CLICCA QUI e leggi testo del commento su Salman

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CLICCA QUI e leggi testo del commento su Salman
Le problème de l’Islam comme force politique est un problème essentiel pour notre époque et pour tous les années qui
vont venir.
Michel FOUCAULT, 1979.
….s’il y avait le moindre signe qu’une société musulmane était capable de créer une démocratie ouverte, je changerais
d’avis.
Salman RUSHDIE, Joseph Anton, 2012.
Il faut dire que j’ai traversé une épreuve qui m’a obligé à prêter attention à ce qui se passait dans le monde musulmane.
Or quelque chose a mal tourné au sein de l’Islam. C’est assez récent.
Salman RUSHDIE, Joseph Anton, op. cit.
L’Islam dans lequel j’ai grandi était ouvert(…), ce n’était pas celui qui est en train de se répandre à toute vitesse.
Salman RUSHDIE, Joseph Anton, op. cit.
Kundera dice que la novela tiene dos padres : uno de ellos es la CLARISSA de Samuel RICHARDSON, y el otro, el
TRISTAM SHANDY de Laurence Stern. Yo vengo de dos traditiones: las fabulas magicas del Este, pero tambien fui un
estudiante de Historia. Lo que me interesa es juntar ambos caminos.
Articolo-commento di Alvaro Enrigue a Dos años, ocho meses y ventiocho noches, apparso sul sito elpaissemanal@el
paìs.es il 07.10.2015.
No me siento representante de nada, pero quando estamos en un momento come el actual creo que hay que defender con
fuerza la libertad de expressiòn. Es el motor que mueve muchas de las cosas del hombre, empezando por la cultura. Por
eso, la mejor manera de defenderla es ejercerla: en los libros, en las viñetas, en los articulos de prensa, con la palabra...
Articolo/intervista a firma di Antonio Lucas al romanzo di Salman Rushdie, Dos años, ocho meses y ventiocho
noches, apparso sul giornale El Mundo il 06.10.2015.
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TWO YEARS EIGHT MONTHS and TWENTY-EIGHT NIGHTS, di
SALMAN RUSHDIE, la storia di una lotta tra le buie potenze dell’oscurantismo e
quelle solari dell’immaginazione.
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Salman RUSHDIE è uno scrittore straordinario, uno dei più grandi delle ultime decadi. Nasce il 19
giugno 1947 a Bombay (India) con la vocazione di scrittore ma i primi tempi per vivere si deve
accontentare di lavorare nella pubblicità.
Un primo romanzo, GRIMUS (1975), una fiaba fantastica, in parte fantascientifica, la storia di un
indiano che riceve il dono dell’immortalità ed esplora il mondo per centinaia d’anni alla ricerca
dell’immortale sorella, è disprezzato dai critici letterari dell’epoca e non è quasi letto. Un secondo,
Midnight’s Children (1981) che racconta sotto forma di una fiction magico-realista la storia dei
primi anni dell’India dopo l’indipendenza, il caos e le promesse di una democrazia in fase di
definizione, gli vale grande considerazione e apprezzamenti da quel mondo letterario e universitario
cui aspirava e gli fa ottenere nel 1981 il favoloso Booker Prize ( Goncourt britannico), premio
riservato alla migliore opera in lingua inglese e che segnò la comparsa in ambito letterario di una
nuova generazione di scrittori provenienti dagli antichi possedimenti coloniali dell’Inghilterra.
Da quest’esordio comincia la sua brillante carriera di scrittore con una decina di opere di fiction ma
anche saggi, testi teatrali e sceneggiature per il cinema che ama al punto di permettere a un film
pakistano di propaganda contro la sua persona, alla fine del quale Rushdie è ucciso, di circolare
nelle sale cinematografiche iraniane e non solo. Lo scrittore motiva la sua scelta sostenendo che il
film era brutto e che non avrebbe interessato nessuno.
Nel corso della sua vita professionale riceve grandi consensi ma conosce pure un periodo di grande
preoccupazione e amarezza quando la pubblicazione del suo romanzo più conosciuto, controverso e
destabilizzante degli anni ’80, The Satanic Verses (1988) gli procura la fatwa da parte dell’imam
Khomeini che l’aveva additato alla pubblica riprovazione per aver scritto un testo considerato
blasfemo dal popolo musulmano. Il contenuto del libro è ritenuto un’offesa al Profeta e alla
comunità dei credenti. La sentenza di morte costringe l’autore indiano a lasciare New York per
trasferirsi insieme alla sua famiglia a Londra. La fatwa non è mai decaduta dal punto di vista delle
autorità religiose islamiche e sulla testa di Rushdie pende minacciosa una taglia che col tempo è
lievitata fino a toccare la somma di 3,3 milioni di dollari quale ricompensa promessa a chi ucciderà
Salman Rushdie. Le sue immagini furono bruciate sulle piazze del mercato d’Oriente ma anche in
quelle dell’Occidente, lo scrittore, tenace difensore della libertà di espressione, è condannato alla
clandestinità e alla paura.
Ora ventisei anni sono passati dal pronunciamento di questa condanna a morte. L’imam Khomeini è
morto e il caso Rushdie avrebbe potuto essere chiuso nel 2012 ma il romanziere rinnegato non può
sentirsi al sicuro da un qualsiasi assassino fanatico essendo la fatwa sostenuta dai mullah iraniani più
intransigenti ed estremistici.
Ciononostante Rushdie continua a raccontare di libro in libro le turbolenze del mondo
contemporaneo sullo sfondo dell’affermazione e diffusione del fondamentalismo religioso nei paesi
orientali. Salman Rushdie è il contrario di un fanatico, s’interessa alla religione ma non è religioso.
Simile in ciò a suo padre Anis Klaligi Dehlavi, che nutriva un forte interesse per il Corano, Salman
RUSHDIE è cresciuto in una famiglia aperta e tollerante in cui si è sempre parlato di tutti i temi
relativi alla religione senza preconcetti o veti. E quello della sua famiglia non era un caso isolato
poiché è sempre esistito un Islam aperto, per niente fanatico, ma purtroppo negli ultimi
cinquant’anni è diventato sempre più minoritario.
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È questo il tema di fondo del nuovo romanzo di Salman RUSHDIE che è stato appena pubblicato
in inglese dalla Pinguin Random House. Two Years Eight Months and Twenty-Eight Nights1 è il
dodicesimo romanzo di questo grande affabulatore all’apice della sua arte.
Il titolo del romanzo rimanda ai racconti delle Mille e una notte. È un testo che vede il trionfo delle
forze creative e dell’immaginazione su quelle della notte che censurano in modo ostile, uccidono.
Un romanzo dalle molte trame che rimbalzano, s’intersecano e si slegano senza un ordine
convenzionale quanto al tempo e alla geografia che l’autore stesso definisce es mi propria locura e che
non risponde ad alcun piano generale convenzionale 2. Un libro di fantascienza raccontato mille
anni dopo i fatti che narra e una raccolta di avvenimenti su ciò che succederebbe se il mondo dei
jinn d’Oriente si irritasse contro la New York del nostro tempo.
Le pagine di questo libro sono scritte con la fermezza favolosa, erotica che troviamo nei racconti
della fiaba orientale più nota Le mille e una Notte che Rushdie ascoltava durante la sua infanzia
dal padre Anis. Leggendo le mitiche favole e storie della vasta tradizione letteraria indiana Salman
Rushdie imparò a considerare che le storie sono di tutti e che possono essere ricostruite e raccontate
in tutta libertà.
Con Due anni, otto mesi e ventotto notti, Salman Rushdie ritorna alla fiction per
adulti. Nel 2008 pubblica The enchantress of Florence e nel 2010 Luka and the
dire of life, scritto per Milan suo figlio più piccolo. Nel 1990 aveva pubblicato il
fiabesco Haroun and the Sea of Stories, il primo lavoro dopo la fatwa, storia
dell’avventura magica di un bambino che combatte le forze del decadimento e della morte per
impedire al padre di spegnersi, dedicato al figlio maggiorenne Zafar. Nel 1994 riprende l’idea di
una raccolta di brevi racconti, East, West, in cui l’autore si rende mediatore tra due mondi diversi
ma bisognosi l’uno dell’altro e nel frattempo completa il romanzo The Moor’s Last Sigh (1995).
Nel 2012 esce la sua voluminosa (più di 700 pagine) autobiografia, Joseph Anton , per il cui titolo
utilizza lo pseudonimo formato dai nomi di due letterati, Joseph CONRAD e Anton
TCHÉKHOV, che Rushdie apprezzava molto. Questo testo, frutto di un lavoro di più anni, non è
solo un manifesto in difesa della libertà di espressione ma anche la narrazione definitiva di un
periodo di vita difficile e sofferto a causa della fatwa che pesava minacciosa sulla testa dell’autore
accusato dall’imam Khomeini di aver insultato le santità dell’Islam e del suo Profeta. Nelle sue
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Il testo tradotto in francese con il titolo Deux ans, huit mois et vingt-huit nuits sarà pubblicato agli inizi del 2016 per
le edizioni Actes Sud; lo stesso libro è stato tradotto in italiano e pubblicato nel mese di settembre 2015 dalle edizioni
Mondadori; la pubblicazione in spagnolo sarà nelle librerie negli ultimi mesi di quest’anno per le edizioni Seix Barral
come anche la versione in lingua tedesca.
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Molto probabilmente Salman RUSHDIE conosceva lo scrittore e giornalista statunitense Jonathan FRANZEN per
aver letto sul New Yorker articoli e saggi dell’autore di Twenty-Seventh City su temi letterari e non letterari quali
privacy digitale, il degrado delle città, l’uso dei social networks, le energie rinnovabili. Uno dei suoi più importanti
contributi critici fu il testo Perchance to dream pubblicato nel 1996 su Harper’s Magazine, una lunga e articolata
riflessione sulla scrittura e sui motivi che spingono a scrivere romanzi che certamente Rushdie ha condiviso se per
scrivere il suo recente romanzo ha seguito la tecnica dell’improvvisazione tanto cara a Jonathan Franzen.
Salman RUSHDIE ha sicuramente assimilato la tecnica costitutivamente disorganica che procede per giustapposizione
dalla lettura del più famoso e conosciuto classico della letteratura orientale, Le Mille e una Notte, un insieme di
racconti straordinari, ora incatenati l’uno all’altro come anelli di una collana, ora rinchiusi l’uno nell’altro come un
sistema di scatole cinesi, tecnica che ritroviamo nel Decamerone del Boccaccio, che fa pensare anche ad Ariosto e che
ritroviamo seguita nel quinto romanzo di Jonathan Franzen, Purity, che appena uscito nelle librerie americane e inglesi
il primo di settembre 2015, è già considerato un best-seller. La trama divisa in sei parti è raccontata da quattro punti di
vista. Le vicende dei personaggi comprimari sono così approfondite e cambiano di continuo l’ambientazione temporale
e geografica della vicenda centrata sul racconto della vita di Purity Tyler, detta Pip, una giovane studentessa che per
ripagare il debito universitario di centotrenta mila dollari e scappare da un complicato rapporto con la madre, decide di
cercare suo padre che non ha mai conosciuto.
Di là dei temi trattati ciò che colpisce, secondo il critico David E. Hoffmann, è la capacità di Franzen di mettere in
scena il pensiero nel suo svolgersi, facendo entrare i lettori nella mente dei personaggi. Il vero piacere della lettura di
Purity è nei diversi punti di osservazione, il lettore riesce a calarsi in una diversa dimensione.
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Memorie lo scrittore britannico racconta come viveva la sua condanna a morte, come le permanenti
e rigide misure di protezione h. 24 avevano cambiato le sue più elementari abitudini e persino il
suo carattere che era diventato più spigoloso, a volte aggressivo e particolarmente polemico. Gli
articoli di critica letteraria che scriveva sulle riviste erano feroci fino ad arrivare ad attacchi
personali agli autori delle opere recensite. A molti sembrava più vecchio della sua età.
Senza una vita privata, impossibilitato a partecipare a incontri o convegni ufficiali a carattere
letterario e sociale, costretto a convivere con minacce di morte che ogni anno i dirigenti iraniani
rinnovavano con toni enfatici e solenni, Salman RUSHDIE dovette far fronte anche ad
un’incipiente depressione e al timore di essere distrutto come scrittore. A cette époque ma vie est devenue
une sorte de thriller, scrive Rushdie nelle sue Memorie che sono una sorta di meta-narrazione scritta in
terza persona come se il narratore di quest’autobiografia non si riconoscesse a pieno nel
personaggio che stava diventando sotto la pressione di un mondo esterno minaccioso e cattivo.
Questo procedimento narrativo non toglie di certo al libro sensibilità, umanità e interesse.
Questo distacco è forse anche una strategia poetica per portare il dibattito verso la letteratura e
suscitare una profonda riflessione sull’immortalità dell’Arte e della Letteratura. L’autore s’inscrive
così nella lista di scrittori (Ovidio, Mandelstam, Lorca) le cui opere sono sopravvissute ai regimi
tirannici che hanno voluto ridurle al silenzio. Quella di Ovidio è sopravvissuta all’impero romano,
quella di Osup Mandelstam allo stalinismo e quella di Federico Garcìa Lorca al fascismo spagnolo.
Il messaggio che Rushdie rivolge all’uomo politico indiano Rajiv GANDHI e cioè Il presente vi
appartiene, Signor Primo Ministro, ma i secoli appartengono all’Arte testimonia una sua immediata e piccata
reazione di contrarietà mista a stupore quando l’India, il suo paese di origine cui è fiero di
appartenere, fu il primo paese a proibire sul suo territorio il testo The Satanic Verses incriminato
dai mullah di Teheran.
Scortato ancora oggi, Salman RUSHDIE continua a scrivere altri libri e articoli e a esporsi
attraverso dichiarazioni pubbliche e perfino sui social network rivelando di non essere per nulla
intimorito dalle infinite minacce di morte. Una su tutte: dopo la strage di Parigi nella redazione del
settimanale satirico CHARLIE HEBDO il 7 gennaio 2015, Rushdie in un twitter così ebbe a
scrivere: Sono solidale a Charlie Hebdo come dobbiamo esserlo verso tutti per difendere l’arte della satira che è
sempre stata un’arma della libertà contro la tirannia, la disonestà e la stupidità. “Rispetto per la religione” ha
cambiato senso per” Paura della religione”. La critica, la satira e, sì, la nostra intrepida irriverenza devono potersi
applicare alle religioni. Combinata agli armamenti moderni, la religione, una forma medioevale della follia, diventa
una vera minaccia per la nostra libertà. Questo totalitarismo religioso ha provocato un mortale cambiamento in seno
all’Islam e ne vediamo le conseguenze tragiche oggi a Parigi.
Veder moltiplicarsi le azioni di terrorismo islamico gli fa riacquistare quell’energia che aveva
perduto e recuperare la fiducia nella sua funzione di scrittore e di creatore.
Joseph Anton è un libro testimonianza che fa riflettere anche sugli attacchi terroristici alle Torri
Gemelle di Manhattan (11 settembre 2001) quel drammatico momento in cui il mondo scopriva che
nulla era come prima. Qualche cosa di nuovo stava succedendo, scrive Rushdie nel suo libro e
stava per estendersi sulla superficie della terra ma nessuno voleva crederci. Il riferimento è
chiaramente diretto a quegli intellettuali tiepidi e supini nei confronti della minaccia islamica
timorosi nel condannare e nel suggerire una risposta virile e muscolare al grande nemico, quali i
pensatori francesi della decadenza, da Marc AUGÉ a Edgard MORIN fino a Michel ONFRAY
che continua a ripetere che i francesi dovrebbero smetterla di continuare a bombardare le popolazioni musulmane
su tutto il pianeta mentre AUGÉ mette in guardia dal rischio dell’islamofobia (non bisogna trasformare
un’intera comunità religiosa, quella islamica, in un capro espiatorio) e MORIN sostiene che bisogna
combattere il terrorismo con la Pace in Medio Oriente e la conoscenza. Secondo Salman RUSHDIE una
nuova parola era stata inventata per permettere ai ciechi di restare ciechi: islamofobia. Joseph
Anton è un libro importante perché testimonia fin dagli inizi l’esistenza dei pericoli del fanatismo e
del terrorismo jihadista.
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In seguito alla pubblicazione de The Satanic Verses, descritto come testo blasfemo e contrario
all’Islam che provocò la fatwa e la fuga del suo autore a Londra, il governo inglese si attivò per
fornire a Salman RUSHDIE e alla sua famiglia la protezione della polizia e la scorta 24 ore su 24
con più guardie del corpo, ma non manifestò una vera volontà di risolvere il problema nel senso che
non fece grosse pressioni presso il governo iraniano. Ci si limitò a sperare che la situazione fosse
dimenticata così altri governi occidentali. Soltanto con il primo governo laburista di Tony Blair c’è
stata una forte presa di posizione nel senso che si sanzionò la rottura delle relazioni diplomatiche tra
l’Iran e il Regno Unito per anni. C’è da aggiungere che per l’intellighenzia inglese Rushdie era
diventato quasi un problema e da vittima era considerato un reietto, un menagramo, un visionario da
mettere nel dimenticatoio. C’era, infatti, chi come il principe di Galles diceva di Rushdie che era
uno scrittore mediocre, che il suo discusso libro fosse illeggibile e che proteggerlo costasse molto
caro e chi, invece, come lo scrittore Ian McEwan, con molta schiettezza e ironia, rispondeva che la
protezione del principe Charles costava molto più caro di quella di Rushdie e che, tuttavia, non ha scritto niente
d’interessante. Nonostante l’appoggio della sua famiglia e la protezione di scrittori come Nadine
GORDIMER, Martin Amis, Hitchens, Julian Barnes, Ian McEwan e di tutte le glorie della
letteratura britannica da Graham GREENE a Harold PINTER. Rushdie sentiva il peso della
solitudine, prigioniero di un radicale editto islamico che pretendeva di cancellare la parte di sé creativa
senza però riuscirvi.
Sul piano più squisitamente letterario e culturale c’è da segnalare comunque il fatto che la fatwa ha
spinto molti letterati e intellettuali occidentali a stringersi attorno a lui. Da questo punto di vista la
questione legata al libro The Satanic Verses ha creato una vera e solidale comunità.
Denso e leggero il nuovo romanzo è rushdiano per eccellenza,
per il suo contenuto nel contempo autobiografico e politico, per
la sua scrittura divertente e per la sua narrazione ricca di
digressioni, sogni e considerazioni sui mondi paralleli di jinn,
senza mai perdere di vista la sua linea tematica centrale. Questa
è affrontata fin dalle prime pagine attraverso la messa in scena
delle rivalità filosofiche tra due pensatori dell’epoca medievale:
l’Ibn Rushd, il razionalista conosciuto in Occidente con il nome
di Averrohès, figura d’intellettuale molto amata dal padre Anis
Klaligi Dehlavi, studioso della religione soprattutto dal punto
di vista storico (aveva portato la sua attenzione critica sulle
incoerenze storiche della vita del Profeta e aspirava persino a
riscrivere il Corano) che aveva fatto un bel regalo ai membri la
sua famiglia cambiando il suo cognome con quello ispirato a
Ibn Rushd, e il suo grande avversario, l’iraniano Al-Ghazali
di Tus, teologo dottrinario e austero che si era fatto conoscere
attraverso il suo massimo testo dal titolo The Incoherence of
the Philosophers (L’incohérence des philosophes) nel quale
attaccava i pensatori razionalisti e proponeva di diffondere la paura nel cuore degli uomini per
spingere i più recalcitranti a credere in Dio.
Il racconto si apre sull’esilio e la caduta in disgrazia del filosofo razionalista che viveva nella
Spagna musulmana, alla fine del XII° secolo. Cacciato dal regno per aver sfidato la figura tutelare
di Al-Ghazali 3 e aver tentato di conciliare la ragione e la fede, Rushd fu mandato al confino nel
3
È evidente l’identificazione, nel romanzo, tra l’autore e il pensatore Averrohès, entrambi destinati a pagare di persona
per l’affermazione delle proprie idee. Non a caso, all’inizio, la principessa Dunia definisce Ibn Rushd un antiSheherazàd che invece di narrare per salvarsi la vita, proprio narrando è messa in pericolo. L’allusione al passato dello
scrittore è di tutta evidenza come anche all’immediato presente quando auspica l’avvento di un mondo senza religioni e
senza dei.
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piccolo villaggio di Lucena, vicino alla città di Cordova, un paesello pieno di ebrei costretti a
rinnegare di esserlo poiché la dinastia degli Almoravidi li aveva obbligati a convertirsi all’Islam. A
Lucena Ibn Rushd comincia a esercitare come medico e si attiva nel commercio dei cavalli e nella
produzione di grandi giare di terracotta, le tinajas, in cui si conservavano vino e olio d’oliva. Un
giorno incontra la bella e giovanissima (sedici anni di età) Dunia e la accoglie nella sua casetta
come governante e amante, ma non sapeva che quella donna non era una mortale. Regina dei jinn,
aveva approfittato di un ravvicinamento ciclico dei mondi visibili e invisibili per restare tra gli
umani. D’altronde, è ben noto, secondo il narratore, che i jinn non conoscono l’amore, conoscono
solo i piaceri del sesso, ma la mente di quell’uomo è talmente affascinante che la Jinnia prende per
lui il nome umano di Dunia e diventa così la moglie del filosofo andaluso dandogli numerosi figli e
piaceri infiniti. Gli chiede in cambio solo delle storie. Storie che non sono storie, perché l’uomo è
un filosofo, non un romanziere e per di più un filosofo sconfitto dal suo più grande avversario il
teologo Al-Ghazali e costretto all’esilio. Ibn Rushd non poteva filosofare e temeva che i suoi figli
ereditassero da lui le tristi caratteristiche che costituivano nel contempo il suo tesoro e la sua
dannazione. Essere ipersensibile, lungimirante e dalla lingua lunga- disse- significa sentire con troppa intensità,
vedere con troppa chiarezza, parlare con troppa libertà, e dunque essere vulnerabile in un mondo che si crede
invulnerabile, comprendere la mutevolezza delle cose in un mondo che si crede immutabile, intuire prima degli altri ciò
che accadrà, sapere che la barbarie si stava abbattendo alle porte del presente laddove gli altri abbarbicano a un
passato ormai vuoto e decaduto. Se i nostri figli sono fortunati erediteranno soltanto le tue orecchie. Ma siccome è
innegabile che siano anche i miei, probabilmente penseranno troppo e troppo presto, incluse cose che non è permesso
né pensare né sentire (p.16). Dai loro frequenti rapporti sessuali nascerà una nuova razza di uomini e di
donne, riconoscibili dalle loro orecchie senza lobi e da una strana familiarità con i fulmini. La
principessa Dunia unendosi al filosofo Averrohès darà vita alla progenie di Duniazàt, con esplicito
riferimento a Dunyazad, la sorella di Sheherazade che, nelle Mille e una notte, innesca il
meccanismo dei racconti, sollecitando la tessitrice delle notti a narrare una storia prima di essere
giustiziata. Quasi mille anni dopo, i discendenti del filosofo e della creatura venuta dal mondo di
sopra, Fairyland, abitato dai favolosi jinn, magiche creature fatte di fuoco senza fumo, capaci di assumere
qualsiasi sembianza, contribuiranno a combattere i jinn malefici che tentano di cancellare la civiltà
umana.
Quest’allegoria della lotta contemporanea tra la civiltà e la barbarie jihadista è centrale nel romanzo
di Rushdie. La lotta durerà esattamente due anni, otto mesi e ventotto notti, per non dire ..mille e
una notte.
Ibn Rushd non è, tuttavia, l’unico personaggio in cui è possibile riconoscere l’autore. Come lui, lo
scrittore inglese patì una persecuzione sproporzionata per aver sostenuto una visione del mondo
razionalistica. Come il traduttore di Aristotele anche Rushdie è costretto a nascondersi, entrambi
hanno visto bruciare i loro testi: L’incoerenza dell’incoerenza il libro di Averrohès con il quale
replicava alle tesi di Al-Ghazali e The Satanic Verses di Salman Rushdie.
I discendenti di Dunia e di Ibn Rushd fanno gruppo comune nella Guerra dei Mondi, sono
numerosi personaggi le cui azioni s’intrecciano e si ritrovano in più racconti. Fra questi Dunia ne
sceglie alcuni come guide perché ritiene che siano in grado di opporsi al regno dei jinn malefici.
Uno si chiama Raphael Hieronymus come San Girolamo, un giardiniere indiano figlio illegittimo
di un prete cattolico, il reverendissimo Jeremiah D’Niza che per difendersi dalle calunnie diede al
figlio il cognome della madre Manezes. Come Rushdie è costretto ad andare altrove, in tenera età,
per continuare gli studi in convitto, Rushdie si reca in Inghilterra, Geronimo va a New York per
apprendere dallo zio Charles Duniza il mestiere di architetto. Un altro, Jimmy KAPOOR, mezzo
uomo e mezzo jinn è un frustrato giovane artista di graphic novel di notte e contabile di giorno presso
lo studio commerciale di suo cugino Normal. Attratto da piccolo dai fumetti Jimmy aveva disegnato
e inventato un supereroe, Natraj Hero, dotato come Shiva di un superpotere, la danza. Ci sono poi
Teresa SACA CUARTOS, una libertina sempre a caccia di qualche buon partito da circuire,
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fuorilegge per aver ucciso il re dei fondi d’investimento Seth Oldville, reo di averla lasciata a causa
del temperamento rabbioso e aggressivo di Teresa, una donna intrattabile e sboccata, con un infinito
repertorio d’insulti; e BABY STORM, una trovatella di circa quattro mesi, rinvenuta dopo la
grande tempesta sulla scrivania della sindaca Rosa Fast, avvolta nella bandiera nazionale indiana,
dotata di un potere soprannaturale, quello di riconoscere la corruzione laddove si annidava e i
corrotti, una volta identificati, mostravano sul corpo i segni del loro decadimento fisico e morale;
Hugo CASTERBRIDGE un compositore inglese, un violoncellista che per comprendere i radicali
cambiamenti in atto nel mondo e definire le strategie per contrastarli, lancia inquietanti profezie e si
fa portavoce di una teoria post-ateista basata sull’assunto che Dio è un’invenzione dell’uomo e della
donna e che le nuove e straordinarie anormalità che si stavano moltiplicando erano dovute al trionfo
dell’irrazionalità distruttiva che si manifestava nella forma di un Dio irrazionalmente distruttivo per
cui, secondo questi pensatori, é inutile chiedere a Dio d’intervenire perché non è un liberatore ma
un distruttore.
Cosa li accomuna? Senza saperlo sono tutti figli di quelle creature capricciose quanto complesse
che chiamiamo Jinn e che possiedono poteri straordinari senza esserne del tutto consapevoli. I jinn
vivono nel loro mondo superiore chiamato Fairyland e qualche volta Peristan e si caratterizzano
fisicamente per non avere i lobi delle orecchie. Tutti i jinn praticano il sussurro cioè diventano
invisibili, appoggiano le labbra sul petto dell’umano e mormorano piano piano al suo cuore,
sopraffanno la volontà e prendono così possesso del corpo in modo totale. Dopo il sussurro dei jinn
cattivi le persone buone diventano capaci di cattiverie mentre i jinn luminosi indirizzano l’umanità
verso azioni nobili, generose e umili. È quanto sperimentò Giacomo DONIZETTI, collezionista,
restauratore veneziano quando entrò in un bagno turco non sapendo che lo attendeva un jinn
malvagio che in un attimo trasformò la sua vita in un incubo. Il giovane cercò poi nell’alcol e nei
tranquillanti una via d’uscita, aveva preso irrimediabilmente il
cammino dell’autodistruzione. Rushdie che s’identifica col
personaggio di Geronimo dopo un po’ ritorna in India provando come
lo scrittore un sentimento di estraneità. Entrambi si sentono come
sradicati dal loro paese di origine, quasi spogliati della loro identità.
L’ascesa dell’ideologia estremistica induista li aveva esclusi dalla
piena cittadinanza. E ancora come Rushdie anche Geronimo ha
superato la sessantina, non è molto attraente ma è attratto da giovani
donne affascinanti, tra le quali la stessa Dunia che, dopo quasi un
migliaio di anni dalla sua relazione con Averrohès, ritorna sulla terra
per richiamare alla lotta i suoi discendenti.
Geronimo, straniero errante, diventa un valido esperto di giardinaggio
e di architettura del paesaggio a Long Island. Ama talmente il suo
mestiere da essere abitualmente chiamato Geronimo il giardiniere preceduto da un Mister a
suggellare il suo percorso di americanizzazione. Geronimo ignora non soltanto che è discendente di
Averrohès ma anche di essere la prima vittima della malvagità dei jinn oscuri: a partire da una certa
mattina, dopo che per tre giorni e tre notti la sua New York è sopraffatta, devastata da una tempesta
di straordinaria violenza, si accorge di non poter fare come soleva il suo lavoro perché la forza
gravitazionale lo aveva abbandonato. Avrebbe voluto avere radici forti e ben piantate in ogni centimetro del
suolo perduto di Bombay e invece lievita a mezz’aria, cammina, dorme e riposa a cinque millimetri
dal suolo. Geronimo si trovò all’improvviso immerso in un paesaggio di devastazione, la città
sembrava sepolta da una colata di nera fanghiglia. Persino il livello delle acque del fiume Hudson si era
minacciosamente alzato e come una gigantesca lampreda tutta fango e denti aveva inghiottito il suolo in un
sol boccone distruggendo la sua bella casetta rossa su St Mark’s Place e oltre un decennio del suo
migliore lavoro di paesaggista, tanto che fu facile credere che nel mondo si fossero riaperte le antiche fessure,
ricoperte dall’erbaccia immaginaria della consuetudine e dai rovi della monotonia. Una tormenta i cui
straordinari e sconvolgenti effetti erano in qualche modo simili a quelli che lo stesso Rushdie aveva
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potuto osservare quando l’uragano Sandy si era rovinosamente abbattuto sulla città di New York
dove lo scrittore abitava costringendolo a restare per quattro - cinque giorni senza luce, senza
riscaldamento e senza acqua.
Fra i tanti suoi figli la Principessa delle Fate predilige Mister Geronimo per due motivi: perché
poteva resistere alla maledizione che lo stregone Zabardast aveva intenzione di diffondere sulla
Terra attraverso quella sorta di malattia che portava a lievitare, e che avrebbe colpito il giardiniere
di Bombay in quanto ostacolo alla scalata al potere dei jinn delle tenebre, e, poi, perché era attratta
dal suo volto che le ricordava dopo otto secoli quello di Ibn Rushd ed ora era pronta ad innamorarsi
di nuovo dello stesso uomo ma reincarnato in un altro corpo.
All’alba, una mattina, Dunia si presentò nella piccola stanza da letto del giardiniere indiano
materializzata in Ella, la defunta moglie di Geronimo. E iniziò a raccontargli storie favolose di jinn
della luce e delle tenebre, di fate, di Afarit, di Fairyland, di sussurratori, della rottura dei sigilli e del
primo portale spazio temporale nel Queens. Dopo attimi di nostalgia i due fanno l’amore
nell’angusto appartamento del seminterrato di una costruzione posta in periferia chiamata
“Bagdad”, lontano dal caos che si respirava all’esterno. Nell’estasi del rapporto Geronimo apprende
stupito di essere uno spirito fatato e che la componente jinn si stava manifestando. Dunia provò una
forte sensazione di piacere, intuì che stava diventando più umana e considerò il loro amore un vero
sentimento tanto che non pensò quasi più al suo filosofo scomparso e anzi si mise a raccontare a
Geronimo Manezes cose che non aveva rivelato prima. Parlò del Monte Qâf, dove un tempo
regnava un grande imperatore delle fate, Shahpal, con sua figlia, la Fata Celeste conosciuta anche
come la Principessa dei Fulmini, in lotta continua con i grandi Afarit, jinn malefici che miravano
ad impossessarsi del regno e che, approfittando della rottura dei sigilli, erano penetrati sulla Terra
per annientarla. Aggiunse di essere anche lei scesa sulla Terra approfittando della pausa nella guerra
per riunire tutti i suoi discendenti e passare al contrattacco. Geronimo capisce subito che la donna
che gli sta davanti è la Principessa di Qâf, Dunia. Nel corso dei loro frequenti rapporti sessuali
Mister Geronimo provò una sensazione inaspettata. Sentì il peso di Dunia su di sé, cominciò a
piangere perché aveva riacquistato la forza gravitazionale da tempo perduta, la Fata Celeste tenne a
riconoscere che il merito di restituirlo alla solidità della Terra era unicamente suo ed è convinta che
grazie allo spirito jinn che era dentro il suo corpo Geronimo sarà in grado di sconfiggere le
stregonerie di Zabardast e del potente Zumurrud the Great e di vincere la Guerra dei Mondi
evitando così il trionfo e la tirannia dei jinn oscuri su tutti i popoli della Terra. Intanto, però, si stava
verificando un fatto preoccupante. Il numero di esseri umani che si distaccavano dal suolo era
sempre crescente. Anche Sorella Allbee, l’amministratrice della palazzina denominata “Bagdad”
posta nella periferia di Manhattan e Blue Yasmeen, l’inquilina preferita da Geronimo, avevano
preso il volo e considerando il giardiniere responsabile dell’accaduto gli intimarono di lasciare
libero l’appartamento. Questo e altri fatti strani dettero luogo a un’ondata di panico senza
precedenti, ad assembramenti minacciosi e rumorosi che interessarono anche la città di Londra dove
viveva il compositore Hugo Casterbridge reo di aver spaventato il mondo intero paventando
piaghe e calamità spedite sulla Terra da un Dio in cui non credeva. Per sfuggire ai pericoli della
folla inferocita che chiedeva il suo allontanamento dal quartiere di Hampstead, il compositore si
richiuse in casa con la sua astrusa musica shoenberghiana. Ovunque ferocia, incendi e razzie. Poi
improvvisamente e dopo l’intervento con tuoni e fulmini di Dunia tutto si calmò e l’incantesimo si
spezzò. Ritornata a New York nella stanza di Mister Geronimo Dunia gli propose di accompagnarlo
nel regno di suo padre attraversando la porta reale per Fairyland. Geronimo non era contento,
voleva riprendere la vita di un tempo, appartenere alla Terra e non alle forze dell’aria. Il suo unico
desiderio era di ritornare a fare il giardiniere e occuparsi dei paesaggi. Nel frattempo, il capo delle
spie al servizio della casa reale, Omar l’Ayyar, riferì che l’imperatore delle Fate era stato
avvelenato e che era stata trovata una Scatola cinese ai suoi piedi. C’è molto di Rushdie nella figura
di Mister Geronimo obbligato a opporsi all’intolleranza dei jinn e a far fronte agli imprevisti del
momento. Il giardiniere Geronimo è costretto dagli avvenimenti a spostarsi da un luogo a un altro,
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anche la vita di Rushdie è stata caratterizzata dal movimento e dall’esperienza di altri paesi e
culture, l’India, l’Inghilterra, il Sudamerica e anche gli Stati Uniti. Rushdie è, però, contento di aver
visitato molte città e non invidia di certo quegli scrittori che hanno trascorso tutta la loro vita
rimanendo ancorati a un solo luogo.
È che lo scrittore indo-britannico, come Jonathan FRANZEN 4, è convinto che i suoi continui
viaggi gli abbiano dato l’opportunità di approfondire la conoscenza della natura umana. Rushdie si
reca molte volte in Spagna e visita siti archeologici e ammira i paesaggi che poi propone nei suoi
libri. Conosce non solo diverse città, Nicaragua
perfettamente, Buenos Aires pure, ma ha grande familiarità
con la letteratura latino-americana: Carlos FUENTES è
molto presente ne Midnight Children, Gabriel GARCIA
MARQUEZ è la figura letteraria che ama di più di cui ha
certamente letto con molto interesse il suo capolavoro Cien
años de soledad (1967) il cui realismo magico si respira ne
The Satanic Verses e nel più recente Two Years Eight
Months and Twenty-Eight Nights. Il periodo arabo della
Spagna per Rushdie è assolutamente da rivalutare e la
realtà latino-americana per Rushdie ha molte similitudini
con quella indiana poiché entrambe hanno patito un forte sistema coloniale, condiviso problemi
politici similari e diseguaglianze tra ricchi e poveri, tra la vita di città e quella di periferia.
La protagonista di Two Years Eight Months and Twenty-Eight è una jinnia, cioé un jinn
femmina, Dunia, Aasmaan Peri, Skyfairy, Lightning Princess che approfittando della momentanea
rottura dei sigilli che tenevano separate i due Mondi si trasferisce nel mondo di sotto, quello visibile,
si innamora di un uomo, il filosofo Ibn Rushd e con lui dà origine ad una numerosa progenie per
metà umani e per metà jinn. Nel mondo musulmano i jinn sono spesso considerati alla stregua di
esseri interlocutori che occupano la parte di sopra del regno terrestre ma ben al di sotto del celestiale;
diversi dagli angeli e simili agli esseri umani, essi sono creature profondamente complesse che
agiscono istintivamente e possono spostarsi verso le tenebre e la luce a seconda dei casi. I Jinn non
solo sono menzionati nel Corano ma è dato per certo che il Corano è rivolto sia agli esseri umani
che ai jinn.
I Jinn vivono nel loro proprio mondo separato dal nostro da un velo chiamato qualche volta
Peristan o Fairyland ed è molto esteso sebbene se ne ignori la natura. Il conflitto tra jinn oscuri e il
genere umano riproduce la disputa che nel XII° secolo aveva opposto le tesi del filosofo Ibn Rushd
considerate radicali, di gran lunga troppo liberali persino all’interno della tradizione razionalistica
di Mutaliza a quelle del suo avversario Al-Ghazali, una lotta tra i razionalisti e gli estremisti di ogni
tipo. La contesa tra questi due acerrimi rivali continua mille anni dopo la loro morte ma
comicamente essendo essi solo polvere. È quando la polvere di Al-Ghazali mobilita gli oscuri jinn
servendosi della cieca cattiveria e ottusità dei Grandi Ifrits, Zumurrud Shah e i suoi eccentrici e
malvagi tre compari che comincia la Guerra dei Due Mondi che si annuncia feroce e cruenta. È
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Jonathan FRANZEN è nato nel 1959 a Western Springs in Illinois, ed è cresciuto nel Missouri, in una famiglia di
lontane origini svedese; ora vive a New York. Esordisce nel 1988 con Twenty-Seventh City seguito nel 1992 da Strong
motion. Nel 2002 pubblica il libro The Corrections che lo consacrerà all’attenzione internazionale e che gli vale il
prestigioso National Book Award nella sezione romanzo. Tra le altre opere menzioniamo il romanzo Freedom (2010) e
il recentissimo Purity (1° settembre 2015), oltre a scritti saggistici e memorie apparsi sul New Yorker e su Harper’s
Magazine. Nel 2010 il settimanale Time dedica a Franzen l’onore della copertina definendolo il più grande scrittore
statunitense del nostro tempo innescando un’accesa polemica femminista durante la quale lo scrittore è accusato di
sessismo e di misoginia. Le lettrici femministe di Purity censuravano il quadro che si dava nel libro delle ansie della
donna di età matura come anche dei fastidiosi stereotipi legati ai personaggi femminili: madri folli, mogli di media età
tormentate dal dilemma di avere figli o rinunciare alla maternità, spose e fidanzate che preferivano discutere
instancabilmente sui loro sentimenti piuttosto che avere rapporti sessuali. Franzen in molte occasioni rispose di non
meritare queste critiche e francamente di non capire l’accusa di misoginia rivolta alla sua persona.
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per la particolare gravità del momento che Dunia, la Principessa delle Fate, entra nella nostra
dimensione, vuole riunire i suoi figli sparsi su tutto il pianeta Terra e proteggere quella stirpe che il
suo Ibn Rushd chiamava ironicamente Duniazàt.
Dopo aver adempiuto la sua missione sulla Terra, Dunia, alias la Principessa dei Fulmini,
approfittando di una pausa nella perenne lotta con gli Ifrits che volevano impossessarsi del regno di
Qâf, ritorna insieme a Mister Geronimo nel regno di suo padre, il monte Qâf. Lì la Principessa della
Luce viene a sapere che il padre, il potente
Shahpal, era stato avvelenato ma non era ancora
morto e che una scatola cinese era stata rinvenuta
ai suoi piedi e probabilmente conteneva un veleno
di natura verbale.
Le spie al servizio di re Shahpal utilizzavano
quelle scatole riccamente decorate con disegni
raffiguranti panorami montani e pagode circondate
da giardini con ruscelli, per informare su ciò che
accadeva nel mondo di sotto. L’imperatore era
affascinato dalla vita degli umani e tanti secoli di
separazione gli avevano procurato un profondo
senso di affaticamento. Appariva spento anche
sessualmente e non sapeva come combattere la
noia del paradiso. Pensò al teatro e agli spettacoli
ma dovette rinunciare a questa idea giacché i Jinn
non nutrivano interesse per le narrazioni di fantasia
ossessionati com’erano dalla realtà. La pausa delle
ostilità tra jinn aveva aumentato la noia della vita
quotidiana. Quando Dunia aprì la scatola subito si
sprigionarono due racconti ma prima che i racconti
potessero spingersi oltre, si tappò le orecchie per
non sentire un forte e acuto fischio. Omar l’Ayyar le consigliò di chiudere la scatola perché un
suono poteva nascondere una maledizione e avvelenare tutti i presenti. Dunia, invece, volle che la
scatola riprendesse la narrazione per capire di quale maledizione si trattava altrimenti non sarebbe
stata in grado di trovare l’antidoto e il re suo padre sarebbe certamente morto.
Nei racconti che la principessa ascoltò con interesse c’era la sua storia personale, la sua difficile e
conflittuale vita con suo padre che avrebbe desiderato un erede maschio. L’indole della Principessa
delle Fate era filosofica, legata ai libri, felicemente persa nei labirinti del linguaggio e delle idee, mentre il
padre aveva bisogno di un guerriero e per lui decise di diventarlo studiando l’arte dei fulmini, poi
diventando abile spadaccini e anche esperta delle leggi. Dunia qualunque cosa facesse non era
apprezzata dal padre che continuava a essere per lei l’unica persona che amava sinceramente. Alla
fine, delusi l’uno dall’altra, si erano separati e per un certo periodo la principessa era scesa nel
mondo di sotto per creare la sua dinastia.
Di ritorno a Qâf, Dunia notò che la disapprovazione di un tempo si era tramutata in completa
sfiducia. Shahpal le rimproverava che in Peristan non facesse che pensare unicamente ai suoi figli
umani e criticava con rabbia e disgusto il fatto che il suo unico pensiero fosse di riunirsi alla sua
famiglia terrestre. La Principessa delle Fate capì che il disprezzo di suo padre era legato alla sua
natura femminile e allora cominciò a singhiozzare e a provare un indicibile dolore per quel padre
impossibile da compiacere, il monarca che aveva dimenticato la capacità di amare e allora le
tornarono alla mente i suoi primi amori, i suoi compagni di giochi che in quel tempo non erano
ancora diventati i temuti jinn oscuri, i mortali nemici di suo padre. Dunia ricordava di Zabardast la
sua propensione di mago bambino, i suoi scherzi, sempre pronto al riso, il suo preferito rispetto a
Zumurrud Shah, tutto muscoli, brontolone, sempre di cattivo umore a causa delle sue difficoltà
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espressive, certamente il più bello dei due, uno splendido gigante silenzioso ma ottuso e crudele. Da
quando Dunia si era allontanata da Fairyland per concentrare la sua attenzione sugli uomini creature
ben più tragiche e intense, i due compari cominciarono a cambiare. Zabardast era diventato più cupo e
insensibile e aveva maturato un oscuro desiderio di vendetta. Zumurrud Shah si era dedicato a più
virili occupazioni e in lui si era fatta strada l’ossessione del potere, era diventando così il capo e
Zabardast, sebbene avesse la mente più fine, il gregario.
Da allora erano diventati suoi nemici e il fatto che Dunia aveva preferito un uomo accrebbe l’odio
dei due per l’intero genere umano. Ora la Regina della Montagna aveva del lavoro da fare e da
portare a termine, ritrovare i quattro jinn oscuri e infliggere loro una giusta punizione. Era vero che
la responsabilità di quello che stava succedendo nel mondo di sotto era in parte sua, che la passione
per la razza umana, l’amore per un terrestre e per la sua discendenza l’avevano allontanata dalla sua
gente che l’accusava di tradimento. Per Faryland le cose andavano bene, il mondo di sotto invece era
caotico e litigioso da quando i Grandi Afarit avevano messo gli occhi sulla Terra per colonizzarla.
È per star vicino alla sua progenie che Dunia scende nel mondo di sotto e vuole costruire un mondo
migliore grazie ai poteri della sua gente, di Jimmy Kapoor, per esempio, che era diventato bravo
nelle trasformazioni giacché presto si accorse che poteva trasformare i suoi bersagli in “suoni”.
Poteva trasformare un passero nel canto di un passero, un gatto in un miao. Aveva sempre saputo
che la creatura di sua invenzione, Natraj Hero, non gli sarebbe bastata per elevarsi dalla mediocrità
e ora aveva scoperto che poteva uscire alla ribalta non tramite una finzione ma direttamente in
quanto se stesso. Aveva sempre creduto che dentro di sé ci fosse qualcosa di eccezionale ma
attendeva che Dunia glielo sussurrasse. Ora il vecchio Jimmy non c’era più, adesso era un He-man,
e Dunia gli fa visita tra le teste di pietra del cimitero di Sain Michael dicendogli che ora era pronto
per uccidere i jinn parassiti, creature insulse che passavano il tempo a ricercare corpi da abitare.
S’impadronivano di un uomo o di una donna, ne succhiavano la vita dal corpo finché non restava
che un guscio vuoto, si spostavano con rapidità di continente in continente e terrorizzavano più
popoli in più luoghi. A Jimmy Kapoor Dunia, la Regina dei Fulmini, diede il compito di dar loro la
caccia con l’operazione Medusa così chiamata perché Jimmy aveva trovato un modo per rendere
solidi i loro corpi incorporei. Anche Teresa Saca aveva accettato la propria componente jinn ed era
passata alla dipendenza di Dunia, diventando la madre sanguinaria della morte. Teresa Saca
procurava la morte tramite una scarica di forte tensione, era la vendicatrice di tutte le donne che
erano state offese, oltraggiate, abusate, era il boia che interveniva con un fulmine che le scaturiva
dalle dita nei confronti degli stupratori. A ogni esecuzione Teresa sentiva una forza che la
pervadeva e diventava meno umana. Mister Geronimo, anche lui, era un soldato di quella guerra,
era pronto dopo qualche esitazione a fare la sua parte, portare a terra chi lievitava e ristabilire quindi
la legge della gravità. Il suo lavoro lo portava ai quattro angoli del pianeta e dopo ogni intervento
riceveva cori di gratitudine poiché risvegliava negli esseri umani la capacità di amare, quella stessa
voglia che Geronimo leggeva negli occhi di Alexandra Bliss Fariña che vedeva in lui un miracolo,
una sorta di salvatore. Forse gli era concesso un altro nuovo amore con Alexandra piena di
comprensione per le fatiche della guerra e che sapeva aspettare il suo guerriero prendendo quello
che Geronimo poteva offrire.
Dunia doveva trovare i quattro jinn oscuri ma non sapeva dove si fossero nascosti, doveva
distruggere i vecchi compagni di giochi. Sulla punta diroccata della grande Ziqqurat di Ur, Dunia
scorge due eserciti magici scontrarsi, bandiere nere sventolavano nel campo di battaglia contro altre
bandiere nere. Si faceva un gran gridare di religione, d’infedeli, di eretici, ma non era quella la
ragione della lotta. Il Grande Afarit Ruby Splendente aveva lasciato i suoi feudi indesiderati in
Sudamerica per confrontarsi con Zumurrud Shah nel territorio desertico della Fondazione.
Nonostante i forti reggimenti mercenari di Zumurrud Shah, era Ruby a vincere. Ruby Splendente,
il Possessore delle Anime, trionfava sulla sua urna volante gridava che sarebbe stato lui a piantare il
suo stendardo nel Giardino dell’Eden. Dunia partì furibonda su di un tappeto volante intessuto di
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fulmini e con uno di questi disintegrò l’urna di Ruby, gli scagliò i suoi dardi elettrici e lo fece
diventare una colonna di fuoco. Poi si trasformò in un fumo denso, asfissiante e lo avvolse
togliendo al fuoco l’ossigeno di cui aveva bisogno, soffocandolo fino a provocarne la morte. Dunia
si accinse poi a distruggere il secondo dei Grandi Afarit, Rakim Succhiasangue, il poderoso jihad
dotato di poteri straordinari di metamorfosi pronto a divorare perfino il traghetto dei pendolari verso
Staten Island. Considerata la predilezione di Rakim per i mostri marini, era naturale immaginarlo
vicino a Proteo e alle sue numerose incarnazioni. Si tramutò, infatti, in squalo, in serpente, in alga
marina, in una balena, in un tritone gigante con la sua spina letale. Dunia evitò tutte le sue trappole,
le sue metamorfosi sempre più veloci. Infine il mutaforma stremato esalò i suoi ultimi respiri.
Allora la Regina della Montagna si sollevò sull’acqua e liberò la tremenda forza elettrica delle sue
mani sulla virilità di Rakim il cui corpo galleggiò nella grande vasca. La ricerca del terzo Grande
Arafit porta Dunia a Lucena, un piccolo villaggio dove la jinnia era comparsa sulla soglia della casa
del filosofo andaluso Ibn Rushd della cui mente la ragazza si era innamorata. Nei secoli trascorsi
dall’epoca di Ibn Rushd, la produzione di mobili, sedie, poltroni e letti, si era molto sviluppata e i
fratelli Huerta avevano fatto costruire all’ingresso della cittadina una seggiola di quasi trenta metri a
simbolo del nuovo status sociale. Ed era proprio su quella sedia che il Grande Afarit Zabardast lo
Stregone stava seduto placido, freddo come un rettile e in mano teneva l’indifeso Hugo
Casterbridge. Insultando la Regina dei Fulmini confessò di averle ucciso il padre e ora si
apprestava a divorare i suoi figli. Cominciò a ingoiare la testa del povero Hugo, poi le braccia, le
gambe, a un tratto accadde qualcosa di totalmente inatteso. Lo stregone si tappò le orecchie e
cominciò a strillare come se una freccia di fuoco gli avesse perforato i timpani per poi conficcarsi
incandescente nel cervello e una sfera di fuoco ridusse in cenere la grande sedia di Lucena. Il
mostruoso progetto ordito dai quattro Grandi Afarit stava finendo in frantumi. Restava, però,
l’ultimo, Zumurrud Shah che per allontanare da sé ogni preoccupazione aveva scelto di rifugiarsi
in una città di smeraldo in Afghanistan chiamata Sesamo Verde. Rigirandosi nel suo letto di
smeraldi, il possente Zumurrud aveva ritrovato un oggetto, si trattava di una bottiglietta senza
tappo, sua antica dimora fino a quando il saggio Al-Ghazali non lo aveva liberato, era il ricordo
della prigionia e dell’umiliazione che erano all’origine della sua furia.
Lo scontro tra Dunia e Zumurrud the Great ebbe luogo all’Incoerenza, una tenuta la cui
proprietaria era presente al momento della lotta. Zumurrud invocò il vento ma Dunia resistette
all’attacco, poi il jinn oscuro attaccò di nuovo con una pioggia scrosciante e scatenò il mostro
peggiore che albergava in lui, la Bestia Berciante, capace di scagliare contemporaneamente
centinaia di fatture, sortilegi ed incantesimi. Alla fine estrasse la bottiglia blu pronta a inghiottire
Dunia, ma la jinnia si sollevò e lanciò il contro incantesimo e Zumurrud finì nell’esiguo spazio della
bottiglietta blu. Alexandra Bliss Fariña pronta chiuse il tappo e il corpo enorme ma compresso finì
nell’esiguo spazio della bottiglietta blu. In un istante Zumurrud Shah era stato catturato, rinchiuso
nella prigione di vetro di un tempo. La battaglia era finalmente finita.
Dopo la caduta dei quattro Grandi Afarit, le donne e gli uomini ritrovarono il buon senso, l’ordine e
la civiltà furono restaurati, le economie tornarono a funzionare.
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La letteratura è un baluardo contro la morte. Non solo la nostra, ma quella di tutta l’umanità. Una società senza
letteratura sarebbe una società in cui non si manifestano i problemi, quindi senza immaginazione.
Tahar Ben Jelloun
E allora Blue Jasmeen disse: Questa è la nostra tragedia: le fantasie ci stanno uccidendo, ma se non le avessimo
forse adesso saremmo già morti.
Salman RUSHDIE, Due anni, otto mesi e ventotto notti, 1° edizione Mondadori 2015, op. cit.,
p.124.
Riportare in vita una vecchia fantasia, una storia immaginaria, è un modo di raccontare l’attualità.
Salman RUSHDIE, Due anni, otto mesi e ventotto notti, op. cit., p.216.
Conclusione.
L’ultimo romanzo di Salman RUSHDIE-Due anni, otto mesi e
ventotto notti- è attuale quanto lo sono il terrorismo e le guerre
di religione. Temi che riguardano da vicino lo scrittore
angloindiano perché da più di trent’anni è costretto, suo
malgrado, a guardarsi dai fanatici della fede che lo hanno
condannato a morte per via del romanzo The Satanic Verses,
giudicato blasfemo, un attacco all’Islam per alcune pagine in cui
Maometto è ingannato dal diavolo che gli suggerisce un passo
del Corano. Lo scrittore britannico affronta il problema che gli
ha sconvolto la vita personale e di relazione e lo fa in modo
surreale. Per raccontare lo scontro perenne tra fede cieca e
pensiero razionale mette in campo tutta la sua cultura ed
esperienza: parla di filosofia, allude a diverse opere della
letteratura mondiale, descrive la vita a New York e, partendo dai
fatti che hanno come teatro la Cordova araba del XII° secolo, arriva fino al XXI° secolo, passa da
New York all’Afghanistan e dal mondo di sotto al mondo di sopra abitato dai Jinn o geni e raggiungibile
dalla terra attraverso fessure invisibili che si aprono in circostanze eccezionali.
Al centro della storia c’è la lotta tra l’intransigenza religiosa e la
ragione, principi incarnati da due personaggi storici prestati al romanzo,
il teologo persiano di Tus Al-Ghazali e il filosofo e saggio di Cordova
Ibn Rushd, noto in occidente come Averrohès. La fama di entrambi,
vissuti a breve distanza l’uno dall’altro, tra l’XI° e il XII° secolo, è
legata alla loro riflessione su Aristotele e il pensiero filosofico. Dei due,
Ibn RUSHD, il commentatore di Aristotele, è il difensore della filosofia,
bollata invece da Al-Ghazali come incoerente e incompatibile con la
fede islamica. Nel romanzo lo scontro ideale tra Al-Ghazali e Ibn
Rushd, iniziato nel Medioevo, prosegue dopo ottocento anni quando i
due pensatori riescono magicamente a ispirare dai loro sepolcri una
lotta cruenta tra fanatici e non fanatici per il predominio della Terra.
Il libro di Salman RUSHDIE non è una riscrittura dell’antica raccolta
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di fiabe arabe, cui il titolo fa chiaramente allusione. La storia di Ibn Rushd e di Dunia non è che il
punto di partenza di un intricato tessuto di storie raccontate con il doppio filo della distanza e
dell’ironia. Nel lontano 1195, Dunia, una jinnia benevola, era stata l’amante del filosofo di Cordova
esiliato dalla corte del Califfo perché accusato di eresia. Per il tempo di Due anni, otto mesi e
ventotto notti, ossia mille e una notte, i due amanti avevano parlato di filosofia e generato
innumerevoli figli. Dunia era poi ridiscesa nel “mondo di sotto”, tra i jinn suoi figli nel XXI° secolo
per difendere la Terra dalla rinnovata minaccia del fanatismo.
Chiamati a raccolta i discendenti della sua numerosa progenie, sparsi
ai quattro angoli del globo, Dunia si batte per l’umanità. Scoppia tra
New York e il Medio Oriente una guerra efferata. Si combatte per un
Dio che non c’è, jinni contro jinnia, uomini contro uomini, jinn
oscuri che s’impossessano del corpo degli umani trasformandoli in
assassini fanatici e crudeli. Infine Dunia e i suoi discendenti vincono
perché sono nel giusto. Sconfitti Al-Ghazali e i suoi seguaci, il mondo
terrestre e il mondo di sopra si separano per sempre, gli uomini
diventano solo ragione e smettono di sognare. La ragione ha vinto
sulla religione, la scienza sulla fede, ma, se il sonno della ragione
genera mostri (come ammonisce la famosa citazione di Goya posta in
apertura del volume), il sonno della fede genera il vuoto. All’alba,
Sheherazade discretamente tace: il racconto è attività notturna, sogno
che libera i fantasmi della mente. Senza sogni non c’è racconto: le
storie appartengono a una stagione lontana, al tempo della crisi, al
tempo fuori di sesto. Ma forti della sola ragione non si arriva a
comprendere la propria natura: il nostro io razionale e quello
irrazionale e sognante non si possono separare.
Grande ammiratore e attento lettore dei Racconti delle Mille e una Notte, Salman RUSHDIE ha
spesso attinto alle immagini e alle metafore di questo grande libro antico e senza tempo per
raccontare le sfortune e le disgrazie del mondo moderno. I personaggi che popolano il suo nuovo
romanzo, che siano umani o jinn, sono impegnati in una lotta essenziale per la sopravvivenza della
civiltà minacciata dal fanatismo religioso ma anche da sconvolgimenti di natura climatica, politica,
ideologica e tecnologica. Quest’allegoria della battaglia contemporanea tra la civiltà e la barbarie è
centrale nella narrativa di Rushdie.
Consapevole del dilagare della guerra santa di Daesh, del terrorismo fondamentalista islamico e
dell’intolleranza sul web, Salman RUSHDIE stigmatizza questi fenomeni in modo aspro e deciso.
Definisce i seguaci dell’estremismo islamico una banda di assassini e di asini, esperti nell’arte di proibire
tutto, pittura, scultura, musica, teatro, film, giornalismo, le elezioni, l’individualismo, il disaccordo, il piacere, la
felicità, il volto delle donne, il corpo delle donne, l’istruzione per le donne, lo sport femminile, i diritti delle donne.
Two Years Eight months and twenty-eight nights, è un testo cruciale nella carriera e nella vita
dell’autore il quale continua a rifiutare ogni differenza tra arte colta e popolare e a ritenere che la
fantasia offra più salvezza della fede. Per Salman RUSHDIE l’irruzione del fantastico nel
quotidiano rappresenta l’unico modo per comprendere noi stessi e la realtà. Non ne posso più della
realtà, ha recentemente affermato lo scrittore angloindiano rivendicando con orgoglio la verità della
finzione letteraria. È in quest’apparente contraddizione che risiede il fascino del suo dodicesimo
romanzo in cui personaggi realmente esistiti convivono con altri immaginari e spaziano in un arco
temporale che si misura in millenni. Osservazioni filosofiche sul conflitto tra fede e ragione si
alternano a battaglie raccontate con un occhio al mondo del fantasy e anche dei fumetti e
assomigliano a una delle epiche lotte tra il bene e il male alla Tolkien o a Game of Thrones (serie
televisiva fantasy che lo stesso Rushdie ha dichiarato di guardare) Non dimentichiamoci che con
GRIMUS (esordio letterario del 1975) Salman Rushdie ha iniziato proprio con questo genere e che
anche se l’opera non fu accolta bene dalla critica, portando l’autore a virare sulla “classica” fiction,
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con Midwight’s Children, la passione per il genere fantascientifico non è mai calata. D’altronde
Salman RUSHDIE stesso si definisce a complete addict of science fiction e ha lavorato anche a un
progetto per una serie science fiction televisiva per Showtime (network americano) in cui universi
paralleli al nostro entravano in collisione.
Vincendo la Guerra dei Mondi i nostri eroi hanno posto le basi per un’epoca nuova, per un mondo
governato dalla ragione, dalla tolleranza, dalla generosità, dalla conoscenza e dal ritegno. È questo
l’appello che lo scrittore indiano vuole rivolgere a tutti gli uomini di qualsiasi credo religioso e
culturale, coltivare cioè il valore della tolleranza, dell’ascolto e del dialogo e difendere con tutte le
forze la libertà di opinione contro
l’arroganza del fanatismo religioso,
promuovere, insomma, un’azione simile a
quella degli intellettuali illuministi del
XVIII° secolo perché per l’autore de The
Satanic Verses la libertà di opinione e di
pensiero è un fatto naturale, non
negoziabile, inconfutabile, è un diritto
universale e limitare la libertà di espressione non è
solo un atto di censura: è un’aggressione alla
natura umana.
Oggi Salman RUSHDIE si presenta
ancora polemico verso le religioni anche
se in quest’ultimo romanzo Twe Years
Eight months and twenty-eight nights,
appare in qualche modo possibilista: la
ragione è destinata a dominare ma forse
l’uomo non è ancora pronto a rinunciare
del tutto all’invisibile.
A perenne smentita di ciò che Al-Ghazali aveva insegnato al potente Zumurrud The Great, la paura
non ha spinto i popoli della Terra tra le braccia di Dio. Al contrario la razza umana ha imparato a
fare a meno del divino. Viviamo ormai in quest’apparente felice condizione sperando in un mondo
civile e pacifico, di lavoro, un mondo di giardinieri in cui ciascuno coltivi il proprio giardino e non
la prenda come una sconfitta come pensava il povero Candide di Voltaire ma come una vittoria del
suo lato migliore. Sappiamo altresì che la fazione estremista e fondamentalista del mondo islamico
continua ad attaccare gli ideali di democrazia e libera espressione non soltanto in modo violento e
sanguinario (il vile attacco a Charlie Hebdo, la strage di Ankara e quella al Bataclan di Parigi il 13
novembre del 2015) ma anche cancellando i segni di culture e civiltà millenarie (la distruzione di
siti sacri, di luoghi della memoria quali musei e resti di città (Palmira), come nel caso di chiese
cattoliche incendiate e ridotte a un cumulo di macerie. Un’escalation di follie se consideriamo
alcuni tragici fatti che hanno interessato questo difficile inizio del 2016 quando ben 47 esecuzioni
fra cui quella dell’imam sciita Nimr al Nimr sono state compiute in Arabia Saudita (02.01.2016)
facendo ripiombare la regione interessata in un clima di fatwa tanto che la suprema guida iraniana
Alì Khamenei ha invocato la vendetta divina sul regime sunnita. È di tutta evidenza che lo scontro in
atto non è solo diplomatico ma agita rancori secolari tra Ryad e Teheran ma occorre mediare per far
fronte unitariamente al nemico comune, il sedicente califfato jihadista del Daech che, dopo aver
distrutto le rovine di Palmira (Siria) cancella un altro monumento dall’inestimabile valore storico e
culturale radendo al suolo il più antico monumento cristiano in Iraq dedicato a Sant’Elia a Mosul,
risalente al 600 dopo Cristo. C’è da segnalare inoltre l’esplosione che ha squassato il 13 gennaio
2016 il centro di Istanbul. La deflagrazione avvenuta nella piazza Sultanahmet, vicino all’obelisco
di Teodosio, una delle zone più turistiche della capitale turca ha causato almeno dieci morti in gran
parte turisti tedeschi e diversi feriti. Il 16 gennaio 2016 in un attacco condotto da miliziani jihadisti
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contro gli stranieri allo Splendor Hotel di Ouagadougou, capitale del Burkino Faso, frequentato
soprattutto da turisti occidentali e da funzionari dell’ONU sono rimaste uccise almeno trenta
persone fra cui un bimbo di nove anni figlio del proprietario e gestore del Caffè Cappuccino e più
recentemente (20.01.2016) c’è stato l’attacco al campus dell’Università Bacha Khan di Charsanda
nel nord-ovest del Pakistan, a circa cinquanta chilometri da Peshawar, dove studiano tre mila
studenti. Trenta le vittime accertate e oltre cinquanta feriti tra studenti e docenti.
Lo scrittore britannico con quest’ultimo testo sembra averne abbastanza della realtà e del suo caso
particolare e predilige l’immaginario, nostalgico dei racconti meravigliosi che ascoltava con piacere
durante la sua infanzia, un mondo
magico e fiabesco calato nella
realtà quotidiana. Una sorta di
realismo magico, racconti strani e
straordinari con scene erotiche,
crudeli e inverosimili si alternano a
favole popolate da animali. In
questa sorta di commedia umana la
religione è quasi del tutto assente, i
personaggi fanno il bagno in
promiscuità, fanno l’amore con
donne di altri e in tutto ciò Dio è
assente. Ecco perché in Egitto si è
tentato, di bandire Le Mille e una Notte alla vigilia delle primavere arabe. Questi romanzi
scandalizzano i puritani giacché rappresentano le varie sfaccettature della natura umana. Salman
RUSHDIE attinge a quest’antico patrimonio di costume e di cultura popolare per parlare della realtà
e del presente e ritorna al passato per trovare le radici della natura umana e la soluzione fantastica al
dissidio che dilania il presente. Il pensiero di Oriente e Occidente, le novelle delle Mille e una
Notte e i personaggi degni dei fumetti della Marvel: tutto concorre nel romanzo a condannare,
irridere e sbugiardare l’irragionevolezza dei pazzi fanatici che vanno sconfitti a ogni costo.
Prof. Raffaele FRANGIONE
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