E - Cenni

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E - Cenni
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Ho un’immagine precisa di Harry Stundenplan:
quella di uomo che racconta con fermezza, con
precisione l’inferno che ha visto e tocca
Così facendo restituisce
a me e alla mia famiglia l’orrore della guerra e la
vita di chi ha vissuto in un campo di guerra in cui
era considerato meno di un animale, una pedina
da scartare … un semplice numero!
Ho ancora presente la
visione precisa di quell’uomo che mi raccontava
gli ultimi momenti di vita del mio amato Steven …
Era…
E cosi passano i minuti, le ore, le giornate... tutto
è lento, il tempo sembra fermo.
Ogni tanto c’è qualcosa che mi rende felice, lui,
mio figlio. Lo sento dentro di me ed è
meraviglioso… Come vorrei che tu fossi qui per
poggiare le tue mani, nere di fumo, sul mio
grembo! Ieri ho parlato con la mammana mi ha
detto che tutto procede per il giusto verso,
mancano pochi giorni, finalmente, lo avrò tra le
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mie braccia… Amore mio, sapessi com’è
inquieto quanti calci mi assesta, vuole uscire per
conoscere il mondo… un mondo in cui la guerra
tiene le redini...
Era il 4 novembre 1985, una grande emozione
prendeva la giovane Rebecca, da sola metteva
al mondo il figlio tanto atteso, la stanza si
riempiva di luce nuova allietata dal vagito di chi
si annunciava al mondo…
Il tempo nessuno lo può fermare, scorre
inesorabilmente, tutto trasforma, chi nasce
cresce e gioisce delle gioie che la vita gli riserva,
chi assapora tormenti e disperazione. Così
qualche anno dopo…
“Nonna, Nonna “ sentii urlare… mio nipote, un
angelo direi! “Nonna sai oggi è la giornata in
memoria dei caduti in guerra. A scuola abbiamo
pregato per tutti i soldati morti e la mamma mi
ha raccontato che Nonno era un soldato
arruolato nell’esercito ai tempi della Guerra
Partigiana … è vero? È vero Nonna?”
Sì, piccolo mio è vero, ma è una storia che ti
racconterò un altro giorno. Oggi sono stanca. Da
bravo vai a giocare.
Come potevo dimenticare una giornata così
importante. La stessa, identica giornata che,
circa quarant’anni fa, portò via un pezzo del mio
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giovane cuore.
Anche quel giorno, seduta sulla mia sedia a
dondolo posta vicino al caminetto, sorseggiavo il
mio solito tè delle 17:15… Aspettavo con ansia il
ritorno di Steven … nulla di buono si
preannunciava. Affascinata, mi soffermai a
osservare il fuoco… le fiamme si attorcigliavano e
bruciavano lentamente la legna scoppiettante,
le scintille balzavano di qua e di là…
sembravano quasi ballare una lenta danza. Un
leggero filo di vento, d’improvviso, mi distolse da
quell’atmosfera … mi voltai verso la finestra, il
sole era già tramontato, le nubi, in lontananza,
impetuosamente avanzavano colorando il cielo
di nero. Una tempesta si annunciava, un tuono
mi fece sobbalzare, la paura prese il
sopravvento, il vento a raffiche incessanti
scuoteva bruscamente gli alberi del giardino.
Scese un buio profondo che non prometteva
niente di buono, meglio andare a dormire… Mi
stesi… piovaschi violenti si abbattevano sugli
alberi… un lampo, un tuono … poi ancora,
ancora più veloce l’acqua scrosciava sui tetti
della casa, la paura mi tormentava e mi assaliva.
Dormire era impossibile … ero agitata e
pensierosa … un unico pensiero Steven.
La voglia improvvisa e imperterrita di rivedere,
anche solo per un istante i suoi occhi, il suo viso,
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le sue labbra, mi spingeva a seguire il mio istinto.
Presa una candela, avanzai lentamente
lungo le scale che portavano in soffitta.
Aprii la porta, lì,
proprio dove l’avevo lasciato, trovai quel
vecchio baule. Dio da quanto tempo non lo
aprivo!
Era pieno di polvere, ragnatele … gli angoli
arrugginiti e qua e là consumato dai tarli.
Tremante e già con le lacrime agli occhi aprii
lentamente il lucchetto …, ogni cosa in esso
riposta apparteneva al mio uomo, iniziai a tirar
fuori le sue medaglie… improvvisamente, il mio
viso era solcato e bagnato da lacrime furtive, le
quali lentamente sfioravano le mie labbra e
cadevano su una foto … la sua! La presi … la
baciai, l’accarezzai, la guardai … quante
emozioni!...
Sul retro notai dei numeri…
una data, la festa patronale in paese… Era il 14
agosto 1943 … rivivevo il giorno del nostro primo
incontro quando il suo sorriso e la luce dei suoi
occhi si fermarono nei miei.
Nasceva…
Era la mattina del 15 agosto, nasceva il giorno, la
luce del sole trapelava dalla finestra, inondava di
raggi luminosi la camera di Rebecca. Il calore
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del sole sul viso risvegliò la ragazza dal suo
profondo sonno, ancora stordita si levò dal letto
e si diresse alla specchiera. Si guardò a lungo,
quella mattina si sentiva diversa, qualcosa nel
suo sguardo era mutato.
La sera prima tornò nel pensiero, era la festa del
santo Patrono e come ogni anno, Rebecca e le
sue amiche , per divertirsi e ballare, si recavano
nella piazzetta in festa. Rebecca, mai come
allora, nel prepararsi alla festa, si era impegnata
e curata nei minimi dettagli, voleva fosse tutto
perfetto quella sera. Dopo tanto tempo, Steven, il
ragazzo conosciuto l’estate prima al mare e di
cui si era innamorata ritornava in paese.
Rebecca aveva passato la giornata in ansia e in
agitazione, verso le 18:00 corse nella sua stanza a
prepararsi.
Nel vestirsi non trovava niente che le stesse fino in
fondo bene, provò tutti i vestiti, almeno due
volte, alla fine scelse un leggero abito color
pesca che le sottolineava la figura e la faceva
sentire una giovane donna e non più una
ragazzina.
Appuntò una spilla a forma di rosa sul petto e
sollevò i capelli sulla nuca fermandoli con un
fermaglio. Stava per uscire, notò che le
mancava qualcosa che le desse un tocco
speciale. Corse in camera della madre aprì una
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custodia e preso un filo di piccole perle, lo legò
al collo, spruzzò un soffio di colonia e scappò alla
finestra, felice ed eccitata, osservava dall’alto le
vie del paese che l’avevano vista felice e
innamorata e che di lì a poco l’avrebbero rivista
con l’uomo dei sogni, Steven...
Qualcuno bussò alla sua stanza, Rebecca
distolse per un attimo i suoi pensieri. Tutto svaniva,
anche i pensieri più intensi della sera prima. Apri,
Sono la mamma! “Buongiorno Cara, hai dormito
bene? Ieri sera sei uscita, non ti ho visto
rincasare.”
Così dicendo le porse una lettera. Sulla busta non
c’era il mittente solo il suo nome. Rebecca intuì
chi l’avesse scritta. Aspettò che la madre fosse
andata via, si sedette sul letto e aprì quella busta.
Come aveva immaginato, era Steven a scriverle,
lesse tutto di un fiato, che emozione! Per lei quel
momento era più importante di un carico d’oro.
Poggiò sul cuore quel foglio e sospirando si perse
di nuovo fra i ricordi della sera precedente
lasciandosi
di
nuovo
trasportare
in
quell’atmosfera a dir poco magica.
Come dimenticare quei momenti, l’attimo in cui
aveva incrociato lo sguardo di Steven e tutto
quello che c’era stato dopo. Il ricordo era
ancora vivo nella sua mente: l’avvicinarsi in
silenzio di Steven , il profumo di tabacco il
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dilatarsi delle labbra stampavano sul suo viso uno
splendido sorriso, poi un suono di parole, “Non ti
ricordavo così bella, eri una ragazzina appena
un’estate fa!”
Così tra ricordi, sguardi e strette di mano nasceva
un sentimento, quello che Rebecca aveva
pensato e sognato stava per avverarsi. Senza
rendersene conto s’inoltrano tra la gente, a un
tratto si ritrovano in un vicolo, lontani dalla piazza
in festa brulicante di persone.
Si erano guardati negli occhi, fu un attimo, ma a
Rebecca sembrò un’eternità, i loro visi si
sfiorarono, si avvicinarono sempre di più fino a
unirsi in un lungo bacio. Rebecca al solo pensiero
avvertiva un senso di tremore.
La sera precedente era stata la più magica della
sua vita.
Qualcuno la chiamava dal piano di sotto, ripose
la lettera nella busta dalla quale cadde un
bigliettino che non aveva notato prima, “ Ci
vediamo stasera alla processione, Steven”, lo
poggiò sul comodino e corse giù con la gioia nel
cuore per tutto quello che le stava succedendo.
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Lentamente
La
processione
procedeva
lentamente
fermandosi nei pressi della porta di ogni
abitazione. La gente pregava affidandosi al
santo. Rebecca notava tra la gente le occhiate
vogliose dei giovani, che apprezzavano le sue
movenze lente e sensuali, erano così insistenti
tanto da sentirle sfiorare il corpo. Il cuore le
batteva.
Temeva che Steven non si presentasse
all’appuntamento tanto da pensare che non le
piacesse. Ripensava a tutte le attenzioni che
aveva avuto nello scegliere il vestito, le scarpe, la
lunghezza della gonna, i capelli legati con due
forcine lasciavano cadere una ciocca sulla
fronte, all’altezza del naso. Voleva essere più
bella che mai.
Giunta vicino alla fontana, guardatasi intorno,
vide solo i giovani del paese, mancava solo
Steven. Un passo, poi un altro, si diresse verso la
piazza, niente, Steven non c’era.
La speranza di non vederlo aumentava nel suo
cuore e l’ansia le serrava le gambe.
Forse per rabbia, una lacrima le bagnò le
guance rosee e vellutate. In quel momento molti
pensieri affollavano la mente, non riusciva a
farsene una ragione anche per giustificare le
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bugie dette o che avrebbe pensato di dire al
papà per uscire. Ma quale tradimento? Era la
forza dell’amore che la spingeva a tanto, sapeva
che sarebbe caduta tra le sue braccia al primo
incontro e si sarebbe donata a lui alla prima
carezza.
Più il tempo passava più aumentava la
consapevolezza di trovare Steven come si cerca
il sole dopo una pioggia lunga e uggiosa, come
si
cerca
l’aria
dopo
il
soffocamento.
Comprendeva che Steven era già parte
integrante della sua vita. Questo la spaventava e
sapeva di dover tacere anche a lui le sue
debolezze. Sapeva che avrebbe dovuto
comprendere le sue intenzioni prima di lasciarsi
andare e abbandonare tra le sue braccia.
Non aveva ancora finito quel suo repentino
dannarsi quando lì a pochi passi da lei un
ragazzo raggiante nel suo aspetto la osservava e
le andava incontro, era Steven!
Agli occhi di Rebecca era bellissimo; era una
giornata afosa, lui indossava un paio di pantaloni
scuri e una leggera camicia bianca. Si
guardarono negli occhi; in quel momento le
parole erano superflue, gli sguardi parlavano per
loro. Lentamente s’incamminarono come sospinti
da un leggero soffio di vento, giunsero in un
giardino, erano entrambi imbarazzati, cosa dire,
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come rompere quei silenziosi momenti, gli occhi
continuavano a parlare e a desiderarsi. Man
mano il loro imbarazzo svaniva, il desiderio di
conoscersi aumentava. Un gesto spontaneo, le
mani si sfiorarono, Steven si avvicinò, sussurrando
qualcosa, quel suono stravolse quella mente
innamorata tanto da non rendersi conto che le
labbra di Steven sfioravano le sue, quella stretta
fu fatale ai giovani amanti.
Al cuor non si comanda, a quella tenerezza
iniziale ne seguirono altre, il tempo tiranno passò
rapidamente, si era fatto tardi, era giunta l’ora
del rientro non gli restava che salutarsi, ancora
un po’ anima mia, ancora un bacio, ancora… a
domani, a domani, ora lasciami andare.
Mentre una sera all’ora del tramonto, nell’aria
color vermiglio, guardandoti negli occhi ti ho
detto addio…
Luci offuscate, emozioni intense e tanta paura in
me. Bèh … potrei dire una sera indimenticabile,
ma, nello stesso tempo, timore di lasciarti andare.
Erano le 17:00 avevo quasi terminato di
sistemarmi il rossetto, eccitata di incontrarti
avevo dimenticato di legarmi i capelli. Anche se
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sapevo che tu mi avresti guardata con gli stessi
occhi innamorati di sempre. Non t’importava del
ciuffo disordinato o di qualche minuto di ritardo,
quando mi attendevi ai piedi della scala della
Signora Gina, sognando la nostra vita insieme.
Mi facevi sorridere, parlavo di tutto con te, mi
fidavo di te, mi rifugiavo in te. Sapevo che le mie
parole sarebbero state custodite e chiuse
all’interno del tuo cuore.
Ecco! Questo era il mio amore! L’angelo che
amavo e continuerò sempre ad amare. Scesi
dalle scale e tu preso dall’entusiasmo di
stringermi, mi afferrasti per le braccia per volare,
e volare … fino a sentirci liberi dal mondo, solo io
e te.
Ma non fu così. Trascorremmo un pomeriggio da
favola. Una storia, però, non a lieto fine. Ti amavo
ogni minuto di più. Ormai eri diventato la mia
vita. Esistevo solo per te. Mi prendesti la mano, mi
fermasti, mi fissasti senza pronunciare alcuna
parola. I tuoi occhi tristi. Le tue labbra sorprese,
senza sorriso, il tuo volto trasformato.
Capii subito che qualcosa non andava, mi
dovevi parlare. Gli dissi: “Non è una cosa bella se
ci metti tanto a dirla”.
Continuò a fissarmi dritto nelle mie pupille verdi
chiaro senza staccare un solo istante il suo
sguardo penetrante. Sospirò. Mi strinse le mani.
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Non sapeva quale fosse il modo giusto per
comunicarmi la notizia che avrebbe sconvolto la
mia vita. In realtà, non esistevano modi giusti per
non farmi soffrire. Soltanto dolore.
“Rebecca” … mi disse. “Partirò”.
Ed io “ Tutti alla fine partiamo”.
E lui, con gli occhi pieni di sofferenza, disse “ Si,
ma io parto per la guerra, ho fatto domanda di
arruolamento nella squadriglia ICEP. Voglio
significare qualcosa per questo paese. ‹Amore e
Onore› sono le mie guide. Tu, però, dovrai essere
la mia forza, così voglio ritrovarti quando ritorno.
Sorridente più che mai, il mio cuore ha bisogno di
una spinta.
Le mie pulsazioni saranno presenti solo se ci sarai
tu a riscaldarmi il cuore. Voglio svegliarmi la
mattina, guardare il sole sorgere con i tuoi occhi
che brillano di luce splendente, per poi
addormentarmi al tramonto per mandarti un
ultimo bacio.”.
L’ultimo tramonto vissuto insieme. Le lacrime
scorrevano ininterrotte. Senza fine. In quel silenzio
così unico, guardammo il sole abbandonarsi nel
mare profondo e scomparire nel nulla. Così, il mio
amore mi lasciò.
Un ultimo bacio. Il rossetto ormai affievolito ricoprì
finemente le sue labbra. Avrei voluto non
toccare più le mie dopo il suo dolce bacio per
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lasciare per sempre il ricordo del mio unico vero
amore. Un addio momentaneo per rivedersi
l’indomani, per stringersi e vivere momenti
indimenticabili.
Leggendo il tuo messaggio…
In una giornata piovosa e cupa all’angolo del
cortile, una vecchietta creava cappellini e
scarpette di lana per bambini… Rebecca,
all’uscita di casa le rivolse il saluto, ne fu
ricambiata, quella mattina la signora aveva una
strana luce negli occhi, di sua spontanea volontà
le disse che un ragazzo alto e moro, di buon
mattino aveva messo una lettera nel paniere
usato per tirare su gli alimenti. Beh! chi poteva
essere se non Steven l’amico del cuore!
Rebecca si affrettò, l’ansia era tanta, la curiosità
era forte e aprendo la lettera rimase molto
sorpresa. Le parole riportate su quel foglio erano
belle, uniche… non aveva mai ricevuto una
lettera così.
Il messaggio riportava: “Cara Rebecca, ti scrivo
per confidarti che la mia vita senza di te non
avrà senso, il futuro mi darà sofferenza e tristezza.
Il solo pensiero di non vederti a lungo mi rende
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infelice. Le emozioni trascorse insieme, spero,
rimangano per sempre nel tuo cuore e che la
storia d’amore nata tra noi due duri ancora a
lungo. Non mi vergogno di dirti ti amo….si TI
AMO! Tuo per sempre Steven.”
Quante volte Rebecca ha scorso quelle righe, le
apparivano sempre diverse, un’emozione insolita
la invadeva, era felice di amare, di scoprire le
gioie della vita, di sognare…
I compagni accorsi
Il duello per costringere l’avversario a piegarsi
alla propria volontà andava avanti. Gli uomini
erano in conflitto a causa d’interessi e di visioni
contrapposte
e,
almeno
in
apparenza,
inconciliabili. Le formazioni partigiane erano
opposte nel campo militare e politico,
nell’ambito della seconda guerra mondiale, la
presenza della Germania nazista come alleata e
in seguito nemica e la svolta della Repubblica
Sociale Italiana. Steven era sul campo di
battaglia, luogo cruento e drammatico, essere
ancora in vita, consolava solo in parte l’angoscia
e la tristezza subite. L’armata avanzava, stavano
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arrivando i rinforzi con nuovi rifornimenti e nuove
truppe fresche, i feriti aumentavano. L’artiglieria
aprì il fuoco abbattendo una parte degli uomini.
La difesa fu rafforzata.
I soldati aggrediti, il loro impeto fermato con
gravi perdite. Tutto era subordinato alla lotta
armata per la cacciata dei tedeschi; tutte le
organizzazioni furono mobilitate per questo
scopo, i compagni accorsi erano posizionati in
formazioni di combattimento per la lotta armata
partigiana contro i nazisti e i fascisti loro alleati.
Steven manteneva le sue truppe in posizione e ci
fu un attacco improvviso dell’armata nemica. Si
ritrovò proteso a faccia in giù, nel fango, nel
sangue, mentre le pallottole e le bombe gli
passavano sulla testa e gli cadevano addosso, fu
ferito.
Era un inferno. I compagni morti, i corpi dilaniati,
non si potevano dimenticare. Steven respirava a
fatica, in lontananza scorse un punto luminoso,
arrivarci significava aver franca la vita.
I
combattimenti cessarono per un po’, alcuni
commilitoni si facevano spazio fra i compagni
deceduti, Steven era riverso al suolo, il volto, una
maschera di sangue, si avvicinarono, lo
aiutarono a rialzarsi, a provvedere alle prime
cure. Tremavano, tanta era la paura, non
bisognava perdere tempo, i combattimenti
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potevano riprendere da un momento all’altro. Al
compagno che asciugava e ripuliva il volto di
Steven, fu indicata la direzione Nord-Ovest, poco
distante da loro si estendeva un grande bagliore,
s’incamminarono verso la luce, ad ogni passo
questa appariva sempre più intensa, sempre più
calda, quando la raggiunsero, esclamarono urla
di gioia, erano tutti salvi. Steven si compiaceva di
essere ancora in vita, piangeva di felicità, in
quegli attimi rivedeva gli amici scomparsi, il loro
valore, l’amore che essi avevano per la vita,
aveva aiutato tutti, quando conseguiva, un
obiettivo era sempre lui a ringraziare l’amico per
avergli risparmiato sofferenze e forse la morte.
Steven si riprese in breve tempo, fu un brutto
momento ma non tale da distoglierlo dal suo
orgoglio patriottico, combattere era una
necessità, conquistare la libertà era il sogno
agognato con la donna della sua vita. Essere
liberi era un privilegio di pochi mentr’egli
desiderava un futuro di uguaglianza e libertà per
i figli…
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Poi…
Rebecca seduta sulla sedia a dondolo nel
porticato di casa sua, guadava lo svolazzare
degli uccelli e ascoltava il loro garrire. La vista del
postino la distolse, “Signora un telegramma per
lei”.
Non aspettava notizie le aveva avute il giorno
prima da Steven, un telegramma poi…
Col cuore in gola, lesse quelle brevi parole, non
capiva cosa volessero dire. Il mittente il
comandante di Reggimento al quale Steven era
stato assegnato, cosa mai voleva da lei? Il
messaggio freddo e distaccato recitava: ”Il
signor Steven, in un agguato è stato gravemente
ferito. Si è distinto in coraggio e solidarietà per i
compagni. È ricoverato all’ospedale Giovanni
XXIII di Forlì. Firmato, il generale Poekie.”
Incredula, gelida in volto e nel cuore, non
credeva ai propri occhi, Dio sa quante volte lesse
quelle parole, poi un urlo liberatorio: “ Signore,
perché! Salvagli la vita! Aiutalo! Fallo ritornare da
me!
Chi guiderà il mio domani, chi mi darà la forza di
continuare, chi…
se lui non si salverà!“.
Rebecca sconvolta e sfinita dalle urla disperate
cadde singhiozzante in ginocchio, le mani giunte
rivolte al cielo, con voce calda pregava Dio.
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Pianse per ore, nessuno era accorso al suo
dolore, dalla stanchezza il sonno sopravvenne, lì
sulla seggiola, un brivido di freddo la svegliò, era
ormai notte. Il telegramma l’era scivolato di
mano, era lì a pochi centimetri da lei,
lentamente gocce di pioggia bagnarono il
giardino adiacente e la strada, il Signore aveva
provato dolore, ne aveva pianto inviando acqua
vivifica di speranza, solidarietà e di aiuto per la
giovane.
Come per incanto Rebecca si calmò, serena
percorse nei suoi pensieri i momenti felici vissuti
con il suo Steven. Risuonavano nella sua mente le
ultime parole dette dal suo uomo, prima di
partire: “Amore, ritornerò sano e salvo”. Steven
non lo poteva perdere, doveva ritornare a lei!
Il sonno ebbe ancora una volta la meglio sulla
giovane, non piangeva più, era sorridente, in
sogno era in compagnia di Steven, la consolava
dicendole: “ Non ti avvilire amore mio sii forte, io
sarò sempre al tuo fianco ti custodirò per
sempre.”
Quando si destò, era più serena, pronunciò
poche parole, ” L’ amore di una madre è più
forte di qualsiasi avversità”. Portandosi la mano
sul grembo disse: “Non preoccuparti figlio mio,
vivremo con papà, tu crescerai sano, insieme
formeremo una famiglia unita e felice.”.
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Da quando Steven si era arruolato, erano
trascorsi pochi mesi, due per essere precisi,
quante cose erano cambiate, il sorriso era
scomparso dal viso di Rebecca e Steven tra
ansie, paure e tormenti, pensava al tempo
vissuto con la donna del cuore.
Emozioni passate e presenti rallegravano il
pensiero degli innamorati.
Una sorpresa con due esiti contrastanti, il primo la
gioia di Rebecca di aspettare un bambino, il
secondo il rancore di vivere da sola la
gravidanza. Disperazione, poco rispetto da parte
dei compaesani che condannavano la
leggerezza con la quale si era concessa al suo
ragazzo.
La vergogna dei genitori al gesto d’amore della
figlia considerato un’offesa e tradimento, nella
mente della mamma e del papà si ripetevano
tante domande, sempre le stesse senza una
risposta, cosa fare…
Intanto il frutto dell’amore prendeva forma, il
grembo sviluppava e i vestiti giorno per giorno
erano sempre più corti, Rebecca in solitudine
attendeva, progettava, sognava…
Donna coraggio fu chiamata!
Gli incontri prima della partenza furono vissuti
con intensità. I giovani innamorati incuranti delle
conseguenze si lasciarono andare. Rebecca tra
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sogno e realtà si accorse di aspettare un
bambino, attimi di paura invasero la sua mente.
Come glielo dirò? Cosa penserà di me? Poi
un’improvvisa serenità. La donna in attesa non
ha paura di nulla perché quel momento è unico,
si è troppo felici e nulla e nessuno può fermare
quell’entusiasmo. Le parole scritte furono un
amalgama di gioia, speranza e amore per il
cuore di Steven.
Una notte tra ricordi e promesse, decise di
rendere partecipe il suo uomo dell’evento che
l’avvolgeva, così tra gioia e speranza lo spazio
della lettera per incanto si riempiva, un bacio e
una lacrima come sigilli e ancora… a presto
tesoro, non lasciarmi sola, corona con me la
promessa, il frutto d’amore che cresce in me, ha
bisogno di te, di te che hai saputo cogliere la mia
purezza con tenerezza e sensibilità.
Una voce nel silenzio della sera…
All’imbrunire, una luce meravigliosa fatta di rosso
e di oro penetrava nella stanza.
Ero seduta su una sedia di legno, mi dondolavo
al suono delle parole del libro che stavo
leggendo.
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Le ombre della sera scendevano silenziose e
all’improvviso, una voce mi riempiva la mente.
Posai il libro e una strana sensazione mi avvolse, a
un tratto la solitudine incalzò, a volte era
insostenibile e i ricordi di lui presero il sopravvento.
Mille pensieri si affollavano dentro di me, era
come se avessi un presentimento, qualcosa non
andava.
Senza pensarci avvolsi le braccia attorno al mio
grembo per avere e dare protezione, una
lacrima silenziosa e lenta rigava il mio volto,
mentre Steven riempiva la mia mente, mi
apparve un’immagine, che prendeva la forma
del suo volto.
“Che espressione strana, insolita!” Pensai. Non
riuscivo a capire e tantomeno credere a tutto
quello che stava accadendo, ma continuai a
fissare il suo bel viso così insistentemente senza
mai distogliere lo sguardo dal suo.”
Nonostante la confusione che regnava in me,
rivedere il suo volto mi riempiva il cuore di gioia e
quel vuoto lasciato alla sua partenza si colmò di
felicità, anche se fu solo per un istante.
Steven scomparve, la paura prese di nuovo il
sopravvento e così in preda ad essa mi
addormentai.
Li ricordo come se fossero ieri quei giorni, i più
brutti della mia vita.
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Dopo una notte satura di agitazione e ansia, mi
svegliai, a dir poco, stravolta, la paura era
ancora sovrana e le sensazioni della sera
precedente non erano svanite, così presi una
tisana nella speranza di calmarmi, ma servì a ben
poco.
Ricordo ogni minimo particolare, erano circa le
10:30 quando il campanello di casa interruppe il
silenzio
nella
stanza,
andai
ad
aprire
velocemente, rimasi stupita nel vedere dietro
quella porta Harry, l’amico più caro di Steven, ne
aveva parlato tanto nelle sue lettere, mi
sembrava di conoscerlo da sempre.
Mi commosse la sua vista, lo feci entrare, lo strinsi
in un forte abbraccio, mi legò a sé, poi iniziò a
raccontare delle storie di cui non capivo il senso,
la sua voce era quasi un sussurro.
Harry aveva uno strano comportamento, era
agitato, pensieroso, triste, i suoi occhi lo erano,
non lo avevo mai visto, ma quello stato agitò
anche me.
Alzò lo sguardo, mi fissò e con gli occhi tristi
pronunciò quelle parole di cui avevo tanto
timore.
Con voce smorzata dal pianto, mi disse che
Steven non sarebbe più tornato a casa; rimasi
immobile, senza fiato, qualcosa in me si spezzò,
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tutto il mondo svanì e mi ritrovai sola come non
mai.
Cadevi…
L’amico di Steven con evidente commozione
racconta gli ultimi momenti guerreschi vissuti
dall’amico.
Si era appena levato il sole, qualche raggio di
luce filtrava nella nebbia, gli occhi si chiudevano
dalla stanchezza, aveva vegliato tutta la notte,
aspettava il cambio del turno di guardia con
serenità e sicurezza. Dai sacchi di sabbia posti
all’estremità della trincea non si vedevano beni i
comportamenti del nemico, ma se ne
conoscevano gli umori.
Non potevano che essere gli stessi della nostra
linea difensiva; di coloro che per forza avevano
lasciato la loro terra, i figli, la moglie in attesa di
altri eredi e di chi si apprestava a dare alla luce il
primo.
Quante paure in quelle ore di guardia, al buio, al
freddo, premere il grilletto all’avvicinarsi della
prima ombra e tener pronta la baionetta per
infilzare chi, eventualmente, fosse riuscito a
passare il campo minato e aveva avuto la
meglio sul tiro delle pallottole, colpirlo senza
riflettere senza aver un istante di esitazione prima
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di esserne preda, sapendo che in quell’istante
poteva finire la propria vita o quella dell’altro, per
poi ripetersi, la stessa situazione, qualche istante
più in là. Steven aspettava la fine del turno in
tutta serenità.
Toccava a Harry sostituirlo nella guardia. Steven,
durante la notte, era stato attento, concentrato
e speranzoso di portare a casa la propria vita. Il
desiderio di Rebecca gli aveva tenuto
compagnia tutta la notte, sentiva la sua
mancanza, ma nello stesso tempo avvertiva la
sua vicinanza.
Riusciva a sentire con la mente i battiti del suo
cuore: non solo quello di lei ma di chi portava in
grembo. Ardeva dal forte desiderio di
abbracciarli di stargli vicino, di chiamarlo, si
chiamarlo, come? Ancora non aveva deciso
quale nome assegnare al nascituro, unica
certezza quel nome doveva essere una parola di
pace. Pensava a Emmanuelle o a quello del
santo protettore del paese. Diceva tra sé e sé, se
nascerà femmina le darò il nome di mamma, se
sarà maschio Francesco come papà. Sperava
che avesse avuto gli occhi verdi della madre.
Ormai è fatta, l’ora del cambio è arrivata, sente i
passi dell’amico, è lì, gli dà una pacca sulla
spalla sinistra.
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I due si guardano negli occhi, si fermano, si
scambiano alcune parole: stai attento! Il nemico
può avvicinarsi da un momento all’altro, con
questa nebbia la visibilità si riduce a pochi metri,
è un brutto momento! Steven porgeva le spalle
ai sacchi di sabbia, l’amico gli stava di fronte, si
posizionava e imbracciava il fucile.
Mentre
Steven si allontanava un’ombra spuntata dalla
nebbia, lo afferra per il braccio sinistro, lo porta
velocemente verso di sé e inesorabilmente come
un accanito omicida sferra uno, due, tre
fendenti.
Steven impotente cade sulla terra inumidita dai
fiotti di sangue caldo che il corpo giovane versa.
Harry con uno scatto felino si avventa
sull’aggressore, lo colpisce alle spalle, esamine
cade sul corpo dell’amico, con rabbia lo solleva
liberando il corpo ferito di Steven, lo scuote, lo
schiaffeggia.
L’amico apre gli occhi, solo qualche parola: “sto
per morire! Di una cosa ti prego quando vedrai
mia moglie dille del mio amore, donale il mio
sorriso e il mio cuore donalo al bimbo che
nascerà.”
Il suo corpo retto solo dalle forze di Harry è in una
situazione molto critica. Il silenzio è rotto dalle
grida disperate dell’amico, il quale non si dà
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pace per una colpa che non ha, poi si fa
coraggio e chiama aiuto affinché lo soccorrano.
Nell’aria umida del mattino si odono le grida
disperate che il vento trasporta lungo il campo di
battaglia gelando l’animo di chi l’ascolta. “È
colpa mia” gridava, “è colpa mia.” Disperato
batteva i pugni sulla testa.
Perdonami, sono stato un ingenuo, non pensavo
che l’alba fosse fatale. Io dovevo avere la
peggio non tu! Mentre giungevano i soccorsi, tra
lacrime e singhiozzi, prendeva forma una parola,
sempre la stessa, un nome, un nome di donna,
Rebecca.
Come farò! Chi mi darà la forza… Signore dammi
coraggio e amore. Ancora un abbraccio, non
può essere vero, del sangue fuoriusciva dallo
sguancio sul petto, quante volte avrà pensato
che quel sangue fosse il suo e non dell’amico,
fatti coraggio, ancora un poco, ma ad ogni
richiamo dalle labbra usciva solo un debole
respiro.
Quei lamenti disperati giunsero ai compagni, in
meno che non si dica li raggiunsero, davanti ai
loro occhi si presentava un quadro di dolore e
disperazione visto tante altre volte. La testa
poggiata sul braccio dell’amico, la mano gli
accarezza i capelli, lo tiene stretto a sé, in quel
gesto ognuno rivede la deposizione di Cristo
29
Signore. Poi il coraggio gli dà la forza necessaria
di alzarsi e andare con l’amico tra le braccia.
Camminava lentamente, lo guardava come se
fosse un figlio, il figlio prediletto. Arrivato in luogo
sicuro accerchiato dagli altri soldati, distende
quel corpo, mani esperte gli danno conforto e
fanno di tutto per poterlo guarire. Di lato Harry
osserva, tende di abbracciarlo, lo accarezza, lo
chiama…
Tra le braccia
Tra le braccia del tuo amico, ormai sofferente
cercavi di alzarti, ma le tue gambe deboli non
riuscivano a muoversi. I tuoi compagni ti stavano
vicino e insieme con te lottavano per salvarti la
vita, più passava il tempo e più le tue condizioni
peggioravano.
Amore Harry si è offerto di accompagnarmi, che
bello domani verrò a trovarti, aspetto con ansia
questo momento. Finalmente è trascorsa questa
notte, è stata la notte più lunga e più brutta della
mia vita, il mio pensiero era sempre rivolto a te,
ora sono qui ad aspettare che Harry arrivi per
portarmi da te.
Ecco, hanno bussato alla porta, dovrebbe essere
proprio lui, infatti, lo è. Ancora un momento,
prendo la nostra foto e un rosario, mi avvio verso
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la macchina, lui mi chiede se sono sicura di
volerti vedere, io non rispondo, apro lo sportello e
mi siedo. Lungo il percorso, incredula ripeto
“Perché! Perché!… Come sta!” In quello stato
solo pensando a Steven trovo il coraggio di
andare, finalmente Harry mi mostra l’ospedale. Il
mio cuore batte forte dall’emozione.
Entro nella stanza, ti vedo sofferente, i miei occhi
si riempiono di lacrime, bagnano il viso, mi
avvicino al letto, ti prendo la mano, sento
muovere dentro di me il nostro bambino, anche
lui è contento di vederti. Ti accarezzo non mi
sembra vero di averti accanto, sto vivendo un
sogno, tu sei qui in questo letto d’ospedale,
immobile, il cuore batte con ritmo ridotto ma sei
ancora vivo, la mia presenza, amore mio, ti
aiuterà a passare questo brutto momento.
Ora sono qui su questa sedia a pensare a noi, al
nostro bambino che attende di nascere, piango
perché la vita è stata crudele con noi, era il
nostro momento, si progettava il futuro insieme,
stavamo creando una famiglia tutta nostra,
qualcuno ha voluto che il nostro sogno
terminasse qui.
Mi hanno detto che in quel tragico momento hai
urlato il mio nome poi non ci sei più riuscito, dalla
tua bocca non è uscito più alcun suono. Amore
mio non puoi immaginare come mi senta al solo
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pensiero che tu non sarai più con me. Steven, mi
mancano i tuoi abbracci, le attenzioni che mi
davi e l’amore che solo tu hai saputo darmi.
Prego ogni istante Dio che interceda su di te
facendoti guarire.
Tu lottavi per la vita…
Si ritrovava in quel letto, pallido in viso e il rossore
degli occhi cancellava il suo bel colore verde,
due borse nere mostravano il contorno degli
occhi, nonostante ciò si poteva notare la sua
bellezza. In quella camera buia si notava un
piccolo mobiletto e su di esso un vaso con dei
fiori, a lato del letto una piccola sedia occupata
dalla donna amata.
La ragazza molto giovane portava in viso il dolore
e la paura di perdere il suo compagno, in
grembo portava il frutto del loro amore. Di lì a
poco la vita di Steven sarebbe svanita e quella di
Rebecca condotta nel baratro.
Il bambino era l’unico motivo per lei di non
togliersi la vita. I minuti passavano e l’agonia
aumentava. Un filo di luce passò tra le tapparelle
abbassate, Rebecca si accorse che aveva
passato la notte a vegliare Steven senza riposare
un secondo. Non poteva fare altro che
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attendere con la speranza di aiutarlo a guarire e
dirgli di amarlo, sapeva di non potersi concedere
tempo per dormire.
Non avrebbe sprecato nemmeno un minuto se
non per stargli accanto in quel tragico momento.
Rebecca, gli restava accanto, gli teneva la
mano e pregava per la sua vita. Il suo unico
amore la lasciava sola, lei avrebbe fatto di tutto
ma sapeva che Steven lottava per la vita.
L’orologio batteva i suoi colpi, indifferente
segnava lo scorrere dei minuti, nella mente della
ragazza passava di tutto, sapeva quello che
sarebbe successo.
Di lì a poco la sua vita avrebbe perso il senso, a
riportarla alla realtà fu un piccolo calcio
all’interno del ventre materno, era la risposta per
lei, avrebbe lottato e dato la sua stessa vita per
quella creatura e quel gesto le fece capire di
non fare sciocchezze, di non arrendersi. Rebecca
poggiò la mano sul suo grembo e promise a
quell’essere protezione e amore. Steven si
agitava nel letto d’ospedale, sudava, si
divincolava, nel suo stato di agonia pronunciava
“ Scusa, scusa se ti lascio sola” .
Al suono delle parole la commozione prese il
sopravvento, dal viso della ragazza scendevano
lacrime amare, a quelle Rebecca rispose “ Avrò
sempre il tuo ricordo, sarà la cosa più preziosa
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che custodirò nel mio cuore, pensa al regalo che
mi lasci! Il nostro bambino! Avrò cura di lui,
guardarlo sarà gioia e felicità per me perché in
lui vedrò te amore mio”.
La sua voce ridestò, per qualche istante, il
compagno, il quale aprì gli occhi stanchi, le
strinse la mano, un mezzo sorriso poi... a quel
gesto Rebecca scoppiò in un pianto rotto e
disperato, capì che quella sarebbe stata l’ultima
volta che si fosse specchiata in quegli occhi. Lui
lottava per la vita. La temperatura corporea di
Steven aumentava, un urlo straziante gli uscì
dalla bocca “ Ti amo” si udì in quella stanza
fredda d’ospedale, incertezza e incredulità
serpeggiavano nel suo cuore, poi un suono
inarrestabile di parole, sempre le stesse, sempre
più belle perché uniscono chi si ama, “Ti amo, Ti
amo gioia della vita mia”.
Per non svegliarti più..
Pioveva fortissimo, la corrente elettrica andava
via spesso, ero rannicchiata lì sul tuo letto,
cercavo una risposta a quanto si era abbattuto
su di noi. Non è stato facile accettare la realtà.
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Mi sembrava tutto un incubo da cui non c’era
più risveglio.
Desideravo morire al suo posto, ma avrei causato
la morte della creatura innocente che cresceva
in me. Come ho potuto immaginare una cosa
del genere se per me è l’unica ragione di vita! Mi
ritrovavo ancora in quella stanza umida e
infreddolita, i miei pensieri erano pieni di rabbia e
dolore, non sapevo nemmeno cosa era giusto o
no. Mi sentivo debole, le braccia penzoloni
cadevano giù; mi aggrappai alle lenzuola le
strinsi, le mie mani si portarono alla ricerca di te, ti
stringevano, ti accarezzavano, avvertivano il
senso di freddo, il tuo corpo diventava sempre
più gelido.
Nella mia testa solo una domanda perché ti ho
fatto
partire?
Non
dovevo
permettere
quell’assurda partenza, perché sei andato via da
me… è tutta colpa mia... non me lo perdonerò
mai!
Dall’uscio Harry osservava con attenzione ogni
azione, dalle sue labbra solo poche parole: “
Ormai non c’è più niente da fare, Steven non
può essere più salvato lo vuoi capire! È morto!
fattene una ragione!”
Steven non mi poteva più rispondere, era lì
immobile.
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Con un tono minaccioso Harry continuava a
esclamare che dovevamo andare via, non
riuscivo a comprendere, non volevo, non potevo
lasciare il mio uomo da solo mentre diventava
sempre più freddo.
Harry mi cinse con le sue robuste braccia
dicendomi: ”Non puoi rimanere qui da sola!”
Incredula piangevo su quel corpo senza vita!
Singhiozzavo e pregavo, non mi davo pace.
Come in un film mi passavano davanti agli occhi
flash di una vita vissuta insieme, di un amore che
mi riservava ancora tante cose.
Harry mi sollevò con forza, mi tirò per un braccio,
mi condusse fuori dalla stanza non voleva
vedermi soffrire. Non so chi mi diede tanta forza,
gridai ancora una volta, ”Steven non può restare
qui da solo senza di me! Ha bisogno di me!” Ero
sull’orlo dello esaurimento, Harry se ne avvide, mi
allungò uno schiaffo secco sulla guancia sinistra,
scoppiai a piangere.
Non me lo sarei mai aspettato. Ero impazzita non
sapevo ormai più quello che stavo dicendo. Ci fu
un silenzio profondo. Di lì a poco mi calmai, Harry
tenendomi per mano disse: ” Ti voglio bene, sarò
sempre al tuo fianco”.
Non sapevo cosa fare, volevo scappare lontano,
Harry me lo proibì, mi stringeva a sé, ci
guardammo negli occhi, fu l’attimo cruciale, un
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pianto liberatorio ci diede il coraggio di
continuare. Eravamo rimasti immobili sotto la
pioggia, ma eravamo lontano da tutto. Tutto era
inutile, non ci restava che tornare a casa. Per
Steven non potevamo fare più nulla, solo
pregare e custodirlo nello scrigno dei ricordi. Il
suo destino aveva già deciso per lui…
Svaniva…
Il sogno di una vita insieme con te… della mia
vita, quella vita che ormai la tua morte ha
trascinato via con sé, svaniva...
Non ci sei più… ora sei lassù, nella Sua stanza
colma di una grande luce… ed io sono quaggiù,
nella mia, dove la luce non c’è più.
Questa notte non finisce mai, ho smarrito il tuo
viso che mi arrecava tranquillità e serenità, in te
trovavo pace e mi addormentavo felice.
Mi accompagna la tua immagine, mi appari nel
momento del sacrificio, una baionetta puntato
verso di te, il sibilo dell’aria e poi uno squarcio nel
petto...
Non trovo pace, questa è l’unica immagine che
mi accompagna, l’ho fissa davanti agli occhi.
Tutte le nostre speranze, tutti i nostri sogni, i nostri
desideri, quella voglia grande di costruire un
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futuro insieme, svanivano lì, insieme a quei
colpi…
Eri tu che ogni notte poggiavi le mani sul mio
cuore sussurrandomi parole d’amore.
Mi portavi altrove, dove nessuno ci vedeva…
quell’innocenza che adesso non si spiega. “ Dio,
rendimi le forze, dammi energia e voce fammi
vivere momenti d’amore, fa che la mia voce lo
svegli e lo porti a me che sono la sua vita!”; ogni
preghiera è vana, tutto è impossibile… “te lo sei
portato via lasciandomi sola con il mio dolore,
nulla e nessuno mi potrà aiutare.
Dammi solo una certezza, non farmi dimenticare
il suo amore”.
È tardi, è notte fonda, vorrei tornare in quella
stanza, non ci riesco, i ricordi non mi fanno
respirare, sono stanca, sono avvilita, a volte, uno
spiraglio luminoso mi appare, per un attimo ti
rivedo al mare, siamo insieme felici a guardare il
cielo sprofondare nelle acque azzurre, mentre
gioivi con me il fiore dei tuoi anni.
Ho il tuo sorriso impresso nel cuore, Signore non
allontanarlo da me, scolpiscilo in me, fammi
sentire ancora sua.
I ricordi, compagni fedeli, mi aiutano a superare
le avversità, passo dopo passo come in un
fotogramma rivedo le sequenze della nostra vita,
la prima volta che mi hai preso per mano,
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quando guardandomi negli occhi mi hai baciata
dolcemente, mi hai sussurrato la parola “ti amo”
e poi accarezzandomi mi hai fatto tua, era la
prima volta per me..., tu sapevi come prendermi
e fu amore vero, pulito, dolce…
Le stelle spiavano il nostro dormire, eravamo due
angeli uniti, oggi sono sola, tu non ci sei.
Tutto svanisce, alla fine, nessuno può farsene una
ragione, o meglio, io no: come potrei!
C’è solo vuoto intorno a me! È un vuoto
profondo, un baratro dove son caduta… e da
quaggiù sarà difficile, forse impossibile, risalire in
cima.
Forse, per ora, è meglio che io stia qui: non vedrò
il sole, la luna, le stelle, il mare, le montagne, i
fiori, l’erba, tutte quelle meraviglie che guardavo
con te.
Non voglio più vedere il cielo, quella meraviglia
impossibile da raggiungere se non con la morte,
che accoglie chi non vive più. Tu percorri gli
spazi sconfinati dell’universo alla ricerca di me,
sussurri nenie d’amore per la compagna dei
tempi passati, un frammento di stella si stacca
dal cielo, cade, si ferma vicina al mio letto mi
sussurra parole d’amore.
Un lamento, un pianto forte che nessuno può
capire… tutte le cose belle che fanno ricordare,
un sogno infranto che fa male.
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Nulla è come prima. Una di quelle storie
sull’amore che leggevo da bambina si è
strappata… i ricordi di una gioia che adesso è
svanita…
Chissà, forse un giorno rivedrò il colore del cielo,
risentirò il calore del sole… ma sarà tutto diverso:
sarà un risveglio, una vita che non conoscerò.
Non credo a chi mi dice che il tempo rimarginerà
le ferite… lui non sa com’è straziato il mio cuore!
Anche da lassù portami per mano, abbracciami,
guidami, fammi ancora tua, aiutami ad amare
ancora la vita… aiutami!…
Mentre un’immagine
parlare…
si
allontanava
senza
Ripenso ancora, al giorno in cui ti ho incontrato,
alle tue parole, ai tuoi gesti… alle cose
quotidiane, semplici ma belle perché si ha
sempre qualcosa da raccontare e l’opportunità
propizia che si stava vivendo, l’attesa di un figlio,
esperienza particolare perché unico il momento,
gradito perché dono del Signore e condividerlo
insieme sarebbe stato un sogno.
Il grembo materno cresce giorno dopo giorno, la
mia mano lo accarezza e spesso parlo con il
frutto del nostro amore, gli racconto di te di
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quanto fossi speciale e quanto sarei stata felice
di vivere insieme, ma… tu mi sei stato portato via
troppo in fretta…
Ti penso amore mio, il destino ha scelto per noi,
per me solo una cosa conta quello di averti
amato, lentamente una lacrima bagna il viso,
questo mi accade tutte le volte, ormai da
tantissimo tempo che ripenso alla nostra storia…
a te che non ci sei più… mi assale la paura di
perderti di nuovo, di non ricordare…, la tua
mancanza mi ha lasciato un vuoto incolmabile.
Quel pensiero è sempre più pregnante, a un
tratto un’immagine mi appare, silenziosa mi
osserva senza parlare, la sua mano sfiora le mie
labbra, le stringe, accarezza il mio viso indebolito
dal dolore, un sorriso, non una parola… poi
scompare, ritorna su di me il tedio di vivere…
Un unico ricordo…
Un ricordo si aggirava senza meta nella mia
mente nel guardare quei pezzi di carta che
riportava il suo volto, l’annuncio della sua
partenza.
Quella sera il gelo si abbatteva sul paesello, la
nebbia avvolgeva l’aria, il vento soffiava forte e
spifferi s’infiltravano tra le fessure della finestra.
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Il camino scoppiettante irradiava il suo calore,
noi felici allungavamo le nostre mani per
assorbire quel calore. Mi disse “mi mancherai!”.
Stupita, lo guardai e gli chiesi spiegazioni.
“Amore non vorrei lasciarti qui da sola ma devo
farlo, mi è giunta la lettera di chiamata per le
armi, devo andare in guerra, partirò domani
all’alba”.
Il mondo in quel momento sembrò mi cadesse
addosso, un nodo alla gola non mi permetteva
di parlare, il mio cuore si congelò…
Il silenzio regnava nella stanza, in sottofondo il
fuoco ardeva scoppiettante.
Lacrime spontanee bagnavano i miei occhi, lui
accarezzò il viso asciugandomele, mi rassicurò
con un abbraccio forte e duraturo, aggiunse “Tu
sei la mia unica forza per affrontare tutto
questo!”.
Non volevo stargli nemmeno un minuto lontano.
Avevo paura! Non sapevo a cosa andassimo
incontro, quale sarebbe stato il nostro destino, se
ci fosse stato un futuro insieme.
Desideravo che la luce del giorno tardasse ad
arrivare, che lui non varcasse quella soglia…
Quel silenzio struggente aumentava l’ansia. Il
tempo trascorreva veloce.
Noi, incatenati in un abbraccio, rimanemmo
immobili a fissarci. I nostri occhi lucidi
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evidenziavano sofferenza e paura di doversi
separare, chissà quando, chissà dove avrebbero
rivissuto la gioia di stare insieme.
Il rintocco della campana ci portò alla realtà, era
mattutino, era giunta l’ora della partenza, il
fatidico momento.
Lui si alzò, si avvicinò alla porta d’ingresso, io lo
accompagnai, mi strinse e con un’angoscia mi
disse “ Stai tranquilla tornerò presto, ti amo!”. Un
ultimo bacio poi… lo seguii con lo sguardo finché
non scomparve, un senso di buio scese su di
me… Mi sentivo inerme perché non potevo
fermarlo. Avevo contato i suoi passi lenti con la
speranza che si fermasse e tornasse indietro da
me. Ora nello specchio dei pensieri miei ti vedo
ma non ti raggiungo mai.
Oggi vivo del tuo insegnamento
E così passano i minuti, le ore, le giornate…, tutto
è cosi lento, il tempo sembra non passi mai. Ogni
tanto c’è qualcosa che mi rende felice, “lui” mio
figlio, lo sento dentro di me ed è meraviglioso…
Come vorrei che tu fossi qui per poggiare le tue
mani, nere di fumo, bianche d’amore, sul mio
grembo! Ieri ho parlato con la mammana mi ha
detto che tutto procede bene, mancano solo
pochi giorni, poi lo avrò tra le mie braccia…
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amore mio, sapessi com’è irrequieto, i calci che
mi affibbia sono tanti, vuole uscire per conoscere
il mondo… un mondo in cui la guerra tiene le
redini. Amore, amore non so cosa mi stia
succedendo ho tanta paura, non capisco, soffro,
ho dei dolori, ci siamo il travaglio è iniziato, sento
qualcosa scorrere lungo le gambe, mio Dio! Si
sono rotte le acque! Sono sola, dammi la forza di
superare questo momento. Una luce invase la
stanza, in quel bagliore prendeva forma
un’ombra, paura e speranza si alternavano
finché in me si fece sempre più insistente una
sensazione nuova vissuta nel passato.
Una sensazione… Sembra quasi tu fossi qui con
me a stringermi le mani… Ecco, è arrivato il
momento, amore sto piangendo, piango dalla
felicità, dal dolore, non so il perché piango, so
solo che è un pianto forte proprio come il vagito
che sto sentendo! E’ nato amore, è nato
Steven... è meraviglioso, è uguale a te… ha i tuoi
stessi occhi, com’è bello stringerlo tra le mie
braccia.
Lentamente quel bagliore così come si era
sviluppato svaniva, tutto tornava a una normalità
che tale non era e non poteva esserla, ero
diventata madre di un bellissimo bambino dagli
occhi verdi.
Saprò essere una brava mamma?
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Di una cosa sono sicura, diventerà un
meraviglioso uomo, noi vivremo nel tuo ricordo,
la vita ci darà la forza di credere e di vivere del
tuo insegnamento.
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