vado per tre. anzi quattro

Transcript

vado per tre. anzi quattro
11 settembre 2015 delle ore 17:12
VADO PER TRE. ANZI QUATTRO
Tre artisti per la neonata Fondazione Carriero, a Milano. E un curatore, Francesco Stocchi, che
torna un po’ in Italia. Ecco cosa ci ha raccontato. Anche sull’arrivo degli “stranieri”
"Fuga dei cervelli” è un termine che non gli è
mai piaciuto. Ma quando se ne andò in Olanda
- uno tra i primi "espatriati”- a lavorare per il
Bojmans Van Beuningen di Rotterdam, l'Italia
sembrò accorgersi del fatto che all'estero si
poteva lavorare, e anche a condizioni migliori.
Da lì in poi è cominciata la diaspora dei nostri,
più o meno reclamizzata, che non staremo a
ricordare. Perché stavolta il curatore italiano
Francesco Stocchi torna in Italia, padrino
dell'apertura di una nuova fondazione milanese.
Si chiama Carriero, dal cognome del suo
fondatore, ed è uno spazio speciale proprio
dietro piazza San Babila, in pieno centro. E visto
che la composizione delle stanze del palazzo è
elemento essenziale, forse non poteva che
venirne fuori una mostra di "spazialisti”: Gianni
Colombo, con uno splendido ambiente ricreato
in una sala tutta stucchi e specchi, al terzo piano,
Davide Balula e Giorgio Griffa. Appuntamento,
per l'opening, il 16 settembre. Ma noi vi
anticipiamo tutto, con questa chiacchierata.
Milano in questi mesi è stata una città-cantiere
che, probabilmente grazie alle aspettative
generate da Expo, ha davvero rimesso in gioco
sé stessa. E, a proposito di gallerie e fondazioni
per l'arte contemporanea, nessuno sembra
essersi fatto mancare nulla. Che effetto ti fa
essere a Milano, ora? «A prescindere dalla
condizione attuale, dai progetti in corso, dalle
aspettative, Milano ti mette in un’eccellente
disposizione d’animo. È una città che offre le
giuste condizioni di lavoro, rendendo il tutto
più semplice. Insieme ad Amsterdam, dove
vivo, Milano è l’unica città a essere più
"europea” della capitale del suo Paese». Come
sei arrivato alla Fondazione Carriero, o come
la Fondazione è arrivata a te? «Mi hanno
contattato, ci siamo incontrati e ci siamo
piaciuti. Nessuno dei due aveva sentito parlare
dell’altro e penso che questo sia stato uno
stimolo per entrambi. La curiosità. Abbiamo
quindi iniziato a costruire un rapporto basato
sulla fiducia reciproca».
Colombo, Griffa, Balula, ovvero "imaginarii”:
perché proprio questi tre artisti a sancire la
nascita della Fondazione Carriero? «Questo,
quello e quell’altro. Un dialogo a tre intorno al
problema della spazialità, essendo lo spazio
della Fondazione motivo centrale per una
riflessione identitaria sulla stessa. Una
selezione dissociativa per vedere come una
mostra possa creare un equilibrio tra le
differenze (anche se solo apparenti): si può
voler affrontare un simile problema con
modalità diverse per poi metterle in relazione.
Davide Balula è in grado di stupire con la
freschezza del suo punto di vista. Gianni
Colombo se n’è andato troppo presto e ora
vediamo come la sua ricerca sia influente per
la generazione attuale. Giorgio Griffa, coetaneo
e amico di Colombo, sta vivendo uno splendido
periodo creativo e rivelatorio. Anni di semiletargo ne hanno preservato la freschezza e
l’entusiasmo. Finalmente i due amici
espongono insieme». Credi che Gianni
Colombo e Giorgio Griffa saranno i prossimi
artisti che con una buona promozione,
potrebbero diventare le prossimo blue chips nel
mercato dell'arte internazionale? «Francamente
la questione non mi interessa più di tanto, ma
se proprio vuoi sapere la mia opinione, mi
auguro di no».
Passi dal museo a una fondazione privata: che
differenza c'è, rispetto al tuo lavoro? «Acqua e
olio. Li puoi mischiare ma poi, alla fine,
rimangono distinti. Le due esperienze si
completano a vicenda, che poi è ciò a cui sono
sinceramente interessato». Dal 2012 lavori per
il Museum Boijmans Van Beuningen di
Rotterdam: che cosa pensi delle nomine dei
nuovi direttori nei grandi musei italiani e delle
varie polemiche che si sono addensate
specialmente su alcuni nomi stranieri? «Si è
sempre fatto un gran parlare, penso a
sproposito, di "fuga di cervelli”, slogan
giornalistico che cerca(va) di mettere in
discussione una cosa che è da sempre esistita,
la nostra propensione a guardare oltre i propri
confini. Trovo positivo che degli italiani
vengano accolti in sedi istituzionali straniere,
essendo appunto questi, prodotto e rappresentanti,
fra le altre cose, della cultura italiana. Hai mai
pensato se nessuno dall’estero volesse lavorare
con un italiano? Se nessuno ci cercasse? Ciò
che non mi piaceva era l’assenza di reciprocità:
per un numero di italiani all’estero, non c’era
l’equivalente di stranieri in Italia. Lo vediamo
sin dalle università. Quindi queste nomine mi
sembrano un segnale più che positivo.
Tralascerei le questioni di valore nazionale per
ragionare piuttosto sui criteri di scelta di queste
nomine, e su come una stessa commissione
possa deliberare su Paestum, come sugli Uffizi
e su la Reggia di Caserta, ma questo temo sia
un’altra storia».
Matteo Bergamini
pagina 1