vane
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chiusa)
una caduta rapida un rapido decadimento della notte pura impura
ostentata e occlusa esposto alla finita finitima natura
a contraffazioni e suoni fatui di metalli leggieri su superfici di suadente afasia
tardi mi apro alla chiostra dell'arsura incidersi pauroso degli esseri negli
esseri
indosso gli stivali di mio padre sua semplice nuda eredità
cerco nei sentieri non segnati una nicchia inquieta alla mia età
la mia stirpe di senza dimora redatta forse su cartigli stuprati
una anonima stirpe dall'ovest
devo dunque affrettarmi dunque devo rallentare
controllare la certezza dei passi fermentando prudente nella svolta
né so dove io debba risalire per chiamare in silenzio chi è partito
il suo volto mutato e inconoscibile la nuova lingua e il suo campo alieno
l'uragano di ieri ha prostrato una siepe abbattuto due pioppi e un albicocco
fatto volare lontano le sedie
qui dove volteggiano oggi le rondini
ieri la aria si tagliava nei cavi e violenta a sé si contraeva dove la calura
oggi beve il corso delle acque
trasporto la mia ricognizione nelle forme di imperfette utopie cercando paesi
mai stati
lo specchio frantumato sul ciglio della strada rimanda frantumata la mia
imagine
sprofondano i cammini tra campi tracimanti allora è una stazione di invasione
protezione un rudimento di cose come sono
oltre la quercia sale il verde pioppo
e qualcuno canuto risiede in una fase di ombrosa eternità
io non ho casa le mani devastate il verso derisore di una pica
eccitati i cani si zittiscono nello sbrecciato spietrato anfiteatro
un timbro alato confuso di libellule
tu schierata nel raccoglimento davanti alle lapidi stinte
serie di nomi di date di fotografie
a cui ti aggrappi ostinata nel cuore
nei momenti prosciolti dal presente
quando tieni e trattieni le cose scrivendo col dito sulla pelle
il coraggio dei folli se provano
l'ala di farfalle tramortite
contro il vento nodoso degli autunni
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tu sei oramai uscito dalla comunità
per statuto soprattutto
non per età
oramai l'ambito del silenzio si reggimenta sul tono di una conversazione
privata
definita inesorabile attività di comprensione
i cui esiti mancano come pare ovvio di evidenza e certezza
non hai comunità tu la rifiuti non rinnegandone possibili vantaggi
dunque ti ritiri ti ritrai ti non
concedi neppure a una richiesta cortesemente posta
non sai più nulla più nulla vuoi di quei dettati un tempo già sicuri
nei giorni di estrema limpidezza immaginavi la provenienza dai molto lontani
di una campana dai molto lontani (ascolta ascolta)
da tempo da tempo non udivo la terra sospirare
e il suo silenzio mi rendeva dubitoso
(fossimo davvero lasciati esposti agli eventi al caso de i rapporti
dimmi lavano ancora i panni con la cenere negli enormi bacili di legno
non sono vecchio né so se morte farebbe paura se avessi un luogo dove
sentirmi vivo / non so se gli anni si equivalgano se gioie e disgrazie
possiedano note atemporali tutto quanto accade non si apprende poiché
accade e dopo se ne va)
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l'isola
isole
isole perdutamente approdate al porto del disincanto
(come avresti desiderato reggerne
le sorti quali canoni di convivenza avresti dettato alla pelle tesa dei volti
loro tra le corti e gli anfratti quali misure di avvicinamento se mai si possa
aspirare
a convenzioni di sopravvivenza
l'equità dei giorni sta nei rancori antichi nelle remore sui moduli della
sfiducia
e tu chiedi altro
doni di corrispondenza
i cani nelle notti afone riposano sui marmi degli ingressi nessuno rimprovera
a te
la speranza redipinta nel deserto attorno
la infinita speranza degli sfondi mentali
da una era troppo forse evidente e placati dalla calura gli uccelli delirano in
tono modesto mentre si apre la quinta della evocazione (non sai se la
salvezza appartenga alle mete fissate nel breviario delle
intenzioni seguito con rigore quotidiano
la poni nel paniere dei tuoi passi tra gli echi storditi di parole sprecate
hai ora superato il superato la acedia mascherata da disperazione
il tedio fornito di pretesti e te conduci senza altre obiezioni all'esito
disciplinato dagli assunti ))
66
non volevo lasciarmi andare alla dolcezza di un cucchiaio battente sopra un
piatto
inconcludente o intruso nella notte deficitaria il suo fiato più in là sopra i
campi
pesàntissimamente (
gli echi ma dove si sono spenti
accadono pochi barlumi di ironia di sotto una facciata
sfregiata dal tarlo felice del clima vaiolate vicole
sezionate in silenzio in ombra e sole
una voce di donna indistinta indistinguibile modulata severa
rammenta precauzioni discipline minime del sé poi non seguite
e nelle mani rimane l'odore del pane invecchiato tenace duro perdura
fino alla discesa oltre il vano basso aperto alla cantina l'abito smesso sulla
cassa
è straccio non ancora ma verrà strofinato sulla polvere spessa sugli opachi
legni
oltre ha subìto spostamento il languido lamento
di femmine in calore
i veli sono stati raccolti depositati ne i cassetti
ermeticamente deflorati dallo scopo del tacitamento
poi si appiccheranno i fuochi e dalle ceneri si saprà la cultura dell'aria
si assiste a una aurora ignorata
già stata alle pendici caduche
di un già vecchio cielo)
come posso scostare dalle mie fantasie riemergenti le curve della strada verso
l'isola il suo stellato fumoso nella piazza intocca
dalle ruspe di ristrutturazioni
è il riuso come sovente mi induco
a fascinare il mio umore ora felice de i volti allineati nelle teche
dietro a le spalle degli argini
il fiume da se stesso si trascina poi si imbalba dentro a vortici sinuosi
l'isola si avvolge nel corpo dei terreni addossati al suo dorso come cuccioli
protesi nelle fami (forse ancora ho da capire come si possa arrivare poi
aderire poi scolpire
del sito l'impresa sulla carne e dormirò sonnecchierò nel mio nido di ulva
pietrisco e schienale tra fiori piatti bicchieri conchiglie e coccinelle)
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con insistenza quasi feroce il paese pioverà fino a domani
i lupi sono fuggiti cercando tane sicure dentro a boschi
un po' meno maniacamente minacciati e gli animali altri
hanno intonato il balbettio asfissiato delle vittime
ne i punti degli effimeri sacrifici il sangue è condotto via
da una acqua connivente con lo stupro incolpevole però
della natura intrinseca di cosa sottesa alla caduta
i terreni risvegliati si smembrano
zolle madri schiave madri
slave madri bambine
di là dagli ocelli aperti
alla regione la regione indifferente verrà modificata
dalle partizioni nelle direttrici
e il suo protendersi offrirà la qualità dubitosa della aria
travi sostengono tetti rinnovati da mastri senza identità
o un nome solo nel segreto del cemento
(dimmi quale quale paese vorresti costruire quali ombre vorresti abilitare
a destino delle mosse designate da un programma generato nell'esilio
richiesto e
adesso ritornato hai liberato le sale da i fantasmi orrendi del debito
non tuo ma del tuo sesso un sentore quasi di camelia o di mano callosa
di nere venature le lunule affondate nella pelle resistente
l'improprio candore de i busti sempre occlusi nelle maglie grezze
la propensione all'adipe nei fianchi a sostegno dei freddi
e degli umori a rinforzo di fatiche accumulate
le costruzioni se debole il crepuscolo recita gli incendi manifestano carnosità
color dell'onice e si attutiscono nel gravido luogo della sera e della notte e
del domani ancora
dormi dormi piccolino succhia il seno colore della luna
forse i ritratti nelle tappezzerie del buio
forse
i ritratti
e le fotografie si muovono
forse la vista del fuori attutita dai terrosi
pavimenti
forse le genealogie ove incrociano le tempre dei caratteri
tovaglie maculate a metà ributtate sopra i tavoli il piatto nettato e le stoviglie
a omaggio stanno garanti di ritorni mai provati
cosa siano i susurri se profondi i sonni premono
sulle membra dei respiri
ora piove ora pioverà ora pioveva e dalle gronde formicolava
il grado discendente delle acque
i cani innervositi trascinano se stessi sotto gli archi
il profumo del fuoco addormenta gli oggetti nel giorno secondo nel giorno
dell'inizio (il mese come sai comincia il dieci)
fosco con qualche riga di sole come paglia
68
tra le sbiavide polveri d'estate o un impossibile refolo la scambi
per un prezioso serico metallo e la rapisca breve nel suo giro (occorre
approfittare di simili momenti per accudire gli orti dopo le potature per
ammansire bestie risvegliate
le cove i nuovi nati i territori conquistati i metalli lucidati poggiati agli
schienali
le volontà aggressive fermate dentro i pugni le urla di terrore soffocate
solo gli anni felici non recitano
gli infelici riscontrano incagli minimi di una depressione
il disturbo di un troppo di fanghiglia o malattie degli alberi inattese
allora chiedono consolazione a i canti
e i canti inscenano l'origine dei pianti
69
le ombre bianche le bianche apparizioni delle mure
le loro bianche concrete apparenze
le merlature oltre i canneti e il fosso ove specchia parzialmente il proprio
volto
la piazza sopra all'acqua a recinzione
foschie confuse le vie di congiunzione
ogni atto un pretesto per cercare l'originario quando il dove mai
si è dato
di vecchie vite un ritrovo
e
resistenti
al rude insulto di una civiltà
sapevo il punto focale della oscurità
ventagli di chiarore contro essa
la condotta al varco seducente
ma l'oltre conosciuto memoria de i ritorni
coinvolto dalla sosta e refrattario
era lì sufficiente nella remora
nel fresco sentore a testimone
di una terra materna e le sue tracce
guardavo presente verso il punto imprescindibile e vago del passato
non so cosa fosse però so cosa fu
mentre fermi davanti ai bar fermenti stavano di vita attuale
contro il taglio delle cose nel profilo delle notti
e tutto il nostro lenire il dolore
e l'inverno era e l'ombra sull'acciottolato i cani muti
esasperati e muti
guardavo me stesso e la mia ombra
strane razze monumentali e vacillanti
la torre conosciuta la pianta stellare contro gli astri
né più confidavo in cortesie di allora
piuttosto la attiva fascinosa malia dei canneti
sbilenche attrezzature i ripostigli ciechi
i dissodati piani di coltivazione
il sedile di marmo scarezzato
anche gridi senza armonia
come allora allora come è da sempre
di sotto un lume senza intelligenza
più tardi gli spioventi calmano il senso intriso di stanchezza e le tue notti
non tue
70
il tuo cimento solo con te un po' stordito e alto
placherai conseguenze negazioni ritiri obbligazioni
doni di un tempo isole affioranti carezzate
dalle lingue oleose de i fiumi
sensuali e gli erti torrioni indifendibili
madreterra intutelabile se mai dalle colture di malte e mota
dai bruni coppi degli autunni tardi
languente concava e generosa sempre alle mandrie intenerite dell'inverno
suave
(così passeggiando fuori dalle vuote stanze fiorite di decadimenti e gli
stemmi spettrali
il primo gemito degli ippocastani
il tono a prova solenne di quanto sarà senza il peso discorsivo
della vita riflessa sui solchi verniciati
dalle liquide materie del ristagno)
pare un cielo nuovo dove le cose non si sognano più
né si desiderano ma sono
71
nell'influsso dei limbi di nuovo ove muovono incrociando
le masse varianti di foschie pigramente si allargavano le spiagge
membra semplici e nude e le dolci parole
nella accoglienza indecifrabile dell'acqua
il tramontante incolore lascia il principio dei tepori
nel fulvo schema delle boscaglie invitando il pensieroso
al primo oscuramento della sera
e quanto alberga nel vano dei cordogli
tutto sparendo nello scaturire
72
il gorgo
(come di piogge parlano le foglie e dell'arrivo
come si aprano ai lontani siti i viottoli nebbiosi
sassosi tra le case e gli ossi tra le ghiaie salvatiche domestiche nature
la effettiva ora ora radente irradiante completa occupata opacità della aria
lande tropicali
appezzamenti magri e case magre
fischi degli uccelli ammorbiditi dalle casse risonanti de i pioppeti
inarcandosi le terre olteconducono alla tinta letargica loro)
fogli sparsi da una rima di luna le suscettibili rocce
miscelano sé alle brevi contrade
qui
nel regno di una oscura volontà il cielo si è abbassato ulteriormente
e vive di mediana opacità
i resti sono qui avanzi di quasi cibo o bolo risputato
per uno schifo improvviso alla idea la sola di resistere a oltranza
senza motivo
adeguato
ora toccherà cercare di dirimere questioni totali
questioni
sfuggite come tra due pareti sbieche la prospettiva in sguincio
inquadri il corpo della antica costruzione
erano dalla altra parte gli aggettivi inutili a prosperare una delimitazione
dell'innalzamento de i terreni a quote sovrastanti di foreste
soffuse del delirio calmo delle animose nere foglie
e de i mondi
di là ne i fanghi
fino alla discesa ove rivoli induriti sorbivano
la peculiare anestesia delle erbe e allora il tremito
controllato di un abbandono e l'orina umana e le placche
oscure di cose rimaste lì
o la pressione adunca della nuvolazione
subentrano gesti di prostrazione rispondono ascese stuporose
nervature vegetali nel principio della diffusione
ecco quanto era del pellegrinaggio
alla stazione di gorgo la casa colore rosso sangue
il rigore della via dall'est all'ovest e nel crocicchio la piazzetta di cemento
tale la visita a creature sopite già nei tumuli freschi ancora
della obesa permanenza dell'autunno
73
SIAMO ADESSO alle falde di una primavera
al suo igienico tono devastatore
il pellegrinaggio non aveva santuario o sito o albero
a cui votare una corona di recite in un tono adescato dal rigoglio del sudore
dentro al corpo
le nere scarpe segnate dalla semplice alonatura di fango
e la graniglia e gli orti in riva a i cigli
e l'acquaforte dei muri delle corti
(recenti inasprimenti burocratici hanno reso illegittime protezioni
eccessive
testa pelata testa pelata poi recitava all'impiedi
la posa rattenuta ed ingrugnata
in un sospiro emetico)
o nella piazza colma di miraggi
il monastero risorge dalle isole fisse della stazione improsperosa
là il regime è dettato dai soffi caldi dei morti
la regione appartiene alla giurisdizione
loro e è del domani
approdano colà invisibili i tentacoli di una antica
creatura
curiosa e separatrice
esplorando i contesi luoghi
nella ignoranza totale dei rialti e le murate e i posti
posti a guardia di dogane
poi riaffiora la antica paura dell'affondamento
nelle scure particole di un vuoto vorticoso e silente
e male funzionanti procedure tutelano indirizzi spezzati
(per me quella era la terra dei morti e cominciava
senza designarsi o annuncio un senso di quiete di
grande dominanza sulle cose tutte in movimento e ferme
e quando penetravo nei suoi corpi comprendevo quanto
non le appartenessi ed essi fossero invisibili a me e lontani
gentilmente lontani e rimossi
i cani guaiolavano al fulvo sospetto dell'aria
gli assiti accoglievano una fatica senza calcolo
74
là non accade non accadde nulla nulla accadrà
e nelle fasi di grande respiro lo spessore vellicante dell'onda
giunge fino al punto pattuito delle querce
un alito alto madido freddo trascina i nativi nel suo fondo
gravoso spostamento alto quieto
là dove i fuggiaschi pareva avessero trovato riparo
si scioglieva il tumido rancore dei boschi in un rito letargico di assopimento
in sé)
75
(si accorse della fine dei fiumi di un deflorato destino di arcipelaghi
quando comprese l'impossibile arrivo varcò se stesso smarrendosi a
sé
in un medesimo di folle degli abissi)
76
ATLANTE MARINO
77
è chiaro, neanche l'ignoranza significa felicità...
ma un poema è un dono!
vladimìr holan)
non ha sede forse quanto non si sa e si risiede dove tutto è noto
78
prologo
come il vento sereno delle nostre vite
febbraio tocca i punti sensibili della indolenza
imagini tornano la loro ricorrenza lieve
greve
nel breve stanco salmodiare della voce
(ti racconterei il giorno se solo avessi vissuto nel pianterreno liquido del
muschio viscido di corti state
a osservare l'impiastro ruvido
del buio e declina il suo piano nella sera
dell'alba nella confusa obiezione a reiterare un
ostacolo fermo senza volere o altro
rivola morbido sulle proprie carni ancora un destino di domani
e paiono le cose delicate una passione alla fuga coltivare
79
tomàs legge a sibylle la non datata lettera dai solstizi inviatagli da dolfìn
il profumo della pioggia entra nel disusato
ambiente sospeso nella condizione della visita
l'uscio chiuso il copriletto segnato dalle pieghe altri oggetti distanziati da una
dilazione breve del tatto o da un già avvenuto contatto
rimane fuori il
sabbioso contrasto del fogliame nella clessidra del clima il ciarpame
di corpi dissidenti e fiacchi
sono molto stanco e l'insieme tutto è così teneramente imbevuto
del silenzio consuntivo del silenzio e i pioppetti altalenano nel cuore della
piccola regione limitata alla strada al viale alle siepi di recinzione
forse il nome delle cose in fase di tanta limpidazione
non è necessario
si riscontra esclusivamente il bisogno di osservarne
volumi toni distribuzione di sfondi
leggimi ti prego nelle anomalie nel poco fiato nella stupidità
e
leggimi in una ambizione mietuta dopo finte generalità prodotte esigite
esumate
sciocchezze credimi
il copertone con lo sgranulamento della schianza di fanga e ghiaie
ha accompagnato il trasferimento alla calma selvatica delle acque molto
vicine allo smalto sicuro delle vegetazioni alla stanziale allucinante
residenza delle abitazioni abbandonate lungo stradelli levigati e inusi
il gioco delle ore impone un'opera di riorientamento la calma coinvolge
l'abitacolo rigenerandolo del soffocante articolo di un ozio senza scopo nel
ruminio delle cicale
dentro alla oscillazione elicoidale dei riflessi
scrivo dai luoghi dei presunti
non c'è terra dei morti non c'è terra
dei vivi
tutti siamo presunti in un esistere dentro a questo limite
poco alla volta forse riuscirò a comporre il testo della mia visione
per offrirla al tuo senso alla mia suscettibile allusione a qualcosa capace di
urtare lo scetticismo col quale mi proteggo
80
la pianura è leggera e le vegetazioni provano a compattarne a arginarne
la propensione al falso mare alla fertile sottigliezza degli strati
ma qui essa prende consistenza e dimensione e fuori è uno sguardo d'ottobre
a sondare nei cuori le vetrate mentre l'aria se ne porta i suoni pigra
le terre ruotano attorno al monastero abbandonato
stanziato in un centro della conca e perno
di una rotazione più ampia e immacolata
il mondo qui si chiude e trova fine
ma non si sa tollerare il finito questa la penuria vera dell'immoderato
essere affacciati sempre sull'illimite
tale pensiero mi raggiunge mi sopraggiunge e mi seduce con la lucida
prospettiva del segnato sulla carne
e non si muore mai nel più assoluto neppure degli oblii
così parla la terra dei presunti in uno sguardo largo verso i fermi monti
81
tomàs narra sibylle il movimento alla ricerca della terra dei presunti
qualcosa di denso di oscuro e fuggevole forse resiste nella sua scomparsa
il tono smarginato di una burla una grande messinscena la cerimonia
il lutto il resto a cui tornavo
discreta si avvolge la sua storia leggera al mio polpaccio
medusa volubile e fredda rimane una zona di apprensione di indistinta
agitazione
ancora la voce egli era qualcosa di oscuro fuggevole e denso
un volo nero nell'osceno fogliame
trapasso indistinto frusciare di enigma
non del suo come
bensì del suo se
talvolta il sospetto di un non luogo a procedere un difetto nel poco di
miserie senza nome
quasi avesse cercato cesura
tanto vuoto rasenta l'irrisorio il rischio di una falsa intrusione
nell'arte perfida della rievocazione
e se ancora egli fosse tra terre conosciute e lasciate
e l'altra trovata e già invecchiata
qualcosa di impreciso di
non corrispondente di
non convincente si parlò del sudario d'acqua della discesa assieme alla
corrente
di un viaggio senza nostalgia
tu stesso vai tentando un personaggio
sarebbe più opportuno negarlo alla presenza
(tutto è già stato sulle erbe stanche sui terreni persi
nelle ombreggiature quasi una mano avesse posato casuali distanze
componendo sbilenchi pigri intervalli eccessivi nel non memorare
e volessi condurmi a una ragione dove il
corpo sappia finalmente invecchiare tollerando il passaggio
nella vita qualcosa
di opaco volubile taglia
la densità grumosa delle ore una regione tesa
nei respiri domando quanto valga quanto da una cronaca
non condivisa se mai rimanga priva di materia
poi taccia nel mai fattosi silenzio)
82
la messe dei ricordi non organizzati si mescola alle distorsioni ai vuoti ove si
tenta per cenni uno riempimento per cenni lo scotoma scarno di un tragitto tra
la mano e la cosa tra l'occhio e il dettaglio
l'archivio e il maniacale sforzo di ricostruzione
sempre si è prima
sempre
si è
(piccole biografie parallele strascichi piccoli di vergogna
su piccoli non sempre detti fallimenti
(abbiamo parlato però è stato d'altro frasi posate tra noi tra i bicchieri e
cibi ripescati dalle magre dispense della stagione calda
ipotesi
notturnamente
coltivata dal voluttuoso serpentare del fumo
domani un sogno l'ora
un sogno sradicato dai profilanti poteri
dell'alba le sanguinanti erbe gli alberi stregati
la mezza luce di sotto a regalare intimità parziale in una connivenza di saluto)
degna è solo la scomparsa detto nella latrina
tra scritte alte
offerte di misura appuntamento e data
l'odore intenso pesante seducente dei depositi umani
a cui violentemente si risponde col silenzio delicato
dopo un passivo di occhi presto chiusi nel sapore di un lascito di vento
fuori dalla latrina le barbare resistenze degli oggetti
creavano mappe plausibili di vite corte corse il sudore sulle braccia
una sfiancante esautorata vanità
sempre in ritardo benché minimamente
come l'ombra in una ora prolungata e mai trascorsa
del mattino resiste la pressione del sonno sopra
il membro la turgida pressione del membro contro
il letto approntato alla imberbe ebbrezza dell'appuntamento
così ci si mette in cammino uscendo dai chiostri di una storia
scegliendo profilassi di prammatica la ulcerazione del qui
sul documento offerto alle frontiere
83
(conservi il freddo nelle dita non protette
l'angustia di un abbraccio il tatto ipocrita di un palmo stretto male
la abitudine non lenta a la trascuratezza
cose tutte di un altro periodo
fissazioni sulle coltri di un giaciglio sospetto ove qualcuno
è rimasto a poltrire altre agonie fino al diffondersi di
una aliena sensazione germogliata poi vizzita
roselline impigrite in un velluto quasi
ora non so questo modo in questa causa come recitare
la preghiera dei perduti del mio perduto durante del mio istante catturabile
qui nella voce spenta sempre più sempre più senza dono
ma giorni giunsero a gruppi sottesi a spurie eternità
essi erano il soffio di alisei minori confuse identità di fratellanza
accadevano insieme epifanie rari eventi dilungati e larghi
cosa recasse la loro custodia
se i volti de i trasferiti
o un altro gioco di cerche saputo
la fertile penuria era l'indizio
di un indirizzo non voluto però così precisa esumazione degli oggetti
e già l'ombra dei cumuli
loro imprudenti
esposti a tutto inattivi facoltosi dispendiosi risolveva sé
prodiga nei cenni tumultuosa
in un provento incurante e vagabondo
filamenti di cordoglio sbiadivano incanutivano rilasciavano
e
si perdevano tappa dopo tappa tra procedure di riconoscimento
pratiche di corrispondenza delibere di analisi sui corpi
il tumefatto oggetto inanimato di sopra a i tavoli delle nomenclature
(ora il passo è meno sentito claudicante no ma renitente condotto tra
fenomeni parziali
tra neutre legazioni di comandi
qualcosa di oscuro fuggevole denso voluttuoso e cruento un feticcio
calpestato
secondo i canoni della macellazione
84
si perde
allora la sostanza dell'intento il nucleo stesso del
resoconto
e nulla più si sa del proprio scopo
una altra pelle una altra ora un altro
futile spasimo di carne
forse l'inchiesta un'esazione tu stesso una sezione del debito contratto
e mai riscosso
il tono indifferente udito a lato dimmi chi sei
se ancora sei fuggito se la mia vita dimentica di me s'è fatta vuota
pareva seduzione di una morte all'improvviso risultata falsa
per un sospetto mendico intervenuto in un ritorno al tumulo di lui
la fragile primizia del nodo di equinozio contro il disperso sfondo delle valli
grandi
(lascia perdere tale redazione l’ora è parziale ferita dalla convocazione
della notte dentro a un planetario di fortuna
sfidando mai mai confidando e amando il triplice sospiro della vita
nessuna età cancella o alleggerisce l'impianto dell'addio quando pure sia
parziale
un volto ritrovabile non più però quotidiano
non ci sono flautate infanzie non ci sono maturità sottili le piccole foglie del
pruno selvatico passivamente migrano nella morsa nervosa dell'aria
indolente se caracolla calda nell'afa nutricando un istante di distratta
armonia presto sparita
sveltamente tutto è stato bruciato il volatile ambio delle ceneri
ricaduto tra le rimanenze
non esistono testi postumi
85
sibylle canto della accoglienza
un singulto ha sfiorato le finestre notturne
stonate note di violini di carne
un animale protendersi nell'ombra
con la salute precaria degli schiavi
quando perduta la nostalgia comune
amano la fatica della indifferenza
le passioni spente del tempo altro
sono appese ai paralumi
l'oscurità
non è oscura e dipende dal relativo tutto il suo locale
assetto del mancante tormentoso adesso
la suadenza delle voci di ieri si incanta e siede
su avari divani di stagioni
questo è quanto si inoltra a modulare
il tramonto del mondo di ieri
verso il mondo sconosciuto dell'oggi
86
apparizione di dolfìn che colloquia con sibylle invitandola al viaggio
assieme a tomàs
quale amaro seducente però odore della nostalgia mi ha ricondotto
quale invito nodoso ha risospinto alle pallide glebe delle terre
basse senza aperture o cielo
quartieri incantati storditi malati
di inquieta tenerezza case di carne occhi di case madidi cespugli
membra di giardini e stenti nelle sedi degli autunni solenni
comprendo la tua pena appartieni a un tramezzo a una doppia natura
sei tornato alle fratte anzitempo visitate
reimpari ignorandoli gesti di impazienza percepisci
lati sensitivi del cammino a ritroso
il profumo delle luci ferroso
negli odori minerali dei binari
mi sono specchiato nelle cieche superfici di / gesti di violenza / parole di /
violenza / frasi di / divieto proposte ipocrite di / patteggiamento mi sono
specchiato nella / umiliazione nella prevaricazione nella /
sconfitta nell'attaccamento a un luogo
sconosciuto nelle scorrerie nel dolore
mi sono
specchiato nel fuggevole trasferimento nel tempo ne i
momenti
imprendibili
nella forza in seno al punto dello sfinimento tutto
un errore e un
errare tutto
le credute / aperture delle strade i / creduti marginali
cammini e le visioni dentro ai nidi dei / crepuscoli nelle fedi smaglianti
delle bianche / notti / errore dell'errare /
inseguire la forma
mutevole
i punti di / scardinamento le ferite / petrose de i sentieri sotto /
i calchi antichi della / mia / breve era creduta qualcosa
ora
il polso batte più lento il sangue scorre più lento
sono rispetto al prima dentro a una cecità non so cosa sia accaduto cosa
abbia agito né so come si trovino le membra in tale iperbole minore di
insensibilità completamente
completamente
esposto a ripetute offese
sparso sparso disperso perso il senso di
unità
senza arpeggi del tempo dentro già alla mia nostalgia
87
così vicina al tragitto
delle onde deboli sui ventri indifferenti delle sabbie
lo spessore macilento del sole la casa caduta le stanze vuotate dal tarlo della
fine di tutto dove il tutto è irrisorio potenziale
conducimi fra le foreste nane oltre le tende della tua prigionia
tu per le placate sabbie e i puri arbusti e i grovigli del raro sottobosco
alle soglie incerte di una età rassegnata
rammentavi nel volgerti la fine del canto indicibile il vuoto valore dei nomi
le voci dicevi non sanno recitarli applicarli all'arbitrio delle cose
occorre un'isola sfuggente itinerante inancorata una sistematica
dell'espatrio se si è nell'umano protendersi nell'altro inconcepibile
sempre
puntellare dunque le proprie sopportazioni costruire un confine non
spurio
di chiodi piantati di cunei con cui
si fanno le uccisioni degli alberi alla fine poiché cadono
distrutti
alla fine e quasi
per un sempre
a bordo della fine a bordo
88
interludio
alla fine non era una fine e la luna accompagnava un provvisorio
pianeta al suo accanto nell'acqueo ristagno di cielo riflesso prima
dall'invisibile mare inarrivabile il cerchio d'orizzonte sapeva il rosato
amaranto
del tramonto più avanti poi cupo sanguigno tetro quasi nero
le rocce hanno il colore delle ossa ritrovate
e le vegetazioni basse hanno appreso
quanto il vento scorticando addolcisca reclinandoli i profili
qualcosa d'orientale sopravviene nella disproporzione delle notti prime
una forma di conchiglia semiaperta e chiara l'ogiva discreta
di finestre l'odore del caravanserraglio e delle donne l'odore
della paglia i vipistrelli addormentati e oltre ove
gravido di sangue il regno dei passaggi avida il tempo
e il tempo scade a banderuola pazza
così la stagione continua a camminare il corso irrorato dai camion
della nettezza urbana e nel mercato l'aria scherza serpando tra i curiosi
non saranno i giorni a tutelare il ridacchiare matutino dei corvi
né sarà la brevità degli anni a riverire il senso mutilato della storia
(dunque il corpo consiglia un piccolo quotidiano ozio
un disarmante proseguire nelle vie libere e fatte di un candore di sole
quando lo spento entusiasmo si trasforma nell'elegia acuta della
compressione ed evocato solo un pudore invita a sostare nella dolce
reticenza di una nube
le strade insonnate dall'ora
amano tali solitudini
i
passi
passi
sulla ghiaia friabile e i rovi selvatico il rosmarino e i pini
abbacinante il mare s'infoltiva d'onde brune nervose di spume
gabbiani grandi incuranti interrogavano
le sabbie scure
e la terra
prima
sontuosa
sedeva placata in una maestà
irregolare
il collinare suo profilo proteggeva
profonda
una calma
la quieta vita dei quadri senza imagini
89
i tuoi
senza distinzione di voci / viaggio / quartieri dei martiri
dovrai munirti di un documento compilato da mani sicure affinché non
compaia casuale la morte dunque sia già epitaffio la vita
e
lascia perdere il calcolo degli astri
riordina i fili dello smarrimento tanto rapidamente mutato nell'intento
hai tracimato quasi nell'ascolto del dissidio brutale tra
le sere e i sensi tra le sere e le notti le lacerazioni tra gli esseri e gli esseri e le
cose e le cose e gli esseri voragini le crepe degli intonaci
altro sarà al tramonto del tuo assoluto saluto del tuo addio senza dolore
mescolato
all'impossibile remoto dello spazio
si è parlato di viaggio ma sapeva l'insensato
di una meta e sapeva piuttosto l'arido colore delle calme piatte
il sonno svanirà nell'orda dei sospiri la fronte poserà nel fresco turbamento di
una età conclusa la fatica di entrare nei traffici densi il commercio consueto
dei corpi totali e giochi inusuali la frizione di cose cavernose guance posate
contro sessi molli
desideri il colore purissimo dei bianchi occhi dei lupi il lucore fumoso dello
stordimento
il bulbo grasso di uno strano paese di ponti e travature e tralicci
addormentati
quanto ai cani scortano distanti la distesa
rovina del progresso echi di passi contro assiti vecchi fruscio di braci
fuochi sulle soglie così privatamente poste in riva ai fossi
i battelli sono tutti affondati gli impianti rivieraschi e i porti nati
dismisuratamente fuori
la santità è finita poiché domanda una quota di abominio
e l'abominio qui è impraticabile
mancando pratica del tempo e dello spazio
si vive in una inerzia di sostanza
in una assoluta inerzia di esistenza
90
la maceria grande
lo sguardo semplice sul semplice transennamento / di cemento dove si /
accumula il nerume / degli scarichi e le appesantite trappole degli / aracnidi e
crisalidi secche e
/ in basso giallochiari cespuglietti fracidi (qui non abbiamo nulla ponti
distrutti strade distrutte uomini distrutti e cose cose come / uomini uomini
come / pietre quartieri soggiacenti agli embarghi e ancora prostituzioni resesi
necessarie e / silenzi tra le poche rarissime voci
vie senza cigli allineate
male a casamenti agli indistinti fuori sotto / i campi ridotti a procedure
rapide di buio il buio l'infantile /
buio sotto ancora le costellazioni / appena nascenti dal dispiegamento del
dispositivo / dei fari le gru spossessano i territori delle già spossessate /
superfici gravandole dei carchi abnormi di / vaste unità di / costruzioni /
operazioni di occupazione spianamento radicamento
attinta l'acqua da bacili di latta donne lavano le grandi labbra penetrando con
le dita nelle cavità talune si denudano ridendo qualcuna sputa nei diverbi
sotto nuova luna altro si disbriga in una fretta burocratica il conto dei
guadagni delle notti spettacoli già visti pregressi reiterati poi piove sopra le
ridotte mensole sporgenti da rancidi muri tagliati dai protocolli del periodo
l'eterno tempo metodico e lo storno / ci si abitua a i glabri volti stranieri a gli
scuri volti stranieri
all'incrociarsi diatonico delle favelle / e tu fatata isola dei vivi hai preso a
sprofondare nelle brume livide della predazione
(in dieci giorni la barba cresce inesorabilmente
rossiccia e bianca
misura dello stesso evolversi del corpo
i capelli cadono eccessivamente esposti alla ventura degli elementi /
cielo solo di fumo passi rari dei deambulatori neppure a sfiorare le presenza
altrui (dominavo dall'alto la vastissima desolazione
affioranti abbondanti
sabbie torte in scialli e sentieri aduggianti inerti dopo nelle malte nelle
fanghe mote fino a dove cadevano le ripe (i crolli dei muri hanno offerto
alle vele dell'est nuove rotte alle nuove tribù nelle cerche di cerche disperate
nei distretti centrali cresce la lacerazione dunque le speranze timide di paci
durature frangono astratte onde su i litorali della antica durezza)
pesante la notte si appoggia alle grucce dei lampioni
curvandone le schiene indolenti fino alle aiuole circolari dentro il terriccio e
le schegge di cemento
molto ricorre e nulla pare nuovo nei deserti spianati dalle ruspe travature
ponteggi cumulati inerti camminamenti passerelle esseri inebetiti nel cratere
oltre il punto di raccolta dei piccoli ritratti in foto allineati sorde operatività
91
il
turistico protendersi degli obbiettivi non corrode l'eternante silenzio
l'emaciato oramai annoso silenziamento divorato dai corpi delle cose tutte e
sprigionato in una inchiesta muta alle pareti tutte ai franati ricoveri e alle
terebranti gallerie verso i contorni degli altri quartieri
l'allargamento spasmodico dello spazio convoca solo onde
travolgenti d'aria masse sul perduto trionfo della distruzione [dovremo forse
davvero liberarci dal tempo del tempo
liberarci dai grovigli dei sentori tu
eri e io dopo di te
probabilmente siamo nella fuga delle cose verso il ventoso indefinito il nulla
ma risospinti a riva cerchiamo qualcosa come i nomi de i piccoli sassi uno a
uno per ciascuno diverso e poi nel tentativo di archiviarli presto dimenticati
e messi via o tutto già terminato siamo sempre in un crepuscolo e sarà più
tardi il calore della brace rigogliosa a sfiorare il dubbio del dove ci si trovi
[ti hanno iniettato il bacillo del tempo da allora hai avuto
paura del tempo del tempo della sua malattia della paura errabonda nei musei
devastati depredati e di una unica notte artatamente colma dei gesti delle folle
hai ceduto da allora alle voci dell'altro domani ma cauto e cautamente mai
del tutto convinto dai martìri e dalle oscene canzoni]
eppure siamo passati passati sopra i sussultanti camminamenti di metallo
sopra i tralicci distesi sopra i fianchi sulle ulteriori voragini
io fui
laggiù sovra le volte gregge e le risultanti di alti crolli e delle cerimonie di
ripulitura io fui e fui come tutti passati (passati) paratie bigiotterie di un
umano operare (tali clinami e le statiche industriose del clima riconducono
alla stanza la perversa magia di una descrizione pieghette nei foglietti
iscurimenti sopra le pareti / rasentavi un tempo i bordi oltre cui sopiva
l'avidità del buio e avevano le scale proposizioni strette e luminosamente
tenebrose cariche del lievito di un gioco da dove poi sorgeva il mondo in
eccedenza / eppure là crescevano i contatti / frequenti / tra i corpi / creavano
diffidenze poiché nel glabro delle dita è il mostruoso la
rapace vorace
voluttà
cavi di acciaio petali di plastica
/ i visitatori si sparpagliano in un
formicolio bianco nero e bianco talemente si scompone un omaggio
narrativo [non farà più freddo
i cavalli dei geli hanno imparato un difficile ambio
ci abitueremo alla penuria e alla abbondanza
la intensità del pericolo
una ansia diffusa il terrore ramificato
implodono nelle comuni faccende nelle gestazioni delle vite
prospetticamente non potrete abbandonare la città
sotto un improvvido cupore del sud / il sole splende sulle alture smagliante
92
affatto ma dolorosamente sicuro del volgersi in questa tarda rottura dei patti
nell'abuso esistenziale delle cose perpetuamente smosse rievocate
perpetuamente e aduse / il
sole splende opaco sopra le alture di qua l'illusione della attesa di là già la
sera e il profumo copioso del pane dei poveri
[ora ha luogo l'inimmaginabile e ha luogo il trasferibile della consumazione
è
della vita di allora il tacitamento quasi solenne della bellezza
le torri emanano corpose nubi dirette verso l'orizzonte
piatto
visto come è dalle ali di un aereo
tutto si è compiuto
e non si va più soli sotto la notte sopra il sentiero senza traccia e sbordato
(in forma di saggio sic si deve guardare a quella terra come a uno dei rari
luoghi di definita felicità rapidamente cancellata dall'odio sempre attivo
rispetto alla felicità
l'azzittimento violento di cabestanh è stato
l'annientamento della felicità forse soggiacente forse sovrastante
essa
rimane però nel profilo perloso della lunga montagna la sua linea indagata dal
recente maestro
quale illusione ancora coltivare
la questione risiede nel proprio tramonto
ma agire si fa necessario
93
traversammo forse forse
subimmo l'immutabile silenzio di rovine
furti dentro all'autobus bottiglie prestate a altre labbra indirizzi di stanchezze
false documenti dove male nascondevano sé le identità turisti di occasione
viaggiatori casuali posti di blocco tasche svuotate dei previsti danari alla
occorrenza chiamasi disbrigo burocratico chiamasi anche taglieggiamento
ricatto borseggio altro
qualcuno rimane accanto a fari violentemente proiettati contro i corpi le
braccia sollevate ventri denudati volti denudati membra intirizzite dal
ricorrente alito di sedicenti inchieste
traversammo forse forse
subimmo il peso irreversibile delle rovine gli squarci di
cielo tra foreste sopra dove volavano in gruppo le cicogne
l'oscurità svelata una mattina in fila a coglier acqua alla fontana e dopo
ancora in via senza memoria il prima appena stato senza futuro i dopo già
arretrati dentro alla ascella sudata di una notte successiva lo spiazzo
picchiettato e
una nuda maestà svelata tra le cosce la magrezza contro il muro nudo sopra il
gradino di seduta liscio il volto della giovane sfatato a dismisura
di là da i monti dopo i grandi bivi giunse acutissimo il senso delle coste e già
persa si era ogni possibile materia di pensiero e corpo quando la corsa
condusse a un ristoro di tiepide sorgive dai fondali
a te (complemento di termine o dativo)
io (soggetto nominativo)
diedi è un predicato verbale (a tre argomenti come pare)
estratta dal pacchetto (azione precedente nel tempo ma subordinata e
complemento di estrazione estradizione la stessa scelta per necessità)
una abusiva sigaretta (complemento diretto più attributo accusativo) l'ultima
è predicazione della sigaretta storpiata dallo storpio risiedere nella gruccia
della fortuna nel rischio intutelato di altre ruberie
tu stesso (te medesimo) coinvolto in una azione dubbia vagando e sorridendo
eri sfumato dentro alla mescita dentro a altre grida il quale (relativo
improprio senza appiglio sostituente sì e no di nessuno) si disse spiaciuto di
non potere (di che cosa)
di non potere condurre l'autobus un po' più in là (complemento di luogo
vietato
la concessiva vietata dai visti invalidati ma non validi al fine di quel passo
giocoforza
si entrava nell'attrattivo tronco della disperazione nel susurrato perduto
vocativo (invocativo) nelle condizionali sfumature eppure eri tu già
nei quartieri già giunto e quella sarebbe stata la fine (predicata)
dell'atlante (specificazione) cosa per cosa per cosa una cosa o nulla
94
il fiume sotto i piedi l'acqua poderosa del confine
di qua i vivi di là di là i morti
o
forse viceversa (o forse udisti la
presenza del padre richiamato dalle troppe lontananze dove aveva giovane
amato l'amaro modo delle prigionie
correzioni postume (le si definisca descrizioni)
affastella differenze in un unico piatto omaggio alla sofferenza là dove
fiori erano germogliati a lato delle fosse ove (locativo)
deponevano (indicatore di azione) corpi (passività senza qualifica)
per sempre (temporalità indefinita)
[oggi è lunedì ma è come fosse venerdì e venerdì è un sabato anticipato dopo
si festeggerà il punto mediano della settimana il punto mediano della tua
nuova età] mentre le spose vagano per cortili chiusi in compagnia di cani
bianchi e muti con la saggezza agostana addosso al piede rimanevi coricato in
cerca di energia e sai l'inverno dei torpori la malta dolce delle statuine
hai monetizzato la povertà costruendo cornici di paglia
(per chi per chi
dimmelo per chi
per la avidità necessaria siamo tutti così instancabilmente avidi di tutto)
paralumi nappe passamaneria bottiglie bottoni di falsa madreperla generi di
prima necessità farina latte sigarette veleno in polvere acqua spugne saponi
pasta varia pane tecnologie funzionanti ancora chitarrine carte da gioco abiti
smessi non tanto però
un completo per la sopravvivenza
temperini accendino torcia e lanterna pazienza aggressività una lingua franca
capace negli inganni e protettrice
questo (dimostrativo indessicale deittico forse scivolante)
questo (diventa impervio poco a poco nella ripetizione)
questo (e poi la smetti di tentarmi ancora) questo (pronunciato in un sospiro
di opacità)
cosa vuoi di un tutto o di una parte sola solo una parte neppure la migliore
(ora non posso a meno che del sangue tu te ne infischi come dei partiti e tu
disciolto dal manto fetido del viola dei lampioni sei ricomparso in mezzo a
altre vite
(nidifica vergogna nella ipocrisia latenza pure di un taciuto desiderio e in altri
chiaro e senza indugio attuato
si fa quel che si può per sopravvivere si accumula ricchezza
all'improvviso solo se annusi quanto per altri è schifo
)
vendere armi a quattro mani camminare stabilendo i prezzi col dolore dei
polpacci nei sentieri l'impervia durezza degli accordi (guardami le spalle io
guarderò le tue) nessuna meraviglia convenienza conveniente a ambedue
e paga paga poi riscuoti senza il tremore della compassione
95
chi acquista e non ha soldi ha già acquistato ora chiedine parte del suo fiato
intanto ripristina esercizi di memoria l'insieme del margine - il guadagno tiene la vita ai suoli vincolata e viva [ma già è vita morta questa qui nelle
secche parabole dei conti fatti a mente
ho voltato le spalle alla bellezza
senza un vero lo ammetto dolore
ho acquistato licenza di vendere corpi (brutalizzati dovuti farciti
tatuati cercati denudati) ci si abitua a guardare in faccia negli occhi le cose
con gli occhi vuoti implorano solo perché incapaci di non essere vittime
io primo acquistato poi venduto
non esiste l'inferno messinscena il paradiso transitiamo sopra i territori dai
territori alla metafisica non rinuncio più a nulla in questo modo e credimi
umano assolutamente totalemente umano (anni senza pervertimento anni
leggeri di sconsideratezza chi siamo
ci stiamo dunque realmente costruendo solo adesso in questo modo così
creduto inappartenente al corpo dove siamo l'elevato piacere della conta
brucia tutte le residue ricevute prestampate da una etica in nero del mestiere
il danaro è sempre pulito (fissare il costo di ogni singola parte del corpo il
quale è tutto vendibile e venale e spendibile e ritoccabile accomodabile
migliorabile)
sui quadranti digitali i minuti si sottraggono ai minuti le ore alle ore
immotamente
un pianto di neonato inaridisce il mattino avevi assistito al corso crescente
della luna dietro il fogliame semitrasparente quasi irretita per effetto di false
vicinanze dietro falò i seminudi danzavano percussioni e sudari
tu hai
coitato alla maniera animale guardando fisso a lato forse la tua fine il mondo
e l'anima di fango la confusione estrema degli esordi prende allora a montare
il principio della corruzione per influsso degli agenti atmosferici
96
dunque indugio nel mio indugio di occhi aggrovigliati ancora a
investigare un punto di sutura con l'insieme
oltre il debole limite protettore dell'epidermide oltre il fragile apparire dei
pori
le foreste sono / state abbattute affinché più puro fosse il controllo
della regione penetrata come / me dai secchi oggetti
/ escavatori divaricatori investigatori
prima un buco dopo l'altro buco
/
purezza più pura della purezza
purezza più pura del puro del puro terrore dell'orrore puro
nella pura desolazione recata accanto dal casuale approvvigionamento del
crepuscolo sciolgo sulle labbra il veleno ancora a dismisura
balsamo di un sonno indefinito acquistato nei mercati segreti della
rassegnazione nel punto fisso dell'universo immobile
[oziose ore dei branchi in sosta oziose ore delle tessiture ore oziose di atti di
raccolta
uggiolano i cani cacciati via di forza]
nell'alba della nostra provenienza era l'innesto di un riso di stupore
presto poi si giacque nell'involucro di pietra dove i rettili nutrono il cuore
rotolio di fossili nel lamellare sfaldamento quanto del pulviscolo
generato divenga creatura
se il parziale
corrisponda a una triade
se gli eventi sorridano nel tempo dei quartieri
(in epoche di epilessia sociale i rifiuti vengono raccolti a comporre opere di
grande effimera stabilità)
capitati in ambienti simili accovacciati prima o poi ve ne andrete colti dalla
indifferenza
altri commentari alle tappe saranno participi di procedure analitiche proprie
delle discipline
- tempi modalità pausazioni ove l'attività sia fattiva
pressoché febbrile
a dispetto delle apparenze
gli animali vagano nella regolarità della cerca
(dove tu vai
essi vanno timorosi se non prima sei passato)
stai nella albale immobilità della nube
blu sotto lo zenit del sud
il rigore è nella meditazione
97
territori dello smarrimento / il gorgo / lo storico
((dimmi se siamo memoria di qualcuno))
il supporto della notte è ancora nell'imperdonabile blu muschioso del sud
campanili lontani guglie di sabbia oltre i profili dei luoghi vallonati
tutto ruota attorno in un raggio centrifugo lentissimo
è così stanca la vita in quelle sedi così stanca colma di vuotezza
come potrai dunque andartene dove i campi hanno perso
lo smalto e pacati amano crepuscolari cromature degli autunni di poi
e la precipitazione delle cose leggerette in una scempia rovina di caduta
non sai come comporre elenchi dove stipati gli oggetti riposano
in stanze senza sole in collezioni di strane analogie
come potrai rievocare la estranea serenità di collezioni disparate
negli alberghi protetti dalle griglie
accumuli vietati alla tua logica esule al tuo esule coma di reazione
barattoli pannelli cornici e scatolette le prospicenti erbe contro sfondi azzurri
/ rassegne in materiali di declino / quote di sorveglianze indecifrabili / foglie
abnormi imputridite sotto i cellophanes / la convulsione snervante del vento
l'odore rancido dolciastro de i rifiuti stati lì /
la melma verde attorno alla bottiglia /
la stessa proiezione delle acque in un sito di violenza l'effetto seducente
delle rive sirene et coetera (sic)
(sei inadatto a tali descrizioni un timido oggetto di penuria senza frasi di
esordio
effetto senza conseguenza - dunque ora sai di non avere casa o lucido
perimetro per le tue vuote azioni / narrami se puoi del sonno delle cose
il cuore catturato dalla strada il cuore stanco il battito sciancato
la pulsazione debole dei muscoli / quanto poi accade dopo la svolta netta
è un vattene gridato dal verso atroce delle bestie chiuse)
98
l'alto valore del mattino alimentava il tono delle facciate
sfiorandole di un denso leggero sperdimento un colore
delle arance mature e nei giardini nuovamente illusi
sotto il cianotico torpore della nube i fioretti
aprivano alle rugiade seni proni e ricettivi e illesi
sostava dentro il corpo un resto monca
forma perplessa qualcosa di simile a un riferimento
disancorato perso nelle ardue pose di una definizione
l'alto valore il perimetro ampio l'ampio campione del giorno
si è poi scosso di dosso l'intensione spremuta
sopra le cose tutte e sopra il lago nero della notte
il nero imporsi delle nere voci
(mi duole un piede ho un'unghia nera
sono scalzo silenzioso sono stanco delle mie aporie mi adagio allungandomi
sul letto
lascio vagare la cosa di me)
la nebbia recava con sé imagini d'acque marine fiotti bassi
moti ripetuti senza scansione solo modulati da un velluto di sfondo in
madreperla
ma pigra passiva scorreva sciogliendo delegando ogni dolore del prima in
transeunti ineffabili felicità
lo sbandieramento indolente delle foglie trasferite nell'apparente danno delle
brume prese forma di un basso farfuglìo le alte regioni di prima furono il
luogo di quell'io poi nella fase di inerte annullamento il farfuglìo compose
una parola
non so se fosse il varco e la sua fine confusa libertà
da altre volizioni (tutto qui ripeteva la guida
barca verrà nell'ora impensata vigilatene le fasi dei suoi guadi
maligno eppure il sonno ci rapì)
[forse benché miti realemente essi fanno paura
poiché miti non temono nulla e se lo sguardo conducono intorno
la serena espressione del volto fa male
conoscono il semplice declino l'arte della sottrazione rigorosa
l'esaltazione ruvida del prima il claudicante non recente stato]
quasi tatto d'animale poi fuggito accennò i corpi per la riva nuova
si comprese di avere dormito - la guida sorrideva l'ineffabile smorfia lungo il
viso largo
99
[come le foglie al tempo degli autunni trascinate dal vento dell'addio
movevamo in truppa vorticando sulla brughiera solitaria e stenta
né alba né tramonto non plaga meridiana
quanto il tempo gravasse su di noi lo sapeva la fatica sulle fronti
sopra il limite grande delle acque aperte
un'ala carogna sventolava tra gli ostinati becchi degli uccelli colore di
lavagna
già là le intravedute malte tra i boschi e il tenace sottobosco trascinava
l'amore per le sabbie
quasi sbocciasse in un giardino educato il senso primitivo del fiore
il suo spontaneamente articolarsi
in uno stile
il resto una sequenza
mitemente cresceva dominante il silenzio avvolgeva
l'acuto della cosa contro cosa metallo contro legno
l'ululio feroce dei guardiani
leggieri sulle foglie de i recinti
taniche barattoli specchi ciechi di acque incorniciate
l'azzurro candore dei gabbiani proteso sopra gli ozi galleggianti
più in là certo non molto
il vortice discreto nello scroscio
invisibile tonico sereno travolgente
lo sguardo ai gridi di civette e agli orti al fiato rovinoso di mobìlii
ammonticchiati
quasi si fosse nel tempo del futuro
l'antico rosso dei sarmenti gli infantili verdi giubilanti le palificazioni
aggrovigliate e
nere il folto pelo della distanza viola
domando ancora se si improntasse il passo
sopra l'orma adesso scancellata
di qualcuno già prima intervenuto
a interrogare il romore delle cose
dentro alla araldica arcaica dell'informe
tornarono le antiche paure contro il vento ambiguo della accoglienza pura
e il corpo posai nella sua culla stanco implorando almeno un poco d'ozio
100
meduse di nebbia allungavano filamenti della intensa vita loro
nel gesto indicatore sciabordio forse riflusso
pianto vasto lamento di prime adorazioni
al pascolo notturno delle pleiadi
là nel caos
il calmo caos dell'essere non essere
traspariva il grande gorgo appena
dallo opaco respiro dei vapori
inerme splendido fumoso nel dramma irrisorio dei vortici
quello era il fiotto il largo movimento dei clinami
un incedere molle in intervallo e danza
e suasiva / l'essudazione spariva a contatto di tanto velamento e il
corpo / gravitava nelle orbite della pacificazione ascendendo all'iniziale /
profondità di una foresta rada e folta un femminile adescamento / di voce
trasvolante nelle sinuose foglie il vanto di un / ammanco saliva dall'apice
felice di un nulla offerto /
quanto tempo è trascorso quanto tempo (forse sarà la tua nuova stazione dove
senza preghiere si è aperto il sentiero di una attesa devota di una visita nel
cuore dei tuoi antichi sedimenti
non c'è memoria e nemmeno ritorno
qui si placa
il tormento degli stormi e del riflesso si annulla
il fermento
ora sei nel paese della sera allungato nei fedeli ripostigli
le cose arrugginite dimenticate e chiete dimenticate formalmente e fuori
d'uso)
non so io non so è così strano e qui in un alone terso colmo di foschia
101
(:)
qui si risolve il tragitto più antico dei bracci nodosi dei corsi
e prosciugato
i luoghi recano toponomastiche strane all'oggi ai più
cosa un gorgo dove schivi si allungano i campi dove ristagni la sacca
o la fossa sprofondi e cosa sia
l'isola cercata si perde
negli occhi di chi non ha sguardo
ora questa terra la dicono buona solo per le discariche
non dà niente dicono
io so nessuna terra desolata è desolata
quanto vive invisibile e nascosto cerca raramente spazi folgorati
voi avete ancora illusioni ancora tessete le voci
quando il mondo di nuovo ha compiuto sbandando
un altro salto sul piede caprino
(ad esempio
il monastero si comportò alla maniera di una
potenza locale fu una potenza locale
reggimentando bonificando sfruttando pregando
si potrebbe e non tanto idealmente parlare del compimento concreto
di un pensiero trascendente
il male dell'uomo nell'uomo per l'uomo
non esiste
situazione non estranea all'oggi differente solo nella quantità
il metallo dei giorni riposa sopra le mensole accanto ai documenti
il corpo del monastero riposa nelle brivide nebbie iernali nelle esuli cicale
delle estati
la chiamano terra dei morti variazione di terra dei presunti
102
(:)
mi addormento sul mio corpo mentre cammino tra i resti di un evo liberato
dai confini conflittuali delle date la casa dei condottieri
le torri delle
polveri l'amigdala casuale nel petroso crinale
trasferendo alla filolologia
degli istinti il cieco tatto della storia
(:)
nessuna epoca è decadente non c'è decadenza ma tensione
sola
una tensione ora attiva ora passiva ora isolata in una violenza cieca
smisurata e si fa per un frammento di era una pace discorde un timbro
maculato di pericolo
suono dolcissimo delle vite altrui
si è così dispersi senza appiglio
procurati a false certezze angosciati nella fede impotenti nelle disgrazie
insensibilmente felici nell'odio e nella ferocia
così nel si si sciolgono le sempre deboli barriere degli io nominali sulle
arenarie appoggiate ai recinti
è il magnete scomposto dell'impersonale dopo la
pioggia dopo il timido temporale
un sole sudaticcio si solleva nelle bianche mòlte dei vapori gravi
confabulii piuttosto e quanto è vano e molto è vano e ampio e
lancinante se si crede a un conto delle eredità
quale terra cercate
neppure nel non luogo si vive
poi forse però
forse
esistiamo per conservare
103
hph la tenda la torre il muro
(non siete fatti né per la luce né per la tenebra e il pensiero non vi appartiene
esso può solo penetrare in voi
si continui a considerare il pensiero come
quanto di più estraneo lontano esista per l'uomo per il quale quando ne sia
invaso
diviene sofferenza atroce al punto da indurre a fuggire verso una
strategia del vivere puro
il pensiero è un oggetto scomodo ospitato dolorosamente dal corpo e senza
neppure sapere come accada
il pensiero fa aumentare il dolore acuisce
abnormemente le passioni fino a farle sprofondare e dilania e dilacera e
annulla e tutto travolge il turbine della memoria che dimentica
essere dentro al pensiero è essere dentro alla consumazione totale dell'essere
siete costantemente e costantemente siete dentro la verità la quale è e è nella
cosa nella quale la cecità la vostra cecità si appoggia con l'ingiustizia
involontaria del balbettio e della chiacchiera e nulla se non a latere
un
perpetuo deviante commento
la verità è alla portata di tutti - di tutti - è proprio alla portata di tutti ma tutti
non la colgono poiché essa risveglia e il risveglio è nel giorno luminosissimo
abbagliante accecante nella più completa solitudine
non volere o piuttosto non potere capire non potere entrare in contatto con le
cose
essere sempre sciolti dalle cose sciolte nel loro silenzio blasfemo dal
blasfemo intruglio
del loro situarsi di fronte a lato e contro
non potere avere pietà non poterla avere non sapendone nulla
si potrebbe aggiungere le parole sono estranee alla pari del pensiero esse
non appartengono all'uomo il quale però può impossessarsene
esse per questo sono malvagie nella disponibilità a non sottrarsi a lasciarsi
dunque catturare ma non addomesticare
l'uomo le cattura ma
rarissimamente le può addomesticare e allora le usa a vanvera (tutti eventi
fluttuanti quasi invisibili e piuttosto impercettibili ma sfiorabili e sottilmente
alieni)
[la vera allegoria comporta uno sviluppo di lucore senza ombre un conduttore
margine verso l'a lato oltre il muro dove si gettano i rifiuti l'alito umido di un
sacchetto di plastica il terrore di una disciplina bluastra finitudine di schermi
funzionanti stanzette sopra i miseri neri mucchi di neve gelata
104
(l'opera benché non finita
proprio perché non finita
è già l'opera
possiede immediata consistenza nella forma che è il
destino stesso
l'opera non finita è il destino dispiegato nella composizione dell'opera (noi
siamo o non siamo potrebbe essere indifferente la carica di un magnete il
blocco di una pulsazione benché minima benché mitica o magica)
tracimato nell'ascolto della indeducibile morte personale il cielo semina nel
gesto stormi di presagi la seminvisibile luna solleva le terre]
la storia non è il tempo e nemmeno l'evoluzione
esse sono una successione il tempo è uno stato (a.tarkovskij pagina 55)
il tempo si potrebbe ribadire è la sensibilità allo scarto tra l'organismo
/ che invecchia / e la mente / stupita spesso dalla fisica dell'invecchiamento /
il tempo è l'altra faccia dell'ignoto cioè lo spazio ovvero
l'illusione del possesso
l'illusione della stabilità
l'illusione infine dello sguardo
la disposizione degli oggetti è la misura di una illusorietà dissoluta e di una
certezza decadente decrepita alle quali si tenta di porre rimedio attraverso una
desensibilizzazione falsamente matematica
ad essa il compito di privare di dolore la sistematica fragilità dello sguardo
la sua cronica debolezza (nel porre una serie di limiti la comunità costruisce
la tradizione sulla quale gli appartenenti alla comunità possono riconoscere se
stessi ovvero la propria vita come avente un senso dentro a una comune
memoria garantita dal gruppo)
nel prolungamento estremo delle ombre
la natura si è fatta silenziosa
105
figurine accanto alla cucina dell'inverno un bavaglio sporco del vecchio latte
dell'oggi (nei sogni la madre è più giovane di quanto mai tu l'abbia
conosciuta giovane coi boccoli neri ignara del tempo della vita e la tua
debolezza si evidenzia nel bisogno di altrui garanzie)
il bacile raccoglie residui fecali anche una mosca fa compagnia
i fioretti si aprono al fracido untuoso della aurora
bigio diafano un sole semitrasparente statica meditativo trascorso dalle nubi
foglie altovaganti i corvi incrociano duri nelle sfere
l'assentarsi domenicale degli uomini storpia la solitudine dei luoghi
i quali esercitati restano a contare residenze delle cose scartate
inutili ora
tracce di una operazione in fretta messa via
cuccioli umani inferociti abbaicchiano alle apparenze inermi delle voci
sfoggiano atteggiamenti adulterati
adulterando i tempi delle crescite (in forma di saggio - tecnicamente un tale
ribaltamento degli istinti significa priorità della morte sulla vita
tecnologicamente e politicamente annullamento delle individualità)
il freddo restituisce corpo al corpo
nei sonni travagliosi dopo lunghe veglie
ritornano presenze dei tuoi passati ovunque ombre di ombre i volti muti
di un inconsapevolmente tutelato vecchi ancora giovani i morti ancora vivi
e il divenire un dubbio nei sonni travagliosi del prealba subentra il nodo
della ripetizione forse della eternità con gli occhi spalancati
ritrovi difficili equilibri del matutino insorgere dell'essere dell'ora
[in questi mesi al solito sei un poco più stanco
risenti dei cambiamenti stagionali delle lucide carni degli inverni
essi hanno creduto di annullarti inevitabilmente ti hanno approvvigionato
gli uomini temono spesso chi non è da temere e li ama sonnecchiosamente
astenendosi da ogni violenza]
nei giorni di sole le spaziature tessono nelle ombre nane il tragitto del pianeta
più su la città bianca e quella nera il fiume stanco adesso e la mia riva nuda
[solo una guerra pare potrebbe aiutare a sollevare questioni di dignità e
ignoranza
doloroso è un tale auspicio estremo fiducia nella estrema distruzione]
digita sui sillabari piccoli sgorbi da infantili invenzioni nei tempi delle scuole
e dei cortili dei giochi separati dalle reti e nelle smemorate proporzioni e i
gridi
[ti ho detto di una possibilità sotterranea o semplicemente ridotta
all'essenziale
una scuola di eletti per necessità dove non sia meraviglia la viva allegoria
della tua opera il respiro vivo nel cuore dilatato di un accordo]
106
[come mai dobbiamo andare verso il peggio io obiettavo la mia gratitudine
forse paradossale per l'epoca nuda per questa era senza tempo o spessore e
piatta dove le icone si spostano libere sopra i neutri schermi della visibilità
nulla pare accada faticosamente e non esiste distinzione tra la morte e la vita
mi ha detto (riascoltavo la voce di auden) mi ha detto il nemico è dentro noi
dovremmo rivolgere le armi contro noi se davvero fossimo corretti ma ancora
un barlume di cecità avvolge la mente allora si continua a cercare un
obiettivo un bersaglio possibile un recensito pericolo una fede affinché il
nemico sia manifesto nella drammatica prefazione di un corpo da ciò l'idea di
guerra preventiva o un suicidio progettato come strage]
piccola mia ora rammento il tuo pianto quando seduta al tavolo della cena tra
piatti e i residui di pane e come tu amassi raccogliere col pane l'aceto e l'olio
del condimento della madre piangevi e lamentavi quanto a mia volta io
opponessi alla speranza tua la malvagità di un mondo questo senza nulla
protestavi salvare allora nel tentativo di consolarti provavo a descriverti il
lavoro svolto nel pensiero e nell'atto come adesso nella tenda qui misuro il
mondo in modo più evidente il mio il tuo o di nessuno alla ricerca di un
barlume di salvezza
occorre una dose sconfinata di sincerità ma tu sei una lucertolina smarrita nei
terreni degli umani e gli umani hanno stranamente paura della tua paura
scambiano le tue fughe disorientate per volontà di invasione nei loro territori
cercano di catturarti non sanno usare la mano pietosa di chi indica induce o
raccoglie e tu rischi di soccombere alla loro cieca profana violenza non
cattiva ma ottusa
vorrei adesso poterti asciugare le lacrime col polpastrello di una gioia
improvvisa
ma la distanza e il resto costringono a una lettera spero prima o poi a te
recapitata
come sono i tuoi capelli quanto ha agito il tempo su di te e io chi ero per
provocarti il pianto
sono entrato nella tua vita fuori da ogni previsione e
vincolo mi hai accolto senza opposizione dunque dovrei chiederti scusa
oppure chiudere i conti esponendo
quanto agisco negli impalpabili modi della tua impalpabile curiosità
la natura impermeabile della tenda assorbe la permeabile natura del terreno
oggi è smagliante oggi è una limpidezza finalmente invernale
la temperatura si è abbassata si è entrati dopo il taglio delle bufere in una
fase diversa
vorrei rilasciarmi per un poco non essere nulla di quanto sono stato
difficile tracimare da sé in un bacino dove decantarsi e liberarsi dalle scorie
di una non voluta ma fatale confusione (benché si sia lavorato per la
chiarezza e per la comprensione) sospendere la tensione della bilancia fletta
107
tra bene e male
individuare piuttosto la nuda epoca nella quale si vive
poco alla volta la tenda impone una distesa serenità la quale sovrasta
momenti frequenti di scoramento
qui mi è indifferente l'assenza fuori dei
luoghi dove condursi liberamente qui nella tenda anzi ho individuato dove
passeggiare dove studiare dove riposare
il dentro è diventato uno spazio
prezioso
esperienza e disciplina della essenzialità
[ diceva non esco oramai da quanto non so parlo
col muro quale distorsione nel volere insistere sulla ferita aperta
da un raggio apertosi un varco nella folta volta del viale della infanzia
ora la meta conduce ad altri cuori ora il mio pianto di allora si sospende ]
non mi occupo di felicità cerco di viverla in fasi nelle quali mi visita la luce
somma di una cobla o la radice atemporale dell'enigma che siamo
perdersi nella chiacchiera è vanità vanità indurre significato a una non
compresa parola negarsi alla questione e questo è il mio lascito alla tua paura
non ricetta o placebo
(altri lavorano in silenzio nel sacro silenzio delle stanze vuote di
ammennicoli solo in parte occupate dall'ordine bianco della strumentazione
brusiante
il clicchettio dei pulsanti si è attutito l'esecuzione si assimila sempre più a
uno scivolamento fluidissimo affinché per contrasto ogni altro rumore apra
alla presenza straniera
non gradita
non è una impressione la paura è aumentata la dose complessiva di paura
nel e del gruppo
diminuito dunque il senso di protezione e sicurezza
la comunità è alterata si sente quasi senza soluzione di continuità dentro al
rischio
paradossalmente la prigione mi salva così localizzato e precisato e annullato
quanto alle mie parole esse non hanno altro senso rispetto al loro disporsi nel
mio essere senza tramite alcuno sono ciò che dico altro non aggiungo)
108
la nebbia cola tra le leguminose tetraggini degli uomini
nei bruni terricci sanguigni tra
viti oltraggiate
quando le stuporose follie dei settentrioni
annegano in quinte di cobalto oltre il finto finito degli slarghi
la nebbia cola nei colli nudi delle donne
ferme
scivolando nei seni in un sudore
ansioso fino ai ventri immoti e serenissimi
in un tremore stranamente afoso sotto il tetto panciuto della tenda
la luna conduce il pensiero al mai visto taishan
e cabestanh giunge alla memoria col soffio melancolico del capoverso primo
la cupezza è un modo del disincanto un modo di approccio con una certa
mano muschiosa al mondo ora è il freddo a illividire le membra come mai
avresti creduto nei tuoi anni di forza quando
il primo passo aveva non il sapore caduco dei cachi del tardo novembre
[ti prego se puoi
se ti sarà permesso fammi avere i libri che già sai
non sono un erudito i libri giocano il ruolo di predei
preparano la strada e intanto attendo quando i picchi di sole scancellano
istantanei le ombre delle cose
nelle piccole tavole dei cosiddetti maestri primitivi i santi
escono
volando dalle bifore
molto dei commenti
appartiene all'errore]
109
gli antichi vulcani sopivano i profili dentro alle emanazioni dai crateri spenti
per linee flessuose designavano la morbida tonalità di un molto largo riposo
giungendo alle presenze ancora un po' stordite degli esseri nell'umida
stazione
ai piazzali maculati agli odori intensificati dal rigurgito di fine della pioggia
nel portare alle labbra la sintetica sostanza dei bicchieri la burrosa materia
del croissant gli esseri ritrovavano un momento di origine forse anche
la sua stessa inconvulsa generazione
e io
seduto
sul lucido legno della vasca grande per le piante e i fiori
era
nel centro di rifocillamento essere tra esseri stordito
essere tra esseri a guardare suole di scarpe volti arruffati pose e gambe
mosse dalla usura cenni di amore opprimende andature
aspirata dallo spazio architettonico
marcatamente aperto l'aria fredda penetrava le veicolazioni dei corridoi
urtava
giacche a vento / cappotti / velluti / loden / lane / tute / cotoni / guance /
unghie / polpacci / capelli dovrai risolutamente dopo la sacra defecazione del
risveglio - così ascoltavo chi era con me tra innumeri favelle smozzicate
masticciate - lacerare una parte del luogo circostante entrare nel
complessivo disordine
ci sarà una guerra troppi i segnali ci sarà tra loro tra loro e gli altri io mi
chiamo fuori io non ho colpe se non la disdicevole capacità di prevedere
quanto già possiede una evidenza netta
sempre difficili le ripartenze dopo gli ovili ove si è trascinata
la stimmata di una indefinita proiezione - controllo dei soldi documento di
lavoro carta di credito rivolta a maschere di cortesia quando si chieda un
lunghissimo caffé
per una altrettanto lunga dipartita
si deve per necessità accettare una stasi dove la umanità
compare complessivamente buona e intanto buttare lo sguardo al seducente
esoterismo dei vulcani spenti trarre informazioni da occhi verdi e gentili di
colei che oltre il banco di mescita virtuosamente offre la salute di un ristoro
breve e matutino
lo sguardo nel tuo sguardo un abito strano di pacificazione forse la ragione
di un amore senza luogo una provenza ancora sconfinata
in apparenza qui forse per effetto del territorio avvolto da una leonardesca
tonalità di foschia si conosce il lato pietoso di una umanità inerme
110
debolissima disposta a comprensioni impossibili altrimenti (dopo il ritorno
tutto sarà quasi scomparso ma tu non vuoi perdite consimili nulla di
adulterato nella franca rassegnazione di espressioni concordi né il si chiede
programmi per le ore venture per le successive mete
la benefica neutralità dell'area confortevole e colma di accoglienza coi
piazzali battuti dall'eco delle foreste azzurrite
l'irregolarità nella quale ti ascolti produrre qualcosa di simile a una relazione
l'incapacità stessa di ordinarti in una retorica del volgersi e piuttosto in una
continuità spezzata conducono meditazioni intorno alla qualità del canto
[cara amica
in fatto di intensità anche di comprensione vorrei soffermarmi un
momento sulla natura della allegoria ovvero nello specifico sulla natura
stessa della vita
della mia vita dentro a questa tenda nella quale la tenda e io promossi a
oggetto
da un si cosiddetto impersonale potremmo nella cornice di distanza superare
l'umano dato e fissare il divenire in essere in forma proprio di una allegoria
mi pare opportuno riferirti tale considerazione al fine di obiettare almeno un
poco alle forzose erudite letture proposte da scuole del sospetto e del segreto
e a te a te sola dichiarare un pensiero
la retorica segue le figure le figure appartengono alla vita
in tale prospettiva la poesia diventa oltre un certo limite non penetrabile
se non dalla sensibilità
con affetto da un provenzale in esilio]
[p.s. cara amica la poesia è perseguibile in qualche modo
nello specifico
ignorandone l'esistenza]
prolungantisi in dolcissima marea i vulcani conoscono la maturazione stessa
della terra quanto alla unicità dell'individuo di ogni individuo non si
comprende nulla del destino della sapienza della umanità
la vita nei paesi là appare molto meno abusiva diciamo pure vivibile per via
dei colloquiali bar dove gente scommette sui cavalli
vivibilità vale a dire accettabilità del corso della esistenza dunque anche della
sua conclusione
è un'impressione da passaggio rapido
oppure nulla nulla nei tuoi silenzi nei miei intervalli
l'estate scorsa hai pensato a tuo padre all'emblema della anziana sofferenza e
adesso per lettera dichiari difficile ammetterne l'assenza
consiglio di trovare una terra come anch'io sto tentando col poco di risorse
111
ma bastevoli certo se si accettano lavori occasionali e ci si ferma se qualcuno
chiede manovalanze umìli come altrove scrissi non credendo quasi a simili
realtà
il tardo autunno - quest'anno il caldo si rifugia nella carne piena di un
magnifico novembre - e l'inverno istesso favoriscono il mio pensiero mi
covo nella oscurità
ti abbraccio e se a presto non so
[quanto tempo occorre per acquartierarsi quanto per distribuire nel piccolo
spazio unità di vita ridotta al minimo cambi di biancheria calzini abiti
propriamente detti solo l'essenziale poichè alla fine non ci si vergogna
dell'odore accumulato
il tutto allo scopo di rendere - cerimonia di speranza - più rapido il
demenagemento
le piche puntute modulano versi conosciuti scambiati per grida di scherno
piedi e braccia nude un mozzicone di matita trasforma il presente in una
allegoria più ampia
del gruppo tecnicamente in epos
i germogli vivono la piena esperienza dell'incontro
con l'esterno dopo avere fuggito la intima ragione del sottosuolo
io vivo nella lacerazione della fratellanza
e in quanto alla intensità non dialogo con nessuno
perseguendo con umiltà un distretto privato scambiato forse per superbia
sapidi strumenti di tortura interconnessi principiano dalla gabbia tirata su a
perimetro alla tenda
rivedo nella memoria il percorso di un tempo lungo il
sentiero maestro di sinistra dal quale il mio senso complessivo andava
contemplando il vasto nord
e l'aria mi seguiva bisbigliando mutevole però in quel punto ferma
112
le cose sono personae le parole sono personae alla ricerca delle quali la
perenne infanzia procede infino alla consunzione del corpo
certo mi cogli in un momento di rara e feconda ribadisco intensità
di riflesso le cose i ritorni alle madri mi paiono allinearsi con estrema
chiarezza
e ogni atto ma non tutti gli atti si manifesta come persona
non chiedo conciliazione non posso
né sconto alla mia pena
donna mia mia domina e damma
in tale fase io sono felice
sì
113
l'acqua cola tra le rugose perfezioni
del muro
così la camera le scarpe amate poste accanto allo scrittoio la borsa appesa al
bracciolo
le grucce appese al cavo della lampada
il quadro non appeso poggiato alla parete
le superfici si offrono allo
sguardo
oppure là dove si inoltrano ai sonni poveri della povertà
come un sentore di rimprovero una amarezza torturante il disegno di una
mano probabilmente un profilo già noto e la mappa di un luogo il cui nome
neppure risulta nel margine della speranza
oltre la finestra il sole ha curvato e lambisce ora
l'angolo del cortile interno
lo smalto del mattino è un temperato
ottundimento quasi
farinoso ove si impasta la trascinante primizia di un avventizio potere di
rovina
le cose altre
due manubri per le braccia
il piano di lavoro non so se
condotto a conclusione nello spazio visionario di più tempi
libri
foulard
bottiglie di plastica rovinate sopra il pavimento
il feroce nord là
l'indefinita legge della volontà (ho pensato coloro i quali tendono e tentano
di progettare la esistenza in moduli capaci di promettere felicità
sono coloro i quali vivono la tensione stremante della catastrofe)
dissolvenza di oggetti lacerati
dopo il muro
la strada un campo dove l'acqua piovana ha formato uno
specchio ora ghiacciato e poi pattume e poi le fabbriche tale si organizza
l'urbanesimo di questa
regione ma dopo
sotto la coltre della sera almeno si scompare
114
neutrale terra degli uomini sempre proiettata a inattuali futuri
futuri di deriva cose accumulate su / divani
sventrati
canapé senza corpi distesi teli arazzi nudi spoglie di oggetti lampade /
così come sei giaci su un fianco e invecchi
senza un domani ottuso un sonno di ubriaco sul sedile di un bar troppo
paziente
/ il calco di gesso di una mano l'alonatura sopra una camicia la costituzione
barcollante di una utopia realizzata a tavolino /
ascoltami esistono l'inferno e il purgatorio nei quartieri stabili di un inverno
ancora reattivo sulle pelli non aduse dei bambini (essi sono i sopravvissuti)
e non rabbrividire le cose vanno affievolendosi è il centro dei disadattati
dimmi se puoi se vira il mondo e dove / foglietti fuori corso stampigliati
sopraffatti per gioco con vecchi timbri violacei
pupazzetti raccolti in un
tempo lontanissimo di fiere astucci di cartone (titoli
di saghe pellicole marezzate da una pioggia ostinata per le strade sofferenti di
una regione aspirata quasi un aroma di larghe mutazioni la flessibile ondata
di una spaccatura l'alito fetido dell'odio le ragioni del male (la sua non
fortuita variazione e intelligenza) /
a quanto assomma il debito forse un fallimento in grande stile
hai giaciuto
ma cercavi una eterna fratellanza una cosa impossibile o forse attuata nei
sentori di un anno mai scaduto
poi c'è stata una guerra (sai pensavo in fondo la volevano la speravano per via
di un comune sacrificio un rito necessario veramente non so quali gli intimi
motivi l'ingenua natura geometrica dei forti l'altrettanto colpevole bassezza
dei deboli
forse una resistenza a oltranza il mio risiedere a lato e pensare
mia cara procedo nell'elenco / di maggio l'ostico riversarsi delle di nuovo
piogge il tocco delle ore cinque l'attesa di un sole
i cani
dentro a i recinti le cataste di legna protette da lamiere ancora le gocce
perpetue di uno zampillio nascosto
(era di nuovo il giardino a visitare la tua ombra le sue ombre e i piccoli merli
nel nido quando le inattese gelate sorprendono le gemme ingravidate)
sei scostante negli elenchi / chiodi bulloni recipienti di metallo barattoli
manuali di istruzioni per l'uso un altro per gli abusi
trattato delle
giustificazioni
cavi cavetti un set per gli antichi mestieri delle fate / ora peraltro vai
sottraendoti alle tue
stesse responsabilità / armi ad assetto variabile almeno agli occhi industriosi
di una fantasia non si sa quanto veramente infantile
fiori di plastica e i
cosiddetti valori bollati un frammento archeologico (ora il nostro passato
datato orientato interpretato per poi per poi
le nuove invasioni giunsero
115
dalle regioni occidentali
seguendo il corso delle migrazioni) ti distrai / pentole scalfite bocciardate
stampe con volti rivolti all'insù io colleziono sacchetti dove si mantiene un
profumo di ostinazione /
lo sai il lato cattivo dei passivi è nel subire senza alterarsi mai fino a
consunzione
perdonami per quanto vai ascoltando le labbra le tue labbra io saprei come
sanare la loro amarezza ma giunge il tempo del loro destino e gli occhi
vagano persi nella luce
ho detto e insisto fratellanza o la bocca di un sesso femminile osservata
senza alcuno desiderio
eredità di altre guerre adesso il senso del tempo ha subito davvero la scossa
presentita
le gambe toccano il muretto dove siedi la pispigliante materia del cemento
il nativo saluto del mare dentro la conchiglia in bella mostra sopra il
mobiletto aggiungici pure / vestitini e trucchi matite spuntate piumette e
gioiellini senza alcun valore le dispiegate cerimonie molto assai private del
come ci si spoglia del come ci si guarda e accosta al corpo nudi nella intimità
quanto le stanze recitano di un nostro segreto
volumi colmi di false
biografie /
gravemente in questo anno le mutevoli condizioni della tenda hanno segnato
la mia psiche e ho sognato e ho perso traccia e filo ho perso
la vergogna risiede in un obliquo stupore se quanto cercavi non desta
meraviglia è l'obbiettivo semplice dei desideri sapersi attraccati a fuggenti
futuri / una mascherina di cartapesta un bambolotto di plastica un modello in
scala uno a venti una scatola (vuota) di sigari una ciocca di capelli trattenuti
da un nastro blu sbiadito un libro di ricette un giradischi (se funzionante la
cosa non è chiara) una busta con indirizzo ignoto (quello di cui hanno
bisogno se lo vanno a prendere dicevi) un abat-jour finalmente
passamaneria tappetini stuoini cornici di metallo leggero aggiungi bottoncini
scampoli di stoffa /
sprofondi in un cercato disagio davanti allo specchio ossidato
e sfiori con un dito la guancia dove indugia una nuova segnatura
è così semplice il silenzio dell'alba il crepuscolo prima
il canto isolato di un uccello dentro alla tua veglia
116
voragini di verde gonfiate dalle ventilazioni calde divorano la caduta fosca
del cielo
l'effetto narcotizzante del più tardi conduce il clima a
normalizzanti arretramenti
vapori franti stagnano esasperatamente il complesso si dilata e si imbeve dei
suoli secchi
resti in un sito di conveniente isolamento e sonnecchi nel
sopore del vino
uscito dalla comunità hai scelto di offrirti nella sconosciuta completezza ai
tempi del verso a cui pure credevi di avere prestato umiltà
l'umiltà sconfina però latamente nell'annullamento
e questo è il minimo esigito
in adesione e ascolto
piuttosto le penombre gli angusti passi i cespugliosi ruderi tra il topo e
l'affanno
col fiele della vecchiaia l'età si inasprisce di domande vuote di parole vuote
di gesti annullati da pareri sghembi di una cieca e sorda moltitudine
piove senza pioggia in questa fase incline alla cattura
gli animali intorpiditi dall'istinto fuggono in un ritardo di riflessi e emergendo
svelto un pesce picchia l'acqua delle superfici
piuttosto l'accoglienza dei doni semplici
un ramo inciso da segni incomprensibili lo sguardo al luogo cintato dalla
mura un effetto momentaneo da una alonatura questo soltanto
soltanto questo ma
credimi in una fase di estrema penuria di complessa disarmonia e
complessiva
non ho altri doni io non ho doni o voti voti pensavo
piuttosto augurii di fughe o l'allargamento quasi patetico delle valli a una
quota disumana o sovraumana
così violentemente siamo assediati da noi stessi dal nostro veleggiante vanire
nelle azioni
dovremmo prolungare le nostre sedute
davanti al vino dovremmo prolungare le notti le nostre tutte notti in una
dilatazione dei bicchieri verso le albe dei merli non andare a dormire se no il
corpo intruglierà l'adesso
in una specie di dispaccio rovinoso
e non si tratta soltanto di questo
piuttosto nella tardissima sera ascolto il profumo del fuoco nel camino
dovrei provarmi nelle insenature dove arrivano morbide le acque morbide e
sottili sottili strati delle acque di fiumi quasi in secca sottili strati di fiumi a
riposare nelle dolci condanne delle insenature
ma siediti accomodati pure lungo è il risveglio in una zona meglio definita
117
dall'avere imparato quanto tutto sia vano quanto la tua vocazione forse anche
la mia diverga dallo spirito dei tempi le voci diventano sguaiate si allude a
una alterazione vagamente alcolica vagamente devastante vagamente illusiva
e si levano i canti dei morti tra i saliceti selvatici e le more rinate nei silenzi
troppi mondi si accavallano
rimango in un angolo di luce dentro allo
specchio distorto di un cucchiaio
certo spesso mi sono sentito espropriato
anche del canto di una donna anziana sotto l'egida storpiata del mattino
unguenti alle narici per non sentire l'odore piuttosto l'odore acuto il fetore dei
vivi
nel ticchettio fortunoso del tempo parlami ancora della condizione di
stamane mancavi delle corrispondenze quando mancava a te stesso il te
stesso voglio dire l'io innumerevole del giorno
ora tu confuso il mondo ricompare a tratti dalle soglie delle cantine
e nelle sue memorie rammenta di noi in una zona di false collisioni
possiamo solo interpretare il pietoso suo silenzio e così sia
(concedimi l'essenza della vita il sudore della mano la mano sopra alla
corteccia
la tristezza che a volte succede contro la cute inesperta della giovinezza)
118
atlante marino
poi magicamente il monte apparve
non molto no ma visibile avvolto da una caligine cilestrina
arretrava sotto il peso assoluto del nord come tutto lo
sprofondamento sollevando
la caligine verso il terso celeste ove parevano impazzire le farfalle
tale si chiude l'arsura delle estati e i caldi inverni incrociano
119
nelle larghe marine dei settentrioni si sciolgono i voti della resistenza
trovando al largo riposi vasti
anche noi apparteniamo alle scie
la poesia dei cieli era un libero quieto immemoriale
sommesse acque coltivavano un sapore d'amnesia
nell'influsso del sole svagato cedevole al moto della nube
tutto quanto il sapere dolce amaro riporto
chieto simbolo di mondi tramontati
si era sciolta nel viaggio la crosta degli autunni il peso immane di gioia e
solitudine
ma la terra non era degli uomini e dove bene nascondevano gli
alberi trabordavano immobili in cascate oltre i crinali soffici le nubi
zone di spazi vaghe incomparabilmente in danza
fasi di connivenza candide di soporosi ansimi
e del piacere dello sregolare
al limitare un biancheggiare ossaceo
il proteiforme imporsi di uno scoglio
il resto l'oceano là aveva eterocliti strani connotati
minimi per qualche aspetto idiosincratico dell'odio fraterno
per le rive
e sé elevava
verticale assoluto componendo un disegno di spirali
chiare vaporose ipnotizzanti i mille volti
del suo desiderio inducevano la prua ammansita da speranza
assopendo la chiglia in una
leggerezza sconfinata
ai lati e ovunque si agitava calmissima la vita di esseri invisibili
sfioramento palpamento appena fremiti di umori caldi
il profumo piuttosto la sua assenza il corpo altomarino
nei porti residuali le prime metamorfosi il bruno prosperare del corallo
poi una apertura di azzurro segno di avere attraversato
l'arcano di uno spazio non finito
120
conducevano bassi e larghi i grandi cieli
al bisogno di guardare nel silenzio
raramente
e le oasi di sole
là si avevano visioni illusioni forse o forse
fantasie
all'estremo mai limite del canto
una folata gagliarda ha poi investito i capelli il prospettico sonno dell'esistersi
[non ho incontrato ipostasi non ho udito le voci possiedo solo di un verso
neppure a cuore tenuto
la acustica fonda della sua bellezza
il sole sillaba la analogia dell'ombra dettandola a scogli a li arenili
si è fermata la corrente dei possibili tramuta il doloroso nel senso della gioia
affondano gli umani continenti le grigie geometrie gli artigli dei passaggi
coartati le pressioni dei corpi imprigionati
affondano i tempi
incatenati gli onerosi rumori di vite consumate
(dimmi allora delle alte finestre spalancate del volto
sporto fuori dal portone il profumo del limo tra le dita lo spettro della luce tra
le stoffe
o il pertugio dove si è spiato nessuna commozione dell'incontro
nessuna nostalgia dai tuoi passati
derivi adesso dentro al flocculio cogli la pace nell'oblio del resto)
non ha sede forse quanto non si sa e si risiede dove tutto è noto]
121
calmo sopra noi svanisce il mare
scivoliamo la sua profondità
galleggia nel placido mistero
di bonaccia
il pensiero dell'essere
à suivre
122
POSTFAZIONE
si torna sempre dove mai si era stati, questa la consegna cui sottende
arcipelago del ritorno: ritorno è tema alle radici, il nostos, per intenderci, o lo
smarrimento, poiché l’isola/penisola ritrovata è usurpata e usurata quasi non
più riconoscibile, e il viaggio non concede esperienze se non di volute,
cercate separazioni. rimane la piccola stanza delle domande e del ricordo, se
mai possa esserci ricordo, piuttosto poesia, come forma polemica e naturale
di resistenza, e provocazione in una condizione, la attuale archeologicamente
storica, di continuo, perpetuo degrado.
ma anche l’ideologia si deve necessariamente aggiungere e questo deriva,
direi, dall’incontro col libro di Enzo Melandri La linea e il circolo che fa da
sfondo al testo, unitamente a una serie di citazioni esplicitate solo dal
carattere grafico.
naturalmente colui che è tornato non è Odisseo, benché molto abbia
viaggiato, come il Quaderno riporta, ma molto della Odissea sta nello
sfondo, benché non risulti strettamente necessario leggerla.
non indifferente è il terzo piano di riferimento costituito dal De reditu di
Rutilio Namaziano, le citazioni in latino provengono proprio da tale testo di
“risalita” della penisola, tra l’orizzonte della passata grandezza di Roma e la
constatazione di un presente di relitti. il testo è certamente nel mio destino e
mi ha offerto un indirizzo.
oggi non possiamo guardare al passato di Roma, bensì all’oggi dell’oggi, per
tentare una risposta, un gesto di non si sa quanto possibile reazione.
l’atlante apre però alla resistenza attraverso il preciso riferimento a tre poeti:
Ezra Pound, Friedrich Hoelderlin e Vladimir Holan.
è’ la poesia stessa da intendersi appunto come forma di resistenza, in quanto
pensiero originariamente legato alla misura, dunque all’etica.
tra gli autori più prossimi, vorrei porre Poe di Gordon Pym, l'Auden de Gli
oratori e Rimbaud per la scelta radicale operata. tra i luoghi deputati: il nord
assoluto, la zona balcanica, la Provenza, l'Europa centro-orientale, la ex
Pianura padana, nonché la ancora eccentrica regione di San Benedetto del Po
di Lirone.
si vuole aggiungere che il testo in quanto poetico, trova nella pagina un
supporto soltanto: esso è destinato necessariamente alla voce.
metricamente si è di fronte a versetti, come in SaintJohn Perse (o in
Lautréamont la strofa): stringhe più o meno ampie, cadenzate, gruppi di frasi
che possiedono coloritura propria, ma che non possono non tenere conto
dell'insieme. certo la coloritura va cercata.
tenderei a abolire la distinzione tra metrica accentuativa e metrica
quantitativa: perché sempre gli accenti, perché non lavorare sul
prolungamento, sul riverbero, sulla vibrazione della voce (Carmelo Bene
insegna) che è suono, pertanto sfruttabile come tale?
123
al lettore agire in libertà e in sensibilità: quest'ultima guida alla abolizione
della differenza tra consonanti e vocali, sia chiaro, e alla revisione del valore
della rima: la rima non è necessariamente una identità di suono. ovvero la è
ma in maniera tale da esigere anche la non identità e si tratta di assaporare i
valori tutti delle stringhe: è il blocco, il versetto a valere come ordine ritmico,
non il verso che talora può essere volutamente mantenuto aspro o non risolto,
o reso obeso da una distribuzione sovraccarica di rime. si noterà anche la
decisione di limitare l'uso degli apostrofi.
cambi, rotture, diversioni che amo, forzano all'attenzione e soprattutto al
ripristino del respiro.
un'ultima cosa: che il poetico derivi anche da una somma d'altro, lo si coglie
nelle traduzioni: il poetico resiste, nonostante vengano meno i collanti
metrici, e questo è, più che una constatazione, un dato su cui riflettere.
124
INDICE
6
Materia
7
Arcipelago del ritorno
41
Quaderno dolfìn
77
Atlante marino
123
Postfazione
Seconda Edizione
Marzo 2012