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MAGHI, PSICOLOGI E ALTRI ACCIDENTI
FULVIA CECCARELLI
Psicologa e Psicoterapeuta
www.fulviaceccarelli.it
Indice
Premessa..................................................................................................................2
Cosa si mormora….................................................................................................3
I pregiudizi… ma di chi?.......................................................................................16
Maghi, cartomanti, prostitute, preti.......................................................................18
Mele marce e altri accidenti..................................................................................24
La psicologia cura tutto, anche l’omosessualità. Ovvero i pregiudizi positivi.....26
Conclusioni...........................................................................................................28
Bibliografia...........................................................................................................29
Luglio 2011
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Premessa
Quante volte mi è stato chiesto: ma esattamente uno psicologo cosa fa? Tu, per esempio, il paziente
lo metti sul lettino o sulla poltrona? Ma se ascolti continuamente gente che sta male, non finisci per
star male anche tu? Io non capisco proprio quelli che pagano per essere ascoltati...
Così mi è venuta l'idea di attingere dalla fantasia popolare opinioni, pensieri, aneddoti e partire da lì
per ricostruire la figura dello psicologo.
Allora ho intervistato persone che nella vita si occupano di tutt’altro, scovate tra amici di vecchia
data, conoscenti con cui ho un certo grado di confidenza. In buona sostanza uomini e donne cui è
rimasto il gusto di conversare.
Le domande che ho selezionato per far emergere gli stereotipi più diffusi sono:
- chi è per te uno psicologo
- che caratteristiche deve avere
- quando lo si interpella
- sono venali gli psicologi
- hanno una qualche affinità con maghi, cartomanti
- conosci la differenza tra psicologi e psichiatri
Le interviste si succedono in ordine cronologico. In qualche caso le ho adattate per migliorare la
qualità delle lettura, pur mantenendo inalterato il senso. Non sono rigidamente strutturate perché, mi
sono lasciata condurre dai miei interlocutori. A posteriori mi sono accorta che alcune loro
affermazioni avrebbero potuto essere maggiormente approfondite, ma tant’è.
Agli intervistati ho specificato che il materiale raccolto costituisce per me oggetto di studio e che
verrà pubblicato. Ho usato nomi di fantasia tranne che per Mariagrazia, che ha esplicitamente
chiesto di essere citata con il suo vero nome. Reali sono invece età, professione e sesso.
Ho tentato di allestire un campione minimamente consistente e il più possibile variegato.
Certamente non è statisticamente significativo né dal punto di vista numerico né per ciò che
riguarda età e categorie lavorative rappresentate. Dunque sono consapevole che le conclusioni che
trarrò sono parziali. Ma le ritengo ugualmente un buon punto di partenza per fare un po’ di
chiarezza intorno ad una professione spesso appesantita da dicerie e luoghi comuni, quando non
avvolta da un alone di mistero.
Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno dedicato del tempo, raccontandomi con generosità
frammenti della loro vita. In un clima che, mentre il colloquio procedeva, diventava sempre più
confidenziale Sento di avere tra le mani un materiale di grande ricchezza umana. Che ritengo un
dono prezioso. Da non sprecare.
Questo scritto si snoda attraverso un percorso che vede coinvolte anche altre figure professionali,
come maghi, cartomanti, preti e prostitute. Illustrerà alcuni fatti che non nobilitano la categoria
degli psicologi, ma anche i poteri sconfinati che molte persone attribuiscono loro.
Lungo il racconto troverete delle suggestioni che attingono alla mia storia personale e all’incontro
con i pazienti.
Un'ultima cosa. Durante le interviste uso volutamente il termine psicologo anziché psicoterapeuta
per una questione di semplicità.
Ed ora, buona lettura!
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Cosa si mormora…
Sono a scuola, è metà mattina, l’atrio è silenzioso. Mi siedo alla scrivania di Angela e…
Chi è per te uno psicologo?
Non lo so perché non ne ho mai avuto bisogno, me la sono sempre cavata da sola. Con la calma e la
buona volontà. Una volta mi è capitato di vedere una tizia che si aggirava per la scuola come un
fantasma (la mima) e mi sono chiesta: ma chi diavolo è questa? Poi ho saputo che era la psicologa
della scuola. Mi dava l’idea di una che avesse bisogno lei di essere curata
Che caratteristiche deve avere?
Deve ispirare fiducia al primo impatto, mettere a proprio agio le persone, assecondandole, per fargli
tirar fuori i problemi. Deve lasciar parlare e soprattutto deve “esserci”. Non può essere un fantasma
Quando lo si interpella?
Quando non ti senti sicuro di quello che fai o pensi, quando sei indeciso perché hai problemi che
non riesci a risolvere da solo, quando i genitori non ti bastano perché hanno già i loro problemi e
non vuoi farli soffrire o non vuoi fargli sapere i fatti tuoi
Qual è il suo compito?
Risolvere i problemi delle persone, insistendo, entrando nel loro cervello. Perché uno che chiede
aiuto, non è pazzo del tutto, ma è lucido, è consapevole di quello che vuole
Che differenza c’è tra psicologo e psichiatra?
Lo psichiatra cura i veri matti, lo psicologo invece si occupa di chi sta attraversando un momento di
difficoltà
Angela bidella di scuola superiore di quasi sessant’anni
◊
Sono seduta al tavolo della cucina di casa con Olga, davanti a una tazza di caffè…
Chi è per lei uno psicologo?
Un dottore, cioè una persona laureata, ma anche un amico
Che caratteristiche deve avere?
Un carattere dolcissimo. A me è capitata prima una dottoressa scorbutica e poi un dottore molto
dolce. Ero depressa e il mio medico di famiglia ha tentato di curarmi con gli antidepressivi, che
però mi facevano sentire cretina. Non seguivo più nessun discorso, mi isolavo. Allora mia sorella
mi ha detto: così non puoi andare avanti. Mi ha riaccompagnata dal medico che mi ha consigliato di
parlare con uno psicologo. La psicologa, quella scorbutica, mi sgridava, mi diceva cosa dovevo
fare, che dovevo mandare fuori di casa mia figlia. Mi aizzava contro mia figlia. Lo psicologo,
invece, mi diceva che i figli vanno saputi prendere. Era tranquillo e mi ha tanto aiutato. Se non è
una persona dolce, io non mi sento a mio agio. Poi mi ha dato anche delle pastiglie che dovevo
ridurre nel tempo. Le pastiglie però mi hanno resa schiava
Conosce la differenza tra psicologo e psichiatra?
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No. Forse lo psicologo è un dottore che se hai dei problemi ti guarisce. Lo psichiatra invece è un
dottore che cura i malati di mente
Quando si interpella uno psicologo?
Non va interpellato senza un motivo, ma quando non se ne può più e si sente la necessità di aiuto. Io
ad esempio ci sono andata perché ero molto ansiosa, non riuscivo più a dormire. Nella mia vita ho
avuto due episodi che mi hanno segnata. Il primo è che sono stata inseguita da un malintenzionato,
da cui mi sono salvata per un pelo. Il secondo è che sono precipitata nel vuoto, perché ha ceduto un
pavimento della casa in cui abitavo. Lo psicologo mi ha detto che dovevo raccontare tutte queste
cose
Ritiene che gli psicologi siano avidi di denaro?
Non lo so. Io ho usato il servizio pubblico
Pensa che gli psicologi siano per certi versi simili a maghi e cartomanti?
No. Maghi e cartomanti sono tutti imbroglioni, mangiasoldi a tradimento. Loro cercano di
convincerti. Mia madre ha portato mia sorella piccola da un mago per toglierle una fattura e ha
speso una fortuna
Olga collaboratrice domestica di circa cinquant’anni
◊
Rosaria mi ha suggerito di andarla a trovare verso le quindici: è un orario tranquillo e possiamo
parlare indisturbate
Chi è per lei uno psicologo?
Mio nipote, un ragazzo di 23 anni, avrebbe tanto bisogno di uno psicologo. Circa due anni fa ha
avuto delle crisi. Si contorceva, ce l’aveva col vicino di casa. Diceva che era lui a farlo star male.
Mio fratello ha addirittura cambiato casa per un po’. Ce l’ha anche con sua madre, perché dice che
gli sta troppo addosso. Si rifiuta di parlare, di uscire. Passa tutto il tempo chiuso nella sua stanza. È
in cura da… non so se è uno psicologo, che gli ha dato delle medicine, che però gli levano le forze.
Io continuo a dire a sua madre che le medicine non bastano. Lui ha bisogno di parlare, di tirare fuori
tutto quello che ha dentro. Quest’anno prendo il coraggio a due mani e ne parlerò a mia cognata. Lei
però non vuole essere comandata e io non voglio fare quella che viene da Milano e sa tutto. Mio
nipote per me è come un figlio. Mi fa troppo soffrire vederlo così. Alla sua età dovrebbe avere tante
di quelle energie e invece...Il dottore che lo cura dice che adesso deve prendere le medicine per
calmarsi. Poi potrà parlare con uno psicologo.
Insomma lo psicologo è uno che aiuta i ragazzi grandi che hanno bisogno. E ce ne sono tanti!
Quali caratteristiche deve avere?
Deve essere calmo per poter capire, andare in profondità. Non deve essere brusco ma paziente. È un
mestiere difficile. Immagino la fatica che uno psicologo dovrebbe fare con mio nipote per farlo
parlare
Quando lo si interpella?
Quando uno non vuole più parlare, uscire, stare con le persone. Prima che la situazione sfugga di
mano. Io mi ero accorta che mio nipote aveva dei problemi, un anno prima di quando l’hanno
portato dal dottore
Conosce la differenza tra psicologo e psichiatra?
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No…Per me sono uguali. Lo psicologo fa parlare…
C’è una qualche similitudine tra psicologi, maghi e cartomanti?
Non esiste proprio andare da un mago. Non ci andrei né ora né mai. I maghi se la dovrebbero
leggere loro la mano
Ritiene che gli psicologi siano avidi di denaro?
Quello di mio nipote è molto caro: 150 euro solo per guardargli la lingua e farlo distendere con le
braccia in avanti. Poi non soddisfa con le spiegazioni. Non sa consigliare i genitori su come si
devono comportare
Ma esistono anche le strutture pubbliche?
Macché. Al Sud non funzionano. È tutto a pagamento. Io me lo vorrei portare a Milano, ma lui non
ci viene. Qui sono più all’avanguardia
Non pensa che basterebbe un bravo professionista e non un professionista all’avanguardia?
Forse si
Se la sentirebbe di parlare a suo nipote? In fondo è un ragazzo grande?
Si forse a tu per tu troverei le parole giuste. Devo fare qualcosa, non voglio che passi tutta la vita
così
Rosaria custode di cinquant’anni circa
◊
Francesco mi ha aiutata a vender casa. Mentre prendiamo un aperitivo per festeggiare…
Chi è per lei uno psicologo?
È un supporto fondamentale se uno ci crede
Lei ci crede?
Io no, perché ritengo di non averne bisogno. Ma se ci credi, è come la struttura ossea che ti tiene in
piedi. Parliamoci chiaro, ho visto tanti psichiatri nella mia vita, perché mio padre è un grave
depresso. E la depressione è come un rubinetto da cui però non finisce mai di uscire acqua. Mio
padre è stato un uomo molto in vista e quando si è trovato ingiustamente coinvolto in uno scandalo,
dal quale è stato prosciolto perché il fatto non sussisteva, è andato in depressione. Lui aveva un
atteggiamento altezzoso. Non aveva voglia di parlare con gli psichiatri. Voleva la cura
farmacologia. E se si sottoponeva a dei colloqui, era solo per ottenere i farmaci
Quali caratteristiche deve avere uno psicologo?
Non necessita di un abito professionale, cioè di un’apparenza, di un’esteriorità. Ma di una
sensibilità innata, che fa parte dell’uomo più che del professionista. Sensibilità che non si apprende
sui libri di scuola e che è la porta che ti fa toccare le giuste corde di una persona
Secondo lei, allora, possiamo essere tutti un po’ psicologi?
No. Affatto. Dico però che non è sufficiente imparare nozioni o scrivere di letteratura psicologica
per arrivare all’altro. Devi avere delle doti da associare alla preparazione didattica. Serve un
insieme di preparazione e sensibilità. Sensibilità intesa come umanità. L’altro non è una cavia su cui
sperimentare teorie. Devi volergli bene, ma con il distacco del terapeuta
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Secondo lei gli psicologi sono avidi di denaro?
No, se tu chiedi un servizio lo paghi. Non vedo perché un ortopedico, ad esempio, può chiedere una
parcella salata e uno psicologo no. Vero è che un chirurgo può essere molto più pericoloso per i
danni che può fare:: infatti lo paghi profumatamente. Che l’onorario sia caro o meno dipende dalla
percezione del cliente. Se tu ritieni che andare dallo psicologo ti faccia bene, non c’è denaro che
ripaghi il poter riacquisire serenità ed equilibrio personale. È una valutazione soggettiva
C’è differenza secondo lei tra maghi, cartomanti e psicologi?
La stessa che passa tra un ottimo chirurgo e chi pensa di operarti con le dita, come ho visto fare ad
alcuni guaritori brasiliani.
Quando si va da uno psicologo?
Quando ti nasce dentro il desiderio di essere supportato da qualcuno. Non ti ci devono trascinare. Io
sono ateo e credo che se si ricorresse allo psicologo anziché a Dio, la società sarebbe molto più sana
Conosce la differenza tra psicologo e psichiatra?
No e credo che pochi la conoscano. O si mettono tutti in un unico calderone oppure si ritiene che lo
psicologo sia uno psichiatra di serie B. Secondo me lo psichiatra ti vede come un organismo, cioè
come un insieme di reazioni chimiche che devono funzionare. Infatti la sua prima cura sono i
farmaci. Lo psicologo invece ti vede come una persona, con dei lati di inspiegabilità. Lo psichiatra
vuole dimostrarti come un teorema matematico. Ha la sua casistica, fa le sue classificazioni e tende
a incasellarci dentro tutti i pazienti. Insomma ti vede come un’equazione matematica. Ma una
persona è fatta anche di zone d’ombra, che non possono essere spiegate. Come dire che per uno
psichiatra sei un parallelepipedo, mentre per uno psicologo sei un prisma con molte sfaccettature
Francesco agente immobiliare di trent’anni circa
◊
Con la tintura in testa per i canonici trenta minuti di posa…
Chi è per lei uno psicologo?
Un medico che capisce i meandri della psiche. Ma siccome i meandri sono tanti e per giunta
ramificati, arrivare ad una soluzione è difficile. Nei pazienti non ci sono degli standard. Le
cognizioni di uno psicologo apprese studiando sui libri sono una traccia. Ma poi ogni paziente ha la
sua mente e non è detto che lo psicologo trovi la soluzione
Cosa intende per soluzione?
I pazienti mandano degli input per poter uscire dallo stato di malessere in cui si trovano. La bravura
dello psicologo è capire gli input
Mi può fare un esempio di input?
Anche le menti più contorte, come quelle dei criminali ad esempio, che commettono malvagità, poi
vogliono dimenticare. Quelle menti, secondo me, non sono predisposte alla malvagità, e chiedono
allo psicologo di aiutarle ad uscirne
Quali caratteristiche dovrebbe avere uno psicologo secondo lei?
Beh, prima di tutto una profonda conoscenza della vita, per aiutare quei pazienti che prima erano
persone normali e poi hanno avuto momenti di sbandamento
Le vengono in mente altre caratteristiche?
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L’aiuto dello psicologo dovrebbe avvenire senza l’uso di psicofarmaci, che secondo me sono da
usare solo all’ultimo stadio. Lo psicologo deve aiutare il paziente a capire qual è il suo problema,
per farlo ritornare nel suo stato migliore. Secondo me le terapie di gruppo sono un toccasana, perché
il paziente capisce che non è il solo ad avere problemi, anche se profondi. E nel gruppo ci si aiuta
reciprocamente, in una maniera che fa meno male di uno psicofarmaco. Però ci vuole la volontà
della persona sofferente di entrare nel gruppo e mettersi a nudo, raccontando tutti i suoi problemi.
Nel gruppo ci si ascolta a vicenda e la soluzione può venire non tanto dallo psicologo quanto dagli
altri pazienti. Lo psicologo coordina, interviene
Conosce qualcuno che ha fatto terapia di gruppo?
No, ma una sera passeggiando con il mio cane mi sono fermato in un cortile. C’era un locale a
piano terra con radunate delle persone. Le finestre erano aperte e ho potuto ascoltare. Ho capito che
si trattava di un gruppo di genitori di tossicodipendenti. Ogni persona ha la sua storia…
Lo psicologo in una terapia di gruppo recepisce molto di più, proprio grazie agli interventi del
gruppo
Sono venali secondo lei gli psicologi?
È come un luminare della medicina che si fa pagare. Lo psicologo, però, non dovrebbe essere caro.
Semmai dovrebbe farsi aiutare dallo stato. È un dottore molto particolare. Prima di capire una
situazione problematica, ha bisogno di tempo. Non è come il medico che ti fa fare gli esami clinici
per diagnosticarti i calcoli alla cistifellea
Tra psicologi, maghi e cartomanti ci sono affinità secondo lei?
Assolutamente no, anche se i grandi uomini del passato si sono affidati a dei cartomanti prima di
grandi battaglie. Come Hitler, Napoleone
Lei ci andrebbe dallo psicologo?
I miei problemi cerco di risolverli da me. Ma se avessi grossissimi problemi non esiterei a
rivolgermi a uno psicologo. Il punto è trovare lo psicologo che possa capire, mettere a fuoco
davvero i tuoi problemi. Perché se non ci riesce, sono soldi buttati
Oscar parrucchiere di sessant’anni circa
◊
Di fianco al campo di calcio di una società sportiva del settore giovanile…
Chi è per te uno psicologo?
Inizialmente non avevo ben chiara questa figura. Ma poi, da quando la mia società sportiva
collabora con uno psicologo, ho capito che è una persona con cui confidarsi, parlare liberamente,
senza temere che abbia secondi fini. Se ti confidi con un amico, questo incamera come un
registratore. Ti consiglia, ti conforta. Ma ti conosce già. Ha delle opinioni su di te. Lo psicologo non
ha questa conoscenza della tua vita privata. Con lo psicologo non hai paura della critica. Non ti dice
cose che possono condizionarti. E soprattutto non ti dice le cose che vuoi sentirti dire. Non trova
soluzioni al posto tuo
Che differenza c’è secondo te tra un amico e uno psicologo?
All’amico ti aggrappi se hai bisogno di un sostegno immediato. Per un percorso a più lunga gittata ti
rivolgi allo psicologo. Sia io che mia moglie ci siamo rivolti a uno psicologo per problemi interni
alla coppia
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Secondo te uno psicologo che caratteristiche deve avere?
Deve essere presentabile, cioè di aspetto gradevole. Per me il primo impatto è quello visivo. Poi
deve essere coinvolgente, deve aiutarti ad aprirti. Insomma ti deve ispirare fiducia
Conosci la differenza tra psicologo e psichiatra?
Lo psichiatra cura la patologia con i farmaci. Mentre lo psicologo non si avvale di farmaci ma
predilige il confronto e l’ascolto
Pensi che gli psicologi siano venali?
Posso esprimere un’opinione generale su professionisti simili come medici e psicologi. All’inizio
partono con spirito umanitario perché vogliono aiutare il prossimo e poi nel tempo possono
diventare venali. D’altronde la nostra società propone come modello il guadagno immediato.
Secondo me ci sono tre tipologie di professionisti: quelli votati alla cura del prossimo, quelli che
pensano solo al tariffario e quelli un po’ e un po’. Chi pensa al tariffario non è necessariamente
detto che sia disonesto. A me è capitato di concludere anticipatamente la terapia di coppia e lo
psicologo mi ha detto va bene
Ritieni ci siano delle affinità tra psicologi, maghi e cartomanti?
Maghi e cartomanti ti dicono quello che vuoi sentirti dire. Hanno una grande capacità di
osservazione, conoscono il linguaggio del corpo, ti studiano e poi si comportano di conseguenza.
Credo comunque che tra maghi e cartomanti ci siano persone dotate di capacità sensoriali fuori dal
comune. Un’amica di mia moglie è così. Gli psicologi non danno soluzioni ma ti presentano più
modi per leggere una certa situazione. E tu paziente devi saper cogliere quello giusto per te, perché
uno psicologo può studiare quanto vuole, ma non potrà mai entrare nella testa di un paziente
Giorgio allenatore di calcio di trent’anni circa
◊
Ho conosciuto Bianca in balera e abbiamo preso a frequentarci
Chi è per te uno psicologo?
La persona con cui ti puoi sfogare e chiedere aiuto nei momenti di grande confusione, che dovrebbe
indirizzarti verso la scelta più giusta o suggerirti il comportamento più giusto da tenere
Cioè dovrebbe scegliere per te?
Si, senz’altro, perché tu in certi momenti non sei in grado di poter decidere nulla. Se ti aiuta nella
scelta ti toglie dalla disperazione, dal baratro che potrebbe farti fare gesti inconsulti. In quei
momenti la vita non conta più nulla. In fondo ti rivolgi allo psicologo solo nei momenti di bisogno.
Piuttosto non so se una persona riesca a rivolgersi a uno psicologo spontaneamente o deve essere
spinta da altri. Io stessa sto attraversando una grossa crisi coniugale e ho chiesto a mio marito di
farci aiutare da qualcuno che dall’esterno vede le cose con più distacco, perché noi siamo troppo
coinvolti per uscirne da soli. Mio marito mi ha risposto che lui non ha bisogno di nessuno e che non
racconta i fatti suoi a nessuno
Le tue vicende personali ti hanno fatto rivalutare la figura dello psicologo?
No, assolutamente. Solo che non avrei mai pensato di averne bisogno io. Lo avrei tranquillamente
suggerito alle mie figlie, ad esempio
Che caratteristiche deve avere per te uno psicologo?
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Non saprei rispondere… ma intanto, come donna, preferirei avere una donna per parlare con più
libertà. Poi mi piacerebbe parlare non in uno studio, che fa tanto “fuori di melone”, ma per esempio
in giardino, in un’atmosfera informale. Uno psicologo deve saper ascoltare, ma soprattutto
discutere, interloquire. Come due persone che conversano.
Un po’ come tra amici?
Si, perché come ho già detto ti rivolgi allo psicologo non perché sei malato, ma perché hai dei
problemi da risolvere. Una volta esposto il mio problema, a me piace moltissimo ascoltare cosa
l’altro ha da dirmi.
C’è differenza c’è secondo te tra un amico e uno psicologo?
Credo che tra una persona e uno psicologo si crei un rapporto intimo, di amicizia. Ma in quel
preciso momento. Se c’è amicizia da prima, subentrano altri fattori, sei più coinvolto
Conosci la differenza tra psicologo e psichiatra?
Lo psicologo ti aiuta a risolvere problemi non fisici. Lo psichiatra, invece, subentra per problemi
fisici, come la schizofrenia. Ad esempio, la moglie del mio capo è sotto sedativi da una vita. E la
vedi che non ha stimoli. Fa sempre la stessa vita, incanalata dentro dei binari. Certo non è più
agitata, ma è completamente spenta. Tutto è cominciato in seguito ad una gravidanza andata male
Ti spaventano i sedativi?
Tantissimo. Anch’io ne ho avuto bisogno in questo periodo, altrimenti non riuscivo proprio a
dormire. Ma dopo un mese ho smesso di mia volontà. Non volevo che diventasse un’abitudine
Cosa faresti se uno psichiatra ti prescrivesse dei farmaci?
Non avrei né la forza né il coraggio di dirgli che non ci credo e che mi fanno paura. Me li farei
prescrivere, ma poi da quello psichiatra non andrei più
E sulla pazzia degli psicologi?
C’è tutta una storia sul fatto che gli psicologi sono più matti delle persone che curano. Credo che si
facciano coinvolgere dai drammi delle persone. È umano. D’altronde se non fossero umani, che
psicologi sarebbero? Credo anche che crescano con i loro pazienti. Un bravo psicologo è quello che
fa tesoro di ciò che i pazienti gli raccontano. Viene a contatto con modi diversi di pensare e reagire.
Conoscendo tante storie, può aiutare meglio le persone. Credo che sia molto difficile rimanere
indifferente, se ti fai carico dei problemi che ti vengono raccontati
È da lì che nasce la sua pazzia?
Si, credo proprio di si
Secondo te c’è qualche affinità tra maghi, cartomanti e psicologi?
No assolutamente. Forse, l’unico filo che li può unire è che ti infondono speranza sul fatto che
qualcosa nella tua vita possa cambiare. Ma ognuno di loro ti fa sperare in modo diverso
E sulla venalità degli psicologi?
La mente umana è tanto complicata che lo psicologo, per venirne a capo, ha bisogno di tempo. Non
è come togliere un dente. E se ci vuole tempo, ci vogliono tanti soldi. Piuttosto non tutti possono
permetterselo
Lo sai che esistono servizi pubblici come i Centri psicosociali o i Consultori familiari che
praticano tariffe modiche?
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Si, ma sai bene quello che si dice dei dottori della mutua. E comunque dal medico della mutua sono
disposta ad andare, dallo psicologo della mutua assolutamente no. A meno che non me ne venga
consigliato uno bravo. Piuttosto faccio senza. Non è come farsi levare un dente. Allo psicologo
metti in mano la tua anima, che è qualcosa di molto più delicato di un dente.
Bianca maestra di ballo di cinquant’anni
◊
Giovanni è un omone dai modi spicci, lavora in ospedale
Chi è per lei uno psicologo?
Dal rompicoglioni alla persona utile. Dipende dalla situazione
Potrebbe spiegarsi meglio?
Parlo in base alla mia esperienza personale e professionale. Ho avuto a che fare con psicologi che si
occupano di adozioni e li ho trovati incompetenti. Mentre ho trovato validi quelli che supportano
pazienti oncologici
Non pensa che questo accada in tutte le professioni?
Assolutamente si. Solo che se il salumiere mi vende il prosciutto che non mi piace, posso
cambiarlo, lo psicologo no. Quello delle adozioni per lo meno. Perché mi viene imposto
Ha avuto a che fare con adozioni?
Si, abbiamo adottato due bambini dei paesi dell’Est.
Vede, avendo alle spalle un retaggio di lavoro tecnologico, il mio rapporto iniziale con gli psicologi
è stato di assoluta diffidenza. Dapprincipio consideravo il loro lavoro assolutamente inutile. Questo
fino a che non ho avuto un’esperienza lavorativa diretta, che mi ha permesso di rivedere la mia
posizione
Come entrano gli psicologi nel suo lavoro?
Qui in radioterapia oncologica vediamo ottocento pazienti l’anno. Esiste un progetto per cui il
reparto dovrebbe dotarsi stabilmente di uno psicologo che, a conti fatti, potrebbe dedicare solo un
quarto d’ora a paziente ogni settimana. A mio avviso questo tipo di intervento risulterebbe poco
incisivo sia dal punto di vista dell’aiuto effettivo che dell’ascolto. Secondo me, invece, lo psicologo
dovrebbe aiutare i medici a migliorare la loro capacità di ascolto dei pazienti. Meglio concentrarsi
sui medici che hanno una frequentazione più assidua con i pazienti, in termini di diagnosi, cura,
visite di controllo ecc.. Poi sono i medici quelli che molto spesso devono comunicare al paziente
che non gli rimane molto tempo da vivere. Tenga conto che la domanda quanto mi resta da campare
è sempre sottintesa quando non esplicita. Ed è compito del medico rispondere, perché è lui che sa
numericamente “quanto”. Lo psicologo si destreggia meglio sul “come” farlo. Ho imparato che non
bisogna dire al paziente più di quanto non voglia sentirsi dire. Alcuni pazienti, ad esempio, si alzano
e se ne vanno. Ora, non è necessario dire le rimangono tre mesi di vita, si può anche parlare
genericamente di alcuni mesi. Ma i pazienti a volte hanno bisogno di saperlo anche per motivi
pratici. Ricordo un paziente cui era morta la moglie sei mesi prima e al quale rimanevano pochi
mesi di vita. Aveva delle questioni patrimoniali da sistemare. Voleva garantire un futuro ai figli,
quanto meno una certa stabilità economica
Questo glielo hanno insegnato all’Università?
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No, ma non è solo frutto dell’esperienza, l’ho appreso anche con la formazione. All’università non
ti insegnano certo a comunicare coi pazienti. Ad esempio ho appreso che ti devi presentare loro e
che se hanno bisogno di parlarti, li devi ricevere nel tuo studio e non frettolosamente in corridoio
Come si sente quando deve comunicare a un paziente che non gli rimane molto da vivere?
Sono passato da una fase in cui dare certe notizie era per me un grosso tormento, a una fase, quella
attuale, in cui è sempre difficoltoso ma più limpido. È un sollievo, tra virgolette, poter pensare che
un rapporto col paziente iniziato all’insegna della trasparenza, possa concludersi all’insegna della
trasparenza. In rispetto del fatto che il paziente ti mette in mano il dono più prezioso che ha: la sua
vita.
Non è facile convincere i medici, in particolare quelli più bravi, che la comunicazione faccia parte
del loro lavoro, perché loro pensano di curare solo con la tecnologia.
Quando devi comunicare a un paziente che la terapia non serve più perché non funziona, un conto è
dirgli: arrivederci e grazie, io non ti servo più. Altra cosa è dirgli: io ci sono comunque, non
scompaio, anche se non posso più curarti materialmente. Purtroppo la tua malattia non l’abbiamo
scelta né tu né io.
Secondo lei ci sono delle affinità tra la professione del medico e quella dello psicologo?
Si, abbiamo in comune i pazienti e soprattutto il modo di rapportarci coi pazienti. I medici spesso
soffrono di delirio di onnipotenza, i chirurghi in particolare, che li fa deviare da un rapporto corretto
con le persone. I medici si ritengono bravi perché medici. E questo porta a dei disastri
Che caratteristiche deve avere uno psicologo?
Non me lo sono mai chiesto. So invece, per esperienza, quelle che non dovrebbero avere.
Vediamo…devono essere disponibili all’ascolto e non giudicare in partenza. Serve la disponibilità a
esserci. È difficile fare lo psicologo per telefono. C’è di mezzo una persona e un rapporto.
Poi ho notato che la loro attenzione è più alta nei confronti di chi è ammalato e non di chi ha altro
genere di problemi, magari esistenziali. Per me non dovrebbero esserci differenze. Per chi ha un
problema, quel problema diventa il centro del suo mondo
Esistono delle analogie, secondo lei, tra maghi, cartomanti e psicologi?
Se maghi e cartomanti ascoltano e basta, non c’è molta differenza. Anche il loro lavoro prevede un
allenamento all’ascolto. Altra cosa è che pretendano di dare risposte guardando le carte o i fondi del
caffè. Maghi e cartomanti danno risposte, mentre gli psicologi no, fanno nascere delle domande.
Che questo poi sia un modo di cavarsela, quando non sanno cosa rispondere, come sostengono i
maligni, è tutta un’altra storia
In che cosa consiste, secondo lei, il compito di uno psicologo?
Far nascere domande nella testa di chi ha un problema e farlo riflettere sul problema. Ad esempio lo
psicologo che parla con un paziente terminale, non può raccontargli frottole, però può aiutarlo a
rendere evidente e condividere la sua difficile realtà. Dire a una persona che sta morendo, non è
facile. Scappano i medici e scappano i pazienti. Nella mia vita ho curato anche persone ricche e
famose. Alcuni hanno fatto una morte terribile, altri no. È peggio morire isolandosi, che morire
incazzati perché non si ha voglia di morire, potendolo però dire a qualcuno. Serve a te, ma serve
anche a chi ti sopravvive. Ricordo una mia cara amica medico, morta nel giro di tre mesi per un
tumore inoperabile al pancreas. Suo marito, chirurgo, era disperato perché sapeva operare, ma non
poteva operarla. E lei è morta in una maniera tremenda. Ripiegata su se stessa. Per non aver potuto
gridare al mondo intero la sua disperazione di non poter vedere i figli crescere.
Giovanni primario di radioterapia sulla cinquantina
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Durante la manicure…
Chi è per te uno psicologo?
Penso che sia una persona che sa ascoltare. Che sa dare consigli. Io in un certo momento della mia
vita ne avrei avuto bisogno, ma non ci sono andata. Non sono mai andata da uno psicologo. Ma
molte mie clienti si. E mi dicono che non hanno avuto risposte, tanto che poi le domande le fanno a
me. Secondo me, a volte lo psicologo si perde. Adesso te la faccio io una domanda: come mai lo
psicologo non sa dare risposte e io si? Non è che è lui ad avere dei problemi? Ad esempio nel mio
lavoro entri in confidenza con le clienti. Capisci se hanno voglia di parlare oppure no. Proprio ieri è
venuta una signora riservata e lunatica. Eppure con me ha parlato e ha anche pianto. Il senso è: vado
dall’estetista per rilassarmi. Se poi trovo anche una persona che mi ascolta e mi sorride, meglio
ancora. Il sorriso è il biglietto da visita di una persona. È tutto. Uno non deve essere per forza
psicologo per saper ascoltare e dare consigli. Tu cliente sai che, se hai un problema, vieni da me e
puoi sfogarti. Sempre che tu ne abbia voglia. Io ci sono. Oddio c’è l’inconveniente che questo è un
posto pubblico, dove anche i muri hanno orecchie. Non c’è tanta intimità. Però è anche vero che se
la cliente sente entrare gente nel negozio tace o abbassa la voce. Tutto questo viene più facile
durante i massaggi. La psicologia dell’estetista consiste nel far rilassare la cliente. E se la cliente si
sfoga parlando, è più probabile che si rilassi. A volte mi basta uno sguardo per intuire che ha voglia
di parlare di una certa cosa e allora le faccio proprio la domanda che si aspetta da me. A volte
invece sono io che ho bisogno di sfogarmi e se la cliente è rilassata, ha modo di ascoltarmi meglio.
Quindi è una cosa reciproca
Ma allora che differenza c’è secondo te tra un’estetista e uno psicologo? Sempre che ci sia
Il punto di contatto è il linguaggio, la conversazione. La differenza è che lo psicologo lavora in un
ambiente riservato, mentre io lavoro in un ambiente pubblico, dove non c’è segreto
Quali caratteristiche deve avere secondo te uno psicologo?
Rispetto per chi ha di fronte, umiltà, pazienza, semplicità. Tutte qualità che oggi sono in via di
estinzione. Oggi c’è fretta, stress, vanità, egoismo
Cosa dovrebbe fare uno psicologo secondo te?
Fare le valigie e andarsene. Che ci sia o non ci sia, non cambia nulla. Basta saper ascoltare. Ad
esempio, io estetista metto a disposizione la mia competenza di estetista e in più ti ascolto. Mentre
lo psicologo viene pagato un tot all’ora solo per ascoltarti e poi te ne vai. Io ti parlo, tu mi ascolti, io
ti pago. È un dare per avere. Se io ho bisogno di parlare, preferisco un’amica che mi conosce bene,
con cui ho esperienze in comune o mia madre. Non vado da uno che non conosco e che per giunta
devo pagare
E quando mi sono presentata e ti ho detto: faccio la psicologa?
Io non ti ho giudicata, non ho pregiudizi. Vivo e lascio vivere. Non metto in dubbio la tua
professionalità. Ti ho raccontato alcune cose mie, ti ho chiesto qualcosa del tuo lavoro, come in uno
scambio di idee
Credi che siano venali gli psicologi?
Ci sono tanti psicologi onesti che ci vanno di mezzo per colpa di qualche cialtrone egoista
Credi ci siano delle analogie tra psicologi, maghi e cartomanti?
No, sono ambiti decisamente diversi. I maghi giocano con le sfere, i cartomanti giocano con le
carte…
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Mariagrazia estetista di venticinque anni
◊
Dopo un lauto pranzo prenatalizio…
Chi è per te uno psicologo?
Uno psicologo è un professionista che vuole occuparsi di un problema enormemente più grande di
quello che lui pensa: capire come si comporta la mente umana. Io penso che l’unico metodo di
indagine sia quello empirico, basato sulla ripetibilità di un fenomeno. In campo scientifico abbiamo
raggiunto dei risultati solo da qualche centinaio di anni a questa parte, cioè da quando abbiamo
abbandonato il metodo deduttivo o aristotelico. Usare il metodo deduttivo per indagare la mente,
che è la cosa più complessa che esista, è velleitario. Lo psicologo vuole dare risposte avendo a
disposizione pochissimi strumenti: prove banali di tipo statistico, con un’elevata varianza e con
troppe eccezioni. Partire da una situazione con tante eccezioni, per elaborare delle teorie generali
che possano spiegare il funzionamento della mente delle persone, per me è velleitario. Mi ricorda la
metodologia che veniva applicata prima di Galileo e che si è rivelata fallace. Che ha portato a
parlare di “flemma”in medicina o di “flogisto”in chimica, che non esistevano nella realtà. E che
hanno avuto gravi conseguenze soprattutto in campo medico. Lo psicologo allo stato attuale delle
conoscenze non dovrebbe definirsi “terapeuta”. Perché il terapeuta è la persona che capisce qual è il
tuo problema e ti dà le soluzioni per risolverlo. Secondo me lo stato dell’arte in psicologia è quello
dei tempi in cui si parlava del flemma e del flogisto. Questo non vuole dire che allora non si
risolvessero i problemi, ma era assolutamente casuale. Magari si trovava la soluzione per un caso
specifico, che però non valeva per i casi simili. A Bonifacio VIII, ad esempio, hanno fatto ingerire
dell’oro fuso, che era considerato il metallo puro per eccellenza, con la proprietà di eliminare tutti i
mali. Peccato che sia morto all’istante. Per adesso gli psicologi dovrebbero, con molta umiltà,
limitarsi a osservare i fenomeni che vogliono studiare e solo in futuro elaborare delle teorie e
verificarle puntualmente. Il processo è lungo, ma è l’unica strada per dare risposte certe. Penso a
certe perizie di carattere legale che hanno avuto conseguenze disastrose, cioè ai casi in cui uno
psicopatico è stato rimesso in libertà e ha ripreso ad ammazzare. Lo psicologo che ha effettuato la
perizia era in assoluta buona fede, era convinto della bontà delle sue affermazioni. Anche se poi si
sono rivelate fallaci. D’altronde anche le più grandi teorie scientifiche vengono sottoposte a
falsificazione. Solo questo è garanzia di conoscenza. Io credo che questo modo di procedere
dovrebbe essere applicato anche alle altre…
Scienze?
No, discipline, perché per me le scienze sono solo quelle fisiche. Io proprio non capisco come si
possa essere junghiani piuttosto che freudiani o altro. L’ideologia nella scienza è la sua esatta
contrapposizione. Si devono vagliare le teorie di questi studiosi, e scegliere solo quelle valide da
seguire
Che caratteristiche deve avere uno psicologo?
Saper ascoltare, senza essere visto. Mi spiego meglio. Nella storia i più grandi psicologi, secondo
me, sono stati i confessori. La confessione è il più grande mezzo che la religione ha inventato per
analizzare il comportamento umano. Ed è stato anche il primo esempio di sondaggio statistico.
Nessuno tranne il clero sapeva come la pensava il popolino. Alla base della confessione c’è il saper
ascoltare: “Dimmi figliolo, cosa hai fatto?”. La confessione avveniva attraverso una grata che
impediva di conoscersi e il racconto avveniva in modo anonimo. Anche la grata è stata una grande
invenzione. Gli psicologi sottovalutano la capacità millenaria della chiesa, che ha inventato questo
tipo di confessione sulla base di una valutazione statistica avvenuta nell’arco di secoli. Penso
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all’Innominato, che si converte dopo la confessione con il cardinale Borromeo. D’accordo si tratta
di letteratura, ma la dice lunga sul profondo potere di convincimento che ha la confessione. Che ha
lo scopo di scandagliare l’animo umano, senza dare indicazioni
Andare da uno psicologo sconosciuto potrebbe essere l’equivalente della grata?
No, perché dietro la grata poteva anche non esserci il confessore e quindi era come parlare a se
stessi. Invece andare da uno psicologo sconosciuto implica comunque avere una persona davanti. Si
tratta di un’interazione, mentre la seduta ideale, secondo me, è la modalità classica della
confessione. In questo caso parli a te stesso. Certe cose le racconti solo perché non vedi chi c’è
dall’altra parte. Se la confessione la facessi davanti al curato, saresti più inibito. E poi sono convinto
che la presenza di un’altra persona modifichi il campo di osservazione. Ad esempio il modo in cui
lo psicologo ti guarda, il fatto che ti ricordi qualcuno, il suo profumo, che magari è quello della tua
ex fidanzata e così via
Dunque l’aspetto umano nella relazione terapeutica, secondo te, non dovrebbe esistere?
No, perché il terapeuta per poter entrare nella mente di un altro e capirci qualcosa, dovrebbe variare
continuamente a seconda di chi ha davanti. Cioè trasformarsi nel paziente, avere gli stessi gusti, lo
stesso modo di sentire ecc.. Dovrebbe trasformarsi in una miriade di pazienti diversi e questo non è
ragionevolmente possibile. A differenza del medico, che ha dalla sua innumerevoli casi sperimentali
positivamente risolti, lo psicologo non può basarsi su una casistica così nutrita e quindi deve fare il
camaleonte
Credi ci sia differenza tra maghi, cartomanti e psicologi?
Certamente. Lo psicologo cerca di utilizzare un approccio scientifico, cioè è un ricercatore che tenta
di partire da certe ipotesi per trovare una soluzione. Gli altri, invece, nel 99,9% dei casi sono dei
truffatori. Usano le loro capacità per capire chi hanno davanti e circuirlo. Da questo punto di vista
possono avere delle capacità superiori a quelle di molti psicologi
Sono venali gli psicologi?
Non lo so, non ne ho la più pallida idea. Non so che tariffe applichino. Mi viene in mente che un po’
di tempo fa hanno arrestato, su denuncia, un mago che prescriveva farmaci. In realtà poi lo hanno
dovuto rilasciare, perché si trattava di un medico chirurgo regolarmente iscritto all’ordine e quindi
autorizzato a prescrivere farmaci. Questo signore si è reso conto che, prescrivendo farmaci come
medico, guadagnava cinque o sei volte meno che come mago. E in più ha verificato di persona che i
soggetti che si rivolgevano a lui, nella stragrande maggioranza dei casi, non avevano bisogno di
farmaci ma di conforto, di rassicurazione
Perché mi racconti questo aneddoto?
Perché talvolta un cartomante può fare di più di uno psicologo, solo perché ha il cappello a punta o
gli incensi, che gli conferiscono secondo l’immaginario popolare dei poteri o delle capacità
particolari
Saverio dirigente in pensione di sessant’anni
◊
Durante un’ora si supplenza…
Chi è per te uno psicologo?
Ė un professionista specializzato nella personalità
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Che caratteristiche deve avere?
Deve saper mettere a proprio agio le persone, aiutandole a superare il timore iniziale e il senso di
spaesamento per la situazione nuova in cui si trovano
Ci sei mai andato?
No. Andrei dallo psicologo solo per curiosità. Ho anche pensato di iscrivermi a Psicologia perché
mi affascina. Mi affascina capire il perché di certi comportamenti, ma non farei mai lo psicologo.
Non sono abbastanza altruista
Mi aiuti a capire?
Intendo dire che mi sentirei privato della mia libertà, perché dovrei continuamente cambiare me
stesso per poter entrare in contatto con l’altro. Adattarmi continuamente all’altro per capirlo meglio
e poterlo aiutare. Lo richiede la terapia. E a me non va
Come te lo immagini un colloquio psicologico?
Immagino che avvenga in una stanza che non ricordi un salotto, perché l’idea di aprirmi in un luogo
che assomiglia alla casa di qualcuno mi metterebbe troppo a disagio. Penso ad un luogo un po’ più
accogliente di un ufficio e un po’ meno di una casa. Dovrebbe esserci un divano per far sdraiare il
paziente ed una sedia, posta davanti al divano, dove si siede il terapeuta. Immagino un ambiente
illuminato da una grande finestra, senza alcun tipo di profumo nell’aria. Immagino che uno entri
nella stanza e inizi a parlare del suo problema. Prima però lo psicologo dovrebbe metterlo a suo
agio, perché questa è la condizione per potersi aprire
Chi stabilisce secondo te la durata della terapia?
Non si può definire il numero di sedute all’inizio
Che caratteristiche deve avere uno psicologo?
Deve essere più o meno come un medico, cioè specializzato anche lui. Ma in più deve saper parlare
di sé, senza forzature, per far emergere la sua parte umana. La sua funzione è aiutare il paziente a
trovare buone risposte attraverso il ragionamento
Pensi che la psicoterapia si basi sul ragionamento?
Penso che un paziente sia in grado di ragionare, perché se fosse pazzo sarebbe in manicomio e non
potrebbe guarire. Se fosse molto disturbato, le emozioni prenderebbero il sopravvento. Se invece
ragiona in modo strano, va semplicemente rieducato a ragionare. Ė prioritario. Credo che andare
dallo psicologo non sia un problema di emozioni: lo psicologo non può lavorare direttamente sulle
emozioni. Se ad esempio un paziente prova le emozioni sbagliate, cioè gioisce quando vede morire
qualcuno, è aiutandolo a ragionare che si può trovare una soluzione al suo problema
E le emozioni?
Non ne ho idea… io sono uno studente liceale e quindi sono abituato a ragionare. Magari se fossi
uno che ha iniziato a lavorare presto, non darei così importanza al ragionamento. Penso che lo
psicologo possa parlare di emozioni per aiutare il paziente a ragionarci su. Sono convinto che le
emozioni non facciano parte della natura umana, cioè non sono innate, altrimenti proveremmo tutti
le stesse cose. Sono molto legate all’educazione e all’esperienza. Se ad esempio si viene educati a
non aver paura, non si ha paura. Oppure se ci insegnano a gioire quando si uccide un nemico, lo si
fa perché ce l’hanno insegnato. Insomma per me la ragione ha più importanza
C’è differenza secondo te tra maghi e psicologi?
Lo psicologo non deve guidare il paziente, altrimenti il paziente non si staccherebbe da lui e la
terapia non avrebbe mai fine. Lo psicologo può dirti che non hai nulla, per aiutarti a ridimensionare
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il problema e a recuperare fiducia in te stesso. Diciamo che se ti inganna, lo fa solo a fin di bene. Il
mago invece gioca sul suo potere di ingannarti, per creare in te false speranze o addirittura certezze
Fabio, diciotto anni, studente di liceo scientifico
I pregiudizi… ma di chi?
Nella mia testa le interviste avevano lo scopo di indagare i pregiudizi della gente comune. In realtà
ho scoperto che anche noi psicologi abbiamo dei bei pregiudizi su ciò che la gente pensa della
nostra professione.
Certo l’idea che lo psicologo sia più matto dei suoi pazienti, che insistendo con garbo possa entrare
nel loro cervello, oppure che il suo mandato sia risolvere i loro problemi è molto diffusa. Come lo è
la convinzione che dagli psicologi vadano persone fondamentalmente sane che hanno solo bisogno
di sfogarsi, mentre dagli psichiatri, i matti veri.
Complessivamente però le risposte dei miei interlocutori appaiono tutt’altro che scontate. Per
esempio Giorgio ha ben presente che tra un amico ed uno psicologo corre una bella differenza.
L’amico ti conosce, sa della tua vita privata, si è fatto delle opinioni su di te. Mentre lo psicologo
no. E se anche si è fatto delle idee su di te, cerca di metterle tra parentesi, sospendendo il giudizio.
Poi sembra che dallo psicologo non vada solo una ristretta élite culturale, ma chi ne ha bisogno e ci
crede. Semmai chi non può permettersi di pagare l’onorario di uno psicologo privato, si rivolge al
servizio pubblico, laddove esiste e funziona. A parte Bianca, che giammai metterebbe la sua anima
nelle mani di uno psicologo “della mutua”, a meno che non gliene venga consigliato uno bravo.
C’è chi, come Francesco, sostiene che per una persona convinta dell’utilità di una terapia
psicologica non c’è denaro che ripaghi la possibilità di riacquistare serenità ed equilibrio personale.
Dunque se si è disposti a spendere cifre elevate per un buon medico, non si capisce perché non si
dovrebbe farlo per un bravo psicologo. Sempre di salute si tratta. Qualcuno potrebbe legittimamente
chiedersi da dove scaturisca la mia esigenza di indagare sulla presunta venalità degli psicologi. Ė
presto detto. Mi sono resa conto, nel corso degli anni, che per molte persone è difficile comprendere
cosa ti venda uno psicologo. La sua attività, infatti, non è facilmente definibile in termini di risultati.
Se vai da un dentista, capisci subito se è un inetto o se è una persona competente. I parametri di
valutazione sono più chiari: ha la mano delicata, il dente smette di farti male ecc.. Ma se vai da uno
psicologo, paghi per non portarti a casa nulla di materiale, di immediatamente fruibile. Sarà solo il
tempo a suggerirti se e quanto sei cambiato: poco, tanto, affatto. E qui i miei intervistati si sono
nettamente divisi in due partiti: i sostenitori che il benessere psicologico non ha prezzo e gli scettici,
che adombrano il rischio di un grosso esborso economico senza aver le agognate risposte.
Se c’è una cosa poi che non finisce mai di stupirmi è la familiarità con l’universo psicologico da
parte di persone non addette ai lavori. Mi domando quanto c’entri il bombardamento mediatico
nelle sue varie manifestazioni. Dalla rubrica di psicologia delle riviste femminili, ai talk show
televisivi, dove illustri criminologi spiegano sapientemente cosa passi nella testa del serial killer di
turno. O quanto semplicemente giochi il fatto che nella cerchia di amici e conoscenti sempre più
persone ricorrono a questo tipo di aiuto.
A volte i media non c’entrano, è il caso a metterti sulle tracce di uno psicologo, come è accaduto ad
Oscar. Che una sera, portando a spasso il cane, è passato davanti alle finestre di un locale in cui era
riunito un gruppo di genitori di tossico-dipendenti, guidati da uno psicologo. Oscar si è molto
incuriosito. Diciamo pure che ha origliato, approfittando della pipì del suo cane. Ed è rimasto
favorevolmente impressionato.
Dalle varie testimonianze emerge un’immagine di psicologo quanto mai variegata. Che spazia da
chi si aggira per la scuola come un fantasma a chi si renderebbe utile alla collettività se facesse le
valigie e se ne andasse a casa. Da chi dovrebbe capire i meandri della mente, ma siccome sono tanti
e ramificati è dura che ci capisca qualcosa, a chi deve scegliere al posto nostro nei momenti di
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disperazione. Da chi si immedesima a tal punto nei drammi personali dei pazienti da rischiare la
follia per eccesso di umanità, al confidente, a una persona di aspetto gradevole, all’amico un po’
speciale, a uno che “deve esserci” e non se la può cavare curandoti telefonicamente o via Internet.
Infine c’è Giorgio che vede lo psicologo come colui che per ruolo istituzionale non dice quello che
vuoi sentirti dire ma, aggiungo io, quello che gli arriva dallo stare in relazione con te.
Molto interessanti sono anche le risposte sulle caratteristiche che deve avere. C’è chi considera
prioritaria una profonda conoscenza della vita, che deriva dall’averla vissuta ma soprattutto
dall’aver molto ascoltato. Notevole è l’intuizione di Bianca, che pensa che gli psicologi crescano
con i loro pazienti. Perché venendo a contatto con tante storie e dunque con tanti mondi, possono
farne tesoro per aiutare meglio gli altri.
Invece a proposito dei compiti, Mariagrazia si indigna di fronte ad uno psicologo che non sa dare
risposte. Tanto che le sue clienti chiedono a lei, che di professione fa l’estetista. E da lei hanno
risposte. Gratis. Oltre al massaggio, s’intende.
Rispetto alla differenza tra psicologo e psichiatra, c’è una voce fuori dal coro, quella di Francesco,
che pensa che lo psichiatra ti veda come un teorema matematico da dimostrare. Cioè se possiedi le
caratteristiche x y z, ti inserisce nella casella A. E anche se è molto discutibile che tu le possegga, ti
ci inserisce lo stesso. A forza. Che è come pretendere di far entrare un piede del 41 in una scarpa del
38. Ma in fondo, dice Francesco, allo psichiatra interessa catalogarti come depresso, isterico o …,
non tenendo conto del fatto che magari sarai anche depresso o isterico, ma il percorso di vita che ti
ha portato a quella patologia è solo tuo e non generalizzabile. E soprattutto non si evince dalla
categoria diagnostica cui sei stato assegnato.
E poi Saverio, che considera gli psicologi degli scienziati in erba, che muovono a fatica i loro primi
passi, incerti sia sul metodo da usare che sulle conclusioni da trarre, tanto da commettere errori
grossolani dalle conseguenze spesso irreparabili. Ė come se attraverso le parole di Saverio la
psicologia ripercorresse tutte le tribolazioni legate alla sua nascita, ivi compresa la fatica per
conquistarsi un posto a sé nel panorama scientifico. Saverio, a distanza di poco più di un secolo,
sembra riproporre le stesse obiezioni e gli stessi pregiudizi degli scienziati di fine Ottocento. I quali,
per permettere alla psicologia di assurgere al ruolo di scienza, si sono ispirati all’ideale di
scientificità della fisica, pretendendo che la psicologia si occupasse solo di fenomeni osservabili,
come il comportamento umano ad esempio, escludendo emozioni, inconscio, affettività, perché
ritenuti un impedimento ad osservazioni oggettive. Mi colpisce inoltre che Saverio concepisca la
psicoterapia non come un incontro tra persone con tutto il loro carico di umanità, inclusi profumi e
odori, quanto piuttosto un modo asettico per elaborare delle teorie della mente. Ovviamente, da
questa prospettiva, il profumo di una certa paziente rappresenta per lo psicologo-scienziato un
elemento di disturbo. Quindi meglio la grata di un confessionale, che non ti consente di guardare in
faccia il tuo interlocutore, che il vis a vis della stanza d’analisi.
Anche Fabio sembra condividere questa posizione, tanto da considerare le emozioni non il giusto
completamento di mente e corpo, ma un evento calamitoso che ha luogo quando il ragionamento
scricchiola. Secondo lui lo psicologo deve prima occuparsi dei ragionamenti difettosi dei pazienti,
per poter aggiustare le loro emozioni.
Mi viene in mente Umberto Galimberti quando afferma che se ad un bambino vengono impartiti
insegnamenti di educazione fisica o culturale nessuno ha nulla da eccepire. Le perplessità nascono
di fronte alla necessità di impartire anche un’educazione emotiva. Insegnare ai figli come
riconoscere le proprie emozioni e che nome dar loro, come riconoscerle negli altri, per averle
provate, riconoscendosi negli altri, è il compito più difficile di un genitore. In fondo l’empatia è
esattamente questo: capire cosa ci fa star bene o male e di conseguenza cosa, di ciò che facciamo,
può far star bene o male gli altri. Non serve entrare nella mente del nostro interlocutore o diventare
il nostro interlocutore, per capirlo, come sostengono in buona fede Fabio e Saverio. Il punto è: come
può un adulto occuparsi di alfabetizzazione emotiva se non ne fatta esperienza? Mi viene in mente
una mia paziente che, quando aveva i figli piccoli, si affannava a leggere manuali di puericultura o
tomi di pediatria, nella speranza di non commettere errori. Quando le ho chiesto come mai si fosse
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fidata più della letteratura medica che del suo istinto materno, mi ha risposto che non sapeva cosa
fosse l’istinto materno. Perché nessuno glielo aveva instillato. Non era stata aiutata a crescere da
piccola, non era stata aiutata da giovane madre. Con i suoi figli è stata una mamma presente e
rispettosa. Con piglio risoluto ha affrontato e risolto infiniti e gravosi problemi. Ma senza quel
calore che “fa mamma”. Di cui, solo se ti sei nutrito, puoi nutrire a tua volta.
Maghi, cartomanti, prostitute, preti
Ho appuntamento con la sarta per andare a ritirare degli abiti che mi ha riparato. L’orario è
insolito: si tratta del tardo pomeriggio di una domenica invernale. Suono il campanello: silenzio.
Aspetto un po’ e poi riprovo: ancora nulla. Dalla porta non filtra luce. Sto per andarmene, quando
sento dei passi strascicati in avvicinamento. La signora Maria mi apre la porta con un espressione
stralunata. Accenna ad un rapido saluto e poi mi fa entrare. L’appartamento è avvolto
nell’oscurità. Percorriamo il corridoio in silenzio, lei davanti e io dietro. Fino alla sala, dove dal
televisore acceso, il mago O. ci fissa, impartendoci le ultime istruzioni per un esperimento
paranormale. Sul tavolo da lavoro, tra forbici, gesse 1tti e ritagli di stoffe, campeggiano un
bicchiere riempito a metà di olio, un mozzicone di candela accesa e un foulard scolorito. La
signora Maria, visibilmente imbarazzata, mi confessa che se non fossi arrivata io, sarebbe caduta
in trance
Se state corrugando la fronte e vi state chiedendo che c’entrano maghi, cartomanti, preti e prostitute
con noi psicologi, vi rispondo che secondo me il loro lavoro ha in comune con il nostro più di
quanto siamo disposti ad ammettere. Mi rendo conto che questa prospettiva è inusuale e anche un
po’ provocatoria, ma preferisco partire dalle similitudini che ci accomunano, per rimarcare meglio
le differenze.
Tanto per cominciare tutti quanti accogliamo persone sofferenti, seppure per questioni diverse. Ė
vero che a noi psicologi si rivolgono anche persone gravemente depresse, con magari uno o più
tentati suicidi alle spalle. Affette da gravi forme di dipendenza da alcool, droghe, gioco d’azzardo.
Anoressiche e bulimiche. Con perversioni sessuali o abusate sessualmente.
Ma che si tratti di problemi esistenziali o sentimentali non ha importanza. Sempre di sofferenza si
tratta. E la sofferenza non si misura con il metro della gravità oggettiva.
Sono professioni in cui si crea intimità con chi ci confida i segreti della propria vita. In cui, chi ci
chiede aiuto instaura un rapporto di dipendenza da noi. In cui sono richiesti curiosità, ascolto,
capacità di osservazione, capacità di mettersi nei panni dell’altro.
Ad un osservatore attento poi non può sfuggire che maghi, cartomanti e psicologi sono categorie
spesso affette da una punta di presenzialismo: lo denota qualche apparizione di troppo in tv. Che
manifestano un rapporto talvolta troppo disinvolto con il denaro2. Ahimè anche gli psicologi, che
pure si occupano di relazioni di aiuto. Questi ultimi spesso hanno un’idea di cura secondo cui il
paziente è un oggetto da curare. Dunque presumono di sapere quale sia il suo bene e come logica
conseguenza si affannano a dargli suggerimenti, a decidere per lui, a preoccuparsi per le scelte più o
meno avventate che fa nella vita. Questo modo di agire, supportato da una florida teorizzazione, non
è molto dissimile da quello di maghi e cartomanti che consigliano ai loro clienti cosa fare, cosa dire,
come comportarsi. Ovviamente sto alludendo solo a quei maghi e cartomanti, che operano in un
ambito di legalità.
Un ulteriore elemento che li accomuna è l’uso della suggestione. Seppure con finalità diverse.
1
L'ospite inquietante di Umberto Galimberti edito da Feltrinelli 2007
Da una ricerca condotta dalla Confesercenti tra il 2001 e il 2006, denominata “Il Bel Paese delle truffe”, sembra che il
mercato della magia e dell’occultismo abbia un fatturato annuo di quasi cinque miliardi di euro. Esentasse.
2
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Consideriamo i maghi, ad esempio. Dai loro studi come dalle loro parole promana suggestione.
Sono soliti accogliere i clienti in spazi densi di atmosfere esoteriche. Profumi di incenso e musiche
iniziatiche fanno da contrappunto alle rivelazioni, spesso ovvie, sulla vita privata dei loro
interlocutori. L’indubbia abilità di un mago consiste nell’intuire prontamente le cose che l’altro
vuole sentirsi dire. Che sono poi quelle che lo fanno sentire accolto, compreso e soprattutto visto. I
maghi aiutano a coltivare illusioni e a vivere nell’illusione. Usano malie che fanno leva sulla
superstizione. Il loro approccio farà soffrire di meno, ma il prezzo che si paga è una grande
dipendenza. Che aumenta nel tempo perché diventano gli oracoli da consultare per ogni decisione,
dalla più banale alla più significativa. Demandare al mago le proprie scelte o pensare che il futuro
sia già tracciato e non debba essere progettato deresponsabilizza, nell’attesa che gli eventi
profetizzati si avverino. Il punto è che per molti è più facile pensare di essere vittime di un
incantesimo o di un maleficio, piuttosto che ammettere di avere difficoltà nell’affrontare la vita.
Sono pieno di guai perché qualcuno mi ha fatto la fattura o mi ha messo il malocchio! – ho sentito
dire più volte.
C’è un dato interessante che balza all’occhio: i fatturati dei maghi tengono botta alla crisi. Quelli
degli psicologi no. E noi cosa ci raccontiamo per consolarci? Che siamo in troppi. 3 Perché i maghi
no?4 Ma facciamo anche di meglio. Diciamo che oggi c’è un’offerta molto diversificata di
psicoterapie e che quindi i pazienti hanno molte più possibilità di scelta. Che la gente ha meno soldi
e fa fatica a tirare fine mese. Tutto condivisibile. Ma allora perché, nonostante la crisi, dieci milioni
di persone sono disposte a spendere cifre da capogiro, talvolta i risparmi di una vita intera, per
consultare un mago? Tra l’altro, a dispetto di un pregiudizio molto diffuso, ai maghi si rivolgono
persone di qualsiasi fascia d’età, censo e livello culturale. Magari le persone più istruite lo
ammettono a fatica, dicono che non ci credono fino in fondo. Che mai avrebbero immaginato di
dovervi ricorrere.
Anche lo studio di uno psicologo è vissuto come un luogo speciale, a suo modo suggestivo, in cui si
vive una sospensione della vita reale. In fondo è uno spazio in cui il paziente si incontra con una
persona esperta dell'animo umano, che è lì solo per lui. Poco importa che filtrino le voci e i rumori
dalla strada. E se un tempo vigeva la regola ferrea che non dovesse trapelare nulla della personalità
dell'analista, neanche i gusti in fatto di arredamento, oggi non è più così. Molti miei pazienti dopo
essersi seduti si guardano intorno. Qualcuno mi dice: Che carino qui!
E poi c'è l’ipnosi, che è la forma di suggestione per eccellenza, praticata da molti psicologi. Ma
credo ci sia una bella differenza tra l’uso del pendolino da parte di un mago e l’induzione
dell’ipnosi da parte di un ipnotista. Nel primo caso il paziente accetta di sottoporsi ad una pratica
misteriosa senza saper bene cosa gli stia succedendo. Nel secondo, la sceglie liberamente tra le
molte offerte possibili, visto che si rivolge proprio a quel professionista e non ad altri.
Un altro contesto in cui la suggestione la fa da padrona riguarda le aspettative magiche legate al
ruolo che gli psicologi rivestono. Mi riferisco al fatto che, se per alcuni siamo una categoria
superflua, per altri rappresentiamo i massimi esperti dell’animo umano. Tanto per intenderci quelli
cui basta un colpo d’occhio per capire di cosa patisce l’altro. Si tratta di una visione sicuramente
idealizzata, ma è pur vero che è il ruolo che ricopriamo che ci legittima, un po’ come il cappello a
punta dei maghi, di cui parla Saverio nell’intervista.
I maghi promettono la guarigione, gli psicologi invece parlano di cura, di cui la guarigione è uno
degli esiti possibili. Certamente non l’unico. Una persona dalla terapia può imparare che si può
vivere decentemente anche coi cocci incollati.
Coi maghi ci si incontra occasionalmente. Con gli psicologi si fa un percorso insieme, in cui ci si
annusa, ci si ama, ci si graffia.
3
Sul blog di Psicoterapia dinamica del dr R. Zimbello, in data 14 novembre 2010, si dice che in Italia alla fine del 2006
erano presenti 25000 psicologi psicoterapeuti e 12500 medici psicoterapeuti, per un totale di 37500 psicoterapeuti
4
Un’indagine attuata da “Telefono Antiplagio”su magia e astrologia, risalente al 2007, stima che sul suolo nazionale ve
ne siano 151.000.
19
Che dire invece di astrologi e cartomanti, oggi disponibili anche via cavo? Mi è capitato tra le mani
un settimanale femminile in cui, tra cavalli bianchi alati e cupidi che scoccano frecce dall’arco
dell’amore, leggo parole come:
Del mio dono ho fatto una perla per il mondo: chiamami con fiducia e ti aiuterò a ritrovare la
serenità che hai perduto
Se hai perso un amore importante, chiamami subito e in pochi giorni lo riporterò da te. L’Amore
non può attendere!
Con una semplice chiamata alla Sacerdotessa L. ritroverai Fortuna, Benessere, Amore e Affari.
Fidati di lei.
Oddio, non che gli psicologi siano da meno. Navigando in Internet si trovano blog dove alcuni
colleghi si propongono di alleviare ogni tipo di disagio psicologico, tra cui ridare serenità e
significato alla propria vita o anche migliorare la capacità di autoaffermazione. Tutte cosette da
nulla - penso. Oppure vi sono siti dove hai la possibilità di verificare il tuo grado di salute psichica
rispondendo a questionari del tipo: Sei soddisfatto della tua vita? Ti sembra che il mondo ti sia
ostile? e in base alle risposte che dai, ti viene suggerita la soluzione ottimale. Ora, d’accordo che i
tempi sono grami e tutti dobbiamo campare, ma certe scelte mi paiono per lo meno abborracciate.
Vorrei spendere due parole sui centri di cartomanzia telefonica. Sembra che funzionino alla grande.
Sono attivi ventiquattro ore su ventiquattro e danno diritto a sette - otto minuti di chiamata, al
termine dei quali la linea cade automaticamente. Inutile dire che la bravura dell’operatore consiste
nel dosare la suspense: il suo culmine deve coincidere con lo scadere del tempo a disposizione.
Cosicché sei costretto a ritelefonare se vuoi vedere soddisfatta la tua curiosità. Le chiamate che
arrivano a questi centri sono più o meno di questo genere:5
Ciao Kara, mi dici se mio marito ha un’amante?
Ce l’haaa? Ma sei sicura di prenderci? Lui non mi tradirebbe mai e poi quando avrebbe il tempo
di farlo. No, senti, hai una voce troppo giovane. Passami una cartomante più anziana!
Ciao Eros, sono Teresa. Dovresti rispondermi senza fare commenti perché l’argomento è delicato.
Mio marito domani deve fare una consegna. Andrà tutto bene o vedi uomini in divisa?
Ciao Astor, sono Carmela, vedi una separazione tra me e mio marito nel prossimo futuro? Vedi, il
problema sono io, con le mie paure. E poi sono vergine.
Spero sia il tuo segno zodiacale?
Macché! Sono vergine nonostante sia sposata da sei anni
Ciao Sirio, voglio farti una domanda per metterti alla prova. Che lavoro fa l’uomo dei Gemelli cui
sto pensando ora?
Il prete
Però! C’hai preso, sei proprio bravo
Ciao Eros, sono Ottavio, un cocainomane. Mi vedi se smetto?
Ciao Dalia, sono Sandra, la psicologa. Ho avuto due operai in casa perché ho fatto dei lavori e mi
sono spariti dei soldi. Mi dici chi dei due me li ha rubati?
Anche i fruitori della divinazione cartomantica sono un esercito di umanità varia, costituito non solo
da casalinghe frustrate ma anche da professionisti e politici. I guai sentimentali la fanno da padroni.
5
Liberamente tratto da: “Benvenuti in linea!” di Autiero, Hermes Edizioni 2006 e da “Cartomante per necessità” di
Agrò, Stampa Alternativa 2005
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In genere si tratta di amori senza speranza cui i chiamanti sono tenacemente aggrappati e di cui
vogliono sapere la fine. O meglio il lieto fine. Sta di fatto che il bisogno di sapere cosa riservi il
futuro può tenere le persone inchiodate ad un operatore per settimane, mesi, quando non addirittura
anni.
Mi sono a lungo interrogata su cosa possa spingere migliaia di persone verso la cartomanzia
telefonica. Per certi versi credo siano le stesse motivazioni che portano da un mago: non ammettere
a se stessi di avere un disagio esistenziale, tentare di manipolare la realtà nutrendosi di false
speranze, chiedere protezione nei confronti di presunte forze negative. Penso però che a
caratterizzare specificamente la consultazione telefonica siano l’anonimato e l’ascolto acritico.
Chiede ascolto chi non ha nessuno disposto a farlo pur avendone un disperato bisogno. Chi si
permette di esprimere desideri inconfessabili grazie all’anonimato della conversazione telefonica. E
poi sarà che oggi per essere visibili non basta essere semplicemente ciò che si è, ma bisogna essere
per forza persone di successo, sta di fatto che per molti è impensabile l’idea di presentare
un’immagine di sé che non sia glamour. Come il dover ammettere delusioni e sconfitte, che pure
fanno parte di qualsiasi percorso di vita. Se in questa solitudine emotiva, dall’altro capo del filo c’è
uno sconosciuto che ascolta senza contraddire, colludendo con il bisogno di illusione e di
protagonismo, il gioco è fatto. Poi poco importa che azzecchi o meno la previsione sul loro futuro:
ciò che conta è la possibilità di raccontarsi liberamente.
Legge del contrappasso
Qualche tempo dopo aver scritto di maghi e cartomanti, mi sono affiorati alla mente ricordi confusi
di vecchie vicende familiari, un po' inquietanti, che mi raccontava la nonna quando ero piccola e
che io ascoltavo con un misto di terrore ed eccitazione. Narrano le cronache che una zia di mia
madre, che di nome faceva Ester, sapesse fare i tarocchi. E ci prendeva. Durante la guerra del ’15‘18, pressata da una giovane donna il cui marito era al fronte, ne aveva profetizzato la morte. E a
distanza di pochi giorni, era arrivata la comunicazione ufficiale dell’avvenuto decesso. La madre
di mia zia, colta da un impeto di rabbia e forse anche molto spaventata, ha bruciato le carte
gettandole nel camino. Sfidando il veto materno, la zia si era inventata una versione minimalista
dei tarocchi, usando le normali carte da gioco. Con le quali ha profetizzato a mia madre l’incontro
con l’uomo della sua vita. Azzeccando anche la data. A Pasqua - aveva detto - e così è stato. Mia
nonna aveva imparato da sua sorella, pur non avendone il carisma. Ricordo che da adolescente,
quando gli affari di cuore andavano male, la pregavo di interrogare le carte. Al solo ripensarci,
riprovo quel particolare stato d’animo: un misto di eccitazione di sfidare la sorte e di terrore del
responso. La nonna, dopo avermi fatto smazzare rigorosamente con la mano del cuore, disponeva
le carte sul tavolo, capovolte, pronunciando una litania che faceva pressappoco così: “Per ti, la
tua ca’, capità, cert, sicür e la sicüresa del giög”. Che tradotto dal milanese vuol dire: per te, per
la tua casa, quello che deve capitare, certo, sicuro e la sicurezza del gioco. Mi ricordo che
assumeva l’atteggiamento della biscazziera consumata, lei che in tutta la sua vita aveva giocato
solo a scopa d’assi, la domenica pomeriggio, con le sorelle. Quando girava le carte, una alla volta,
per valutarle, il terrore correva sul filo. Chiudevo gli occhi e incrociavo le dita. La nonna era
molto pragmatica nell’interpretazione: le picche rappresentavano grosse nuvole all’orizzonte; le
quadri, denaro; le cuori, amore e le fiori, situazione in netto miglioramento. Se son fiori,
fioriranno. Lo dice anche il proverbio. Ma nulla potevano le altre, se erano brutte le carte del
“certo, sicuro e della sicurezza del gioco”. Da loro dipendeva il verdetto finale. Ricordo con
tenerezza che la nonna non sapeva a che santo votarsi quando l'esito era negativo. Mi proponeva
di riprovare. E poi, con molta saggezza, mi ricordava che si trattava di un gioco
Tocca ora confrontarci con le prostitute, che secondo me hanno ancora più punti di contatto con il
lavoro di noi psicologi. Mi viene in mente un amico che una volta mi ha detto: Certo che tra voi
psicologi e le puttane non c’è molta differenza. Siete pagati per stare con un altro, senza farvi
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coinvolgere. Potete immaginarvi la mia faccia. Presa in contropiede, sono letteralmente ammutolita.
Ripensandoci oggi, credo che quel mio amico non abbia tutti i torti. Fatti i debiti distinguo.
Esplorando il mondo della prostituzione emerge uno scenario estremamente variegato che spazia da
una marginalità molto prossima alla schiavitù, al lavoro in proprio di chi riceve in casa. Come le
escort e le numerose donne che di giorno sono studentesse o impiegate modello e di notte prostitute,
per arrotondare il bilancio. Nel mio racconto non farò riferimento solo alle situazioni meno
disagiate, perché penso che anche le prostitute torchiate da sfruttatori senza scrupoli conservino un
briciolo di umanità.
Da testimonianze e interviste raccolte6, sembra che molti uomini cerchino da loro una sorta di
risarcimento per il disamore, la delusione, l’insoddisfazione che la vita gli ha riservato. E ciò accade
anche negli studi di noi psicologi. Cambiano solo gli attori e le procedure…
Spesso con le prostitute i clienti riescono ad esprimersi come con nessun altro. Osano come mai
hanno osato in vita loro e chiedono ciò che mai si sono sognati di chiedere ad altri. E anche questo
accade nei nostri studi. Più volte mi è capitato che un paziente mi dicesse: Questa cosa la sa solo
lei.
Ci sono prostitute che hanno clienti affezionati che vedono con regolarità. Con certuni stabiliscono
un’affettuosa consuetudine che può durare anni. E anche questo accade nei nostri studi. Con la
differenza che da noi “non si consuma”. Una prima conclusione che si può trarre è che anche un
rapporto mercenario può essere fatto di momenti di umanità, intimità, simpatia. In fondo si tratta di
incontri tra persone vive e a modo loro desideranti.
Spesso i clienti oltre al sesso chiedono tranquillità, comprensione, dialogo. Chiedono di essere
ascoltati e consigliati. Questo accade più frequentemente di quanto si possa immaginare. Tanto che
alcune prostitute pensano che il bisogno di sesso talvolta mascheri un bisogno più profondo di
relazione e intimità. Difficile da esprimere, poiché molti uomini sono vittime dello stereotipo che i
bisogni sessuali rafforzano la mascolinità, mentre quelli relazionali la minacciano. Questo aleggia
anche tra i pazienti che frequentano i nostri studi. I sentimenti son cose da donne – diceva Guido
che era venuto nel mio studio trascinato dalla moglie, in combutta con il medico di base.
In un’intervista rilasciata da Carla, ex prostituta, leggo: Clienti belli o brutti sono tutti uguali. La
professionista seria non ci mette molto a capirlo. Se penso che un tempo favoleggiavo di avere
pazienti prêt à porter, mi viene da sorridere. Poi finalmente ho capito che in studio arrivano
semplicemente dei pazienti. Che fanno ti sudare sette camicie e non sempre si impegnano ad essere
simpatici. Da quando vengo a fare questa specie di terapia – mi ha detto una volta Tommaso – le
cose con mia moglie sono, se possibile, peggiorate. Litighiamo di più. Non era mai capitato che mi
mollasse al ristorante, per tornarsene a casa in taxi. Sono arrivato alla conclusione che ho bisogno
di un vero specialista. Parole così svalutanti non ti feriscono, solo se impari a riferirle al ruolo che
ricopri e non a te come persona. Per inciso, Tommaso è un uomo molto incattivito dalla vita.
Tornando a Carla: Se ti fai coinvolgere troppo, non vedi più quello che stai facendo, metti in mostra
le tue debolezze e il rigore della professione va a farsi benedire… Sante parole! ─ penso. E di
nuovo la mente corre al mio lavoro. Se di mestiere fai il terapeuta, non è un caso. Scegli di curare
gli altri, imparando nel tempo che dovresti prima di tutto curare te stesso. Non per nulla esiste una
fiorente aneddotica sugli psicologi che sono più matti dei loro pazienti. Posso confermare che gli
ambienti ad alta concentrazione di psicologi sono potenzialmente patologici. Non è una boutade! Lo
dice una che proviene dal mondo della scuola, che non è propriamente il regno della salute mentale.
Il punto è che puoi vibrare sulle stesse corde di un paziente, solo se sai cosa vuol dire star male.
Un’ultima considerazione sulle parole di Carla e precisamente su quel “Se ti fai coinvolgere
troppo…”. Il coinvolgimento sentimentale, in entrambe le professioni, seppure per motivi diversi,
minaccia pesantemente il rapporto di lavoro. Una prostituta, ad esempio, chiede soldi a uno con cui
fa sesso, solo se non ne è innamorata. Perché se entrano in gioco gli affetti, tutto si complica. Non a
caso mantiene rigorosamente separate la vita sentimentale da quella professionale. Anche a noi
6
Tratto da Prostitute di Damiano Tavoliere edito da Stampa Alternativa 2007 e Quanto vuoi? Clienti e prostitute si
raccontano di C. Corso e S. Landi, Giunti Editore 1998
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psicologi può capitare di essere attratti da un/a paziente. Capita ai vivi. Però diceva un collega di
lungo corso: Se ti aggiusti il nodo della cravatta prima di incontrare una certa paziente, ti
dovrebbe suonare un campanello d’allarme. Per fortuna esiste la supervisione che consente di
accogliere ed esplorare questi aspetti. E il più delle volte si spalanca un mondo.
Proseguendo nelle testimonianze, cito Porpora, che con grande acutezza dice qualcosa che vale
certamente per il suo mondo, ma a maggior ragione per noi psicologi: La gamma dei clienti è
pressoché sconfinata. Dalla mia esperienza in strada ho capito che è sempre più difficile
catalogare le persone. Appaiono come tante individualità, ognuna diversa dalle altre, ognuna con
il proprio bagaglio di esperienza, ognuna con la propria storia. Il pensiero corre a quei colleghi, e
sono tanti, che hanno un bisogno insopprimibile di diagnosticare la patologia del paziente che
hanno di fronte. L’idea di ficcarlo a forza in una casella con la denominazione “depresso” piuttosto
che “borderline” dà loro sicurezza. Senza tener conto che, come dice Porpora, è difficile catalogare
le persone. Sono tutte uniche, perché ciascuno è la sua storia.
Dice ancora Porpora: Io rispetto ai clienti sto dall’altra parte, proprio come posto. Sto ferma,
aspetto e loro vengono a cercarmi. Ancora una volta – penso – sante parole! Quando inizi la
professione hai pochi pazienti e fai di tutto per tenerteli stretti. A volte fai decisamente troppo e loro
se la danno a gambe. Poi impari a tue spese che, se rimani fermo e aspetti, prima o poi sono loro a
cercarti. E scopri anche che se scelgono te, non sceglierebbero un altro, perché la coppia terapeutapaziente è frutto di una misteriosa alchimia. Sono state le risposte impietose dei miei primi pazienti,
secche come delle schioppettate, ad aprirmi gli occhi. Quando con sollecitudine quasi materna ho
telefonato ad Anna per sapere se avesse piacere di fissare un altro appuntamento, visto che aveva
disertato il precedente, mi sono sentita rispondere: Io vengo fino a che mi fa piacere. Quando non
mi farà più piacere, smetterò di venire. Non si preoccupi! Oppure quando mi sono giustificata con
Michela, arrivata in anticipo all'appuntamento, per non averla potuta ricevere prima, ho avuto
questa rispostaccia, oltre che l’indice puntato contro: Sono una persona abbastanza istruita per
capire che se arrivo prima ad un appuntamento, tocca me attendere. Quindi il problema è suo!
Non fare parola a nessuno del tuo peccato. Consideralo la croce che devi portare per tutta la vita.
L’espiazione ti consentirà di entrare nel Regno dei Cieli.
Insomma basta! Possibile che ti abbia perdonato Dio e non ti perdoni tu. Sono le parole di due
sacerdoti.
Nella mia esperienza di psicoterapeuta, ho avuto diversi pazienti che hanno abusato di minori. Dai
loro racconti emerge una trafila simile. Quando hanno trovato il coraggio di parlarne, si sono
dapprima rivolti ad un prete che li ha assolti, invocando la bontà divina. Solo successivamente sono
approdati a me. Mi hanno riferito, in preda alla vergogna, che le parole del prete sono servite a
“tenerli insieme” per un po’, finché i sensi di colpa hanno preso il sopravvento, assumendo le
sembianze di attacchi di panico, depressione, propositi di suicidio. Scelgo l’esempio dell’abuso
sessuale perché credo sia quello che meglio si presti a confrontare la figura del prete con quella
dello psicologo.
Entrambi ascoltano e sono tenuti al segreto. Lo psicologo ha meno vincoli nel caso in cui siano
coinvolti dei minori a rischio.
Il prete per mandato istituzionale accoglie tutti e perdona, coerentemente con la logica: colpa,
espiazione, perdono. Lo psicologo, invece, non è obbligato a seguire un certo tipo di pazienti se non
se la sente, e non ha il compito di giudicare e perdonare. Se mai aiuta il paziente a perdonarsi.
Perché magari lo perdonano gli altri, ma l'unico che non riesce proprio a perdonarsi è lui.
Essere ascoltati con rispetto, è tantissimo per chi si porta dentro un peso enorme e poco dicibile. Mi
ricordo le parole di un paziente: La ringrazio per l’umanità e il rispetto con cui mi ha ascoltato. Mi
ha fatto ricordare che ho perso il rispetto di me stesso da un tempo infinito. Le sue parole mi danno
il coraggio di ricominciare.
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Lo psicologo aiuta il paziente ad avvicinarsi all’abisso di vergogna che lo inghiotte. A capire come
ci è finito dentro. A cercare di convivere con un passato impietoso che nessuno potrà mai
cancellare, ma dal quale può iniziare un cammino di crescita.
Un’ultima considerazione. Il prete parla di espiazione in vista della vita eterna. Quindi incoraggia a
pensare che dopo questa vita ce ne sarà un’altra, migliore. Lo psicologo invece non parla di altre
vite. Si limita a ricordare al paziente che intanto deve fare i conti con questa.
Mele marce e altri accidenti
Quanto male possiamo fare ai pazienti? Tanto. Tantissimo. E senza nemmeno architettare delle
truffe diaboliche ai loro danni. A volte bastano i nostri pregiudizi 7. Penso ad esempio a quella
giovane obesa cui era stata diagnosticata un'amenorrea psicogena (blocco del ciclo mestruale per
cause psicologiche), che invece era semplicemente incinta. Ma il suo aspetto poco avvenente aveva
indotto i suoi curanti, ginecologo e psicologa, a scartare senza il minimo dubbio l'ipotesi più
plausibile. Poi, in un rimbalzo di colpe, sono trasecolati quando hanno scoperto che i numerosi
problemi psicologici da cui era afflitta non le impedivano comunque di avere una vita sessuale
soddisfacente. E sia detto per inciso, guarita dall’amenorrea psicogena, la giovane ha comunque
desiderato proseguire la psicoterapia.
Oppure mi viene in mente la storia di un paziente ipocondriaco e anche un po' ossessivo, che si
presentava ai vari medici con un papiro su cui aveva inventariato meticolosamente tutti i disturbi di
cui soffriva. I medici, visto il personaggio, gli davano del lungo. Liquidati sbrigativamente i suoi
sintomi come psicosomatici, senza gli accertamenti necessari ad escludere una patologia organica,
lo hanno spedito da uno psicologo. Neanche lo psicologo si è insospettito, cosa che peraltro non gli
competeva del tutto. Finché ad un controllo di routine, nello scoramento generale e con i soliti
rimbalzi di colpe, gli è stato diagnosticato un carcinoma in fase molto avanzata.
Un'altra situazione dello stesso sapore è quella di una donna giovane convinta di essere tradita dal
marito. Che ovviamente nega nella maniera più assoluta. Anzi, per aiutarla poiché la vede in
difficoltà, le fissa un appuntamento da uno psicoterapeuta di grido. Lei accetta di andarci e inizia a
raccontargli dei presunti tradimenti del marito. Come da copione, il terapeuta le chiede come mai
per vivere ha bisogno di credere che il marito la tradisca. La poveretta non sa cosa rispondere. Poi
un bel giorno viene abbordata da un tizio che si qualifica come il marito dell'amante di suo marito,
che le mostra le foto degli incontri clandestini dei due fedifraghi, scattate da un investigatore da lui
assoldato. La signora le guarda con rassegnazione, pensando che in fondo non aveva tutti i torti a
sospettare del marito.
Il succo di queste tre storie è che i pazienti in questione non sono stati davvero visti e ascoltati,
poiché qualcuno presumeva di sapere della loro vita.
E questo è solo un assaggio. Poi si apre tutto il capitolo delle psicoterapie “folli”, come le
definiscono due autrici americane8 che trattano il tema degli abusi perpetrati dagli psicologi ai danni
di pazienti che hanno accettato di raccontare le loro disavventure. Da questi resoconti emerge che
talvolta basta esibire un titolo accademico o definirsi esperti di qualcosa, perché una persona
disperata alzi bandiera bianca in segno di resa. Anche questo mi fa pensare al potere del “cappello a
punta del mago”, cui accennava Saverio nell’intervista.
È vero che le autrici illustrano la realtà americana che è molto diversa dalla nostra per motivi di
ordine culturale e normativo. Non è comunque tranquillizzante.
Si sa che negli USA la psicoterapia è entrata da tempo nel costume, tanto che difficilmente chi va
dallo psicologo si vergogna ad ammetterlo. C’è poi la questione del rimborso assicurativo che
probabilmente invoglia un maggior numero di persone a intraprenderla. Per contro, però, pare che
7
Tratto da Matti per sbaglio di G. Schelotto, Arnoldo Mondatori Editore, 1989
Le autrici sono M. Singer e J. Lalich. E il libro, edito da Erikson nel 1998, si intitola Psicoterapie folli: conoscerle e
difendersi
8
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l'APA, l'Associazione degli Psicologi Americani, non si scandalizzi più di tanto se viene praticata
oltre che da medici e da psicologi, anche da sedicenti operatori sociali dall'iter formativo incerto
quando non sospetto. Di più. Le norme deontologiche vincolano solo i professionisti iscritti alle
associazioni scientifico-professionali e non tutto il fitto e variegato sottobosco che attorno ad esse
prolifera. Ciò comporta che molte controversie non arrivino neanche in Tribunale ma vengano
affidate agli avvocati e sanate in sede extragiudiziale mediante congruo risarcimento alle vittime
degli abusi. Così tutto viene messo a tacere. Peccato che non tutti abbiano gli strumenti culturali per
intentare una causa o semplicemente il coraggio di confessare la propria disavventura o più
banalmente il denaro per la parcella di un avvocato coi fiocchi. Sta di fatto che ogni anno centinaia
di pazienti cascano nelle grinfie di personaggi senza scrupoli che oltre a spennarli economicamente
li massacrano psicologicamente. I pazienti che hanno accettato di farsi intervistare narrano di cure
come la “Terapia per la possessione” che dovrebbe liberare da spiriti o entità non meglio specificate
insediate nel corpo; come la “Terapia delle vite passate” che rimanda il malessere di oggi ad infelici
vite precedenti. Peccato che si tratti di Reincarnazione, che è una rispettabile pratica religiosa e non
una tecnica psicoterapeutica. Meno rispettabile è che venga imposta ai pazienti. Narrano di Terapie
“regressive”, in cui vengono fatti regredire all'infanzia mediante la suggestione. Così accade che gli
venga messo il pannolino e dato il biberon. Che gli si chieda di gattonare, di attaccarsi alla tetta
della terapeuta e di succhiarle il pollice. Che gli venga fatto il bagnetto e che vengano puliti
amorevolmente dalla terapeuta-mamma dopo che hanno fatto i loro bisogni. Sembra uno scherzo
invece è tragicamente vero. L'insensata idea di fondo è che basta regredire all'infanzia ed essere
rieducati da un terapeuta-genitore più capace di quelli biologici, per diventare delle persone sane.
Così si tradisce il mandato della terapia che è far sperimentare al paziente, persona responsabile di
sé seppure malconcia, una relazione sana e arricchente.
Poi c’è tutto il capitolo degli abusi sessuali, in genere perpetrati da terapeuti uomini ai danni di
pazienti donne non consenzienti. Con la motivazione che fare sesso rientra nella terapia, perché fa
bene, aiuta a sciogliere l'inibizione, a crescere, a superare le barriere ecc. Ora sapendo quanto è
intimo e delicato un rapporto terapeutico, sapendo che si basa su una cieca fiducia nel terapeuta, chi
abusa di una paziente la umilia due volte. Perché la getta nella solitudine più totale, in quanto non
ha proprio più nessuno di cui fidarsi e perché la costringe a vivere un rapporto “incestuoso”,
sfruttando l'enorme divario di potere che esiste tra loro.
E se in un angolino del cervello si affaccia la domanda: Chi è quell’improvvido che accetta di
sottoporsi a simili terapie?, rispondo che un miscuglio perverso di plagio e intimidazione possono
far leva sull’instabilità emotiva di chi soffre, per aggiogarlo.
Invece cosa succede in Italia? Beh, non siamo da meno. Uno per tutti, valga il caso di un
personaggio controverso che negli anni ’80-‘90 ha scosso i salotti della “Milano da bere”. Amava
definirsi psicanalista lacaniano. Qualcuno però ha messo in dubbio la sua appartenenza. D’altronde
non esiste un albo degli psicoanalisti che possa confutarla. Ė uno scrittore giudicato da molti
originale. E un editore. Ha fondato la Cifrematica, scienza o bussola speciale per orientarsi nella
vita, come lui stesso l’ha definita. Aveva a suo attivo un vero e proprio impero economico fatto di
società editoriali ed immobiliari, che tra le altre finalità promuovevano attività socioculturali. Oltre
ad appartamenti prestigiosi in centro a Milano e ad una villa di straordinaria bellezza, dove
organizzava convegni internazionali. Poteva essere ricco di suo. Certamente. Purtroppo però nell’89
è stato condannato, con condanna passata in giudicato, a quattro anni e due mesi per circonvenzione
di incapace. Mentre nel ’92 ha patteggiato una pena di un anno e quattro mesi per associazione a
delinquere, truffa, bancarotta, estorsione. Inoltre ha dovuto rimborsare circa tre miliardi ad una
quarantina di suoi ex seguaci che, non solo si sono dissociati, ma si sono pure costituiti parte civile
contro di lui.9 Mentre scontava la pena, pur non avendola mai accettata perché non si riteneva
colpevole, un gruppo di intellettuali capeggiato da Moravia ha posto una serie di interrogazioni
parlamentari in sua difesa, per contestare il reato di circonvenzione di incapace. Se ne deduce che
fosse una persona in grado di suscitare grandi odi e grandi passioni. Il mio scopo non è rifargli il
9
Tutte queste notizie sono apparse su vari quotidiani e sono tuttora reperibili in Internet.
25
processo a distanza di trent’anni. Primo, perché non rientra nei miei compiti. Secondo, perché non
mi interessa, in quanto credo fermamente nella responsabilità personale. Però qualche riflessione
penso sia legittima. La cosa che in questa storia rocambolesca mi ha più colpita è la disinvoltura.
Con cui vanno a braccetto pratica psicanalitica, denaro e affari. Con cui le sedute psicoanalitiche
possono tranquillamente trasformarsi in “conversazioni culturali”. Con cui si chiedono ai pazienti
“contributi volontari associativi” per proselitismo e autofinanziamento di convegni, riviste e libri.
Con cui società immobiliari, tra una compravendita e l’altra, si occupano di organizzare eventi
socioculturali a scopo benefico. Secondo questa logica in cui tutto è uguale al contrario di tutto, la
poca chiarezza la fa da padrona, le parole perdono di significato e il ruolo di chi ti dovrebbe aiutare
diventa ambiguo. Tutto ciò oltre a non essere etico, è molto confondente per i pazienti. Per tutti
indistintamente. A maggior ragione per quelli gravi, che spesso vivono situazioni familiari in cui la
realtà viene regolarmente mistificata.
La psicologia cura tutto, anche l’omosessualità. Ovvero i pregiudizi positivi
Molti pensano, con un po’ di faciloneria, che la psicoterapia debba curare tutti. Personalmente
ritengo che non esista un unico tipo di cura. Esiste semmai un modo buono per ciascuno di noi, che
può spaziare dall’agopuntura al massaggio clinico10. Dai fiori di Bach11 allo shopping e al fitness.
Ognuno ha le proprie necessità, che per di più variano nell’arco della vita. E pur facendo di
professione la psicoterapeuta, sono assolutamente favorevole all’impiego di tecniche miste:
massaggio clinico e la psicoterapia, ad esempio. Ritengo che agiscano a livelli diversi,
compenetrandosi.
Un pregiudizio molto diffuso è la tendenza a psicologizzare tutto, stabilendo nessi causa-effetto per
lo meno azzardati. Mi spiego meglio. Se due amici si incontrano dopo anni, non è necessariamente
detto che ciò accada solo perché si sono molto pensati nei giorni precedenti il loro incontro. Esiste
certamente la telepatia, ma anche la casualità. Oppure se anche è assodato che quando siamo
stressati ci ammaliamo di più, essendo noi delle unità mente-corpo, nulla vieta che esistano
patologie congenite che poco hanno a che fare con la psiche.
Che dire poi della la mistica con cui molti di noi si preparano a un colloquio di lavoro? Conosco
persone che compulsano avidamente quei manuali del tipo Il colloquio di lavoro in dieci mosse, che
ti ammaestrano su quali siano le strategie vincenti per ben impressionare il tuo interlocutore.
Guardarlo dritto negli occhi è un must, ad esempio. Invece tenere le braccia conserte è
pericolosissimo, perché segnala un atteggiamento difensivo. Non parliamo poi del tamburellare le
dita sulla scrivania. La parola magica è mostrare sicurezza. Come se la sicurezza fosse un abito di
scena da indossare all’occorrenza e non un qualcosa che ti viene da dentro. Il preconcetto a monte
di questo e di altri decaloghi è che si possa mettere a nudo la personalità di qualcuno semplicemente
interpretando alcune informazioni posturali. Che certamente vorranno dir qualcosa, ma come
minimo vanno esplorate. E poi credo che ciascuno di noi possegga ampie zone di mistero per sé e
per gli altri: dell’altro possiamo conoscere solo la parte che è in relazione con noi in una ben precisa
situazione. Tutto il resto sono nostre estrapolazioni.
C’è poi tutta l’aneddotica sulla ricostruzione del profilo psicologico di un criminale o di un serial
killer in base al suo modus operandi, come ci narrano i telefilm polizieschi. Le fiction sono degli
spaccati sociologici preziosi sul sentire comune. Anche nella realtà, infatti, gli psicologi della
Polizia o i periti del Tribunale tentano operazioni di questo tipo. Il punto è ragionare secondo la
logica della complessità, che ci ricorda che dietro ciascuno di noi c’è una storia fatta di geni, stili
educativi, situazioni ambientali che si intrecciano in modo assolutamente imprevedibile, generando
proprio noi e non qualcun altro. Quindi non è affatto scontato che tutti coloro che da piccoli hanno
subito violenza, da grandi diventeranno pericolosi criminali.
10
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Riattivazione delle emozioni intrappolate e stratificate nel corpo dalla nascita.
Diapason che regolano la frequenza energetica di ciascun individuo
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Un’altra situazione molto delicata che non manca di scuotere l’opinione pubblica è quella del
paziente che vuole suicidarsi. Che magari ci ha già provato e poi va a raccontarlo al suo terapeuta.
Nell’immaginario collettivo ci sono molte aspettative su di lui per scongiurare il pericolo. Purtroppo
il terapeuta non è dotato di poteri salvifici, tali da indurre il paziente ad abbandonare i suoi propositi
suicidari. Può solo stare al suo fianco, fino a che lui glielo permette. Testimoniandogli una
presenza, la propria grande tristezza dinnanzi ai suoi progetti. Ma niente di più. Se un paziente
vuole farla finita, ha mille motivi validi, seppure incomprensibili ai nostri occhi. Oltre al fatto che
continua a rimanere l’unico responsabile della propria vita.
Poi un capitolo a parte merita l’annosa questione che l’omosessualità possa essere guarita con la
psicoterapia. Passi se ad esserne convinti sono i pazienti o i loro familiari. Più grave è che lo siano
gli stessi terapeuti. Negli Stati Uniti dagli anni ’90 in poi sono comparse all’orizzonte le cosiddette
“terapie riparative o di riorientamento sessuale”. Esse sono tuttora molto in auge tanto da indurre gli
Ordini professionali degli Psicologi a ribadire che è assolutamente vietato influenzare in alcun
modo i pazienti. La sola scelta dell’aggettivo “riparative” la dice lunga. Se non erro il verbo
“riparare” significa ridurre o eliminare un danno, un errore. Dunque se un terapeuta desidera
riparare un paziente significa che non gli va bene così com’è. E per di più ha dei progetti su di lui.
Joseph Nicolosi, fiero sostenitore della riparazione 12, si scaglia contro quegli psicoterapeuti che,
ritenendo l’omosessualità una realtà ineluttabile, si rifiutano di curare gli omosessuali. Desiderando
saperne di più, navigo in Internet e scopro un Blog, intitolato Si può cambiare: dalla omosessualità
si può uscire, in cui trovo un lungo elenco di siti, articoli, testimonianze di ex-omosessuali, estratti
di testi che spiegano cosa sia l’omosessualità e come uscirne. Mi rendo conto che Nicolosi è in
buona compagnia.
La cosa che più mi sconcerta di questo Blog è la sgradevole commistione tra intento moralizzatore e
minaccia divina, quasi che l’omosessualità fosse sinonimo di depravazione. Come si spiegherebbero
altrimenti affermazioni del tipo: Accettare l’omosessualità serve ad anestetizzare le coscienze di chi
ne è affetto e contemporaneamente a distruggere la speranza di chi vuole uscirne. Oppure: Ti
sorprenderai di ciò che Dio può fare per te se solo glielo permetti. Di più: Non conosco
degradazioni da quando seguo il mio Dio, dove immagini di onde oceaniche minacciose lasciano
spazio a paesaggi boschivi rassicuranti.
Dall’obiezione di voler cambiare i pazienti, i terapeuti “riparativi“ si difendono, sostenendo di non
voler curare i gay, ma solo gli omosessuali “egodistonici”, cioè coloro che non stanno bene nei
propri panni e per questo chiedono aiuto. E qui sorge un ulteriore problema. Come fa un terapeuta
che non ha la mente sgombra da pregiudizi a valutare se un paziente sia affetto dalla forma egosintonica o ego-distonica? Una cosa è certa: i preconcetti del terapeuta trasformano la psicoterapia
in una sorta di pedagogia guidata dal suo personale orientamento ideologico. Dove non c’è spazio
per il paziente così come è, con la sua dignità e le sue scelte, ma solo se veste i panni del povero
infelice da redimere. Quando i terapeuti riparatori vengono messi alle strette da argomentazioni
schiaccianti, contrattaccano giocando la carta del trauma da curare. Peccato che non vi sia alcuna
evidenza scientifica sull’esistenza di un possibile trauma alla base del comportamento sessuale.
In una calda sera d’estate, sono andata a vedere un film intitolato più o meno:”Un amore
d’uomo”. Avendo in mente l’immagine di un uomo adorabile, non ho dato peso al fatto di essere
l’unica donna in sala né tanto meno che alcuni uomini mi guardavano con aria divertita. Dopo
aver visto il film, che trattava dell’omosessualità, ho compreso le strane coincidenze. E vi confesso
che quando ero in coda per uscire, mi sono sentita un po’ a disagio. Ghettizzazione alla rovescia?
Una trentina d’anni fa, al pranzo di nozze di una amica ero seduta accanto a tre coppie gay che
conoscevo appena. Ci avevano messi allo stesso tavolo, perché mi consideravano persona molto
aperta. Vi assicuro che allora lo stigma sociale nei confronti degli omosessuali era ancora più
pesante di oggi. Al momento della distribuzione delle bomboniere, la mia amica con l’aria più
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Autore di L’omosessualità maschile: un nuovo approccio
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candida del mondo ha detto: “Questa è per Antonio e Amedeo, questa per Maurizio e Filippo,
questa per Giorgio e Alfredo e questa è per Fulvia”. Io sono rimasta spiazzata, mentre loro la
ringraziavano affettuosamente
Conclusioni
Una paziente un giorno mi ha detto:
Pensavo di non venire più. Lei cosa ne pensa?
Penso che non posso decidere al posto suo. Si sente in fuga?
No assolutamente
Allora si fidi del suo desiderio
Sento che dentro mi si è sciolto qualcosa: ora sto molto meglio. Con il suo aiuto ho parlato tanto,
ho pianto tanto, mi sono avvicinata ai mostri interni che mi terrorizzavano. Proprio questa notte ho
sognato che io e mia madre correvamo felici, mano nella mano. E poi lei a un tratto mi ha lasciata
andare. Ecco ho proprio voglia di camminare da sola: almeno di provarci
Sa che questa separazione la sentivo nell’aria? Trovo più che legittimo il suo desiderio. In fondo la
terapia è proprio questo: aiutare il paziente a camminare con le sue gambe. E poi sa che se
dovesse aver bisogno io ci sono.
Federica sta concludendo la seconda tranche del suo percorso psicoterapeutico con me. Ho davanti
ai miei occhi una persona diversa da quella che ho conosciuto alcuni anni fa. Che non è costretta a
scappar via dopo avermi annunciato di voler concludere la terapia. Anzi, ascolta commossa le mie
parole.
Ho scelto di raccontarvi questa vignetta clinica perché secondo me riassume abbastanza bene chi è e
cosa fa uno psicoterapeuta. Ovviamente non tutte le storie terapeutiche sono così idilliache. Molti
pazienti spariscono di punto in bianco, senza lasciare traccia di sé. Anche se in realtà la traccia te la
lasciano dentro, perché vivi un senso di incompiutezza che ti porta inevitabilmente ad interrogarti
su cosa non ha funzionato, cosa hai sbagliato ecc. Poi a mente fredda rammenti che sono persone
libere, sulle quali non hai alcun potere. E che possono esserci mille motivi per cui si sono eclissati.
Tra cui tu.
Credo che un terapeuta sia prima di tutto una persona. Con le sue fragilità, le sue stranezze, le sue
manie. Con una spiccata sensibilità nei confronti della sofferenza, perché è ipotizzabile che il
desiderio di cura gli derivi dalla sua personale frequentazione col malessere esistenziale. Seppure
con gradazioni e intensità diverse. Ė una persona che ha imparato a stare al mondo, accettandosi per
quello che è. Con luci ed ombre. Questo implica che abbia imparato a fare i conti con il senso del
limite. Che è consapevole che si può vivere pur non piacendo a tutti. E soprattutto direi che
dovrebbe aver imparato a stare in relazione con gli altri in modo sano, senza infingimenti,
ascoltando le emozioni che gli passano dentro. In genere ha alle spalle un percorso terapeutico che
ha contribuito ad insegnargli tutto questo. Dunque è la testimonianza vivente che si può ricercare il
proprio benessere e che lo si trova anche. Poi c’è la vita, che per tutti noi, pazienti e non, è una
ricerca costante di equilibrio. Come dice Vasco Rossi: Io sono sempre in bilico, più o meno, su per
giù, più su, più giù, col cuore che batte più forte, la vita che va e non va, con l’aria, col sole, con la
rabbia nel cuore, con l’odio e l’amore, in quattro parole, io sono ancora qua…
Persone molto significative per la mia crescita personale mi hanno insegnato che pazienti e terapeuti
sono fatti della stessa pasta, con la differenza che il terapeuta è più avanti nel cammino perché si è
preso e continua a prendersi cura di sé. E che può essere d’aiuto a qualcuno, solo se chi lo
interpella, gli riconosce il ruolo che ricopre.
Il suo compito è ascoltare in maniera discreta, per non rubare la scena al paziente e credere alla
verità del paziente, interrogandola. Non gli compete accertare verità oggettive come fa un pubblico
ministero. Ad un giovane uomo accusato di un grave reato contro la persona, che mi chiedeva se
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credessi o meno alla sua innocenza, ho risposto che se fossi stata un giudice non gli avrei creduto,
ma come terapeuta credevo alla sua verità ed ero pronta ad esplorarla con lui se lo desiderava. Se
poi penso alla mia esperienza di paziente, la cosa che ho molto apprezzato è stata la libertà. Di
esprimere liberamente tutto quello che mi passava dentro, senza timore di offendere o di innescare
ricatti morali. Chi mi sedeva davanti non aveva aspettative su di me, gli andavo bene così come ero.
Non mi dava consigli, non mi giudicava, mi trattava con il rispetto che si deve ad una persona
seppure in difficoltà. Dandomi credito e fiducia nonostante gli errori. Tutte cose che ho poco
sperimentato come figlia. Non per nulla Alexander definisce la psicoterapia “un’esperienza
emozionale correttiva”, in cui il paziente vive un accudimento diverso da quello che gli è toccato in
sorte quando era piccolo. E soprattutto riprende contatto con emozioni cristallizzate, perché troppo
dolorose, che lentamente riprendono a fluire.
A differenza dei maghi, gli psicologi si offrono come guide turistiche per un viaggio alla scoperta di
sé. Non si tratta di incontri occasionali ma di percorsi di mesi o anni in cui ci si annusa, ci si graffia,
ci si ama. In cui il rapporto nato all’insegna della dipendenza, si trasforma in un rapporto
emancipativo, grazie al quale il paziente si riprende in mano la responsabilità della propria vita e
delle proprie scelte. E soprattutto impara a stare con se stesso, accettandosi per quello che è.
Ovviamente questo modo di procedere richiede tempo e implica il pieno coinvolgimento del
paziente, che viene aiutato a guardare in faccia la realtà, scostando il velo dell’illusione. Un po’
come si scosta una tenda per fare entrare più luce in una stanza. La sua libertà di scelta inizia
nell’istante stesso in cui decide se intraprendere o meno un percorso terapeutico. Senza farsi troppo
condizionare da chi gli sta intorno.
Riconoscere all’altro, seppur malconcio, la libertà di scelta e la responsabilità di sé è un modo etico
di agire, che nulla ha a che vedere con la seduzione e la suggestione. Ma che molto ha a che vedere
con la cura, che è lo specifico degli psicologi.
Aiutare i pazienti ad accostarsi a certi malesseri che tolgono il fiato, renderli pensabili, trovare le
parole per esprimerli anziché agire sotto il loro impulso distruttivo, è nostro compito.
Bibliografia
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Galli P. F. (2009), L’identità terapeutica nel regno dell’incertezza, da Psicoterapia e Scienze
Umane, N. 43.
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