Nelle immagini del terremoto abruzzese, il ricordo di quello del 1980

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Nelle immagini del terremoto abruzzese, il ricordo di quello del 1980
Tursitani - Notizie Tursi
Nelle immagini del terremoto abruzzese, il ricordo di quello del 1980
mercoledì 22 aprile 2009
Nelle immagini del terremoto abruzzese, il ricordo di quello del 1980 che colpì Basilicata e Campania
Dal  23 Novembre 1980, quando un terremoto colpì la
Basilicata e la Campania, Â conservo nel
mio animo immagini e scene con religioso silenzio. All'epoca diciottenne, al
quinto anno di Geometra presso l'Istituto Tecnico di Tursi, fui mandato come volontario,
 dalla allora organizzazione prefettizia,
a prestare soccorsi in Irpinia nel comune di Laviano, epicentro del sisma. Per la prima volta, dopo 25 anni, ne parlo,
stimolato dalle immagini e dai discorsi di oggi, dopo il terremoto in Abruzzo.
Certamente
da allora, almeno da un punto di vista organizzativo, la macchina della
Protezione Civile è notevolmente migliorata e molte vite sono state salvate, se
si considera che nel 1980 a Laviano i primi soccorsi veri arrivarono dopo due giorni dal terremoto (basta ricordare
quello che io chiamo l'URLO del Presidente Pertini). Premetto che solo a Laviano
ci furono 300 morti. Era la notte tra martedì 25 e mercoledì 26 novembre quando
giungemmo alle porte di Laviano. Tutto intorno era buio, i fari della nostra
auto illuminarono prima anziani impauriti ai bordi delle strade, tra cui una
vecchietta vestita di nero con lo scialle in testa, nero, che si agitava
piangendo scuotendo un'altra persona forse il marito, poi un camion che
scaricava bare, troppe bare; chiedemmo dove fosse il punto di coordinamento
della Protezione Civile o della Croce Rossa, ci dissero che erano appena giunti
nel pomeriggio ed avevano localizzato il centro nel campo sportivo posto a
valle del paese. Pochissime le tende montate, dormimmo in macchina, vicino al
campo sportivo, per lasciare spazio ai sopravvissuti.
La mattina di mercoledì,
all'alba, si organizzarono le prime squadre per  i soccorsi. Ci avviammo a piedi, risalendo al
paese, le squadre erano miste, composte da civili e militari, o civili e
pompieri, ed avevamo l'ordine che appena sentivamo rumori e/o individuavamo dei
corpi, dovevamo fermarci per chiamare qualcuno della Croce Rossa o un
medico. Arrivati nel centro di Laviano,
l'immagine che conservo è quella della distruzione totale, tutto macerie sulle
quali ci si arrampicava, le strade erano
inesistenti. Iniziammo a scavare su
indicazione di un signore di Laviano, un emigrante che veniva dalla Germania,
la cui famiglia composta da moglie, tre figli e una vecchietta, che non ho mai
saputo se fosse la madre o la suocera, erano lì,  sotto le macerie. Dopo circa tre ore di scavo,
sotto una pioggia battente e freddissima, individuammo i corpi. La moglie su una sedia che proteggeva con le
sue braccia i bambini seduti uno sull'altro, la vecchietta su un'altra sedia a
pochi metri di distanza. Ricordo che chiamammo oltre alla Croce Rossa anche
altri Vigili del Fuoco per tirarli su, perché erano in bilico e potevano cadere
nel vuoto che si era creato a fianco ai corpi. La scena che si presentava ai
nostri occhi era agghiacciante. Per tirare la moglie del signore emigrante fu
necessario ancorare il corpo a una fune, lì notai un particolare, dal labbro
usciva un po' di sangue, evidentemente era in vita sotto le macerie perché il
sangue non era coagulato. Sentimmo dei rumori provenienti ancora più sotto
rispetto al piano dove trovammo i corpi, scavammo, aprimmo un varco e i Vigili
del Fuoco e i militari tirarono fuori un asino, vivo, illeso, nella stalla
sottostante, avente copertura a volta a botte in muratura. L'asino servì poi per il
trasporto dei corpi al campo sportivo.Â
Proseguimmo a scavare in un'altra abitazione vicino alla precedente, su
richiesta di un altro emigrante, sempre proveniente dalla Germania, lì
individuammo quasi subito la posizione dei corpi, moglie e figli, tutti morti. Â
Oggi tornano alla mente nitidamente quelle
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scene. Episodi tenuti conservati per rispetto di quella gente che tanto ha
sofferto. Oggi ne parlo perché dopo 25 anni, dopo l'introduzione di nuove norme
antisismiche, assistiamo ad un'altra tragedia, altri bimbi che muoiono, altre
bare bianche, sciagura che poteva assolutamente essere evitata. Non è
accettabile che un ospedale, dei palazzi di Governo come la Prefettura, una
casa dello studente, case nuove, vengano giù come pasta frolla dopo
l'esperienza del 1980. Le parole che più mi hanno ferito "In Giappone un sisma di quella magnitudo non sarebbe stato
menzionato
nemmeno dai giornali", all'Aquila non sono cadute solo le case vecchie del
centro storico, ma anche le costruzioni più recenti. Il problema non è solo
abruzzese, ma nazionale. In Italia, da una stima della Protezione
Civile, ci  risulta che sarebbero alÂ-meno
75-80 mila edifici pubÂ-blici da consolidare: 22 mila edifici scolastici sono in
zone sismiche, 16 mila in zone ad alto rischio. Quanti sono gli edifici
scolastici lucani che rispettano le norme antisismiche? Gli studi sulla
vulnerabilità sismica degli edifici scolastici, promosso dalla Regione
Basilicata, cosa hanno prodotto? E' possibile conoscere i dati, visto che i
tempi di valutazione da parte dei tecnici erano ristretti? O dobbiamo aspettare
un evento sismico per annunciare che anche lo studio sulla vulnerabilitÃ
sismica sull'immobile scolastico X, crollato, prevedeva cospicui consolidamenti
per renderlo invulnerabile?
Nel paese dove vivo, Tursi, comune dichiarato
sismico di seconda classe, dopo il terremoto del 1980, confermato dall'ordiÂ-nanza
della Protezione civile numero 3274 e dai decreti del 2005 e 2008, gli edifici
scolastici di primo grado (scuole elementari e medie) costruiti negli anni
1960, non hanno subito alcuna opera di consolidamento, solo opere di
miglioramento tecnologico, che in alcuni casi hanno indebolito le strutture.
Bene, secondo la mia modesta esperienza professionale, detti edifici, in caso
di sisma, costituiscono sicuramente  un grave
pericolo per i nostri figli, per gli insegnanti e personale non docente, Â per non parlare dell'edificio comunale nella
piazza Maria Ss. di Anglona, che presenta già ora lesioni ai piani bassi,
lesioni più volte ripristinate con intonaci e stucchi; Municipio costruito su
plinti isolati, non collegati tra loro, con armatura liscia, su terreno
alluvionale e pilastri che in molti casi sono sottodimensionati rispetto ai
nuovi limiti di carico di punta e di
resistenza alle azioni orizzontali;  immobile, quello comunale, che è privo di certificazione
di agibilità , e nutro dubbi sull'esistenza di un certificato di collaudo. Cito
la situazione locale perché credo che dette condizioni siano riscontrabili
ancora oggi, dopo 25 anni dal sisma, in moltissimi altri comuni della
Basilicata e della Campania e come abbiamo visto in Abruzzo.
E' quindi urgente,
evitando strumentalizzazioni e passerelle televisive delle forze politiche di
destra e sinistra, verificare la stabilità , la conformità  e la qualità delle costruzioni secondo le
norme sismiche, dando priorità alle scuole, ospedali e palazzi di governo
costruiti anche dopo il sisma del 1980. Per i privati si potrebbe studiare una
norma nazionale, che obblighi i proprietari degli immobili ad una verifica periodica
sismica e manutentiva. Si potrebbe introdurre, come nel caso della
certificazione energetica, una norma secondo la quale nelle zone sismiche sia
necessario da parte del costruttore, del Direttore dei Lavori e del collaudatore,
in caso di compravendita l'attestazione di aver operato secondo i criteri della
buona costruzione e nel rispetto della normativa vigente in materia di
costruzione e sicurezza antisismica. Intanto sono
certo che le bare bianche del 1980 e quelle di oggi del 2009 chiedono soltanto
più sicurezza per il futuro di altri bambini e meno passerelle di politici di
turno.
Francesco
Silvio DI GREGORIO (architetto)
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