Attività di impresa della criminalità organizzata e

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Attività di impresa della criminalità organizzata e
Seconda Università degli Studi di Napoli
Facoltà di Giurisprudenza
Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici
agrorinasce
Incontri seminariali: cultura e legalità per lo sviluppo
L’impresa criminale organizzata e il libero mercato
Intervento del Dott. Luigi Fiorentino
Segretario Generale
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
Attività di impresa della criminalità
organizzata e distorsioni alla concorrenza
Venerdì, 17 aprile 2009
Università per la legalità e lo sviluppo
Casal di Principe
1.
Premessa
Mi è stato chiesto di parlare dei profili di interferenza tra politiche della
concorrenza e poteri criminali. Con questa intenzione, mi accingo preliminarmente a
fare alcune considerazioni di carattere generale che riguardano i poteri criminali in
senso ampio. Umberto Santino, Presidente del Centro Siciliano di Documentazione
Giuseppe Impastato, descriveva la “mafia” come «un insieme di organizzazioni
criminali, di cui la più importante ma non l’unica è Cosa nostra, che agiscono
all’interno di un vasto e ramificato contesto relazionale, configurando un sistema di
violenza e di illegalità finalizzato all’accumulazione del capitale e all’acquisizione e
gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo
consenso sociale».
Nel territorio in cui oggi ci troviamo a parlare, che è anche il mio, visto che
questa è anche la mia Regione, parlare di potere criminale, significa parlare della
Camorra, o come ha ricordato a tutti Roberto Saviano, evocando le parole di Don
Peppino Diana, la nostra Gomorra.
È consapevolezza comune, quasi un’ovvietà, la considerazione che sicurezza,
legalità, trasparenza della pubblica amministrazione, sono fattori determinanti per lo
sviluppo delle aree più arretrate nel nostro Paese.
L'ambiente sociale e amministrativo, infatti, può costituire un fattore di
competitività o al contrario una delle diseconomie esterne di un territorio.
La politica della concorrenza, quando effettivamente implementata e
perseguita, può operare anche come strumento di bonifica e di contrasto della
criminalità organizzata: le condizioni di parità e uguaglianza degli operatori di
mercato, infatti, possono essere non soltanto la conseguenza ma anche il presupposto
della maturità democratica di un territorio.
Democrazia, legalità e concorrenza, dunque, si legano indissolubilmente e
diventano un momento fondamentale per l’affermazione del diritto e della sovranità
dello Stato rispetto al giogo e alla prepotenza dei poteri criminali.
2.
Impresa criminale e mercato: il falso mito del benessere criminale
L’incidenza dei poteri criminali sull’economia del territorio è storia antica, ma
il fenomeno ha assunto caratteri più marcati con lo sviluppo industriale e con la
2
scoperta – da parte della criminalità organizzata – delle opportunità offerte dalla
economia legale per aumentare la propria area di influenza nella società.
La “vecchia camorra” come la “vecchia mafia”, nelle agiografie di alcuni
collaboratori di giustizia, è vista alla stregua di un’istituzione di mutuo soccorso
sociale, che creava nei quartieri sicurezza e protezione. Del resto, già Franchetti e
Sonnino (Inchiesta in Sicilia, Firenze, Vallecchi, 1974, pubblicata nel 1877) nel loro
famoso studio del 1876, approcciandosi al fenomeno con gli strumenti propri della
teoria economica, parlavano della mafia come di un’«impresa o industria della
protezione privata».
Con l’espressione “impresa mafiosa” si intendono le mafie (o meglio una parte
di esse) che assumono la veste formale di imprenditore commerciale.
Questa espressione torna alla ribalta e assume una certa eco mediatica col
famoso saggio di Pino Arlacchi (La mafia imprenditrice. L'etica mafiosa e lo spirito
del capitalismo, il Mulino, Bologna, 1983). L’autore mette in evidenza come, negli
anni '70, sarebbe nata una nuova forma di potere criminale organizzato: la “mafia
imprenditrice”. Si tratta di un’epocale e profonda riorganizzazione, che ha investito la
“ragione sociale” degli storici poteri criminali del nostro Paese (prima la mafia
siciliana, poi la camorra, la n’trangheta, la sacra corona unita) e, conseguentemente, i
suoi assetti interni.
La mafia si apre ai traffici illeciti internazionali, si dà un’organizzazione
imprenditoriale per la produzione e lo scambio di beni e per il reinvestimento degli
utili conseguiti. In questo processo le varie organizzazioni hanno perso il loro
tendenziale carattere pulviscolare e, nel tentativo di affermare la sovranità esclusiva
su un territorio, sono entrate in turpe competizione tra loro, scatenando più di una
sanguinosa faida. I fatti ricostruiti e narrati all’interno del processo Spartacus
ripercorrono questa trasformazione interna.
Il clan mafioso, come emerge dal processo Spartacus, può essere a ragione
definito come una sorta di vera e propria “multinazionale del crimine”, con
ramificazioni infinite. Gli stessi clan, talora, si definiscono degli “imprenditori”.
Semplici imprenditori che si occupano di gestire al meglio i propri affari. Poco
importa se i mezzi utilizzati per realizzare i loro scopi sono criminali.
Peraltro l’espressione, “impresa mafiosa”, in senso ampio, individua anche una
serie di fenomeni e soggetti contigui. Così, oltre all’impresa mafiosa in senso stretto
(imprese legali costituite o acquisite per iniziativa di un'organizzazione criminale, la
quale ne ha la gestione, ovvero quella gestita – in modo diretto o indiretto – da un
singolo criminale mafioso nel proprio esclusivo interesse) possono considerarsi tali: 1
a)
le cd. “società ad infiltrazione mafiosa”, nella quale l'imprenditore,
pur estraneo all'organizzazione criminale, instaura con questa rapporti stabili di
1
Così M. Centorrino e F. Ofria, L’impresa mafiosa, in Segno, vol. 243, pp. 77-80, in commento alla risoluzione adottata
dal CSM sulla criminalità organizzata e l’economia illegale, il 24 luglio 2002.
3
convivenza e connivenza, accettandone i servizi offerti e ricambiandoli con
altri servizi ed attività complementari.
b)
quelle che entrano in rapporti più o meno stabili con le
organizzazioni criminali, pur senza in esse inserite o “contigue”, solo al fine di
concludere affari vantaggiosi.
Considerato da un punto di vista strettamente economico, questo sistema
imprenditoriale si basa, come direbbe Arlacchi, su di un “profitto monopolistico”,
frutto di una “innovazione” consistente nel “trasferimento del metodo mafioso
nell'organizzazione aziendale del lavoro e nella conduzione degli affari esterni
all'impresa” (La mafia imprenditrice, op. cit, p. 109).
Tutte queste caratteristiche le ritroviamo nel caso dei consorzi di calcestruzzo
venuto alla ribalta delle cronache grazie prima alle indagini e alle sanzioni
dell’Antitrust, poi nell’ambito del processo Spartacus, in cui una nostra funzionaria,
oggi Direttore Generale della Direzione Generale per la Tutela del Consumatore, ha
testimoniato in prima persona. Di questo caso mi occuperò nella parte finale del mio
intervento, dopo avere illustrato il contrasto e le interferenze che sussistono tra
criminalità e poteri pubblici, soprattutto nel settore degli appalti pubblici.
Ciò che mi preme sottolineare sin da subito, è l’incompatibilità endemica,
addirittura definitoria, che sussiste tra l’impresa mafiosa, così definita, e il mercato
concorrenziale: non appena si impianta, infatti, l’impresa mafiosa preclude qualsiasi
forma di concorrenza effettiva, in quanto gode di almeno tre vantaggi competitivi
“indebiti”.
Vediamo di delinearli:
1)
l’intimidazione mafiosa, che può essere considerata un vero e proprio
fattore produttivo esclusivo. Si tratta di una peculiarità che supera e scardina le
dinamiche del mercato, basate sulla libertà contrattuale. Grazie a questo peculiare
fattore di produzione, le imprese mafiose possono reperire, sul piano della domanda,
merci e materie prime a prezzo ridotto, nonché ottenere una forte compressione
salariale. Sul piano dell’offerta, tali imprese possono captare commesse, appalti e
sbocchi di vendita senza essere esposte alla medesima pressione concorrenziale che
interessa le altre imprese.
La capacità di intimidazione del metodo criminale è tale da agire come una
vera e propria barriera doganale e dare vita a forme di protezionismo interno sul
territorio di riferimento, in cui operano alla stregua di monopolisti;
2)
la disponibilità di risorse finanziarie senza l’onere di dover sostenere il
costo del danaro alla stregua di tutte le altre imprese. L’impresa mafiosa, infatti, non
sopporta i costi del credito come avviene normalmente per le altre imprese;
4
3)
illegalità senza rischio. La legalità, se non è affiancata da un sistema di
repressione efficace, diventa solo un costo. Rispettare le norme sulla tutela
ambientale, sulla sicurezza del lavoro, gli standard di prodotto, è un notevole vincolo
di bilancio. Per le imprese legali obbedire alla legge, a fronte del rischio di sanzioni,
diventa comunque il male minore. Se l’impresa mafiosa, invece, è in grado, con la
corruzione, di scardinare il controllo dei pubblici poteri e/o di comprarne la loro
connivenza, essa non ha più bisogno di sopportare “il costo inutile” della legalità.
Queste “imprese”, a causa dei loro indebiti vantaggi competitivi hanno perciò
una naturale capacità espansiva e spesso si traducono in monopoli di fatto. Si tratta di
storia di successo “sleale” e “anticompetitivo” che però fa sorgere nell’immaginario
collettivo il mito della camorra che produce e crea occupazione.
Un mito, in verità, debole ma non facile da sfatare.
In questo modo, infatti, il potere criminale recupera il consenso sociale dell’era
arcaica, quello della protezione. La promozione di attività capaci di assicurare lavoro
e reddito alla popolazione nelle zone in cui si esercita il controllo del territorio, la
rende socialmente ben accetta e integrata con il contesto antropologico (A. Becchi e
G. M. Rey, L’economia criminale, Bari, Laterza. 1994).
Tuttavia si tratta di un benessere, se di benessere si può parlare, assai effimero.
Infatti, la miscela su cui si basa il successo dell’impresa mafiosa –
essenzialmente il patronaggio criminale e l’intimidazione – la condanna al localismo:
fuori dal contesto sociale in cui si sviluppa, essa perde capacità di leadership e gran
parte del suo appeal competitivo, rendendosi debole ed esposta alle concorrenza vera
del mercato nazionale e internazionale. Per cui il benessere di cui si tratta finisce per
deprimere i territori che vengono a perdere sul piano di uno sviluppo stabile e
duraturo, e l’impresa finisce per dividersi i residui di un mercato basato
essenzialmente sul parassitismo ai danni delle risorse pubbliche.
In secondo luogo, il danno prodotto al sistema economico, con l’espulsione di
imprese efficienti e il predonaggio delle risorse a danno dei soggetti estranei
all’impresa criminale (gli altri produttori, i cittadini), unite alla mancata diffusione di
una cultura d’impresa, rendono il sistema incapace di rigenerarsi e di sfruttare la
creatività ed il genius loci: l’impresa mafiosa, infatti, non produce innovazione,
perché non ha stimoli all’efficienza. Non a caso essa svolge la propria attività
essenzialmente in settori caratterizzati da processi produttivi ad alta intensità di
lavoro, rispetto al capitale, come ad esempio i settori delle costruzioni, del
commercio e dei pubblici esercizi, dei trasporti, dei servizi alle famiglie e alle
imprese (M. Centorrino e F. Ofria, L’impatto criminale sulla produttività del settore
privato dell’economia. Un’analisi regionale, Milano, Giuffrè, 2001).
Il benessere di cui si parla non è altro che l’accettazione della dipendenza da
lobby criminali che controllano il territorio in forza del loro potere dispotico.
5
Tutto ciò produce una crescita senza qualità, un benessere senza sviluppo,
un’economia senza mercato, dipendente dal potere criminale e dal suo destino, uno
sviluppo senza regole, ambientalmente non sostenibile. La commistione tra affari,
politica e criminalità organizzata dunque può anche dar luogo a forme di crescita
economica ma crea solitamente sistemi produttivi fragili, crea un’economia malata.
Quello che è importante notare è che il diritto e la politica della concorrenza
costituiscono quella parte dell’ordinamento che entra in diretto conflitto con gli
interessi economici e finanziari delle cosche. Affermare la concorrenza, significa
affermare la sovranità dello Stato. In questo senso la concorrenza diventa un valido
mezzo e al tempo stesso un valido obiettivo per il contrasto del potere criminale.
Analizzeremo dunque alcune parole d’ordine di questa strategie di contrasto.
La prima, dotata di una valenza centrale per spezzare il parassitismo delle cosche
sulle pubbliche amministrazioni, è la trasparenza.
3
Impresa criminale e concorrenza. La trasparenza come elemento di contrasto
di infiltrazioni
Il primo e forse il principale campo in cui il conflitto o l’intreccio tra poteri
criminali, attività dello Stato e concorrenza, è quello dei mercati il cui accesso è
regolato e limitato ad un numero determinato di soggetti.
Non sempre infatti un mercato può essere aperto alla piena concorrenza tra tutti
i potenziali agenti. Questo accade, per esempio, quando vi è una strutturale
concentrazione della domanda o dell’offerta. Si parla, per questi ambiti, di “mercati
riservati”.
Vediamone i casi.
1) Per dare un esempio di immediata percezione, si può fare riferimento a molti
servizi pubblici di tipo “infrastrutturale” (acqua, gas, ferrovie, telecomunicazioni): si
tratta di monopoli naturali perché è necessario disporre di una rete non replicabile o
replicabile sostenendo costi di investimento non recuperabili in cicli economici
compatibili con l’impresa.
La rete è di solito in mano pubblica.
2) Altro esempio è quello dei mercati riservati “per legge”: sono ambiti che –
per gli interessi pubblici in gioco – si ritiene di affidare ad una sola impresa. Il caso
più frequente, accanto all’esternalizzazione di funzioni pubbliche (per le quali vi è
un’esigenza monopolistica connaturata alla imperatività dei poteri esercitati) è quello
dei “servizi universali”.
Il servizio universale è una figura giuridica che comporta degli oneri a carico di
un gestore pubblico o privato di un servizio di pubblica utilità. Si tratta di un insieme
6
minimo definito di servizi di determinata qualità, disponibile a tutti gli utenti a
prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni
specifiche nazionali, ad un prezzo accessibile.
L’universalità non deriva dalla natura dei servizi (privata o pubblica), ma da
una valutazione circa la loro rilevanza per la collettività all’interno del sistema
economico. Pertanto, la fruizione del servizio deve essere garantita
indipendentemente dalle capacità economiche degli utenti e nel modo più uniforme
possibile sul territorio nazionale.
Le pubbliche amministrazioni vincolano i privati a tali prestazioni tramite i c.d.
“contratti di servizio”.
3) Infine bisogna ricordare i casi in cui la pubblica amministrazione stipula
contratti per lo svolgimento di propri “servizi strumentali”, vale a dire a vantaggio
diretto dello stesso ente per le proprie finalità istituzionali.
I principi e le direttive comunitarie in materia di appalti impongono il rispetto
della concorrenza e della par condicio a prescindere da caratteristiche strutturali del
mercato, per almeno due motivi:
- da un lato, le pubbliche amministrazioni possono costituire un elemento di
tensione per il funzionamento del mercato nella misura in cui non seguano,
nell’effettuare la domanda di servizi e beni strumentali alla propria attività, regole di
efficienza ed economicità. Il rischio, infatti, è che possano risultare favorite, sulla
base di criteri politici, imprese inefficienti;
- per altro verso, si deve ricordare che in relazione alla natura del soggetto delle
attività (si pensi all’edilizia pubblica) e in relazione a determinati prodotti vi può
essere un vero e proprio monopsonio, una forma di mercato in cui l’offerta è
frammentata in un numero indefinito di operatori, mentre la domanda è concentrata in
un unico operatore. Anche in questo caso, è necessario garantire un accesso paritario
al mercato, secondo regole di efficienza.
Nelle situazioni elencate, specie con riferimento a servizi pubblici affidati a
terzi e a servizi strumentali, vi è un amplissimo e di immediato interesse per la
criminalità organizzata, che nelle commesse pubbliche intravede una ghiotta
opportunità di guadagno.
Per questo motivo, l’implementare in questi ambiti la politica della
concorrenza si traduce in un efficace strumento di contrasto al potere criminale.
Lo strumento attraverso cui l’ordinamento giuridico nazionale e quello europeo
garantiscono tale risultato è, com’è noto, quello della procedura ad evidenza
pubblica. Questo modulo procedimentale, nell’imporre trasparenza e parità di
condizioni nel competere, realizzano la concorrenza nell’accesso al mercato (ovvero,
come si suol dire, una concorrenza “per” il mercato) che costituisce un valido
contrasto anche ai poteri criminali.
7
Capire questo significa avere la consapevolezza che non ci può essere sviluppo
senza concorrenza e legalità. In questo senso, le amministrazioni operano quali
“stimolatori di efficienza” (cfr. F. Merusi, La nuova disciplina dei servizi pubblici, in
Annuario 2001, Giuffrè, Milano, 2002, p. 69), ma anche di democrazia e legalità
economica.
A parte la questione del “se e quando fare le gare”, sulle amministrazioni
incombe anche e soprattutto la responsabilità del “come fare gare” 2 per l’affidamento
di contratti di appalto o di concessione aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi o di
forniture.
Affinché lo strumento della gara possa esplicare al meglio i valori
concorrenziali, è necessario che i bandi siano definiti con grande attenzione, al fine di
evitare comportamenti anticoncorrenziali (sia nel senso della collusione, sia nel senso
della esclusione dei rivali) da parte delle imprese partecipanti. Le linee guida
fondamentali per la redazione dei bandi riguardano la loro pubblicità e la definizione
delle regole di partecipazione. Infatti, l’accessibilità e la trasparenza del bando
favoriscono la più ampia partecipazione alla procedura e la maggiore qualificazione e
varietà delle offerte a vantaggio della stessa amministrazione appaltante; i requisiti di
partecipazione alla gara devono essere stabiliti in conformità ai canoni di
ragionevolezza e proporzionalità, devono cioè fissare condizioni adeguate rispetto ai
beni ed ai servizi oggetto di fornitura 3 , pena inutili restrizione della competizione
(magari a favore di soggetti sui quali i requisiti di gara vengono ritagliati).
Un ruolo nevralgico, ovviamente, svolgono le amministrazioni locali,
soprattutto dopo la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione. Esse,
infatti, sia per dimensioni finanziare complessive della spesa, sia per la rilevanza
strategica che esse avranno ai fini dell’attuazione dell’imminente riforma nota come
“federalismo fiscale”, costituiscono un momento essenziale della nostra economia e
del nostro welfare.
2
A. Pezzoli, Gare e servizi pubblici: quali problemi per la concorrenza, in Di Vincenti C.-Vigneri A., Le virtù della
concorrenza. Regolazione e mercato nei servizi di pubblica utilità, Astrid, il Mulino,2006, pp. 371-398.
3
Si vedano in proposito: la segnalazione AS343 “Esecuzione dei lavori riguardanti le barriere e protezioni stradali”,
deliberata il 21/06/2006, pubblicata in Bollettino n. 26/2006, nonché la segnalazione AS251 “Bandi Predisposti dalla
Concessionaria Servizi Informatici Pubblici - CONSIP S.P.A.”, pubblicata in Bollettino n. 5/2003. Anche la definizione
dell’oggetto della gara, se eccessivamente ampia, potrebbe precludere l’accesso a operatori in grado di realizzare solo
una singola prestazione, cfr. AS302 “Bando di gara di appalto del servizio di fornitura alimentare ai detenuti”,
deliberato il 01/06/2005, pubblicato in Bollettino n. 23/. La durata dell’affidamento prevista dei bandi dovrebbe essere
sempre strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti effettuati da parte del gestore,
al fine di evitare il perdurare di situazioni di monopolio, con conseguente creazione di ingiustificate rendite di
posizione. Questo principio è indicato nella segnalazione AS311 “Modalità di affidamento della gestione di servizi
pubblici locali”, deliberata il 06/09/2005, pubblicata in Bollettino n. 35/2005. In alcuni casi (ad esempio, la raccolta
differenziata dei rifiuti), l’assenza di rilevanti investimenti non recuperabili sembra permettere affidamenti per periodi
relativamente brevi; nei servizi pubblici a rete (trasporto ferroviario locale, distribuzione idrica, elettrica e di gas),
invece, gli affidamenti dovranno inevitabilmente avvenire per periodi relativamente lunghi, a causa della rilevanza degli
investimenti non recuperabili, necessari a garantire la manutenzione, l’adeguamento e il potenziamento delle relative
infrastrutture (AS453 “Considerazioni e proposte per una regolazione pro concorrenziale dei mercati a sostegno della
crescita economica”, deliberata il 11/06/2008, pubblicata in Bollettino n. 17/2008)
8
Da un punto di vista oggettivo, la materia più direttamente interessata è quella
dei servizi pubblici locali (o SPL), atteso che la maggior parte dei servizi pubblici
tradizionali (gas, energia elettrica, servizi idrici integrati, raccolta e smaltimento dei
rifiuti, trasporto pubblico locale) è erogata da Regioni ed enti locali. Solo nel 2007,
infatti, il fatturato derivante dalla gestione dei servizi pubblici locali è stato stimato in
circa 35 miliardi di euro.
Si capisce, quindi, come l’esternalizzazione dei servizi pubblici costituisca
un’occasione ghiotta di affari e, per contro, un rilevante banco di prova per le
istituzioni per affermare la loro autorità e autorevolezza.
Come si diceva, la regola dell’evidenza pubblica, tramite la trasparenza e la par
condicio che impone ai concorrenti, è il primo strumento di garanzia di concorrenza e
legalità.
E’ il caso quindi di analizzare i limiti che devono governare le eccezioni a tale
procedura:
a)
l’in house providing;
b)
le società miste pubblico-privato.
Gli affidamenti in house, vale a dire affidamenti diretti senza previa gara, a
società a partecipazione pubblica si pongono come eccezione alla regola della gara e
pertanto, oltre ad essere sottoposti a stringenti requisiti di legittimità, impongono
all’amministrazione che intenda ricorrervi, quanto meno l’onere di motivare
adeguatamente tale scelta.
Il rischio di un abuso di tale strumento è infatti anche quello di vedere
diminuita la trasparenza e la competitività del processo. Inoltre, non è escluso che una
cattiva taratura dello statuto e delle condizioni di affidamento del relativo servizio
possano favorire la successiva cessione di quote a società private non scelte a loro
volta con procedura ad evidenza pubblica. Diventa quindi importantissimo
controllare che sussista il controllo stabile e gerarchico da parte dell’ente affidante.
Per questa ragione, l’Autorità garante ha più volte di segnalato alcuni aspetti critici
degli affidamenti in house 4 .
Questo controllo ha recentemente trovato un espresso riconoscimento
legislativo in virtù della nuova competenza di recente attribuita all’Autorità ai sensi
dell’art. 23-bis del d.l. 112/08, che dovrebbe sortire un effetto di deterrenza a quanti
fuggano dalla gara per ragioni pretestuose.
L’ente, infatti, prima di procedere all’affidamento diretto senza gara, deve
effettuare una rigorosa analisi di mercato per poi esaustivamente illustrare e motivare
le ragioni che fanno ritenere non opportuno o adeguato il ricorso alle società presenti
4
AS 182 Riordino dei servizi locali in Bollettino n. 41/99; AS 222, disciplina dei servizi locali, Bollettino 43/2001;
AS311, Modalità di affidamento della gestione di servizi pubblici locali Bollettino 35/05; AS468 del 31 luglio 2008
“Affidamento dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica secondo modalità c.d. in house”, la segnalazione
AS375 del 28 dicembre 2006 “Affidamento di servizi pubblici locali aventi rilevanza economica secondo modalità in
house ed alcuni contenuti della legge delega in materia di tali servizi”,
9
nel settore da selezionare con gara. Queste valutazioni confluiscono in una relazione
che accompagna la richiesta di parere all’Autorità.
Anche se l’Autorità non può né deve sostituirsi alla giurisdizione e si occupa
del profilo più strettamente concorrenziale dell’operazione, è altamente probabile che
l’aggiramento dei presupposti di mercato sia sintomaticamente rilevato
dall’aggiramento di quelli di legittimità e che quindi il parere finisca per rilevare,
intrecciandoli, i vari profili di violazione. Questo comporta uno stress motivazionale
e un obbligo di trasparenza non indifferente per l’ente richiedente il parere.
Questo può dare un concreto contributo alla riduzione di abusi.
Occorre poi esaminare il modello della società mista per la gestione dei
servizi.
Questo non significa che si debbano perdere le opportunità di sviluppo che il
partenariato pubblico-privato, può offrire. Infatti, come evidenziato dal “Libro Verde
relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici
e delle concessioni” del 2004, il ricorso alla figura della società mista può essere
desiderabile e giustificato da un punto di vista economico. Ciò, in particolare, quando
la sinergia col privato consente di reperire il necessario know-how o le energie
finanziarie altrimenti non disponibili per la pubblica amministrazione.
Il modello delle società miste, inoltre, è un’ipotesi assai ricorrente nella prassi
della pubblica amministrazione italiana, anche nella forma di partecipazioni indirette
(holdings a capitale interamente pubblico o misto).
Tuttavia, questo modello presenta rischi elevati di “inquinamento”.
Bisogna perciò adottare alcune cautele organizzative che ancora una volta
muovono dall’eccezionalità dell’istituto.
Anche l’adozione di questo modello deve essere informata agli schemi
procedurali dell’evidenza pubblica come ribadito dalla più recente Comunicazione
interpretativa della Commissione Europea del 2008 5 . Pertanto, per la scelta del “socio
operativo” privato è necessaria una gara che selezioni il privato con criteri che
tengano conto anche della idoneità del socio a garantire elevati standard di qualità del
servizio, con una conseguente adeguata ponderazione dei requisiti di partecipazione e
di aggiudicazione.
L’affidamento in-house e il modello della società mista pongono inoltre
delicati problemi in punto di conflitto di interesse fra ente pubblico affidante, società
affidataria ed ente regolatore 6 . L’abuso di questi istituti, infatti, genera anche
un’indebita commistione di funzioni commerciali e poteri di regolazione che,
5
“Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e
delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI)”, 2008/C 91/02, pubblicata in GUCE 12 aprile
2008.
6
Sul punto, si veda la segnalazione AS375 “Affidamento dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica secondo
modalità c.d. in house e ad alcuni contenuti della legge delega in materia di tali servizi”, deliberata il 14/12/2006,
pubblicata in Bollettino n. 50/2006.
10
sostanzialmente, rischia di sottrarre l’impresa pubblica sia alla disciplina del mercato
che al controllo regolatorio 7 : un’efficace modalità per evitare tali situazioni di
conflitto di interesse o fenomeni di cattura del regolatore è rappresentata
dall’individuazione di organi di regolazione indipendenti e caratterizzati da un
elevato livello di specializzazione, quali le Autorità nazionali di settore8 .
4.
La politica della concorrenza tra quadro normativo e azione amministrativa
Si è consapevoli che non può essere la concorrenza a sostituire una politica
dell’ordine pubblico e culturale diretta allo sradicamento del fenomeno.
Quello che sostengo è che la politica della concorrenza è in grado di
contribuire fortemente ad espellere l’impresa criminale dal circuito dell’economia
legale, negandole fonti di profitto e favorendo lo sviluppo economico locale tramite
l’imprenditoria sana.
Vi è però anche bisogno di un’azione amministrativa rigorosa.
Non si può credere, infatti, che il meccanismo della procedura competitiva
metta di per sé al riparo da turbative e distorsione del mercato da parte di imprese
criminali.
Questo per due motivi: a) la disciplina complessiva del meccanismo
dell’aggiudicazione competitiva non garantisce in assoluto da infiltrazioni; b) le
imprese criminali spesso non si preoccupano di assicurarsi l’aggiudicazione
dell’appalto, ma di controllarne l’esecuzione.
Occupiamoci del primo problema.
Esistono alcuni istituti, che, nello stesso ambito della disciplina della appalti,
possono costituire occasione di collusione.
Pensiamo all’avvalimento.
L’avvalimento (art. 49 Codice degli appalti) può essere definito come l'istituto
per effetto del quale un operatore economico sprovvisto dei requisiti richiesti dal
bando per la partecipazione ad una gara di appalto può soddisfarli avvalendosi, a
7
AS453 “Considerazioni e proposte per una regolazione pro concorrenziale dei mercati a sostegno della crescita
economica”, deliberata il 11/06/2008, pubblicata in Bollettino n. 17/2008.
8
In questo modo, sarebbero garantiti fondamentali principi: in primo luogo, un esercizio efficiente e imparziale dei
poteri di regolazione tramite un’effettiva terzietà e indipendenza del regolatore rispetto ai soggetti del rapporto
concessorio (amministrazione locale e impresa); in secondo luogo, adeguati standard di efficienza e qualità della
regolazione sull’intero territorio nazionale, evitando la proliferazione di regimi e prassi ingiustificatamente differenziati
che contribuirebbero a perpetuare la sostanziale compartimentazione dei mercati attualmente osservata. Infine, si
garantirebbe la disponibilità per il regolatore di un insieme più ampio di dati e informazioni, tale da favorire
l’introduzione di forme di regolazione incentivante delle attività di gestione delle reti, basate sulla comparazione degli
esiti conseguiti nei diversi ambiti locali (yardstick competition). Si vedano in proposito: la segnalazione AS453
“Considerazioni e proposte per una regolazione pro concorrenziale dei mercati a sostegno della crescita economica”,
deliberata il 11/06/2008, pubblicata in Bollettino n. 17/2008, nonché la segnalazione AS375 “Affidamento dei servizi
pubblici locali aventi rilevanza economica secondo modalità c.d. in house e ad alcuni contenuti della legge delega in
materia di tali servizi”, deliberata il 14/12/2006, pubblicata in Bollettino n. 50/2006.
11
determinate condizioni, dei requisiti di altra impresa, definita come impresa
ausiliaria, che rimane formalmente estranea al rapporto contrattuale (si pensi ad un
macchinario indispensabile per l'espletamento di una certa tipologia di servizio) 9 .
La finalità originaria dell’istituto era pro-competitiva, essendo l’intento quello
di favorire la massima partecipazione delle imprese alle gare, superando eventuali
limiti dimensionali tramite processi di aggregazione 10 .
Deviazioni di questo strumento possono però consentire ad imprese inefficienti
e non attrezzate di alterare la logica meritocratica del mercato a seguito della
creazione di una sorta di “commercio dei requisiti” dove le imprese che “vendono” o
“acquistano” il requisito necessario per competere finiscono per aggirare la
meritocrazia che la gara voleva garantire.
Veniamo al secondo problema: l’azione criminale spesso si dispiega a monte o
a valle del meccanismo dell’aggiudicazione competitiva.
Grazie al risparmio di costi, connesso al carattere illegale della loro azione e
alla grossa disponibilità di capitali, anch’essa frutto delle loro attività tipicamente
criminali, le imprese mafiose che partecipano agli appalti sono in grado di formulare
offerte (paradossalmente) assai competitive.
In secondo luogo, come osservava il giudice Giovanni Falcone, in un’intervista
del 1989 al Sole24ore: “se si tiene conto della caratteristica peculiare delle attività
mafiose che è il controllo del territorio, ci si rende conto che certi problemi, in tema
di appalti pubblici, sono dei falsi problemi, perché la partita non si gioca soltanto
sull’aggiudicazione, ma sull’esecuzione degli appalti”, nel momento in cui l’impresa
aggiudicataria deve acquisire le forniture.
L’impresa criminale, infatti, può entrare in gioco in fase di fornitura o di sub appalto. Per questo è fondamentale sottoporre anche queste fasi a stretti limiti
normativi e vigilare sulla loro rigorosa applicazione in via amministrativa.
5.
L’azione amministrativa dell’Antitrust e il contrasto dell’impresa criminale.
Un caso storico.
Un caso che ha riguardato addirittura il funzionamento della concorrenza in un
intero mercato (concorrenza nel mercato), risale al 1992.
La vicenda riguardava la fornitura di calcestruzzo a soggetti pubblici e privati,
nei mercati geografici della provincia di Salerno e nel Casertano. L’Antitrust ha
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Punto di partenza è la nota sentenza della Corte di giustizia n. 389/92 sul caso Ballast, nella quale veniva affermato il
principio che il concorrente poteva fare affidamento, e perciò avvalersi ai fini della partecipazione alla gara, non
soltanto dei propri specifici requisiti, ma anche di quelli delle imprese della holding cui apparteneva.
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La giurisprudenza nazionale postulava che tra l'impresa avvalente e quella avvalsa vi fosse una situazione di
sostanziale collegamento al punto che esse potessero essere considerate componenti di una holding e perciò di un centro
di interessi unitario (CdS,V, 25-3-2002, n. 1965).
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accertato che esisteva un’intesa restrittiva della concorrenza nel mercato del
calcestruzzo, risalente a diversi anni prima.
Si tratta di un esempio particolarmente dimostrativo di come la criminalità
entri in tensione non solo con la disciplina volta a garantire la concorrenza “per” il
mercato, ma anche con quella volta a garantire e tutelare la concorrenza “nel”
mercato tra imprenditori privati per la fornitura di beni e servizi.
Il calcestruzzo altro non è che un semilavorato composto che si ottiene
miscelando inerti (ghiaia e sabbia), cemento e acqua in dosaggi adeguati, la cui
distribuzione avviene in mercati locali. Esso è indispensabile per la realizzazione di
strutture rigide nelle costruzioni e i processi produttivi richiedono non tanto l'uso di
particolari tecnologie, quanto di materiali idonei e macchinari speciali. È evidente,
dunque, il particolare interesse che esso può suscitare in soggetti dalla cultura tecnica
non elevata ma dal robusto radicamento sul territorio.
Il processo Spartacus ha accertato che agli inizi degli anni ’80 la camorra ha
ritenuto di utilizzare il sistema dei consorzi di produzione del calcestruzzo per gestire
con una struttura legale il sistema delle estorsioni. Gli imprenditori che intendevano
lavorare, pagavano il pizzo attraverso il consorzio, mascherando le elargizioni come
“spese per il funzionamento del consorzio” o tramite alterazioni di bilancio. La
stagione dei consorzi di produzione del calcestruzzo inaugura un periodo di vera e
propria infiltrazione dell’economia legale che permette ai diversi clan di ottenere il
monopolio di questo specifico settore produttivo.
Imprenditori e tecnici erano, dunque, all'interno di un sistema di finanziamento
della malavita organizzata, che però li avvantaggiava, dando vita a monopoli di fatto
(e, per questo, soggetti all'accusa di concorso esterno nel reato associativo). Da un
lato, l’organizzazione camorristica esercitava la propria capacità di intimidazione per
assicurare alle consorziate una sorta di esclusiva nelle forniture, dall’altro i
consorziati elargivano all’organizzazione una percentuale su tutte le forniture il cui
prezzo veniva tenuto artatamente alto tramite il sistema collusivo anticoncorrenziale
costituito dai consorzi medesimi.
Quando la nostra Autorità intervenne l’inchiesta non aveva ancora evidenziato
questa realtà. L’intesa venne scoperta nell’ambito di un altro procedimento
amministrativo, un'indagine conoscitiva di carattere generale sull’intero settore del
calcestruzzo, avviata nel 1991. L’Autorità aveva cominciato a raccogliere
informazioni al fine di analizzare la struttura del mercato ed in particolare di
verificare la diffusione sul territorio nazionale di accordi fra produttori,
prevalentemente attraverso la costituzione di consorzi, aventi per oggetto o effetto la
restrizione della concorrenza.
L’Autorità deliberò un’ispezione presso le sedi di alcune società, dalla quale
emerse un sistema di prescrizioni alle consociate che di fatto eliminava la possibilità
per quest’ultime di compiere autonome scelte imprenditoriali nella fissazione dei
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prezzi, in quanto le condizioni di contratto da praticare ai clienti delle imprese
consorziate erano già predeterminate.
L'altro essenziale aspetto del coordinamento delle imprese aderenti ai consorzi
era una rigida ripartizione (cosiddetta caratura) delle quantità di calcestruzzo prodotte
e vendute, la cui osservanza era garantita dalla possibilità di comminare pesanti
sanzioni, anche pecuniarie, a carico degli inadempienti. La centralizzazione degli
ordini, dei pagamenti e delle relative fatturazioni, consentiva agli organi della società
consortile di effettuare una continua supervisione del rispetto delle quote di mercato
assegnate.
L’effetto della nostra istruttoria, come testimoniano gli atti del processo
Spartacus, è stato quello di sottrarre alla camorra la possibilità di avvalersi dello
“schermo legale” del consorzio, costringendola a ripiegare sui tradizionali strumenti
illegali: i clan hanno così perso la protezione giuridica che gli garantiva la
strumentalizzazione del consorzio ai fini del controllo del mercato.
La politica della concorrenza, quindi:
1)
innanzitutto, costituisce un limite per i clan, i quali sono costretti ad
operazioni di monitoraggio e controllo più rudimentali e meno organizzate di quelle
garantite da un mezzo sofisticato e legale di una società giuridicamente riconosciuta,
2)
in secondo luogo è un valido strumento per impedire che le imprese
legali si possano avvantaggiare del fattore di produzione tipico dell’impresa mafiosa,
ovvero, l’intimidazione del potere criminale.
Come hanno illustrato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, scoperta
l’intesa da parte dell’Antitrust, le imprese hanno provveduto a sciogliere i consorzi
per evitare di essere aggredite sul piano patrimoniale per il pagamento delle sanzioni.
Di conseguenza si è interrotto anche proficuo scambio che si realizzava tra imprese
aderenti al consorzio e clan e, per parte loro, i clan si sono dovuti attrezzare per
mettere su un adeguato sistema di reperimento delle informazioni per il controllo del
racket sugli appalti a mezzo di “amici”, “conniventi” e vittime, sostenendo costi
organizzativi ulteriori per la loro attività criminale.
Inoltre, se si accetta per convenzione la definizione di impresa criminale che
abbiamo dato all’inizio, questo caso dimostra come la politica della concorrenza
impedisca a tale impresa di attrarre nella propria “struttura organizzativa allargata” le
imprese legali, evitando che queste possano, per un loro tornaconto e contro il
mercato, avvalersi scelleratamente di quel caratteristico fattore di produzione che è
l’intimidazione mafiosa.
In definitiva, tramite l’accertamento e la repressione di cartelli con finalità
(dirette o indirette) addirittura criminali, l’Autorità può contribuire a rompere
eventuali sodalizi con l’economia legale, spezzando il perverso legame tra impresa
mafiosa in senso stretto e impresa lecita, costringendo nuovamente la criminalità ai
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“sotterranei” da cui proviene e che – diciamolo con cuore ricolmo di indignazione –
merita!
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