IMMEDESIMAZIONE DELL`UOMO NELLA NATURA

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IMMEDESIMAZIONE DELL`UOMO NELLA NATURA
RESPIRARE L’OMBRA (DELLA NATURA)
Note in margine all’opera di Giuseppe Penone e di Alberto Carneiro
di Renato Bocchi
NB: Le frasi in grassetto sono citazioni degli autori, tratte da:
Giuseppe Penone, Respirare l’ombra, Respirar la sombra, Xunta de Galicia, Santiago de Compostela, 1999
Alberto Carneiro, Notas para um manifesto de arte ecologica, etc., in Alberto Carneiro, catalogo
dell’esposizione, Centro Galego de Arte Contemporanea, Santiago de Compostela, 2001
1. GIUSEPPE PENONE
IMMEDESIMAZIONE DELL’UOMO NELLA NATURA
L’arte di Giuseppe Penone contesta una visione molto diffusa che vede l’uomo e le sue attività in contrasto
con la natura, attribuendo alla natura un carattere selvaggio e all’uomo e alla sua cultura le prerogative di
razionalità e quindi di ordine e di dominio.
Per Penone l’uomo è invece parte integrante della natura e pertanto anche la sua opera entra in rapporto
diretto con gli elementi naturali e si fonde con essi.
La volontà di un rapporto paritario tra la mia persona e le cose è l’origine del mio lavoro.
L’uomo non è spettatore o attore ma semplicemente natura.
Si tende a separare l’azione dell’uomo dalla natura, come se l’uomo non ne facesse parte.
Non si tratta, beninteso, di un operare “ecologico” o “ecologista”, ma della volontà di entrare in rapporto
diretto, quasi in simbiosi, con la natura, di immedesimarsi in essa. Non tanto quindi di usare la natura come
materiale dell’opera quanto di immergersi e immergere l’opera nella natura stessa, nella sua vita.
La dimensione dell’opera non è ecologica, ma psicologica.
E’ dunque un’opera d’arte concepita come processo “vitale”, in cui il fattore tempo è sostanziale.
L’opera è proiettata nel futuro, è legata alla crescita dell’albero, alla sua esistenza.
Se una delle funzioni dell’arte è la rilettura continua della realtà, mutare la concezione del tempo ci
pone nella condizione di rivedere e ricreare le condizioni del reale.
Il concetto di processualità – e quindi l’importanza del fattore tempo – così come l’idea di fusione fra uomo e
natura, rende assai vicina la ricerca artistica di Penone alle tematiche dell’architettura del paesaggio, che si
differenziano dall’architettura tout court proprio per la presenza fondamentale della dimensione temporale e
processuale del progetto di paesaggio e per un sostanziale rifiuto dell’opposizione netta tra architettura e
natura.
ARTE E SENSI: PENSARE E CONOSCERE CON IL CORPO
Da quest’idea di immedesimazione tra l’uomo e la natura deriva un’attribuzione d’eccezionale importanza
alla sensorialità come strumento di conoscenza e di espressione artistica.
E’ attraverso i sensi, e quindi attraverso il corpo, che l’uomo può accostarsi alla natura, penetrarvi,
conoscerne i più intimi processi vitali, interferire direttamente nei suoi stessi processi vitali, influenzarla ed
esserne influenzato.
La dimensione di un’opera d’arte sarà sempre a misura dei sensi.
Guardare, toccare, sentire, calpestare le azioni dell’uomo accumulate nel suolo.
Un’opera d’arte si basa sui sensi e sulla logica che da essi ne deriva.
Avverto lo scorrere dell’albero attorno alla mia mano appoggiata al suo tronco.
Albero diapason; l’orecchio appoggiato al tronco di un albero per udire i suoi anni di crescita, per
udire il rumore del vento che scorre nei rami, nel tronco, nelle radici fin dentro la terra.
Ogni specie di albero un suono, ogni giorno dell’albero un suono diverso.
L’importanza attribuita alla percezione sensoriale, con un riequilibrio nell’uso stesso dei cinque sensi, in
genere nell’arte sbilanciato sul fattore visivo, accomuna la ricerca di Penone con quelle ricerche nel campo
dell’architettura più strettamente influenzate dalle teorie della fenomenologia della percezione, che spingono
a caratterizzare lo spazio architettonico in termini più fluidi e più articolati rispetto ai canoni classici della
“prospettiva” o della “geometria euclidea”. Il caso più emblematico fra tutti è probabilmente la ricerca
architettonica di Steven Holl.
Ma ancor più facile è accostare quest’attitudine alle ricerche dei paesaggisti fin dalle origini storiche della
loro disciplina, cioè a partire dal “pittoresco” dei giardini settecenteschi, ricerche connesse ad un altro
termine fondamentale d’innovazione delle categorie più canoniche dell’architettura, cioè il movimento.
LO SGUARDO TATTILE
La “concezione sensualista” dell’arte che è alla base della ricerca di Penone si estrinseca in quello che è
stato chiamato lo “sguardo tattile”, ovverosia nel primato del tatto come forma essenziale e primaria di
conoscenza della natura, decisamente prioritario rispetto alla vista.
Toccare, capire una forma, un oggetto, è come coprirlo di impronte.
Si può dire “posare lo sguardo” ma è solo dopo aver posato le mani che si posa lo sguardo e lo
sguardo raccoglie, decifra la forma e la vede con le impronte delle mani.
E’ questo probabilmente il motivo per cui Penone può definirsi integralmente scultore, anche quando sembra
sconfinare nei campi della pittura o dell’arte ambientale: il tatto è prerogativa massima dello scultore, della
cosiddetta arte plastica.
E il tramite di conoscenza fra il tatto e la natura è costituito dall’impronta e dalla pelle: non a caso
grandissima parte della produzione artistica di Penone lavora su questi due elementi della superficie delle
cose. Ma non in termini superficiali, anzi ricercando sulle superfici le tracce profonde della materia e i fattori
decisivi della “conformazione” della forma.
E’una scorza umanizzata, è una scorza culturale, un involucro di conoscenza, una pelle fatta di
impronte, un involucro simile alla pelle mutata del serpe.
Avvolgere, contenere, riempire, aderire, adattarsi, adagiarsi, scorrere… sono azioni specifiche dei
fluidi ma sono anche le condizioni necessarie alla lettura tattile dell’ambiente.
Il serpente: il suo è un continuo aderire alle cose; tutto il suo corpo partecipa alla lettura tattile della
realtà che lo circonda.
Anche in questo la ricerca di Penone è pienamente in linea con larga parte della ricerca architettonica
d’avanguardia che lavora sui concetti di fluidità, di spazio e di vuoto, di superficie e di pelle, ritrovando non a
caso forti elemento di contatto con le forme organiche, ritrovabili “in natura”.
LA SCULTURA “BRAILLE”
Dal concetto di “sguardo tattile” è facile derivare l’idea solo apparentemente paradossale di una scultura da
percepire a occhi chiusi, di una sorta di linguaggio “braille” della scultura, che è anche un modo alto di
coniugare sensorialità e interiorità, di rendere il tatto un senso di percezione non tanto della superficie delle
cose quanto del profondo.
Attraverso lo sguardo profondo della percezione tattile si può attingere così agli strati profondi dell’animo
umano: alla memoria, alla materia grigia.
La condizione del sogno è la cecità. Si immagina meglio ad occhi chiusi. La luce invade la testa. Con
gli occhi aperti si assorbe la luce. Con gli occhi chiusi si proiettano le immagini del nostro pensiero
sulla volta del cranio, sull’involucro che ci avvolge, sull’interno della pelle, che diventa confine,
divisione, definizione del corpo e contenitore del nostro pensiero.
Il vedere è contrario al toccare.
La palpebra separa il tatto dalla vista.
La vista del cieco, l’udito del sordo è la memoria.
LA PELLE E LA PALPEBRA COME LIMITE E INTERFACCIA COL MONDO
Come si diceva poco fa, il tramite per questa opera di “percezione profonda” di natura tattile passa
attraverso il filtro della pelle e, più specificamente, della palpebra.
La pelle è limite, confine, realtà di divisione
Le palpebre chiuse, l’esatta definizione dei limiti e dello spazio del pensiero, riflettono la notizia del
proprio corpo nello spazio.
Attraverso questo filtro, il mondo dell’interiore (il profondo) e il modo dell’esteriore (il paesaggio) si
connettono e dialogano, secondo un procedimento meno diretto ed esplicito di quello consuetamente
attingibile attraverso la vista. E’ un po’ la differenza che passa tra la fotografia e la radiografia. Il rapporto è
biunivoco e speculare: da dentro a fuori, ma anche da fuori a dentro.
Il rapporto sensoriale lavora anche quindi per rispecchiamento.
Riflettere la visione, il campo visivo. Interrompere la vista, rispecchiare le immagini che l’occhio
dovrebbe vedere, assorbire è riflettere la visione.
Vedere attraverso le palpebre chiuse.
Le idee sono cristalli, si solidificano, si cristallizzano nelle parole, sono cristalli trapassati dalla luce
dei loro significati, tante luci diverse, tante immagini diverse di una parola.
IL CRANIO COME SCATOLA DI PROIEZIONE DEL PAESAGGIO
E dal riflesso e il rispecchiamento alla proiezione il passo è breve: non solo quindi la palpebra come filtro, la
lente come specchio, ma anche il cranio come scatola di proiezione del paesaggio, del mondo.
Il paesaggio che ci circonda lo possediamo all’interno di questa scatola di proiezione. E’ il paesaggio
all’interno del quale pensiamo. E’ il paesaggio che ci avvolge. Un paesaggio da percorrere, tastare,
conoscere con il tatto, da disegnare punto per punto.
La superficie del corpo (pelle, palpebra, interno del cranio), nella sua essenza di membrana bidimensionale,
si fa dunque interfaccia del rapporto tra uomo e mondo, tra uomo e natura.
Un concetto, questo di superficie-interfaccia, di estrema modernità, che può rimandare a mille esperienze
dell’arte e ancor più dell’architettura contemporanea, in cui la superficie involucrante gli spazi diventa
protagonista, insieme agli spazi da essa contenuti, ben al di là dell’importanza tradizionalmente attribuita al
corpo-massa, alla “tettonicità”.
PENSARE CON IL CORPO
In questo processo percettivo si sviluppa la sensibilità artistica del “pensare con il corpo”, del trasferire la
“sensualità” o la “sensitività” in materia grigia, in pensiero, cioè in capacità raziocinante.
Il pensare è pesare. Il pensiero non sopravvive senza l’esperienza della forza di gravità.
Lo spirito non pensa, è il corpo che pensa.
La prima identità è quella del corpo, è un’identità cellulare, un’identità di carne.
E’ attraverso questo processo che Penone riesce a dare e trasmettere un’essenza razionale a un’opera che
origina completamente dai sensi.
Non riesco a creare una forma se non adotto un metodo razionale… Pertanto procuro di trovare una
logica interna dell’opera.
Si tratta di un procedimento fondamentale per ogni opera d’arte, compresa l’architettura: l’opera origina dai
sensi – da una sensibilità e/o da un’intuizione artistica – e si trasferisce, grazie alla coscienza del processo
logico che la sostiene, quindi grazie a un metodo “scientifico”, in opera che esprime un pensiero razionale, in
opera quindi intelligibile.
ARTE COME RINVENIMENTO DELLE FORME DELLA NATURA
Una volta assodato il primato della “sensibilità” nel conoscere la natura e nel costruire l’opera d’arte, rimane
da sottolineare nel procedimento artistico di Penone la sorprendente pervicace volontà di evitare ogni forma
di rappresentazione per esaltare invece i processi di escavo, di ritrovamento e di riscoperta, esattamente
come avviene nella ricerca archeologica.
L’arte nasce come rinvenimento di forme già date, anche se occultate, obliterate, dimenticate, e attraverso la
loro messa in luce, la loro rivelazione o addirittura la loro rinascita e rigenerazione.
La curiosità di scoprire ogni volta un albero e quindi una “storia” nuova.
Il processo di rigenerazione è un processo rapido e permette in un breve arco di tempo la lettura dei
diversi momenti della foresta: la sua evoluzione storica, il suo ritmo di crescita, ecc.
Anche in questo procedere da archeologo, da paleontologo o da geologo, che scruta e interpreta gli strati e
riscopre tracce e forme nascoste o perdute, Penone si dimostra vicino a molta ricerca dell’architettura e
dell’architettura del paesaggio là dove si dà luogo ad un processo di creazione formale che si fonda su
procedimenti non tanto di pura invenzione quanto di “inventio”, di ritrovamento, sia pure talvolta in termini
fittizi, di “fiction” (si pensi ai molti esercizi sulla stratificazione proposti per esempio da Peter Eisenman).
ARTE COME RIPETIZIONE DELLE FORME DELLA NATURA
Ma Penone va anche oltre il rinvenimento di forme celate o ancestrali, proponendo in talune sue opere un
procedimento di vera e propria clonazione.
I procedimenti creativi o trasformativi della natura sono in tal caso non solo imitati ma addirittura fedelmente
riprodotti e riproposti.
L’opera d’arte non è allora semplicemente nel suo darsi oggettuale ma ancor più nel processo del suo farsi
creativo, che riproduce per esempio l’opera di erosione e levigatura prodotta dalle acque di un fiume sulle
pietre: non tanto una pietra come una pietra, ma “essere fiume” ovverosia la clonazione dell’opera creativa
delle acque.
Non è possibile pensare o lavorare la pietra in modo diverso dal fiume.
Ripetere esattamente la pietra estratta dal fiume nel nuovo blocco di pietra è essere fiume.
Ripetere il bosco
Il bronzo è il materiale ideale per fossilizzare il vegetale.
La sua patina è la verde sintesi del paesaggio.
L’imitazione della natura è concepita non come una rappresentazione illusionista ma come una duplicazione
del processo naturale.
L’ANALISI DEL VUOTO, L’ALBERO COME “GROMA”
Nella ricerca proposta dall’osservazione delle forme naturali Penone scopre anche una capacità degli
elementi naturali di indagare lo spazio e quindi di fornire strumenti di misura dello spazio medesimo. In
questo di nuovo la sua opera può essere usata come procedimento di ricerca accostabile a quello
dell’architettura.
L’albero, nelle sue leggi di crescita e di misura ed appropriazione dello spazio, diventa “groma”, strumento di
misura geometrica e topologica dello spazio.
E la scultura che ne deriva diviene a sua volta potenzialmente strumento di misura e progetto dello spazio.
L’albero, edificando in verticale, esegue la stessa analisi del vuoto che conduce il funambolo con le
braccia tese.
L’albero come centro dello spazio, dà un senso all’idea del costruire circolare e si identifica con
un’idea di centro in assoluto.
RAPPRESENTARE L’IRRAPRESENTABILE, MATERIALIZZARE L’IMMATERIALE
Continuando nel parallelo con la ricerca architettonica, oltre che nell’approfondimento delle sue ricerche
artistiche personali, possiamo ancora notare che Penone – come molta dell’architettura contemporanea –
azzarda il “folle volo”, avventurandosi oltre i confini stabiliti della disciplina, e cercando di cristallizzare e
materializzare anche i dati immateriali della vita naturale e umana, cioè lo spazio, il vuoto, l’aria, il
movimento, il fluido, il soffio, il vento, il respiro.
In ciò ripropone – come sottolinea Catherine Grenier – le ricerche ai limiti del possibile di Leonardo da Vinci,
basandosi direttamente su determinati disegni di Leonardo che tentano di suggerire l’irrapresentabile, come
disegnare il vento o riprodurre il movimento.
La forza ascensionale di un albero ingabbiata.
Dal battito del cuore è nato il ritmo verbale e il ritmo dei numeri.
La coscienza dell’alfabeto e dei numeri è una coscienza fisica, tattile, propria a tutte le cose.
Una pietra che si innalza da terra per effetto della pioggia, della rugiada.
Il pieno, presupposto per l’indagine sui vuoti, è lo scultore che con il suo strumento e con le sue
mani esercita la pressione che produce i volumi.
La condizione dell’acqua è informe, la condizione della scultura è la forma. Dare una forma all’acqua
è momento poetico.
E’ forse nel tentativo di materializzare il respiro (soffio, respirare l’ombra) che Penone raggiunge il massimo
della superbia creativa, il limite massimo del “folle volo”.
La scultura-natura, prima ancora che visiva o tattile, si fa allora davvero respiro, profumo, aria, l’essenza
della vita. E l’architettura, a sua volta, si fa spazio cavo, di nuovo aria, come nel “Lo profundo es el aire” di
Chillida-Guillén.
Il respiro è scultura.
Riempire uno spazio coi meandri del fiato, il volume del fiato prodotto dalla vita di un uomo.
Quando sul fianco di una montagna boscosa un po’ secca fra le essenze mescolate di faggi, aceri,
citisi oppure nei boschi di roverelle e nelle macchie di bossi delle colline passa un colpo di vento, lo
spazio è ingabbiato da linee di forza, di conoscenza che lo intagliano come una canna buca l’acqua e
come l’acqua scorre attorno alla canna (come l’acqua avvolge la canna), ma anche allora lo spazio
resta pur sempre inaccessibile, comprensibile solo alla conoscenza lenta e metodica del particolare
vissuto.
Respirare l’ombra, la propria ombra; l’ombra del proprio corpo si estende all’interno, alle proprie
viscere.
2. ALBERTO CARNEIRO
SIMBIOSI UOMO-NATURA
Come quella di Penone, anche l’opera di Alberto Carneiro propone l’idea di immedesimazione dell’uomo
nella natura, forse meglio sarebbe dire di identificazione o di simbiosi fra uomo e natura.
Ma il lavoro di quest’artista pone soprattutto in rilievo l’azione del corpo sulla materia nel suo processo di
appropriazione-manipolazione della natura e di conseguente trasformazione.
E’ l’artista che modella la natura e la ripropone come una natura “altra”.
Fra il mio corpo e la terra è sempre esistita una profonda identità. Il bosco e la montagna con cui
lavoro in un tronco d’albero o in una pietra sono parte integrante del mio essere.
Il mio lavoro è sempre un’appropriazione totalizzatrice della materia, ricreata a due livelli: quello del
possesso brutale attraverso il furore esistenziale dei sensi e quello del possesso mentale per la
necessità di reincontrarmi con le mie proprie radici.
La natura ricreata a nostra immagine e somiglianza: noi dentro di essa ed
essa polarizzatrice dei nostri sentimenti estetici.
Una nube, un albero, un fiore, un pugno di terra si situano sul medesimo
piano estetico su cui noi ci muoviamo, son parte integrante del nostro
mondo? Non la pietra per la sua esteriorità, per la conversione dei suoi
valori formali, ma per le qualità del suo essere intimo, per il cosmo che
sta dentro di essa?
Ciò che possiamo comunicare ricreando un albero non saranno certamente i
valori che ci uniscono a lui nella circostanza di questo istante ma i
luoghi donde potrà derivare la ricreazione dei ricordi di alberi che tutti
noi possediamo.
METAMORFOSI DELLA NATURA
Si tratta dunque, soprattutto nel primo periodo del suo lavoro, di un processo di scoperta e rivelazione –
come scrive Joao Fernandes – da cui nascono esercizi di appropriazione e metamorfosi della materia.
ARTE E SENSI: CONOSCERE LA NATURA ATTRAVERSO IL CORPO
Di qui il ruolo fondamentale del corpo, della corporeità e della sensualità, come tramiti per la conoscenza del
mondo, che anche per Carneiro – come per Penone – compare a caratterizzare l’opera d’arte.
La scultura, o la situazione/scultura, il modo in cui si sviluppa
nell'articolazione spazio-temporale della percezione, il richiamo alla
mobilità del nostro corpo affinché partecipi, affinché sia scultura,
occorrono per le trasformazioni della materia in opera.
Il nostro corpo materia realizzato esteticamente dall'opera d'arte,
proiettato in essa come immagine del mondo. Il nostro corpo realizzato
nella pienezza di tutti i sensi.
L’artista interviene in prima persona nella performance artistica percorrendo con l’esperienza diretta, vissuta,
il tragitto nella natura verso l’opera d’arte.
GLI EVENTI-SCULTURA. ARTE COME ESPERIENZA DELLA NATURA
Sulla scia dell’arte concettuale e della stessa land art (riferibile soprattutto alla versione che ne ha dato
Richard Long) – questi aspetti di corporeità e sensualità si trasferiscono pertanto molto spesso nell’opera di
Carneiro in un’arte “esperienziale”, in cui si riproduce il racconto dell’esperienza vissuta.
In molti casi la scultura diviene perciò espressione di un evento. Non sono più precisamente le mani
dell’artista all’origine del lavoro, ma l’opera risulta da un processo concettuale che si manifesta in una
situazione, in un’esperienza. Di qui la definizione di eventi-scultura proposta da Fernandes.
In talune opere questo lavoro sui sensi come mezzi per il processo di metamorfosi della natura verso l’arte
trova alcune tangenze con il lavoro di Penone sulle impronte o sulle textures delle pelli vegetali o umane, o
ancora sulla forma arborea assunta qui come metafora del cosmo naturale.
NATURA COME RIVELAZIONE
E tuttavia l’arte di Carneiro – e in questo si distanzia dalla ricerca di Penone – non si caratterizza come
rinvenimento o ripetizione identica della natura, ma come interpretazione della natura attraverso
l’attribuzione alla natura di significati simbolici e conseguentemente come “trasformazione” in opera d’arte.
L’arte trasforma la natura in opera d’arte con il filtro della mente e dei sensi umani.
Non c’è più, come in Penone, la ricerca di una ripetizione identica del processo creativo artistico con quello
della natura, ma l’arte si propone piuttosto come metafora di quel processo creativo: dal naturale
all’artificiale, che – dice Carneiro – altro non è che il naturale dell’uomo.
Non affermeremo che un albero sia un’opera d’arte. Diremo soltanto che è possibile prenderlo e
trasformarlo in opera d’arte.
Un albero è un’opera d’arte quando è ricreato in se stesso come concetto per essere metafora.
In questo processo ha un ruolo-chiave lo studio e l’amore di Carneiro per le culture dell’Estremo Oriente: la
natura, letta con il tramite del pensiero orientale, si carica di significati cosmici.
Come scrive ancora Fernandes, “La scultura di Carneiro risulta così da un programma di trasferimenti
biunivoci fra i significanti della natura (un albero, una pietra, un fiore, l’acqua, un pugno di terra) e la
universalità dei significati. La costruzione spaziale del mandala – il passaggio dal quadrato al cerchio – si
unisce alla costruzione del testo come relazione fra il sé e il cosmo. L’opera risulta dall’incrocio fra il corpo
fisico e il corpo mentale, dell’energia che trascende entrambi nell’unità della creazione e
dell’interpretazione.”
Pertanto diremo che l’arte è un’altra natura, astratta nelle sue articolazioni di forma e di senso.
Arte/artificio per dilatare il tempo e dominare lo spazio, perpetuare la vita e vincere la morte.
Pensando la natura nella nostra interiorità astratta, nelle immagini-simbolo che essa rappresenta
dentro di noi, arriviamo alla realizzazione dell’arte, all’assunzione del fatto che l’artificiale è il
naturale dell’uomo, la sua vera natura.
MANDALA E EVOCAZIONI
Il percorso di Carneiro si conclude nelle opere più recenti in “evocazioni”, opere in cui – sulla scorta della
cultura tradizionale giapponese – l’artista riflette sugli elementi – acqua, terra, fuoco – che compongono la
natura, inventando composizioni evocative, appunto, e simboliche.
Alla scoperta e rivelazione, si sostituisce infine – secondo le parole di Fernandes – la disseminazione.
Nella serie “Mandala” (della foresta, del paesaggio, ecc.) elabora simboli astratti della natura nei suoi vari
elementi.
Mandala del paesaggio
Il mandala del paesaggio contenendo il paesaggio nel centro che sta dentro
e fuori, simultaneamente nell'essere del corpo e nel suo cosmo.
Il luogo d'essere montagna, albero e terra.
Mandala della foresta
Metafora del bosco. Mandala che contiene in se stesso il centro profondo
dell'io e l'universo. Le pietre e gli alberi della scultura appartengono al
bosco.
Le energie degli alberi invertiti alimentano l'albero vivo che cresce
dall'interno della terra e verso il cielo e che fiorisce tutte le
primavere. L'albero vivo è il centro del mandala. Simbolo delle energie
della natura.
“Nella serie “Evocazioni d’acqua” – scrive Santiago Olmo - affiora l’integrazione fra oriente e occidente: il
disegno e la metafora sottile congiunti all’immaginazione creatrice di simboli.
I legni formano figure che tracciano disegni nello spazio. Metafore che sono una riflessione immaginativa
sugli elementi e le loro relazioni a volte conflittuali a volte armoniche: “l’orizzontalità dell’acqua sopra la terra,
la verticalità del fuoco sopra l’aria, la obliquità del vento sopra lo spazio”.
Sul mare
Essere acqua e nave. Corpo che si estende e si fa liquido. Orizzontalità
che espande la materia come trasmutazione dell'essere.
L'acqua, elemento generatore delle forme dell'albero, ma anche l'acqua come
forma viva.
Metamorfosi del mare, della nave, del viaggio, del labirinto, del bosco.
Se in Penone la ricerca sfocia nel tentativo di rappresentare l’irrapresentabile, l’immateriale, in Carneiro –
quasi simmetricamente – sfocia nel tentativo di rappresentare simboli cosmici, di evocare quasi il
soprannaturale contenuto nella natura medesima: quello che Carneiro chiama il “corpo sottile” delle cose.