febbraio 2014 - Lega italiana dei diritti dell`uomo
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febbraio 2014 - Lega italiana dei diritti dell`uomo
SINTESI DELLA SESSIONE DI FEBBRAIO 2014 LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI IN RUANDA Quest'anno ricorre il ventesimo anniversario dei tragici fatti in Ruanda nel 1994, a seguito dei quali il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con Risoluzione n. 955 dell'8 novembre 1994, istituì un apposito Tribunale Penale Internazionale per giudicare e punire i responsabili di genocidio e di gravi violazioni dei diritti umani nel territorio di quel Paese. È perciò sembrato opportuno, a un ventennio di distanza, considerare la situazione dei diritti umani in Ruanda. Il Parlamento Europeo non ha mancato di occuparsi dello stesso argomento, approvando un’apposita Risoluzione il 23 maggio 2013. In essa, fra altri testi, viene ricordato l'Accordo dj Cotonou del 23 giugno 2000 e in particolare il suo allegato VII, che sollecita la promozione dei diritti umani. Il Ruanda non lo osserva, come pure non osserva le convenzioni internazionali sui diritti civili e politici, nonostante le abbia firmate il 16 luglio 1997. La Risoluzione nota altresì che il genocidio ruandese e la guerra civile del 1994 continuano ad avere conseguenze negative sulla stabilità della regione; e ricorda alle autorità ruandesi che l'Unione Europea, nell'ambito del dialogo con il Ruanda previsto dall’art. 8 dell’Accordo di Cotonou, ha espresso le sue preoccupazioni per il rispetto dei diritti umani. Il testo prosegue esortando il governo del Ruanda a conformarsi al diritto internazionale e a rispettare la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 nonché la Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli; ed invita le autorità giudiziarie del Ruanda ad indagare efficacemente le accuse di tortura e altri abusi di diritti umani. Le preoccupazioni del Parlamenta Europeo coincidono con quelle della ONG "Human Rights Watch". In un rapporto del 2013 si legge che le organizzazioni indipendenti della società civile vengono intimidite e minacciate, di talché poche di esse osano denunciare pubblicamente le violazioni dei diritti umani. Stampa, radio e televisione governative e filogovernative reagiscono in maniera ostile alle organizzazioni dei diritti umani, e portano discredito sulla loro attività. Notizie sfavorevoli giungono anche a proposito del trattamento dei detenuti, che spesso vengono torturati. Tale circostanza è emersa a seguito di un processo svoltosi nel 2013 dinnanzi all'Alta Corte di Kigali, durante il quale parecchi imputati hanno lamentato le torture subìte. Gravi violazioni si sono pure verificate alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo; bambini-soldato sono stati inviati dalle autorità militari ruandesi a combattere nel Congo, in appoggio ai ribelli congolesi. Purtroppo tutti questi crimini non potranno essere giudicati dal Tribunale penale internazionale citato all'inizio, poiché la sua competenza "ratione temporis" è limitata al periodo 1° gennaio - 31 dicembre 1994. LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI UMANI IN BANGLADESH Le cronache riferiscono che tra i numerosi migranti clandestini in arrivo a Lampedusa, ogni tanto ve ne sono alcuni provenienti dal Bangladesh, che poi chiedono asilo politico. È sembrato quindi opportuno verificare la situazione dei diritti umani in quel Paese. L'Unione Europea intrattiene da tempo buone relazioni con il Bangladesh, anche attraverso l'Accordo di cooperazione sul partenariato e sullo sviluppo. Il Parlamento Europeo segue con attenzione queste relazioni, e nel novembre 2013 ha approvato una risoluzione che esordisce con un riferimento a violenze di matrice politica avvenute nello stesso anno, con un bilancio di 30 morti e centinaia di feriti. Furono pure gravi gli eventi collegati alla rivolta del 2009; dopo un lungo processo, 152 militari sono stati condannati a morte il 6 novembre 2013 da un Tribunale speciale. L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, ha espresso preoccupazione per queste sentenze capitali, in quanto secondo alcune informazioni da fonti attendibili, gli imputati sarebbero stati torturati e i processi di massa-non sarebbero stati condotti nel rispetto delle norme in materia di diritti umani. Inoltre, continuano ad essere esercitate pressioni nei confronti di attivisti di organizzazioni non governative, avvocati e giornalisti impegnati nella difesa dei diritti umani, e le autorità non hanno avviato indagini efficaci in relazione alle esecuzioni extragiudiziali, alle torture e alle sparizioni. Dato quanto precede, il Parlamento Europeo ha ribadito la sua ferma opposizione al ricorso alla pena di morte, in ogni caso e in qualsiasi circostanza, e ha invitato le autorità del Bangladesh a introdurre una moratoria ufficiale sulle esecuzioni, da considerarsi come un primo passo verso l’abolizione deIla pena capitale. Dal canto suo, "Amnesty International", nel rapporto annuale sul Bangladesh del 2013, ha ripreso ed ampliato il tema delle esecuzioni extragiudiziali, di cui sono state vittime almeno 30 persone. La polizia ha sostenuto che erano rimaste uccise in scontri a fuoco con le forze di sicurezza. I familiari delle vittime hanno affermato che i loro congiunti erano stati uccisi dopo essere stati arrestati da persone che vestivano abiti civili e che si erano identificate come appartenenti al battaglione d'intervento rapido o alla polizia. Nessuno è stato chiamato a rispondere per queste uccisioni. Tortura e altri maltrattamenti_sono risultati fenomeni diffusi, commessi nella pressoché totale impunità dalla polizia, dal RAB (“Rapid Action Battalion”, v. sopra), dall'esercito e dai servizi segreti. Secondo quanto segnalato, la maggior parte dei detenuti veniva torturata finché confessava di aver commesso un crimine. Poliziotti e membri del RAB sono stati accusati di aver alterato i verbali al fine di nascondere la tortura, anche falsificando le date di arresto. LA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI IN SERBIA La Serbia è stata uno dei protagonisti degli eventi bellici svoltisi nella ex Jugoslavia a partire dal 1991, e che avendo visto numerosi crimini di guerra e crimini contro l'umanità, indussero il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad istituire un apposito Tribunale penale internazionale, con Risoluzione n. 827 del 25 maggio 1993. Le vicende giudiziarie che ne seguirono, la morte di Milosevic, il processo in corso a carico di Karadzic e Mladic, sono fatti ben noti; qui ci soffermiamo sulla situazione dei diritti umani in Serbia. Al riguardo il Parlamento Europeo, in una risoluzione dello scorso gennaio, esorta la Serbia ad intensificare gli sforzi in ambiti quali la libertà dei mezzi d'informazione, la tutela di tutte le minoranze e dei gruppi vulnerabili, come pure dei loro diritti fondamentali. Un altro paragrafo sottolinea che le donne subiscono ancora discriminazioni nel settore del lavoro e in altri settori della società, ed invita quindi le autorità a dare efficace attuazione alla legislazione esistente in materia di non discriminazione e uguaglianza di genere. La risoluzione prosegue rimarcando l'importanza di promuovere e proteggere a tutti i livelli i diritti umani, le libertà fondamentali e il principio di non discriminazione in ogni sua forma, e - nota positiva - apprezza i progressi raggiunti finora. Il testo esprime poi un altro apprezzamento, accogliendo con favore la collaborazione tra la Serbia e il Tribunale sopra citato, la quale ha permesso di sottoporre a giudizio tutti gli indagati. Notazioni meno ottimistiche vengono dai rapporti delle ONG, in particolare "Human Rights Watch". Quest'ultima, in un rapporto del 2013, lamenta mal trattamenti alle minoranze, citando l’esempio di violenze subite dalla minoranza ungherese a Subotica. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) - prosegue il rapporto - giudica la Serbia un Paese non sicuro per i richiedenti asilo, affermando che Paesi terzi (soprattutto Ungheria, Grecia e Turchia) non dovrebbero respingere tali persone in Serbia. Il documento si sofferma altresì sulla questione della libertà dei mezzi d'informazione, notando che le autorità serbe non si adoperano a sufficienza per la protezione dei giornalisti da attacchi e minacce, anche gravi, come il lancio di bombe Molotov contro le loro abitazioni. Non sono ancora stati individuati e puniti i responsabili dell'omicidio di tre giornalisti, avvenuto un decennio fa. È quindi un insieme di luci ed ombre, quello che caratterizza la situazione in Serbia; nonostante ciò, sembra che i negoziati per l'adesione della Serbia all'Unione Europea stiano proseguendo.