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Verona Quinta Parete www.quintaparete.it cultura e società mensile on-line Diretto da Federico Martinelli Anno II - n. 12 - Dicembre 2011 Fotografia Musica Viaggi Camera Work L’altra Sanremo Torino e dintorni A Berlino, appassionati della fotografia e non, non possono mancare di vedere questa galleria Premio Tenco 2011, una manifestazione canora “alter ego” di quella che tutti conoscono Ai piedi dei monti alpini lungo il Po si stende la città più misteriosa d’Italia e forse del mondo a pagina 12 a pagina 3 alle pagg. 28-31 Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve di Valeria Giarola © STEVE SCHAPIRO, MARTIN LUTHER KING Al Cinema Teatro San Massimo inedito appuntamento danzante Verona e il flamenco di Chiara Guerra e Rossano Tosi Avete voglia di una ventata Andalusia? L’occasione irripetibile per dimenticarsi del gelo invernale è domenica 4 dicembre presso il Teatro San Massimo (VR) dove la compagnia Flamenco Caracoles presenta “Proxima parada: Calle flamenco Dos”. Lo spettacolo vedrà la partecipazione dei solisti e coreografi Chiara Guerra e Rossano Tosi, accompagnati dalla voce di José Salguero, dalla guitarra Antonio Porro, dal cajon Paolo Mappa, con la partecipazione del corpo di ballo formato da 5 ballerine. Dichiarato Patrimonio Culturale dell’Umanità nel novembre del 2010, il flamenco è considerato come ballo popolare spagnolo. Le sue radici sono molto antiche, anche se la sua origine etimologica non è ancora stata chiarita del tutto. In Orìgenes de lo flamenco y secreto del canto jondo, Blas Infante ipotizza che questa danza derivi dalla parola ispano-araba flamenco, ovvero contadino senza terra; altri ipotizzano che abbia a vedere con le Fiandre, ritenute la terra d’origine degli zingari, altri ancora da flameante (ardente) esecuzione degli artisti. Il flamenco è una tecnica dalle mille sfaccettature, i palos, ovvero gli stili musicali sono più di 50, alcuni prevedono la presenza di chitarra, canto e ballo, altri solo canto, altri solo canto e chitarra, ma senza ballo. In quest’occasione assisteremo ad uno spettacolo dove musica e danza si intrecceranno animatamente regalando momenti coinvolgenti. Chiara Guerra, coreografa e ballerina dello spettacolo assieme a Rossano Tosi, ci descrive il flamenco in una parola: anima. La sua passione per questo genere di danza, diventa professione appena dopo l’esame di maturità, quando appena maggiorenne fa le valige, direzione: Jerez de la Frontera, da sempre centro importantissimo per la cultura del flamenco e che ospita ogni anno festival e ferias più importanti in materia. Una disciplina, che come tutta la danza richiede ore di intenso lavoro e passione per l’arte, la musica e il movimento. Ispirata da inquietudini, malinconia e nostalgia, Chiara Guerra e Rossano Tosi anche in questo appunta- mento invernale svilupperanno uno spettacolo che vi coinvolgerà e appassionerà. Un’occasione anche per sfatare quello stereotipo che stigmatizza il flamenco come: “quel ballo che si balla con la rosa in bocca!!! Ma il flamenco è quello dove si battono i tacchi???” (Cit. intervista a Chiara Guerra) Occasione irripetibile per vedere sul palco una danza spettacolare, intrigante e coinvolgente…e se volete un assaggio: ht t p://w w w.yout ube.com/ watch?v=gzxsgMtxIi8 Informazioni Inizio spettacolo ore 21:00 Costo d’ingresso: 12 € Info e prevendite: Cinema Teatro San Massimo, via Brigata Aosta, 8 Tel.: 045 8902596 Verona è 2 Musica Quinta Parete cultura e società Novembre 2010 Dicembre 2011 Società 13 Vi diremo qualsiasi cazzata vorrete sentire NonTommasoli vado [email protected] al cinema, la vita è troppo breve di Silvano Segue dalla prima Sono in video, ergo sum Tutti vediamo la volgarità del Grande Fratello, ma nessuno ne parla Biografie dei protagonisti ballerino solista al Festival di danza di Friburgo con la compagnia Laura Farret Jimeno; nello stesso anno è in turnè in Giappone con la compagnia di Mara Terzi. Nel 2007 è di Omologati in TV. Peggio, omoge- pugni con un minimo di eleganza programma, non ha mancato sullo schermo televisivo ospite, in una puntaneizzati. No, non mi riferisco ai e di buon gusto? Oddio, non è che proporre una selezione –tamammadedicata al flamenco e all’Andalusia, del gli di viaggi su La7 “Come Thelma programmi televisivi, che sem- siano tanto più signorili gli autori mia! Una selezione… Chissà programma quasi nesbrano tutti “fatti con lo stampino” della trasmissione, che ricordano a altri! – dei provini, dove & Louise”. Nel 2003 è il Torero della “Carha da almeno dieci anni, peggio an- ogni piè sospinto il premio finale di suno dei candidati, per esempio, men”, presentata dalla compagnia Arte Dansensata, o il teatro S. Domenico di Crema. cora dei vari telegiornali che sono alcune centinaia di migliaia euro, saputo dare una rispostaza 95 presso come fosse l’unica molla a spingere almeno non insensata, alla proprio tutti uguali. richiesta Insieme all’attrice Pilar Perez Aspa e al chiSto parlando dei concorrenti del questa variopinta umanità a di dichiarare il proprio “tallone di tarrista Antonio Porro, partecipa a “El DunGrande Fratello, tutti conformi a un esporre le proprie miserie alla vista Achille”. de”, spettacolo presentato per la prima volta modello standard tristissimo, quello di qualche milione di guardoni. E A ben pensarci, coloroallache ne rassegna “La rosa dei venti”, VII edidella volgarità estrema. Sì, la volga- qui cominciano le rogne vere, per- escono meno peggio sono proprio zione del festival dell’Argentario e nel 2009 Perché rità dei gesti, delle parole, degli at- ché sarebbe necessaria una com- i reclusi del Grande Fratello. balla con la compagnia Arte y flamenco per Ab- di Zeffirelli all’Arena di Verona. teggiamenti è il denominatore missione di psicologi, sociologi e fanno pena, fino alla tenerezza. la Carmen diventare comune che unisce, tra loro, quasi antropologi per cercare di capire bagliati dal miraggio di Dal ’98 unisce la passione di ballerino alla sacco di di insegnante di tecnica, coreotutti i reclusi della “casa”. E li uni- che cosa possa indurre alcuni mi- Vip, e di guadagnare unprofessione fino adel unflamenco, nacchere, danza spagnosce anche alla presentatrice, Alessia lioni di persone normali ad abbrut- quattrini, si prostituisconografia a gambe sempre aperte Marcuzzi. Ma tire il proprio spirito davanti alle punto di non ritorno, rimanendo la sia a bambini che ad adulti. (val. gia.) Vita e carriera di Chiara Donizzetti Bergamo.marchiati Nel 2004 la ritroa vita da quel suffisso – dei di“ragazzi possibile che nessuno abbiaGuerra: mai incredibili esibizioni viamo Carmen svizzera di appunto – “del Grande Fratello” la con solitalavoglia di nell’arena fatto notare a questa povera ra- della casa”. Forse Nata a Verona nel 1979, a 7 anni inizia a stuAvenches , dove balla insieme alla compagazza – addirittura capace la scorsa sentirsi migliori? che li accompagnerà per tutta la diare danza classica presso il “Laboratorio gnia fortunatamente, “Flamencos en route” Brigitta Luisa A farci respirare, edizione di sedersi sul pavimento vita.diPochi finora hanno avuto la Danza Verona” e conseguendo il diploma di Merki. Nel 2009 è impegnata in una tourneè dello studio, sempre rigorosamente c’è la Gialappa, che non ne lascia capacità di affrancarsene, e di far nel 2006. Oltre alla danza clasitaliana con “DossiaAlmas” presentato dal-squallida oria insegnante gambe aperte, dimenticare questa passare una sia alla conduttrice spalancando sica studia danza moderna, contemporanea la compagnia “Flamenquevive” di Gianna un’ampia panoramica sulle propria ai concorrenti. Di più, per farci ca- gine mediatica. Per tutti, Luca Are tip-tap.intima – che, in video, pire il livello di Raccagni. inoltre ballerina delche si possono e pochi altri squallore Dal (o di2000 cru- è gentero; biancheria A 12 anni si avvicina al flamenco e dal 1996 quartetto “Mediterranea”, spettacolo che una sola mano. assume delle posture che fanno a deltà?) dell’ufficio casting del contare sulle dita diha ogni anno va in Spagna per studiare con i riscosso grande successoNon nellaritengo Penisola, ispisia indenne da questo maestri andalusi, la Chiqui de Jerez, Ra- rato a Garcia Lorca. baratro di volgarità l’editore di che, di fronte a questo osanna alla faela Carrasco, Javier Latorre a Sevilvolgarità, comincio a capire quella tanto spettacolo. la e Jerez de la Frontera e con Ciro, Ma- Vita e carriera di Rossano Tosi:chiedergli – se mai fosse per- striscia di carta bianca, incollata, ai Vorrei nuel Reyes, Carmela Greco, La China, sona abituata a rispondere alle do- tempi della mia adolescenza, sui Adrian Galia, a Madrid, presso l’accade- Si appassiona allo studiomande del flamenco in Ita-contento di far manifesti e le locandine dei film e – se sarebbe mia Amor de Dios. Dal 1996 è insegnante di lia con Elena Vicini e Maria José Leòn Soto. assistere i suoi figli adolescenti, o i degli spettacoli più “sconvenienti”, flamenco e tiene corsi sia per bambini che per Trasferitosi a Madrid, sisuoi perfeziona all’Accanipoti, a una porcheria simile. che prescriveva «V.M. di 16 anni». adulti. demia de flamenco y danza espanola “Amor Ma forse conosco la risposta, diret- Forse, adesso, sul cartellone del La sua carriera vanta partecipazioni impor- de Dios”. Partecipa a numerosi stages a Jerez Grande Fratello si dovrebbe scrivere tamente ispirata dal dio denaro. tanti nel mondo della danza: nel giugno 2001 de la Frontera e SivigliaMi e nel mentre approsono sempre ribellato a ogni «V.M. di 99 anni»… è in tournè in Giappone con la compagnia fondisce anche la danzaforma classica, moderna e espressione Per continuare con il giro di volgadi censura, come “Alborea”, che presenta “Carmen” e sem- contemporanea. Il suo curriculum vanta nudella più proterva volontà di an- rità e stupidità sui media di oggi, vi pre con la stessa compagnia balla al Teatro merose partecipazioni importanti: nel 1999 è il senso e la rimando all’ultima pubblicità di nientare, nella gente, capacità di critica. Ma devo dire Marc Jacobs. Ma tenetevi forte, eh! Progettazione e realizzazione web Realizzazione software aziendali Web mail - Account di posta Via Leida, 8 37135 - Verona Tel. 045 82 13 434 www.ewakesolutions.it Musica Dicembre 2011 3 Ne hanno viste di cose, questi occhi di Paolo Corsi Ecco la buona canzone d’autore: sensazioni dal Tenco 2011 L’altra Sanremo Il teatro è uno dei più famosi, sicuramente il più noto al popolo televisivo, così come la città che lo ospita. Si tratta del mitico Teatro Ariston di Sanremo, dove per una settimana all’anno, attraverso la televisione, entra quasi tutta l’Italia, a celebrare l’evento mondano per eccellenza: il festival della canzone italiana. Ma questa volta il festival è un altro, quello della canzone d’autore del Club Tenco. Sembrerebbe quasi un caso di omonimia, ma la differenza tra le due manifestazioni è sostanziale. Il Tenco è una sorta di figlio minore, che solitamente non finisce sotto i riflettori, anche se, a ben guardare, dovrebbe essere quello l’evento canoro per eccellenza, se la protagonista fosse la qualità della produzione, non solo italiana, della canzone d’autore. E invece il “Tenco” rimane una manifestazione poco parlata, che guadagna si e no qualche trafiletto sulla stampa nazionale. Quest’anno la 36a edizione ha addirittura rischiato di saltare a causa del taglio del 60% dei finanziamenti. Per carità, i tempi sono duri ed è comprensibile che si cominci con il rinunciare al “superfluo”, ma prima di definire ciò che davvero è superfluo, sarà interessante vedere se la stessa parsimonia verrà messa in atto tra qualche mese, quando il rito si ripeterà con ben altra pompa. Ci è voluto un contributo straordinario della SIAE, una volta tanto vista di buon occhio dai fruitori di proprietà intellettuale, e soprattutto la caparbietà di un gruppetto di organizzatori, il Club Tenco appunto (tra essi il veronese Enrico De Angelis), che non se l’è sentita di rinunciare proprio quest’anno, nella ricorrenza del centesimo anniversario della nascita di Amilcare Rambaldi. Quell’Amilcare cantato da Paolo Con- te nella canzone che presta il titolo a questa edizione: “robe di Amilcare”, appunto. L’Amilcare inventore di questo festival e riferimento per generazioni di giovani e promettenti talenti, che grazie al Tenco hanno avuto la meritata visibilità e, a vario titolo, il loro successo. Bastano pochi nomi di artisti legati al “Tenco” ed alla figura di Rambaldi in particolare, per dare l’idea di cosa stiamo parlando: da Fabrizio De Andrè a Francesco Guccini, da Paolo Conte a Roberto Vecchioni, solo per dirne alcuni tra i più noti al pubblico italiano. Da questo festival è passato il gotha della canzone d’autore internazionale, quella canzone che è un artefatto di qualità, a partire dalla forma e dai contenuti dei testi, fino alla musica, veicolo privilegiato dei pensieri e delle emozioni. Non proprio la stessa cosa della meglio nota manifestazione invernale, dove la qualità delle canzoni è un fatto del tutto secondario, poiché il loro successo si basa molto su fattori extramusicali, e dove il fine ultimo è la commercializzazione ed il profitto. E pensare che tra i suoi ideatori vi fu proprio Amilcare Rambaldi. Un “errore di gioventù”, per dirla con lui, o forse un’esperienza utile a correggere poi il tiro. Paradossalmente, la mancanza di fondi che quest’anno ha imposto un ridimensionamento alla manifestazione, l’ha anche riavvicinata a quello che era stato il suo spirito originario: un’essenzialità che va molto d’accordo con la qualità. Anche se è un vero peccato privarsi della sigla (quella “Lontano, lontano” di Tenco, cantata ogni anno da un artista diverso), come è un peccato la riduzione degli incontri pomeridiani ad una sola occasione (anche se con l’autentica “chicca” del cortometraggio su Rambaldi) e i momenti di fine serata, riservati solo all’ultima del sabato. Infine niente “Il Cantautore”, l’interessante programma di sala caratteristico di ogni edizione. Con questi presupposti era chiaro che l’Ariston non si sarebbe presentato tutto agghindato come lo si vede in televisione, ma non ci si aspettava di trovarlo così spoglio. Nessuna, ma proprio nessuna, scenografia: il fondale non è un neutro telo nero, ma il retro palco nudo e crudo, con tanto di saracinesche per l’ingresso delle scene, corde, scale, paranchi e finestroni che danno sulla piazza retrostante. Il pavimento del palcoscenico è percorso da metri di cavi fissati con il nastro adesivo, che collegano casse, microfoni e strumenti, mentre un gruppetto di instancabili tecnici li sposta e maneggia in tempo reale per le esigenze degli artisti che si susseguono. Eppure è difficile concepire un allestimento più bello e più appropriato di questo. Tra i tanti artisti ce n’è qualcuno di richiamo (Edoardo Bennato, Vinicio Capossela, Luciano Ligabue, a cui è andato il Premio Tenco, assieme a Jaromir Nohavica), ma i più sono giovani cantanti e musicisti di talento, che ancora non si sono affacciati alla grande ribalta della musica leggera (cosa, del resto, che non pare nemmeno interessi loro più di tanto). L’obiettivo principale è fare musica, coltivare una passione che ha già influenzato le loro scelte e condizionato le loro vite. Li conosciamo nelle conferenze stampa del mattino, dove parlano di sé con semplicità, raccontando la loro passione. Sembra di stare in una grande famiglia, dove la gente si conosce, artisti, giornalisti, semplici appassionati, e condivide un comune sentire. C’è una simpatica complicità tra chi presenta, chi intervista, chi fa le domande (per lo più degli appassionati che per combinazione fanno anche i giornalisti) e gli artisti. Ed è un’atmosfera che si respira anche in teatro. Unico denominatore comune: la musica fatta bene. Il festival della canzone d’autore è un’esperienza che merita di essere vissuta, ma soprattutto è una realtà che merita di essere sostenuta, perché la buona canzone d’autore ci fa buona compagnia, ci arricchisce, divenendo talvolta la colonna sonora di tanti nostri momenti. 4 Teatro Dicembre 2011 Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve di Michele Fontana È giunta alla 26 ma edizione l’importante rassegna teatrale della bassa veronese Teatro San Giovanni: importanti attori e comici in scena Prosegue nel mese di dicembre la 26ma edizione di “Teatro San Giovanni” presso il Cinema Teatro Astra di San Giovanni Lupatoto. La rassegna, organizzata dall’associazione “Il Canovaccio”, da Arteven e dal Comune di San Giovanni Lupatoto, prevede diciassette spettacoli con importanti interpreti del panorama teatrale italiano e rappresentazioni che uniscono la cultura alla qualità e che, grazie alla varietà di opere messe in scena e di tematiche affrontate, possono avvicinare in maniera maggiore il pubblico al teatro. Il mese di dicembre ha aperto i battenti con Marina Massironi, apprezzata attrice già protagonista di molte pellicole cinematografiche, che ha proposto il suo spettacolo “La donna che sbatteva nelle porte” di Roddy Doyle, per la regia di Giorgio Gallione. Romanzo che affronta tematiche quotidiane e racconta la storia di una donna, attraverso un monologo recitato dalla protagonista, dal quale affiorano tutte le sue sensazioni e i suoi stati d’animo e dove lo sbattere la testa nelle porte nasconde un disagio interiore e un mondo di violenze vissute. Venerdì 9 dicembre sarà la volta di “Balera paradiso”, regia affidata ad Alberto Bronzato con la collaborazione di Ric- cardo Pippa. Lo spettacolo ha l’obiettivo di raccontare la vita attraverso la gestualità del corpo, la musica e i suoni, per una rappresentazione originale dove ogni attore metterà in scena un personaggio raccontando aneddoti, momenti di vita e ricordi che avrebbero potuto popolare una balera di provincia dagli anni Trenta agli anni Settanta. Verranno ripercorsi, attraverso gli interpreti, i vari momenti storici che hanno contraddistinto la nostra civiltà: dalla seconda guerra mondiale al boom economico, vissuti all’interno della balera, che rappresenta il luogo di aggregazione dove le varie vicende dei protagonisti si intrecciano. Appuntamento pre-natalizio sabato 17 dicembre, per uno spettacolo carico di senso dell’umorismo e divertimento. I protagonisti saranno infatti i comici emergenti di Zelig e Colorado, quali Omar Fantini, Luca Klobas, Cristian Calabrese, Diego e Paolo, Terenzio Traisci, Cani e Porci, Andrea Zappacosta, il Grezza, Gnollo, Giuseppe Forte, accompagnati dalle ballerine di Punto in Movimento/Shiftingpiont. Modo migliore per augurarsi un buon natale non poteva esserci, infatti lo spettacolo si preannuncia ricco di momenti esilaranti, capaci di infondere il buon umore negli spettatori e un clima di allegria e leggerezza portato in scena dagli attori attraverso gag, battute, musica e balli che si mescolano offrendo uno show sicuramente gradito. visita il sito internet di “Verona è” www.quintaparete.it Teatro Dicembre 2011 Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve di Caterina Caffi Il palcoscenico offre grandi spettacoli per dicembre e Natale. E i regali non finiscono Al Camploy un’inverno ricco di sorprese! Dopo aver sognato insieme allo cente burla. zio della favola di Mary Cha- Venezia, 1755. “L’uso ore 21.00 marzo de’ fornaioreche 21.00vanno se “Harvey”, uomoSabato nel 31 quale ore 16.30 Domenica 1 aprile ore 16.30 avvisando il fanciullino pascoliano era per la città Assessorato alla Cultura Modus Vivendicol loro fischio alle case sopravvissuto ed aveva permesso che il suo amico immagina- l’ora di fare il pane, per infornarlo a suo tempo, rio, il grande coniglio bianco, di Adriano Mazzucco lle verità) è cosa specialissima continuasse a vivere Regiaaccanto di Adriano Mazzucco a lui, torniamo a teatro saba- del paese. Tale è parito 10 e domenica 11 dicembre menti la costumanza per assistere a una diverten- delle serventi ordinaSabato 14 aprile 21.00 ore 21.00 comunemente commedia ambientata nel rie, dette ore 15 aprile ore 16.30 te Massere,oredi16.30 avere la 1500, intitolata Domenica “Margarita Trixtragos e il Gallo” e portata in scena giornata di libertà in dalla regista Laura Mistero e occasione del carnevadalla compagnia Verbavolant. le; ed è un divertimento di Henrik Ibsen singolare de’ giovanotti Fiorite proprio nel Regia secolo delle Messina di Nunzia arti ad ornamento del giardino di questa città tratterinascimentale, le tipografie nersi in divertimento Programmazione conobbero una diffusione ca- con questa sorta di gente.” È lo stesso Goldoni pillare in particolare a Venezia Stagione 2011-2012 ore 21.00 Compagnie amatoriali a parlare, nella prefae Firenze. Ed è proprio nella ore 16.30 città medicea che vive e lavora zione alla sua opera il tipografo Annibale Guenzi, “Le Massere”, scritta la cui attività però non riesce e rappresentata nella ad avere successo; il suo sogno Venezia del 1755, che è quello di diventare tipografo verrà riproposta sabato di corte e lui potrebbe ottene- 17 e domenica 18 dire quel ruolo prestigioso grazie cembre. La commedia alla raccomandazione del Vi- porta in scena una fansconte Morello, che in cambio tasmagoria di uomini e del favore gli chiede di giacere donne che nel teatrino con sua moglie Bianca. Sosti- veneziano parlano di tuita la donna con la servetta un frammento di vita Margarita, che Annibale pensa quotidiana, di una vita segnata dal rintocco di ignorante ragazzettaDipinti di campadi Sergio Piccoli gna, egli crede di poter beffare una campana e del riil Visconte ma la ragazza, figlia chiamo dei fornai alla di una strega, con un incante- porta. Nel rifacimento simo scambia il suo corpo con della compagnia La Pocosta- sale sul palcoscenico senza che quello del padrone mettendo in bile e della regista Lucia Rui- i suoi attori cambino d’abito o scacco il Visconte e Annibale na Peretti s’annusa il profumo passino dal camerino per rifarstesso e creando un gioco più di goldoniano attraverso il quale si il trucco. Vanno bene così, perversa malizia che di inno- la vita esce dalle case venete e con i loro occhi cerchiati e le me prestito to moier? Aprile 2012 te ? 5 Un nemico del popolo mani infarinate, con la loro schiettezza e bonaria volgarità. Il nuovo anno comincia il 5 e il 6 gennaio al teatro Camploy, e i residui dei giochi pirotecnici fluttuanti nell’aria, diventano le maschere dei carnevaleschi protagonisti della fiaba che ci astrae dal tempo e ci conduce nel castello avvolto dall’incantesimo dove, nella notte dei tempi, una fata trasformò un principe in bestia e i suoi domestici in armadi, pentole, scope, teiere, candelabri, porta-cappelli e poggiapiedi. La Compagnia dell’Arca riprende la storia di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont “La bella e la Bestia (una nuova storia d’amore) e la trasforma in armonioso intreccio di teatro, musica, acrobatica, armoniosamente legati tra loro in un spettacolo che vi lascerà senza fiato e nel quale la fiaba che incantò i bambini di ogni generazione torna ad affascinare e a dare messaggi di un amore che va al di là di ogni apparenza e pregiudizio, di un amore disinteressato che supera le barriere e unisce gli opposti, un amore gratuito e puro capace di tutto. Teatro Camploy www.amicidellacattolica.com 6 Teatro Dicembre 2011 Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve di Francesco Fontana Atteso dal 13 al 18 dicembre lo spettacolo con protagonista Franco Branciaroli Il Grande Teatro presenta Servo di scena Prosegue al Teatro Nuovo di ficoltà, in una rappresentazione Verona la rassegna “Il Grande molto “british”, dotata dei tipiTeatro”. Dal 13 al 18 dicem- ci connotati della narrazione bre si potrà assistere all’opera shakespeariana. L’opera è amdi Ronald Harwood Servo di bientanta nel 1940, durante la scena, con protagonista il cele- seconda guerra mondiale. Nel bre attore Franco Branciaroli, mezzo dei bombardamenti a anche regista dello spettacolo. Londra una compagnia teatraAltri interpreti dell’opera sa- le, nonostante le difficoltà della ranno Tommaso Cardarelli, guerra, si appresta a mettere Lisa Galantini, Melania Giglio, Valentina Violo, Daniele Griggio e Giorgio Lanza. Servo di scena è un testo teatrale di Ronal Harwood, famoso drammaturgo e sceneggiatore sudafricano, che nel 2003, grazie al film Il pianista, si è aggiudicato il Premio Oscar alla migliore sceneggiatura non originale. I temi affrontati nell’opera sono la tenacia e l’attaccamento incondizionato al mondo del teatro, anche di fronte a momenti di dif- L’attore Franco Branciaroli in scena il Re Lear di William Shakespeare. Sir Ronald, interpretato da Branciaroli, è un vecchio attore shakespeariano che, a causa di un malore, vuole rinunciare all’imminente rappresentazione. Il protagonista, in un momento di grande confusione e sconforto che lo porta persino a dimenticare le battute da recitare, è sostenuto però da Norman, il suo fedele servo di scena, che lo sprona a non rinunciare alla passione per il teatro nonostante le grandi difficoltà. L’incoraggiamento di Norman sembra funzionare, ma quando tutto pare risolto sopraggiungono altri impedimenti. Avendo perso ogni speranza e sentendosi vicino alla morte, Sir Ronald consegna al fidato servo una sorta di testamento spirituale, dove ringrazia tutti i componenti della compagnia per il lavoro svolto. Il finale lascia molto spazio all’immaginazione. Nei ringraziamenti non viene riportato il nome di Norman, concedendo a ognuno la possibilità di interpretare in modo personale la motivazione della scelta. Vuoi pubblicizzare la tua attività sul nostro giornale o sul sito internet? Contattaci! [email protected] cell. 349 6171250 Fotografia Dicembre 2011 7 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione di Michela Saggioro Dagli archivi dell’Agenzia Magnum al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri un’esposizione che punta dritta al cuore Magnum sul set, mostra fotografica delle foto che hanno fatto la storia del cinema Cinema e fotografia è un binomio inscindibile sin dagli esordi della settima arte, ben rappresentato dalla mostra fotografica Magnum sul set, aperta fino al prossimo 29 gennaio 2012 al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri (Cortile del Tribunale). La rassegna, curata da Andréa Holzherr e Isabel Siben, ospita 117 immagini scattate dai fotoreporter dell’Agenzia Magnum sui set di 12 tra i più grandi capolavori della storia del cinema. Tra essi Le luci della ribalta di Charlie Chaplin, Quando la moglie è in vacanza di Billy Wilder, Gioventù bruciata di Nicholas Ray, Improvvisamente l’estate scorsa di Joseph L. Mankiewick, La battaglia di Alamo di JohnWayne, Il processo di Orson Welles, Gli spostati e Moby Dick, la balena bianca, entrambi di John Huston, Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, Il pianeta delle scimmie di Franklin J. Schaffner, L’importante è amare di Andrej Zulawski e Morte di un commesso viaggiatore di Volker Schlöndorff. L’Agenzia Magnum è una tra le più importanti agenzie fotografiche del mondo, fondata nel 1974, per proteggere il diritto d’autore e la trasparenza dell’informazione, dai «big» del settore, come Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, Maria Eisner, Rita Vandivert, Elliott Erwitt, Burt Glinn, Dennis Stock e Bruce Davidson. Il percorso espositivo è un imperdibile appuntamento per tutti gli appassionati di fotografia e cinema ed è tratto dall’esteso archivio storico frutto del legame artistico che i «paparazzi» dell’agenzia intrattengono con i registi dal secondo dopoguerra in poi. Magnum sul set è aperta al pubblico da martedì a domenica dalle 10 alle 19, mentre il giovedì dalle 10 alle 21: tutti i giovedì alle 18 e la domenica alle 11 viene organizzata una visita guidata gratuita. Inoltre, in occasione dell’esposizione, il Comune di Verona organizza alcuni incontri con esperti in Sala Farinati della Biblioteca Civica di Verona (Via Cappello, 43): il 14 dicembre alle 16 Paola Palma presenta Luci della Ribalta, il 21 dicembre alle 16,30 Adamo Dagradi commenta Il pianeta delle scimmie, l’11 gennaio alle 16,30 Alberto Scandola illustra Gioventù bruciata, il 18 alle 16 Mario Tedeschi Turco propone La battaglia di Alamo e a seguire il 25 gennaio Paolo Romano presenta Moby Dick, la balena bianca. L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti. La fotografia con Marylin Monroe che fa da manifesto alla mostra All’insegna della solidarietà «Molto più di un pacchetto regalo», l’iniziativa natalizia di Feltrinelli e Mani Tese - Onlus Il ricavato delle offerte per gli incarti realizzati dai volontari andrà a favore dei progetti d’istruzione per migliaia di ragazzi di strada del Brasile e Guatemala Per il quarto anno consecutivo, dal 1 al 24 dicembre nelle librerie Feltrinelli, i volontari dell’associazione benefica Mani Tese propongono incarti natalizi in cambio di un’offerta a favore del progetto «Molto più di un pacchetto regalo». Il ricavato dell’iniziativa servirà alla Onlus per sostenere la campagna “Dalla strada alla scuola” promuovendo l’istruzione dei ragazzi che vivono nelle periferie del Brasile e del Guatemala e offrendo loro l’opportunità di un riscatto sociale. Secondo le ultime stime di Mani Tese si calcola infatti che ad oggi il numero di minori abbandonati a se stessi possa variare da 100 a 150 milioni nel mondo; in particolare in America Latina sono all’incirca 15 milioni. Le cause dell’abbandono familiare sono le più svariate: conflitti, abusi, la mancanza di politiche sociali adeguate, la cattiva distribuzione del reddito e la povertà estrema. Per i bambini e ragazzi senza guida né protezione, alla mercè della sorte, vittime della miseria, abbandonati della società in generale, l’unica possibilità di salvezza sono le attività di recupero. Di questo si occupa dal 1964 la Onlus, che proprio attraverso proposte educative aiuta questi ragazzi a creare un vero e proprio progetto di vita, personale e continuativo. L’iniziativa natalizia «Molto più di un pacchetto regalo» è un bel gesto che tutti noi, assieme a Feltrinelli e Mani Tese, possiamo fare per creare un futuro migliore ai milioni di ragazzi di strada di tutto il mondo! (mic. sag.) 8 Arte Dicembre 2011 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione di Isabella Zacco Al Palazzo della Gran Guardia, fino al 9 aprile 2012 Il Settecento a Verona. Tiepolo, Cignaroli, Rotari. La nobiltà della pittura Dopo il successo della rassegna dedicata a Corot e all’arte moderna, nel 2010, il Palazzo della Gran Guardia ha da poco aperto i battenti ad un nuovo grande evento artistico, che questa volta si rivolge al secolo dei lumi, il 1700, così come Verona lo ha espresso artisticamente, nella sua ricchezza e varietà di opere, e che ha rappresentato per la città un decisivo momento di crescita culturale, testimoniato anche dalla rete di prestigiosi committenti internazionali, come principi e nobiltà di Polonia, Sassonia e Baviera, che richiesero opere veronesi per le loro residenze. La mostra, curata da Fabrizio Magani, Paola Marini e Andrea Tomezzoli, sotto il patrocinio del Comune di Verona, con l’Assessorato alla Cultura e il Museo di Castelvecchio, e la collaborazione della Sopraintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, espone 150 opere, tra dipinti, disegni, documenti e stampe, di maestri come Tiepolo e dei suoi contemporanei Bellotto, Rotari, Cignaroli, opere provenienti dai più grandi musei italiani e stranieri, il Louvre di Parigi, il Prado di Madrid e l’Ermitage di Pietroburgo, solo per citarne alcuni. I curatori hanno selezionato quanto poteva esprimere al meglio la cultura e l’arte della Verona del tempo, sottolineando soprattutto l’autonomia ed originalità della città scaligera rispetto alla vicina Venezia. Tra i protagonisti della rassegna, Pietro Antonio Rotari, definito “il pittore della corte russa” per il suo lungo soggiorno artistico alla corte degli Zar, e Giambettino Cignaroli, Fondatore dell’Accademia di pittura che porta il suo nome; modernità e innovazione in- agli occhi dei visitatori e verrà poi collocato presso la Tomba di Giulietta. In concomitanza con la mostra sono previsti itinerari alla scoperta dell’arte sacra presso chiese, palazzi storici e ville della città, come Palazzo Emilei Forti e Palazzo Salvi Erbisti, opere spesso sconosciute al grande pubblico. Infine, presso il Museo Archeologico del Teatro Romano, è stata allestita una mostra che mette in luce la fervida attività di scavi, collezionismo e studio delle antichità romane presente a Verona nel ‘700. Tale mostra rappresenta un’ottima occasione, per veronesi e turisti, per conoscere uno dei musei più affascinanti della città. A lato “Alessandro e Rossane” di Pietro Rotari. In basso “Pomponio II riceve gli onori trionfali in Campidoglio” di Giambettino Cignaroli trodotte da questi due giganti dell’arte veronese nella cultura classica del tempo sono stati patrocinate e promosse da un altro grande veronese del tempo, Scipione Maffei. Nello snodarsi delle varie sezioni della mostra, un posto di primo piano è dedicato ai vedutisti, tra cui Giambattista e Giandomenico Tiepolo. Del primo, in particolare, la mostra riserva al suo pubblico una “sorpresa” tecnologica. La ricostruzione virtuale del soffitto affrescato nel 1761 da Giambattista Tiepolo per Palazzo Canossa, danneggiato durante la seconda guerra mondiale; nell’aprile del ’45, infatti, l’esplosione del ponte di Castelvecchio aveva fatto crollare il “Trionfo di Ercole”, la più famosa opera d’arte veronese del ‘700. Oggi quel gioiello è possibile rivederlo grazie appunto a tecnologie che lo riportano virtualmente Arte Dicembre 2011 9 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione di Michela Saggioro Un prezioso intreccio di opere cinquecentesche, fino al prossimo 12 febbraio 2012 Il Rinascimento a Roma, nel segno di Michelangelo e Raffello Grande numero di visitatori nei primi giorni d’apertura dell’esposizione Il Rinascimento a Roma, che rimarrà aperta fino al prossimo 12 febbraio al Museo Fondazione - Palazzo Sciarra di Roma. Protagonista assoluto della retrospettiva è il Cinquecento romano, un’era memorabile nella storia dell’arte durante la quale il mecenatismo di papi lungimiranti, come Giulio II della Rovere, Leone X de’ Medici e Paolo III Farnese, attirò in città maestri come Michelangelo e Raffaello. La Città dei Papi viene descritta come un luogo fondamentale d’incontro, ispirazione e scambio d’idee per gli artisti: la mostra spazia attraverso 180 sculture, dipinti, disegni, incisioni e medaglie, riuscendo ad intrecciare in un’unica linea storicoculturale gli aspetti artistici e architettonici del Cinquecento nell’Urbe. Le sette sezioni sono dedicate a diverse tematiche, tra cui La Roma di Giulio II e Leone X, Il Rinascimento e il rapporto con l’antico, La Riforma di Lutero e il Sacco di Roma, I fasti farnesiani, La Basilica di San Pietro, La maniera a Roma a metà secolo e gli arredi. Nelle sale spiccano per bellezza i capolavori di Raffaello, quali l’Autoritratto e il Ritratto di Fedra Inghirami, e di Michelangelo, come l’Apollo-Davide proveniente dal Museo Nazionale del Bargello, oltre a numerose opere d’arte di artisti coevi, come Sebastiano del Piombo e Francesco Salviati. Tra le particolarità esposte anche capolavori antichi, come la Statua di Afrodite accovacciata e il Dioniso ed Eros, che dialogano con le opere moderne a testimoniare quanto l’antico favorì la radice vitale del momento artistico cinquecentesco, divenendo fonte di ispirazione per alcuni e di emulazione per altri. Per non scordare le “chicche” dell’esposizione, tra cui la Pietà di Buffalo (Usa) attribuita a Michelangelo, esposta dopo il restauro realizzato dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma, e le suggestive ricostruzioni virtuali in 3D della meravigliosa Loggia di Amore e I volti, le tonalità e le forme tipiche del grande periodo artistico in esposizione Psiche della Farnesina, l’antica Villa affrescata dalla scuola di Raffaello e della Cappella Sistina di Michelangelo. Tutte le opere esposte confermano al visitatore quanto ricco fu il ‘500 romano, che prese avvio dal pontificato di Giulio II (1503-1513) per arrivare al 1564, anno della morte di Michelangelo, che seguì di poco la conclusione del Concilio di Trento nel 1563. Questa data suggellò un’epoca aprendone contemporaneamente un’altra all’insegna di quella Controriforma che, reagendo alla Riforma protestante, portò a un radicale mutamento del clima sociale, culturale e artistico in tutto il Vecchio Continente. Il fortunato avvicendarsi al soglio pontificio di illustri e grandi mecenati e la concomitante presenza a Roma di Michelangelo e Raffaello furono la spinta propulsiva del secolo, uno tra i più fiorenti di tutta la Storia dell’arte. Per ulteriori informazioni in merito alla mostra Il Rinascimento a Roma è possibile visitare il sito della Fondazione Roma - Arte Musei (http://www.fondazioneromamuseo. it/it/738.html), che ha organizzato l’esposizione col supporto di Arthemisia Group e Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma. La mostra è stata curata da Marco Bussagli e Claudio Strinati, con il coordinamento di Maria Grazia Bernardini e si avvale di un prestigioso comitato scientifico presieduto da Vittorio Sgarbi. 10 Arte Dicembre 2011 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione di Valeria Giarola Fino al 15 ottobre 2012 appuntamento con l’arte al Palazzo Ducale di Genova Van Gogh e il viaggio di Gauguin Il fil rouge dell’esposizione è il viaggio, che si sviluppa in un percorso emozionale ed emozionante presentandocelo nelle sue molteplici sfaccettature: dallo spostamento geografico, al viaggio introspettivo nell’animo dell’artista, fino scoperta di sé stessi tra inquietudini, angosce e paure. Fulcro della mostra sono le figura di Vincent Van Gogh e Paul Gauguin. Oltre alla fruizione dei quadri, l’osservatore potrà viaggiare dentro ai capolavori: per l’occasione all’interno del Palazzo è stata costruita la riproduzione fedele della camera di Van Gogh all’ospedale di Saint Rémy. Tale stanza è intrisa della poetica del viaggio: appeso alla parete c’è il quadro che raffigura gli stivali del pittore, suoi instancabili compagni di viag- sua poetica, egli intende alla perfezione il viaggio fisico e introspettivo; ne sono testimonianza i venticinque dipinti e i dieci disegni, prestati a Genova dal Van Gogh Museum di Amsterdam e dal Kröller-Müller Museum di Otterlo. Queste tele, questi schizzi ci accompagnano nel viaggio del folle pittore conducendoci dai cupi paesaggi del nord, alla calda luce della Provenza. I paesaggi al loro interno, nascondono sempre l’immagine del pittore: l’artista si cerca e ricerca dentro le sue tele, come prova di autoaffermazione e di riconoscimento/accettazione della propria figura. È un’elaborazione psicologica verso l’analisi di sé stessi. Il covone sotto un cielo nuvoloso, ad esempio, dipinto tre settimane prima che il pittore decise di gio, vissuti, consunti, infangati, che lo hanno condotto dall’Olanda alla Francia. Tra queste quattro pareti ci si può ritrovare il mondo; e allo stesso tempo da qui partono viaggi che fanno immedesimare l’utente alla scoperta di nuovi paesaggi e nuove prospettive. Di fronte alla stanza sono posizionati anche due quadri di Giorgio Morandi, il quale intende il suo viaggio in una maniera complementare, più monacale rispetto all’impeto di Van Gogh. Un paragone, questo, che ci fa intendere le mille possibilità che il binomio arte e viaggio possono regalarci. Tornando a Van Gogh, nella spararsi, racchiude in sé tutte le inquietudini ed è intriso di un sentimento di morte: i colori più cupi e pastosi, il cielo minaccioso che predilige una tragedia incombente, dove si possono scorgere gli occhi spenti del pittore ormai disperato e disilluso. Insieme a Van Gogh il viaggio non poteva continuare senza aver prima trattato un altro grande del secolo XX: Paul Gauguin. A tutti è noto come questa figura si leghi a Vincent Van Gogh: tra i tanti episodi, la leggenda vuole che fu a causa di una lite furibonda tra i due se quest’ultimo si tagliò l’orecchio. Anche Gauguin è nato viaggiatore: già da bambino emigrò con la famiglia in Perù a seguito dell’avvento al potere di Napoleone III. Sfortunatamente, durante la traversata oceanica, il padre muore e la famiglia, dopo il soggiorno sudamericano ritornerà in Francia. Il pittore s’imbarca in seguito, come allievo pilota in un mercantile viaggiando tra Rio de Janeiro e Le Havre; nel 1868 si arruola in marina, ma smobilitato torna a Parigi nel 1871 dove è impiegato nell’agenzia di cambio Bertin. Con una spiccata passione per l’arte, si iscrive all’Accademia Colarossi, dove incontra Camille Pisarro. Nel 1879 vive il suo momento impressioni- sta partecipando alla quarta mostra di tale corrente presentando una scultura. Tuttavia i marcati connotati realistici e il cromatismo ben delimitato e accentuato lo identificano molto poco nella poetica dei trapassi di colore graduali. Nel 1883 Gauguin perde il lavoro a seguito di una grave crisi economica: inizia un altro capitolo della sua vita accompagnato da svariati trasferimenti tra Copenaghen, Parigi e l’Inghilterra. Nel 1886 le vite di Gauguin e Van Gogh finalmente si intrecciano: Gauguin conosce a Parigi Théo, fratello di Van Gogh, che gestisce una galleria nella capitale francese, dove Gauguin espone alcune tele. In queste ormai siamo ben lontani dalle poetiche impressioniste e dopo un soggiorno in Martinica i colori di Gauguin si semplificano. Rifiutando l’invito di Van Gogh che gli aveva proposto di andare a vivere con lui nell’assolata città di Arles, Provenza, Gauguin riparte per Pont-Aven, in Bretagna, affascinato dai suoi scorci selvaggi e primitivi; è qui che conosce Emile Bernard. In questo periodo il colore si appiattisce ulteriormente rievocando le stampe giapponesi, che sono tanto care anche a Van Gogh. Da quest’esperienza nascerà un nuovo periodo per Gauguin: il cloisonnisme, noto anche come sintetismo. Il colore qui si chiude in zone, richia- Arte Dicembre 2011 11 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione mando le vetrate gotiche, dove la stesura del colore avveniva all’interno del filo di piombo, che ne faceva da contorno. Dalla forma al colore tutto si semplifica, mentre gli spostamenti dell’artista si intensificano susseguendosi tra numerosi spostamenti tra la Francia e Bruxelles, fino alla partenza per la Polinesia, dove Gauguin potrà approfondire la pittura primitiva e godere della natura selvaggia. La nuova arte sfocia nel in uno stile simbolista dove la pittura altro non è che un’espressione dell’idea, che si concretizza in forma soggettiva perché modificata dalla mente dell’artista. Tra i tanti quadri che dal 1891 realizzerà a Tahiti c’è Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (1897-98), esposto a Palazzo Ducale. Definito dallo stesso pittore come “opera filosofica su un tema paragonabile a quello del vangelo”, la grande tela vorrebbe rispondere a quesiti assoluti cercando di dare risposte alle domande che assalgono il genere umano. I tahitiani rappresentati incarnano il ciclo, o meglio il viaggio, della vita. Questo quadro dunque centra appieno la tematica della mostra rappresentando il percorso fisico e interiore che ogni uomo deve fare durante la propria vita. Ma l’esposizione non finisce qui. Dopo i due pilastri di Van Gogh e Gauguin, si sviluppano altre due sezioni espositive, la prima dedicata al contesto americano, la seconda a quello europeo. La sezione americana si apre con il viaggio che contempla e tende all’infinito, sulla scia europea del viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich (1818), Edwin Church per l’Est e Albert Bierstadt per l’Ovest, ritraggono la natura americana presentano paesaggi ignoti. Si incontra poi la poetica di William Homer, che insieme ad Edward Hopper sigillano i paesaggi in un mutismo impressionante. Il viaggio, poi, si interiorizza di fronte alle monocromie di Mark Rothko, per concludersi con le mareggiate di Richard Diebenkon, che rievoca i paesaggi burrascosi di Turner. La sezione europea vede troneggiare, a fianco di Gauguin e Van Gogh, i romantici Friedrich e Turner con i loro paesaggi tormentati. In questo caso la dimensione del viaggio è più romantica e nelle tele l’uomo tende a sfidare e ritrarre una natura impetuosa, prediligendo paesaggi tormentati come l’animo umano degli artisti stessi. Non è un caso che Turner, per meglio ritrarre l’incendio di Londra, si fece legare all’albero di una nave per poter dipingere “dall’interno” la furia della natura, per poter assaporare in prima persona il brivido della calamità naturale, per metterti in contatto con noi: [email protected] che è specchio dell’animo artistico. Il viaggio si tranquillizza poi tra le ninfee del giardino di Giverny di Claude Monet, l’esperienza si fa più intima e raccolta, tra evanescenze e luminismi che si dissolvono nell’acqua; Si conclude poi con un’astrazione concettuale del viaggio tra le tele di Wassily Kandinsky. Oltre all’occasione di vedere lo strepitoso quadro di Gauguin, la mostra presenta una collezione che viaggia tra i big del secolo XIX e XX, uno splendido pretesto per viaggiare nel tempo e nello spazio accompagnati da poetiche artistiche ancora molto attuali e intrise di passione per il viaggio. Ogni tela è, oltre a tecnica, una scoperta della psicologia degli artisti. Anche la cornice espositiva contestualizza al meglio la tematica del viaggio: chi meglio di Genova, storica città portuale, caratterizzata da un crocevia di gente e merci frenetico e costante nei secoli, poteva rappresentare contesto migliore? Tra disegni e opere collaterali ai due artisti, la mostra propone autentici capolavori 12 Fotografia Dicembre 2011 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione di Silvano Tommasoli Andiamo a dare “un’occhiata” ad una leggendaria istituzione fotografica La galleria “Camera Work” di Berlino Se vi occupate di fotografia e andate a Berlino, non potete mancare di visitare una delle più interessanti gallerie private. “Camera Work” (www.camerawork.de) è uno spazio interamente dedicato alla fotografia, in un loft su tre piani all’interno del 149 di Kantstraße, nella zona di Charlottenburg. Non lontano dal Museo nazionale della Fotografia, che ha sede nello stesso edificio dove si trova la Fondazione Helmut Newton. “Camera Work” organizza mostre di assoluta rilevanza, come la personale d Steve Schapiro, che si è conclusa lo scorso novembre. Schapiro in “Eroi” – una serie di ritratti in bianco e nero dei principale personaggi che hanno caratterizzato la vita pubblica degli Stati Uniti negli Anni Sessan- ta del XX Secolo – è riuscito a cogliere e a mettere in evidenza l’essenzialità della personalità e tutta la forza del fascino di Muhammad Ali, Andy Warhol, Ray Charles, Martin Luther King, Samuel Beckett, Robert F. Kennedy e di molti altri “eroi” della loro epoca. Così, essi sono consegnati alla storia e alla memoria collettiva del Paese, segnando definitiva- mente quel decennio e tutte le generazioni successive con il loro prestigio. Davanti all’obiettivo di Steve, questi “eroi” non recitano il copione che li ha resi celebri al grande pubblico, ma sono fedeli a loro stessi, dando corporeità e consistenza ai fondamentali del carattere del popolo americano. Steve Schapiro, che vive a Chicago, ha iniziato a lavorare come foto-giornalista nel 1961. Ha seguito la campagna elettorale di Robert F. Kennedy ed è stato il primo fotografo ad arrivare sul luogo dell’assassinio di Martin Luther King. Sue immagini sono state pubblicate su Life, Time, People, NewsWeek, Sports Illustrated e Vanity Fair. appleproducts.tk Apple Products è un gruppo di persone che condividono la passione per i prodotti Apple. Visitateci sul sito internet dove potrete trovare guide, aiuti e molto altro sul mondo Apple. Per una totale accessibilità al sito è necessaria l’iscrizione gratuita al forum. Arte Dicembre 2011 13 Appuntamenti culturali di Isabella Zacco - fotogafie di Stefano Campostrini Dopo averlo intervistato, ecco la presentazione del suo ultimo lavoro poetico Il nuovo libro di Gilberto Antonioli Presso il Circolo Dipendenti della Unicredit di Verona è stata tenuta a battesimo letterario l’ultima raccolta di poesie di Gilberto Antonioli, poeta e giornalista caro al pubblico veronese, che lo segue con affetto in queste tappe sul cammino di una personale maturazione poetica ed espressiva. Presentato dal dott. Roberto Tirapelle di Unicredit e dalla lectio del prof. Giuseppe Chiecchi dell’Università di Verona, che ne ha messo in luce i richiami con il Canzoniere del Petrarca, Antonioli ha poi parlato di sé, come poeta, definendo tale veste come un condensato di parole, musica e colore, e in tale veste lo ritroviamo, nello scorrere dei suoi versi. “Attimi di dubbio e di certezza” è il titolo che emerge dalle pennellate di colore autunnale della copertina, in una prorompente rivelazione dell’anima che già dal titolo vuole presentare le sue sfumature. “Profumo d’erba e sapore di rugiada nell’ansia che attanaglia e produce delusioni”, e poi ancora un breve sottotitolo “Poesie della quotidianità”. La tentazione, davvero ingiustificata, che prende quando ci si trova di fronte a un testo di poesia e si vuole parlarne ad altri perché questi altri, attraverso le nostre chiavi di lettura, accedano alla lirica, è quella di usare gli stessi parametri linguistici, gli stessi voli semantici. Succede allora che un testo poetico, ermetico, perché in esso il poeta chiude i suoi stati d’animo, i suoi sogni, come anche i suoi incubi, e a cui si lascia andare, perché a lui è concesso di volare, viene “spiegato” in modo ermetico, di difficile, se non impossibile, interpretazione linguistica. Bello sarebbe invece, laddove la critica o l’esegesi non arrivano, lasciarsi andare anche noi, lettori e fruitori del testo poetico, solo alla sonorità del ritmo musicale, all’armonia dei versi che giocano a rincorrersi, alle parole che un mago sapiente sembra mettere insieme, non per spiegare qualcosa, ma solo per il piacere di giocare con esse e con gli stati d’animo da cui scaturiscono. Pennellate di colore, come quelle della copertina, con gli stessi colori caldi, passionali, così si presentano i versi di Antonioli, brevi e intensi, pagina dopo pagina. Sembra quasi un fluire libero di pensieri, non ci sono punti finali, non ci sono maiuscole all’inizio, non ci sono interruzioni forzate lungo il corso di quello che sembra presentarsi come un bisogno impellente di dare voce all’anima. Anche i titoli sembrano più un omaggio al mestiere di poeta, che non vera esigenza di separare e distinguere le liriche, i momenti di affioramento di un ricordo o di un altro, spesso dolorosi (“quando la vita inciampa, come si rialza?”), dolori giovanili che emergono un attimo, “tormentate mie passioni contrastate”, “libera, ti prego, inganni e sof- ferenza dagli amplessi più crudeli del dolore…”, “esistenze sfregiate da rancori e seduzioni.... mentre le ore attendono la luce”. Momenti di dubbio e di certezza, perché.. “è assetata di certezze l’esistenza, ma si rifugia nei crocicchi incustoditi l’incerto che scompare…”. In altri passaggi sembra di intuire una depressione sopita “con la festa delle scorze e delle foglie si attorciglia insieme al rosso il verde smorto, per impedire la vittoria del grigiore”, “racconta il vento una storia di grovigli che riscatta dal grigiore della noia”. Spesso sono nominate ombre e oscurità, silenzi, oblio, nebbia, nubi, vento, lo spezzarsi di qualcosa. Con immagini oniriche, il mare è a volte protagonista, con le sue onde, le risacche, gli schizzi sulle rocce, i gabbiani. Si coglie un abbandonarsi al flusso delle stagioni, con i loro diversi colori e umori, ma sicuramente prevale l’indugio sulle immagini autunnali, sulle brume invernali, che non un solare fondersi con le atmosfere dolci della primavera, con quelle calde dell’estate, che pure procurano sollievo: “in un fremito d’erba schizza un fronte di quiete”, “s’affaccia il sole che danza… coccola il vento che ondeggia sul dorso del grano maturo”, “cerca il mio sguardo il ciliegio che fiorisce”. Ma in fondo, tutte le cupe atmosfere sono temperate da quella piccola, preziosa dedica iniziale, che vola alta sui ricordi più dolorosi, su rimpianti e tristezze, sul domandarsi affannoso del senso della vita e il farsi scudo verso un ignoto minaccioso, lasciandosi finalmente andare alla dolcezza di chi “illumina il mio cielo con il suo sguardo di cerbiatta innamorata”. 14 Musica Dicembre 2011 di Francesco Fontana Grandi appuntamenti con la musica leggera, il balletto e il cabaret Dicembre ricco per Eventi Verona e Zed Live Venerdì 16 dicembre arrivano al Palcover di Villafranca “I soliti Idioti”, duo comico composto da Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio. Dopo il succes- solo da pochi anni il successo che merita. Lo stesso spettacolo, per l’organizzazione di Zed, andrà invece in scena al Gran Teatro Geox di Padova la sera Qui sopra “I soliti idioti”, sotto Ale & Franz, a destra in alto Ivano Fossati so del precedente tour e l’uscita del 7 dicembre, aprendo la strada ad una serie di imperdibili Idioti approdano sul palco di appuntamenti targati Zed Live. Eventi Verona con nuove esi- L’8 dicembre è atteso infatti, laranti gag comiche, accompa- sempre al Gran Teatro Geox, il gnati da alcuni dei personaggi cantante Marco Mengoni, che tratti dalla serie televisiva an- sarà sul palco con il suo nuovo data in onda su MTV che li ha tour. Il giorno successivo tocresi celebri. Sempre per l’orga- cherà al “Gogol Acoustic Bornizzazione di Eventi Verona è dello”, unica tappa per il nord atteso al Palcover di Villafran- est italiano per il tour europeo ca per il 18 dicembre “An Eve- della band. Poi un appuntaning of Burlesque”, un appun- mento da non perdere al Teatro tamento di grande interesse per Malibran di Venezia con Ivano un genere che in Italia ha avuto Fossati che, con questo ultimo tour, dà l’addio alle scene musicali dopo oltre quarant’anni di carriera. In contemporanea, al Gran Teatro Geox, andranno in scena i Sonics, con il loro spettacolo intitolato “Meraviglia”. Sempre nello stesso contesto l’11 dicembre sarà la volta di “Le tentazioni dell’Animal”, spettacolo che vede sullo stesso palco Piero Pelù e l’Orchestra Parco della Musica Contemporanea Ensemble, diretta da Tonino Battista, eseguire brani come quelli, tra gli altri, di Paul Simon e Philipp Glass. Il 12 dicembre arriva al Palasport di Trieste Jovanotti con il suo “Ora Tour”. Il 15 dicembre al Gran teatro Geox toccherà invece a True voice for Children, con il ricavato dello spettacolo devoChildren Onlus. Poi il 16 dicembre, sempre a Padova, sarà la volta del divertente spettacolo del duo comico composto da Ale & Franz. Il 17 dicembre arrivano al Gran Teatro Geox i ritmi africani del Soweto Gospel Choir e il giorno successivo toccherà invece al cantante Luca Carboni, che ha da poco presentato il suo nuovo album intitolato “Senza Titolo”. Altro genere di spettacolo attenderà gli spettatori il 25 e 26 dicembre quando andranno in scena al Gran Teatro Geox i balletti “Il Lago dei Cigni” e “Giselle”. Si chiuderà a capodanno con un appuntamento d’eccezione: al Gran Teatro Geox arrivano infatti Teo Teocoli e la Lavezzi band. Quello che si prospetta è uno show che mescola alla musica le esilaranti gag comiche dell’artista milanese. Mario Lavezzi proporrà sul palco alcune delle sue canzoni come apertura dello spettacolo. Edito da Quinta Parete Via Vasco de Gama 13 37024 Arbizzano di Negrar, Verona Direttore responsabile Federico Martinelli Coordinatore editoriale Silvano Tommasoli Assistente di redazione Stefano Campostrini Hanno collaborato Daniele Adami Paolo Antonelli Alberto Avesani Stefano Campostrini Paolo Corsi Francesco Fontana Michele Fontana Valeria Giarola Agnese Ligossi Lorenzo Magnabosco Federico Martinelli Ernesto Pavan Alice Perini Michela Saggioro Silvano Tommasoli Isabella Zacco Stefano Campostrini Autorizzazione del Tribunale di Verona del 26 novembre 2008 Registro stampa n° 1821 Musica Dicembre 2011 15 Verso l’infinito e oltre di Francesco Fontana Dopo le date di ottobre e novembre grandi concerti in vista nei prossimi mesi I Virtuosi Italiani: gli appuntamenti di dicembre e gennaio La XIIIma stagione concertistica dei Virtuosi Italiani, cominciata lo scorso 20 ottobre con l’eccezionale pianista di origine iraniana Ramin Bahrami, prosegue nei mesi di dicembre e gennaio con alcuni dei più interessanti appuntamenti previsti nel programma che accompagnerà il pubblico con ben 20 concerti domenicali, divisi tra la Sala Maffeiana e il Teatro Filarmonico di Verona, fino al mese di aprile 2012. Scorrendo il programma si trovano ospiti di grande spessore come, tra gli altri, Andrea Griminelli, Sergej Krylov, Pavel Berman, Pavel Vernikov, Uri Caine, Federico Mondelci, Giuliano Carella, Giuseppe Albanese, Ilia Kim, Nicolas Altstaedt e Cinzia Forte. Una delle novità della nuova stagione è il nuovo direttore artistico dei Virtuosi Italiani Aldo Sisillo, direttore d’orchestra e attualmente direttore artistico della Fondazione Teatro Comunale di Modena, del Festival delle Nazioni di Città di Castello e docente presso il Conservatorio Arrigo Boito di Parma Dopo i precedenti prestigiosi appuntamenti, domenica 11 dicembre toccherà alla piani- sta di origini coreane Ilia Kim che, in Sala Maffeiana, si esibirà a partire dalle ore 11. L’artista, assieme ai Virtuosi Italiani, interpreterà il caprise-valse “Wedding-Cake” per pianoforte e orchestra op. 76, opera scritta da Camille Saint-Saens, poi “Danza sacra e profana” di Claude Debussy e “Quintetto per pianoforte e archi in fa minore”, di César Franck. Domenica 18 dicembre sarà la volta di Federico Mondelci, sassofonista e direttore, accompagnato al pianoforte da Leonardo Zunica. Lo spettacolo si terrà in Sala Maffeiana dalle ore 11. Mondelci sarà sul palco sia in qualità di direttore che in quella di sassofonista e interpreterà “Rapsodia in blu” di Gershwin per sax, pianoforte e archi e una selezione delle più belle composizioni di Astor la “Sinfonia da camera op.110a”, composizione di Dmitrji Shostakovich del 1953. Domenica 22 gennaio protagonista sarà la musica da camera. L’esibizione, con inizio in Sala Maffeiana alle ore 11, prevede Alberto Martini al violino, Marco Perini al violoncello e Andrea Dindo al pianoforte. Si potrà assistere all’esecuzione di il “Trio”, di Maurice Ravel e di Sonate per violino e Piazzola come, tra le altre, pianoforte di Debussy e Ravel. “Adios Nonino”, “Oblivion”, “Violentango”, “Milonga Del Angel”. Sempre in Sala Maffeiana, alle ore 11 del mattino, il 15 gennaio toccherà a Pavel Vernikov, violinista russo accompagnato sul palco dalla voce del tenore estone Mati Turi. Potremo apprezzare le esecuzioni di “Kol Nidrei op. 47”, adagio su melodie ebraiche per violoncello e orchestra di Max Bruch, “Divertimento ebraico” per violino solo, cantor e orchestra di Leonid Hoffmann, e a seguire la versione per archi del- per metterti in contatto con noi: [email protected] 16 Musica Dicembre 2011 Verso l’infinito e oltre di Francesco Fontana Si esibisce un interprete simbolo della corrente afro-giamaicana Passione reggae a Mantova Data unica in Italia per Alpha Blondy, il re del reggae africano! Mercoledì 7 dicembre al Palabam di Mantova presenterà in esclusiva il nuovissimo album “Vision”. La sua musica è roots reggae afro, riconosciuta a livello mondiale come fondamentale per il genere; il suo album “Jerusalem” è considerato disco indispensabile per conoscere e approfondire la cultura reggae. Alpha Blondy canta i suoi testi in ebraico, inglese, francese, arabo e in alcuni dialetti dell’Africa Occidentale (come ad esempio il baolé ed il dioula). Il nuovo album “Vision” è un altro (capo)lavoro del veterano Alpha Blondy che, anche in questo album, ha dato il meglio. Un sound senza precedenti, un cd fondamentalmente roots ma con solide basi afro e world music, proprio caratteristiche dell’artista che lo rendono unico nella sua qualità artistica. La track list è di 13 brani. All’ascolto delle prime canzoni si nota un solido roots. Poi si arriva al brano “Pinto” con forti contaminazioni del ritmo africano, con la voce che si alterna al ritmo dei fiati. Segue “C’est Magic” con interessanti ritmi di percussioni a assoli di armonica. E dopo due brani prettamente roots si ascolta “Vuvuzela” con il suono di percussioni africane. Non di meno “Bogo” con l’accompagnamento della kora che L’evento è organizzato da Mantova.com. I biglietti sono disponibili in prevendita sul portale www.mantova.com, al BoxOffice di Mantova (Palabam, via Melchiorre Gioia, 1) e sui circuiti TicketOne e Unicredit. Il prezzo in prevendita è di 20 euro (+ 2 euro d.p.), mentre al botteghino è di 25 euro. È ovviamente consigliato l’acquisto in prevendita! L’inizio del concerto è previsto per le 21.30. prevale sugli altri strumenti. In “Ces soi-disant amis” c’è un piacevole utilizzo di strumenti a corda. A terminare la track list una canzone in acustico e su ritmi lenti dove il cantante mette in risalto le proprie qualità vocali. Un ottimo lavoro che ancora una volta decreta Alpha Blondy uno tra i migliori del reggae africano. Un album che non può mancare a qualunque cultore di questo genere. Oltre ad Alpha Blondy, la serata del 7 dicembre al Palabam sarà particolarmente ricca per tutti gli amanti del reggae e dell’afro. Non è un caso che, a seguire, protagonista del live & dj set sarà dj Yano. Con lui anche Kuma per una selezione di oltre 30 anni di afro. Insomma, un evento perfetto per un tuffo nella migliore produzione mondiale reggae, roots, afro. visita il sito internet di “Verona è” www.quintaparete.it Musica Dicembre 2011 17 Verso l’infinito e oltre a cura di Stefano Campostrini Ha preso il via la grande manifestazione dedicata alla musica VeronaContemporanea Festival Il sottotitolo “intersezioni, improvvisazioni & sinestesie” si rende protagonista degli appuntamenti della rassegna promossa da Fondazione Arena di Verona, giunta alla IV edizione. Da novembre fino a maggio 4 tappe indagheranno la musica contemporanea appunto, senza dimenticare le sue radici nel secolo scorso, spaziando da quella “accademica” al jazz, dal rock al pop. Novità della rassegna 20112012 è l’attenzione verso la vocalità, l’improvvisazione e la sinestesia, in questo caso tra suoni e colori. In particolare l’edizione di quest’anno vuole rendere omaggio a John Cage, di cui si celebra il centenario interprete sperimentale, nota per il suo virtuosismo sia vocale che strumentale. Il suo spettacolo “perVersiones” è una commistione di melodie medievali, canti indiani e sciamani con jazz, sonorità spagnole e francesi, in un risultato complessivo molto particolare, tra musica popolare e contemporanea. Sabato 26 novembre l’incontro in Sala Maffeiana ha avuto come tematica sempre la vocalità, sospesa tra passato e presente. Si è esibita poi l’ensemble Odhecaton diretta da Paolo da Col, importante gruppo italiano di sole voci maschili che ha proposto al pubblico “Tenebrae factae sunt”, viaggio tra le coralità polifoniche rinascimen- della nascita nel 2012, con tre programmi dedicati. Teatri degli eventi sono il Camploy, il Filarmonico, la Sala Maffeiana, Palazzo della Ragione e il rinnovato Teatro Ristori. Il primo appuntamento si è tenuto il 23 novembre e ha avuto come primo protagonista il gruppo veronese Ensembre Hobocombo, composto da tre elementi, che unisce rock e minimalismo. Partendo come ispirazione e tributo a Louis Thomas Hardin (“Moondog”), compositore americano del secolo scorso, pioniere delle tendenze minimaliste, sviluppate poi da artisti come Philip Glass e Steve Reich. Si è poi esibita sempre al Teatro Camploy la performer spagnola Fatima Miranda, sapiente tali poi messe in relazione con la scrittura contemporanea. Il 27 novembre è salita sul palco del Filarmonico la cantante Cristina Zavalloni, solista con l’Orchestra dell’Arena di Verona. Ha affrontato, con la sua tipica poliedricità, canti a partire da composizioni minimaliste fino a quelli di tradizioni popolari spagnole, italiane e russe, spaziando tra jazz, pop, folk music e musica d’avanguardia. A dicembre gli appuntamenti si concentrano sulll’improvvisazione nei suoi diversi tipi di approccio, come elemento importante della sensibilità musicale contemporanea In calendario il 6 dicembre alle ore 18 nel Cortile Mercato Vecchio, spazio al duo norvegese Humcrush, singolare forma- zione che spazia dal jazz ad un linguaggio sperimentale fatto di vocalismi ed elettronica Alle ore 21 è la volta del Francesco Bearzatti Tinissima Qtet, un ensemble jazzistico che presenta il suo ultimo album X (Suite for Malcolm). Sax, clarinetto, tromba, contrabbasso e batteria danno vita ad un concept album dedicato al personaggio afroamericano, presentato anche tramite immagini durante l’esibizione, un insieme di stimoli musicali tra rock, hip hop e sonorità liriche più delicate. Mercoledì 7 dicembre alle 15.30 nel foyer del Teatro Camploy incontro dedicato sempre all’improvvisazione, condotto dal musicologo e compositore Walter Prati, autore del libro “All’improvviso. Percorsi d’improvvisazione musicale”. Si prosegue in serata alle ore 17 con una performance solistica del batterista Roberto Dani, un personale percorso di ricerca e di esplorazione timbrica nell’ambito dell’improvvisazione del suono delle percussioni. composta tra il 1963 e il 1967, è considerata la partitura grafica più importante e interessante degli anni ’60. Il percorso d’indagine del gruppo è sulle partiture grafiche e sulle ipotesi musicali sperimentali più avanguardistiche del secolo scorso, nel tentativo di superare la notazione musicale tradizionale. L’Ensemble omaggia poi John Cage, con l’esecuzione della Variation VI. Gli strumenti utilizzati sono tastiere e sintetizzatori, chitarra e sassofono, alla ricerca di effetti sonori anche psichedelici. Per il ciclo di dicembre, Conclude gli appuntamenti al Camploy alle 21.30 un evento eccezionale di improvvisazione guidata, con un numeroso ensemble che raduna musicisti di diversa estrazione, alcuni dei quali hanno partecipato ai precedenti appuntamenti di VeronaContemporanea. La performance è intitolata Chain e sarà condotta dal direttore, compositore e sound artist svedese Staffan Mossenmark. Alle ore 18.00 è il momento A seguire nei prossimi numeri dell’Ensemble Cardew con un gli altri appuntamenti di febprogramma di grande interes- braio. se che mescola suoni acustici Nelle due immagini, la cantante ed elettronica, tra cui spicca spagnola Fatima Miranda, Treatise di Cornelius Cardew: accompagnata al piano 18 Musica Dicembre 2011 Verso l’infinito e oltre di Francesco Fontana A cinque anni dal precedente album “The Open Door” è uscito “Evanescence” Il nuovo disco degli Evanescence Il titolo stesso dell’ultimo album “Evanescence”, potrebbe illudere i più di trovarsi di fronte a un disco che raccolga l’essenza delle sonorità della band statunitense, una sorta di punto di in un locale di Little Rock, città da dove provengono i componenti, è un grande successo e apre le porte alla carriera del gruppo. Le prime pubblicazioni sono due EP: Il primo è arrivo dopo più di dieci anni di carriera. In realtà il nuovo progetto discografico delude, almeno in parte. Ripercorriamo prima la storia della band. Il duo che aveva iniziato l’avventura nel lontano 1995 era composto dalla cantante Amy Lee e dal chitarrista Ben Moody, ai quali nel 1999 si era aggiunto il tastierista David Hodges, che da molti viene considerato comunque parte del gruppo iniziale e co-fondatore del progetto Evanescence. Il primo live della band, tenuto intitolato “Evanscence” (1998), che contiene sette tracce, mentre il secondo è “Sound Asleep” (1999), composto da solamente sei tracce. Il primo vero e proprio album in studio è “Origin” (2000), disco che fa da apripista ai successivi progetti discografici. È una sorta di album introduttivo, tanto da essere stato prodotto in tiratura molto limitata, sole 2500 copie. Con “Fallen” (2003) la band arriva al grande successo. Il disco ha venduto circa 15 milioni di copie in tutto il mondo e contiene pezzi stupendi quali Bring me to life, Going under, My Immortal ed Everybody’s Fool. Nel 2006 esce “The Open Door” che, nonostante il disco di platino, è qualitativamente di certo inferiore a “Fallen”. E ora è finalmente arrivato l’atteso “Evanescence”. Il primo singolo estratto What You Want non è di certo un pezzo memorabile e tradisce quelle sonorità che ci si aspetta da un disco chiamato “Evanescence”, apportando delle pericolose novità ai suoni e alle linee vocali. Made of Stone è un brano che ci coinvolge da subito in un riff di chitarra, già sentito e poco originale, per proseguire poi senza particolari picchi. The Change è un altro brano che probabilmente non sarà ricordato a lungo. Con My Heart is Broken ritroviamo, finalmente, le sonorità degli Evanescence: pianoforte in primo piano e atmosfere suggestive, il primo brano veramente valido ascoltando i pezzi nell’ordine. Con The Other Side cambiamo deci- per metterti in contatto con noi: [email protected] samente genere, andando su un pezzo concentrato su basso e batteria. Erase This, dopo l’intro di piano, ci coinvolge in sonorità decisamente più rock. Sick e End of the Dream sono altri due pezzi basati su riff di chitarra, non particolarmente esaltanti. Lost In Paradise è una bellissima ballata di grande atmosfera, la seconda svolta del disco dopo la già menzionata My Heart Is Broken. Dopo Oceans e Never Go Back chiude l’album Swimming Home, un pezzo diverso dagli altri, con l’uso dello strumento dell’arpa. Tirando le somme si può dire che “Evanescence” non è di certo l’album che ci si aspettava dopo cinque anni di attesa. Troppa varietà, troppa sperimentazione e ricerca di suoni diversi dal solito. Ci si ritrova invece ad apprezzare i pochi brani in linea con la tradizione Evanescence, in un album ibrido, che finisce per apparire privo di una vera identità. Musica Dicembre 2011 19 Verso l’infinito e oltre di Agnese Ligossi Una musica intrigante e delicata ma che non può rimanere inascoltata Philharmonics: sussurri dal profondo Nord C’è un tipo di musica dal valore quasi metafisico, che trascende la realtà del mondo e che spande i suoi raggi in ogni direzione attirando e accecando gli occhi di chiunque le si avvicini. Non è questo il caso di Agnes Obel. La bionda danese appartiene, invece, a quella schiera di artisti dal talento sommesso, ancora troppo umani ed imperfetti per poter fare la differen- s’impone, non rompe il silenzio ma gli dà forma, lo accompagna senza intromettersi. I più cinici (o i più musicisti) considereranno quest’album niente di che, cestinandolo senza alcuna pietà. E, in effetti, lo è: non abbaglia, non cambia la vita, non aggiunge nulla di nuovo alla scena musicale. Ma, a volte, è proprio questo di cui si ha bisogno: di una quasi za nel sovraffollato panorama musicale. Quelle in Philharmonics sono canzoni stagionali, da ascoltare guardando sottili rami nudi emergere dalla nebbia invernale, da canticchiare mentre cade la neve. Con l’arrivo dell’estate si lasceranno dimenticare in un angolo ombroso della mente, per poi riemergere con naturalezza ai primi grigi dell’autunno. La voce di Agnes si muove delicatamente su una ragnatela di echi, di suoni provenienti un immenso salone di una villa in rovina – non ninnananna come Riverside che culli la nostra mente senza ottenebrarla, delle grandi distanze che Close Watch apre dentro di noi, della familiarità un po’ oscura di un brano tradizionale come Katie Cruel. Ogni tanto abbiamo bisogno di affidarci a qualcuno che metta tutto il suo cuore in quello che fa senza voler- ci scandalizzare a tutti i costi; ogni tanto dobbiamo sentirci al sicuro tra braccia che non spaventino, addentrarci in luoghi che già conosciamo per ritrovare noi stessi. Il viaggio non è comunque semplice: il paesaggio è scarno (solo qualche pianoforte, una chitarra e un’arpa qua e là), le voci che arrivano da lontano sono sottili e a volte indecifrabili nel loro intrecciarsi in cori obliqui, senza un equilibrio stabile. E la nebbia regna sovrana, bianca e densa. Il rumore dei nostri pensieri diventa fragoroso sotto il ritmo regolare del carillon alla Yann Tiersen di Louretta, i bassi del violoncello di Wallflower ci avvolgono in un’atmosfera quasi alla Tim Burton, Just So, senza preavviso, ci strappa addirittura un sorriso. È un mistero continuo. Anche le parole fluiscono, senza fretta, inesorabili, conosciute. Finché non arriviamo a Philharmonics, il brano che dà il titolo a tutto l’album, la nota inquieta in mezzo a tutto quel sottovoce che lascia un inaspettato brivido lungo la schiena cantando di morte e rinascita, di catene e liberazione. Qualche minuto di immobilità nervosa e poi possiamo tornare ai piccoli sentimenti, all’attesa, ai ricordi con Over The Hill. Questo è Philharmonics. A pensarci bene, è davvero niente di che, come lo spazio tra due parentesi o una tazza di tè a metà mattina – come la vita di tutti, col suo concatenarsi di pensieri fluttuanti, crudeltà indicibili e sorrisi abbozzati. A tutto questo Agnes Obel ha semplicemente dato una voce, la sua voce – senza età, tremante nel suo inglese nordico eppure potente, proprio come saremmo veramente noi, come tutte quelle parole che non riusciamo mai a dire. Niente di che, appunto. 20 Intervista Dicembre 2011 Ho cercato di diventare qualcuno di Alberto Avesani La giovane band veronese coinvolge con la sua musica accattivante e travolgente “The Brand”: rock ed energia Dopo la vittoria del concorso “Noi Musica” di Lonato (BS), incontriamo oggi con immenso piacere i The Brand, un gruppo rock nostrano composto dalla cantante Alice Ferrigolo, dai chitarristi Stefano Pistone e Andrea D’Angelo, dal batterista Michel To Van e dalla new entry Simone Orsolini al basso. Come nasce il vostro gruppo musicale e quali sono le tappe fondamentali della vostra evoluzione artistica? Beh il gruppo è nato nel 2001, ed eravamo 3 ragazzi con la sola voglia di suonare. Col passare degli anni e l’aggiungersi di componenti abbiamo capito l’esigenza di trovare una formazione stabile e di poter esprimere la nostra musica con degli inediti. Infine l’ultima tappa sino ad ora è stata quella di raccogliere questi inediti in un unico album. Perché avete adottato il nome “The Brand”? Intanto il nome è stato adottato solamente all’uscita del nostro album (05/2011). Prima ci chiamavamo Sottomarca, quindi per sottolineare il fatto che d’ora in poi saremmo stati un marchio a tutti gli effetti abbiamo deciso di passare da sottomarca a “LA marca” (appunto the brand). Lo stile musicale che proponete al pubblico si ispira a qualche grande musicista/band o state cercando di esprimere qualcosa di innovativo? Di sicuro all’interno delle nostre canzoni si può riscontrare la presenza di stili tipici di grandi band del rock 70/80 ma anche contemporanee, ma lasciamo al pubblico scoprire di chi parliamo… Quello che invece cerchiamo di fare è una musica sì rock, ma anche di facile ascolto con ritornelli che si Prossime date Per chi volesse sentire del buon rock, la band vi da appuntamento il 9 dicembre 2011 al Porky’s (ex Lucille) e il 27 gennaio 2012 al Blocco Music Hall di San Giovanni Lupatoto. possono anche fischiettare, perché la musica complicata, fine a sé stessa è di poco utilizzo a nostro parere. Voi suonate sia cover che pezzi originali. Continuerete con questo binomio o sentite la necessità di seguire una strada in particolare? Fin quando non si acquisisce un certo livello di notorietà le cover sono d’obbligo, e questo lo si fa per il pubblico. Ma in altri ambiti, per esempio festival o contest, noi ci presentiamo sempre come original band. La scelta di cantare in inglese deriva da una necessità commerciale o dal vostro gusto personale? In realtà se dovessimo seguire il trend commerciale la scelta da fare sarebbe l’italiano. Se cantiamo in inglese è proprio per gusti personali, la lingua del rock è l’inglese. Da qualche mese è uscito il vostro primo grande lavoro, “Original”. Quali sono le tematiche principali trattate nelle canzoni presenti in tale album? La tematica trattata in più di metà album è l’amore, di certo non in chiave “mielosa” tipica del pop, ma attraverso storie che possono parlare di rotture o di riappacificazioni, insomma tutte le sfaccettature di questo sentimento. Fuori dai canoni sono “Searching for” e “Something”, rispettivamente l’inizio e la fine di un viaggio che non è altro che la metafora della vita. Farsi conoscere è importante e i new media facilitano sicuramente la vita a gruppi emergenti come il vostro. Quali canali di comunicazione adottate? Beh chi più ne ha più ne metta! Siamo presenti su tutti i principali social network (Facebook, Myspace, Twitter), per le foto siamo su Flickr, per i video abbiamo il canale Youtube e abbiamo un nostro sito ufficiale (www.therockbrand. it). Sognate per un attimo (tutti!): a quale band vorreste fare da spalla per aprire un concerto? Non vorremmo cadere nel banale, ma… Led Zeppelin. E’ (stata) una band che simboleggia il rock, ma a differenza di altri grandi gruppi come Deep Purple o AC/DC ha un alone di misticismo che la rende unica. Quali sono i progetti per il futuro? State già lavorando al secondo album o siete impegnati a far conoscere quello inciso da poco? La cosa a cui stiamo lavorando ora è di creare un vero e proprio show, che non sia solo suonare dei pezzi su un palco, ma di far interagire il pubblico, aggiungere altri artisti che non è detto che debbano suonare (e qui non possiamo aggiungere altro…) per rendere il nostro spettacolo veramente unico. In secondo luogo stiamo pensando al secondo album, con già alcuni brani in cantiere, che speriamo di far uscire dopo l’estate 2012. L’opinione Dicembre 2011 21 “Questa è una transazione, non una discussione” di Silvano Tommasoli Dove si parla di suicidio, di sofferenza dell’anima e di sofferenza del corpo Estetica della vita ed etica della morte E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte io, che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando e il come della nostra morte Indro Montanelli Ci pensiamo molto spesso, quasi tutti. Sempre più spesso, quando gli anni incedono: per i giovani, la morte non rappresenta una preoccupazione, anzi nemmeno il soffio di un pensiero. Più tardi, invece, si comincia a pensare che risolvere il problema della morte significhi trovare il senso della vita. Con un sacco di varianti, naturalmente. Ci sono i cattolici convinti, per i quali il decesso del corpo segna l’inizio della vera vita dell’anima, mentre la morte definitiva ed eterna si ha solo con la “morte seconda”, come è chiamata nell’Apocalisse la perdita della vita divina e della felicità eterna come pena del pecccato originale. Per i materialisti, che negano l’esistenza di un’anima, la vita è solo quella terrena. Dopo questa frontiera, non c’è proprio nulla. Anzi, come ha scritto Epicuro, quando ci siamo noi non c’è la morte e quando c’è la morte non ci siamo noi. E Wittgenstein, che, successivamente, ha negato la morte come un evento della vita («Non si vive la morte»), o Sartre, che la considera come un “puro fatto”, come la nascita. Le cose si complicano molto quando la morte perde il suo aspetto di evento naturale, e la “frontiera” viene attraversata in conseguenza di un atto violento, o volontario. Tralasciamo di occuparci della morte in guerra, per l’estetica della quale si sono versati fiumi di ottimo inchiostro – sarà anche bello morire da eroi, ma a vent’anni, oggi, sembra più gradevole vivere, no? – e non sembra questo il luogo per trattare la morte cruenta delle molte vittime innocenti che la barbarie umana miete ogni giorno. Vogliamo parlare del suicidio, indotti in questa riflessione dalla morte che si è dato, nei giorni scorsi, Lucio Magri. E prima di lui, Mario Monicelli e molti altri. Il punto centrale della vexata quaestio è capire, e valutare, la liceità di porre fine alla propria vita quando essa non corrisponda più ai canoni e ai requisiti minimi di accettabilità da parte dell’individuo. Cosa apparentemente più facile, quando la parte conclusiva della vita sia sottoposta all’inferno di una patologia gravissima, che impone sofferenze fisiche e morali insostenibili, senza alcuna speranza di poter lasciare quello stato. Ho detto “apparentemente”, non è vero? Infatti, basta andare con il ricordo alle vicende terrene di Giorgio Welby, per avere davanti il caso più eclatante di malato terminale che chiedeva di essere lasciato morire. E poi, più difficile ancora quando il malato non sia in stato di coscienza vigile, e, per lui, dovrebbero decidere altri. Ora, se c’è un’estetica della morte, ci dev’essere anche un’estetica della vita. Nel senso che ciascun individuo dovrebbe avere, sempre, contezza del suo piacersi e del suo piacergli la propria vita, secondo canoni estetici assolutamente individuali e personali che hanno l’unico obbligo di non limitare la libertà altrui. E se la propria vita non piacesse più? «Depressione», è spesso la troppo rapida sentenza. Certo, depressione è il nome della patologia che la cosiddet- ta società civile appioppa a tutti coloro che escono dai canoni e dagli schemi definiti secondo il comune pensare. Insomma, tutti i “diversi” sono, in fondo in fondo, depressi. Se non lo fossero, sarebbero omologati e non diversi. Così, la normalità è definita a maggioranza relativa! In realtà, è molto comprensibile che, a un certo punto dell’esistenza, la conduzione della propria vita possa non piacere più. All’interno del canone estetico stabilito per essa, l’equilibrio tra bello e brutto, tra gradevole e spiacevole – fino al limite estremo dell’insoppor- tabile – è quanto mai labile e delicato. Verso la naturale fine della vita, poi, quando il conto degli anni propone, inesorabilmente, una prospettiva mentale e fisica che corre veloce verso un decadimento senza ritorno, non appare così assurdo voler assegnare alla propria esistenza una frontiera della dignità – sempre ricompresa in quella propria estetica del vivere – che non è tollerabile superare. Mario Monicelli, come autore cinematografico, è stato uno degli interpreti e dei narratori più intelligenti della realtà della vita italiana del Ventesimo Secolo. A novantacinque anni, sarebbe stato giusto che diventasse lui stesso un’icona di quel “miserabile” contro il quale tanto si è speso? La morte come catarsi di una vita miserabile è stata mirabilmente descritta da Monicelli in uno dei suoi capo- lavori, La grande guerra del 1959; dandosi la morte, egli ha scritto l’ultimo capitolo del suo pensiero, rappresentando il suicidio come barriera verso una vita che stava diventando esteticamente inaccettabile. Certo, il suicidio è stato condannato da molti grandi filosofi, perché contrario alla volontà divina come sosteneva Platone, oppure perché rappresenta la trasgressione di un dovere verso sé stesso, secondo Kant, o verso la comunità alla quale si appartiene, come sosteneva Aristotele. Di contro, gli Stoici ritenevano doveroso rinunciare alla vita, quando fosse impossibile adempiere il proprio dovere, e Hume – che ha intitolato Of Suicide uno dei suoi Saggi – affermò che è questa l’unica via che consente di uscire da una situazione insostenibile, il solo modo per salvare allo stesso tempo la propria dignità e libertà. Lucio Magri non era malato fisicamente; almeno, non che si sapesse. A settantanove anni, si sentiva incapace di condurre la sua vita senza la seconda moglie, l’amatissima Mara, morta di cancro tre anni fa. Ha scelto questa via di uscita da una situazione che ormai gli era intollerabile e che riteneva intaccasse la sua dignità. Non credo che sia giusto criticare la sua scelta, quanto piuttosto rispettarla e accettarla, nella sua grande complessità. Infine, è giusto considerare questo suicido, che egli ha voluto somministrare a sé stesso con modalità non cruente, non diverso dall’eutanasia alla quale hanno diritto tutti coloro che ne hanno chiesto l’applicazione prima di cadere in stato vegetativo persistente e irreversibile. Perché le sofferenze dell’anima non sono meno dolorose di quelle del corpo. 22 Cinema Dicembre 2011 Visto abbastanza? di Stefano Campostrini Concorso per sceneggiature e cortometraggi inediti Valpolicella Film Festival L’Associazione Valpolicella Fiction ha da sempre sostenuto e voluto valorizzare il proprio territorio di rappresentanza portando il cinema tra le colline sopra Verona. L’intento degli organizzatori e della manifestazione è quello di diffondere la cultura del cinema e il suo linguaggio, stimolando il dialogo e il pensiero. Una proposta culturale che ha portato alla creazione del Valpolicella Film Festival, giunto quest’anno alla sua terza edizione, che si è tenuto dall’1 al 3 dicembre. Il bando del concorso è stato presentato lo scorso maggio in occasione della mostra d’arte organizzata dalla Scuola d’Arte “Paolo Brenzoni” di Sant’Ambrogio. Il Museo del Cinemagia e dell’Immagine di San Pietro in Cariano è stata la sede della kermesse, preparata nell’allestimento per mostrare l’evoluzione delle tecniche cinematografiche. Grande partecipazione al progetto, con oltre 120 candidature provenienti da dodici paesi diversi, in particolare Spagna e paesi anglosassoni. Segno di un continuo e crescente interesse per l’ideazione e la realizzazione di questo concorso, anche in concomitanza con la creazione di convenzioni e collegamenti con realtà del territorio, enti culturali, promotori turistici ed istituzioni locali, queste ultime rappresentate quest’anno dal Comune di San Pietro in Cariano, posto il patrocinio per l’evento. Risultato della selezione è stata la presentazione di quindici cortometraggi e dieci sceneggiature inediti. I primi due giorni sono stati mostrati al pubblico giunto al festival e successivamente la giuria composta da esperti, tecnici e appassionati ha valutato e decretato i lavori più meritevoli, introducendoli e lasciando poi spazio alla loro visione. Immancabile poi la sezione dedicata alle sceneggiature, in tal caso tutte italiane, con la consueta attenzione per le trame che potranno costituire futuri film o cortometraggi. Ad esse è stato dedicato un momento durante la serata conclusiva, con la lettura del miglior progetto. L’Associazione Valpolicella Fiction continua il suo impegno, offre e sostiene anche la possibilità di iscriversi e tesserarsi, per rimanere in contatto con le attività e beneficiare delle opportunità che offre. Cinema Dicembre 2011 23 Visto abbastanza? di Ernesto Pavan Real Steel è un film semplice che riesce a colpire Voglio un robot e lo voglio adesso Real Steel è un sogno infantile. E fin dalla la prima volta che il nome “Atom” (lo stesso nome del celebre robot nato dall’immaginazione del regista e fumettista Osamu Tezuka) è pronunciato, si può stare certi che si tratta di un sogno fatto dannatamente bene. Non importa se la trama è una riproposizione dei classici holliwoodiani, non importa se, a mente fredda, ogni svolta potrebbe essere ra- gionevolmente prevista (tranne l’ultimo, incredibile, ma perfetto colpo di scena): Real Steel non è un film che si può guardare rimanendo impassibili. È un sogno che si muove e combatte con l’animo di un uomo d’acciaio guidato da persone di carne. È la riscossa delle speranze di ognuno di noi. Durante le quasi due ore del film, ciascuno spettatore è Max che non vuole arrendersi, è Charlie che rialza la testa, è Atom che non cadrà nonostante tutti i pugni che prende. Infantile, certo; ma se l’infanzia è una culla dal potenziale immenso, che produce adulti realizzati, allora essere colpiti da qualcosa di infantile significa che parte di quel potenziale creativo è ancora vivo in noi. Film più complessi, articolati e originali non hanno la carica emotiva di Real Steel. Dal punto di vista tecnico, Real Steel è realizzato in modo eccellente. Le scenografie sono perfette per il tono delle scene a cui fanno da sfondo e le luci sono scelte e posizionate con cura. I robot sono animati con estremo realismo e chi ci ha lavorato è riuscito nel difficile compito di creare volti immobili, ma immensamente espressivi. E la musica è l’accompagnamento perfetto per l’azione sullo schermo. Questa combinazione di elementi fa sì che lo spettatore possa immergersi nella visione del film come in un mondo reale, concreto, di cui anche lui può far parte. Che è quello che ogni buon film dovrebbe essere capace di fare. Il vero protagonista della vicenda è indubbiamente Max, il bambino interpretato da Dakota Goyo (sì, è un nome proprio); un personaggio a cui l’attore dodicenne riesce a dare un’espressività e una fisicità non comune. Anche Hugh Jackman non delude e, dall’alto dei suoi per metterti in contatto con noi: [email protected] 43 anni, sfoggia un perfetto phisique du role da pugile in pensione, ma in forma. Il resto del cast appare un po’ sottotono, soprattutto quello femminile. con Olga Fonda che interpreta una donna algida al punto da risultate stucchevole ed Evangeline Lilly che non riesce a dare pieno sviluppo a un personaggio forse troppo prigioniero del suo ruolo. Kevin Durand fa il suo mestiere come antagonista viscido e gli altri più o meno se la cavicchiano, complice il fatto che un film come Real Steel ha veramente bisogno solo di protagonisti interessanti e che il vero antagonista non è un personaggio, ma la sconfitta: qualcosa che bisogna imparare ad accettare e da cui non ci si deve lasciar abbattere. Certamente Real Steel non è un film profondo, innovativo o che altro, ma cosa importa? Voglio un robot e lo voglio adesso. 24 Libri Dicembre 2011 È la stampa, bellezza di Ernesto Pavan Un racconto asciutto e commovente Tirando le somme di una vita: L’ultima lezione Una leggenda della cultura popolare vuole che, prima della morte, una persona riveda la propria vita con estrema chiarezza. L’ultima lezione è questa leggenda resa realtà. Randy Pausch, professore universitario e uomo realizzato nel pieno vigore dei suoi quarant’anni, scopre un giorno che gli rimangono pochi mesi di vita prima che il cancro lo uccida. Il suo pensiero va alla sua famiglia, in particolare ai suoi figli piccoli, e ai numerosi amici e allievi del presente e del passato: si chiede cosa potrà lasciare loro e decide che la cosa migliore è proprio la sua vita, sotto forma delle lezioni che questa gli ha insegnato. Queste sono gli argomenti della sua ultima lezione, tenuta come relatore esterno presso una prestigiosa università; e questi sono anche gli argomenti de L’ultima lezione, un libro limpido e privo di ogni retorica, che senza alcuna pretesa rivela uno scorcio di vera umanità. Attenzione: L’ultima lezione non è una storia lagrimevole, né un caso di cannibalismo editoriale. È l’opera di un docente universitario che ha pensato agli altri prima che a se stesso, cercando di fare del suo passato qualcosa di utile per chi verrà dopo di lui. Pausch non era un umanista, ma uno scienziato, e forse proprio per questo il suo stile è così leggibile: non c’è una metafora di troppo, una parola ricercata o un’espressione desueta. Questo da solo varrebbe la lettura del libro, per la lezione utile che molti potrebbero trarne. Ma non è tutto qui. Con l’attenzione che solo una mente non inquinata dalla presunzione può avere, Pausch coglie e porta a galla una serie di insegnamenti che sfuggono a molti e di altri, che avremo sentito dire mille volte (“nessun lavoro è troppo umile”), riesce a dare spiegazioni nuove e convincenti. Anche se si può non concordare con alcune delle sue affermazioni, nessuna di essa è banale e nessuna si può scartare come “superficiale”. Quella che ci ha colpito di più è stato il modo in cui definisce William Shatner, l’attore che interpretò il capitano Kirk in Star Trek: “eroico”. Lui, un uomo che ha combattuto fino all’ultimo una battaglia persa e ha dato una grande lezione di ottimismo (non del tipo che illude, ma quello vero) e di speranza, ha chiamato “eroico” qualcun altro per il semplice fatto che si trattava di una persona capace di approcciare una questione partendo dall’ignoranza più completa e facendo domande senza stancarsi, fino a quando non poteva dire di aver capito tutto. E, a pensarci bene, in un’era di supponenza e arroganza, voler imparare an- che quando all’apparenza non Randi Pausch, L’ultima lezione, serve a nulla è davvero un atto BUR, pp. 231, € 9,90 eroico. L’ultima lezione è un testo breve, che si legge in poco tempo ma lascia il segno. Consigliatissimo. Narrativa, poesia, vita vissuta, storia locale, didattica scolastica, cultura nel senso più ampio del termine. Spazio agli autori emergenti, giornalisti e ricercatori. Particolare attenzione alla promozione del territorio, delle economie emergenti (marmo, vino, enogastronomia, percorsi turistici alternativi) e a indagini psico-sociologiche. Via Jago di Mezzo, 6 - 37024 Negrar Tel. e Fax 045 8031248 Libri Dicembre 2011 25 È la stampa, bellezza di Ernesto Pavan Ursula Le Guin rende la donna protagonista dell’epica Lavinia, moglie di Enea, racconta l’Eneide Lavinia è un romanzo strano. L’autrice vorrebbe soffermarsi sul personaggio in assoluto meno approfondito dell’Eneide (la sposa di Enea, a cui saranno dedicati sì e no una dozzina di versi in tutto il poema) e farne la protagonista di una storia, raccontata dal punto di vista della donna; così avviene, ma il risultato non è dei più convincenti, complici una serie di incongruenze che rendono la trama poco credibile. In primo luogo, quello che è l’elemento di originalità del romanzo: Lavinia sa di essere un personaggio di fantasia. L’ombra di Virgilio morente la visita in un paio di occasioni (dopo le quali sentiamo parlare poco o nulla di lui), stupendosi delle differenze fra il personaggio da lui rozzamente delineato e la persona “reale”; in queste occasioni, sollecitato da Lavinia, il poeta pronuncia alcune “profezie” (in realtà canti dell’Eneide), che naturalmente si avverano. In ciò sta il primo problema: le enormi differenze riscontrate da Virgilio non hanno alcuna influenza sulla storia, che si svolge esattamente come nel poema. Non solo, ma la vicenda continua dopo la morte di Turno (il momento in cui l’Eneide termina brutalmente), nonostante in teoria si debba concludere, essendo un parto della fantasia di Virgilio. Queste contraddizioni sono lasciate inspiegate e la stessa Lavinia, dopo essersi interrogata al riguardo, non sa darsi delle risposte. Il finale, che non sveliamo, non ha fatto altro che aumentare la nostra perplessità, come il fatto che Latini e Troiani parlino la stessa lingua e si capiscano perfettamente. Lavinia ha anche un forte problema per quanto riguarda la gestione dei ritmi narrativi. A momenti di grande lentezza si alternano, soprattutto nell’ultima parte, sequenze rapidissime in cui tutto sembra accadere troppo in fretta. Inoltre, mentre l’inizio del romanzo è in qualche modo originale, la parte centrale è di fatto ricalcata dall’Eneide (cambia il punto di vista, ma gli eventi rimangono quelli) e l’azione sembra fermarsi a questo punto, senza che nulla di significativo ac- Ursula K. Le Guin, Lavinia, cada nella parte conclusiva. È Cavallo di Ferro, pp. 314, € un peccato, perché lo stile di 16,00 LeGuin è veramente ottimo e il romanzo si legge con grande scorrevolezza, nonostante qualche momento di stanca. Meno soddisfacente è la caratterizzazione dei personaggi, che esprimono ciascuno una singola caratteristica: Latino è il Così parlò Eatwood padre arrendevole, “Tutta colpa di Aladin!”, soAmata la madre stiene imperterrito Eatwood che vede in Turno da qualche settimana. Queil figlio che non ha sta volta devo ammetterlo, ha mai avuto, Enea proprio ragione lui. Di una l’uomo pius e via cosa ero certo fino a poco fa... dicendo. Lavinia, non l’avrei mai assecondato la voce narrante, nei suoi turpi ragionamenti. E appare più convininvece... ma tu guarda il temcente, ma anche po come cambia le cose! vagamente estra“Ha la testa tra le nuvole!”, niata, come se in sostenevo, “Ma è una cosa fondo le vicende passeggera...”, minimizzada lei vissute non va il ragazzino invecchiato la riguardassero con fratello appresso. “Non per davvero. Tidite sciocchezze”, tuonava rando le somme, l’anziano fotografo panzone. il romanzo è più Eatwood, sguardo celeste da che mediocre, ma prete triste, ascoltava tutti in meno che buono. silenzio con la Bibbia in mano Va fatta menzione e il rosario nel taschino. “Siedell’orrida scelta te lontani dalla verità, qui c’è della copertina dell’altro. Ha mal d’Asia il italiana, compleragazzo”, volle precisare. Un tamente in convociferare che diveniva semtrasto con il contepre più assordante non fece nuto del romanzo che rafforzare l’impeto di Eate la postfazione wood. Ma c’era dell’altro. Non dell’autrice: menpago volle farsi sentire, volle tre quest’ultima ha dire la sua nuovamente. E, voluto dipingere con scatto d’orgoglio, mollò i un Lazio primitivo sacchetti che aveva tra le mani e povero, storicamente accurae, puntando il dito verso di to (il romanzo si svolge a cavalnoi, ci disse: “ve l’avevo detto, lo della fondazione di Roma), sempre a fare di testa vostra... l’immagine rappresenta una non dovevate farlo partire”. matrona riccamente vestita su Io a questo punto, con plateuno sfondo marmoreo. Una ale scena d’artista, mi alzai e scelta forse mirata ad attrarre senza salutare nessuno uscii gli appassionati di un certo gedalla porta, sbattendola con nere storico che non ha molto a veemenza. Gli alti cosa fecero? che vedere con Lavinia, il quale Non mi interessa, chiedetelo a non è una celebrazione della Eatwood. romanità ma uno spioncino sul mondo che l’ha preceduta. 26 Giochi di ruolo Dicembre 2011 Nessun uomo è un fallito se ha degli amici di Ernesto Pavan Di cosa hai paura: un gioco di orrore soprannaturale Occhi aperti e passo svelto, o vi prenderanno! Di cosa hai paura (di Robin D. Laws, Janus Design, € 32,00) non è una novità per chi ha già avuto a che fare con Esoterroristi o Sulle tracce di Cthulhu: si tratta di un altro gioco basato sul sistema GUMSHOE, pensato per la creazione e la risoluzione di scenari investigativi. La novità rispetto agli altri due sta nel tema, molto più basato sui classici film dell’orrore, e nei protagonisti: non più specialisti dell’investigazione, ma persone comuni che si trovano ad avere a che fare con orrori soprannaturali. Siccome, a differenza degli investigatori di Sulle tracce di Cthulhu ed Esoterroristi, costoro non hanno di base una forte motivazione che li spinga ad affrontare il Male, Di cosa hai paura introduce i Fattori di Rischio: impulsi individuali (curiosità, istinto di protezione, ecc) seguendo i quali i personaggi rimangono invischiati nello scenario, invece che abbandonarlo il più in fretta possibile. Ciascun personaggio possiede inoltre un segreto oscuro, qualcosa di fortemente negativo che ha fatto o gli è accaduto in passato, che dovrebbe emergere durante il gioco; diciamo “dovrebbe” perché, a nostra conoscenza, il ruolo di questo elemento nelle meccaniche di gioco è talmente marginale da poter essere trascurato. Anche i Fattori di Rischio non ci hanno convinto, dal momento che il loro ruolo è quello di accordo sociale fra giocatori e Game Master: “i vostri personaggi non abbandoneranno lo scenario per un motivo. Quel motivo lo scegliete voi.” Per quanto utile possa essere un accordo del genere, la necessità di esplicitarlo (non includendo, peraltro, i Fattori di Rischio in alcuna meccanica di gioco) ci fa pensare a una debolezza di fondo del sistema che una premessa più forte come quella degli altri due giochi avrebbe potuto evitare. L’ i m p o r t a z i o ne pressoché totale del sistema GUMSHOE crea qualche problema di credibilità delle storie e di giocabilità: da un lato, queste “persone comuni” appaiono enormemente capaci e in grado di destreggiarsi in situazioni nelle quali ci aspetteremmo un minimo di tensione; dall’altro, la quasi totalità delle creature descritte nel manuale può fare a pezzi una dozzina di personaggi-tipo con enorme facilità, richiedendo un notevole controllo da parte del Game Master per evitare che tutto finisca in un grand guignol. Tutto ciò non è necessariamente un male, ma ci sembra che il gioco dia per scontato un livello di consapevolezza del sistema che non lo è per niente. Ciò detto, Di cosa hai paura è un gioco che può interessare molto chi si avvicina ai giochi di nuova concezione partendo dal genere tradizionale (Kult, Il richiamo di Cthulhu e simili): in esso ritroverà molti elementi familiari, uniti a un sistema più funzionale e coerente. L’edizione italiana è come sempre di ottima qualità e include, oltre al gioco base, il Tomo dell’orrore incessante, un supplemento dedicato ai mostri che può essere utilizzato anche nelle partite di Esoterroristi. Oltre alla versione cartacea, Janus Design vende sul proprio sito il PDF del gioco a 14 euro; chi acquista il manuale cartaceo riceverà quest’ultimo senza alcun costo aggiuntivo. In questo caso, il rapporto fra prezzo del PDF e prezzo del cartaceo (il 45% circa) non è ottimo, ma è pur sempre molto buono; chi, letta la nostra opinione, considera il prezzo del manuale stampato un investimento eccessivo, potrebbe ricorrere al PDF e fare comunque un buon affare. I Nostri servizi: Cartoleria - Cartoline - Poster Assortimento Libri nuovi ed usati in inglese e spagnolo. Libri e giochi didattici per bambini e ragazzi. Angolo bambini. Siamo in Vicolo Pomodoro, 10 - Verona (Traversa corso Cavour - vicino Castelvecchio) Telefono: 045.8031248 Giochi di ruolo Dicembre 2011 27 Nessun uomo è un fallito se ha degli amici di Ernesto Pavan Tema e regolamento rendono Polaris un gioco più unico che raro Quando i giocatori scrissero un canto epico Polaris (di Ben Lehman, Janus Design, € 30,00) è un unicum nel panorama dei giochi di ruolo. Lo è per il tema, una “tragedia cavalleresca all’estremo Nord”; lo è per l’ambientazione, una città costruita fra i ghiacci del Polo popolata da una civiltà avanzata; lo è per il sistema, fondato sulla ritualità del dialogo. È un gioco che richiede un forte coinvolgimento emotivo e premia i partecipanti con storie che non avrebbero mai pensato di poter raccontare ed emozioni uniche. Le storie di Polaris sono ambientate in quello che, di fatto, è un mondo morente. La notte, in cui la civiltà di Polaris è nata è cresciuta, è stata violata dal Sole; con esso sono arrivati i Portatori dell’Errore, demoni di carne e sangue o corruttori invisibili che sussurrano agli animi delle persone, portandole verso la follia. Il popolo di Polaris, abbagliato dallo splendore del Sole, ha preso ad adorarlo, incurante del male che esso ha portato; solo i Cavalieri dell’Ordine delle Stelle combattono ancora per la salvezza del loro popolo, ma la loro è una lotta disperata, perché i Portatori dell’Errore sono infiniti, mentre il numero dei Cavalieri si assottiglia sempre di più. Disprezzati dalle stesse persone che proteggono, condannati alla morte o alla corruzione, i Cavalieri sono i protagonisti delle storie di Polaris. La particolarità di questo gio- co sono i ruoli dei partecipanti, che variano a seconda delle rispettive posizioni al tavolo. A turno, ciascuno sarà il Cuore di un Cavaliere e ne racconterà i pensieri e le azioni; il giocatore di fronte a lui sarà l’Errore, che introdurrà tentazioni e nemici; infine, i giocatori alla sua de- stra e alla sua sinistra saranno le Lune, sui cui ricade la responsabilità dei personaggi minori. Il gioco in sé è un dialogo sottoforma di racconto cavalleresco, al passato, ed è scandito da frasi rituali: “ma solo se...”, “e inoltre...”, “e fu così che...” possono essere usate, seguendo visita il sito internet di “Verona è” www.quintaparete.it determinate regole, per integrare o modificare il racconto di un altro giocatore. Nel turno di ciascuno, sono soprattutto il Cuore e l’Errore a farla da padroni, con le Lune in un ruolo che è principalmente di supporto; in conseguenza di ciò, l’autore ha dichiarato che il numero ideale di giocatori potrebbe essere tre invece dei quattro consigliati all’epoca della stampa del manuale. Personalmente, troviamo che Polaris sia un gioco straordinario in tre come in quattro. L’atmosfera che riesce a generare, tramite il tono del manuale e l’utilizzo delle regole, è qualcosa di unico; le regole stesse, prevedendo solo due finali possibili per un Cavaliere (la morte o la corruzione), spingono i giocatori ad analizzare il lato tragico di una vicenda umana piuttosto che a “giocare per vincere” come può accadere in altri giochi di ruolo. In effetti, da quest’ultimo punto di vista una partita a Polaris può essere un’eccellente lezione per chiunque. Come sempre, oltre al manuale stampato Janus Design ha messo in vendita il gioco in formato elettronico, all’ottimo prezzo di 10 euro. Una politica commerciale lungimirante, che consente anche a chi qualche dubbio riguardo all’hobby di avvicinarvisi senza dover fare un grosso investimento economico. Inutile dirlo, per noi Polaris è un ottimo acquisto in entrambe le versioni. 28 Viaggi Dicembre 2011 Houston, abbiamo un problema di Alice Perini Città in progress, all’ombra delle Alpi, alla ricerca della luce. Della ribalta e dell’evento Torino, perché non farle la corte? Torino è la città più profonda, più enigmatica, più inquietante, non d’Italia ma del mondo Giorgio De Chirico Per secoli e secoli, Augusta Taurinorum non fu altro che un borgo di dimensioni e importanza modeste: della sua fondazione, nel 28 a.C., non si trovano tracce nelle fonti storiografiche. Prima di lei, nacquero, per volere dei Romani, molti altri insediamenti, da Tortona a Novara, da Vercelli a Ivrea: del resto, il controllo territoriale del Piemonte consentiva collegamenti rapidi con le Gallie, il dominio sul contado e lo sfruttamento delle notevoli risorse agricole fa soffrisse, oggi, di un’ansia da della zona. Il silenzio nelle fonti prestazione nel rincorrere quelsi interrompe solo grazie a Ta- le città che hanno raggiunto lo cito, che, malgrado il nome che status di metropoli perfette per porta, non esitò a raccontare la il giorno (sempre più corto), quasi totale distruzione del bor- ideali per l’happy hour, e uniche go a causa di un incendio nel 69 per la movida che ha cancellato d.C., tempi di crisi istituzionali la notte. ante litteram, di contese per la C’era pure il reticolo fognario, successione imperiale dopo la all’epoca dei Romani: di certo, morte di Nerone. però, nelle fogne non scorreva Contadini, scalpellini, fab- cocaina, oggi presente a conbri e tessitori abitavano que- centrazioni elevatissime nelle sto rettangolo fortificato di acque di quella che fu la prima 760x670metri, circa le misure capitale d’Italia. Drogati, padi una centuria romana, uno lazzinari e modelle nel regno spazio razionalmente organiz- dei Savoia e nelle terre di Cazato, rispondente alle esigenze vour? Lo racconta Culicchia, rotta, fasulla, alla costante riurbane, sia di carattere pubbli- scrittore nato proprio in questa cerca del fenomeno-evento; deco, con gli edifici per il culto, per metropoli perversa il cui mo- ciso nel descrivere la sua realtà l’amministrazione della giusti- dello, anche se non esplicito, è per quello che è, cosa che in zia e delle funzioni di governo, Las Vegas. Coraggioso nel de- pochi si sentono di affrontare. terme e anfiteatri, che privato, scrivere la sua città come cor- Inquietante ed enigmatica. Lo con le case ad insula, pensava anche De un fac-simile dei moChirico. derni appartamenti e E forse anche casette a schiera, la Nietzsche, che domus, il “villone” di nell’inquietudine si un tempo e le tabertrovava a suo agio. nae. Di tanta intelliEnigmatica. Questo genza edificatoria, lo credeva NostradaTorino porta ancora mus, che elesse Toriil segno: la struttura no, la città “dei due urbana a maglie orfiumi”, ovvero del togonali dà a questa Po, simbolo del sole città in evoluzione per gli esoteristi, e un aspetto ordinato, della Dora, emblema quasi fin troppo predella Luna, a luogo ciso, come se l’Augusta del mistero del bene In questa pagina, dall’alto: veduta con la Mole Antonelliana, Taurinorum di secoli uno scorcio del Parco del Valentino e il Palazzo Regio e del male, essendo collocata sia in uno dei vertici del triangolo della magia bianca (assieme a Praga e Lione) che della magia nera (con Londra e San Francisco). Qui Nietzsche, in preda al delirio, scrisse L’Anticristo, preoccupandosi di dimostrare in che modo un solo uomo potesse distruggere il cristianesimo. Qui è conservata, dal 1578, la Sindone, una delle reliquie più venerate da chi crede che questo lenzuolo abbia avvolto il corpo di Gesù nel sepolcro. Pare, inoltre, che la diocesi di Torino possa vantare, assieme a quella di Napoli, un nutrito gruppo di santi e beati. Che sia anche per questo che Venditti canta “Torino vuol dire Napoli che fa montagna […] Torino è l’altra faccia della stessa Roma”? A lui lo si potrebbe chiedere, a Nietzsche e a Nostradamus diventa più complicato. Irrequieta: così vedo Torino oggi. Impaziente, preoccupata di sembrare decorosa, degna del passato che l’ha portata a essere una dei centri politici più importanti per la nascita e la formazione dell’Italia unita. Imitatrice, già dall’Ottocento, di quel nuovo modo borghese di vivere la città. I palazzi affacciati sui grands boulevards stile Parigi, la smania di rassomigliare alla vicina Francia e l’ansia di non sfigurare di fronte a Napoleone III. La prospettiva di un decennio vissuto come capitale d’Italia, forse un po’ snob, e la Viaggi Dicembre 2011 29 Houston, abbiamo un problema successiva smentita. La ricerca di una nuova identità, sfumata quella politica-istituzionale, non fu cosa semplice: Torino aveva sviluppato un apparato burocratico- amministrativo di tutto rispetto (del resto siamo sempre stati bravi in queste cose noi): un settimo della popolazione era direttamente impegnato nelle mansioni governative. Poi, meno male, arriva la Fiat, nel luglio del 1899; qualche anno dopo arriva addirittura un Lingotto. Una città che ha vissuto per decenni in simbiosi con i ritmi della fabbrica e con i turni degli operai: è uno dei volti, quello della Torino grigia e monotona, che in tanti, oggi, vorrebbero cancellare, con la speranza di spianare la strada a una metropoli accattivante, alla moda, divertente. Una Torino quasi eventuale, perché tutto qui può (e deve?) essere evento. Augurandosi di entrare a far parte di nuove triangolazioni diversamente magiche, il capoluogo piemontese confida di aprire i propri orizzonti, sostituendo alle città di Milano e Genova, gli altri due vertici di quel miracoloso triangolo industriale, capitali più… Culturali? Non credo, ce n’è da erudirsi qui. Verdi? Strano, perché non è poco potersi vantare di essere una delle città europee più green: se i suoi viali alberati fossero messi tutti in fila, si otterrebbe una linea lunga più di 400 Km, senza contare i 300.000 fiori che abbelliscono ogni anno le sue aiuole. Chic? Mah, la vici- nanza della Francia ha dato i suoi frutti, nello stile dei palazzi, nei viali lunghissimi che anche ad attraversarli con la macchina ci si mette un’eternità, nella cucina raffinata. Storica? È tutta una storia qui, dai Romani ai Savoia. E poi c’è il Museo Nazionale del Cinema, perché fu proprio Torino la capitale mondiale della produzione cinematografica dal 1906 al 1916. C’è il Torino Film Festival, con la sua 29° edizione conclusasi pochi giorni fa, il 3 dicembre scorso. E il Museo delle Antichità Egizie, il secondo più importante al mondo, per numero di reperti, dopo quello del Cairo. Sembrava non doves- se mancare nulla, quando invece arrivano i Giochi Olimpici invernali del 2006: nuove opere realizzate (oltre sessantacinque) tra villaggi per gli atleti e per i media, palazzetti dello sport e nuovi impianti e quella metropolitana che aspettava di vedere il fondo della terra da almeno settant’anni. Ha ancora successo la carta stampata, in questa città, lo dice la buona riuscita del Salone Internazionale del Libro. Chi non affoga nell’inchiostro, lo farà in un bicerin di cioccolato: nacque proprio qui, nel Settecento, questa famosa bevanda calda a base di caffè, cacao e crema di latte, anche se, a dire il vero, non era certo una novità per Torino vedere una tazza di cioccolata bollente. Bisogna risalire al 1560, quando per fe- steggiare il trasferimento della capitale ducale da Chambéry a Torino, Emanuele Filiberto di Savoia offrì simbolicamente alla città proprio una tazza di cioccolata. Dal gianduiotto, il primo cioccolatino a essere incartato, presentato al pubblico durante il carnevale del 1865 dalla maschera piemontese Gianduja, alle 85.000 tonnellate di cioccolato prodotte nel distretto goloso di Turin e dintorni. Da quel gianduiotto a oggi ne sono passati di anni: - 4 per arrivare a 150. Nel frattempo, siamo stati tutti molto impegnati nel festeggiare un altro 150 con (manco a dirlo) tanti tanti eventi… Viste le premesse, Torino saprà re-inventarsi anche nel futuro. Solo a voi viaggiatori non rimarrà nulla da inventare in una città che già ha immaginato tutto. E anche se qualcuno ha detto che «Firenze è una città per sposi, Venezia, per amanti; Torino, per i vecchi coniugi che non hanno più nulla da dirsi», sappiate che nel capoluogo piemontese all’ombra delle Alpi potrà essere solo lo stupore che vi farà restare senza parole. In questa pagina, dall’alto: un antico ponte sul Po dipinto da Bernardo Bellotto, la cancellata del Palazzo Regio e la sede Fiat a Mirafiori con la pista di collaudo sul tetto 30 Viaggi Dicembre 2011 Houston, abbiamo un problema testo e fotografie di Alice Perini Venaria Reale e Racconigi, il riscatto di due meraviglie d’altri tempi L’ingegneria che fu: le regge dei Savoia perficie, 3 mila tonnellate di pavimentazioni in pietra, mille metri quadrati di affreschi. Ecco qualche numero di una residenza in cui il duca committente del progetto volle inserire tutto ciò che poteva ser- zi immensi, luminosi, smisurati: dalla Galleria Grande, alta 15 metri, larga 11 e lunga 75, al Salone di Diana progettato da Amedeo di Castellamonte, dalla solennità della cappella di Sant’Uberto, il santo protetto- c’era bisogno di qualcos’altro, in particolare, di rivitalizzare l’economia locale: intorno al 1670, proprio per rispondere a quest’esigenza, venne chiamato a Venaria un imprenditore del tempo, il conte Giovanni Una magia dell’ingegneria: questa è Venaria Reale. A battezzarla così fu il duca Carlo Emanuele II di Savoia, che la elesse sua residenza di piacere, luogo ideale per ristorarsi dalle fatiche cittadine e per praticare l’arte della caccia secondo lo stile dei re, come testimonia il nome stesso della reggia in latino, Venatio Regia (da cui il legame con l’arte venatoria). Opera di geniali architetti del Sei e Settecento, che realizzarono questo gioiello in pochi anni, dal 1658 al 1679, il complesso della Venaria Reale, a soli 5 Km da Torino, ha oggi ritrovato il suo splendore, dopo oltre due secoli di utilizzo militare e di abbandono. Otto anni di lavori in quello che è stato il più grande cantiere d’Europa nel recupero di un bene culturale hanno ridonato all’edificio la vire allo svago: feste, balli, ricevimenti, concerti, battute di caccia come manifestazione del proprio prestigio e come momento di aggregazione fra nobili. Raccontarvi di ciò che po- magnificenza che merita: dalla sua apertura al pubblico, nel 2007, questo luogo Patrimonio dell’Unesco è uno dei cinque siti più visitati in Italia. 80 mila metri quadrati di su- tete vedere è quasi impossibile. Ogni salone ha il suo perché, ogni angolo è una testimonianza di qualche importante fatto storico o di pettegolezzi di corte. È tutto un susseguirsi di spa- re dei cacciatori, realizzata da Filippo Juvarra, alle Scuderie, anch’esse opera dell’architetto messinese chiamato a Torino per fare di questa città una capitale di rango europeo. Parte della magia sta anche nel ripristino dei giardini, resi irriconoscibili da anni di incuria, nel restauro della Citroniera, l’antica serra creata per il ricovero degli agrumi, e nel riutilizzo di questi ampi spazi, tra cui gli 8 mila metri delle ex Scuderie, per proseguire sulla strada del recupero del nostro patrimonio storico-artistico, tanto che a Venaria è attivo, dal 2005, un importante centro per la conservazione dei beni culturali, il terzo in Italia assieme a quelli di Roma e Firenze. Del resto, l’intraprendenza di oggi non può essere da meno di quella del passato. Per diventare la “Versailles del Piemonte” Francesco Galleani, che avviò un filatoio per la produzione e la lavorazione della seta. Da allora, la cittadina registrò una notevole crescita dell’industria serica, con la nascita di altri setifici attivi fino al Novecento inoltrato. Se il popolo lo ha soprannominato “Re Tentenna” e Giosuè Carducci “Italo Amleto”, Carlo Alberto di Savoia avrà forse avuto qualche momento di incertezza nel suo mestiere di sovrano. Noi preferiamo legare il suo nome a Racconigi e ricordarlo per altre imprese: infatti, il sovrano seppe applicare la sua cultura internazionale a favore dell’agricoltura piemontese, creando una razza di mucche, la piemontese per l’appunto; amava passare gran parte del suo tempo in una serra davvero all’avanguardia, considerata una delle più importanti in Europa per la varietà delle specie conservate, costruita non solo per dare riparo ai fiori più delicati, ma anche per permettere la crescita di piante tropicali come ananas, palme, banani e orchidee provenienti da America, Asia e Africa. Il tutto Quello che per un uomo è “magia”, per un altro è ingegneria. “Sovrannaturale” è una parola inconsistente Robert Anson Heinlein Viaggi Dicembre 2011 31 Houston, abbiamo un problema sailles; un secolo dopo all’inglese, con sentieri disegnati in una natura progettata per apparire selvaggia; romantico quello voluto da Carlo Alberto, con il lago, i ponticelli, le rovine, la grotta, l’alternarsi di grandi distese e di boschetti e le prospettive sempre diverse. Era il cosiddetto “effetto cannocchiale”, studiato per dare risalto alla sontuosità del palazzo: gli ospiti, a bordo della loro carrozza, potevano scorgere, attraverso questi cannocchiali (viali alberati), una parte sempre diversa della facciata, per coglierla nella sua interezza solo all’arrivo davanti alla scalinata d’ingresso. Mattoni rossi e tetti a pagoda per questo castello che fu testimone di importanti eventi di casa Savoia, dalla nascita, nel 1904, dell’ultimo re d’Italia Umberto II, che qui volle raggruppare gli oltre 3 lo spiedo, lavapiatti, oltre ai responsabili della sorveglianza del forno per la panificazione e chi era incaricato di provvedere alla ghiacciaia. Nella lunga lista del personale alle dipendenze del capo degli Uffici di bocca, il coordinatore di tutti questi dipendenti, esisteva anche una figura con l’unica mansione di portare via l’immondizia… Ufficio di Cucina, per la preparazione dei cibi, Ufficio di Frutteria, Confetteria e Caffè, per l’approvvigionamento di frutta, cioccolato, tè, caffè, oltre a tutto il necessario per torte di ogni genere, Ufficio di Someglieria, per l’acquisto e la conservazione di vini e liquori e l’Ufficio di Credenza, per la distribuzione del pane ai tavoli, per la cura e la custodia del vasellame: un’organizzazione impeccabile all’opera, forse per l’ultima vol- mila ritratti di famiglia e tutte le notizie sulla Sindone, all’incontro, nel 1909, con lo zar di Russia Nicola II. Dotato in quegli stessi anni di elettricità, ascensori, radio, acqua calda e termosifoni, di Racconigi colpiscono soprattutto le sue splendide cucine attrezzate e l’ingegnosità di chi le ha realizzate pensando al gran da fare che avrebbero avuto i cuochi nel preparare banchetti per centinaia di invitati: nei sotterranei, dove si trovavano le cucine, erano all’opera camerieri, servitori, garzoni impegnati nello scarico delle merci, potaggieri addetti a girare ta, nel 1925, anno in cui si celebra il matrimonio di Mafalda di Savoia, la principessa morta tragicamente nel campo di sterminio di Buchenwald. Mentre percorrete in carrozza i sentieri del parco, pensate a quanto sappiamo essere intraprendenti, a volte, noi uomini, se siamo riusciti a recuperare, dopo anni di abbandono, queste due immense opere, rintracciando le risorse necessarie per procedere al restauro, alla manutenzione, alla conservazione e alla loro valorizzazione. Insomma, per qualcuno sarà magia, per qualcun altro ingegneria; per me è entrambe le cose. Nella pagina a fianco due vedute del Palazzo e del suo immenso giardino In questa pagina, sopra monumento con nido di cicogna sulla guglia, sotto carrozze a Racconigi. A destra pergolato di rose alla Venaria Reale proprio a Racconigi, il castello reale preferito da Carlo Alberto. Almeno due mesi all’anno, specialmente durante il periodo estivo, il re era solito “rifugiarsi” in questa dimora e nel parco sconfinato che la circonda, eletto, nel 2010, “Parco più bello d’Italia”. E una parte del rico- noscimento va senz’altro a chi, negli anni, ha trasformato, con il proprio estro creativo, questo ambiente adattandolo di volta in volta al gusto e alla sensibilità dei regnanti. Geometrico e ordinato quello realizzato alla fine del Seicento da Le Nôtre, l’ideatore dei giardini di Ver- 32 Viaggi Dicembre 2011 Giro giro tondo, io giro intorno al mondo testo e fotografie di Stefano Campostrini Sole due settimane, il destino di una persona, sogno o son desto? Come un viaggio ti cambia la vita Coloro che ci seguono, almeno dallo scorso numero, ci auguriamo ricordino dell’articolo dedicato all’inaugurazione della Royal Opera House di Muscat in Oman, il primo teatro d’opera del Golfo Arabo. Un eccezionale avvenimento per un’imperdibile occasione di scoprire il territorio circostante, il popolo che lo abita e la sua cultura, almeno come fosse stato un sopralluogo, vista la durata di “sole” due settimane della permanenza. Un soggiorno che ha dato la possibilità a chi scrive, protagonista di quel viaggio tra l’onirico e il missionario, di immergersi e stare a contatto invece concretamente con un Paese pressoché sconosciuto a noi occidentali, fortunatamente perché privo di evidenti tensioni politico-sociali, le quali sempre per prime trovano spazio nelle cronache e nelle memorie dall’estero. Sfortunatamente invece la sua fama è decisamente inferiore a quella che gli spetta perché si tratta in effetti di una nazione promettente, desiderosa di aprirsi al mondo e in una innegabile situazione di sviluppo socio-economico. Parte di una zona geografica più ampia, legata al mondo arabo che da tempo, e da qualche anno maggiormente, non viene vista con occhio benevolo e con intenzione di apertura e accoglienza. Le cose stanno probabilmente cambiando, superate le tensioni internazionali e le reciproche dif- fidenze è auspicabile che ci sia un avvicinamento e un positivo scambio tra presenti e future generazioni. Utopia? Difficoltà diplomatiche? Rancori bilaterali latenti? O magica realtà? Si tratta di impressioni, relative al nostro protagonista, che prendono corpo in lui e fanno però da trampolino per una crescente volontà di ritornare e provare a stabilirsi per un certo periodo, cercando o inventandosi un’occupazione e perché no, coronare un sogno d’amore, con tutte le precauzioni e controindicazioni del caso, dovute alle inevitabili e proprio per questo sacrosante differenze culturali e religiose, non sempre Da aeroporto ad aeroporto, quante cose da scoprire, per chi non prende spesso questo mezzo ogni viaggo è sorprendente. Le due foto in alto riprendono Malpensa, le restanti si riferiscono all’arrivo e non pienamente compatibili con le libertà e le possibilità del mondo fin qui vissuto dall’occidentale. Differenze si, ma altrettante analogie, volontà e sogni, sentimenti e forti pulsioni nate e maturate esplorando e conoscendo quanto di più affascinante circondava lo straniero in una terra da lui sempre ammirata e indubbiamente non priva di attrattiva. Tra lavoro e tempo libero, le opportunità di poter andare alla ricerca delle bellezze e delle curiosità locali non sono mancate. Il grande desiderio di avventura e di libertà hanno fatto gran parte del resto. Senza perdersi in uno shopping economicamente infruttifero, in un bagno della solita piscina dell’hotel o nella generale “tenuta” da turista che ormai sempre più contamina incivilmente ogni angolo del mondo. Lasciati alle spalle, almeno in parte, orari e costumi occidentali, la mentalità e l’atteggiamento del nostro protagonista sono stati quello di affrontare con il massimo rispetto e smisurata passione l’ambiente locale, il paesaggio, le persone e i personaggi incontrati, toccando con mano quella che può essere la quotidianità Viaggi Dicembre 2011 33 Giro giro tondo, io giro intorno al mondo di quella parte di mondo. Verso i luoghi consigliati o più visitati, un punto comunque da dove cominciare per sfruttare tutti i cinque sensi e percepire quante più caratteristiche possibile, immagazzinando informazioni ed emozioni... Un viaggio in un tempo relativamente corto ma infinito nella sua intensità, a partire dalla trasferta in aereo. Ogni volo è un’esperienza unica, regala dei momenti indimenticabili che vorresti non finissero mai, qualunque sia la sua durata. L’arrivo intermedio è a Doha, in Qatar, in attesa della coincidenza notturna per la capitale omanita Muscat, si scende dalla scala dell’aereo e il caldo pregno di umidità assale il gruppo abituato, nel paese d’origine, ai primi giorni di autunno. L’effetto è sferzante, quasi debilitante, ma offre una straordinaria sensazione di appartenenza al luogo. L’aria è desertica e colorata infatti di sabbia, le luci fisse e lampeggianti si sovrappongono, da vicino e da lontano. Da qualche minuto il protagonista è convinto di non voler già più traltare al caldo estivo ma non solo dell’esterno. Un’ulteriore prova di forza che può aver scoraggiato alcuni ma divertito altri. Un sentimento prolungato poi ovunque nei terminal e nei saloni d’aspetto, invasi dalle persone più differenti, ognuna con il suo vestito, la sua storia, la sua lingua. Tutti in attesa del proprio volo, alcuni durante un riposo, altri connessi con il mondo, altri ancora alle prese con i propri bambini. Ogni aeroporto, ogni stazione, ogni autobus sono appunto luoghi di zione di umanità, insieme lì e in quel modo, vista con gli occhi di colui che anche dalla fotografia è contagiato e rimane praticamente disarmato di fronte agli spunti e alle ispirazioni che un luogo come quello può offrire. Pare quasi un delitto non poter fotografare in determinate situazioni e contesti, per motivi di sicurezza e di privacy. Alla ricerca quindi di obbiettivi architettonici, con qualche sfondo di umanità, per portare a casa ricordi, bagliori di istanti passati a camminare, vedere, sentire. incontro della società. Un incontro fisico e personale se si riconosce qualcuno e magari lo si saluta. Oppure, in tanti altri casi, un incontro virtuale ma altrettanto emozionale con innumerevoli altre persone di cui non si sa nulla ma delle quali si rimane comunque attratti e quasi contagiati. Una piccola por- Per il momento ci fermiamo qui, sperando di avervi almeno incuriosito e con la volontà di tornare presto in quei luoghi, per ora con la mente e il cuore. Il viaggio continua... lasciare quei luoghi, così sorprendenti al primo impatto, visti poco prima dall’alto e ora tanto terreni quanto sempre onirici. L’attesa è per l’autobus, proprio quel tipo di autobus, quei grandi mezzi che attraversano le zone adiacenti alle piste degli aeromobili e che vanno a portare o a prelevare i viaggiatori. Un’attrazione strana quella per questi autobus, sarà per l’abitudine di utilizzarli ogni giorno nella propria città come luogo di spostamento e come luogo di “incontro” della società, sarà forse la strana funzione che esercitano invece come luogo di decompressione dalla pressione atmosferica e dalla fusoliera all’aria salubre che si può respirare nei grandi ambienti di un aeroporto e quindi poi all’aperto nelle strade e nelle piazze in cui si è giunti. Nel caso in questione i potenti mezzi motorizzati hanno avuto anche la funzione di abituare il poco conscio visitatore agli sbalzi termici in quelle determinate parti del mondo in cui l’aria condizionata fa da con- Ogni fotografia è un condensato di significati e sottotesti, evidenti o meno. Qualche ora tra le fila dei viaggiatori, sia in volo che a terra riempie la mente di ispirazioni, 34 Enogastronomia Dicembre 2011 Serviti il pasto, cowboy di Alice Perini Bagna caöda, Barolo, Gianduiotto…e la calma dello slow food Tutti nati in una fetta di Piemonte Tutti i funghi sono commestibili; alcuni una volta sola Laurence Raffinata ed elaborata ma pur sempre di ispirazione contadina: questa è la cucina piemontese. Influenzato dai sapori delicati della vicina Francia, il bravo cuoco sa di non poter fare a meno di alcuni ingredienti strettamente legati alla tradizione e alla produzione agricola di quelle zone. La campagna offre un minestrone di verdure, mentre nei boschi che circondano Alba i tartufi sono in attesa di essere scoperti da cani addestrati. Qualche tempo fa, la raccolta di questo prezioso “corpo fruttifero ipogeo” (ovvero sotterraneo), era compiuta grazie all’aiuto di maialini, con l’unico inconveniente che questi animali ne sono a dir poco ghiotti… Burro, lardo, formaggi, (di cui molti D.O.C.), riso e sanato, la carne di vitello di pochi mesi, nutrito solo con latte, sono la base per molti piatti della cucina locale. Che l’aglio sia largamente adoperato, non è un mistero: del resto, se Torino è uno dei vertici del triangolo della magia nera, l’allium sativum può tornare utile per tenere lontani i vampiri, considerati dei parassiti e, quindi, da scacciare grazie alle proprietà antibatteriche e antisettiche di questa pianta. E nella bagna caöda, uno dei piatti regionali più conosciuti, l’aglio non può mancare. Poco importa che nel Rinascimento questo bulbo dalle origini antichissime sia stato bandito, assieme alla cipolla, dalle cucine dei signori (si dice per l’odore pungente poco adatto alle narici dei nobili); pazienza se anche Shakespeare, in Sogno di una notte di mezz’estate, fa recitare a un suo attore di non mangiare aglio, perché tutti devono avere un alito gradevole. Almeno 200 grammi (3-4 spicchi a testa), nella bagna caöda dovete proprio metterli. Avrete bisogno anche di acciughe sotto sale, ingrediente di cui la zona del basso Piemonte è stata, in passato, molto ricca grazie alla via del sale che, partendo dalle saline di Hyères, nel sud della Francia, attraversava le Alpi per arrivare nella valle del fiume Po. Olio extravergine di oliva, burro e tante verdure da intingere: cardi, tagliati a pezzi e lavati con acqua e limone, peperoni con polpa grossa e senza semi, topinambur e carote, patate e cipolle bollite, fette di zucca… L’importante è che le verdure non siano aromatiche (da escludere il finocchio, il sedano o i ravanelli), che le acciughe siano quelle “rosse di Spagna”, che l’aglio, privato del suo germoglio, venga lasciato riposare in acqua fredda (alcuni suggeriscono nel latte) per alcune ore e che as poncia, come si dice in dialetto da queste parti. Il pociar dei veronesi. Un tegame di coccio sarà perfetto: fate cuocere lentamente, per circa trenta minuti, l’aglio assieme alle acciughe dissalate e senza lische. Coprite il tutto con l’olio e, a fuoco mol- to basso, lasciate che si formi una crema omogenea e soffice, mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno; fate attenzione all’aglio che non dovrà rosolarsi né friggere in pentola. Una volta ottenuta una poltiglia, aggiungete altro Qui sopra il Castello di Barolo, sotto la bagna caoda, in basso nocciole per preparare i gianduiotti (pag. a fianco) burro, continuate a mescolare per altri dieci minuti e poi portate in tavola il recipiente con sotto un fornelletto (il fojòt), per mantenere calda la salsa. Ogni commensale vi immergerà le verdure, accompagnando ogni boccone con pane casereccio. Può essere che il vostro appetito non sia sufficientemente saziato, anzi: ciò spiega perché la bagna caöda sia classificata come “antipasto”. In questo caso, potete sempre imparare dai contadini che l’hanno inventata e, se avete ancora fame, rompere dentro al tegame qualche uovo e mangiarlo strapazzato assieme all’intingolo rimasto. Un piatto così rustico abbinato a un signor vino? Senza dubbio, meglio ancora se un Barolo, “il vino dei re e il re dei vini”. E se a dirlo fu il sovrano Carlo Alberto, un fondo di verità dovrà pur esserci. I sommelier ritrovano nel Barolo il profumo di lampone, violetta e vaniglia; chi lo acquista, a parte una buona bottiglia invecchiata di almeno tre anni, si ritrova con il portafoglio un po’ più leggero. Prezioso e molto richiesto, soprattutto nel 1800, era anche il cioccolato, già noto ai palati piemontesi. Ai tempi del blocco Enogastronomia Dicembre 2011 35 Serviti il pasto, cowboy Ingredienti per 4 persone napoleonico, quando le quantità di cacao che giungevano in Europa scarseggiavano (pur presentando prezzi esagerati), l’idea di Michele Prochet dovette risultare ancor più geniale: amalgamare al cioccolato un prodotto tipico del territorio, la nocciola. Nacque così il gianduiotto, cioccolatino che fece il suo ingresso in società nel 1865, mentre due anni più tardi, il buon Prochet, cui vennero riconosciuti i suoi meriti nella lavorazione del cioccolato, venne inviato all’Accademia di Francia. Non sappiamo quanto tempo abbia impiegato costui nel dar vita al “caposti- pite gianduia”: sappiamo però che con 150 ore di lavoro, quattro pasticceri hanno creato il gianduiotto da record, alto due metri, lungo quattro e largo uno, per un totale di 40 quintali (il corrispondente di ben 400 mila gianduiotti normali!). Se di tempi vogliamo parlare, perché non ricordare lo Slow food, l’associazione internazionale no -prof it nata nel 19 8 6 d a un’idea di Carlo Petrini proprio da queste parti? Pollenzo e Bra, due cittadine situate a metà strada fra Cuneo e Torino, sono la patria di questo movimento che vanta oltre 100 mila iscritti in 150 Paesi: contro quella fast life folle che si nutre ai frenetici fast food, la cultura dello Slow Food si basa sulla convinzione che tutti hanno il diritto a un’adeguata porzione di piaceri, da assaporare in modo lento, educando al gusto e alla corretta alimentazione, salvaguardando il rispetto per le produzioni agricole tradizionali e promuovendo la consapevolezza di un modello alimentare legato alle identità locali. E lentamente, come la chiocciolina emblema di questo movimento, ci avviamo verso la conclusione. Solo qualche consiglio. La bagna caöda: gustatela con calma, come facevano i contadini di un tempo, magari in compagnia di amici, vicino a un camino in una sera d’autunno. Il Barolo: vista la spesa per l’acquisto, assaporatelo a piccoli sorsi. E il gianduiotto? Mangiatelo senza fretta, tanto dovete ancora prendere nota degli ingredienti qui a fianco… gnam gnam...cotto e sbafato! • gr. 250 di olio extravergine di oliva • gr. 200 di acciughe sotto sale • gr. 200 di aglio • gr. 40 di burro • verdure da intingere: cardi, peperoni, topinambur, patate, cavoli, cipolle, radicchio, carote • pane casereccio Vuoi pubblicizzare la tua attività sul nostro giornale o sul sito internet? Contattaci! [email protected] cell. 349 6171250 36 Sport Dicembre 2011 Quando il gioco si fa duro di Daniele Adami A Valencia il saluto dei piloti a Simoncelli, quel giovane ragazzo con i riccioli in testa Marco, sogno, silenzio, casino, vita Mi trovavo al lavoro, quella domenica. Dopo una pausa di circa dieci minuti (giusto il tempo di bere un bicchiere di succo) si doveva riprendere. Mi dirigo alla mia postazione, e all’improvviso vedo arrivare il mio responsabile, che mi dice: “Marco Simoncelli è morto”. Erano le 11.10. I miei occhi lo fissano e dalla bocca esce una sola parola: cosa? Come se non si volesse aver sentito. Mi siedo su uno sgabello, e così rimango per qualche istante. Non sentivo più le forze. Facevo fatica ad alzarmi. Ma dovevo proseguire col mio compito. Una notizia del genere, però, ti inchioda al terreno e credi di essere sulla luna da quanto ogni movimento, anche il più banale, diventa difficile. Verso le 13 corro nella stanza dove si trova un televisore. Il telegiornale mostra le immagini che avremmo poi rivisto nei giorni seguenti. L’incidente, il casco che vola via, le lacrime, gli sguardi gonfi che fissano il vuoto. Telefono alla mia ragazza, le dico cosa è successo, lei lo riferisce ai suoi genitori. Poi si rivolge a me: “Il ragazzo romagnolo? Quello coi riccioli? Quello sim- patico?”. Sì, lui. Parole dense di l’accusa alla troppa tecnologia to gli enormi baffi si riusciva a tristezza, incredulità, dispiace- presente in questo sport. Altre si cogliere un timido sorriso. Ha re. Il ragazzo coi riccioli, alto, sono fissate sul sentimento di ri- chiesto una cosa, un piccolo desiderio: nell’ultima gara di Valencia, invece del consueto minuto di silenzio, un minuto di casino. Un desiderio che non si poteva non realizzare. E così è stato. Domenica 6 novembre, poco dopo le 10 di mattina, tutte le moto hanno percorso un giro di pista in onore del giovane pilota romagnolo. Sulla sella della Honda di Simoncelli, il mito Kevin Schwantz, campione del mondo della classe 500 nel 1993. Giunte sul traguardo, i motori hanno fatto quel piuttosto magro, con un preciso e magnifico biglietto da visita: il sorriso. Il tempo scorre, e assieme al dolore si inizia a parlare di sicurezza, di pericolosità dei circuiti, di alte velocità. Discorsi che fuoriescono dall’oblio ogni volta che accade una tragedia. Marco stava per scivolare nella via di fuga, invece è riuscito a rimettere le ruote in pista. Lo sport che amava gli avrà suggerito, in quei momenti, di non mollare la moto. Alcune trasmissioni televisive non sono state in grado di andare oltre morso che potrebbe essere nato casino. Davanti, la numero 58. nel cuore dei genitori di Simon- Poi, a motori spenti, si è tenuto celli. Poche, davvero, quelle un toccante momento di raccoche sottolineavano l’aver voluto glimento. Lo sguardo di Valendare a un figlio tutto il possibile tino Rossi, il più silenzioso. per realizzare un sogno. Perché Un ultimo pensiero, magari due. si tratta di un figlio, una perso- Il primo è intriso di tristezza. na in cui credere. Una persona Quando un talento dello sport per la quale si devono fare delle scompare, tenero e sincero nei rinunce, magari difficili. confronti di chi lo circondava, Lo sport di tutto il mondo si è il mondo dovrebbe prendersela stretto attorno alla famiglia di con se stesso, dovrebbe arrabMarco. La sua Coriano l’ha biarsi, perché una parte di luce protetto. Le sue moto l’hanno è venuta a mancare. Il secondo protetto. Anche quella che tene- può essere di conforto. Stava viva vicino al letto di casa. Papà vendo la sua vita, il suo sogno, Paolo, che indossava una felpa sino all’ultimo istante, col cuore col numero 58, il giorno del fu- e con accanto la sua famiglia e i nerale si è seduto accanto alla suoi amici. Lo ha scritto Vasco: bara, per terra. Sorpreso dal “la vita è un brivido che vola grande affetto della gente, sot- via”. Novembre 2011 38Argomento Libri/Tecnologia Mese 2011 Ne hanno viste di cose, questi occhi di Pinco Pallino Occhiello Titolo R I S TO R A N T E Casale Spighetta ... dove la cucina tradizionale italiana viene rivisitata con un sapore d'Oriente ... Casale Spighetta, un nuovo spazio, un sorprendente gioco architettonico di salette che si intersecano pur rimanendo raccolte nella loro intimità. L'atrio Nafura, il Lounge panoramico Gioia & Gaia, la cantina del Trabucco, il Coffee Lounge tutti con arredi eleganti, diversi, con un tocco d'oriente legati da toni materiali ed effetti di luce e colore che rispecchiano alla logica di mirabili equilibri. Le sale esprimono un’atmosfera ariosa ed elegante perfettamente in linea con la cucina dello Chef Patron. Un’esigenza per chi, come lo Chef Angelo Zantedeschi va al di la dell’arte culinaria, un grande amore per la tradizione e l’arte moderma. Il Casale la Spighetta è un ristorante collocato nelle colline della Valpolicella a Verona, i suoi ambienti eleganti sono indicati per cene romantiche, banchetti e cene aziendali. Dal giardino estivo si può godere di un meraviglioso panorama. Via Spighetta 15 37020 Torbe di Negrar, Verona Tel/fax: +39 045 750 21 88 www.casalespighetta.it