Le notti di Marisa

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Le notti di Marisa
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IL PORTOLANO - N. 58-59
S A V E R I O
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S T R A T I
Le notti di Marisa
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arisa, giovane donna grassa e pesante, in sottoveste molto scollata, si muove per l’ampia terrazza dell’attico illuminata dalla
luna piena. A tratti si ventila con le mani a causa del caldo afoso. A un tratto sosta e fissa la luna e come se recitasse una poesia:
– Tu stai là e io sto qua. Tu sei sola e io sono sola… Non è bello ciò
che è bello, ma ciò che piace (sospira profondamente). Tu stai là a guardare la mia pena e la pena della terra e io sto qua a sospirare e a piangere come tutte le creature infelici. C’è stata mai, luna, una creatura felice
su questa terra? Tu l’hai mai vista? – Si avvicina alla porta finestra che dà
nel soggiorno. Accanto allo stipite c’è una sedia a braccioli. Marisa la
guarda per un minuto indecisa se sedervisi. – Se mi lascio cadere lì sopra,
non mi alzerò più –. Fissa di nuovo la luna che sembra sorriderle. – Anche tu sei arida e inutile come me, più di me. Non hai germi di vita dentro il tuo ventre. Così come dentro il mio. – Si accosta al parapetto a passi lenti. Guarda lo strapiombo di circa venti metri. – Finirei in mezzo alla
strada, se avessi il coraggio di farlo (rabbrividisce). Non mi spingere a
bruciare l’anima che mi hai dato, Signore… Brrr! Tentazione, tentazione, va’ lontano da me! – Retrocede in fretta, come per evitare un impulso irresistibile. Sosta davanti alla porta di comunicazione. Porge l’orecchio al lieve russare che arriva dall’interno; – Dorme!… Il bello dorme…
Tutti dormono tranquilli! (fissa di nuovo la sedia. Vi si lascia cadere. Si
preme le mani sul ventre). Vacca! Sei diventata una vacca… Vacca!…
Quale punizione a me che ero uno stelo!… Fa caldo! Che caldo, Signore! (Si sventaglia con le mani. Si preme nuovamente le mani sul ventre).
Acqua. Budelli gonfi di grasso e di vento.
L’orologio municipale batte tre colpi.
– Fra poco spunterà il giorno. Un’altra nottata insonne. Non ce la faccio più! (Quasi piagnucolando) Come mi piacerebbe avere un bambino!
Lo curerei come un principino… Mi ha fatto sospendere gli studi. Che
stupido errore è stato il mio! (Assorta canterella una canzone infantile)
Luna lunella, dammi una fetta e una ciambella! (Verso l’interno) Mi senti?… Gianni!… Non sente. Dorme sereno, lui! Forse si è tappato anche
l’orecchio. Non mi ha permesso, per la gelosia, di concludere gli studi.
Sarei insegnante anch’io e starei in mezzo ai ragazzi… Gianni, mi senti?… Dorme. Forse legge in cucina e si preme le mani sulle orecchie, per
non sentirmi… Ma tu, Signore (alzando gli occhi al cielo), tu mi ascolti, vero? Cosa ho fatto di male, dimmelo! Se almeno mi avessi mandato un figlio; se non fossi stata stupida a troncare lo studio… Il bello dorme… Gianni, mi senti? (trattiene il respiro. Sconfitta scrolla la testa)
Tranquillo, lui! Un sasso!… Era geloso, temeva di perdermi, dato che i
ragazzi mi corteggiavano e non mi ha permesso di prendere la licenza e
d’iscrivermi poi all’università. Come siamo oche noi donne! Oche, oche!
(Canterella): Tu sei nato in una grotta, o re del cielo!… È così? Non è
così. Temo che non sia così. Gianni, com’è? (trattiene il respiro). Niente da fare, dorme. Dorme come un morto. Solo io non riesco a chiudere
gli occhi. Anche mio padre dorme. Anche Tonia dorme (ha come un sussulto, riflette). Non si è ingrassata, in quest’ultimi due mesi? No, via
(e muove la mano come per allontanare da sé qualcosa di sgradevole).
Mio padre non si fa scrupoli di avermi portata al mondo. Ti do la grande bella casa signorile, ti do soldi per tutti i tuoi bisogni e ora è da tre
giorni che non si fa vedere. Da tre lunghi giorni che non viene a salutarmi. Se ci fosse il bambino, sarebbe qui tutti i giorni, certamente.
Dice che soffre, che soffre molto di vedermi in questo stato… Se avessi un bambino bello come te, Gesù! Un figlio da tenere in braccio come
ha fatto la tua santissima madre, Gesù!… Oh, Dio! (si porta le mani alla
faccia) Pecco. Ho peccato in modo gravissimo (è angosciata). Signore,
perdonami. Dio misericordioso, abbi pietà di me. Mi pento del peccato,
mi pento del grave peccato, mi pento dell’imperdonabile peccato (e china la testa come per sbatterla contro la parete al fine di autopunirsi)…
Che caldo! Che caldaia bollente è questo cielo (si sventaglia con le
mani; tira su la sottoveste e si sventaglia le cosce). Gianni! Dev’essere
uscito a comprare il pesce. A quest’ora le barche saranno arrivate sulla
spiaggia. Mi piacerebbe camminare per tutta la notte sulla spiaggia. Là
ventila. Là c’è fresco. (Osserva la luna). Ci sono stati degli uomini lassù! Quanti chilometri è lontana dalla terra? (Riflette) Non lo ricordo più!
Non ricordo più niente di quello che ho studiato… Mi hai indotta a interrompere gli studi, Gianni Borgia!… Era un segno di amore, dicevi.
Ero felice di essere amata da te. Eri il più bello e anche bravo dell’Istituto. Corteggiato e amato da tutte le ragazze. Ora dormi come un legno
secco… Nemmeno mi tocchi più… (Con uno scatto di rabbia) Gianni!
Gianniii!… Neanche russa, più… Forse è andato alla spiaggia per comprare il pesce. (Tendendo l’orecchio) Dorme, invece. Lo vado a svegliare
(fa per alzarsi, ma cambia idea). No… Ingrati, tutti. Più di tutti mio padre. Gianni!… Più duro di questa parete. Gianni! (Trattiene il respiro)
Finge di non sentirmi. Se avessi la forza di alzarmi da questa sedia! (Fissa il parapetto) Un poco di coraggio e in un baleno tutto sarà concluso.
(Si alza di scatto e a passi rapidi si accosta al parapetto. Guarda giù in
basso. È assalita dall’angoscia. Rabbrividisce e retrocede sgomenta
come chi vede avanzare una belva).
Il silenzio della notte morente improvvisamente è rotto da due voci.
Prima voce: – Ancora è molto presto.
Seconda voce: – Meglio partire col primo autobus, avanti che spunti il
sole, altrimenti il caldo ci farà soffrire assai.
Prima voce: – Meno male che c’è abbondanza di pere quest’anno.
Seconda voce: – Grazie a Dio, ce n’è una grande abbondanza. Stamattina ne porto due ceste in città.
Prima voce: – Buon’annata anche per i maiali. Mi ha scritto mio marito e dice che a Torino fanno marmellata con la frutta. Mentre invece
qui…
Seconda voce: – … la buttiamo ai porci. Almeno noi siamo fortunate:
riusciamo a venderla al mercato della città. Una cesta al mattino… Trentamila lire non sono da trascurare.
Prima voce: – Mio figlio si è svegliato e piangeva. Voleva venire con
me in città.
Seconda voce: – Anche i miei figli volevano venire con me in città…
Siete pronta, comare?
Si odono i passi delle due donne sul lastricato della strada.
Prima voce: – A quest’ora donna Marisa guarda la luna e conta le stelle… Aspetta il figlio che non potrà mai avere.
Seconda voce: – Pare che non dorme mai la notte… A che servono le
ricchezze, se si è infelici?
Prima voce: – Sapesse lei quanto a noi costano i figli!
Le voci e il rumore dei passi svaniscono.
Marisa: – Hanno pietà di te! Sanno tutto di te; eppure tu non parli con
nessuno… Sarà Tonia, la serva, a parlare con i suoi pari. Stregaccia maledetta… Dicono che sia figlia di tuo padre… Ma tu non senti richiamo di
sangue con lei. Ti irrita, appena la vedi… Tuo padre ti ha imposto a prenderla in casa. (Di punto in bianco è assorta in un pensiero. Come parlando a se stessa, a fil di voce) Se mi fossi buttata, mi avrebbero vista, sfracellata in mezzo alla strada. Avrebbero gridato e tutto il quartiere si sarebbe
svegliato. Tutti avrebbero pianto per me. (Si muove, gli occhi le si riempiono di lacrime).
Avanza il marito, in pigiama estivo, a piedi nudi, il viso stanco e i capelli scarruffati. È un bel giovane; alto e ben fatto. Bruno.
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Gianni: – Marisa! Ti stanchi, ti esaurisci, Marisa. Perché non vuoi prendere un sonnifero?
Marisa: – (Asciugandosi gli occhi) Sei già tornato dalla spiaggia?
Gianni: – Ancora è presto, Marisa. Le barche sono in mare (sbadiglia).
Mi hai svegliato anche stanotte (sbadiglia). Ho studiato sino all’una…
Il concorso mi affatica. Non posso perderlo. Devo vincere la cattedra in
storia e filosofia. Difficile. A settembre ho gli esami… Non hai voglia di
dormire, Marisa?
Marisa: – Pensi solo a dormire e al concorso. A me non pensi più. Incapace, incapace di tutto. Non capisci più niente di me. Non mi tocchi, non
dormi più con me… con la scusa degli esami. Non mi ami. Mi odi; ma la
colpa non è mia se non viene un figlio, ma tua che sei sterile. Me l’ha detto una zingara.
Gianni: – Marisa, non cominciare come ogni notte!
Marisa è assorta ad ammirare la luna.
Marisa: – Com’è bella la luna in cima ai monti! Gianni, fai una bella
poesia… Ne sei capace? (Ostile) Non sei stato capace di farmi fare un figlio, come puoi essere capace a comporre una poesia?… Un legno, freddo e impotente. (Alzando la voce) Ammazzati. Buttati in mare. Buttati giù
dal parapetto.
Gianni: – Ti prego, Marisa. È notte, ti sentono i vicini!
Marisa: – Che mi sentano pure. Che sappiano. Non mi hai dato un figlio; non mi hai fatto concludere gli studi. Non mi ami, non mi pensi, non
mi vuoi, non ti preoccupi di me. Sei un vile, un verme. Niente, sei.
Gianni: – Marisa, ti prego, Marisa! Non ti alterare. Svegli i vicini.
Marisa: – Il bello! L’ammirato da tutte le sciocche!… Ohi, mamma, che
disperazione!… Sono stanca… Non ce la faccio più… Mi sono ingrassata come una vacca… E tu (lo fissa con odio) non sei stato capace di…
Gianni: – Tutti i professori che abbiamo consultato hanno detto che
tu…, Marisa, che tu…
Marisa: – … che tu, non io, che tu (scoppia a piangere) sei sterile…
Gianni: – Va bene, come vuoi tu!… (e stringe i pugni come per farsi
forza).
Marisa: – Tutte, anche le più povere, hanno figli. Io sola no. (Con voce
infantile) Non mi hai mai permesso di prendermi il diploma. Mi hai resa
tua schiava. Sei un vigliacco egoista, un bruto. Vai a dormire, a riposare,
tu che puoi. Fammi portare il caffè. Tonia dorme ancora?
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Gianni: – Ma ancora è così presto. Deve pur riposare, quella disgraziata!
Marisa: – Lei è disgraziata. Per lei hai pietà… Ma perché poi deve dormire così a lungo? È una serva. Mi deve servire.
Gianni: – Calmati, Marisa. (Le si avvicina, le accarezza i capelli) Vedrai che l’avremo anche noi un bambino.
Marisa: – (Stringendosi a lui) Andremo a Lourdes e invochiamo la Madonna, Gianni. A Lourdes, a Lourdes, Gianni… O forse meglio da Padre
Pio. Che ne dici, Gianni?
Gianni: – Andremo, Marisa, andremo dove vuoi tu, dopo gli esami… Ora vieni a riposare. Non dormi da settimane, non mi fai dormire.
Ci ammaliamo tutti e due… Devo superare il concorso, per avere un posto fisso. Non piace a te che io abbia un posto fisso?
Marisa: – Tutte mi guarderanno con invidia e io sarò felice, appena
avrò un figlio. Gli darò il latte, le pappine, lo cullerò. Gli farò nient’altro
che carezze e lo vestirò come un principino… Gianni, mi ascolti?
Gianni: – Certo che ti ascolto, Marisa.
Marisa: – Avrò anch’io qualcosa da fare. Il mio bambino sarà il più bello di tutti… Egli studierà per medico… Ma deve andare in città, per studiare. Come farò senza di lui?… Beh, quando nasce, non starò sempre a
fantasticare. Non mi sentirò come un albero infruttifero da tagliare. Mi capisci, Gianni? Credi che Padre Pio ce la farà la grazia?… Mi senti, Gianni? Dove guardi, a chi pensi?
– Ti capisco e ti ascolto, Marisa. Sto pensando alle cose che stai dicendo. Al bambino che fra pochi mesi correrà per questa casa… Ma ora
vieni a letto. Non mi reggo più. È da mesi che…
Marisa: – Non pensi che a te.
Gianni: – Anche tu hai bisogno di riposo, Marisa. È tutta l’estate che
non dormi quasi affatto. Crolli, alla fine, Marisa… Marisa, ascoltami, per
l’amore di Dio!
Marisa: – Gianni, ascoltami tu. Mi ascolti?
Gianni: – Certo.
Marisa: – Mi vuoi bene?
Gianni: – Marisa!
Marisa: – Quanto mi piace sentirtelo dire! Siediti un poco qui accanto a me, come quando si andava a scuola e si stava l’uno accanto all’altra
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in silenzio a guardarci negli occhi… Com’è bella la terra illuminata dalla luna! E il silenzio… Siediti qui, Gianni.
Egli siede per terra ai piedi di lei. Marisa gli mette una mano sulla testa, poi gli accarezza il viso.
Marisa: – Come sei bello, Gianni!… Oh, Gianni! Ti ho dato la mia
anima, oltre al mio corpo ora disfatto… Vuoi bene a un’altra, Gianni?
Gianni: – Marisa, che pensi? Come fai a dire certe cose?
Marisa: – (Incupendosi bruscamente) Sei falso… Non mi baci più. La
notte invece di fare all’amore, dormi.
Gianni: – (Inquietandosi) Studio come un dannato, Marisa.
Marisa: – Baciami.
Egli esita.
Marisa: – Su, baciami. Baciami.
Gianni la bacia con fastidio che lei avverte.
Marisa: – Più a lungo. Come una volta, quando l’anima ci usciva dal
petto, dal godimento… No, no, lascia. Non mi ami più. Ami un’altra, lo
sento, lo so.
Gianni: – (Allarmato) Ricominci, Marisa? (Si alza) Vado a farti preparare il caffè.
Marisa: – (Tirandolo per un braccio) Siediti.
Egli ricade a sedere.
Marisa: – Giuramelo che non ami un’altra.
Gianni: – (Per essere convincente) Sulla tomba di mia madre.
Marisa: – (Irritata) Non così… Inginocchiati.
Gianni: – (Con una tensione forte sulla faccia) Marisa… Marisa! Ogni
notte questa scena assurda, questa…
Marisa: – (Imperiosa) Inginocchiati, ho detto, e bacia la terra.
Il marito la guarda con odio.
Marisa: – (Incalzante) Fa come ti ho detto.
Gianni: – (Sul punto di esplodere) Marisa!
Marisa: – Bacia la terra e giura che non ami un’altra.
Egli china la testa e sfiora con le labbra il pavimento della terrazza.
Marisa: – E ora ripeti con me: Giuro sul bene che voglio a mia moglie,
sulla mia stessa vita e sulla vita di mio figlio che dovrà nascere che… Ripeti!
Gianni: – (Stremato dalla tensione, a denti stretti) Giuro sul bene che
voglio a Marisa…
Marisa: – (Strillando in modo isterico) A mia moglie… Credi che abbia dimenticato l’altra Marisa compagna di scuola che ti corteggiava?…
Allora?
Gianni, per evitare, abbassa gli occhi dalla vergogna e dall’umiliazione e dice:
– Giuro che voglio bene soltanto a mia moglie…
Marisa: – e che non amo un’altra donna…
Gianni: – … all’infuori di mia moglie…
Marisa: – Bravo! E ora baciami.
La bacia sulle guance.
Marisa: – (Irritata) Che sono tua cugina? Sulla bocca.
La bacia sulla bocca.
Marisa: – E ora alzati.
Egli si alza. Si passa il dorso della mano sulla fronte madida.
Marisa: – Gianni!
Non le risponde.
Marisa: – Ricordi quand’eravamo fidanzati?
Gianni tace.
Marisa: – Mi amavi a tal punto, che mi hai indotta a troncare gli studi. Era sublime per me sapere che mi volevi tutta per te, tu che avevi cento ragazze dietro che spasimavano per te. Io lo so… Ora invece sei falso,
spergiuro. Viscido. Mi baci e pensi a un’altra. Lo so, l’avverto… Ma io
ti giuro…
Gianni si passa una mano fra i capelli. La fissa truce.
Gianni: – (In un sospiro) Signore, aiutami a resistere!
Marisa: – Hai parlato?
Gianni: – Ho detto che sei stanca.
Marisa: – Bugiardo! Ho sentito cos’hai detto. Tu mi odi.
Gianni: – Marisa, non mi esasperare… Vieni a letto.
Marisa: – (Animandosi) A fare all’amore?
Gianni: – Marisa, sono stanco dal tanto lavoro.
Marisa: – Non ho sonno, per venire a letto.
Gianni: – Ti do un sonnifero. (Le si accosta, le accarezza i capelli con
la speranza di convincerla a prendere il sonnifero). Riposerai, se lo prendi.
Marisa, se mi vuoi un poco di bene…
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Marisa: – (Cambiando repentinamente umore) Quanto sei buono,
Gianni. Paziente, pieno di attenzione e di tenerezza… Mio padre è da tre
giorni che non si fa vedere.
Gianni: – Non importa, ci sono io, Marisa… Ti prendo la pasticca?
Marisa: – La pasticca?!! Io aspetto il caffè. Tonia dorme ancora? Valla a svegliare.
Gianni: – È presto.
Marisa: – Hai tanti riguardi per lei… Ti piace, Tonia? Dicono che mi
rassomiglia… Mi rassomiglia?
Gianni: – Se è figlia di tuo padre.
Marisa: – Ma a te piace, vero? Ci andresti a letto con lei, vero?
Gianni: – (Evidentemente imbarazzato) Ma che dici?
Marisa: – È bella, fresca… Si è un po’ ingrassata, specie alla pancia,
in quest’ultimi due mesi… Gianni, lo desideri un bambino?
Gianni: – Quanto te, Marisa.
Marisa: – (Con voce fluida) L’altro giorno una zingara mi ha… te l’ho
raccontato, Gianni?
Gianni è assorto.
Marisa: – Gianni! Non te l’ho raccontato?
Gianni: – Cosa?
Marisa: – Inutile parlare con chi non vuole ascoltare!… Tonia ha lavato
i piatti?
Gianni: – Li ha lavati.
Marisa: – E tu come fai a saperlo? Le stavi dietro per toccarle il sedere?
Gianni: – Marisa!
Marisa: – Che pesce hai comprato?
Gianni: – Sai che non lo tollero.
Gianni: – Che smemorato! Triglie ho comprato.
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IL DESTINO
DI UNO SCRITTORE
L’
Associazione Ulixes
(Associazione Studenti
Universitari Calabresi) si unisce al coro dei favorevoli alla
proposta (applicazione della
Legge Bacchelli a Strati, ndr)
e i motivi dell’adesione sono
facili da intuire. Uno scrittore
come Strati è un patrimonio
che bisogna salvaguardare e a
cui bisogna rendere il giusto
merito per la sua attività di
narratore di realtà spesso scomode, che ha saputo disegnare attraverso la parola
narrata la storia della nostra terra, della nostra gente,
dell’Italia.
Saverio Strati ha rappresentato la voce della Calabria in
viaggio, della Calabria lontana dalla sua terra, della
Calabria sfruttata. I volti dei protagonisti dei suoi
romanzi sono stati plasmati su quelli della sua gente, e
della sua gente hanno le espressioni sconfitte, sagge, mai
dome. Lo scrittore ha raccontato una terra che conosceva bene e situazioni di disperazione di cui lui stesso
era stato il primo testimone. L’uomo di Strati lotta e
viaggia, e lo scrittore lo accompagna con voce solidale,
pietosa e tenera in un cammino di rivincita sociale che
non sembra riservato a chi viene dalla miseria e non sa
essere ascoltato… (…). La sua voce è voce di denuncia,
è voce che incarna la sete di rivincita degli umili, degli
oppressi, di chi ha sempre vissuto sotto il giogo soffocante
dello straniero, dell’ingiustizia, della superstizione. La
sua voce è quella della sua gente, di chi è stato costretto
ad emigrare, di chi è rimasto e ha fatto i conti con una
realtà arretrata, spesso violenta e tutt’altro che idilliaca,
di chi ha voglia di riscattarsi.
Ulixes
Marisa: – Neanche le triglie mi piacciono.
L’orologio batte quattro colpi.
Gianni: – Sta per spuntare il giorno e non hai chiuso occhio, Marisa.
Sono sfibrato anch’io (si muove verso la porta). Vado.
Marisa: – Gianni!
Gianni si arresta.
Marisa: – E se io potessi avere il bambino con un altro uomo?
Gianni: – (Girandosi e guardandola disgustato) Che dici, Marisa?!
Marisa: – Rispondi da uomo.
Gianni: – (Per troncare) Via, Marisa!
Marisa: – Sei un vigliacco, oltre che falso.
Gianni: – (Con un fremito di rabbia in volto) Marisa, alla fine perdo la…
Marisa: – … pazienza… Falso, bugiardo, impotente… Un altro mi
avrebbe presa a schiaffi… Su, fatti avanti, fatti coraggio. Vieni a picchiarmi… Andrò, ti avviso, con un altro, per avere un figlio… Su, vieni a
picchiarmi… Sai, te lo confesso: c’è tuo cugino che mi piace. Mi guarda
in una certa maniera e io gli sorrido… È più maschio di te. Lo sento. Quando lo guardo in quel posto, glielo vedo ritto e mi piace tanto… Una volta
gliel’ho toccato ed era lungo come un palo.
Gianni lotta con se stesso. La fissa torvo, a pugni stretti. Geme, con
voce che gli trema:
– Marisa, Marisa, Marisa!… Temo, Marisa, che in qualche momento
perderò il lume della ragione e… (le gira le spalle ed entra in casa).
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Marisa rimane assorta ad ammirare l’aurora e come se recitasse una
poesia:
Marisa: – Fra poco spunterà il sole; la luna si sbiancherà di vergogna
davanti a suo padre – sole; sparirà, la luna, fino a notte, mentr’io sarò seduta per tutto il giorno, chiusa rintanata, per non essere vista dalla gente,
aspettando con ansia il buio. (Si preme di nuovo le mani sul ventre) Vacca sei diventata. Budelli gonfi di aria e di tumori sono i tuoi.
Entra Tonia con due tazze di caffè fumante su un piccolo vassoio. Tonia
rassomiglia a Marisa. È una bella ragazza bionda con un bel sorriso. Alta
e snella.
Tonia: – (Con tono e sorriso ironici) Buongiorno, signora.
Marisa: – Ti sei finalmente ricordata di me! (Prende la tazzina del caffè.
Mentre lo sorbe, scruta la pancia della ragazza che s’ innervosisce. A un
tratto Marisa scatta in piedi, svelta e leggera e furiosa grida verso l’interno) Gianni, Gianni! Corri subito qui!
Entra Gianni.
Gianni: – Che c’è? Che ti succede?
Marisa: – (Indicando coll’indice teso verso la pancia di Tonia) Non ti
pare che questa signorina sia incinta?
Gianni: – Incinta?!
Tonia si porta la mano libera sul ventre. È imbarazzatissima. Marisa la
prende per un braccio e la scuote.
Marisa: – Su, ammettilo, sgualdrina… Sei stata con suo cugino? È lui
che ti ha sedotta, sporcacciona?
Gianni: – Lasciala in pace, Marisa.
Marisa: – Sei stato per caso tu?! Tu no, certo, che sei impotente…
Gianni: – Volevo un figlio e tu sei sterile. Abbiamo consultato tutti i
ginecologi d’Italia. Lo sai.
Marisa: – (Come basita) Tu!… Con lei… tu! (Vorrebbe urlare, ma non
le riesce. Ha gli occhi spaventosamente dilatati).
Gianni: – (Spaventato la sua parte) Marisa, su, Marisa!
Tonia va via in fretta.
Gianni: – Marisa, su, Marisa!
Marisa: – (Con una voce che sembra venire dall’aldilà) Mio padre ti
farà ammazzare, per l’offesa che gli hai…
Gianni: – Tuo padre lo sa… Voleva un erede a cui lasciare i suoi averi,
Marisa… Alleveremo noi il bambino. Lo educherai tu, Marisa. Avrai a
questo modo un bambino. Abbiamo pensato a te, io e tuo padre.
Marisa: – Un bambino non mio qui?! Con quella troia di sua madre fra
i piedi?
Gianni: – Non dire così di Tonia. È sempre una tua sorella di sangue… E poi lei partirà, per sposare in Canada. Tuo padre le ha trovato
marito.
Marisa: – Per me l’ha fatto papà?
Gianni: – Per te, Marisa.
Marisa: – Anche tu l’hai fatto per me?
Gianni: – Anch’io.
Marisa casca a sedere frastornata sulla sedia.
Marisa: – Devo pensare. Ora non so pensare. Devo pensare per giorni. Fatemi pensare… Fatemi pensare. Datemi il tempo di pensare e poi e
poi, poi… Sì, poi… Io non sarò mai madre… Le mie ovaie sono ster…
Che parola odiosa!… Ma potrò avere un figlio da allevare… Devo pensarci… pensarci… pensarci a lungo. (Fissa la luna) Com’è pallida in
cima al monte, ora che è spuntato il sole… Il sole, oh com’è bello il
sole!… Tonia! Dov’è Tonia? La voglio baciare. Gianni, chiama Tonia.
O cara! Ha fatto questo sacrificio per me? Tonia, Toniaa!… Ma partirà davvero? Davvero ci lascerà il bambino?
Gianni: – Certamente. Il bambino dev’essere l’erede universale dei
beni di papà. Altrimenti dove andrebbero a finire? Capisci, Marisa?
Marisa: – Ho nausea. (Rutta) Vorrei vomitare! (Rutta)… Tonia! Chiamami Tonia. La voglio baciare… È come adottare un bimbo che, in questo caso, è tuo figlio per via di sangue. (S’incupisce a un tratto ed esplode in urli, in una furia incontrollabile. Entra in casa in cerca di Tonia, per
strozzarla. Rompe tutto quanto le capita sottomano, sempre urlando e
prendendo a pugni il marito. Tonia apre la porta e chiede aiuto. Il vicinato si desta e irrompe in casa. Entra un medico con due robusti infermieri e bloccano Marisa. La conducono in ambulanza all’ospedale psichiatrico).
I vicini: – È impazzita, povera donna! Da mesi, da anni bramava l’arrivo d’un figlio; da settimane, da mesi non dormiva e non usciva più di
casa! Destino, che destino! Così bella e così ricca!