elementi di gestione dell`impresa

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elementi di gestione dell`impresa
Università degli Studi della Tuscia – Viterbo
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
Silvio Franco
ELEMENTI DI
GESTIONE DELL’IMPRESA
DISPENSA PER IL CORSO DI: L’IMPRESA: GESTIONE E COMUNICAZIONE
Anno accademico 2007-08
INDICE
Premessa. I postulati della teoria dell’impresa
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3
Introduzione. Un sistema di gestione per l’impresa
pag.
7
1. I fattori produttivi
1.1 IL CAPITALE: CLASSIFICAZIONE, RILEVAZIONE E VALUTAZIONE
pag. 12
1.1.A LA CLASSIFICAZIONE DEL CAPITALE
1.1.B LA RILEVAZIONE DEL CAPITALE
1.1.C LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE
1.2 IL LAVORO NELL’IMPRESA
pag. 24
1.2.A IL LAVORO DIPENDENTE
1.2.B IL LAVORO AUTONOMO
1.3 TIPOLOGIE DI IMPRESE
pag. 36
1.3.A IMPRESE IN FORMA INDIVIDUALE
1.3.B IMPRESE IN FORMA ASSOCIATA (SOCIETÀ)
1.3.C DIFFUSIONE DELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI IMPRESE
2. Valutazione ed analisi dei risultati economici
2.1 STRUTTURA DEL BILANCIO
2.2 LE COMPONENTI DEL REDDITO D’ESERCIZIO
2.3 ELEMENTI DI ANALISI DEL BILANCIO
pag. 43
pag. 50
pag. 55
3. Le attività produttive nell’impresa
3.1 CENNI ALLA TEORIA DELLA PRODUZIONE
3.2 I PROCESSI PRODUTTIVI: ASPETTI TECNICI ED ECONOMICI
pag. 67
pag. 68
4. Analisi preventiva delle strategie di gestione
4.1 IL CONTESTO DECISIONALE DELL’IMPRESA
4.2 ANALISI DEGLI INVESTIMENTI
4.2.A L’ANALISI COSTI-BENEFICI: ASPETTI ECONOMICI
4.2.B L’ANALISI COSTI-BENEFICI: ASPETTI FINANZIARI
4.3 LA CONDIZIONE DI BREAK-EVEN
pag. 73
pag. 76
pag. 89
5. Rilevazioni consuntive e controllo di gestione
5.1 LA RILEVAZIONE CONSUNTIVA
5.2 SISTEMI DI RILEVAZIONE CONTABILE
pag. 93
pag. 96
5.1.1 LA CONTABILITÀ ANALITICA - SISTEMA PATRIMONIALE
5.1.2 LA CONTABILITÀ GENERALE - SISTEMA DEL REDDITO
5.3 CENNI AL CONTROLLO DI GESTIONE
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pag.104
-2-
PREMESSA
I POSTULATI DELLA TEORIA DELL’IMPRESA
1) La massimizzazione del profitto
Secondo l’impostazione neoclassica della teoria dell’impresa, l’imprenditore
opera per realizzare il massimo profitto.
L’entità del profitto (π) è determinata dalla differenza tra i ricavi (R) ed i costi
(C), simbolicamente l’espressione assume la forma seguente:
π=R-C
I valori di R, C sommano i risultati delle attività condotte nel corso di un ciclo di
produzione e, quindi, riguardano un arco di tempo limitato. Vi sono tuttavia decisioni
che impegnano l’imprenditore per un arco di tempo più lungo; in questa eventualità
l’imprenditore definisce le proprie strategie per più cicli produttivi e, pertanto, dovrà
tenere conto dei valori dei parametri che si realizzeranno nell’arco dell’intero periodo
considerato.
La durata di questo periodo, che viene indicato come orizzonte economico, è un
elemento soggettivo e dipende dalla maggiore o minore propensione dell’imprenditore a
rinunciare a redditi immediati, generalmente inferiori, per ottenere redditi più alti in
futuro. È necessario, in questo caso, per renderli comparabili, riportare finanziariamente
all’attualità i valori che si realizzano in tempi diversi.
Nell’ipotesi che il periodo considerato abbia una durata di n anni, il valore attuale
degli n profitti (π0) è determinato dalla seguente espressione1:
1 Come è noto, il valore dell’interesse è dato dal prodotto fra capitale, tasso di interesse e tempo:
I = C0 . r . t
essendo C0 il capitale iniziale, r il saggio d’interesse e t il tempo.
Per una durata pari all’esercizio amministrativo t diviene uguale all’unità e, pertanto, l’espressione cambia in
I = C0 . r
Se si vuole conoscere l’entita del capitale C1 alla fine dell’esercizio, si deve sommare al capitale iniziale il valore
degli interessi:
C1 = C0 + I = C0 + C0 . r = C0 (1 + r)
Il fattore (1+r), che si indica anche con il lettera q, rappresenta il montante di una unità di capitale e viene definito di
capitalizzazione semplice.
Volendo risalire al valore di C0, conoscendo il valore finale C1, si ha:
C0 = C1 / (1 + r) = C1 . 1/(1 + r)
Il fattore 1/(1+r) viene definito di sconto razionale e consente di riportare all’attualità il valore del capitale che si
realizza alla fine dell’esercizio.
Procedendo nel calcolo si ha:
C2 = C1 + I = C1 + C1 . r = C1 (1 + r) = C0 (1 + r) (1 + r) = C0 (1+r)2
In generale, sarà allora:
Cn = C0 . (1+r)n
Il fattore (1+r)n rappresenta in questo caso il montante di una unità di capitale ad interesse composto e si definisce di
capitalizzazione composta; il suo inverso, 1/(1+r)n, viene detto fattore di sconto composto.
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π0 =
n
π3
πn
πi
π1
π2
+
+
+...+
=∑
2
3
n
i
(1 + r ) (1 + r )
(1 + r )
(1 + r )
i =1 (1 + r )
Si può affermare, allora, che l’obiettivo dell’imprenditore è rappresentato dalla
massimizzazione del valore attuale dei profitti riferiti all’arco di tempo compreso nel
suo orizzonte economico.
Il postulato della massimizzazione del profitto è stato sottoposto, nel tempo, a
diverse critiche. Le motivazioni sono riconducibili alla seguente osservazione: insieme
alla massimizzazione del profitto esistono altri obiettivi che l’imprenditore intende
perseguire? In altre parole, possono sussistere altre motivazioni nella conduzione
dell’attività che migliorano il senso di soddisfazione, cioè il livello di utilità,
dell’imprenditore?
Indubbiamente il conseguimento del profitto rappresenta l’obiettivo primario che
spinge l’imprenditore ad intraprendere un’attività, ma è altrettanto evidente che il suo
livello di utilità non cresce proporzionalmente all’aumentare del profitto. Infatti l’utilità
marginale del profitto tende a decrescere e, oltre un certo limite, può anche divenire
negativa in quanto subentrano altre motivazioni che possono assumere un peso
maggiore e, pertanto, prioritario rispetto all’ulteriore incremento del profitto. Se, ad
esempio, la possibilità di conseguire profitti sempre più alti è legata ad un rischio
progressivamente crescente, probabilmente l’imprenditore sarà disposto a rinunciare ad
una parte del profitto pur di abbassare il rischio connesso al suo conseguimento; la
riduzione del rischio, pertanto, diviene un elemento che condiziona la ricerca del
massimo profitto.
Nel dettare i comportamenti degli imprenditori, inoltre, intervengono ulteriori
stimoli legati ad aspetti cosiddetti extramercantili. Il prestigio che l’imprenditore
attribuisce al possesso di certi beni, il senso di soddisfazione legato alla realizzazione di
prodotti di qualità, l’importanza attribuita ai valori sociali o al rispetto dell’ambiente
sono tutte motivazioni che condizionano l’obiettivo della massimizzazione del profitto.
Queste osservazioni sono alla base dell’ipotesi che l’imprenditore operi le proprie
scelte in base ad una funzione di utilità pluridimensionale nella quale sono contemplati
diversi obiettivi e la cui rappresentazione è la seguente:
U = f (p1, p2, ..., pn)
in cui p1, p2, …, pn esprimono i livelli dei diversi obiettivi imprenditoriali. Il significato
che la funzione assume appare chiaro: il livello di utilità dell’imprenditore è legato,
secondo una determinata relazione, al livello raggiunto per ciascuno degli obiettivi.
In ragione della natura pluridimensionale della funzione, la massimizzazione
dell’utilità dell’imprenditore si presenta assai complessa. Il problema si semplifica
notevolmente nel caso in cui l’imprenditore sia in grado di specificare per n-1 obiettivi
un livello minimo che egli ritiene soddisfacente. In questo caso la funzione di utilità
diviene monodimensionale e la ricerca del massimo valore risulta molto più semplice.
Questa circostanza, però, non si verifica molto spesso, sia per le caratteristiche
intrinseche di alcuni obiettivi che per la difficoltà di individuare preliminarmente dei
valori che fanno scattare la soglia di soddisfazione. Più frequente, invece, è il caso in
cui l’imprenditore è in grado di disporre i diversi obiettivi in ordine d’importanza;
quando ciò accade si originano delle funzioni di utilità lessicografiche che possono
essere massimizzate con l’ausilio di opportuni strumenti analitici.
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2) Le condizioni del mercato
Il secondo postulato della teoria neoclassica dell’impresa afferma che
l’imprenditore agisce in un mercato caratterizzato da un regime di concorrenza perfetta.
Un mercato si definisce tale se si verificano le seguenti condizioni:
- presenza di un grande numero di imprese;
- perfetta omogeneità dei prodotti;
- libero ingresso da parte di altre imprese;
- perfetta conoscenza della situazione del mercato da parte di tutti gli operatori;
- completa mobilità dei fattori produttivi.
Se si esaminano attentamente le singole condizioni si nota che, ad esclusione
dell’ultima, rispetto alla quale possono esistere vincoli strutturali che impediscono
l’incontro tra la domanda e l’offerta, esse trovano sufficiente riscontro nella realtà dei
diversi settori produttivi.
Il numero delle imprese è tale che nessuna è in grado di offrire una quantità di
prodotto capace di influenzarne il prezzo. Inoltre, la possibilità di libero ingresso nel
mercato impedisce che qualche impresa si appropri di una fetta importante del mercato
stesso al punto da influenzarne i prezzi. L’omogeneità dei prodotti, d’altra parte, rende
impossibile agli imprenditori di esigere valutazioni diverse per i propri prodotti; in
questo caso infatti il consumatore rivolgerebbe le sue richieste altrove. Questo
meccanismo, come è noto, conduce alla definizione di un unico prezzo che deriva
dall’incontro della domanda con l’offerta. L’impossibilità di intervento
dell’imprenditore nella definizione del prezzo riguarda anche i fattori produttivi che egli
deve reperire sul mercato, infatti le quantità che egli utilizza non sono tali da poterne
influenzare il prezzo di acquisto.
In definitiva, le condizioni del mercato impongono all’imprenditore di considerare
i prezzi dei prodotti e dei fattori con cui si confronta come elementi dati sui quali egli
non ha alcuna possibilità di intervento, ponendolo nelle condizioni di price taker.
Va osservato come molti imprenditori si propongano di adottare delle strategie
che consentano loro di svincolarsi dalla scomoda posizione di price taker, ossia di
passivi recettori del prezzo che si forma nel mercato, per raggiungere quella, certamente
migliore, del price maker, ossia di colui che impone il prezzo dei suoi prodotti ai propri
clienti. Naturalmente per realizzare un tale proposito è necessario caratterizzare e
qualificare le produzioni in modo da renderle di interesse per un certo numero di
consumatori, creando quella che viene definita una “nicchia di mercato”. Non è
certamente un compito semplice da assolvere, ma, una volta raggiunto questo risultato,
l’imprenditore può contare su dei considerevoli vantaggi.
3) La conoscenza della tecnica
Il terzo postulato della teoria dell’impresa afferma che l’imprenditore possiede le
conoscenze tecniche necessarie per condurre in modo efficiente i processi produttivi.
Egli, cioè, è a conoscenza delle funzioni di produzione che gli consentono di
trasformare nel modo tecnicamente più efficiente i fattori della produzione in prodotti.
È questa una condizione necessaria, ma non sufficiente, per il perseguimento
dell’obiettivo della massimizzazione del profitto; infatti, l’imprenditore dovrà tradurre
in termini economici le diverse soluzioni tecniche e scegliere quelle che forniscono il
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maggior contributo alla formazione del profitto, nel rispetto dei sistema di vincoli
all’interno del quale si trova ad operare.
La funzione di produzione ci dice quale è la quantità di prodotto che è possibile
ottenere impiegando una data quantità di fattori. Per la produzione di un determinato
bene saranno a disposizione diverse tecniche a ciascuna delle quali corrisponderà un
differente livello tecnologico. Dal punto di vista analitico, una funzione di produzione
può essere rappresentata con un’equazione in cui il livello produttivo (y) dipende dalla
quantità dei fattori (v1, v2, …, vn) impiegati per realizzarlo:
y = f (v1, v2, …, vn)
Se i fattori della produzione vengono considerati dal punto di vista del controllo
che l’imprenditore può esercitare su di essi, si è soliti suddividerli in due categorie: alla
prima appartengono i fattori cosiddetti esogeni perché sfuggono al controllo
dell’imprenditore il quale, quindi, li dovrà assumere per l’influenza che esercitano; alla
seconda i fattori endogeni che, viceversa, ricadono sotto il controllo dell’imprenditore.
Sono fattori esogeni quelli che fanno capo alle risorse naturali o al contesto
ambientale e sociale e dei quali l’imprenditore dovrà opportunamente tenere conto nella
scelta delle attività, delle tecniche e dei livelli produttivi che ogni attività può esprimere
in conseguenza della loro manifestazione. Sono fattori endogeni tutti gli altri,
rappresentati dal lavoro e dalle componenti del capitale.
I fattori endogeni vengono ulteriormente distinti in base alla loro disponibilità
temporale. Un’analisi condotta nel medio o lungo periodo, infatti, non determina
differenziazioni tra i diversi fattori, perché in questo arco temporale la disponibilità di
tutti i fattori endogeni può essere variata dall’imprenditore; viceversa, un’analisi
condotta nel breve periodo, ad esempio nell’arco del ciclo produttivo, comporta una
suddivisione tra i fattori disponibili in quantità fissa, rappresentati dagli elementi
strutturali dell’impresa, e i fattori variabili sui quali l’imprenditore può intervenire
modificandone la quantità.
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INTRODUZIONE
UN SISTEMA DI GESTIONE PER L’IMPRESA
Prima di partire per un viaggio è buona consuetudine consultare una mappa per
capire dove si vuole andare e quale e quanta strada bisogna percorrere per arrivare alla
meta prefissa. La mappa è importante anche durante il corso del viaggio perché, oltre a
farci capire quanta parte dell’itinerario abbiamo già percorso e quanta ancora ne rimane
davanti a noi, ci informa sul punto a cui siamo arrivati e il luogo che stiamo visitando.
Anche per un viaggio “dentro” una disciplina, avere a disposizione una mappa
può essere di una certa utilità per capire gli aspetti che vi vengono affrontati, all’interno
di quale argomento ci si trova quando si affronta una certa questione e le
interconnessioni che esistono fra diverse parti della materia.
La disciplina della “gestione dell’impresa” non fa eccezione e, anzi, possiede
alcune specificità che rendono una schematizzazione grafica degli argomenti che ne
fanno parte e delle loro relative interconnessioni particolarmente utile e significativa.
Infatti, come si avrà modo di osservare, i diversi argomenti non hanno una stretta ed
univoca consequenzialità ma si dispongono in una sorta di sistema chiuso nel quale è
possibile individuare numerosi legami ed interconnessioni. Questa è la ragione per cui
l’insieme degli aspetti che concorrono alla gestione di una impresa vanno a costituire un
sistema; tale “sistema di gestione dell’impresa” può essere schematizzato in un
diagramma, per l’appunto la mappa cui si è fatto cenno, una cui possibile
rappresentazione è riportata in figura 1.
Il sistema la cui organizzazione è mostrata nel diagramma, oltre ad essere una
utile guida per chi affronta lo studio della disciplina, offre anche una prospettiva
realistica della corretta modalità con cui un imprenditore dovrebbe affrontare la
gestione della propria impresa. Questa valenza fortemente applicativa della disciplina
consente di affrontare la trattazione didattica delle diverse componenti del sistema di
gestione e dei loro collegamenti facendo riferimento a delle esemplificazioni
numeriche.
Come si osserva dal diagramma, l’elemento di base del sistema di gestione è
rappresentato dalla conoscenza della struttura dell’impresa attraverso la classificazione
e la quantificazione dei fattori produttivi presenti. Questa parte del sistema, come
evidenziano le direttrici presenti nello schema, rappresenta il riferimento conoscitivo
per procedere alla definizione delle analisi preventive ed alla rilevazione degli elementi
tecnici, economici e contabili che si succedono nell’arco della gestione. Per questa
ragione l’illustrazione dei fattori produttivi che definiscono la dotazione strutturale
dell’impresa viene affrontata nella prima parte del testo.
Sempre nella prima parte del testo vengono trattati gli strumenti per la valutazione
dei risultati dell’impresa. In particolare viene descritta la struttura bilancio il quale,
determinando l’origine del reddito in termini patrimoniali ed economici, rappresenta il
principale supporto previsionale e conoscitivo della gestione.
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Figura 1 – Il “sistema di gestione” dell’impresa
STRUTTURA DELL'IMPRESA
RILEVAZIONE DEI RISULTATI
(Caratterizzazione dei fattori produttivi)
CAPITALE (classificazione e valutazione)
LAVORO (tipologie e disponibilità)
(Analisi consuntiva)
VALUTAZIONE DEI RISULTATI
DELL'IMPRESA
Struttura del Bilancio
Reddito d'esercizio
Analisi di Bilancio
Monitoraggio attività (rilevazione)
Stesura del Bilancio (consuntivo)
CONTROLLO DI GESTIONE
DEFINIZIONE DELLE STRATEGIE
(Analisi preventiva)
Analisi degli investimenti
Pianificazione delle attività
Definizione dei budget
(Analisi degli scostamenti)
Controlli settoriali (a livello di attività)
Controllo globale (a livello di impresa)
Per l’imprenditore, però, è altrettanto importante verificare se il reddito ottenuto è
commisurato all’investimento prodotto nell’attività e considerare i possibili interventi
che possono migliorarne l’entità, senza incidere sulla solidità finanziaria dell’impresa
stessa. Indicazioni a questo riguardo possono essere tratte da un’analisi del bilancio, una
procedura le cui modalità di attuazione sono anch’esse oggetto di trattazione
nell’ambito della illustrazione degli strumenti di valutazione dei risultati dell’impresa.
La parte del sistema rivolta alla definizione delle strategie, che verrà affrontata nel
secondo capitolo, comprende l’insieme degli strumenti che l’imprenditore può utilizzare
per indirizzare l’impresa verso il conseguimento dei propri obiettivi gestionali. Le
analisi preventive condotte in questo ambito riguardano la valutazione di due distinte
categorie di scelte: da un lato, i possibili interventi volti a modificare la dotazione
strutturale dell’impresa e, dall’altro, l’organizzazione produttiva che, sulla base della
attuale disponibilità di fattori, consente di ottenere i migliori risultati rispetto agli
obiettivi individuati. Nel primo caso è necessario valutare la convenienza economica e
la fattibilità finanziaria di investimenti che modificano, anche in modo definitivo, la
struttura dell’impresa. Nel secondo, invece, si tratta di definire le caratteristiche
tecniche ed economiche delle diverse attività produttive e di individuare le modalità di
conduzione più efficienti in relazione alle risorse disponibili ed agli obiettivi che
l’imprenditore ritiene rilevanti ai fini delle proprie scelte.
Una volta che le scelte imprenditoriali sono state attuate è indispensabile
controllare il loro impatto sui risultati della gestione per verificare se esse hanno
prodotto gli esiti previsti dalle analisi preventive. Un tale controllo è utile per due ordini
di motivi. Un primo aspetto riguarda la possibilità di esaminare criticamente le decisioni
prese mettendone in discussione le premesse e le modalità con cui sono state applicate
per apportare un incremento di conoscenza che potrà risultare utile nelle scelte future.
La seconda motivazione è legata alla possibilità di verificare “in corso d’opera” le
divergenze fra lo svolgimento previsto e quello effettivo delle attività e, quindi, di
intervenire per apportare i necessari correttivi.
I metodi per la rilevazione dei dati relativi allo svolgimento delle attività
dell’impresa e per la loro verifica e comparazione con i risultati delle analisi preventive,
pur essendo entrambi trattati nel terzo capitolo, fanno capo a due diversi elementi del
sistema di gestione. La rilevazione dei risultati fa capo all’insieme delle procedure
contabili le quali dovrebbero essere organizzate in modo da poter seguire l’andamento
dell’impresa nel suo complesso (contabilità generale) e di monitorare con continuità la
conduzione dei singoli processi produttivi (contabilità analitica). Il controllo di
gestione, invece, determina gli scostamenti tra le valutazioni eseguite in fase preventiva
e i risultati delle procedure di rilevazione contabile fornendo tutti gli elementi necessari
ad analizzarne le eventuali motivazioni.
Lo svolgimento del controllo di gestione, per tornare alla analogia con la mappa,
chiude l’itinerario all’interno del sistema di gestione dell’impresa anche se, come lo
schema evidenzia, sia le procedure contabili che le risultanze del controllo di gestione
producono una retroazione verso le procedure di pianificazione che possono giovarsi
delle indicazioni provenienti da queste parti del sistema per migliorare la definizione
tecnica ed economica dei processi produttivi e le capacità previsionali dei modelli di
analisi.
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1. I FATTORI PRODUTTIVI DELL’IMPRESA
I fattori della produzione rappresentano i beni e i servizi che l’impresa trasforma
in altri beni, i prodotti, o in altri servizi le cui caratteristiche risultano di maggiore utilità
per l’imprenditore.
Qualunque sia il settore produttivo in cui opera un’impresa i fattori produttivi si
distinguono in capitale e lavoro.
Nel caso di alcune particolari imprese, fra i fattori produttivi devono essere
considerate delle componenti che rientrano fra le risorse naturali (si pensi, ad esempio,
alla terra per le imprese agricole, ai giacimenti per le imprese di estrazione petrolifera o
mineraria, al mare per le imprese del settore ittico o turistico). In alcune attività queste
ultime assumono un ruolo talmente rilevante da venire scorporate dal capitale ed essere
considerate come un fattore a sé stante. Tale specificità è legata, oltre al ruolo
fondamentale che rivestono questi fattori produttivi, alla loro connotazione temporale.
I fattori della produzione, infatti, possono essere classificati adottando un criterio
che fa riferimento alla loro durata o, analogamente, al livello di logorio che subiscono
all’atto del loro utilizzo. Sono fattori a logorio totale quelli che esauriscono tutta la loro
potenzialità produttiva al momento del loro impiego, sono fattori a logorio parziale
quelli che sono in grado di erogare i loro servizi per un certo numero di cicli produttivi
e, infine, sono fattori a logorio nullo (o perenni) quelli che nel tempo non sono soggetti
a consumarsi. Con riferimento a questo tipo di classificazione, le risorse naturali
risultano gli unici fattori a logorio nullo e, quindi, in grado di fornire i propri servizi per
un numero illimitato di cicli produttivi. Quest’ultima affermazione muove dall’ipotesi,
non sempre verificata nella realtà, che la loro disponibilità e qualità rimanga inalterata
nel tempo.
Un’ulteriore modalità di classificazione dei fattori produttivi è determinata dalla
possibilità di controllo che l’imprenditore è in grado di esercitare si di essi; in base a
questo criterio, come già accennato nella premessa, vengono distinti fattori esogeni ed
endogeni. I fattori esogeni manifestano la loro presenza e la loro intensità in maniera del
tutto indipendente dalla volontà dell’imprenditore; in questa categoria rientrano aspetti
quali le caratteristiche ambientali, l’andamento meteorologico, le regole stabilite
all’interno del quadro politico-istituzionale, l’evoluzione dei mercati dei prodotti e dei
fattori, la situazione economica generale, ecc. Fa parte integrante della capacità
imprenditoriale prevedere quanto più possibile questi fenomeni ed operare le scelte in
modo da limitare le conseguenze negative o sfruttare i possibili benefici che possono
derivare dalla loro manifestazione. I fattori endogeni, invece, ricadono sotto il controllo
dell’imprenditore il quale, attraverso le sue scelte, ne determina disponibilità e livelli di
utilizzo.
Un elemento essenziale nella corretta gestione dell’impresa è la piena conoscenza
della dotazione di fattori della produzione di cui l’impresa stessa dispone; a questo
scopo è necessario procedere ad una loro descrizione, quantificazione e valutazione,
operazioni che devono essere eseguite facendo costante riferimento al contributo che
sono in grado di offrire alla conduzione ed ai risultati dell’attività produttiva. E’ quindi
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una premessa essenziale allo sviluppo di qualunque tipo di analisi preventiva o di
valutazione consuntiva l’individuazione dei fattori produttivi dell’impresa, la
descrizione delle loro caratteristiche e, problema più complesso, l’attribuzione dei
valori più corretti rispetto agli obiettivi gestionali che l’imprenditore si prefigge.
1.1 IL CAPITALE: CLASSIFICAZIONE, RILEVAZIONE E VALUTAZIONE
1.1.A LA CLASSIFICAZIONE DEL CAPITALE
Le componenti del capitale assumono nel tempo configurazioni molto diverse.
Quelle disponibili in forma monetaria (contanti, depositi bancari, crediti da clienti, ecc.)
vengono dette indifferenziate. Sono invece differenziate le componenti che hanno
assunto una determinata connotazione tecnica; fra queste vengono annoverati i fattori
produttivi a logorio nullo, a logorio parziale ed a logorio totale.
In origine il capitale è rappresentato solo in forma indifferenziata, ma, nel
momento in cui l’imprenditore investe il denaro per l’acquisizione dell’azienda, parte
del capitale cambia aspetto ed assume una forma differenziata; considerando le diverse
prerogative che il capitale può assumere è quindi necessario procedere ad una sua
classificazione.
Le modalità di classificazione del capitale possono variare in funzione degli scopi
dell’analisi; è così possibile definire differenti aggregazioni delle varie componenti che
risultano maggiormente funzionali rispetto a finalità giuridiche, fiscali, estimative,
economiche o finanziarie.
Per gli scopi gestionali le diverse componenti del capitale vengono classificate
secondo il criterio schematizzato in figura 2.
Nella parte di sinistra del prospetto sono elencate le componenti lorde del capitale
di un’impresa le quali sono distinte in circolanti e fisse.
Sono considerate circolanti le componenti che “fluttuano” nel tempo con
continuità, e fra le quali si trovano i fattori a logorio totale; sono considerate fisse le
componenti che concorrono a formare la struttura dell’impresa e fra le quali vengono
annoverati i fattori a logorio parziale e nullo. Al capitale circolante vengono assegnate
le liquidità, sia immediate che differite, che rappresentano il capitale indifferenziato e le
rimanenze, costituite dalle componenti differenziate del capitale circolante. Nel capitale
fisso vengono incluse le componenti del capitale a logorio parziale e gli investimenti, la
cui durata si protrae nel medio-lungo periodo.
Nello schema, alla classificazione economica si è fatta corrispondere la
classificazione finanziaria che definisce disponibili le componenti del capitale
circolante e immobilizzate (o indisponibili) le componenti del capitale fisso. Infatti, da
un punto di vista finanziario, le componenti che si rifanno al capitale circolante sono
convertibili in moneta in un arco temporale limitato; ciò non accade per le componenti
del capitale immobilizzato, in quanto eventuali disinvestimenti modificano la struttura
dell’impresa determinando una variazione delle sue stesse potenzialità produttive2.
2 Un esame più attento delle due classificazioni porterebbe a distinguere alcune delle componenti del capitale
circolante come indisponibili da un punto di vista finanziario. Le rimanenze di materie prime di produzione
aziendale, ad esempio, rientrerebbero in questa categoria.
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Figura 2 - Composizione del capitale di un’impresa
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Il prospetto di figura 1 evidenzia, oltre alle componenti definite lorde, la presenza
di capitale di terzi, il quale include i finanziamenti provenienti da terze economie e,
pertanto, individua i debiti che l’imprenditore ha contratto per assicurare un adeguato
finanziamento all’attività che conduce. Anche il capitale di terzi viene classificato con
riferimento alla connotazione temporale, in particolare per quanto riguarda i tempi di
restituzione dei finanziamenti; vengono così distinti dei debiti a breve, se la scadenza
ricade entro il periodo stabilito per determinare il risultato della gestione (esercizio
amministrativo), e dei debiti a medio/lungo periodo, se i pagamenti si protraggono per
un periodo più lungo. La durata di un prestito dipende dalla sua causale: quelli concessi
per il finanziamento del capitale circolante sono generalmente prestiti a breve scadenza,
quelli concessi per il finanziamento del capitale fisso sono a media o a lunga scadenza.
La parte di capitale investita direttamente dall’impresa rappresenta il capitale
netto ed è determinata dalla differenza tra il capitale lordo e i debiti contratti. Così,
anche se è il capitale lordo che rappresenta l’entità complessiva dei beni immessi nella
produzione, per l’imprenditore è importante conoscere l’ammontare del capitale netto
che lui ha investito nella gestione. Nei casi in cui risulta difficoltoso operare una
ricostruzione del valore del capitale netto, è possibile desumerlo dalla differenza fra il
capitale lordo e il capitale di terzi:
Capitale Netto = Capitale Lordo – Capitale di Terzi
Tale difficoltà può insorgere in particolare nelle piccole imprese individuali, in
quanto il capitale netto è determinato dal valore originario dei beni acquisiti o conferiti
cui vanno aggiunti gli eventuali apporti, sotto forma di finanziamenti diretti e/o di
redditi non prelevati, e da cui vanno detratti i prelevamenti di entità maggiore agli utili
maturati. Nelle imprese collettive (società) l’evoluzione del capitale netto è tenuta sotto
controllo poiché ogni variazione deve essere deliberata dai soci e trascritta su un
apposito registro. In questo caso le voci che concorrono a determinare l’entità del
capitale netto sono, oltre al capitale sociale, vale a dire la quota versata dai soci o dagli
azionisti all’atto della costituzione o durante la vita dell’impresa, le riserve (cioè parte
dei redditi accantonati per future esigenze), gli utili non ancora distribuiti e le perdite
non ancora ripartite.
Con riferimento alla classificazione di figura 2, nel seguito vengono elencate le
componenti che appartengono alle diverse categorie di capitale lordo e capitale di terzi.
1.1.B LA RILEVAZIONE DEL CAPITALE
Lo schema di classificazione definito nel paragrafo precedente costituisce il
riferimento per procedere alla ricognizione della consistenza delle componenti del
capitale ed alla loro successiva valutazione.
La rilevazione dei beni di cui dispone l’impresa per la sua attività (capitale lordo),
dei finanziamenti a cui ha fatto ricorso per potersene dotare (capitale di terzi) e delle
relative caratteristiche e quantità, solitamente definita come inventario, si rende
particolarmente utile per almeno due ragioni.
La prima riguarda la necessità di verificare la presenza, l’entità e lo stato di
efficienza delle dotazioni di cui dispone l’impresa, in particolare quelle destinate allo
svolgimento della sua attività (rimanenze e immobilizzazioni materiali). La conoscenza
di tali informazioni consente di valutare l’adeguatezza dei fattori produttivi in relazione
alle strategie imprenditoriali e, nel caso questa non risultasse soddisfacente, di valutare
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l’ipotesi di procedere ad una loro acquisizione o sostituzione.
La seconda ragione è legata all’importanza di determinare il valore del capitale
(lordo) investito nell’impresa e quanto di questo sia di proprietà degli imprenditori
(capitale netto). Infatti, solo attraverso la conoscenza dell’entità dell’investimento
prodotto sarà possibile giudicare la bontà dei risultati della gestione, attraverso un
confronto fra il reddito prodotto dall’impresa e l’ammontare delle risorse impegnate per
il suo ottenimento. Proprio per questo motivo è importate eseguire la rilevazione e la
valutazione del capitale dell’impresa all’inizio dell’esercizio amministrativo,
generalmente identificato con il 1° gennaio, in modo da conoscere l’entità
dell’investimento che viene impegnato nell’attività in corso di avviamento.
E’appena il caso di sottolineare come l’inventario “iniziale”, ovvero riferito
all’apertura dell’esercizio amministrativo, coincide con l’inventario “finale”
dell’esercizio amministrativo precedente, in virtù della contiguità temporale che
caratterizza due esercizi consecutivi. Dell’importanza del confronto fra la consistenza
del capitale all’inizio ed alla fine dell’esercizio amministrativo, e delle indicazioni che
da tale comparazione possono essere desunte, si parlerà nel capitolo relativo alla
valutazione dei risultati economici dell’impresa.
COMPONENTI DEL CAPITALE LORDO
Come si è detto, il capitale lordo è distinto in capitale circolante (disponibile) e
capitale fisso (o immobilizzato).
La componente circolante, costituita da capitali in forma indifferenziata e
differenziata il cui periodo di disponibilità o di utilizzo (fattori a logorio totale) è
compreso nell’arco dell’esercizio amministrativo, comprende le seguenti componenti.
- LIQUIDITÀ IMMEDIATE: sono costituite dai valori presenti in cassa (contante, assegni,
valori monetizzabili) e dalle disponibilità dei conti correnti bancari e postali
- LIQUIDITÀ DIFFERITE: rappresentano i crediti a breve termine, vale a dire quelli
riscuotibili orientativamente nell’arco di un anno. Comprendono: i crediti verso clienti;
verso eventuali imprese collegate, controllate o controllanti; verso l’erario e gli enti
previdenziali; titoli di credito a pronta negoziazione, come buoni ordinari del tesoro
(BOT) o certificati di credito del tesoro (CCT); altri crediti riscuotibili nel corso
dell’esercizio amministrativo.
- RIMANENZE: sono le componenti differenziate del capitale circolante e includono:
Materie prime: appartengono a questa classe i fattori a logorio totale acquistati o di
produzione aziendale che non sono stati ancora utilizzati. Per le giacenze relative ai
mezzi tecnici acquistati sarà opportuna una preordinata classificazione dei diversi
articoli allo scopo di ottenere un raggruppamento funzionale e, per ciascun articolo
considerato distintamente, sarà necessario indicare il nome, le caratteristiche e la
quantità. Le materie prime di produzione aziendale sono i fattori a logorio totale
prodotti direttamente all’impresa; la loro presenza e l’importanza è strettamente legata
alla tipologia dell’impresa ed al settore produttivo in cui opera. Laddove siano presenti
è importante rilevarle con le stesse modalità adottate per le materie prime acquistate.
Prodotti finiti e merci: questa classe comprende i beni destinati alla vendita che sono
stati realizzati (prodotti finiti) o acquistati (merci) negli esercizi precedenti e che non
sono stati ancora venduti. Per essi sarà necessario specificare il tipo, la qualità e la
quantità e, ai fini della valutazione, evidenziare eventuali particolari prerogative.
- 15 -
Prodotti in corso di lavorazione: sono le attività che non hanno ancora completato il
loro ciclo e i cui prodotti, talora definiti come semilavorati, sono ancora oggetto di
trasformazione o di realizzazione nell’ambito dei relativi processi di produzione. Per
individuare il valore di questi beni, oltre alla tipologia ed alla quantità, andrà indicata la
fase del ciclo di lavorazione cui sono giunti.
Il capitale fisso, costituito da capitali in forma indifferenziata e differenziata il cui
periodo di disponibilità o di utilizzo (fattori a logorio parziale o nullo) comprende più
esercizi amministrativi, è distinto in tre componenti.
- IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI: di questa categoria fanno parte le strutture produttive che
possiedono una connotazione fisica (aspetto che le distingue dalle immateriali e dalle
finanziarie); la tipologia e la funzione che possono assumere tali strutture è molto
diversa in relazione alla attività che svolge l’impresa e, di conseguenza, la loro modalità
di classificazione e rilevazione non può prescindere da questo aspetto. In termini molto
generali possono essere individuate le seguenti componenti:
Terreni e fabbricati: per i terreni di proprietà dell’impresa è opportuno rilevare i singoli
appezzamenti o lotti indicandone la localizzazione, la dimensione e gli estremi catastali;
solo nel caso di imprese che operano nel settore agricolo si rende necessaria una
descrizione più approfondita che ne metta in luce le diverse prerogative utili a
evidenziarne le finalità produttive. I fabbricati, possedendo configurazioni e
utilizzazioni molto diversificate, vanno distinti in base alla loro natura: capannoni,
magazzini, sede degli uffici, locali comuni, costruzioni tecniche, ecc; per ciascuno di
essi dovranno essere specificate le informazioni utili per identificarne le caratteristiche
costruttive, lo stato di manutenzione e i dati necessari per ricostruirne il valore. In
questa categoria vanno annoverati anche gli interventi eseguiti per consentire o
facilitare lo spostamento degli autoveicoli e dei mezzi di carico (realizzazione e
sistemazione della viabilità interna) e per rispondere a particolari esigenze di sicurezza
(muri di cinta, recinzioni, …) o estetiche (aiuole, siepi, …).
Impianti e macchinari: rientrano in questa categoria le dotazioni di beni di tipo
meccanico, elettrico, elettronico presenti presso le diverse strutture dell’impresa. Tali
dotazioni presentano caratteristiche molto diverse, sia dal punto di vista tecnico che
economico, al variare dell’indirizzo produttivo dell’impresa e, all’interno di questo,
delle diverse linee di produzione. In generale, per ciascuno degli impianti e dei
macchinari presenti, è necessario procedere alla loro rilevazione e descrizione
evidenziandone le principali caratteristiche, quali marca, potenza, capacità di lavoro,
anno d’acquisto e condizioni di funzionamento. L’eventuale esistenza di un’officina per
l’esecuzione di interventi di riparazione e manutenzione delle strutture comporterà la
presenza dei macchinari specifici (compressori, saldatrici, generatori di corrente, …) i
quali andranno a costituire una dotazione che richiede una puntuale elencazione e
descrizione, ponendo in evidenza, anche in questo caso, marca, capacità di lavoro, anno
di acquisto e tutte le altre informazioni necessarie alla loro caratterizzazione.
Attrezzature industriali e commerciali: all’interno dei capannoni industriali e dei locali
eventualmente adibiti all’attività commerciale sono generalmente presenti delle
attrezzature il cui scopo è quello di adattare la struttura del fabbricato allo svolgimento
dell’attività che vi viene condotta. Queste possono rivestire funzioni molto diverse,
quali supporto o servizio strutturale per gli impianti e i macchinari, sicurezza e
benessere dei lavoratori, miglioramento dell’efficienza o dell’estetica, ecc. Come per la
altre immobilizzazioni materiali, oltre a rilevare le caratteristiche utili all’inventario,
- 16 -
andranno specificate tutte le informazioni necessarie ad eseguirne una valutazione come
l’anno di realizzazione, la durata prevista e lo stato di manutenzione.
Automezzi e dotazioni uffici: gli automezzi per il trasporto di merci o persone sia
internamente che esternamente all’impresa devono essere descritti attraverso
l’indicazione del modello, degli opportuni dati tecnici, dell’anno e del prezzo di
acquisto e della durata prevista. Accade talora che alcuni automezzi, in particolare le
autovetture, vengano utilizzati anche per scopi non strettamente attinenti alla attività
della impresa; è comunque opportuno assegnare all’impresa sia la proprietà che i
consumi del mezzo per poter imputare ad essa i relativi costi e trarne i conseguenti
benefici fiscali. Per le dotazioni dell’ufficio amministrativo sarà necessario descrivere le
prerogative del mobilio e delle strumentazioni informatiche, dettagliando per queste
ultime le principali caratteristiche tecniche ed economiche di hardware e software.
- IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI: è la componente del capitale fisso rappresentata dagli
investimenti effettuati dall’impresa con lo scopo di acquisire dei benefici che non hanno
consistenza materiale e che distribuiscono i loro effetti per un periodo che si protrae per
più esercizi amministrativi. Le principali componenti che fanno parte di questa
categoria sono le spese sostenute dall’impresa per la costituzione e l’avviamento
dell’attività, per lo svolgimento di studi e ricerche, per la realizzazione di materiali e
campagne pubblicitarie, per l’acquisizione dei marchi e dei brevetti depositati
dall’impresa. Per tutti questi investimenti andrà operata, oltre a una descrizione
generale, l’indicazione del periodo durante il quale si prevede che si protrarranno i loro
effetti e di tutte le altre informazioni utili alla loro caratterizzazione.
- IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE: gli investimenti di natura finanziaria effettuati
dall’impresa possono riguardare la partecipazione ad altre società, il possesso di titoli a
reddito fisso, le cauzioni versate a imprese terze, i crediti riscuotibili entro un periodo
certamente superiore all’anno ed altri eventuali immobilizzi finanziari. In quest’ultima
categoria sono da includere anche gli investimenti immobiliari, non strettamente legati
alla normale attività produttiva, che vengono effettuati dall’impresa allo scopo di
impegnare eventuali eccessi di liquidità. Per ciascuna immobilizzazione finanziaria
andranno evidenziati gli opportuni dati utili a identificarne gli elementi di interesse. Per
i crediti, in particolare, è importante conoscere la data di scadenza e le informazioni sul
soggetto debitore per valutare l’insorgenza di eventuali rischi di solvibilità.
COMPONENTI DEL CAPITALE DI TERZI
Il capitale di terzi è costituito dall’insieme dei debiti contratti dall’impresa per far
fronte alle necessità finanziarie legate alla conduzione delle attività produttive ed alla
realizzazione degli investimenti. Anche per il capitale di terzi, così come per il capitale
lordo, la distinzione riguarda la dimensione temporale; si hanno debiti a breve termine,
quando la restituzione da parte dell’impresa deve avvenire entro l’anno, e debiti a
medio/lungo termine, quando il pagamento si protrae per un periodo più lungo.
- DEBITI A BREVE (ESIGIBILITÀ NELL’ESERCIZIO AMMINISTRATIVO): vengono ricondotti a
differenti tipologie in relazione alla figura verso cui l’impresa ha contratto il debito; si
distinguono gli impegni assunti dall’impresa nei confronti di fornitori per gli acquisti
effettuati o verso imprese collegate, i prestiti erogati dalle banche che l’impresa dovrà
restituire entro l’esercizio amministrativo, le somme che devono essere versate per
assolvere a obblighi fiscali o previdenziali. Per tutti questi debiti deve essere indicato il
- 17 -
soggetto di riferimento, la forma e la data di pagamento; in questo modo, considerando
anche i tempi di riscossione delle liquidità differite e la consistenza delle liquidità
immediate, è possibile definire una sorta di scadenziario per mezzo del quale è possibile
prevedere l’evoluzione della liquidità dell’impresa nel prossimo futuro. Particolare
attenzione deve essere posta all’indebitamento dell’impresa nei confronti degli istituti di
credito, il quale può riguardare i prestiti accesi per finanziare lo svolgimento delle
attività produttive e gli scoperti di conto corrente; per entrambi è importante conoscere
la banca interessata e le condizioni concesse riguardo l’ammontare dell’affidamento
(tasso di interesse e tempi di restituzione) in modo da poter operare il monitoraggio e la
corretta previsione delle disponibilità monetarie dell’impresa.
Il capitale di terzi che l’impresa deve restituire nel medio/lungo periodo viene
distinto fra esigibilità oltre l’esercizio e i fondi accantonati.
- ESIGIBILITÀ OLTRE L’ESERCIZIO AMMINISTRATIVO: la principale categoria di questa
tipologia di capitale di terzi è rappresentata dai debiti contratti dall’impresa con gli
istituti di credito per prestiti finalizzati alla dotazione di capitali fissi, come i mutui per
l’acquisto o la realizzazione di immobilizzazioni, o prestiti a medio-lungo periodo a cui
l’impresa ricorre per fare fronte a particolari necessità finanziarie. Per ciascuno di questi
debiti va indicata la causale, l’ente erogatore, il tasso di concessione, la durata e
l’ammontare delle rate con cui avviene la restituzione. Gli altri debiti a medio-lungo
termine verso altri soggetti riguardano impegni assunti dall’impresa verso soci, altri
finanziatori, eventuali acquirenti di obbligazioni, attraverso forme particolari la cui
descrizione esula dagli scopi di questa trattazione; per tutte queste esigibilità andranno
descritti i dati salienti, primi fra tutti il soggetto beneficiario, l’importo e la data
presunta di restituzione.
- FONDI ACCANTONATI: riguardano l’accumulo di cifre destinate a far fronte ad eventi
futuri di diversa natura. Uno dei più importanti è il fondo per il trattamento di fine
rapporto (TFR) nel quale vengono accumulati annualmente gli importi che verranno
corrisposti ai dipendenti assunti a tempo indeterminato, sia amministrativi che salariati,
all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro; in questo caso è necessario indicare per
ogni dipendente, oltre ai dati anagrafici, la data di assunzione ed i dati utili a
determinare l’entità dell’accantonamento. Altri fondi possono riguardare gli importi che
l’impresa accantona per il versamento delle imposte o a titolo precauzionale per
mettersi al sicuro da rischi o dal pagamento di oneri imprevisti.
1.1.C LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE
Una volta classificate e rilevate le componenti del capitale dell’impresa è
necessario procedere ad una loro valutazione per conoscere l’entità delle risorse
complessivamente immesse nell’impresa (capitale lordo) e dell’investimento prodotto
dall’imprenditore (capitale netto), rispetto al quale egli commisurerà il reddito prodotto
dalla gestione. Il problema della valutazione del capitale non sussisterebbe se tutte le
componenti si presentassero in forma indifferenziata, in quanto il loro valore sarebbe
espresso direttamente dalla loro consistenza monetaria. Si è visto, invece, come una
parte consistente delle componenti del capitale dell’impresa si presentino in forma
differenziata e come, quindi, sia necessario ricorrere alla loro valutazione per esprimere
in termini monetari l’entità del capitale lordo e le relative quote finanziate con capitale
di terzi e con capitale netto.
- 18 -
I criteri adottati per esprimere in forma monetaria il valore delle componenti
differenziate del capitale possono variare in funzione degli scopi della valutazione ma,
una volta stabiliti, devono essere applicati uniformemente a tutte le componenti. Questa
precisazione, che potrebbe apparire superflua, si rende necessaria in quanto non è
infrequente il caso in cui vengono suggeriti, e applicati in sede operativa, dei criteri che
agiscono con modalità eterogenea sulle diverse componenti e che, per questa ragione,
portano a determinare un entità del capitale dell’impresa che, comunque si consideri,
non costituisce un punto di riferimento corretto per alcun tipo di analisi.
Poiché lo scopo principale della valutazione è quello di definire il rendimento del
capitale che l’imprenditore ha investito nell’attività, è necessario che tale valutazione
avvenga riferendo il valore degli investimenti al momento in cui l’imprenditore li ha
effettuati3. Operando la valutazione secondo tale criterio, che rappresenta il più aderente
agli scopi della gestione dell’impresa, è necessario individuare la modalità corretta per
stabilire il valore di ciascuna componente del capitale determinando il relativo
ammontare dell’investimento effettivamente prodotto dall’imprenditore.
Per le componenti indifferenziate del capitale lordo (liquidità immediate e
differite, immobilizzazioni finanziarie) e per tutte le voci del capitale di terzi non
sussistono problemi di valutazione, essendo le singole componenti già espresse in
termini monetari.
Per le componenti differenziate (rimanenze e immobilizzazioni materiali e
immateriali), invece, è necessario procedere ad una valutazione attraverso una modalità
che risulti coerente con il criterio generale con cui viene condotta la valutazione.
- RIMANENZE
ƒ Materie prime (fattori a logorio totale):
se acquistate: prezzo d’acquisto
se di produzione aziendale: costo di produzione
ƒ Prodotti finiti e merci: prezzo (presumibile) di vendita
ƒ Prodotti in corso di lavorazione: costo di produzione (fino allo stadio attuale)
- IMMOBILIZZAZIONI
ƒ Materiali (fattori a logorio nullo o parziale)
se a logorio nullo (terreni): valore di acquisizione
se a logorio parziale: valore attuale
ƒ Immateriali (fattori a logorio parziale): valore attuale
Fra i metodi di valutazione appena elencati ve ne sono alcuni, quali il costo di
produzione e il valore attuale, che al momento possono risultare non completamente
comprensibili.
Il significato e le modalità di calcolo del costo di produzione saranno descritte nel
paragrafo 3.2, al quale si rimanda per ulteriori chiarimenti; per quanto riguarda il
calcolo del valore attuale, questo è determinato come differenza fra il prezzo di acquisto
e il valore che il bene ha perso durante gli esercizi amministrativi trascorsi dal momento
3 Sono quindi da evitare rivalutazioni di qualunque genere che introducono variazioni nell’entità dell’effettivo
impiego di capitale prodotto dall’imprenditore. Se, invece, lo scopo dell’analisi è quello di stabilire quanto
renderebbe il capitale nell’ipotesi che l’investimento venisse tutto prodotto a valori correnti, è necessario applicare le
opportune rivalutazioni per giungere alla corretta determinazione del capitale stesso. Nell’operare questo
procedimento, comunque, deve essere usata sempre molta accortezza. Se, ad esempio, la rivalutazione di un impianto
viene eseguita ricorrendo al criterio del costo di ricostruzione, il risultato potrebbe avere scarso significato se questo
è stato realizzato molti anni prima. L’attività produttiva condotta con tale impianto, infatti, potrebbe risultare
inefficiente non consentendo di raggiungere risultati economici adeguati al valore attribuito all’impianto stesso.
- 19 -
della sua acquisizione4.
I fattori a logorio parziale, infatti, hanno la caratteristica di fornire i loro servizi in
un arco temporale che copre più esercizi amministrativi; di conseguenza il costo
sostenuto per la loro acquisizione deve essere ripartito fra i diversi anni in cui se ne
prevede l’utilizzazione. Il costo attribuito ad ogni esercizio amministrativo, che
corrisponde alla porzione del valore iniziale che viene “persa” nell’esercizio stesso,
prende il nome di quota di ammortamento.
Per determinare l’ammontare della quota di ammortamento si fa ricorso a criteri
che definiscono una annualità costante per tutto il periodo presunto di durata del bene5.
Tali criteri, che rispondono a esigenze diverse (valutazione del capitale, determinazione
dei costi, analisi degli investimenti), differiscono per la modalità con cui la quota stessa
viene calcolata. Uno dei metodi più frequentemente adottati, detto aritmetico, valuta
l’entità della quota di ammortamento dividendo per gli anni di durata del bene la
differenza tra il valore a nuovo e il valore di recupero, attraverso la relazione seguente:
Qa =
(V0 − Vr )
n
in cui V0 indica il valore a nuovo del bene (prezzo di acquisto), Vr il valore di recupero
al termine del periodo di utilizzazione6, n gli anni di durata presunta. E’ questo il
metodo solitamente applicato per risalire al valore attuale dei beni patrimoniali e che,
quindi, consente di determinare l’entità del capitale e il suo livello di redditività.
Una volta attribuito il valore alle componenti differenziate è possibile determinare
la consistenza del capitale lordo. La sua entità, insieme con quella del capitale di terzi e
del capitale netto, può essere rappresentata in uno schema leggermente differente di
quello di figura 2. In questa forma, riportata in figura 3, le componenti del capitale lordo
costituiscono gli impieghi dei finanziamenti le cui fonti sono rappresentate dal capitale
netto e dal capitale di terzi. Questa schematizzazione consente di determinare alcuni
valori che forniscono utili indicazioni sulla situazione finanziaria e patrimoniale
dell’impresa; tre di questi, evidenziati in figura 3, assumono particolare interesse.
Margine di tesoreria (MT): ottenuto sottraendo dalle disponibilità liquide (liquidità
immediate + liquidità differite) i debiti a breve; esprime la capacità dell’impresa di
finanziare l’attività produttiva attraverso le proprie disponibilità liquide, una volta
soddisfatti i debiti assunti nel breve periodo.
Margine di disponibilità (MD): ottenuto sottraendo dal capitale circolante (liquidità e
rimanenze) i debiti a breve; esprime la capacità dell’impresa di finanziare l’attività
produttiva, facendo assegnazione anche sulle rimanenze. Questo valore viene indicato
anche come capitale circolante netto in quanto proviene dal capitale circolante (lordo)
epurato dei debiti che contribuiscono a finanziarlo.
Margine di struttura (MS): ottenuto sottraendo dal capitale netto il valore del capitale
4 Se una attrezzatura è stata acquistata cinque anni prima rispetto alla data in cui avviene la rilevazione del capitale e
si ritiene che la sua utilizzazione si protragga per altri cinque anni, dal suo valore di acquisto andrà sottratta la parte
consumata, ossia le cinque annualità assegnate come costi nei precedenti esercizi ed il valore attuale sarà ripartito
come costo nei successivi cinque anni.
5 La durata è “presunta” in quanto all’atto dell’acquisto non è dato conoscere con esattezza per quante annualità esso
potrà essere utilizzato, considerando sia la sua usura che l’eventuale obsolescenza tecnica.
6 Il valore V , che è quello si pensa di recuperare alla fine del periodo presunto di utilizzazione, non si realizza per
r
tutti i beni; in alcuni casi è nullo e in altri la sua dismissione può comportare dei costi aggiuntivi, come accade, ad
esempio, nella demolizione di alcuni fabbricati o nello smaltimento di particolari attrezzature.
- 20 -
fisso (immobilizzazioni); esprime quanta parte del capitale immobilizzato risulta
finanziata dal capitale netto e, quindi, può essere considerata di proprietà dell’impresa.
L’entità assunta dai singoli “margini” fornisce una misura sintetica della struttura
patrimoniale dell’impresa che, comunque, deve essere sempre interpretata in relazione
al settore di attività in cui è impegnata. Questi aspetti che, come si intuisce, rivestono
grande rilevanza per l’impostazione delle strategie produttive e commerciali, verranno
affrontati in maniera più approfondita nell’ambito dell’analisi di bilancio, di cui la
valutazione dell’equilibrio finanziario costituisce uno dei principali aspetti.
Figura 3 – Schematizzazione alternativa del capitale dell’impresa
- 21 -
~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~
L’inventario condotto in un’impresa ha fornito i dati elencati nel prospetto
seguente. Procedere ad una loro classificazione evidenziando l’entità di capitale lordo
e capitale netto e determinare il valore dei margini di tesoreria, disponibilità e
struttura.
ELENCO DELLE COMPONENTI
Valore
(€x1.000)
STRUTTURE
Terreni e fabbricati
Attrezzature industriali
Impianti e macchinari
Automezzi
2.953
215
500
650
MAGAZZINI
Rimanenze materie prime
Rimanenze prodotti
Prodotti semilavorati
UFFICIO AMMINISTRATIVO
3
10
185
Cassa
Banca
Fornitori
Clienti
Crediti diversi
Debiti erariali
Debiti v/enti previdenziali
Mutui fondiari
Prestiti di conduzione
Altri finanziamenti poliennali
Fondo TFR
UFFICIO COMMERCIALE/DIREZIONE
73
352
120
155
5
7
4
355
180
25
225
Buoni del Tesoro
Quote di altre imprese
Spese di pubblicità
Marchio
- 22 -
20
150
35
25
Classificando le singole componenti nella forma opportuna e sommando i relativi
valori si perviene alla determinazione del capitale lordo e del capitale di terzi.
ATTIVITA’ (IMPIEGHI)
Denaro, valori e assegni in cassa
Depositi bancari e postali
Liquidità Immediate
Crediti verso clienti
Titoli di credito e azioni
Altri crediti
Liquidità Differite
Materie prime
Prodotti in corso di lavorazione
Prodotti finiti e merci
Rimanenze
CAPITALE CIRCOLANTE
PASSIVITA’ (FONTI)
73
352
425
155
20
5
180
3
185
10
198
803
Terreni e fabbricati
Impianti e macchinari
Attrezzature industriali e commerciali
Automezzi e dotazioni uffici
Immobilizzazioni Materiali
Ricerca, sviluppo e pubblicità
Brevetti, licenze e marchi
Immobilizzazioni immateriali
Partecipazioni in altre imprese
Immobilizzazioni Finanziarie
CAPITALE IMMOBILIZZATO
2.953
500
215
650
4.318
35
25
60
150
150
4.528
CAPITALE LORDO
5.331
Debiti verso fornitori
Debiti verso banche
Debiti tributari ed erariali
Debiti verso enti previdenziali
Esigibilità nell’esercizio
DEBITI A BREVE
120
180
7
4
311
311
Debiti verso banche
Debiti verso altri finanziatori
Esigibilità oltre L’esercizio
Trattamento di fine rapporto
Fondi Accantonati
DEBITI MEDIO/LUNGO
355
25
380
225
225
605
CAPITALE DI TERZI
916
CAPITALE NETTO
4.415
Il valore del capitale netto, rappresentato dalla differenza fra capitale lordo e
capitale di terzi, risulta pari a:
CN = Capitale Lordo (CL) – Capitale di Terzi (CT) = 5.331.000 – 916.000 = 4.415.000 €
I valori delle diverse voci ottenute dalla classificazione delle componenti del
capitale consentono di procedere alla determinazione degli indici patrimoniali:
MT = Liquidità - Debiti a breve = 425.00 + 180.000 – 311.000 = 294.000 €
MD = Capitale circolante - Debiti a breve = 803.000 – 311.000 = 592.000 €
MS = Capitale netto – Immobilizzazioni = 4.415.000 – 4.528.000 = -113.000 €
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
- 23 -
1.2 IL LAVORO NELL’IMPRESA7
1.2.A IL LAVORO DIPENDENTE
I lavoratori dipendenti sono definiti come “tutte le persone che, per contratto,
lavorano per un’altra istituzione, percependo una remunerazione (registrata come
redditi da lavoro dipendente)”. A tale categoria appartengono tutte le persone assunte da
un datore di lavoro (impresa, unità istituzionale dell’amministrazione pubblica o
istituzione senza scopo di lucro) sulla base di un contratto di lavoro.
La classificazione del rapporto di lavoro dipendente avviene in relazione a due
aspetti principali essenziali: durata del contratto (tempo indeterminato o tempo
determinato) e durata della prestazione (tempo pieno o tempo ridotto). Una ulteriore
distinzione può essere effettuata fra le modalità di lavoro distinguendo da quella
“classica” (quando il lavoratore svolge la sua attività presso l’impresa con la quale ha
stipulato il contratto di lavoro) le altre che presentano caratteri particolari, come il
lavoro a domicilio, il lavoro interinale e il telelavoro8.
Fra i contratti a tempo indeterminato, oltre a quelli “tipici” regolati dal contratto
nazionale di categoria, sono inclusi i contratti part-time, che regolano i rapporti di
lavoro con una prestazione settimanale ridotta rispetto a quella definita nel contratto
nazionale di categoria, e i contratti di job-sharing, o lavoro a coppia, che prevedono lo
svolgimento del lavoro equivalente ad una prestazione a tempo pieno attraverso
l’impiego di due occupati.
Le forme di lavoro a tempo determinato possono assumere caratterizzazioni molto
differenti. Il contratto a tempo determinato in senso stretto, che può essere a tempo
pieno o a tempo ridotto, presenta, se si esclude l’apposizione di un termine temporale, le
stesse caratteristiche di un contratto tipico o part-time. Viene denominato “in senso
stretto” per distinguerlo dalle altre tipologie contrattuali a tempo determinato. Fra
queste sono da considerare:
- apprendistato, che ha la caratteristica principale nella natura mista del contratto; la
prestazione lavorativa, infatti, viene scambiata non solo con il salario, ma anche con
l’addestramento teorico- pratico, finalizzato alla qualifica professionale;
- formazione e lavoro, nella quale, analogamente all’apprendistato, il datore di lavoro
è sottoposto all’obbligo di provvedere all’addestramento professionale del giovane
assunto (contratto di lavoro a causa mista);
- stage o tirocinio, che rappresenta per i giovani un occasione per entrare in contatto
con il mondo del lavoro, alternando momenti di studio e lavoro, senza dare origine ad
un rapporto di lavoro vero e proprio;
7 Il contenuto di questo paragrafo rappresenta una sintesi del documento “Proposta di classificazione dei rapporti di
lavoro subordinato e delle attività di lavoro autonomo: analisi del quadro normativo” curato da Nadia Di Veroli e
Roberta Rizzi dell’ISTAT e presentato nel Gennaio 2002
8 L’aspetto caratteristico del lavoro a domicilio e del telelavoro è che il lavoratore può rendere la propria prestazione
senza recarsi presso il luogo di lavoro. Il lavoro a domicilio, dal punto di vista retributivo, si può considerare una
forma di “lavoro a cottimo”, ossia un rapporto di lavoro subordinato dove però la remunerazione del lavoratore è
commisurata al lavoro commissionato. Nel caso del telelavoro l’attività lavorativa è svolta attraverso l’utilizzo di
strumenti informatici che consentono sia il contatto continuo tra datore di lavoro e lavoratore sia una forma di
controllo da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Il lavoro interinale è caratterizzato dalla presenza
di un terzo soggetto (l’agenzia) che assume i dipendenti (con contratto per prestazione di lavoro temporaneo) per poi
“fornirli” (con un contratto di fornitura) alle imprese richiedenti.
- 24 -
- borse di lavoro, lavori socialmente utili, piani d’inserimento professionale, tre
diverse tipologie di contratto istituite con la legge 196/97 (pacchetto Treu), alcuni dei
quali attualmente non sono più in vigore.
La tabella 1 schematizza la suddivisione effettuata fra le varie tipologie
contrattuali a tempo indeterminato e determinato, indicando le relative modalità di
lavoro (classica, a domicilio, interinale, telelavoro) e di durata della prestazione (tempo
pieno o ridotto) previste per legge.
Tabella 1 - Classificazione delle tipologie contrattuali
Modalità di svolgimento del lavoro
Classica
Tipologie Contrattuali
Tempo
pieno
A domicilio
Parttime
Interinale
Tempo
pieno
Parttime
Telelavoro
Tempo
pieno
Parttime
A TEMPO INDETERMINATO
Contratti tipici
x
x
x
Contratti part-time
Job sharing
x
x
x
In senso stretto
x
x
Apprendistato
x
x
Formazione e lavoro
x
x
x
x
x
A TEMPO DETERMINATO
x
x
x
x
x
x
x
Tirocini o stage
Borse di lavoro
Lavori socialmente utili
Piani inserimento prof.
x
CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO
CONTRATTI TIPICI
Il rapporto di lavoro subordinato è la forma più diffusa di utilizzazione
dell’attività lavorativa. E’ quel rapporto di lavoro che si instaura tra un datore di lavoro
ed un soggetto che assume la qualifica di lavoratore dipendente. E’ un classico contratto
di scambio nel quale il dipendente presta la propria opera e mette a disposizione il
proprio tempo e le proprie energie nei confronti di un altro soggetto, il quale ha la
facoltà di organizzare, dirigere e utilizzare l’altrui attività in cambio di una retribuzione.
Le condizioni del rapporto vengono fissate all’atto dell’assunzione mediante la
stipula del contratto di lavoro. Solitamente le condizioni contrattuali sono standard,
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ossia si riferiscono alle condizioni previste dai contratti collettivi di riferimento per quel
settore di attività (i cosiddetti CCNL). La legge fissa la soglia di trattamento minimo a
garanzia dei diritti inderogabili del lavoratore, il miglioramento delle condizioni minime
è poi lasciato alla contrattazione individuale, portata avanti dal singolo lavoratore o alla
contrattazione collettiva, di competenza delle organizzazioni sindacali.
Una volta formalizzata l’assunzione, il lavoratore sarà tenuto a svolgere la
prestazione lavorativa oggetto del contratto, ossia a svolgere le mansioni per le quali è
stato assunto. Il datore di lavoro può modificare le mansioni assegnate al lavoratore,
purché tale modifica non leda la professionalità acquisita dal dipendente, e detiene il
potere direttivo (decisione dell’attività da affidare al lavoratore e indicare le modalità
con cui deve essere svolta), di vigilanza e controllo (facoltà di verificare direttamente o
tramite collaboratori che il lavoratore si attenga alle istruzioni date) e disciplinare
(applicare sanzioni disciplinari al lavoratore che non rispetti gli obblighi).
Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato può terminare per scelta consensuale
delle parti, per decisione unilaterale del datore di lavoro (licenziamento) o del
dipendente (dimissioni). Il datore di lavoro può licenziare il dipendente solo in presenza
di valide ragioni (giusta causa o giustificato motivo); in ogni caso il lavoratore può
verificare le motivazioni addotte e, nel caso di licenziamento illegittimo, il datore di
lavoro sarà soggetto alle conseguenze previste dalla legge. In caso di risoluzione del
rapporto di lavoro, qualunque ne sia il motivo, il lavoratore ha diritto alla riscossione
del trattamento di fine rapporto (il cosiddetto TFR), ossia una sorta di accantonamento
che matura durante lo svolgimento del rapporto di lavoro.
PART-TIME
Il contratto a tempo parziale (o part-time) è un rapporto di lavoro subordinato
contraddistinto da un orario di lavoro ridotto rispetto all’orario normale stabilito dalla
legge o dai contratti collettivi per i lavoratori a tempo pieno. La disciplina legislativa in
vigore consente la pattuizione di riduzione di orario di lavoro in senso orizzontale
(lavoro tutti i giorni in misura ridotta), verticale (lavoro a tempo pieno solo alcuni
giorni) o misto (combinazione delle due forme precedenti). Le condizioni della
prestazione lavorativa a tempo parziale sono rimesse alla contratto collettivo nazionale,
territoriale e aziendale e devono essere stipulate per accordo scritto tra le parti. Il
contratto part-time non prevede a priori una limitazione temporale del rapporto.
I lavoratori a tempo parziale hanno diritto al trattamento economico previsto per i
lavoratori a tempo pieno proporzionato alla durata dell’orario di lavoro part-time; in
ogni caso l’ammontare della retribuzione da prendere a base per il calcolo dei contributi
previdenziali non può essere inferiore ad un particolare “minimale”.
JOB-SHARING
Il contratto di lavoro ripartito, detto anche lavoro a coppia o job-sharing, è un
contratto di lavoro con il quale più lavoratori, solitamente due, assumono
contemporaneamente una medesima obbligazione di lavoro subordinato che corrisponde
ad un solo posto di lavoro a tempo pieno. Questa particolare forma di lavoro si presenta
come uno strumento flessibile particolarmente vantaggioso sia per le imprese, dal
momento che garantisce normalmente una maggiore produttività del lavoro, che per gli
stessi lavoratori che possono beneficiare di una migliore gestione del tempo. I
lavoratori, infatti, hanno la facoltà di ripartirsi, secondo le proprie esigenze, l’orario e la
quantità di lavoro, anche in base a modalità di volta in volta differenti.
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D’altro canto sono presenti anche alcune limitazioni. Nel contratto devono essere
indicate la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro che si prevede
venga svolto da ciascun lavoratore. Ciascun lavoratore è responsabile per intero della
prestazione, ne consegue che, in caso d’inadempimento da parte di uno dei lavoratori, il
datore di lavoro può pretendere l’adempimento dell’intera prestazione da parte
dell’altro. Le persone che lavorano con lo stesso contratto hanno il vincolo di sostituirsi
vicendevolmente in caso d’impedimento di uno di loro, in modo tale che nell’orario di
lavoro sia sempre presente una persona.
Il job-sharing si distingue dal part-time sotto due aspetti: non è espressamente
disciplinato dalla legge e i lavoratori condividono la medesima obbligazione
contrattuale, in quanto sono titolari e responsabili del medesimo rapporto contrattuale.
La retribuzione spettante a ciascun lavoratore è calcolata in base alla prestazione
effettivamente svolta. Per gli aspetti previdenziali ed assicurativi i due lavoratori
contitolari del contratto sono assimilabili ai lavoratori a tempo parziale.
Il licenziamento o le dimissioni di un lavoratore della coppia dovrebbe
comportare l’estinzione dell’intero contratto. Tuttavia al datore di lavoro è data la
facoltà di accettare l’ingresso “nella coppia” di un altro lavoratore oppure di convertire
il job-sharing in contratto a tempo pieno con il lavoratore che è rimasto a disposizione.
CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO
LAVORO A TEMPO DETERMINATO IN SENSO STRETTO
Sono contratti per molti aspetti simili a quelli tipici, con la fondamentale
differenza che vi viene apposto un termine9. Il termine del contratto di lavoro può essere
stabilito sia con riferimento ad una certa data del calendario, sia con riferimento al
ricorrere di un evento il cui verificarsi sia relativamente certo.
Non esiste un limite minimo o massimo della durata, tranne nel caso dei dirigenti
per i quali non può eccedere i cinque anni. Il contratto a tempo determinato può essere
prorogato, eccezionalmente, una sola volta, per un tempo non superiore alla durata del
contratto iniziale. La proroga deve essere richiesta per ragioni oggettive, e si deve
riferire alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto era stato stipulato. Qualora
il contratto venisse irregolarmente prorogato o si protraesse oltre la scadenza
inizialmente pattuita, il rapporto dovrebbe considerarsi a tempo indeterminato. Nel caso
di stipula di più contratti successivi, affinché non si verifichi tale trasformazione, è
necessario che tra un contratto e l’altro intercorra un lasso di tempo minimo, superiore a
quindici o trenta giorni, a seconda che il primo contratto abbia avuto una durata
rispettivamente inferiore o superiore a sei mesi.
Il lavoratore a tempo determinato ha diritto allo stesso trattamento economico
degli assunti a tempo indeterminato in proporzione al periodo lavorativo prestato.
9 Sussiste il divieto di apporre un termine al contratto in una serie di casi espressamente dichiarati:
a) sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti
collettivi di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;
c) presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione
dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle
mansioni cui si riferisce il contratto a termine;
d) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
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APPRENDISTATO
L’apprendistato è uno speciale rapporto di lavoro in cui il datore di lavoro è
obbligato, oltre a corrispondere una retribuzione al lavoratore per l’opera che presta
nell’impresa, ad impartire l’insegnamento necessario perché questi possa conseguire la
capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato.
L’apprendista non è un normale lavoratore subordinato, quindi non può essere
ritenuto né un impiegato né un operaio. La distinzione tra l’apprendista e il lavoratore
subordinato non è nella qualifica formale di assunzione, né nell’età del lavoratore, né
nella retribuzione corrisposta, ma nel diritto dell’apprendista, contestualmente
all’obbligo di prestare la propria collaborazione nell’impresa, di ricevere un
insegnamento professionale. Trattasi di un rapporto a causa mista, dove la prestazione
lavorativa dell’apprendista viene scambiata non solo con il salario, ma anche con
l’addestramento teorico-pratico finalizzato alla qualifica professionale. La formazione
dell’apprendista deve essere svolta all’interno dell’azienda per affiancamento e
all’esterno mediante la frequenza di specifici corsi.
Possono essere assunti come apprendisti i giovani di età compresa tra i 16 anni e i
24 anni, con alcune eccezioni che accrescono il massimale. La durata del rapporto è
limitata dalla legge che stabilisce una durata minima di 18 mesi ad una massima di 4
anni. L’orario di lavoro non può superare le 8 ore giornaliere e le 44 settimanali.
La retribuzione che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere all’apprendista è
stabilita dal contratto collettivo o, se questo non esiste, dall’accordo tra l’apprendista e
il datore di lavoro. Il trattamento contributivo per gli apprendisti si differenzia da quello
stabilito per la generalità dei lavoratori in quanto l’ammontare dei contributi è inferiore
ed inoltre gli apprendisti non sono soggetti a tutte le forme assicurative. Il beneficio
contributivo permane per l’intera durata del rapporto di apprendistato e prosegue per i
12 mesi successivi all’eventuale trasformazione a tempo indeterminato. L’intero costo
del personale con qualifica di apprendista non concorre a formare la base imponibile ai
fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).
FORMAZIONE E LAVORO
Il contratto di formazione e lavoro (CFL) dà luogo ad un particolare rapporto di
lavoro a tempo determinato contraddistinto, oltre che dallo scambio fra prestazione
lavorativa e retribuzione, dall’obbligo del datore di lavoro di provvedere
all’addestramento professionale del giovane assunto. Le ore da dedicare alla formazione
e quelle da dedicare alla prestazione lavorativa vengono stabilite dall’azienda, mentre il
progetto formativo viene sottoposto alle Commissioni regionali per l’impiego.
L’incidenza dell’attività di formazione varia se il rapporto è mirato ad acquisire
professionalità elevate oppure ad agevolare l’inserimento professionale mediante
un’esperienza lavorativa che consenta un adeguamento delle capacità professionali al
contesto produttivo e organizzativo.
Possono essere assunti con CFL i lavoratori con età compresa fra 16 e 25 anni,
aumentati a 29 per i laureati e a 32 per i disoccupati di lunga durata. La durata massima
dei CFL è stabilita dalla legge in 12 mesi (inserimento professionale), 24 mesi
(acquisizione di professionalità elevate) o 36 mesi (attività di ricerca).
Il lavoratore assunto con CFL ha diritto al medesimo trattamento economico
previsto per i lavoratori assunti con ordinario contratto di lavoro subordinato. Per i
datori di lavoro che assumono giovani con CFL sono previste agevolazioni contributive.
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TIROCINI FORMATIVI O STAGES
Il tirocinio è un rapporto triangolare tra un tirocinante, di qualsiasi età purché
abbia assolto gli obblighi scolastici, un’azienda ospitante (pubblica o privata) e un Ente
promotore. Quest’ultimo può essere un’Agenzia regionale per l’impiego, un Ufficio del
Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, un Università, un istituzione scolastica,
un centro pubblico di formazione professionale, una comunità terapeutica, una
cooperativa sociale. L’Ente promotore stipula con l’azienda una convenzione e allega
un progetto formativo e di orientamento per ciascun tirocinio, dove vengono esplicitate
le mansioni da svolgere, la durata, il luogo di svolgimento, i nomi dei responsabili.
L’Ente promotore garantisce la presenza di un tutor come responsabile didatticoorganizzativo delle attività mentre l’azienda ospitante indica il responsabile al quale i
tirocinanti devono fare riferimento. L’esperienza, certificata dalle strutture promotrici,
ha valore di credito formativo e può essere riportata nel curriculum dello studente o del
lavoratore ai fini dell’erogazione da parte delle strutture pubbliche dei servizi per
favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro.
I tirocini formativi rappresentano per i giovani un’opportunità per facilitare le
proprie scelte professionali attraverso la conoscenza diretta del mondo del lavoro e
un’occasione per realizzare momenti d’alternanza tra studio e lavoro. Per le aziende
rappresentano uno strumento attraverso il quale è possibile operare una preselezione del
personale senza obblighi di assunzione. Infatti, il tirocinio non si configura come
rapporto di lavoro, e quindi non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento.
La durata del contratto varia da 6 a 12 mesi durante i quali il tirocinante o stagista
non è sottoposto ad alcun vincolo di orario relativamente all’attività prestata.
Il tirocinio, non rappresentando un rapporto di lavoro, non è in alcun modo
retribuito. Tuttavia, è consentito al tirocinante il rimborso delle spese documentate,
quali buoni pasti, trasporti, ecc. Non sono previste forme di previdenza obbligatoria, dal
momento che il tirocinio non rappresenta un rapporto di lavoro, ad esclusione del fatto
che gli Enti promotori sono tenuti ad assicurare i tirocinanti presso l’Istituto nazionale
per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), nonché presso un’idonea
compagnia assicuratrice per la responsabilità civile verso terzi.
ALTRE FORME DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO
Borse di lavoro: rappresentano una nuova opportunità per favorire l’incontro tra aziende
e disoccupati nelle aree che registrano un tasso di disoccupazione superiore alla media
nazionale10, con l’obiettivo di creare posti stabili, attraverso la riduzione contributiva in
caso di assunzione a tempo indeterminato. Prevedono la possibilità di inserire in
aziende appartenenti a determinati settori, giovani di età compresa tra 21 e 32 anni,
iscritti alle liste di collocamento da almeno 30 mesi. L’attività del borsista deve
svolgersi per almeno 3 giorni a settimana ma non si possono superare le 8 ore al giorno
per un totale di 20 ore settimanali. La durata del contratto, che non determina
l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, è compresa fra i 10 e i 12 mesi e
prevede un retribuzione, erogata dall’INPS, pari a circa 400 € mensili.
10 Le aree in cui sono attive le borse lavoro sono le regioni Sardegna, Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata, Puglia,
Abruzzo, Molise e le province di Massa Carrara, Frosinone, Roma, Latina, Viterbo.
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Lavori Socialmente Utili (LSU): indicano tutte le attività che hanno per oggetto la
realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, mediante l’utilizzo di
particolari categorie di soggetti (lavoratori in cerca di prima occupazione, disoccupati
iscritti da più di due anni alle liste di collocamento, iscritti alle liste di mobilità,
lavoratori individuati dalle commissioni regionali per l’impiego, detenuti ammessi a
lavoro esterno). I soggetti promotori (enti locali, amministrazioni pubbliche, società a
prevalente partecipazione pubblica, cooperative sociali) si devono impegnare a
realizzare nuove attività stabili e devono indicare nel progetto un piano d’impresa.
L’attività nell’ambito del progetto non deve essere inferiore alle 20 ore settimanali ma
non eccedere le 8 ore giornaliere. Il superamento dell’orario fissato comporta l’obbligo
di erogare una somma integrativa. La durata del contratto è di 12 mesi prorogabili per
due periodi di 6 mesi ciascuno e prevede un sussidio di circa 400 € erogato dall’INPS.
Questo tipo di contratto non è più attivo dal 2002.
Piani di Inserimento Professionale (PIP): sono attuati attraverso progetti che hanno lo
scopo di migliorare la formazione e di facilitare l’inserimento professionale dei giovani
nelle aree del mezzogiorno e in altre aree depresse. I progetti sono realizzati dal
Ministero del Lavoro d’intesa con le regioni interessate e prevedono periodi di
formazione e di esperienza lavorativa presso le imprese. Possono essere assunti nei PIP
i giovani tra i 19 e i 32 anni la cui partecipazione ai progetti non può superare le 80 ore
mensili per un massimo di 12 mesi. Ai giovani è corrisposto, da parte delle Direzioni
Provinciali del Lavoro, un sussidio di circa 4 € per ogni ora di formazione svolta e di
attività prestata. La metà dell’indennità, esclusa quella delle ore di formazione, è a
carico del datore di lavoro, la parte restante a carico del Fondo per l’Occupazione.
MODALITA’ DI SVOLGIMENTO DEL LAVORO
LAVORO A DOMICILIO
La legge definisce lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di
subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in un locale di cui abbia disponibilità,
anche con l’aiuto accessorio di membri della sua famiglia, ma con esclusione di
manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più
imprenditori committenti, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie
oppure dello stesso imprenditore. Per la configurazione del rapporto di lavoro a
domicilio è sufficiente che il lavoratore sia tenuto ad osservare le direttive
dell’imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche ed i requisiti del
lavoro da svolgere. Proprio in virtù della sussistenza di una subordinazione del
lavoratore al committente. il lavoro a domicilio si distingue dal lavoro autonomo. I
datori di lavoro che intendono commissionare lavoro a domicilio devono iscriversi in un
apposito “registro dei committenti” istituito presso l’ufficio provinciale del lavoro.
I lavoratori a domicilio debbono essere retribuiti sulla base di tariffe di cottimo
pieno, determinate dai contratti collettivi di categoria; in mancanza di queste, le tariffe e
le indennità accessorie sono fissate da una apposita Commissione a livello regionale. I
contributi a carico del datore di lavoro e del lavoratore sono gli stessi in vigore per la
generalità dei lavoratori. I lavoratori a domicilio hanno diritto alle prestazioni
previdenziali previste per la generalità degli altri lavoratori ma con alcune differenze
dovute alle peculiarità del rapporto di lavoro.
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TELELAVORO
Il Telelavoro racchiude tutte le forme di lavoro effettuate in un luogo distante
dall’ufficio centrale o dal centro di produzione, mediante l’utilizzo delle tecnologie
informatiche che favoriscono la comunicazione. Gli elementi caratterizzanti sono quello
“spaziale”, nel senso che il lavoratore può rendere la propria prestazione senza recarsi
nel luogo di lavoro, e quello “tecnologico”, inteso come utilizzo di strumenti che
consentono al lavoratore di mantenere un collegamento con il datore di lavoro, pur in
assenza di una presenza fisica in azienda. Il telelavoro, benché sia una prestazione
d’opera svolta al di fuori dei confini aziendali, non implica una trasformazione del
rapporto di lavoro, dal momento che risulta essere solo un modo diverso per svolgere la
propria attività lavorativa.
Un telelavoratore può avere un contratto a tempo indeterminato o determinato, a
tempo pieno o part-time; di conseguenza le caratteristiche di questa tipologia lavorativa
sono desumibili dalla contrattazione e dalla legislazione cui essa fa capo. Tuttavia
risulta difficoltoso considerare i telelavoratori quali lavoratori subordinati, dato che
alcuni degli aspetti tipici del lavoro dipendente assumono, in questo caso, caratteristiche
assolutamente particolari. Basti pensare all’orario di lavoro gestito non in base a rigide
disposizioni aziendali ma mediante un collegamento telematico.
Gli aspetti positivi di tale forma di lavoro sono legati a vantaggi individuali
(riduzione degli spostamenti, orario di lavoro più flessibile e congeniale alle proprie
esigenze, aumento del tempo libero a parità di ore lavorate) e collettivi (riduzione di
traffico e inquinamento). Tra i lati negativi sono da considerare l’assenza di momenti di
socializzazione, insiti nello svolgimento di un’attività lavorativa con altri colleghi, la
perdita di contatto con l’azienda, la difficoltà di ricevere una tutela sindacale dei propri
diritti. La possibilità di realizzare periodi di rientro in azienda, accompagnati da
interventi formativi, rappresenta un modo per annullare alcuni di tali svantaggi.
LAVORO INTERINALE
E’ il contratto mediante il quale un’impresa di fornitura di lavoro temporaneo
(impresa fornitrice) pone uno o più lavoratori da essa assunti a disposizione di
un’impresa che ne utilizzi la prestazione lavorativa (impresa utilizzatrice) per il
soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo, rientranti tra quelle previste dalla
legge o dai contratti collettivi. Il lavoratore interinale, pur essendo assunto e retribuito
dall’impresa fornitrice, svolge la propria attività sotto la direzione e il controllo
dell’impresa utilizzatrice. L’impresa utilizzatrice paga all’agenzia sia l’ammontare della
retribuzione del lavoratore che il servizio di fornitura della manodopera. Il lavoro
interinale si configura, quindi, come un rapporto trilaterale tra lavoratore, agenzia di
lavoro temporaneo e impresa utilizzatrice. I rapporti intercorrenti tra i tre soggetti sono
regolati da due distinti contratti: il contratto di fornitura ed il contratto per prestazioni
di lavoro temporaneo, dettagliatamente disciplinati dalla legge.
Il ricorso al lavoro interinale è ammesso solo per la temporanea copertura di ruoli
non previsti dai normali assetti aziendali o per sostituire lavoratori assenti. L’attività di
fornitura di lavoro temporaneo può essere esercitata soltanto da società iscritte in
apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro.
Il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, con il quale l’impresa fornitrice
assume il lavoratore che metterà a disposizione dell’impresa utilizzatrice, prevede
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un’assunzione a termine, per una durata corrispondente a quella della prestazione
lavorativa presso l’impresa utilizzatrice, oppure a tempo indeterminato, nel qual caso il
lavoratore rimane a disposizione dell’impresa fornitrice percependo comunque
un’indennità mensile. Il prestatore di lavoro temporaneo ha diritto ad un trattamento
retributivo non inferiore a quello corrisposto ai dipendenti di pari livello dell’impresa
utilizzatrice. I contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice stabiliscono modalità e criteri
per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche. Gli oneri
contributivi per le assicurazioni obbligatorie gestite dall’INPS e dall’INAIL sono a
carico dell’impresa fornitrice, inquadrata, ai fini previdenziali, nel settore terziario.
DATI SUL LAVORO DIPENDENTE IN ITALIA
Al termine della illustrazione delle diverse tipologie e modalità di svolgimento del
lavoro dipendente previste dall’ordinamento attuale, si ritiene utile fornire
un’indicazione molto generale del numero di lavoratori appartenenti alle principali
categorie individuate così come rilevato durante l’ultimo censimento della popolazione
condotto il Italia nel 2001.
Nella tabella 2 viene riportato il numero di occupati dipendenti, distinti fra assunti
a tempo indeterminato e alcune tipologie di contratto a tempo determinato. Come si
osserva, la quota di occupati a tempo indeterminato è nettamente prevalente con un
incidenza sul totale che sfiora l’84%. Tale dato, a distanza di oltre cinque anni dal
censimento, si è certamente ridotto in relazione all’effetto di alcune recenti politiche che
hanno notevolmente incrementato la flessibilità del lavoro dipendente. Nella tabella 3
gli occupati sono distinti fra tempo pieno e part-time, evidenziando una presenza dei
secondi che supera l’11%, un valore non trascurabile se si considera la relativamente
recente introduzione di questa forma contrattuale.
Tabella 2 - Occupati dipendenti per rapporto di lavoro (ISTAT, 2001)
RAPPORTO DI LAVORO
A tempo indeterminato
Occupati
12.910.269
Contratto di apprendistato
228.528
Contratto di formazione e lavoro
392.639
Contratto di lavoro interinale
212.594
Altri contratti a tempo determinato
1.635.006
Totale a tempo determinato
2.468.767
Totale
15.379.036
Tabella 3 - Occupati dipendenti per tipo di impegno (ISTAT, 2001)
Tipologia impegno
Occupati
A tempo pieno
18.661.036
A tempo parziale
2.332.696
Totale
20.993.732
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1.2.B IL LAVORO AUTONOMO
Il lavoro autonomo si identifica nella prestazione di un’opera o servizio, da parte
di una persona nei confronti di un committente, dietro corrispettivo di un pagamento in
denaro o natura. Il lavoro prestato deve essere prevalentemente proprio ed effettuato
senza vincolo di subordinazione, caratteristica tipica del lavoro dipendente.
Il lavoro autonomo si differenzia dal lavoro subordinato per:
• grado di responsabilità e autonomia nello svolgimento dell’attività, che è presente
in misura maggiore nel primo caso e assente o quasi nell’altro;
• organizzazione del tempo di lavoro, che nel lavoro autonomo è senza regole e
limiti, in quello dipendente è regolamentato;
• fattore di rischio, che nel primo caso cade sul prestatore d’opera mentre nel
secondo sul datore di lavoro;
• la forma di remunerazione, che nel lavoro autonomo è direttamente commisurata
alla quantità e qualità della prestazione, nell’altro caso è concordata al momento
della costituzione del rapporto di subordinazione in base alle mansioni e alle
competenze del lavoratore.
Nell’ambito del lavoro autonomo si possono distinguere le seguenti attività:
atipiche-parasubordinate, di libera professione, di esercizio d’impresa.
Le attività atipiche possono essere saltuarie o frequenti; le prime prevedono una
“collaborazione occasionale”, le seconde, che si protraggono per un certo periodo di
tempo, vengono definite “collaborazioni coordinate e continuative”. Queste forme di
collaborazione sono qualificate come ‘parasubordinate’ a causa della prossimità al
lavoro subordinato, infatti sono svolte a favore di uno specifico soggetto, secondo
modalità predeterminate e con ridotti margini di discrezionalità.
Le attività professionali, in cui il carattere intellettuale della prestazione è
prevalente rispetto a quello manuale, sono contraddistinte da un elevato livello di
autonomia nella modalità di esecuzione del lavoro.
Per quanto riguarda l’esercizio d’impresa va eseguita una distinzione fra “impresa
in forma individuale” e “impresa in forma associata”; la prima viene esercitata da una
persona fisica, singolarmente o insieme ai familiari, la seconda da parte di una pluralità
soggetti organizzati in una società.
A seguire vengono descritte le principali caratteristiche delle prime due tipologie
di lavoro autonomo, mentre, per quanto concerne l’esercizio di impresa verrà eseguita
una trattazione più approfondita nel successivo paragrafo.
ATTIVITA’ ATIPICHE-PARASUBORDINATE
COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE
La collaborazione coordinata e continuativa nonostante la prossimità al lavoro
subordinato, è da ricondursi alla più generale categoria del lavoro autonomo. A
differenza del lavoratore autonomo, però, che ha una propria struttura imprenditoriale
(seppure spesso minima), una specifica professionalità e la possibilità di operare a
favore di più soggetti, il collaboratore coordinato e continuativo rende la propria
prestazione per un periodo significativo a favore di uno specifico soggetto, secondo
modalità predeterminate e con margini di discrezionalità ridotti. Il carattere
parasubordinato delle collaborazioni coordinate e continuative è stato recentemente
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riconosciuto anche a livello fiscale in quanto i relativi proventi sono stati inquadrati fra i
redditi di lavoro dipendente invece che fra i redditi di lavoro autonomo.
Formalmente, un rapporto di lavoro si può definire di “collaborazione coordinata
e continuativa” se presenta requisiti di continuità (il rapporto non è occasionale né si
esaurisce con l’esecuzione di una o più specifiche prestazioni ma include un insieme di
prestazioni che nel complesso possono essere considerate come un’unica
collaborazione), coordinazione (il collaboratore s’inserisce nell’organizzazione del
committente e con la propria attività opera per il raggiungimento delle finalità
perseguite dal committente stesso, pur mantenendo piena autonomia nella scelta delle
modalità per l’esecuzione della prestazione), individualità (la prestazione resa dal
collaboratore ha carattere essenzialmente personale).
La durata del contratto non è predefinita in quanto dipende dal tipo di prestazione
e dai termini dell’accordo tra committente e collaboratore. L’orario di lavoro, in ragione
del fatto che il collaboratore è un lavoratore autonomo, non è stabilito. La retribuzione è
periodica (mensile, trimestrale o annuale) e stabilita nel contratto. La collaborazione
coordinata e continuativa richiede l’obbligo d’iscrizione all’INPS da parte del
lavoratore presso la sede nel cui ambito territoriale è residente il committente.
Le imprese che si avvalgono di collaboratori coordinati e continuativi, piuttosto
che di lavoratori subordinati, hanno dei vantaggi in termini di risparmio contributivo ma
rischiano vertenze da parte dei collaboratori, generalmente a conclusione del rapporto di
lavoro, se questi sono in grado di dimostrare la subordinazione del rapporto di lavoro.
COLLABORAZIONI OCCASIONALI
Una collaborazione viene definita occasionale quando è saltuaria, ovvero non
viene reiterata più volte nel tempo. La figura del collaboratore occasionale presenta
alcuni aspetti che lo configurano come un lavoratore autonomo: in particolare, la sua
attività può essere svolta senza vincoli di orario e non risulta strutturata all’interno del
ciclo produttivo ma solo di supporto al raggiungimento degli obiettivi del committente.
Queste caratteristiche, tuttavia, sono spesso più teoriche che effettive, il che induce a
considerare tali rapporti nell’ambito della ‘parasubordinazione’.
Il lavoratore occasionale presta la propria attività dietro pagamento di un
corrispettivo assoggettato a ritenuta d’acconto del 20%. Oltre ad emettere una ricevuta
dell’importo lordo del compenso, egli è tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi
per i compensi ricevuti. Il rapporto di lavoro occasionale non presenta nessun obbligo
previdenziale o assicurativo; per questa ragione, molti contratti che per loro natura
dovrebbero essere continuativi vengono classificati dai committenti come occasionali.
LIBERI PROFESSIONISTI
I liberi professionisti sono coloro che esercitano abitualmente attività di lavoro
autonomo. L’attività professionale si contraddistingue per il carattere intellettuale della
prestazione (esclusivo o prevalente rispetto a quello manuale), per l’autonomia della
modalità di esecuzione del lavoro, per il diritto all’onorario della prestazione,
indipendente dalla soddisfazione del cliente.
In genere l’accesso alla professione è regolamentato dagli Ordini Professionali
che custodiscono gli Albi in cui sono iscritti coloro che possono esercitarla. Esistono
però categorie che non hanno Ordine ma solo Albo Professionale, e altre ancora che non
hanno ne l’uno ne l’altro, ma ciò non ostacola la qualificazione dell’attività svolta come
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di tipo professionale. In caso di presenza dell’Albo, per l’iscrizione sono necessari
alcuni requisiti tra cui: un adeguato titolo di studio, titoli professionali quali tirocinio o
praticantato, il superamento dell’esame d’abilitazione.
I professionisti sono tenuti a dichiarare l’inizio dell’attività presso l’Ufficio IVA
competente in base al domicilio fiscale del richiedente, per poter accedere alla
professione. I professionisti con cassa di previdenza versano annualmente i contributi ad
essa; i professionisti iscritti ad albi ma senza cassa hanno la possibilità o di costituirne
una attraverso l’associazione, o di aderire ad una cassa già esistente o d’iscriversi alla
gestione dei lavoratori autonomi dell’INPS.
DATI SUL LAVORO NELLE IMPRESE
Per avere un’idea della presenza nelle imprese di alcune delle diverse tipologie di
lavoro precedentemente illustrate, nella tabella 4 vengono riportati alcuni dati rilevati
nel corso dell’ultimo censimento dell’industria e dei servizi del 2001. In particolare,
viene riportato il numero totale di imprese e di addetti, distinto fra lavoratori dipendenti
ed indipendenti, a livello nazionale per settore economico. Vengono inoltre individuate
le categorie dei collaboratori coordinati e continuativi (Co.Co.Co) e dei lavoratori
interinali, in quanto considerate non completamente dipendenti né indipendenti. A
corredo della tabella, per completezza, viene riportata la definizione assunta dall’ISTAT
per le diverse tipologie di lavoro presenti nella tabella.
Tabella 4 – Tipologie di lavoro nelle imprese per settore economico (ISTAT, 2001)
Settore
Economico
Imprese
Dipendenti Indipendenti
Addetti
Co.Co.Co
Interinali
INDUSTRIA
1.098.789
5.134.802
1.552.525
6.687.327
171.468
61.095
COMMERCIO
1.230.731
1.485.876
1.661.900
3.147.776
124.194
10.159
SERVIZI
1.754.446
3.606.408
2.271.397
5.877.805
331.945
29.002
Totale
4.083.966
10.227.086
5.485.822
15.712.908
627.607
100.255
Impresa: unità giuridico-economica che produce beni e servizi destinabili alla vendita.
Dipendente: persona che svolge la propria attività lavorativa in un’unità giuridico-economica e
che è iscritta nei libri paga dell’impresa, anche se responsabile della sua gestione.
Indipendente: persona che svolge la propria attività lavorativa in un’unità giuridico-economica
senza vincoli di subordinazione (titolari, soci e amministratori di impresa che lavorano
nell’impresa e non ricevono remunerazioni esplicite; parenti o affini del titolare che prestano
lavoro senza retribuzione contrattuale e versamento di contributi).
Addetto: persona occupata in un’unità giuridico-economica, come lavoratore indipendente o
dipendente (a tempo pieno, a tempo parziale o con contratto di formazione e lavoro).
Collaboratore coordinato e continuativo: persona che presta la propria opera presso un’impresa
con rapporto di lavoro non soggetto a vincolo di subordinazione e che fornisce una prestazione
dal contenuto intrinsecamente professionale, svolta in modo unitario e continuativo per un
tempo predeterminato, ricevendo un compenso a carattere periodico e prestabilito.
Lavoratore interinale: persona assunta da un’impresa di fornitura di lavoro temporaneo
(impresa fornitrice) la quale pone uno o più lavoratori a disposizione di un’altra unità giuridicoeconomica (impresa utilizzatrice) per coprire un fabbisogno produttivo a carattere temporaneo.
- 35 -
1.3 TIPOLOGIE DI IMPRESE
In questo paragrafo si cercherà di fornire un quadro sintetico delle diverse
tipologie di imprese che operano all’interno dei diversi settori produttivi.
Intendendo con impresa una “unità giuridico-economica che produce beni e
servizi destinabili alla vendita e che, in base alle leggi vigenti o a proprie norme
statutarie, ha facoltà di distribuire i profitti realizzati ai soggetti proprietari” (definizione
adottata dall’ISTAT), è possibile distinguere imprese individuali, società di persone,
società di capitali e società cooperative. Inoltre, sempre in base a tale definizione, sono
da considerare imprese anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.
1.3.A IMPRESE IN FORMA INDIVIDUALE
In questa categoria rientrano sia l’impresa individuale vera e propria sia l’impresa
familiare; le due forme presentano alcuni caratteri comuni ma anche delle differenze
significative.
Si ha un’impresa individuale quando l’iniziativa è promossa da un solo individuo,
l’imprenditore individuale, il quale assume in nome proprio tutte le obbligazioni
aziendali, con la conseguenza di risponderne con il proprio patrimonio personale. Tale
forma giuridica ha il vantaggio della semplicità di costituzione, della snellezza
decisionale, dei ridotti oneri costitutivi e amministrativi e dalla assenza della richiesta di
un capitale iniziale. D’altro canto le imprese individuali hanno degli svantaggi,
principalmente dal punto di vista fiscale (il reddito d’impresa si somma agli altri redditi
del titolare comportando maggiori livelli di tassazione) e del rischio, in quanto
l’imprenditore si assume una responsabilità illimitata rispondendo con il suo patrimonio
personale rispetto alle obbligazioni d’impresa.
Si ha un’impresa familiare quando l’attività viene svolta con l’ausilio di
collaboratori familiari. Si tratta di una forma a metà strada tra la ditta individuale e la
società; infatti, pur presentando la stessa struttura giuridica dell’impresa individuale, ne
differisce per il fatto che partecipano all’attività i familiari dell’imprenditore, i quali
prestano la propria attività lavorativa in modo continuativo, senza un rapporto di lavoro
dipendente. L’imprenditore, anche in questo caso, è il titolare e responsabile della
gestione ordinaria dell’impresa e ne risponde delle perdite; i collaboratori familiari
partecipano agli utili dell’impresa, ai beni acquistati con essi ed alle decisioni
sull’investimento degli utili, gli indirizzi produttivi e la cessione dell’impresa. I
vantaggi di tale forma giuridica sono da ricercare nella presenza di ridotti oneri
amministrativi, bassi costi di costituzione e nella possibilità di ripartire il reddito fra più
soggetti, con conseguente riduzione del carico fiscale. Fra gli svantaggi, oltre alla
responsabilità illimitata che investe il titolare d’impresa, vi è la necessità della stipula di
un atto costitutivo presso un notaio.
1.3.B IMPRESE IN FORMA ASSOCIATA (SOCIETÀ)
La società è un organismo economico che si costituisce mediante un contratto:
“con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio
in comune di un’attività economica, allo scopo di dividerne gli utili” (art. 2247 del
Codice Civile).
- 36 -
Da tale definizione deriva che gli elementi caratteristici della società sono:
la pluralità dei soggetti;
il conferimento di beni o servizi;
l’esercizio in comune di un’attività;
lo scopo di dividere gli utili.
La principale distinzione giuridica tra gli enti societari è quella tra società di
persone e società di capitali.
Le società di persone sono società fornite soltanto di autonomia patrimoniale
imperfetta, infatti, in caso di debiti sociali contratti verso terzi, se il patrimonio della
società non è sufficiente a soddisfare i creditori, i soci rispondono con il proprio
patrimonio personale, eventualmente anche per la parte dovuta dagli altri soci. E’ la
cosiddetta “responsabilità solidale e illimitata”, che si ha quando i soci non hanno beni
propri sufficienti a soddisfare i creditori sociali. In questo caso assume rilievo la
personalità dei soci, sia nei rapporti coi terzi, sia nei rapporti tra i soci stessi.
Le società di capitale sono società fornite di personalità giuridica, con autonomia
patrimoniale perfetta. In questo caso, la persona giuridica ha un proprio patrimonio,
distinto da quello delle persone fisiche che ne fanno parte. Nel caso di debiti sociali
contratti verso terzi, i creditori possono agire solo sul patrimonio della persona giuridica
(della società). In questo caso la personalità dei soci diventa irrilevante, dal momento
che conferiscono solamente la quota sociale, mentre la società fonda il suo credito
esclusivamente sul proprio patrimonio.
Il Codice Civile regola sei tipi di società, tre di persone e tre di capitale:
ƒ la società semplice (artt.2251-2290)
ƒ la società in nome collettivo (artt.2291-2312)
ƒ la società in accomandita semplice (artt.2313-2324)
ƒ la società per azioni (artt.2325-2461)
ƒ la società in accomandita per azioni (artt.2462-2471)
ƒ la società a responsabilità limitata (artt.2472-2497)
•
•
•
•
SOCIETÀ DI PERSONE
La società semplice è la forma più elementare di società, riservata all’esercizio
d’attività professionale e agricola ma non commerciale. E’ denominata semplice perché
l’atto costitutivo non è soggetto a forme speciali, e può essere concluso oralmente e
perfino tacitamente. Nel caso in cui l’attività è esercitata senza un accordo tra le parti,
ossia senza aver espressamente convenuto di dare vita ad una società, si parla di società
di fatto. La società semplice, non esercitando attività commerciale, non è soggetta
all’iscrizione nel Registro delle imprese.
La società semplice non è una persona giuridica, cioè non costituisce un soggetto
di diritto a se stante, distinto dalle persone dei soci. Ne consegue che per le obbligazioni
sociali rispondono, di regola, tutti i soci solidalmente e illimitatamente.
I soci hanno l’obbligo di eseguire i conferimenti per i quali ciascuno si è
impegnato (oggetto di conferimento possono essere sia i beni che i servizi, tra i quali
l’attività di lavoro), di non servirsi dei beni appartenenti al patrimonio sociale per fini
estranei a quelli della società, di partecipare alle perdite. I soci hanno il diritto di
controllare l’amministrazione della società e partecipare alla divisione degli utili
derivanti dall’esercizio dell’attività sociale. Le parti spettanti ai soci negli utili e nelle
perdite si presumono proporzionali ai conferimenti.
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La società in nome collettivo (S.n.c), a differenza di quella semplice, è una società
destinata di regola all’esercizio di un’attività commerciale, anche non è escluso che
possa essere costituita anche per l’esercizio di un’attività economica non commerciale.
L’atto costitutivo deve assumere la forma dell’atto pubblico, attraverso un patto tra i
soci redatto direttamente da un notaio. L’atto deve essere depositato presso l’Ufficio del
Registro e presso la Camera di Commercio per l’iscrizione nel Registro delle Imprese.
La società in nome collettivo, anche se iscritta nel registro delle imprese, non è
fornita di personalità giuridica. I soci devono costituire un capitale della società per il
quale non viene fissato un minimo, in quanto la garanzia principale dei creditori è
rappresentata dal patrimonio personale dei soci. Presenta quindi un’autonomia
patrimoniale imperfetta, anche se maggiore di quella della società semplice, in quanto
accentua la separazione tra patrimonio della società e patrimonio dei singoli soci i quali,
comunque, rispondono tutti solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali.
I soci della società in nome collettivo hanno gli stessi obblighi e gli stessi diritti
dei soci della società semplice. In più è stabilito il divieto di concorrenza, secondo il
quale il socio non può esercitare un’attività concorrente con quella della società.
L’amministrazione della società spetta a tutti i soci, ma può essere affidata a uno o più
di essi e gli utili, così come le perdite, vengono suddivisi in base alle quote sociali
previste nel patto sociale.
La società in accomandita semplice (S.a.s.) è una società di persone con la
particolarità di avere due categorie di soci con diversa responsabilità patrimoniale: gli
accomandatari e gli accomandanti. Gli accomandatari, che hanno responsabilità
patrimoniale illimitata e solidale verso i creditori sociali e ai quali viene demandata
l’amministrazione della società, sono in genere persone con capacità lavorative e abilità
nel commercio, ma che non dispongono di mezzi sufficienti. Gli accomandanti, che
rispondono alle obbligazioni sociali solo limitatamente alla quota conferita, finanziano
la società assumendo la posizione di soci e non di creditori: in questo modo la società
non è gravata da interessi passivi, ma è solo tenuta alla ripartizione degli eventuali utili
tra tutti i soci in proporzione alle quote di partecipazione.
L’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico deve contenere le stesse
indicazioni necessarie per la costituzione della società in nome collettivo, con
l’aggiunta dell’indicazione dei soci accomandatari e accomandanti, e deve essere
depositato con le stesse modalità previste per la società in nome collettivo.
La società in accomandita semplice non è fornita di personalità giuridica. La sua
autonomia patrimoniale è imperfetta, rispetto ai soci accomandatari, perfetta rispetto ai
soci accomandanti. Questa situazione configura la S.a.s. quale società a responsabilità
mista, intermedia tra la società in nome collettivo e le società di capitali.
SOCIETÀ DI CAPITALE
La società per azioni (S.p.A.), in quanto tipica società di capitali, rappresenta la
forma societaria classica delle imprese di maggiori dimensioni, alle quali occorrono
mezzi ingenti per condurre la propria attività.
La S.p.A. risponde alle obbligazioni sociali esclusivamente con il suo patrimonio
e per tale ragione vi si realizza un’autonomia patrimoniale perfetta, laddove la
responsabilità dei soci è limitata alla quota conferita. Le quote di partecipazione dei soci
sono rappresentate da titoli commerciabili detti, appunto, azioni.
- 38 -
La società per azioni oltre ad offrire grandissimi vantaggi, presenta anche alcuni
inconvenienti, che possono manifestarsi a danno dei soci, dei creditori sociali e della
collettività. Per i soci, gli inconvenienti nascono dalla leggerezza del vincolo che li lega
alla società, determinato dalle azioni che possono essere acquistate e vendute, e dalla
scarsa influenza che essi possono esercitare sul suo andamento; per i creditori sociali,
l’inconveniente deriva dall’essere garantiti esclusivamente dal patrimonio della società;
per la collettività, la società per azioni può rappresentare una potente concentrazione di
capitali in grado di monopolizzare interi settori dell’economia.
La S.p.A. deve costituirsi per atto pubblico; coloro che sottoscrivono l’atto
costitutivo prendono il nome di soci fondatori e devono versare un capitale sociale
minimo di 100.000 €. L’atto costitutivo, che deve essere depositato presso l’Ufficio del
Registro dal notaio che lo ha redatto, in questo caso non riveste un effetto puramente
dichiarativo ma assume un’importanza fondamentale in quanto fa acquisire alla società
una personalità giuridica.
Il funzionamento della società per azioni prevede la divisione dei poteri tra diversi
organi sociali: assemblea dei soci, amministratori, collegio sindacale. L’assemblea dei
soci è l’organo deliberativo interno della società che ne indirizza la vita economica. Gli
amministratori costituiscono l’organo direttivo ed esecutivo che provvede alla gestione
sociale mettendo in atto le deliberazioni dell’assemblea; l’amministrazione può essere
affidata ad una persona (amministratore unico) o più persone (consiglio
d’amministrazione). Il collegio sindacale è l’organo di controllo della gestione sociale e
ha il compito di vigilare l’attività degli amministratori.
Le azioni, che rappresentano le quote in cui è diviso il capitale sociale, hanno la
natura di titoli di credito che i soci ricevono in cambio del loro apporto quale misura dei
propri diritti e sono caratterizzate dall’avere tutte il medesimo valore, essere indivisibili
e trasferibili. Oltre alle azioni, le società per azioni hanno la possibilità di emettere le
obbligazioni, dei titoli di credito che rappresentano altrettanti debiti assunti dalla società
verso coloro dai quali ha ricevuto un prestito. Sebbene azioni e obbligazioni
rappresentino entrambi titoli di credito, presentano importanti differenze11:
- l’azione rappresenta una quota di capitale sociale; l’obbligazione rappresenta un
debito della società; conseguentemente, le azioni attribuiscono la qualità di socio, le
obbligazioni attribuiscono la qualità di creditore sociale;
- l’azione, in quanto attribuisce la qualità di socio, dà diritto ad una quota dell’utile di
esercizio, detta dividendo, e perciò frutta un reddito variabile (eventualmente anche
nullo) a seconda dell’andamento della gestione sociale; l’obbligazione, invece, dà un
reddito fisso poiché l’obbligazionista, in quanto creditore, ha diritto ad un interesse
prestabilito, indipendentemente dalle sorti della società;
- l’azione ha una vita corrispondente a quella della società, l’obbligazione si estingue
con il rimborso alla scadenza del prestito;
Nella società in accomandita per azioni (S.a.p.a.) ci sono, come nella società in
accomandita semplice, i soci accomandatari, che rispondono solidalmente e
illimitatamente per gli impegni sociali, e i soci accomandanti, che sono impegnati nei
limiti della quota di capitale sottoscritto; in questo caso, però, le quote di partecipazione
sono rappresentate da azioni. Dal punto di vista concettuale si tratta di una società
11 Esistono anche delle obbligazioni convertibili la cui caratteristica è la facoltà, offerta al possessore, di scegliere tra
restare obbligazionista fino alla scadenza del titolo, oppure diventare azionista; sostituendo, ad un dato termine e a
determinate condizioni, le proprie obbligazioni con azioni della società emittente o di altra società.
- 39 -
intermedia tra la S.a.s. e la S.p.A., anche se è regolata dalle stesse disposizioni previste
per l’S.p.A., sia riguardo alle modalità di costituzione, sia al capitale sociale, sia al
funzionamento degli organi sociali. Una caratteristica della società in accomandita per
azioni è l’inscindibilità tra qualità di socio accomandatario e ufficio di amministratore:
ne deriva che tutti gli accomandatari sono necessariamente amministratori.
La società a responsabilità limitata (S.r.l.) rappresenta la forma più agevole e
diffusa delle società di capitali, nonostante le elevate spese di costituzione12. Come
nella società per azioni, per gli impegni sociali risponde soltanto la società con il suo
patrimonio, tuttavia le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate
da azioni. Ciò comporta l’esistenza, rispetto alla S.p.A., di un legame più stretto tra
società e soci dando origine ad una tipologia di società di capitali nella quale l’elemento
personale non si annulla completamente.
La S.r.l. si costituisce con atto pubblico; il suo capitale sociale minimo è di 10.000
€, di cui solo i tre decimi devono essere versati prima dell’omologazione della società.
Come si è detto, la responsabilità dei soci nei confronti di terzi è limitata al
capitale sottoscritto e il loro patrimonio privato non è attaccabile dai creditori a meno
che, nella gestione dell’azienda, non vi siano state irregolarità formali o fraudolente.
SOCIETÀ COOPERATIVE
Le cooperative sono forme societarie particolari, con caratteristiche assimilabili
sia alle società di persone, sia alle società di capitali, ma operano su uno sfondo
culturale completamente diverso. La società cooperativa, infatti, non possiede il fine
della divisione dell’utile in quanto, per definizione, si pone uno scopo prevalentemente
mutualistico, ossia non di lucro. La società cooperativa, infatti, nasce all’insegna della
promozione dello sviluppo umano e del concetto dell’aiuto reciproco, sia tra i soci sia
tra le cooperative. E’ una struttura nella quale, più individui, si associano per ottenere
occasioni di lavoro e beni di consumo o servizi a condizioni migliori di quelle offerte
dal libero mercato.
Il principale diritto del socio di una cooperativa è quello di usufruire dell’attività
sociale, compreso il lavorare per la cooperativa stessa. Il socio lavoratore della
cooperativa stabilisce un rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in
qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non
occasionale, con cui contribuisce al raggiungimento degli scopi sociali.
Alle società cooperative si applicano, in genere, le norme della società per azioni;
quindi, analogamente a queste, devono costituirsi per atto pubblico, la loro iscrizione
all’ufficio del registro ha effetto costitutivo, e presentano gli stessi organi sociali.
Tuttavia le società cooperative presentano delle particolari caratteristiche
giuridiche, la più importante delle quali riguarda il capitale, che non essendo
determinato nel suo ammontare all’atto della costituzione, può variare sia in aumento
che in diminuzione; per questa ragione si definiscono società a capitale variabile.
Le cooperative possono essere a responsabilità illimitata e a responsabilità
limitata. Nelle prime per gli impegni sociali risponde la società con il suo patrimonio e,
in via sussidiaria, i soci solidalmente e illimitatamente, in proporzione alla propria
12 Una forma societaria recente nel panorama legislativo italiano è la società a responsabilità limitata con unico
socio (S.r.l. con unico socio). E’ formalmente una società a responsabilità limitata in cui, però, l’imprenditore è unico
e non ha soci. Si configura, quindi, come una sorta di impresa individuale con i vantaggi della società di capitali in
termini di responsabilità patrimoniali e di tassazione sul reddito.
- 40 -
quota di partecipazione, nelle seconde risponde esclusivamente la società con il suo
patrimonio.
1.3.C DIFFUSIONE DELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI IMPRESA
Al termine di questa breve rassegna sulle diverse tipologie di imprese e sulle loro
principali caratteristiche, si ritiene utile fornire un quadro della loro numerosità in
relazione al settore economico (industria, commercio, servizi) in cui operano. Tali dati
sintetici, rilevati nel corso dell’ultimo censimento dell’industria e dei servizi e riportati
in tabella 5, aiutano a comprendere il loro livello di diffusione e la relativa importanza
che rivestono a livello nazionale in termini di rappresentatività.
L’osservazione della tabella evidenzia una considerevole presenza di imprese
individuali, le quali risultano circa i due terzi del totale; la distribuzione fra i settori
economici appare abbastanza omogenea con una maggiore incidenza nel commercio e
nei servizi e più ridotta nell’industria. Fra le società, quelle di persone sono più
numerose che non quelle di capitale, anche se la forma maggiormente diffusa è la S.r.l.
seguita da vicino dalla S.n.c.. Molto meno numerose sono le società per azioni, come è
facile comprendere visto l’impegno amministrativo e finanziario che comporta la loro
costituzione. Praticamente assenti sono le S.a.p.a., le quali rappresentano una forma
societaria assolutamente marginale.
Un discorso a parte deve essere fatto per le cooperative che pur rappresentando
una quota molto ridotta del totale delle società (di poco inferiore all’1%) rivestono un
ruolo molto importante. Ciò, non soltanto per la loro funzione sociale, ma in quanto,
operando in specifici comparti produttivi, assumono, soprattutto nei territori in cui
hanno un profondo radicamento storico, un considerevole peso economico.
Infine, per quanto riguarda la ripartizione fra i settori economici, si può osservare
come le imprese dei servizi siano le più numerose. Questa situazione, fra l’altro, andrà
progressivamente ad accentuarsi a causa delle tendenze in atto che vedono una costante
riduzione dell’importanza del settore primario e secondario e la progressiva
terziarizzazione dell’economia.
Tabella 5 – Imprese per forma giuridica e settore economico (ISTAT, 2001)
Forma Giuridica
INDUSTRIA
COMMERCIO
SERVIZI
Totale
Impresa individuale
635.216
853.613
1.178.331
2.667.160
Società in nome collettivo
190.112
139.707
149.096
478.915
Società in accomandita semplice
52.000
98.317
141.344
291.661
Altra forma di società di persone
8.073
4.075
41.903
54.051
18.259
6.321
15.373
39.953
171.979
123.923
195.600
491.502
9
6
120
135
19.313
3.553
24.853
47.719
3.828
1.216
7.826
12.870
1.754.446
4.083.966
Società per azioni
Società a responsabilità limitata
Società in accomandita per azioni
Società cooperativa (esclusa sociale)
Altra forma d’impresa
Totale
1.098.789
- 41 -
1.230.731
- 42 -
2. VALUTAZIONE ED ANALISI DEI RISULTATI ECONOMICI
2.1 STRUTTURA DEL BILANCIO
Il bilancio è lo strumento che serve a misurare i risultati dell’impresa; inteso in
questo senso esso rappresenta un indispensabile ausilio alla gestione in quanto consente
di esprimere un giudizio sull’attività che è stata condotta.
Il bilancio viene generalmente riferito all’esercizio amministrativo, un arco
temporale di breve periodo che, per ragioni di compatibilità con i diversi obblighi fiscali
cui è assoggettata l’impresa, viene generalmente fatto coincidere con l’anno solare.
Nel caso in cui un bilancio faccia riferimento ad un esercizio amministrativo
trascorso, o meglio ancora appena trascorso, si parla di bilancio consuntivo; quando
invece il bilancio fa riferimento ad un esercizio amministrativo avvenire, si parla di
bilancio preventivo. In questo caso si procede ad una “simulazione del bilancio”, in
quanto esso viene elaborato facendo riferimento ad eventi futuri e quindi aleatori.
I motivi per cui si elabora un bilancio possono essere diversi in relazione a chi è
tenuto a leggere ed utilizzare i dati in esso contenuti. Tra tali figure si pone
naturalmente in primo piano l’imprenditore, per il quale il bilancio rappresenta un
indispensabile strumento di valutazione della propria attività. Altri operatori interessati
all’elaborazione del bilancio possono essere: l’economista, che è alla ricerca di
informazioni per lo svolgimento di indagini a carattere settoriale; l’amministratore, per
definire i provvedimenti di politica economica; l’estimatore, per ricercare i parametri
necessari alla stima dei beni; il funzionario di banca, per conoscere la situazione
patrimoniale dell’impresa e giudicare sull’opportunità di concederle finanziamenti; lo
stato, per salvaguardare gli interessi dei soci; il fisco, per finalità di imposizione
tributaria. Per ciascuno di questi soggetti il bilancio può assumere impostazioni diverse,
ciascuna finalizzata alla conoscenza di parametri utili ad esprimere le differenti
valutazioni. Ovviamente, per gli scopi di gestione dell’impresa viene adottata la
struttura del bilancio che presenta maggior interesse per l’imprenditore.
Il bilancio risulta formato da almeno due prospetti: la situazione (o stato)
patrimoniale ed il conto economico: entrambi i prospetti hanno lo scopo di determinare
l’entità del reddito e di evidenziarne l’origine.
Nella situazione patrimoniale il reddito è determinato come variazione del
capitale netto; nel conto economico come differenza fra il valore della produzione ed i
costi espliciti sostenuti per realizzarla13.
Il reddito, infatti, inteso come valore prodotto dall’impresa per effetto della
gestione in un determinato intervallo di tempo, possiede un aspetto dualistico in quanto
può essere interpretato sia in termini patrimoniali che economici.
13 Come si approfondirà nel successivo paragrafo, si definiscono espliciti i costi che l’imprenditore sostiene per
l’acquisto dei fattori produttivi, in contrapposizione ai costi impiciti che rappresentano i compensi spettanti
all’imprenditore per i fattori da lui conferiti e per i quali non ha luogo alcun pagamento diretto.
- 43 -
Se il periodo cui ci si riferisce è rappresentato dall’intera vita dell’impresa si parla
di reddito d’impresa, il cui ammontare è perfettamente determinato ed è pari alla
differenza fra capitale realizzato e capitale investito (nella visione patrimoniale) o alla
differenza fra il totale delle entrate ed il totale delle uscite (nella visione economica).
Se, invece, ci si riferisce ad un esercizio amministrativo si parla di reddito
d’esercizio (RE), talora definito anche come reddito netto, un valore caratterizzato da
un inevitabile margine di incertezza in quanto legato a valutazioni soggettive e allo
sfasamento temporale esistente fra ricavi e incassi e fra costi e uscite14.
Quando il reddito risulta positivo si parla di utile, in caso contrario di perdita.
Essendo il reddito una quantità espressa in termini assoluti, è necessario, per poter
esprimere dei giudizi sulla sua entità, rapportarlo all’entità del capitale investito; questo
rapporto, unitamente ad altri indicatori, viene determinato procedendo allo svolgimento
di un’analisi di bilancio.
LA SITUAZIONE PATRIMONIALE
Nella situazione patrimoniale il risultato dell’esercizio viene determinato come
differenza tra i valori del capitale netto rilevati all’inizio e alla fine dell’esercizio stesso.
La forma che viene generalmente utilizzata per questo prospetto, prevede che i
valori di fine esercizio delle singole componenti del capitale dell’impresa vengano
comparati con quelli di inizio esercizio in modo da evidenziare gli effetti che la gestione
ha avuto su di esse.
La situazione patrimoniale è opportuno che venga corredata dai valori percentuali
che indicano l’incidenza delle diverse voci sul totale del capitale lordo e di terzi, sia
all’apertura che alla chiusura dell’esercizio. Ciò consente di meglio comprendere le
variazioni delle singole componenti del patrimonio e l’origine del reddito d’esercizio.
L’entità delle differenze, denominate variazioni grezze, vengono riprese per
l’elaborazione del rendiconto finanziario e di una serie di indici che verranno trattati
nell’ambito dell’analisi di bilancio.
Nell’esemplificazione sviluppata nella figura 4 si nota come il confronto, oltre che
sui valori finali ed iniziali del capitale netto, dalla cui differenza si origina l’utile di
esercizio (pari a 13.390 €), viene esteso anche alle singole componenti patrimoniali in
modo da evidenziare la variazioni dovute, oltre che al reddito prodotto, anche ai
cambiamenti determinatisi per effetto della gestione.
IL CONTO ECONOMICO
Nel conto economico il valore del reddito d’esercizio trova giustificazione in
termini economici, attraverso il raffronto tra il valore della produzione (ricavi) ed i costi
espliciti sostenuti per realizzarla.
L’impostazione del conto economico, normalmente utilizzata per finalità di
gestione, è basata sulla distinzione dei costi in variabili e fissi.
14 Lo sfasamento temporale tra i fatti economici ed i fatti monetari determina particolari situazioni di cui è
necessario tenere conto nella elaborazione dei risultati della gestione. Di alcune di queste si è già parlato come le
uscite nell’esercizio corrente per acquisto di fattori a logorio parziale (che danno origine all’ammortamento), uscite
nell’esercizio corrente per acquisto di materie prime utilizzate nell’esercizio successivo (rimanenze di materie prime)
oppure entrate nell’esercizio successivo per produzioni ottenute nell’esercizio corrente (rimanenze di prodotti
destinati alla vendita). Ad altre situazioni particolari si accennerà nel quinto capitolo.
- 44 -
Figura 4 - Prospetto della situazione patrimoniale del bilancio
DESCRIZIONE DELLE VOCI
VALORI FINALI
CAPITALE LORDO
IMPORTI
Cassa
Banca
Liquidità immediate
Clienti
Crediti erariali
Crediti diversi
Liquidità differite
Rimanenze prodotti
Rimanenze materie prime
Prodotti in corso di lavorazione
Rimanenze
Capitale circolante
Terreni e fabbricati
Impianti
Macchine e attrezzature
Immobilizzazioni materiali
Titoli poliennali
Quote sociali
Immobilizzazioni finanziarie
Capitale fisso
6.200
41.740
47.940
16.600
2.150
200
18.950
3.000
150
3.950
7.100
73.990
173.800
20.000
57.000
250.800
2.000
5.000
7.000
257.800
CAPITALE LORDO
CAPITALE DI TERZI
IMPORTI
77,7%
7.300
35.200
42.500
15.500
1.500
500
17.500
1.000
300
3.650
4.950
64.950
175.300
15.000
60.000
250.300
2.000
5.000
7.000
257.300
331.790
100,0%
IMPORTI
%
Fornitori
Debiti erariali
Debiti v/enti previdenziali
Prestiti di conduzione
Debiti a breve
Mutui fondiari
Prestiti acquisto macchinari
Debiti a medio/lungo periodo
1.500
750
2.450
7.000
11.700
17.000
17.000
34.000
CAPITALE DI TERZI
CAPITALE NETTO
%
VALORI INIZIALI
22,3%
%
DIFFERENZE
IMPORTI
79,8%
-1.100
6.540
5.440
1.100
650
-300
1.450
2.000
-150
300
2.150
9.040
-1.500
5.000
-3.000
500
0
0
0
500
322.250
100,0%
9.540
IMPORTI
%
20,2%
IMPORTI
10,3%
3.000
700
2.350
8.000
14.050
17.500
18.000
35.500
11,0%
-1.500
50
100
-1.000
-2.350
-500
-1.000
-1.500
45.700
13,8%
49.550
15,4%
-3.850
286.090
86,2%
272.700
84,6%
13.390
3,5%
- 45 -
4,4%
Adottando una tale distinzione è possibile definire due parametri intermedi, il
reddito al lordo dei costi fissi, o semplicemente reddito lordo, ed il reddito operativo,
che costituiscono elementi di valutazione essenziali a fini della pianificazione e del
controllo dei risultati dell’attività condotta dall’impresa.
In realtà, il conto economico può essere impostato secondo schemi alternativi,
legati alle modalità con cui vengono aggregate le varie voci di costo e ai parametri
intermedi che attraverso tali riclassificazioni vengono definiti.
Uno degli schemi che trova frequente utilizzazione, e al quale si accennerà nel
seguito, è quello in cui si perviene alla determinazione del parametro intermedio noto
come valore aggiunto, la cui distribuzione fra i diversi soggetti che hanno partecipato
all’attività dell’impresa rappresenta una componente importante del bilancio sociale.
Altro schema è quello che distingue i costi in specifici, plurimi e generali e che si pone
come finalità prioritaria, più che il calcolo del reddito d’esercizio, la determinazione del
costo di produzione dei singoli beni prodotti dall’impresa.
Il valore della produzione esprime il valore dei beni e servizi prodotti dall’impresa
e destinati alla vendita. La modalità di determinazione di questo parametro dipende dal
tipo di valutazione, preventiva o consuntiva, e, in questo secondo caso, dal sistema di
scrittura adottato nella rilevazione contabile. Come si vedrà più avanti, in fase
preventiva l’entità del valore della produzione viene determinata aggregando il valore
dei beni prodotti dalle diverse attività produttive che vengono condotte nell’impresa. In
fase consuntiva, invece, la modalità di calcolo è legata alla modalità di impostazione del
sistema di rilevazione.
I costi variabili rappresentano il valore dei fattori a logorio totale impiegati nelle
attività produttive e, pertanto, connessi alla produzione dei beni. Anche per i costi
variabili, che sono determinati dai consumi dei fattori a logorio totale impiegati nelle
attività produttive condotte dall’impresa, la valutazione viene eseguita con modalità
differenti. In fase di analisi preventiva l’entità dei costi variabili totali è rappresentata
dal valore dei fattori produttivi a logorio totale impiegati nella conduzione delle diverse
attività; a consuntivo sarà l’impostazione del sistema di rilevazione contabile a stabilire
il procedimento attraverso il quale poter pervenire alla determinazione della loro entità.
La differenza tra valore della produzione (VP) e costi variabili (CV) esprime il
valore del reddito lordo (RL); questo rappresenta, pertanto, un parametro che dipende
dall’espressione dei fattori endogeni che l’imprenditore controlla nel breve periodo.
Gli altri fattori endogeni, quelli che fanno capo alla “struttura” dell’azienda,
sono disponibili in quantità prefissate e come tali, non essendo nel breve periodo
modificabili dall’imprenditore, originano dei costi fissi: impiegati e operai assunti a
tempo indeterminato, per quanto riguarda il lavoro, fattori a logorio nullo o parziale, per
quanto riguarda il capitale, ecc.
La sottrazione dal reddito lordo dei costi fissi determina il reddito operativo, che
rappresenta il valore prodotto nell’attività “caratteristica” svolta dall’impresa.
Si definisce gestione caratteristica (o tipica) quella cui appartengono tutti gli
eventi che riguardano le attività connesse al settore in cui opera l’impresa.
Dal risultato della gestione caratteristica, espresso dal reddito operativo, vanno
esclusi tutti gli eventi che, pur essendo intervenuti nel determinare i risultati, sono
estranei alla attività propria dell’impresa. Quelli tra tali eventi che si presentano con
regolarità nei diversi esercizi entrano a far parte della cosiddetta gestione extracaratteristica (o atipica). Il pagamento degli interessi passivi e la riscossione degli
- 46 -
interessi attivi sono fra questi tipi di eventi, il che comporta che la gestione finanziaria
rappresenta una componente della gestione extra-caratteristica.
L’insieme della gestione caratteristica ed extra-caratteristica determina la gestione
ordinaria, ovvero gli eventi che si presentano con regolarità, indipendentemente dal loro
legame con la conduzione della specifica attività produttiva dell’impresa.
I fatti amministrativi che rivestono carattere di straordinarietà e che concorrono
alla determinazione del reddito d’esercizio fanno capo alla gestione straordinaria.
Questa, unita alla gestione ordinaria, raccoglie tutti i possibili eventi della gestione che
determinano il risultato complessivo espresso dal reddito d’esercizio.
La gestione straordinaria, in virtù del suo carattere di imprevedibilità, pur
contribuendo alla determinazione del reddito d’esercizio, non può essere inclusa nella
valutazione preventiva del risultato della gestione. Ciò comporta che nella stesura di un
bilancio preventivo la differenza fra reddito operativo e reddito d’esercizio è
rappresentata soltanto dal risultato della gestione extra-caratteristica. Nel bilancio
consuntivo, invece, il conto economico deve prevedere un’apposita sezione per la
gestione straordinaria nella quale vengano evidenziate le diverse voci che concorrono
alla sua determinazione.
Lo schema di figura 5 riepiloga i diversi tipi di gestione con la definizione del
loro risultato ed il contributo apportato alla determinazione del reddito d’esercizio.
Figura 5 - Struttura delle “gestioni” nel conto economico del bilancio
Gestione
Risultato
CARATTERISTICA
Reddito Operativo +
EXTRA-CARATTERISTICA
Risultato della gestione extra-caratteristica =
ORDINARIA
Reddito della Gestione Ordinaria +
STRAORDINARIA
Risultato della gestione straordinaria =
COMPLESSIVA
Reddito di Esercizio
Una semplificazione della struttura del conto economico, che consente di
utilizzare le risultanze di questo prospetto per lo svolgimento di analisi preventive,
prevede, oltre all’esclusione della gestione straordinaria, la considerazione nella
gestione extra-caratteristica della sola componente finanziaria, indicata, appunto, come
gestione finanziaria. Operando con queste modalità la struttura del conto economico
preventivo si presenta come illustrato in figura 6.
La possibilità di poter considerare la gestione finanziaria quale unica componente
della gestione extra-caratteristica deriva, oltre che dal fatto di essere una voce sempre
presente, dalla possibilità che le disponibilità finanziarie vincolino il piano produttivo
dell’impresa e che, pertanto, sia necessario includere nel bilancio preventivo il costo di
un eventuale ricorso al finanziamento di terzi.
Il risultato della gestione finanziaria (Gf) è determinato dalla differenza fra gli
interessi attivi maturati sugli investimenti delle disponibilità finanziarie e gli interessi
- 47 -
passivi pagati sui finanziamenti di terzi, sia di breve che di medio/lungo periodo15. Data
la modalità con cui viene calcolato, il risultato della gestione finanziaria può assumere
sia valore positivo che negativo; nel conto economico va sempre considerato con il suo
segno e sommato al reddito operativo.
Figura 6 - Struttura semplificata del conto economico del bilancio (senza le imposte)
VP - CV
RL - CF
RO + Gf
VP
CV
VALORE DELLA PRODUZIONE
COSTI VARIABILI
RL
REDDITO AL LORDO DEI COSTI FISSI
CF
COSTI FISSI
RO
REDDITO OPERATIVO
Gf
RISULTATO DELLA GESTIONE FINANZIARIA
RE
REDDITO DI ESERCIZIO
Le imposte che gravano sull’impresa, e che compaiono esplicitamente nel conto
economico, riguardano i seguenti tributi: IRPEG, ICI e IRAP.
L’IRPEG, imposta sui redditi delle persone giuridiche, colpisce i redditi realizzati
dalle società di capitali e dalle società cooperative. La base imponibile, ovvero
l’importo su cui grava l’imposta, è rappresentata dal reddito d’esercizio al quale viene
applicata un’aliquota fissa, attualmente pari al 37%.
L’ICI, imposta comunale sugli immobili, è un’imposta patrimoniale commisurata
al valore catastale dei terreni e dei fabbricati di proprietà dell’impresa. Si configura
come un costo fisso, essendo indipendente dal reddito realizzato. Alla base imponibile,
determinata in relazione al reddito catastale degli immobili, viene applicata un’aliquota,
stabilita da ogni comune, compresa tra il 4 e il 7 per mille.
L’IRAP, imposta regionale sulle attività produttive, è stata introdotta in
sostituzione di precedenti tributi. La base imponibile cambia a seconda della tipologia
dell’impresa; in generale, comunque, viene calcolata sulle voci del bilancio che viene
presentato ogni esercizio, secondo precise modalità definite per legge. A tale
ammontare viene applicata un’aliquota che è fissata al 4,25% a livello nazionale, ma
che può essere modificata dalle legislazioni regionali sia in termini generali sia con
riferimento a diverse tipologie di imprese.
Nel conto economico non compare l’altra imposta rappresentata dall’IVA in
quanto non rappresenta un aggravio di costo per l’impresa. L’IVA, imposta sul valore
aggiunto, colpisce, infatti, esclusivamente i consumatori finali dei beni. L’impresa
incassa l’IVA con la vendita dei prodotti, la paga quando acquista i fattori, svolge,
obbligatoriamente, dei conteggi periodici e versa all’erario la differenza positiva fra
IVA incassata e IVA pagata; eventualmente chiudesse l’anno in una situazione di
15 Per quanto detto, il risultato della gestione finanziaria non dipende esclusivamente dalla normale attività
(caratteristica) dell’impresa ma viene influenzato, spesso in modo consistente, sia dall’entità e dalla modalità di
utilizzazione delle disponibilità finanziarie proprie dell’impresa, sia dalle modalità con cui si è fatto ricorso al
capitale di terzi. Il fatto di isolare la gestione finanziaria in una specifica sezione del conto economico consente di
evidenziare delle voci che rappresentano elementi importanti nello sviluppo dell’analisi di bilancio.
- 48 -
credito chiede all’erario il rimborso dell’IVA pagata in più. Questo meccanismo non
genera alcun aggravio diretto per l’impresa; tuttavia essa sopporta un costo indiretto
derivante dall’espletamento degli adempimenti obbligatori che lo Stato impone ai
soggetti titolari di partita IVA (emissione del documento di trasporto, fatturazione,
tenuta dei registri delle fatture emesse e di quelle ricevute, dichiarazioni periodiche e
dichiarazione annuale).
Per quanto riguarda il computo delle imposte nello schema del conto economico,
va tenuto conto della loro natura ed il tipo di reddito che colpiscono.
L’ICI, essendo un carico fisso di imposizione, concorre a determinare i costi fissi
dell’impresa. L’IRAP (ImAP) colpisce il reddito dell’attività specifica che conduce
l’impresa e, pertanto, viene posto a correzione del reddito operativo (ROC). L’IRPEG
(ImR) colpisce il reddito globale dell’impresa e viene sottratto da cosiddetto reddito
d’esercizio ante-imposte (RE’), per determinare il reddito d’esercizio vero e proprio.
Nel prospetto di figura 7 viene riproposto lo schema del conto economico con incluso il
computo delle imposte.
A titolo esemplificativo nel prospetto di figura 8 viene riportato il conto
economico relativo all’impresa cui si riferisce la situazione patrimoniale di figura 4.
Figura 7 - Struttura del conto economico del bilancio (con le imposte).
VP - CV
RL - CF
RO - ImAP
ROC + Gf
Rn’ - ImR
VP
CV
VALORE DELLA PRODUZIONE
COSTI VARIABILI
RL
REDDITO AL LORDO DEI COSTI FISSI
CF
COSTI FISSI (COMPRENSIVI DI ICI)
RO
REDDITO OPERATIVO
ImAP
IMPOSTE SULL’ATTIVITÀ PRODUTTIVA
ROC
REDDITO OPERATIVO CORRETTO
Gf
RISULTATO DELLA GESTIONE FINANZIARIA
RE’
REDDITO DI ESERCIZIO ANTE-IMPOSTE
ImR
IMPOSTE SUL REDDITO
RE
REDDITO DI ESERCIZIO
- 49 -
Figura 8 - Esempio di un conto economico del bilancio
Importi (€)
VALORE DELLA PRODUZIONE (VP)
Valore dei prodotti realizzati
Valore dei servizi erogati
Totale VP
COSTI VARIABILI (CV)
Materie prime
Servizi
Utilizzo di beni di terzi
Personale assunto a tempo determinato
Altri costi variabili
Totale CV
REDDITO LORDO (RL)
COSTI FISSI (CF)
Ammortamenti
Manutenzione capitale fisso
Personale assunto a tempo indeterminato
Imposte (ICI)
Altri costi fissi
Totale CF
REDDITO OPERATIVO (RO)
Imposte sull’attività produttiva (IRAP)
REDDITO OPERATIVO Corretto (ROC)
GESTIONE FINANZIARIA (Gf)
Interessi attivi
Interessi passivi
Risultato Gf
REDDITO DI ESERCIZIO ante Imposte (RE’)
Imposte sul reddito (IRPEG)
REDDITO DI ESERCIZIO (RE)
22.538
37.965
60.527
9.641
2.387
1.945
6.835
2.566
23.374
37.153
3.150
1.290
7.909
850
204
13.403
23.750
1.008
22.742
402
1.890
-1.488
21.254
7.864
13.390
2.2 LE COMPONENTI DEL REDDITO D’ESERCIZIO
Dal punto di vista economico, come si è già avuto modo di osservare, il reddito
d’esercizio (RE) è determinato dalla differenza fra il valore della produzione (VP) ed i
costi espliciti (Ce) sostenuti per realizzarla. Esso rappresenta pertanto una quantità
monetaria che remunera l’imprenditore sia per i fattori produttivi che egli ha conferito
nella gestione dell’impresa sia per lo svolgimento della sua attività organizzativa.
La prima componente, vale a dire le remunerazioni spettanti ai fattori che
l’imprenditore ha apportato all’impresa, rappresentano per l’impresa stessa degli oneri
che, proprio in quanto non vengono effettivamente sostenuti, vengono definiti costi
impliciti (Ci). La seconda componente, ovvero il compenso spettante al cosiddetto
“fattore imprenditoriale”, è rappresentata dal profitto (π).
- 50 -
Ne consegue allora che:
VP - Ce = RE = Ci + π
Questa relazione consente di leggere il reddito d’esercizio come il valore
monetario che l’impresa trasferisce all’imprenditore per compensarlo di quanto egli ha
impegnato nell’attività in termini di fattori produttivi (capitale e lavoro) e di capacità
organizzativa.
Nel caso in cui l’imprenditore acquisti tutti i fattori della produzione, non
conferendone alcuno, egli diviene un imprenditore puro il cui compito è esclusivamente
quello del reperimento e dell’organizzazione dei fattori della produzione; in questo caso
i costi espliciti si annullano ed il reddito d’esercizio corrisponde al profitto.
Nella realtà è raro che un imprenditore acquisti tutti i fattori della produzione, da
ciò deriva l’aggettivo “astratto” talora attribuito a questa figura economica.
Rappresenta, viceversa, il caso normale, soprattutto nel caso di imprese di piccole
dimensioni, l’imprenditore che, oltre all’attività organizzativa, conferisce uno o più
fattori della produzione, divenendo di fatto un imprenditore “concreto”.
I costi impliciti, rappresentando la remunerazione ai fattori produttivi conferiti
dall’imprenditore, sono determinati dalla somma di due componenti.
La prima, indicata con BC (beneficio del capitale), esprime il compenso al capitale
netto, ossia alla parte del capitale lordo di proprietà dell’imprenditore, e rappresenta
quanto l’impresa deve all’imprenditore/capitalista.
La seconda, indicata con SL (salario/stipendio del lavoratore), indica il compenso
spettante per il lavoro svolto dall’imprenditore stesso, e rappresenta quanto l’impresa
deve all’imprenditore/lavoratore.
In questa chiave il profitto (π) rappresenta quale remunerazione l’impresa deve
all’imprenditore per aver svolto la sua funzione di imprenditore.
Considerando le possibili componenti dei costi impliciti la precedente relazione
può essere scritta come segue.
RE = BC + SL + π
in cui i due termini BC e SL possono assumere valori molto diversi a seconda delle
diverse figure imprenditoriali.
Il termine BC sarà assente soltanto nei casi in cui il capitale (lordo) dell’impresa è
completamente fornito da terzi, circostanza che si verifica assai raramente16.
Il termine SL è presente solo nelle piccole imprese individuali o familiari in cui il
lavoro, svolto direttamente dall’imprenditore o dai componenti della sua famiglia, non
riceve una remunerazione prestabilita ed effettiva la quale compare esplicitamente fra le
voci di costo del conto economico del bilancio.
Nel caso generale, in cui entrambe le componenti BC e SL risultano maggiori di
zero, la relazione precedente esprime una equivalenza fra la quantità nota espressa dal
reddito di esercizio (determinato attraverso il bilancio) e la somma di tre componenti la
cui entità non è nota.
Per ovviare a questa difficoltà è possibile attribuire ai fattori conferiti
dall’imprenditore la medesima retribuzione che questi avrebbero ottenuto se fossero
16 Infatti, anche nel caso, comunque non frequente, in cui l’impresa abbia avviato la sua attività facendo affidamento
esclusivamente su capitali di terzi, nel corso del tempo il capitale netto avrà assunto una sua consistenza grazie agli
utili conseguiti durante gli esercizi precedenti, siano essi rimasti indivisi o convertiti in riserve.
- 51 -
stati offerti sul mercato o, analogamente, lo stesso costo che l’impresa avrebbe
sostenuto se avesse dovuto reperirli esternamente. In questo caso il valore di BC e SL è
determinato e il profitto π esprime la quantità che rimane (o che manca) dopo aver
remunerato a prezzi di mercato il capitale investito ed il lavoro conferito
dall’imprenditore.
RE = BC + SL + π
Il profitto può essere così interpretato come la differenza fra la remunerazione dei
fattori conferiti dall’imprenditore ottenuta come risultato della gestione e quella di
mercato: un profitto positivo evidenzia una capacità dell’impresa di compensare le
risorse dell’imprenditore in modo più remunerativo del mercato, un profitto negativo
manifesta una situazione opposta.
L’imprenditore, tuttavia, non è interessato a conoscere l’ammontare del profitto
quanto il livello di remunerazione ottenuto dai fattori che egli ha conferito all’impresa;
per questa ragione il profitto viene aggregato al termine del quale interessa determinare
il livello di remunerazione.
Operando con questo criterio si definiscono i due parametri reddito da capitale
(RC) e reddito da lavoro (RL):
RC = BC + π = RE - SL
RL = SL + π = RE - BC
Questi valori esprimono in termini assoluti l’entità del compenso spettante ad uno dei
fattori produttivi (rispettivamente capitale e lavoro) una volta che per l’altro
(rispettivamente lavoro e capitale) venga assegnata la remunerazione di mercato.
CALCOLO DEL REDDITO DA CAPITALE
L’espressione per il calcolo del reddito da capitale
RC = BC + π = RE - SL
indica come questo parametro, che include il beneficio spettante al capitale conferito
dall’imprenditore, o dagli imprenditori nel caso delle società di capitali, ed il profitto,
sia determinato dalla differenza fra il reddito d’esercizio ed il compenso al lavoro
eventualmente fornito dall’imprenditore e dalla sua famiglia.
In alcune imprese, infatti, può essere presente una quota di lavoro, appunto quella
prestata dall’imprenditore e dalla sua famiglia, che non riceve una remunerazione
esplicita. In questi casi, per poter calcolare correttamente il valore del reddito da
capitale, è necessario calcolare il termine SL remunerando il lavoro a prezzo di mercato.
A questo scopo è necessario considerare la mansione svolta dell’imprenditore, la sua
qualificazione professionale e l’impegno in termini orari. L’insieme di queste
informazioni consente di determinare il compenso al lavoro rapportando la relativa
tariffa contrattuale all’effettivo carico di lavoro fornito dall’imprenditore.
Dal punto di vista della gestione dell’impresa, la determinazione del reddito da
capitale e, soprattutto, il tasso di remunerazione del capitale investito rappresentano i
parametri di maggiore interesse; per questa ragione alla determinazione degli indici di
remunerazione del capitale ed alla loro interpretazione verrà dedicata la gran parte del
successivo paragrafo relativo alla analisi del bilancio.
- 52 -
CALCOLO DEL REDDITO DA LAVORO
In alcuni tipi di impresa il livello di remunerazione del lavoro fornito
dall’imprenditore e dalla sua famiglia rappresenta un utile parametro di valutazione del
risultato della gestione. In questi casi si procede facendo riferimento alla relazione
RL = SL + π = RE - BC
la quale stabilisce che il reddito da lavoro è determinato dalla differenza fra il reddito
d’esercizio ed il compenso BC attribuito al capitale netto presente all’inizio del periodo
di tempo cui si riferisce il bilancio (CNi).
Tale compenso viene determinato applicando al CNi un tasso di remunerazione (r)
pari al tasso di interesse che quel medesimo capitale avrebbe potuto ottenere se
collocato sul mercato finanziario in investimenti caratterizzati da condizioni di rischio
paragonabili a quelle in cui opera l’impresa. Così operando, il reddito da lavoro diviene:
RL = RE - CNi⋅r
Per ottenere ulteriori indicazioni sul livello di remunerazione del lavoro prestato
dall’imprenditore nella propria impresa è utile rapportare il reddito da lavoro all’entità
dell’impegno lavorativo.
Un primo indicatore, interessante soprattutto per gli imprenditori full-time, cioè
che svolgono l’attività lavorativa esclusivamente nella propria impresa, è rappresentato
dal reddito da lavoro diviso per il numero di mensilità previste per l’occupazione svolta
dall’imprenditore. Poiché in questo caso è come se l’imprenditore fosse assunto
dall’impresa, la remunerazione del lavoro può essere confrontata con lo stipendio o il
salario mensile previsto a livello contrattuale per quella specifica mansione.
Il secondo indice si rivela più utile per gli imprenditori part-time, i quali hanno
interesse a determinare quanto viene remunerato il tempo che dedicano all’impresa per
poterlo confrontare con il compenso che deriva loro dalle altre occupazioni che
svolgono o che possono svolgere. Tale indice, detto rLi, esprime il compenso per ora di
lavoro impiegato e viene calcolato come segue:
rLi =
RL
Nh i
in cui Nhi rappresenta il numero complessivo di ore di lavoro fornite dall’imprenditore
durante l’intero esercizio amministrativo.
~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~
Nell’attività svolta dall’impresa edile cui si riferisce il conto economico sintetico
riportato nel prospetto seguente sono occupati l’imprenditore e il figlio.
L’imprenditore, impegnato a tempo pieno come direttore dei cantieri, ha fornito
nell’arco dell’anno 1.950 ore di lavoro, mentre il figlio, avendo un impiego esterno, è
stato coinvolto per sole 400 ore nella gestione amministrativa dell’impresa.
Determinare il reddito del capitale e la remunerazione del lavoro prestato
dall’imprenditore sapendo che il capitale netto all’inizio dell’esercizio risultava di
815.000 € (si ponga il tasso di remunerazione del capitale pari al 2,5%).
- 53 -
VALORE DELLA PRODUZIONE (VP)
COSTI VARIABILI (CV)
REDDITO LORDO (RL=VP-CV)
COSTI FISSI (CF)
REDDITO OPERATIVO (RO)
REDDITO OPERATIVO Corretto (ROC)
GESTIONE FINANZIARIA (Gf)
REDDITO D’ESERCIZIO ante Imposte (RE’)
REDDITO D’ESERCIZIO (RE)
Importi (€)
335.980
121.250
214.730
90.330
124.400
118.670
-6,640
112.030
70.580
Per determinare il reddito da capitale è necessario attribuire al lavoro non
remunerato esplicitamente (e quindi non presente come costo all’interno del conto
economico) un compenso in linea con i valori di mercato.
Per quanto riguarda l’imprenditore, è possibile far riferimento ad uno stipendio di
direttore di cantiere con analoghe qualifiche professionali in termini di titolo di studio
ed esperienza. Supponendo che questo risulti di 2.500 €/mese e che siano previste 13
mensilità, il compenso spettante al lavoro dell’imprenditore risulta di 32.500 €.
Per il figlio, invece, è più corretto considerare una remunerazione analoga a quella
che spetterebbe ad un consulente amministrativo esterno, tenendo conto del numero di
ore di impegno e del compenso orario, anche in questo caso valutato sulla base delle
caratteristiche professionali e tipo di lavoro effettivamente svolto. Se, ad esempio, il
compenso orario (netto) risultasse di 30 €/ora, al figlio dell’imprenditore spetterebbe
una remunerazione complessiva di 12.000 €.
Di conseguenza il reddito da capitale risulterà pari a
RC = RE - SL = 70.580 - (32.500 + 12.000) = 26.080 €
La determinazione del livello di remunerazione del lavoro prestato
dall’imprenditore nella propria impresa richiede di calcolare il relativo reddito da lavoro
sottraendo dal reddito di esercizio tutti gli altri costi impliciti. Questi sono rappresentati
dalla remunerazione al capitale (BC), data dall’applicazione dell’opportuno tasso di
interesse al valore del capitale netto iniziale, e dal compenso al lavoro prestato dal figlio
(SL’). Il reddito da lavoro risulterà allora
RL = RE - CNi⋅r - SL’ = 70.580 - 815.000 * 2,5% - 12.000 = 38.205
Considerando tale reddito distribuito su 13 mensilità si ottiene una remunerazione
del lavoro dell’imprenditore di circa 2.940 €/mese. Se, invece, si è interessati a stabilire
il livello di remunerazione oraria, è sufficiente dividere il reddito da lavoro per
l’impegno totale ottenendo un valore pari a
rLi =
RL
= 19,60 €/ora
Nh i
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
- 54 -
2.3 ELEMENTI DI ANALISI DEL BILANCIO
Il reddito d’esercizio esprime l’utile (o la perdita) generato dalla gestione durante
l’esercizio amministrativo; il suo valore, però, non fornisce indicazioni riguardo il
livello di remunerazione ottenuto dal capitale conferito dall’imprenditore. Se due
imprese realizzano entrambe un reddito di capitale di 100.000 €, con la prima che ha
conferito un capitale netto di 1 milione di euro e la seconda di 10 milioni, è evidente che
il giudizio sul risultato conseguito è completamente diverso; la prima infatti ha ottenuto
un rendimento del capitale del 10%, mentre la seconda solo dell’1%.
Per stabilire il livello di remunerazione del capitale è necessario procedere ad
un’analisi che ponga in relazione l’entità del conferimento con il reddito da capitale
realizzato cercando di comprendere come si è originata tale remunerazione e su quali
elementi è possibile agire per incrementarla nei successivi esercizi amministrativi. In
altri termini all’imprenditore interessa conoscere la capacità di produrre reddito degli
investimenti presenti nell’impresa e le modalità attraverso cui tale capacità può essere
accresciuta. A questo scopo è necessario condurre un’ulteriore analisi che, sulla base
del valore di una serie di indici che misurano la composizione e la redditività del
capitale investito, consenta di evidenziare le componenti della gestione sulle quali
intervenire per migliorare i risultati dell’impresa.
INDICI DI REDDITIVITÀ
I principali indici di redditività utilizzati per analizzare i risultati della gestione
sono identificati con le seguenti sigle: ROE, ROI, ROD e ROS. Nel seguito si procederà
a definire tali indici descrivendo le indicazioni che sono in grado di fornire.
Il ROE - RENDIMENTO DEL CAPITALE NETTO
Il reddito da capitale (RC) esprime il guadagno che l’imprenditore ha realizzato
investendo il capitale proprio (nel caso di un’impresa individuale) o quello dei soci (nel
caso di un’impresa collettiva) e, come già affermato, include il compenso al capitale
netto ed il profitto. Per stabilire quanto tale guadagno sia remunerativo, è necessario
commisurarlo al valore del capitale netto iniziale (CNi)17; il risultato di questo rapporto,
che esprime il rendimento del capitale netto investito, viene indicato come ROE (dalla
dicitura anglosassone return on equity - ossia ritorno del capitale netto):
R
ROE = C
C Ni
Il ROE può essere interpretato come il tasso di interesse attivo che l’imprenditore
ha ricevuto investendo il proprio capitale nell’impresa per il periodo corrispondente
all’esercizio amministrativo. Tuttavia, la comparazione diretta del ROE con il tasso di
17 Ci si riferisce al capitale netto iniziale in quanto esso rappresenta l’entità delle risorse immesse dall’imprenditore
nell’impresa all’avvio dell’esercizio. Se durante l’esercizio si modifica la consistenza del capitale investito (ad
esempio per un finanziamento dei soci) è necessario tenere conto di questa variazione ed apportare le opportune
correzioni al valore del capitale netto iniziale. Per evitare questo problema, talora si è soliti considerare la media del
capitale netto all’inizio ed alla fine dell’esercizio, escludendo da questa seconda componente il contributo apportato
dal reddito d’esercizio che, per definizione, è proprio la variazione del capitale netto dell’impresa nell’esercizio
amministrativo.
- 55 -
interesse fornito da impieghi alternativi del capitale deve essere condotta con molta
cautela, sia perché il ROE deve remunerare anche il fattore imprenditoriale ed il rischio
connesso alla gestione di una attività di impresa, sia perché le motivazioni alla base
della scelta di condurre un’impresa vanno oltre le sole implicazioni economiche.
In molti manuali di analisi del bilancio il ROE viene determinato come rapporto
fra il reddito di esercizio ed il capitale netto. Ciò deriva dal fatto che, essendo l’analisi
di bilancio generalmente eseguita con riferimento ad imprese di capitale, non viene
considerata l’eventualità della presenza di lavoro non retribuito in forma esplicita. Ciò
non origina alcun equivoco in quanto il reddito da capitale viene calcolato sottraendo
dal reddito di esercizio il compenso al lavoro (quando presente) al suo prezzo di
mercato e quindi rendendolo a tutti gli effetti un costo esplicito.
Il ROI – RENDIMENTO DEL CAPITALE LORDO
Il livello di remunerazione ottenuto dal capitale globalmente investito
nell’impresa, indipendentemente da chi lo ha fornito, viene espresso dall’indice detto
ROI (return on investment) il quale viene calcolato rapportando al capitale lordo
iniziale (CLi) il reddito operativo corretto ROC che, esprimendo il risultato della
gestione caratteristica, non include il costo del capitale di terzi rappresentato dal
risultato della gestione finanziaria.
Affinché il ROI esprima correttamente la remunerazione del capitale di terzi è
necessario togliere dall’ammontare del reddito operativo corretto le imposte sul reddito
e, nel caso di imprese in cui è presente lavoro non remunerato esplicitamente, anche il
costo implicito relativo al compenso spettante al lavoro fornito dall’imprenditore e dalla
sua famiglia valutato a prezzi di mercato. Operando in questo modo, la differenza fra il
numeratore del ROI, indicato con RO’ e il reddito da capitale è determinata
esclusivamente dal risultato della gestione finanziaria.
RO'
ROI =
C Li
Il ROI indica la capacità dell’impresa di produrre reddito in relazione al volume
delle risorse finanziarie investite, mentre il ROE esprime il livello di remunerazione
ottenuto dalle risorse finanziarie proprie dell’imprenditore. Il confronto fra i due
parametri, quindi, fornisce una misura della differenza di rendimento tra il capitale
proprio e quello complessivamente investito dall’impresa.
IL ROD - TASSO DEI DEBITI
Il ROD (return of debts) esprime il costo medio sostenuto dall’impresa per poter
disporre delle risorse finanziarie di terzi. Esso viene calcolato rapportando il risultato
della gestione finanziaria (Gf), considerato in valore positivo, all’ammontare del
capitale di terzi presente all’inizio dell’esercizio amministrativo (CTi)18:
ROD =
Gf
C Ti
La differenza fra ROI e ROD, cioè fra rendimento del capitale lordo e costo dei
18 Risulta più corretto considerare come costo del capitale di terzi il risultato della gestione finanziaria piuttosto che
la sola componente relativa agli interessi passivi; ciò in quanto i finanziamenti di terzi, soprattutto quelli che fanno
capo ai debiti di breve periodo, consentono di avere una temporanea disponibilità di liquidità aggiuntiva sulla quale
maturano degli interessi attivi.
- 56 -
finanziamenti di terzi, è un parametro di grande importanza in quanto determina,
attraverso il meccanismo noto come leva finanziaria, la modalità con cui il compenso al
capitale investito (ROI) si trasferisce al compenso al capitale proprio (ROE).
Eliminando il riferimento alla consistenza iniziale dei capitali, si definisce LF il
rapporto di leva finanziaria fra capitale di terzi e capitale proprio:
C
LF = T
CN
Facendo riferimento alle definizioni date in precedenza ed eseguendo alcuni
passaggi algebrici si determina la seguente uguaglianza:
ROE = ROI + (ROI - ROD) ⋅ LF
Quest’ultima relazione, che esprime il legame fra ROE e ROI, indica che il primo
può essere maggiore del secondo solo se l’impresa remunera il capitale globalmente
investito ad un tasso più elevato di quello relativo al costo dei finanziamenti di terzi.
Sempre dalla stessa relazione si osserva che la differenza fra ROE e ROI è
proporzionale alla differenza fra ROI e ROD ed al valore del rapporto di leva
finanziaria LF. Ne consegue che, se il ROI è maggiore del ROD, il ROE aumenta della
loro differenza moltiplicata per la leva finanziaria; se è minore, diminuisce della stessa
quantità. Ciò stabilisce una regola generale di comportamento per l’imprenditore:
- se ROI>ROD allora è possibile aumentare il ROE aumentando LF, cioè aumentando
il livello di indebitamento dell’impresa (effetto leva positivo)19;
- se ROI<ROD allora è possibile aumentare il ROE diminuendo LF, cioè riducendo il
livello di indebitamento dell’impresa (effetto leva negativo).
IL ROS - REDDITIVITÀ DELLA PRODUZIONE
Un ulteriore indice, particolarmente utile per identificare le diverse componenti
della gestione che contribuiscono a definire la consistenza del ROE, è il ROS (return of
sales). Questo è un indicatore prettamente economico in quanto esprime la quota di
reddito proveniente dalla gestione caratteristica attraverso il rapporto fra il reddito
operativo opportunamente corretto (RO’) e il valore della produzione VP:
RO'
ROS =
VP
Questo indice esprime, quindi, la capacità dell’impresa di generare reddito dal
complesso della suoi ricavi.
Dall’espressione precedente, moltiplicando e dividendo per VP, si ottiene:
RO' VP
VP
ROI =
⋅
= ROS ⋅
VP C Li
C Li
Tale relazione evidenzia come la remunerazione del capitale investito (ROI)
dipenda da due fattori: il margine di reddito ottenuto sui ricavi di vendita (ROS) e
l’entità del valore della produzione in relazione al capitale investito. Il secondo termine,
detto turnover del capitale investito, esprime una misura della capacità dell’impresa di
ottenere valore della produzione dall’insieme delle sue risorse finanziare.
19 In questo caso, infatti, ogni euro di finanziamento esterno è in grado di generare un incremento di reddito
operativo che, oltre a coprire i costi del finanziamento stesso, produce un incremento del reddito netto, e quindi del
ROE.
- 57 -
VALUTAZIONE DELL’EQUILIBRIO FINANZIARIO
Attraverso lo svolgimento di questa parte dell’analisi di bilancio si cerca di
verificare la capacità dell’impresa di finanziare la propria attività in relazione ai debiti
che essa ha contratto ed ai relativi tempi di restituzione. In particolare, è necessario
verificare la consistenza relativa delle diverse componenti del capitale per poter
prevedere con opportuno anticipo la possibile insorgenza di problemi di liquidità dovuti
al ritardo dei redditi prodotti dagli investimenti effettuati rispetto ai tempi di
restituzione dei finanziamenti ricevuti per realizzare gli investimenti stessi.
Alcuni parametri utili a questo scopo, margine di tesoreria, margine di
disponibilità (o capitale circolante netto) e margine di struttura, sono stati già definiti
nel precedente capitolo nell’ambito della valutazione del capitale. Oltre a questi, che
esprimono l’entità assoluta di grandezze relative alla consistenza patrimoniale
dell’impresa, possono essere definiti ulteriori indici i quali vengono calcolati
rapportando i valori delle diverse voci della situazione patrimoniale.
Con riferimento a liquidità immediate (LI), liquidità differite (LD), rimanenze (R),
capitale immobilizzato (Im), debiti a breve (DB) e a medio/lungo periodo (DML)
vengono definititi i seguenti quozienti.
L + LD
Quoziente di liquidità: Q L = I
DB
Esprime la capacità di far fronte agli impegni finanziari immediati; per evitare
crisi di liquidità nel breve periodo il suo valore deve essere superiore ad uno e,
possibilmente, non inferiore a 1,5.
L + LD + R
Quoziente di disponibilità: Q D = I
DB
Ha un significato analogo al quoziente di liquidità, ma include fra i capitali
disponibili a breve per far fronte ad eventuali problemi di liquidità anche le rimanenze.
Per questa ragione il suo valore dovrebbe essere apprezzabilmente superiore al
precedente e comunque non assumere valori inferiori a 1,8-2,0.
P + CN
Quoziente di copertura finanziaria: Q CF = ML
Im
Quando questo indice assume un valore inferiore ad uno si manifesta una
condizione in cui parte degli investimenti non è stata finanziata con capitale di medio
lungo periodo. Ciò implica che parte delle risorse finanziarie impiegate per interventi
strutturali deve essere restituita nel breve periodo, circostanza che può comportare il
rischio di incorrere in futuri problemi finanziari.
C
Quoziente del margine strutturale: Q MS = N
Im
Questo indice, simile al precedente ma riferito solo al capitale proprio, esprime,
nel caso in cui assuma valori superiori all’unità, un consistente equilibrio patrimoniale
in quanto tutte le strutture produttive sono finanziate con risorse proprie dell’impresa.
Questa situazione, però, non è sempre consigliabile, soprattutto in imprese che
producono redditi elevati e che, sfruttando l’effetto leva positivo, possono trarre
vantaggio da un più consistente ricorso a capitali di terzi.
- 58 -
Diviene quindi importante, nella valutazione dell’equilibrio finanziario, inserire
un indicatore dell’incidenza del finanziamento di terzi sulla consistenza dei capitali
dell’impresa. A questo scopo possono essere usati diversi rapporti; fra i più comuni
troviamo, oltre al rapporto di leva finanziaria (LF = CT/CN), il cosiddetto quoziente di
indebitamento dato dal rapporto CT/CL. Quest’ultimo assume valori che vanno da zero
(tutto capitale proprio) ad uno (tutto capitale di terzi). E’ molto difficile stabilire un
intervallo ottimale per questo rapporto, appare comunque evidente che un valore elevato
espone l’impresa ad una considerevole dipendenza da finanziamenti di terzi, e di
conseguenza a rischi elevati, mentre un valore troppo basso impedisce di sfruttare
l’eventuale effetto positivo della leva finanziaria.
SCHEMA DELLA ANALISI DI BILANCIO
La figura 9 illustra uno schema con cui può essere eseguita un’analisi del bilancio.
Come si osserva, il punto di partenza è rappresentato dal valore del ROE, cioè dal tasso
di remunerazione ottenuto dal capitale fornito dall’imprenditore (nel caso di impresa
individuale) o dai soci (nel caso di impresa collettiva).
Il primo livello dell’analisi riguarda la scomposizione del ROE in tre fattori
distinti che contribuiscono a determinarne il valore. Partendo dalla definizione del ROE
ed eseguendo alcuni semplici passaggi si perviene a tale utile scomposizione:
ROE =
Gf
RO'− Gf C N + C T
R C RO' R C C L
) ⋅ (1 + L F )
=
⋅
⋅
= ROI ⋅
⋅
= ROI ⋅ (1 −
RO'
RO'
CN
CN
C L RO' C N
Con questa procedura si evidenzia come il valore del ROE sia determinato dal
ROI e da due altre componenti; una che, con l’effetto leva finanziaria, tende ad
incrementarne il valore, l’altra che ne comporta una riduzione, in ragione dell’entità del
costo dei finanziamenti di terzi rispetto alla consistenza del reddito operativo.
Una tale scomposizione consente di interpretare la remunerazione al capitale netto
come la risultante della capacità dell’impresa di impiegare efficacemente i capitali in
essa investiti e del ruolo del finanziamento di terzi. E’ così possibile trovare le cause di
un insoddisfacente rendimento del capitale proprio ed intervenire per apportare le
opportune correzioni attraverso un’analisi delle tre componenti che ne sono all’origine.
L’ANALISI DEL ROI
Per quanto riguarda il ROI, si è visto come il suo valore dipenda da due elementi:
la capacità di trasformare in reddito il valore delle produzioni (ROS) e l’efficienza
produttiva del capitale lordo (turnover del capitale). Analizzando tali componenti è
possibile identificare eventuali punti di debolezza dell’impresa nella struttura dei costi o
nella dotazione e nell’impiego a fini produttivi del capitale investito.
Interventi sul ROS sono legati alla struttura dei costi dell’impresa attraverso il
meccanismo della leva operativa (L0), definita come rapporto fra variazione percentuale
del reddito operativo e corrispondente variazione del valore della produzione:
∆RO / RO (%)
LO =
∆VP / VP (%)
- 59 -
Figura 9 - Struttura dello schema logico per lo svolgimento di un’analisi di bilancio
ROE
ROI
ROS
Analisi conto economico (%)
(Leva operativa & Struttura costi)
LO
Tasso di indebitamento
Tasso di incidenza
Gestione Extracaratteristica
(1+LF)
(1-IP/RO)
Turnover del capitale investito
- Costo dell'indebitamento (ROD)
- Incidenza delle altre componenti
extra-caratteristiche
Analisi della Sit. Patrimoniale
- impieghi finanziari
- fonti di finanziamento
Leva finanziaria
Analisi dell'equilibrio finanziario
- Quoziente di Liquidità
- Quoziente di Disponibilità
- Copertura Finanziaria
- Quoziente del Margine Strutturale
ROI-ROD
Interventi volti ad elevare il valore di L0 sono quindi particolarmente utili per
accrescere gli incrementi di reddito conseguenti alla adozione di strategie commerciali
finalizzate alla crescita della quantità o della qualità dei prodotti offerti dall’impresa.
Il valore di L0 è strettamente legato alla struttura dei costi; è infatti possibile
ottenere incrementi di reddito più che proporzionali agli aumenti del valore della
produzione riducendo i costi variabili ed aumentando i costi fissi.
Per comprendere questo meccanismo è utile far riferimento ad un esempio. Si
considerino due imprese (A e B), caratterizzate dai medesimi valori del VP e del RO ma
da una diversa struttura dei costi, nelle quali viene conseguito un incremento del 20%
del VP. Il prospetto di tabella 6 mostra per entrambe le imprese la situazione di partenza
e quella che si verifica in conseguenza dell’incremento del VP, supponendo un aumento
dei costi variabili proporzionale a quello del valore della produzione20.
Ad una crescita del valore della produzione del 20% corrisponde un incremento
del reddito operativo che per l’impresa A è del 40% mentre per la B è del 60%; il valore
della leva operativa è quindi di 2 per l’impresa A e di 3 per l’impresa B.
Tabella 6 - Esemplificazione del meccanismo della leva operativa
VP
Impresa A
Situazione Situazione
Iniziale
Finale
100
120
Impresa B
Situazione
Situazione
Iniziale
finale
100
120
CV
50
60
25
30
CF
25
25
50
50
RO
25
35
25
40
L’esemplificazione mostra che il trasferimento degli incrementi produttivi in
termini di reddito è particolarmente premiato da una struttura dei costi dell’impresa
imperniata sugli investimenti piuttosto che su un elevato impiego di fattori a logorio
totale. Per agire sul valore della leva operativa è necessario esaminare il conto
economico analizzando la composizione dei costi per verificare i possibili interventi
volti a “strutturare” parte dei costi variabili, attraverso interventi quali l’assunzione di
lavoratori a tempo indeterminato invece che con contratti a termine o acquistando
macchinari e impianti per lo svolgimento di operazioni affidate ad imprese esterne.
Questa indicazione generale, tuttavia, deve essere interpretata con grande
attenzione per due ordini di motivi. Il primo riguarda la consistenza patrimoniale
dell’impresa che, con una strategia di aumento dei costi fissi, e quindi di investimenti a
medio/lungo termine, tende a dipendere in misura crescente dal finanziamento di terzi.
Questo elemento, se da un lato può premiare la redditività attraverso il meccanismo
delle leva finanziaria, rende l’impresa maggiormente dipendente dal controllo da
economie esterne che possono influenzarne la gestione. Il secondo aspetto riguarda il
20 Il considerare l’aumento dei costi variabili proporzionale a quello del valore della produzione è legato all’ipotesi
che quest’ultimo sia dovuto ad un incremento della quantità di prodotto e che la funzione di costo variabile sia
lineare. Queste condizioni, pur non coprendo la totalità delle situazioni, sono abbastanza generali da rendere
sufficientemente realistica l’esemplificazione quantitativa.
- 61 -
meccanismo della leva operativa che agisce con modalità identiche anche in senso
opposto, amplificando in termini di riduzione del reddito eventuali decrementi del VP.
Così, con riferimento all’esempio precedente, una riduzione del VP del 35% porterebbe
l’impresa B ad un valore negativo del RO, cosa che non si verifica per l’impresa A.
Per queste ragioni, una strategia di incremento della leva operativa, pur premiando
le strategie di crescita dell’impresa, la espone a maggiori rischi di natura economica e
finanziaria. Il meccanismo della leva operativa, analogamente a quello della leva
finanziaria, favorisce le imprese in grado di remunerare i capitali investiti ma tende ad
esporle ad una eccessiva dipendenza da capitali di terzi. A conferma di questa
affermazione va segnalato che il rischio finanziario che caratterizza un’impresa è
espresso proprio dal prodotto fra i valori della leva finanziaria e della leva operativa.
L’altro elemento che, oltre al ROS, determina il valore del ROI è il turnover del
capitale investito, parametro che dipende dalla capacità produttiva degli investimenti.
Un valore insoddisfacente di tale indicatore può derivare da una sovracapitalizzazione
dell’impresa o dalla insufficiente utilizzazione degli investimenti stessi. Entrambe le
circostanze possono essere individuate attraverso un’accurata analisi della situazione
patrimoniale e della sua evoluzione recente, analisi che deve riguardare, non solo la
composizione delle immobilizzazioni, ma anche l’entità e la valutazione delle
rimanenze che, soprattutto quando permangono per più esercizi, possono subire delle
consistenti variazioni di valore.
Chiaramente qualunque intervento sulla composizione patrimoniale dell’impresa
volto a migliorare la finalizzazione produttiva degli investimenti, prima di essere
attuato, dovrà essere valutato alla luce dell’attuale equilibrio finanziario, così come si
manifesta dal valore assunto dai relativi indicatori.
L’ANALISI DEI FINANZIAMENTI DI TERZI
Dalla scomposizione del ROE espressa dalla precedente relazione risulta che il
rapporto esistente fra la redditività del capitale netto e la redditività del capitale lordo
dipende esclusivamente dalla consistenza e dal costo del capitale di terzi. Tale
dipendenza si esprime attraverso due componenti: la leva finanziaria, che tende ad
incrementare il valore dei ROI, ed il costo della gestione finanziaria, che agisce in senso
opposto, riducendone l’entità.
Poiché l’obiettivo dell’imprenditore è quello di incrementare la remunerazione del
capitale proprio, egli, oltre a puntare ad un elevato valore ROI, deve cercare di sfruttare
l’effetto della leva finanziaria, limitando contemporaneamente il rischio insito nel
massiccio ricorso al capitale di terzi e, soprattutto, l’ammontare degli interessi passivi
sui finanziamenti ottenuti.
Il tentativo di aumentare l’effetto della leva finanziaria deve essere comunque
considerato con grande attenzione, tenendo conto che la sua azione dipende dal legame
esistente fra ROI e ROD. Quando il ROI presenta un valore maggiore del ROD,
l’effetto della leva finanziaria si esercita in senso positivo, portando incrementi del
rendimento del capitale netto all’aumentare del livello di indebitamento dell’impresa;
l’effetto opposto si manifesta allorquando il ROD è più elevato del ROI.
Questa articolazione esistente fra le varie componenti finanziarie implica che
l’analisi del bilancio riguardo al ruolo dei finanziamenti di terzi deve essere condotta
con grande attenzione per poter delineare delle strategie efficaci. Il punto di partenza è
certamente quello di ridurre la differenza fra reddito operativo e reddito netto
- 62 -
rappresentata dal risultato della gestione finanziaria, e quindi contrarre quanto più
possibile gli interessi passivi sui capitali di terzi; agire sul tasso che l’impresa paga sui
debiti, il ROD appunto, è certamente il primo passo per accrescere il valore del ROE.
Se le strategie per la riduzione del ROD sono tali da portare questo indice ad un
valore inferiore al ROI allora è opportuno valutare gli effetti di una politica aziendale di
incremento dell’indebitamento che, se da un lato aumenta il ROE grazie alla leva
finanziaria, dall’altra espone l’impresa ad un rischio che va attentamente valutato
attraverso una analisi dell’equilibrio finanziario. Se invece il ROD si mantiene elevato,
e comunque superiore al ROI, è necessario procedere ad una riduzione
dell’indebitamento facendo molta attenzione, anche in questo caso, all’equilibrio
finanziario dell’impresa. Infatti, una brusca riduzione dei debiti di medio-lungo periodo,
ottenuta attraverso l’impiego del capitale disponibile, potrebbe portare a problemi di
liquidità che metterebbero in crisi le stesse potenzialità produttive dell’impresa.
~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~
Un’impresa presentava all’inizio dell’esercizio appena concluso la seguente
situazione patrimoniale.
IMPIEGHI
Cassa
C/C Bancari
Liquidità immediate
FONTI
Importi (€)
1.000
20.000
21.000
Importi (€)
Prestiti di conduzione
Debiti verso Fornitori
Debiti verso l’Erario
60.000
15.000
5.000
80.000
Crediti verso Clienti e Soci
100.000
Debiti a breve
Crediti verso enti previdenziali
Altri crediti a breve
Liquidità differite
Materie prime
15.000
10.000
125.000
110.000
Prestiti per acquisto impianti
Mutui ipotecari
Fondo TFR
Debiti a medio/lungo periodo
50.000
90.000
10.000
150.000
CAPITALE DI TERZI
230.000
Prodotti destinati alla vendita
50.000
Prodotti in lavorazione
Rimanenze
200.000
360.000
CAPITALE DISPONIBILE
506.000
Terreni e fabbricati
Macchinari e impianti
Mobili ufficio
Immobilizzazioni materiali
Partecipazioni e Titoli
Depositi Cauzionali
Immobilizzazioni finanziarie
1.500.000
200.000
30.000
1.730.000
5.000
5.000
10.000
IMMOBILIZZAZIONI
1.740.000
CAPITALE LORDO
2.246.000
CAPITALE NETTO
- 63 -
2.016.000
Si esegua un’analisi di bilancio considerando i seguenti valori del conto
economico del bilancio rilevati a fine esercizio.
Valore della Produzione
Costi Variabili
REDDITO LORDO
Costi Fissi
REDDITO OPERATIVO
Imposte (IRAP)
REDDITO OPERATIVO CORRETTO
Gestione finanziaria
REDDITO D’ESERCIZIO ANTE IMPOSTE
Imposte (IRPEG)
REDDITO D’ESERCIZIO
Importi (€)
1.210.000
910.000
300.000
204.000
96.000
1.800
94.200
-9.500
84.700
31.340
53.360
(%)
100,0%
75,2%
24,8%
16,9%
7,9%
0,1%
7,8%
0,8%
7,0%
2,6%
4,4%
Escludendo la presenza di lavoro non retribuito, anche in relazione alla
dimensione economico-finanziaria dell’impresa, l’analisi di bilancio si concentra sulla
determinazione della redditività del capitale investito e sui possibili interventi volti ad
incrementarne l’entità. A questo scopo è necessario procedere alla determinazione dei
quattro indici di redditività: ROE, ROI, ROD e ROS.
La redditività del capitale proprio, cioè il ROE, è pari a:
ROE =
R C RE
53.360
=
=
= 2,65%
C Ni C Ni 2.016.000
La redditività globale del capitale investito, espressa dal ROI, risulta invece:
ROI =
RO' RO C − Im R 94.200 − 31.340
=
=
= 2,80%
C Li
C Li
2.246.000
Il costo medio dei finanziamenti di terzi nel corso dell’esercizio, rappresentato dal
ROD, viene determinato rapportando il risultato della gestione finanziaria alla
consistenza del capitale di terzi:
ROD =
Gf
C Ti
=
9.500
= 4,13%
230.000
L’ultimo indice, il ROS, esprime la quota di reddito derivante dalla gestione tipica
ed è dato dal rapporto fra reddito operativo (anche in questo caso corretto sottraendo
l’ammontare delle imposte) e valore della produzione.
ROS =
RO' 94.200 − 31.340
=
= 5,20%
VP
1.210.000
Per procedere alla scomposizione del ROE è necessario determinare la leva
finanziaria (LF), dato dal rapporto fra capitale di terzi e capitale netto, e l’incidenza
della gestione finanziaria sul reddito operativo.
- 64 -
LF =
Gf
CT
230.000
=
= 0,114
C N 2.016.000
RO'
=
9.500
= 0,151
62.860
La scomposizione del ROE risulta quindi:
ROE = ROI ⋅ (1-|Gf|/RO’) ⋅ (1+LF) = 2,80% ⋅ 0,849 ⋅ 1,114 = 2,65%
In base ai valori ottenuti si osserva che l’effetto della leva finanziaria, pari a
0,114, è inferiore a quello dell’incidenza della gestione finanziaria (-0,151) e ciò
giustifica il minore livello del ROE rispetto al ROI.
Come evidenzia la scomposizione del ROE, per innalzare la remunerazione del
capitale investito è possibile cercare di aumentare il ROI e ridurre l’incidenza della
gestione finanziaria.
Per quanto riguarda l’azione della leva finanziaria, è necessario confrontare
preventivamente i valori del ROI e del ROD. Essendo ROI-ROD=-1,33%, e quindi
minore di zero, l’effetto della leva finanziaria è negativo; ciò comporta che un eventuale
aumento dell’indebitamento porterebbe ad una ulteriore riduzione del ROE. Ne
consegue che l’aumento del ROE non può essere conseguito attraverso un incremento
dell’effetto leva finanziaria e neanche riducendo il costo dei capitali di terzi che, con un
tasso di poco superiore al 4%, appare già sufficientemente contenuto.
D’altro canto, la situazione patrimoniale evidenzia un basso tasso di
indebitamento (di poco superiore al 10%) ed anche dal punto di vista dell’equilibrio
finanziario l’impresa risulta assai solida, come emerge dal valore dei relativi quozienti:
- Quoziente di liquidità: Q L =
21.000 + 125.000
= 1,83
80.000
- Quoziente di disponibilità: Q D =
21.000 + 125.000 + 360.000
= 6,33
80.000
- Quoziente di copertura finanziaria: Q CF =
2.016.000 + 150.000
= 1,24
1.740.000
- Quoziente del margine strutturale: Q MS =
2.016.0000
= 1,16
1.740.000
Sulla base delle precedenti valutazioni, allora, si può affermare come il punto
debole dell’impresa sia il ridotto valore del ROI; è quindi necessario analizzare le due
componenti che lo costituiscono: il ROS e il turnover del capitale investito. Questa
seconda componente, che risulta pari a:
VP 1.210.000
=
= 53,9%
C L 2.246.000
non sembra assumere un valore particolarmente basso. Ciò non toglie che è comunque
possibile tentare di incrementare il valore della produzione, puntando ad ottenere prezzi
più elevati per i prodotti attraverso strategie mirate alla commercializzazione.
Molto più preoccupante appare, invece, il ROS che evidenzia come solo poco più
del 5% dei ricavi si trasformano in reddito. Se il VP è sostanzialmente adeguato al
livello degli investimenti presenti, altrettanto non si può dire dei costi che appaiono
- 65 -
certamente troppo elevati. Osservando il conto economico emerge come oltre il 75% del
valore della produzione sia “consumato” dai costi variabili. E’ quindi l’eccessiva
incidenza di questa componente il punto debole dell’impresa, e bisogna agire su di essa
per ottenere migliori livelli di redditività.
Il tipo di interventi possibili sono sostanzialmente due: tentare semplicemente di
ridurre i costi variabili senza agire su elementi strutturali dell’impresa o cercare di
attivare un meccanismo virtuoso basato sulla leva operativa. In questa seconda ipotesi è
necessario agire contemporaneamente su due fronti: da un lato, convertire parte dei
costi variabili in costi fissi (investendo in impianti o macchinari, cercando nuove
soluzioni tecniche, migliorando la professionalità del capitale umano), dall’altro
aumentando il valore della produzione. La leva operativa, infatti, incrementa i redditi in
misura tanto più elevata quanto maggiore è il rapporto fra costi fissi e costi variabili.
In conseguenza di questi interventi, se eseguiti con le opportune modalità, è
presumibile prevedere un progressivo innalzamento del ROI; qualora questo indicatore
superasse il valore del ROD sarebbe possibile ipotizzare interventi strutturali
sull’impresa eseguiti per mezzo di finanziamenti provenienti da terze economie. Questa
politica dell’impresa, oltre ad aumentare l’efficienza della struttura produttiva,
consentirebbe, infatti, di sfruttare l’effetto positivo della leva finanziaria.
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3. LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE NELL’IMPRESA
3.1 CENNI ALLA TEORIA DELLA PRODUZIONE
Una funzione di produzione esprime il legame fra il livello di impiego dei fattori
produttivi e la quantità di prodotto (o di prodotti) ottenibile. La natura di tale legame
dipende dalla tecnica impiegata e indica la modalità, espressa in termini di tipo e
quantità dei fattori, con cui può essere ottenuto un determinato prodotto.
Per produrre un determinato bene saranno disponibili diverse tecniche a ciascuna
delle quali corrisponderà un determinato livello tecnologico.
Una funzione di produzione può essere rappresentata con una equazione nella
quale la quantità di prodotto (y) dipende dalle quantità (v1,v2,...,vk) dei k fattori
utilizzati in quella particolare tecnica:
y = f (v1, v2, ..., vk)
Considerando i fattori della produzione dal punto di vista del controllo che
l’imprenditore può esercitare su di essi, è stata operata una suddivisione fra fattori
esogeni, che l’imprenditore non può controllare e dei quali deve cercare di prevedere la
manifestazione, ed endogeni, i quali possono essere scelti e dosati dall’imprenditore.
Questi ultimi assumono una diversa connotazione in base alla prospettiva temporale
nella quale vengono considerati; mentre nel lungo periodo nessun fattore endogeno
presenta limiti di disponibilità, nel breve periodo alcuni di essi, rappresentati dagli
elementi strutturali dell’azienda, sono disponibili in una quantità fissa che, in tale
ambito temporale, l’imprenditore non può modificare. Di conseguenza, dei k fattori
totali, alcuni saranno disponibili in quantità limitata (fattori fissi) mentre altri potranno
essere dosati dall’imprenditore (fattori variabili) ottenendo la corrispondente quantità di
prodotto determinata dalla funzione di produzione.
Secondo questo approccio alla teoria della produzione, per poter operare in
maniera efficiente, l’imprenditore dovrebbe conoscere tutte le forme funzionali relative
ai prodotti che intende produrre e determinare in base ad esse il livello di impiego dei
fattori in modo da ottenere il risultato che ritiene il migliore in relazione ai suoi
obiettivi. In molti casi, l’impossibilità oggettiva di procedere secondo un tale approccio
obbliga a fare riferimento ad una diversa modalità per descrivere i processi produttivi.
In realtà le imprese che operano nei diversi settori produttivi sono in grado di
attivare soltanto un numero limitato di tecniche per produrre un determinato bene, le
quali sono il risultato di un percorso di acquisizione di sempre nuove conoscenze
tecniche. Viene a cadere, così, la possibilità di instaurare un rapporto di dipendenza
analitica fra quantità dei fattori produttivi e dei prodotti determinato da una funzione di
produzione continua, quale quella precedentemente indicata. Di conseguenza, quando la
teoria della produzione viene affrontata da una prospettiva più prettamente gestionale, è
utile far ricorso ad una diversa teoria la quale si basa su funzioni di produzione dette a
coefficienti fissi.
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Nelle funzioni a coefficienti fissi una determinata quantità di prodotto può essere
ottenuta soltanto attraverso un numero limitato di combinazioni dei fattori produttivi i
quali entrano nel processo produttivo secondo rapporti fissi. Tali funzioni di produzione
sono descritte da un elenco dei coefficienti tecnici, ovvero le quantità dei singoli fattori
necessarie per produrre una unità di prodotto. Nel caso in cui un processo produttivo dia
origine a più prodotti, i coefficienti tecnici vengono riferiti alla produzione unitaria del
prodotto principale, mentre gli altri vengono considerati come sottoprodotti.
Di conseguenza, il processo produttivo si presenta come un elenco delle quantità
dei prodotti ottenibili e dei fattori richiesti per produrre una unità del prodotto
principale. Il processo produttivo assume la forma di un vettore di p+k elementi, dove p
indica il numero dei prodotti forniti dal processo e k il numero dei fattori impiegati.
Questi ultimi, per eseguire la valutazione economica del processo produttivo e il suo
dimensionamento in relazione alla struttura dell’impresa è opportuno che vengano
distinti fra gli m che si riferiscono ai fattori fissi (v1,...,vm) e i k-m che invece
esprimono le quantità dei fattori variabili (vm+1,...,vk). Il vettore relativo al generico
processo produttivo j assume quindi la forma seguente:
 y 1j 


 ... 
 y 
 pj 
 a1j 
 ... 


 a mj 
a

 ( m +1) j 
 ... 
 a 
 kj 
Questo può essere letto come una “ricetta” della quale vengono elencati i k
ingredienti con le relative quantità {aij}= (a1j,…, akj) necessarie per ottenere il risultato
desiderato, vale a dire le quantità y1,…,yp di prodotti.
3.2 I PROCESSI PRODUTTIVI: ASPETTI TECNICI ED ECONOMICI
Nella gestione dell’impresa la definizione dei processi produttivi si rende
necessaria sia per pianificare l’attività dei successivi cicli produttivi sia per controllare
la regolarità dello svolgimento delle diverse attività in relazione alle previsioni
effettuate prima del loro avviamento.
La costruzione del vettore processo produttivo è il prodotto di due distinte fasi: la
rilevazione delle modalità con cui l’attività è stata svolta nel precedente ciclo produttivo
e l’adattamento della tecnica rilevata in relazione ai possibili incrementi di efficienza
tecnica. Il continuo flusso di informazioni porta quindi l’imprenditore a modificare
costantemente le tecniche produttive impiegate nei cicli precedenti attraverso un
continuo processo di adattamento finalizzato alla massimizzazione dell’efficienza dei
processi stessi. La fase di “correzione” dei processi produttivi rispetto ai risultati
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riscontrati nel corso della rilevazioni eseguite nei cicli precedenti si rende necessaria
anche in relazione all’influenza esercitata dalla manifestazione dei fattori esogeni e,
caso assai frequente, alla incompleta o imprecisa registrazione di tutti i dati relativi alle
singole fasi eseguite nell’ambito della tecnica condotta.
Questa fase di correzione si rende indispensabile per poter condurre le analisi
preventive che, avendo come obiettivo l’organizzazione efficiente delle risorse
aziendali, non possono essere basate su processi produttivi inefficienti. Ciò implica che
la costruzione dei processi produttivi, pur dovendo essere riferita alla dotazione
strutturale della singola impresa, deve prevedere una modalità razionale per la loro
conduzione. In questa operazione un utile contributo viene fornito dal riferimento a
processi produttivi “standardizzati” nei quali alcuni aspetti particolari, come i tempi di
svolgimento delle operazioni, con i relativi impieghi di materie prime e manodopera,
sono definiti in base a specifici parametri tecnici. Così operando si cerca di evitare che
valutazioni soggettive, legate a comportamenti individuali, possano influenzare gli
aspetti tecnico-economici di alcune attività condizionando l’efficienza dell’intera
organizzazione produttiva dell’impresa. Affinché la fase di aggiustamento delle
tecniche possa essere condotta in modo ottimale e dare origine a processi produttivi
efficienti è necessario che la rilevazione consuntiva dei dati avvenga nel modo più
corretto possibile rispetto alle modalità con cui l’attività è stata realmente svolta.
La rilevazione consuntiva dei dati tecnici delle attività produttive può avvenire
con due modalità sostanzialmente differenti in relazione alla presenza nell’impresa di
specifici sistemi di rilevazione contabile. In particolare, come verrà approfondito nel
terzo capitolo, se l’impresa dispone di una contabilità analitica, la descrizione delle
tecniche produttive rappresenta il risultato dell’insieme delle registrazioni effettuate.
Quando, invece, non è presente un adeguato sistema contabile, la rilevazione delle
tecniche deve essere eseguita utilizzando delle schede opportunamente predisposte. In
tali schede andranno trasferite in forma strutturata le informazioni che spesso vengono
raccolte in modo disorganizzato e incompleto.
La fedeltà nella rilevazione dei dati tecnici è molto importante, oltre che per
conoscere le modalità effettive con cui le attività sono state svolte, anche per esprimere
una corretta valutazione economica dei risultati del processo. Questa operazione, nel
caso in cui non sia presente nell’impresa un sistema di contabilità analitica, richiede il
calcolo diretto delle diverse voci e la determinazione dei relativi indicatori.
In questo secondo caso la rilevazione degli aspetti tecnici avviene attraverso uno
specifico supporto e la determinazione dei risultati economici viene eseguita attraverso
un calcolo diretto. Il prospetto per la rilevazione dei dati tecnici, detto solitamente
scheda tecnica, può essere organizzata con modalità differenti a seconda della tipologia
del processo produttivo e degli scopi della rilevazione; è necessario comunque che
riporti per ciascuna fase produttiva le strutture impegnate (impianti, macchinari, …) e le
modalità di esecuzione (consumi, materie prime, lavoro, …). Nella pratica è da evitare
l’inserimento anche di dati economici; una tale formulazione, infatti, si presenta
inadeguata agli scopi della rilevazione sia per motivi teorici (la definizione del processo
produttivo è riferita solo ad aspetti tecnici) che per ragioni pratiche, legate alla
possibilità di aggiornare con regolarità i prezzi di prodotti e fattori produttivi senza
intervenire sulla tecnica. Un elemento di cui va tenuto conto è l’unità di riferimento
della rilevazione eseguita attraverso la scheda tecnica. In linea teorica il comportamento
ideale rispetto alle modalità di rilevazione dei dati tecnici dei processi produttivi
sarebbe quello di utilizzare il massimo livello di analiticità per poter avere il massimo
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dettaglio in fase di valutazione economica consuntiva e la più ampia possibilità di scelta
rispetto ai diversi metodi di analisi preventiva. Tale comportamento, per diverse ragioni,
non è sempre possibile, per cui va raggiunto un compromesso fra la necessità di limitare
i tempi (e i costi) di rilevazione delle informazioni e la possibilità ottenere dati
fondamentali per l’impostazione ed il controllo della gestione dell’impresa.
La trasposizione dei dati rilevati con la scheda tecnica in termini di coefficienti
del vettore processo produttivo non presenta particolari difficoltà. Durante questa
operazione, come detto, è importante separare i coefficienti relativi ai prodotti da quelli
dei fattori e, per questi ultimi, tenere distinti i coefficienti tecnici riferiti ai fattori
variabili da quelli fissi. I primi, infatti, possono essere reperiti sul mercato nella quantità
necessaria per condurre i diversi processi produttivi; i secondi, invece, essendo
disponibili in quantità limitata nel contesto temporale in cui viene attuato il processo, ne
condizionano la dimensione.
Partendo dalla conoscenza del vettore processo produttivo è possibile procedere
alla sua valutazione economica.
Il principale parametro che sintetizza il risultato del processo è rappresentato dal
reddito lordo (rl), il quale esprime la differenza tra il valore della produzione generato
dal processo (vp) ed i costi variabili sostenuti per la sua conduzione (cv).
Il valore della produzione è dato dal prodotto fra le quantità dei beni prodotti ed i
relativi prezzi di vendita; i costi variabili sono calcolati moltiplicando le quantità dei
fattori variabili impiegati nel processo per il loro prezzo di acquisto.
Come si è visto nella premessa, la teoria economica, rispetto all’insieme dei
prezzi con cui si confronta l’impresa, postula l’esistenza di un mercato caratterizzato da
condizioni di libera concorrenza nei confronti del quale l’imprenditore è un price taker,
cioè un recettore assolutamente passivo.
Anche se le condizioni che determinano l’esistenza di concorrenza perfetta sono
abbastanza verificate in molti comparti produttivi, può accadere che per alcuni prodotti
caratterizzati da forti dinamiche di mercato legate, ad esempio, a marchi di particolare
attrattiva, alla presenza di un contenuto immateriale cui i consumatori si rivelano
particolarmente sensibili, o alla collocazione su mercati di nicchia, l’imprenditore abbia
la possibilità di imporre prezzi più elevati. Diversa è la situazione per quanto riguarda
l’acquisto dei fattori produttivi; l’imprenditore, infatti, ha scarsissime possibilità di
intervento sul prezzo di mercato. Tuttavia, lo scarso realismo della condizione relativa
alla completa mobilità dei fattori, comporta che l’esistenza di vincoli strutturali
impedisca per alcuni di essi l’incontro tra la domanda e l’offerta con degli apprezzabili
differenziali di prezzo fra le diverse imprese. Va inoltre considerato che, soprattutto per
le imprese di maggiore dimensione, esiste sempre un margine di trattativa che consente
agli imprenditori di migliorare le condizioni di acquisto delle materie prime per quanto
riguarda sia i prezzi che le modalità ed i tempi di pagamento.
E’ evidente, pertanto, che in un contesto gestionale il riferimento ai prezzi di
mercato, pur fornendo un indispensabile parametro di confronto, deve essere corretto
tendo conto della situazione reale con la quale l’impresa si confronta. E’ così necessario
costruire alcuni vettori dei prezzi da applicare sia ai coefficienti tecnici relativi alle
tecniche rilevate per eseguire le opportune analisi consuntive, sia ai processi produttivi
“corretti” per calcolarne i risultati attesi ed impostare i diversi metodi di analisi
preventiva. E’ chiaro che, in questo secondo caso, è opportuno definire dei vettori
prezzi alternativi per analizzare i diversi scenari di mercato con i quali l’impresa
potrebbe confrontarsi all’atto dell’acquisto dei fattori e della vendita dei prodotti.
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Un elemento di cui tenere conto quando si considera il risultato economico di un
processo produttivo espresso dal reddito lordo è rappresentato del livello di impiego dei
fattori fissi nel processo stesso. Per evitare che ciò comporti delle valutazioni errate in
fase di confronto fra processi è necessario includere fra gli indicatori riassuntivi dei
processi produttivi l’indicazione dell’impiego complessivo dei diversi fattori fissi, in
particolare per il lavoro e per gli impianti e i macchinari. Riguardo a questi ultimi,
l’unico elemento da considerare è il costo determinato dall’ammortamento in quanto nei
costi variabili sono già compresi tutti i consumi energetici e gli interventi necessari per
mantenere tali strutture in condizioni di pieno funzionamento.
Il lavoro presenta, invece, una connotazione diversa in quanto la sua incidenza nei
risultati del processo è condizionata, oltre che dal numero di ore richieste per le diverse
qualifiche professionali, anche dal rapporto di lavoro che lega l’impresa ai lavoratori
impiegati. Infatti, il lavoro svolto da personale assunto a tempo indeterminato origina un
costo fisso, il lavoro svolto da personale a tempo determinato origina un costo variabile
e nel caso in cui intervenga nel processo l’imprenditore stesso ne scaturisce costo
implicito. Per risolvere le eventuali ambiguità che sorgono nella valutazione del costo
del lavoro nei processi produttivi è necessario operare in maniera univoca includendo o
escludendo tutto l’impiego di manodopera, qualunque sia la tipologia di lavoro preposta
al suo svolgimento.
Includendo il costo del lavoro nella valutazione del risultato economico si
determina una sorta di “reddito lordo al netto del costo del lavoro” il quale costituisce
un parametro di indubbia utilità nella valutazione comparativa dei processi produttivi
eseguita in fase consuntiva. In alternativa si può procedere rapportando il reddito lordo
alle ore di lavoro; tale indicatore viene ad esprimere una misura della produttività del
lavoro immesso nel processo.
Un altro parametro di valutazione del risultato economico dei processi produttivi
è rappresentato dal costo di produzione (full costing) riferito all’unità di prodotto. A
differenza del reddito lordo, non ci si limita al calcolo dei soli costi variabili, ma
vengono presi in considerazione tutti i costi che possono essere attribuiti al processo
stesso; l’entità del costo così determinata viene divisa per la quantità prodotta in
relazione alla scala alla quale è stato rilevato il processo.
La determinazione del costo di produzione richiede di distinguere i fattori
produttivi non in relazione al loro logorio (totale, parziale o nullo) ma al tipo di
presenza che essi manifestano nei processi produttivi. Ciò comporta che le componenti
di costo non siano distinte in variabili o fisse ma in:
• costi specifici, se vengono sostenuti esclusivamente per la conduzione di un
processo produttivo;
• costi plurimi , se sostenuti per più processi produttivi;
• costi generali; se sostenuti per il funzionamento dell’impresa nel suo complesso.
Riferendosi a questa modalità di classificazione il calcolo del costo di produzione
viene semplificato in quanto al relativo processo possono essere direttamente attribuiti
sia i costi specifici che la relativa quota parte dei costi plurimi, per i quali è possibile
trovare un criterio oggettivo di assegnazione attraverso il controllo dell’utilizzo dei
fattori. Le maggiori difficoltà di assegnazione ai processi riguardano i costi generali per
i quali sono inevitabili delle attribuzioni soggettive; la loro entità complessiva può
essere ripartita in base a diversi criteri (valore della produzione, entità dei costi specifici
e plurimi, ecc.); ciascuna soluzione è valida e al tempo stesso criticabile non esistendo
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una motivazione obiettiva che possa pienamente giustificarla. In generale, comunque,
l’attribuzione dei costi ai diversi processi rappresenta un procedimento tanto più
complesso quanto maggiore è il livello di diversificazione produttiva.
Una volta assegnati i costi espliciti si dovrà procedere all’attribuzione degli
eventuali costi impliciti; a questo scopo, per evitare il più possibile valutazioni
soggettive, i fattori conferiti dall’imprenditore andranno valutati a prezzi di mercato.
L’analisi del risultato dei processi condotta con il criterio del costo di produzione
non è in grado di fornire indicazioni particolarmente utili all’imprenditore. Ciò dipende,
oltre che dalla approssimazione nell’attribuzione dei costi plurimi e generali ai singoli
processi, anche dal fatto che parte dei costi attribuiti al prodotto, in particolare quelli
fissi, vengono sostenuti indipendentemente dall’effettiva attivazione del processo. Così
l’imprenditore potrebbe decidere di continuare a condurre un processo in grado di
produrre reddito lordo anche nel caso in cui il costo di produzione risultasse maggiore
del prezzo del prodotto. In questo modo, infatti, egli è in grado di coprire parte dei costi
fissi che, in assenza del processo, dovrebbe sostenere per intero.
Al contrario, una circostanza in cui il costo di produzione fornisce utili
indicazioni riguarda l’eventualità in cui l’impresa, per un particolare prodotto, sia in
grado di imporre il prezzo di vendita. In questo caso, la conoscenza del costo di
produzione consente di determinare una soglia minima per il prezzo del prodotto.
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4. ANALISI PREVENTIVA DELLE STRATEGIE DI GESTIONE
4.1 IL CONTESTO DECISIONALE DELL’IMPRESA
Nell’ambito della gestione viene detta analisi preventiva l’insieme delle procedure
che consentono di valutare i processi decisionali finalizzati al conseguimento degli
obiettivi imprenditoriali. Lo svolgimento delle analisi preventive si traduce, quindi, in
una progettazione sistematica che, basandosi sulle conoscenze disponibili, imposta
l’orientamento delle attività future. Questo processo coinvolge due diversi aspetti: da un
lato, i processi logici attraverso cui l’imprenditore giunge a formulare una decisione e,
dall’altro, l’insieme dei metodi e degli strumenti che egli può utilizzare per valutare le
diverse alternative e prendere le decisioni che risultano più aderenti al conseguimento
dei suoi obiettivi gestionali. Egli cerca, attraverso un’efficiente utilizzazione dei fattori
e cogliendo le opportunità offerte dal contesto istituzionale e di mercato, di ottenere i
migliori risultati possibili e, contemporaneamente, di ridurre i rischi legati alla
manifestazione degli elementi che sfuggono al suo controllo.
In molti casi gli imprenditori conducono il processo di analisi preventiva in modo
empirico, senza operare alcuna formalizzazione dei diversi problemi di scelta con i
quali si confrontano. Questo approccio, se da un lato offre il vantaggio di poter tenere
conto di tutte le informazioni qualitative frutto dell’esperienza individuale e non sempre
facilmente codificabili, impedisce di condurre la valutazione delle possibili strategie
tenendo nella dovuta considerazione tutte le informazioni quantitative relative agli
aspetti tecnico-economici del problema.
La difficoltà di condurre efficaci analisi preventive è legata, oltre alla intrinseca
imprevedibilità di alcuni fattori esogeni della produzione, alla discrepanza che talora si
manifesta fra le forme in cui si presentano le conoscenze empiriche degli imprenditori e
la rigidità dei modelli matematici di analisi. Ne consegue che per affrontare in modo
efficace i problemi di scelta che si presentano nell’impresa è necessario utilizzare
strumenti analitici in grado di descrivere con sufficiente realismo la questione che si
intende analizzare e saper interpretare i risultati ottenuti attraverso l’esperienza e la
sensibilità individuale dell’imprenditore. Con un simile approccio è possibile trasporre i
problemi di analisi preventiva in forme strutturate in cui considerare gli elementi
coinvolti nel processo decisionale. Tale procedimento origina dei modelli la cui
impostazione e risoluzione costituisce argomento di diverse discipline a carattere
analitico-matematico, fra le quali riveste particolare importanza la ricerca operativa.
La forma secondo cui impostare lo specifico modello di analisi preventiva
dipende dalla tipologia del problema di gestione che si intende affrontare; tale scelta è
generalmente condizionata da quattro elementi:
• dimensione temporale del problema di scelta;
• numero e tipologia degli obiettivi imprenditoriali;
• condizioni di conoscenza dell’imprenditore;
• caratteristiche dell’attività oggetto di analisi.
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DIMENSIONE TEMPORALE DEL PROBLEMA DI SCELTA
Con riferimento all’orizzonte temporale, cioè al periodo cui si riferiscono le
diverse decisioni imprenditoriali, è possibile distinguere scelte di breve periodo e scelte
di medio-lungo periodo.
Si parla di breve periodo quando la prospettiva temporale delle scelte riguarda un
intervallo (solitamente un ciclo produttivo) nel quale la disponibilità degli elementi
costituenti la struttura aziendale non è modificabile. In questi casi la forma strutturata
del problema di analisi preventiva viene organizzata in dei modelli (statici) nei quali
non viene esplicitamente considerata l’influenza del fattore tempo.
Quando, invece, le decisioni imprenditoriali riguardano più esercizi
amministrativi, e deve essere considerato sia l’effetto dei cicli precedenti sui risultati di
quelli successivi che il differente valore attuale di valori monetari riferiti a periodi
futuri, è necessario far ricorso a modelli (dinamici) nei quali la variabile tempo viene
considerata in modo esplicito. In questo ambito rientrano due diversi tipi di decisioni:
quelle relative ad interventi sulla composizione del capitale immobilizzato e quelle
legate a modificazioni sostanziali nella organizzazione produttiva dell’impresa. In
quest’ultimo caso si è soliti ricorrere a metodi di simulazione in cui la situazione attuale
viene confrontata con quella che si prevede al termine della trasformazione. Questa,
evidentemente, non può essere determinata con certezza, per cui è opportuno
considerare diverse ipotesi, solitamente indicate come “scenari”, in cui i diversi
elementi in gioco vengono valutati, oltre che nelle condizioni ragionevolmente previste,
anche nei termini più pessimistici (e ottimistici) possibili. In alternativa alle “analisi di
scenario” possono essere utilizzati metodi di pianificazione intertemporale nei quali
viene analizzata l’evoluzione dell’impresa e dei suoi risultati nei diversi periodi
compresi nell’orizzonte temporale della decisione; tali metodi, tuttavia, per la loro
complessità e difficoltà di impostazione hanno trovato fino ad ora scarsa applicazione in
ambito imprenditoriale. Dal punto di vista gestionale il problema di scelta di mediolungo periodo che si presenta con maggiore frequenza è rappresentato dalla valutazione
della eventuale convenienza nel modificare la disponibilità dei fattori fissi attraverso un
intervento sulla dotazione strutturale dell’impresa.
In generale, l’orizzonte temporale dell’analisi rappresenta la principale
discriminante fra le tipologie di metodi per la valutazione preventiva delle scelte
imprenditoriali. La classificazione che si origina in relazione a questo elemento
distingue gli strumenti (per scelte di medio-lungo periodo) che determinano la
convenienza degli interventi sulla struttura dell’impresa da quelli (di breve periodo) che
identificano le strategie produttive più efficienti in relazione alla dotazione disponibile
di fattori fissi. I primi fanno capo all’insieme di metodi noti come “analisi degli
investimenti” dei quali in questa sede verrà descritta esclusivamente la analisi costibenefici, mentre i secondi costituiscono un complesso assai articolato che non verrà
affrontato in questa trattazione ad eccezione di un semplice metodo, peraltro di grande
utilità, finalizzato alla identificazione della condizione di break-even.
OBIETTIVI DELL’IMPRENDITORE
Il primo postulato della teoria dell’impresa, come visto nella premessa, afferma
che l’imprenditore opera con l’obiettivo di massimizzare il profitto, ciò implica che
questo scopo sarà quello che perseguirà nell’operare le proprie scelte gestionali.
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Nella realtà, come si è avuto modo di accennare, accade che altri elementi
contribuiscano a determinare il senso di soddisfazione (utilità) dell’imprenditore,
affiancandosi alla esclusiva ricerca del miglior risultato economico quale fine che ispira
e indirizza i suoi comportamenti. La presenza di ulteriori motivazioni riduce
l’importanza attribuita alla massimizzazione del profitto o, comunque, condiziona in
modo decisivo i processi decisionali dell’imprenditore.
Proprio considerando questa eventualità, il bagaglio degli strumenti operativi per
l’analisi preventiva delle scelte di impresa si è progressivamente arricchito di una serie
di metodi in grado di affrontare delle situazioni in cui le decisioni devono tenere conto
della compresenza di molteplici obiettivi. Tali metodi, proprio perché strutturati per
affrontare problemi multiobiettivo, presentano un maggiore livello di complicazione sia
formale che matematica.
Per questa ragione la loro trattazione non verrà affrontata in questa sede,
limitandoci a esporre esclusivamente alcuni metodi in cui l’unico obiettivo
imprenditoriale è identificato con al ricerca del miglior risultato economico.
CONDIZIONI DI CONOSCENZA DELL’IMPRENDITORE
L’imprenditore opera in condizioni di conoscenza perfetta quando può prevedere
con certezza i prezzi e gli elementi caratterizzanti la funzione di produzione. Nella
realtà l’imprenditore si trova generalmente in condizioni di conoscenza imperfetta nelle
quali deve confrontarsi con condizioni di rischio ed incertezza relative ad elementi non
direttamente controllabili che riguardano sia la manifestazione dei fattori esogeni che la
inevitabile variabilità che caratterizza il mercato dei fattori di produzione e, in maggior
misura, dei prodotti21.
L’ipotesi dell’esistenza di condizioni di conoscenza perfetta costituisce la base per
l’impostazione dei metodi di analisi preventiva di tipo deterministico, mentre, nel caso
contrario, si parla di metodi aleatori nei quali è possibile tenere conto della variabilità
degli elementi coinvolti nel processo decisionale.
I metodi aleatori, proprio per capacità di inglobare nel modello di analisi
l’incertezza che caratterizza alcuni dei fattori che concorrono all’attività produttiva,
appaiono certamente più adatti ad essere applicati in problemi di gestione dell’impresa.
Tuttavia, la complessità introdotta nei modelli dalla presenza di variabili aleatorie, li
rende scarsamente adatti ad un impiego operativo nelle realtà aziendali. D’altro canto,
l’ipotesi della conoscenza perfetta, pur semplificando la struttura dei modelli di analisi,
appare in molte circostanze poco realistica. Per ovviare a questo problema, una
soluzione che viene adottata è quella di non rinunciare ai vantaggi dell’impiego dei
metodi deterministici, ma di ripetere la loro applicazione ipotizzando diversi scenari in
cui agli elementi che presentano la maggiore variabilità o imprevedibilità vengono fatti
assumere diversi valori. Questa strategia, che riproduce in modo strutturato il processo
decisionale come viene generalmente condotto dagli imprenditori, è molto diffusa nella
pratica; per questa ragione la trattazione svolta nei paragrafi seguenti riguarderà
essenzialmente i metodi deterministici.
21 L’incertezza ed il rischio rappresentano due situazioni sostanzialmente differenti. Si è in presenza di rischio
quando la probabilità dei diversi eventi è in qualche modo misurabile, mentre l’incertezza contraddistingue eventi la
cui variabilità è non misurabile. La distinzione tra rischio ed incertezza, quindi, si basa sull’esistenza di informazioni
necessarie all’imprenditore per determinare la probabilità degli eventi in esame. Se l’imprenditore può far uso di
informazioni per impostare e per stimare le probabilità degli eventi si trova in condizioni di rischio, se invece la
probabilità viene attribuita in modo soggettivo senza sufficienti conoscenze empiriche è in condizioni di incertezza.
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ATTIVITÀ OGGETTO DELLA PIANIFICAZIONE
Quando l’attività di analisi preventiva è riferita ad una particolare componente
della struttura aziendale si parla di scelte di tipo parziale. Quando invece il processo di
valutazione riguarda l’attività produttiva nel suo insieme è necessario far ricorso a
metodi di analisi di tipo globale.
In realtà le scelte parziali riguardano aspetti molto particolari in quanto, nella
maggior parte dei casi, non è facile isolare la specifica attività produttiva dall’insieme
della gestione dell’impresa. Infatti, molti problemi di gestione, che a prima vista
potrebbero apparire analizzabili astraendoli dal contesto dell’impresa, hanno delle
consistenti ripercussioni sull’intera organizzazione produttiva. Ad esempio, la modifica
di una tecnologia produttiva o l’acquisto di un nuovo macchinario appaiono come scelte
la cui convenienza può essere analizzata indipendentemente dalla situazione generale
dell’impresa. In realtà, se ciò è sostanzialmente vero dal punto di vista economico,
altrettanto non si può dire per quanto riguarda l’aspetto finanziario. Infatti, come si avrà
modo di discutere successivamente, l’investimento di capitale in una certa attività, sia
esso di proprietà dell’imprenditore e di terzi, comporta importanti conseguenze sia sulla
composizione che sulla redditività del patrimonio.
In un’ottica gestionale, quindi, la possibilità di analizzare singoli comparti
produttivi, isolandoli dall’intero contesto dell’impresa, appare di scarso interesse; per
questa ragione la distinzione dei metodi di analisi preventiva fra parziali e globali
appare scarsamente utile e non verrà esplicitamente considerata nell’ambito della
successiva trattazione.
4.2 ANALISI DEGLI INVESTIMENTI
L’analisi degli investimenti viene svolta per pianificare l’attività dell’impresa nel
medio-lungo periodo e quindi riguarda scelte imprenditoriali relative all’acquisto di
beni durevoli che forniscono i loro servizi nell’ambito di più cicli produttivi (fattori a
logorio parziale o nullo) quali fabbricati, impianti, macchinari, ecc.
Per la gran parte degli investimenti la spesa si sostiene all’atto dell’acquisto, o
della realizzazione, mentre i redditi si distribuiscono nell’arco della loro vita assumendo
un entità che, dipendendo da eventi futuri, non può essere prevista con assoluta
certezza. La difficoltà nel prevedere gli scenari futuri, soprattutto riguardo le condizioni
del mercato, impone di valutare diverse alternative tenendo conto della possibile
variabilità dei parametri in gioco.
Per eseguire un analisi degli investimenti è necessario per prima cosa svolgere un
esame preliminare volto ad identificare tutte le possibili opportunità di investimento.
Dopo aver selezionato gli investimenti di potenziale interesse per l’impresa deve
esserne valutata la convenienza economica e la realizzabilità finanziaria; la
determinazione della convenienza economica comporta il confronto fra il capitale da
investire ed i redditi attesi, la determinazione della realizzabilità finanziaria si basa sulla
comparazione dei flussi di cassa attivi prodotti dall’investimento con quelli passivi
conseguenti ai pagamenti per la sua realizzazione, in particolare la restituzione del
capitale e degli interessi dovuti per gli eventuali prestiti.
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L’analisi della convenienza economica e della realizzabilità finanziaria degli
investimenti, a causa della incertezza che caratterizza il flusso dei costi e, soprattutto,
dei ricavi deve essere ripetuta con diversi scenari di prezzi e di produttività in modo da
stabilire i parametri di valutazione (convenienza e realizzabilità) sotto condizioni
normali, favorevoli e sfavorevoli. Al termine di questo procedimento, in base ai risultati
ottenuti, è possibile scegliere una delle possibili alternative di investimento considerate.
Gli investimenti oggetto di analisi riguardano generalmente interventi di
ammodernamento o ristrutturazione di specifici comparti dell’impresa; tuttavia le
ripercussioni di tali investimenti, in particolare dal punto di vista finanziario, si
manifestano in diversa misura sull’insieme della struttura produttiva. Dal punto di vista
operativo, tuttavia, è spesso possibile considerare la specifica caratterizzazione tecnicoeconomica dell’investimento ed analizzarne gli aspetti economici e finanziari isolandolo
dal contesto generale dell’impresa. In questi casi la valutazione avviene utilizzando
metodi e indicatori che fanno capo alla categoria di strumenti nota come analisi costibenefici le cui caratteristiche verranno analizzate nei due successivi paragrafi.
4.2.A L’ANALISI COSTI-BENEFICI: ASPETTI ECONOMICI
L’analisi costi-benefici viene applicata agli investimenti i cui ricavi si realizzano
durante un periodo corrispondente alla loro vita utile, indicata come durata. Con
riferimento a questo periodo è necessario stimare con il massimo grado di attendibilità i
costi di realizzazione e di funzionamento dell’investimento ed i ricavi attesi (in questo
tipo di analisi solitamente indicati come benefici).
Gli investimenti prevedono un flusso di ricavi e costi durante gli esercizi
amministrativi della sua durata. L’insieme di questi valori si colloca in periodi diversi e,
di conseguenza, per la loro corretta valutazione è necessaria la considerazione esplicita
del fattore tempo.
Ciò dipende dal fatto che il valore di una stessa quantità di denaro varia al variare
del riferimento temporale nel quale viene considerato.
In particolare 1 € oggi è preferibile ad 1 € domani in quanto:
- 1 € investito oggi genera un interesse domani (costo opportunità);
- 1 € oggi è sicuro, domani non si sa (fattore rischio);
- 1 € oggi consente di acquistare beni del cui possesso posso godere immediatamente
(preferenza temporale);
- 1 € domani vale meno di oggi a causa dell’inflazione (effetto svalutazione).
Per queste ragioni i principali indicatori di convenienza economica degli
investimenti vengono determinati dopo aver riportato tutti i ricavi e tutti i costi ad uno
stesso riferimento temporale, in modo tale che la loro entità risulti confrontabile.
Il trasferimento di valori monetari nel tempo avviene facendo riferimento al
concetto finanziario dello “sconto” con il quale è possibile riportare al momento attuale
dei valori futuri. Tale processo di anticipazione nel tempo avviene ricorrendo ad un
tasso di riferimento r, detto appunto di sconto, il quale, a seconda degli scopi del
conteggio, può rappresentare il costo opportunità del capitale, una misura del fattore
rischio, il saggio di preferenza temporale, il tasso di inflazione o una loro combinazione.
- 77 -
Una volta fissato il tasso di riferimento r da utilizzare come riferimento per il
trasferimento nel tempo dei valori monetari, il valore presente (Vp) di un certo valore
futuro (Vf) ottenuto dopo k anni è dato da22:
Vf
Vp =
(1 + r ) k
Il principale indicatore utilizzato per formulare un giudizio di convenienza
economica su di un investimento, o per paragonare diversi investimenti, si basa sul
confronto dei valori attualizzati dei costi e dei ricavi e viene detto valore attuale netto
(VAN) dell’investimento.
Per determinare il VAN di un investimento è necessario eseguire un procedimento
che prevede una serie di passaggi:
1 - Scelta del tasso di riferimento (r)
Il tasso di riferimento r che viene utilizzato per riportare alla attualità tutti i costi e
i benefici dell’investimento, condizionando in modo decisivo il valore del VAN, deve
essere scelto con la massima accuratezza. Fra i diversi criteri che possono essere
adottati a questo scopo, quello che generalmente viene scelto per valutare gli
investimenti aziendali considera quale coefficiente di spostamento temporale delle
quantità monetarie la variazione del valore del capitale impegnato nell’investimento.
Nel caso in cui l’investimento venga completamente realizzato con capitale
proprio, viene distolta dalla produzione una quota del capitale netto che garantirebbe al
termine dell’esercizio amministrativo un rendimento pari al ROE. In altri termini,
investendo risorse proprie, l’impresa sperimenta un costo pari al mancato rendimento
che il capitale investito avrebbe garantito in condizioni normali nell’impresa stessa
(costo opportunità). Se, invece, per eseguire l’investimento si ricorre esclusivamente a
capitale di terzi, il tasso di attualizzazione di questo capitale è determinato dal tasso di
interesse che l’impresa paga sui finanziamenti esterni.
Il tasso di riferimento determinato in ragione di quello a cui l’impresa rinuncia,
nel caso in cui impieghi il proprio capitale nell’investimento, o di quello che deve
22 L’interesse semplice è dato dal prodotto del capitale per il tasso e per il tempo:
I = C0 ⋅ r ⋅ t
dove C0 indica il capitale iniziale, r il tasso d’interesse e t il tempo.
Per la durata di un esercizio amministrativo t diviene uguale all’unità e, pertanto, la precedente espressione diventa:
I = C0 ⋅ r
L’entità del capitale alla fine dell’esercizio (C1) è determinata dalla somma del capitale iniziale e dell’interesse:
C1 = C0 + I = C0 + C0 ⋅ r = C0 ⋅ (1 + r)
Il fattore (1+r), che si indica anche con la lettera q, rappresenta il montante di un euro e viene definito di
“capitalizzazione semplice”. Volendo risalire al valore iniziale, noto il valore finale, si ha:
C0 = C1/(1 + r) = C1 ⋅ 1/(1 + r)
Il fattore 1/(1+r) consente di riportare all’attualità il valore del capitale che si realizza alla fine dell’esercizio.
Procedendo nel calcolo, il valore del capitale al termine del secondo esercizio (C2) risulta:
C2 = C1 + I = C1 + C1 ⋅ r = C1 ⋅ (1 + r) = C0 ⋅ (1 + r) ⋅ (1 + r) = C0 ⋅ (1 + r)2
Nel caso generale il capitale dopo n esercizi risulterà pari a:
Cn = C0 ⋅ (1 + r)n
Il fattore (1+r)n rappresenta il montante di un euro ad interesse composto e si definisce di “capitalizzazione
composta”. Il suo inverso, 1/(1+r) n, detto fattore di “sconto composto”, consente di riportare all’attualità un valore
del capitale temporalmente collocato dopo n esercizi.
- 78 -
pagare, se ricorre al finanziamento di terzi, rappresenta il tasso di rendimento minimo
accettabile per l’investimento e fissa il valore limite per giudicarne la convenienza.
Nel caso generale un investimento sarà finanziato in parte con capitale proprio e
in parte con capitale di terzi, per cui il tasso di riferimento dovrà tenere conto dell’entità
relativa delle due componenti. In realtà non serve conoscere tale rapporto con
riferimento allo specifico investimento, ma come tale rapporto tenderà a configurarsi
secondo le aspettative dell’imprenditore nel periodo di durata dell’investimento
considerato. Se è ragionevole ipotizzare che tale rapporto non varierà in misura
significativa rispetto a quello attuale, è possibile calcolare il tasso di riferimento da
utilizzare per riportare alla attualità i flussi di benefici e costi come:
C
C
r = ROE N + ROD T
CL
CL
Il costo della frazione che fa capo al capitale netto (CN/CL), è pari al suo tasso di
rendimento corrente (ROE)23; il costo della parte relativa al debito verso terzi (CT/CL) è
invece pari al costo medio che sostiene l’impresa per i finanziamenti esterni, il quale è
espresso dal ROD. Un vantaggio di questa modalità di calcolo è quello di poter eseguire
la valutazione economica (ma non quella finanziaria!) ignorando la modalità con cui lo
specifico investimento viene finanziato.
2 - Calcolo dei costi di realizzazione dell’investimento
I costi per la realizzazione dell’investimento includono, oltre all’acquisto o alla
costruzione del bene, tutte le componenti richieste per il suo pieno funzionamento e le
spese necessarie per mantenerlo in piena efficienza e garantirne il corretto
funzionamento. Nel conteggio vanno inclusi anche gli eventuali costi di disinvestimento
nell’ultimo anno della durata, necessari, ad esempio, per la demolizione di un fabbricato
o per la sostituzione di un impianto.
Nel caso la realizzazione dell’investimento utilizzi delle strutture dell’impresa o
ne impedisca o limiti il normale funzionamento, è necessario includere fra i costi di
realizzazione anche l’entità dei mancati redditi che derivano da una tale situazione.
3 - Calcolo dei benefici e dei costi di esercizio dell’investimento
Per ognuno degli anni della durata dell’investimento vanno calcolati i benefici
derivanti dal suo utilizzo ed i costi variabili legati al suo funzionamento o alla sua
conduzione. Per quanto riguarda i benefici, questi sono generalmente rappresentati
dall’incremento dei ricavi derivante dall’utilizzo della nuova struttura; i costi di
esercizio sono legati al fattori impiegati per mettere l’investimento nelle opportune
condizioni produttive (materie prime, consumi energetici, lavoro).
Nel calcolo di ricavi e costi di esercizio va tenuto presente che il prezzo dei
prodotti e dei fattori deve essere quello previsto nei diversi anni della durata
dell’investimento; nel caso in cui non sia possibile effettuare tale previsione con
sufficiente affidabilità è possibile limitarsi ad incrementare i prezzi negli anni successivi
utilizzando il tasso di inflazione. Fra i benefici dell’ultimo anno della vita utile, deve
essere incluso l’eventuale valore residuo dell’investimento rappresentato, ad esempio,
dalla cessione ad un’altra impresa del macchinario o dell’impianto.
23 Il valore del ROE da utilizzare in questo caso deve riferirsi ad una media fra i rendimenti ottenuti dal capitale
netto in un certo numero di esercizi precedenti e quelli medi attesi nei successivi. Considerare soltanto il ROE
dell’ultimo anno potrebbe portare ad una valutazione non corretta a causa della possibile influenza di particolari
eventi verificatisi nel corso dell’esercizio.
- 79 -
4 - Calcolo del valore attuale dei benefici e dei costi
I benefici annui (bi) determinati al punto 3 ed i costi annui (ci) ottenuti come
somma dei costi di realizzazione (punto 2) e dei costi di funzionamento (punto 3)
dell’investimento, per poter essere paragonati, devono essere riportati dal generico anno
i all’inizio del primo anno della durata dell’investimento, pari ad un numero n di anni.
Trascurando la collocazione temporale dei benefici e dei costi nel corso del
singolo anno, si adotta la semplificazione di considerare che entrambi abbiano luogo
alla fine di ciascun esercizio amministrativo. Così il costo del primo anno per essere
attualizzato deve essere “portato indietro” di un anno. In generale, allora, il beneficio bi
ed il costo ci. relativi al generico anno i vengono riportati all’attualità dividendoli per il
fattore (1+r)i.
La somma dei benefici e dei costi attualizzati estesa agli n anni di durata
dell’investimento determina il valore attuale di benefici (B0) e costi (C0).
B0 =
C0 =
n
b3
b1
b2
bn
bi
+
+
+
...
+
=
∑
n
i
2
3
(1 + r ) (1 + r )
(1 + r )
(1 + r )
i =1 (1 + r )
n
c3
c1
c2
cn
ci
+
+
+
+
=
...
∑
n
i
2
3
(1 + r ) (1 + r )
(1 + r )
(1 + r )
i =1 (1 + r )
5 - Calcolo del VAN e formulazione del giudizio sull’investimento
La differenza tra il valore attuale dei benefici (B0) e dei costi (C0), esprime il
valore (o beneficio) attuale netto, VAN, dell’investimento.
VAN = B0 - C0
L’investimento risulta conveniente se il VAN è positivo (B0-C0>0). Infatti, poiché
il VAN rappresenta la differenza fra il capitale complessivo investito (C0) e capitale
ottenibile dall’investimento (B0) entrambi riportati all’attualità, la sua positività implica
un vantaggio nella realizzazione dell’investimento.
Per valutare la convenienza economica di un investimento, oltre al VAN, è
possibile far riferimento ad altri indicatori. Due parametri impiegati a questo scopo sono
il rapporto fra benefici e costi attualizzati e il tasso di rendimento interno.
Il rapporto fra benefici e costi attualizzati (B0/C0) esprime la redditività in valore
attuale di ciascuna unità di capitale investito. In accordo con il giudizio di convenienza
basato sul VAN, un investimento risulterà conveniente quando il rapporto assume
valore maggiore dell’unità (B0/C0>1).
Considerando la modalità di calcolo di B0 e C0, è immediato osservare che sia il
VAN sia il rapporto B0/C0 dipendono dal tasso di riferimento: di conseguenza, uno
stesso investimento può risultare conveniente o meno in relazione al valore scelto per r.
Per questa ragione può essere utile impiegare come parametro di valutazione degli
investimenti il tasso di rendimento interno (TIR) il cui valore non dipende dal tasso di
interesse ma soltanto dai flussi dei benefici bi e dei costi ci.
Il TIR è definito come quel valore del tasso di interesse (r*) per cui si annulla il
VAN dell’investimento, cioè per cui B0=C0:
n
bi
∑ (1 + r*)
i =1
n
i
=∑
i =1
- 80 -
ci
(1 + r*) i
Questa relazione, che nel caso generale ha un elevato numero di soluzioni, ne
presenta una soltanto nel caso di investimenti semplici; vengono così definiti gli
investimenti la cui durata può essere distinta in un primo periodo in cui i costi sono
sempre maggiori dei benefici, e in secondo periodo in cui i benefici sono sempre
maggiori dei costi24. In queste circostanze l’andamento di B0 e C0 in funzione di r è tale
che la loro differenza (il VAN) risulta sempre decrescente e, di conseguenza, si annulla
in un solo punto25. Come si osserva nel grafico di figura 10, per piccoli valori di r la
curva dei B0 è posta al di sopra di quella dei C0, mentre per tassi di interesse
sufficientemente elevati i C0 superano i B0. Il punto in cui le due curve si intersecano
(B0=C0, VAN=0) definisce il valore r* del TIR.
Figura 10 - Individuazione grafica del TIR
La formulazione del giudizio, dato che il TIR rappresenta il tasso di rendimento
caratteristico dell’investimento, è basato sul confronto fra r* ed il tasso di riferimento r.
L’investimento risulterà economicamente conveniente se r<r*, cioè quando il tasso di
rendimento atteso dall’investimento è superiore al costo del capitale investito (in questa
situazione, infatti, B0>C0 e il VAN è positivo). Quando invece r>r* si registra la
situazione opposta in cui, essendo il VAN<0, l’investimento non risulta conveniente.
Va sottolineato che tutti i parametri utilizzati per stabilire la convenienza di un
investimento forniscono un identico giudizio, per cui si verificherà sempre che:
VAN > 0;
B0/C0 > 1;
r* > r
24 Gli investimenti semplici, pur rispettando la condizione che li definisce come tali, possono presentare differenti
tipologie dei flussi di benefici e costi. Benefici e costi sono distributi lungo tutto la durata dell’investimento
(investimenti CICO-continuous input, continuous output); costi tutti concentrati nel primo anno e benefici tutti
nell’ultimo (PIPO-point input, point output); situazioni intermedie (CIPO e PICO).
25 Data la configurazione dei b e dei c nel caso di investimenti semplici, accade che, all’aumentare di r, B decresca
i
i
0
in maniera più rapida di C0 in quanto i benefici, essendo collocati rispetto ai costi in periodi più lontani nel tempo,
vengono maggiormente penalizzati nel procedimento di attualizzazione.
- 81 -
oppure che
VAN < 0;
B0/C0 < 1;
r* < r
Nonostante i tre indicatori forniscano analoghe indicazioni riguardo la
convenienza economica dell’investimento, essi esprimono differenti indicazioni sul
livello di rendimento atteso dall’investimento che possono utilmente integrarsi quando
l’imprenditore deve scegliere fra diversi investimenti tutti caratterizzati da un giudizio
economicamente positivo.
~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~
L’esempio presentato nelle pagine seguenti riguarda l’analisi della convenienza
economica della realizzazione di un impianto produttivo in un impresa.
1 - Determinazione del tasso di riferimento
Dall’osservazione della situazione patrimoniale, non riportata nell’esempio,
risulta che il capitale investito nell’impresa (CL) è di 4.400.000 € e il capitale proprio
(CN) è di 3.000.000 € e, di conseguenza, che la quota del capitale proprio è del 68% e
quella del capitale di terzi è del 32%. L’imprenditore ritiene che tale composizione del
capitale rimarrà sostanzialmente inalterata nel medio lungo periodo e che quindi possa
essere utilizzata per valutare il costo del capitale.
Considerando il reddito d’esercizio dell’impresa, che come risulta dal conto
economico dell’esercizio precedente è pari a 81.000 €, si determina il rendimento del
capitale proprio (ROE) che risulta del 2,7%. Sempre dai dati del bilancio si desume che
il tasso di interesse che l’impresa paga per i debiti (ROD) è dell’6,45%.
Dai dati precedenti si determina il costo del capitale dell’impresa da utilizzare
nell’analisi come tasso di riferimento il quale risulta:
r = 0,027 ⋅ 0,68 + 0,0645 ⋅ 0,32 = 3,90%
2 - Calcolo dei costi di realizzazione dell’investimento
L’impianto ha una durata prevista di 12 anni e richiede per la sua realizzazione
dei costi di 75.000 € nel primo anno, 16.550 nel secondo e 9.250 nel terzo; inoltre per la
sua dismissione al termine del periodo di operatività è prevista una spesa di 7.500 €.
Per assicurare la piena funzionalità dell’impianto, oltre ad alcuni macchinari ed
attrezzature già presenti nell’impresa, sono necessarie ulteriori dotazioni. La maggior
parte di queste verranno acquistate nel secondo anno, ovvero all’avvio dell’impianto,
per una spesa complessiva di 12.500 €; alcune altre saranno necessarie a partire dal
primo anno e, considerando che la loro durata prevista è di 6 anni, andranno rinnovate
nel settimo anno. Il costo di queste ultime è di 9.000 € e si prevede che quando verranno
rinnovate dopo 6 anni il loro prezzo avrà raggiunto i 11.500 €.
Va considerato, inoltre, che l’impianto che si intende realizzare ne va a sostituire
uno preesistente che avrebbe garantito un reddito di 25.000 €/anno nel primo anno e che
si sarebbe progressivamente ridotto in ragione di 5.000 € all’anno.
Tenendo conto di queste informazioni viene costruito il prospetto dei costi di
realizzazione dell’investimento presentato a pagina seguente.
- 82 -
Anni
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Costi
Impianto
75.000
16.500
9.250
0
0
0
0
0
0
0
0
7.500
Costo
Attrezzi
9.000
12.500
0
0
0
0
11.500
0
0
0
0
0
Mancati
Redditi
25.000
20.000
15.000
10.000
5.000
0
0
0
0
0
0
0
Costi
Realizzazione
109.000
49.000
24.250
10.000
5.000
0
11.500
0
0
0
0
7.500
3 - Calcolo dei benefici e dei costi di esercizio dell’investimento
I benefici dell’investimento sono rappresentati dal valore della produzione
realizzata attraverso l’impiego dell’impianto, il quale entrerà in funzione a partire dal
secondo anno. Il flusso dei ricavi si presenterà disomogeneo nel corso degli undici anni
in cui se ne prevede l’utilizzazione, sia per la variazione della quantità prodotta (in
relazione al completamento della fase di “rodaggio” e, successivamente, alla
progressiva usura dei suoi componenti), sia per l’evoluzione del prezzo dei prodotti.
Mentre la previsione della dinamica delle produzioni può essere condotta facendo
riferimento ad informazioni in larga misura oggettive, più complessa è la stima di quella
che sarà la fluttuazione del prezzo in un arco di tempo considerevole quale quello in cui
si prevede di utilizzare l’impianto di produzione. Senza entrare nel merito degli
strumenti a cui l’imprenditore potrebbe far ricorso per affrontare questo problema e il
tipo di indicazioni che essi sono in grado di offrire, si supponga che sia possibile
ricostruire il seguente prospetto di produzioni e prezzi dei prodotti dal quale desumere il
flusso di benefici previsti nell’arco della durata dell’investimento.
Anni
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Quantità
prodotto
0
1.200
1.400
1.500
1.500
1.525
1.500
1.480
1.450
1.400
1.200
900
Prezzi
prodotto
22,50
23,05
23,65
24,20
24,80
25,45
26,10
26,75
27,40
28,10
28,80
29,50
- 83 -
Valore
produzione
0
27.660
33.110
36.300
37.200
38.810
39.150
39.590
39.730
39.340
34.560
26.550
Costi
variabili
6.200
3.450
6.250
8.750
10.000
10.300
10.600
10.950
11.250
10.600
10.100
9.300
I costi di produzione, che riguardano gli acquisti delle materie prime, i consumi
energetici e i salari degli operai impiegati nella linea di produzione, presentano analoghi
problemi di valutazione, in particolare per quanto riguarda i prezzi. Le quantità immesse
nella produzione, infatti, anche se sempre con un margine di aleatorietà, possono essere
ritenute proporzionali ai livelli produttivi. Supponendo, anche in questo caso, che
l’imprenditore sia in grado di fornire un quadro soddisfacente dell’evoluzione dei costi
di funzionamento dell’impianto nell’intero periodo, viene compilata l’ultima colonna
del relativo prospetto.
4 - Calcolo del valore attuale dei benefici e dei costi
I benefici calcolati al punto 3 vengono riportati nella colonna dei bi. I costi di
realizzazione (calcolati al punto 2) e i costi di esercizio e le imposte sul reddito
(calcolati al punto 3) vengono totalizzati nella colonna dei ci.
Nel prospetto seguente, nelle due colonne adiacenti, sono stati calcolati i valori
dei bi e dei ci attualizzati con l’ipotesi che i costi vengono sostenuti all’inizio dell’anno
e i ricavi vengano percepiti alla fine.
Anni
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
bi
0
27.660
33.110
36.300
37.200
38.810
39.150
39.590
39.730
39.340
34.560
26.550
ci
115.200
52.450
30.500
18.750
15.000
10.300
22.100
10.950
11.250
10.600
10.100
16.800
bi attual.
0
25.622
29.520
31.149
30.723
30.850
29.952
29.152
28.156
26.834
22.688
16.776
ci attual.
110.876
48.586
27.193
16.089
12.388
8.187
16.908
8.063
7.973
7.230
6.631
10.615
5 - Calcolo del VAN e degli altri indicatori di convenienza economica
Le somme dei benefici e dei costi attualizzati risultano rispettivamente:
12
B0 = ∑
i =1
bi
= 301.422
(1 + r ) i
12
C0 = ∑
i =1
ci
= 280.739
(1 + r ) i
da cui derivano i seguenti valori degli indicatori di convenienza economica:
B0
VAN = B0 - C0 = 20.683
= 1,074
C0
L’investimento è di tipo semplice in quanto nei primi due anni i costi sono
maggiori dei ricavi, mentre dal terzo anno in poi i ricavi superano i costi. Questa
situazione consente di procedere alla determinazione del tasso di rendimento interno
(TIR) eseguendo una ricerca per tentativi del valore r* che eguaglia B0 e C0.
- 84 -
A questo scopo è utile raccogliere in una tabella i valori assunti da B0, da C0, dal
loro rapporto e dalla loro differenza (VAN). Dall’esame della tabella e dalla
rappresentazione grafica dell’andamento di B0, C0 e del VAN riportata nel grafico
seguente risulta che il TIR è di poco superiore al 6% (precisamente pari al 6,25%).
r (%)
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
400
B0
C0
B0-C0
B0/C0
392.000
365.646
341.596
319.613
299.487
281.034
264.088
248.503
234.149
220.911
208.683
324.000
311.642
300.214
289.623
279.788
270.637
262.105
254.136
246.679
239.689
233.124
68.000
54.004
41.383
29.990
19.699
10.397
1.983
-5.633
-12.530
-18.778
-24.441
1,210
1,173
1,138
1,104
1,070
1,038
1,008
0,978
0,949
0,922
0,895
B0
350
B0,C0,VAN (migl. €)
300
C0
250
200
150
100
VAN
50
0
-50
0
2
r*
4
6
Tasso di riferimento (r)
8
10
6 - Formulazione del giudizio sull’investimento
I tre indicatori di convenienza calcolati al punto precedente consentono di
formulare un giudizio sostanzialmente positivo sull’investimento, infatti:
VAN = 20.683 € > 0;
B0/C0 = 1,074 > 1;
TIR = 6,25% > 3,90%
Il margine di convenienza, tuttavia, non appare particolarmente ampio per cui
sarebbe il caso di ripetere i conteggi ipotizzando condizioni più penalizzanti (costo del
capitale più elevato, prezzi di vendita e produzioni più contenuti, costi di produzione
più elevati) per verificare le condizioni limite di convenienza. Una tale analisi di
stabilità del giudizio può essere condotta definendo i diversi scenari possibili e
calcolando i corrispondenti valori degli indicatori di convenienza economica.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
- 85 -
4.2.B L’ANALISI COSTI-BENEFICI: ASPETTI FINANZIARI
Dopo aver scelto l’investimento in base ai risultati dell’analisi economica è
necessario procedere alla verifica della sua fattibilità finanziaria. L’esame degli aspetti
finanziari legati agli investimenti rappresenta una imprescindibile esigenza
amministrativa in quanto la loro realizzabilità può essere condizionata dalla mancanza
delle necessarie risorse finanziarie. Il risultato dell’analisi finanziaria è in grado di
indicare se l’impresa è in grado di portare a buon fine l’investimento facendo
assegnazione su proprie risorse (autofinanziamento) o se debba ricorrere a finanziatori
terzi e, in questo caso, se il flusso dei ricavi provenienti dall’investimento è tale da
garantire la restituzione del prestito e il pagamento dei relativi interessi.
A questo riguardo va considerato che l’analisi finanziaria potrebbe evidenziare la
necessità di un consistente finanziamento di terzi il quale andrebbe a modificare le
previsioni dall’imprenditore sulla struttura patrimoniale di medio-lungo periodo
dell’impresa in base alla quale è stato determinato il tasso di costo del capitale utilizzato
nell’analisi economica. In tali circostanze diviene necessario riconsiderare l’incidenza
attesa del capitale di terzi sul capitale lordo, e di conseguenza, ricalcolare il tasso di
riferimento da applicare nell’analisi economica. Sarebbe rischioso, infatti, procedere
alla realizzazione dell’investimento senza aver preventivamente verificato come si
evolve la situazione finanziaria dell’impresa, perché l’eventuale necessità di un ricorso
al credito ordinario potrebbe modificare di non poco il giudizio economico.
Nel caso in cui si sia evidenziata la necessità del ricorso al capitale di terzi,
l’analisi finanziaria prosegue concentrandosi sulle modifiche che presenta il flusso di
ricavi e costi dell’investimento in ragione della concessione del finanziamento
esterno26. Con questa parte dell’analisi si cerca di determinare la nuova configurazione
che assumono i benefici netti nell’arco dell’investimento per valutarne la sostenibilità
finanziaria da parte dell’impresa.
In definitiva, l’analisi finanziaria dell’investimento viene condotta adottando la
procedura seguente:
a) svolgere una valutazione, estesa al periodo di attuazione dell’investimento, per
verificare se l’impresa è in grado di autofinanziare l’investimento; tale valutazione
consiste nel determinare la consistenza dei benefici netti in ciascuno degli anni e
verificare la loro completa copertura con capitale proprio nel periodo iniziale in cui
risultano negativi;
b) individuare, nel caso in cui la valutazione eseguita al punto precedente evidenziasse
degli scoperti finanziari di una certa consistenza, le fonti di finanziamento possibili,
rilevandone costi, tempi di concessione e forme di restituzione del prestito;
c) formulare un’ipotesi sulla quota di capitale proprio e di capitale di terzi da
impiegare nell’investimento in relazione all’entità degli scoperti ed alle possibilità di
finanziamento esterne; nel caso in cui tale rapporto si discostasse in maniera
considerevole da quello utilizzato per il calcolo del costo del capitale, determinare il
nuovo valore del tasso di riferimento e ripetere l’analisi economica;
26 Anche nel caso in cui la prima fase dell’analisi finanziaria non evidenzi la necessità al ricorso al capitale di terzi
per realizzare l’investimento, questa possibilità potrebbe essere presa in considerazione, soprattutto quando l’impresa
è in grado di remunerare il capitale investito ad un tasso superiore a quello richiesto dall’ente finanziatore per
l’erogazione del prestito.
- 86 -
d) determinare l’importo delle rate e le relative quote capitale e interesse in base alle
caratteristiche del prestito;
e) definire il nuovo prospetto dei flussi finanziari dell’investimento conseguente
all’erogazione del finanziamento di terzi e dai costi necessari alla sua restituzione;
f) verificare la copertura finanziaria nelle condizioni determinate dal finanziamento
esterno e, nel caso in cui questa non fosse assicurata dalle risorse dell’impresa,
esplorare eventuali alternative di finanziamento esterno (somme più elevate e/o
tempi di restituzione più lunghi) e, in base a queste, ripetere l’analisi finanziaria;
Nello sviluppare l’analisi finanziaria va tenuto conto della difficoltà di tramutare
l’insieme dei dati economici in una serie numeraria certa. Si tratta, infatti, di prevedere,
con il massimo grado di attendibilità, la collocazione nel tempo degli incassi e delle
spese derivanti dalla gestione ordinaria dell’impresa per poter determinare le
disponibilità delle liquidità immediate necessarie a far fronte alle spese richieste
dall’investimento. Inoltre, giunti alla fine di ogni esercizio, è necessario esplicitare gli
intendimenti dell’imprenditore circa la destinazione dell’utile d’esercizio, ovvero quale
cifra intende prelevare per sé stesso, nel caso delle imprese individuali, o destinare ai
soci finanziatori, nel caso delle imprese collettive. Ciò consentirà di definire quanta
parte del flusso di cassa annuo viene messa a disposizione per il successivo esercizio.
Per verificare la necessità di ricorso al credito tale previsione dovrà coprire il periodo in
cui sono concentrate le spese per la realizzazione dell’investimento; se durante questo
periodo si manifesta l’insorgenza di un apprezzabile saldo negativo per un intervallo di
tempo non trascurabile, appare necessario il ricorso al credito27. Una volta determinata
la necessità di ricorso al credito ed inseriti nel prospetto i valori numerari riferiti al
prestito sarà necessario estendere l’analisi a tutto il periodo di durata del finanziamento
per verificare la possibilità di fare fronte a tutti i pagamenti.
Come già osservato nel caso della valutazione economica, anche per la analisi
finanziaria è buona norma ripetere il conteggio formulando diverse ipotesi soprattutto
per quanto riguarda l’entità dei flussi netti di cassa, considerando che la prospettiva
temporale del calcolo implica una considerevole aleatorietà.
~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~
Con riferimento all’impianto di cui è stata verificata la convenienza economica
nel precedente paragrafo, effettuare un’analisi della sua fattibilità finanziaria.
Come primo passo è necessario determinare la consistenza dei benefici netti nei
primi anni dell’investimento, in particolare quelli in cui questi risultano negativi, in
modo da determinare il fabbisogno finanziario che questo richiede.
Dal prospetto costruito a questo scopo, basato sui flussi di benefici e costi
previsti, si osserva che la loro differenza, negativa nei primi due anni, origina una
esposizione finanziaria totale di 140.000 €.
27 E’ assai difficile quantificare il valore del saldo negativo che suggerisce il ricorso al finanziamento esterno, sia per
la difficoltà di previsione insita in una analisi finanziaria di medio periodo, sia, soprattutto, per la dimensione
dell’impresa e per i suoi rapporti con gli istituti di credito. E’ infatti normale che a imprese di provata solidità e con
considervoli giri di affari vengano concesse agevolazioni riguardo a situazioni di scoperti di conto o di piccoli ritardi
di pagamenti.
- 87 -
Anni
1
2
3
4
5
…
bi
ci
115.200
52.450
30.500
18.750
15.000
…
0
27.660
33.110
36.300
37.200
…
bni
-115.200
-24.790
2.610
17.550
22.200
…
Tale fabbisogno va confrontato con la disponibilità di circolante per verificare la
quota massima che può essere coperta con il capitale dell’impresa. A questo scopo
l’indicatore a cui far riferimento è il margine di disponibilità (o capitale circolante
netto) il quale, come si ricorderà, è rappresentato dalla differenza fra il capitale
circolante ed i debiti a breve ed esprime l’ammontare delle risorse finanziare su cui
l’impresa può contare nell’esercizio amministrativo. Per procedere nell’esempio, si
supponga che la situazione patrimoniale evidenzi margine di disponibilità di 75.000 €.
Risultando questo notevolmente inferiore alla esposizione finanziaria richiesta
dall’investimento, appare indispensabile ricorrere ad un prestito. Al termine di
un’analisi comparativa delle diverse possibilità prospettate dagli istituti di credito,
l’imprenditore opta per un finanziamento di 85.000 € concesso ad un tasso del 5,75% e
restituibile in 6 anni, per la cui restituzione è prevista una rata annuale di 17.150 €.
I dati del piano di finanziamento vengono quindi sostituiti nel prospetto costibenefici dell’investimento per verificare i flussi finanziari conseguenti all’accensione
del prestito. A questo scopo l’entità del finanziamento viene aggiunta ai benefici del
primo anno, mentre i pagamenti per la sua restituzione vengono inclusi fra i costi a
partire dal secondo anno. Così facendo si ottiene il seguente prospetto:
Anno
1
2
3
4
5
…
Senza
prestito
-115.200
-24.790
2.610
17.550
22.200
…
Prestito
85.000
-17.150
-17.150
-17.150
-17.150
…
Con prestito
-30.200
-41.940
-14.540
400
5.050
…
Il nuovo prospetto evidenzia dei saldi di cassa negativi nei primi tre anni per
complessivi 86.680 €, un ammontare che eccede le attuali disponibilità dell’impresa. Si
osserva così che il prestito, seppur superiore alla carenza di liquidità, è insufficiente a
coprire l’effettivo fabbisogno in ragione delle uscite previste per la sua restituzione.
In tale situazione, dopo aver accertato la possibilità di aumentare la disponibilità
di capitale proprio della cifra mancante (in questo caso circa 12.000 €), è necessario
rivedere i termini del prestito incrementandone l’importo o, preferibilmente, la durata,
in modo da posticiparne la restituzione al momento in cui l’investimento è in grado di
assicurare dei flussi di cassa positivi.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
- 88 -
4.3 LA CONDIZIONE DI BREAK-EVEN
L’analisi del punto di pareggio (break-even point) è finalizzata ad individuare il
livello produttivo che determina l’annullamento del profitto (π). Un tale problema si
manifesta quando nell’impresa è presente un impianto per il quale si è interessati a
stabilire il livello minimo di impiego che consente la completa copertura dei costi.
Questa analisi rientra fra quelle di breve periodo in quanto non si prefigge lo scopo
di formulare un giudizio di convenienza riguardo l’acquisto o la realizzazione di un
impianto (giudizio che potrebbe essere espresso solo ricorrendo ad un’analisi di mediolungo periodo, quale quella costi-benefici) ma soltanto di stabilire il livello produttivo
minimo a cui deve essere utilizzato un impianto già presente e per il quale sono noti i
costi fissi annui (CF) ed il costi variabili (di esercizio) riferiti all’unità di prodotto (cv).
Detta y la quantità di prodotto trattata dall’impianto, si ricerca quel valore y* che
annulla il profitto, dato dalla differenza fra i ricavi (R) e i costi totali dell’impianto
(CT), ovvero la quantità di prodotto in grado di garantire la piena copertura dei costi:
π(y*) = R(y*) - CT(y*) = 0
I ricavi sono dati dalla quantità (y*) per il prezzo del prodotto (p), mentre i costi
totali dalla somma di costi fissi (CF) e costi variabili (CV), questi ultimi calcolati
moltiplicando i costi variabili unitari (cv) per la quantità prodotta. In base a tali
precisazioni viene ottenuta la seguente relazione:
VP(y*) - CT(y*) = R(y*) - (CF + CV(y*)) = p⋅y* - (CF + cv⋅y*) = 0
Da tale relazione si ricava la condizione analitica che stabilisce il punto di pareggio:
y *=
CF
(p − cv)
Risulta quindi che la minima quantità che deve essere prodotta o “trattata” con un
impianto per assicurare la copertura dei costi è data dal rapporto fra i suoi costi fissi e la
differenza fra il prezzo del prodotto ed il suo costo variabile di produzione. Per quanto
riguarda i costi fissi, questi sono determinati dalla quota di ammortamento, le spese per
la manutenzione ordinaria più eventuali canoni, quali assistenza, assicurazione, ecc. I
costi variabili, che includono tutti gli aspetti legati al funzionamento dell’impianto e,
pertanto, vengono ritenuti proporzionali al suo livello di utilizzo, fanno capo alle
materie prime, ai consumi energetici, alle manutenzioni e riparazioni straordinarie ed ai
lavoratori impegnati nella linea produttiva.
La ricerca della condizione di break-even può essere condotta anche per via grafica,
come mostrato in figura 11, rappresentando l’andamento delle curve dei ricavi e dei
costi in funzione della quantità y di prodotto.
Graficamente i CF sono rappresentati da una retta orizzontale, in quanto la loro
entità non varia modificando il livello di utilizzazione dell’impianto. I CV, invece,
aumentano al crescere di y con una pendenza determinata dei costi variabili unitari cv. I
CT, dati dalla somma di CF e CV, sono rappresentati da una retta che parte dal valore
CF e cresce con pendenza cv. Il VP, infine, è rappresentato da una retta che parte
dall’origine e cresce con pendenza pari al prezzo p del prodotto. Se, come è verosimile,
- 89 -
si verifica la condizione p>cv (prezzo del prodotto maggiore del suo costo variabile
unitario) allora esisterà un punto y* in cui VP=CT.
Osservando il grafico è evidente che per y<y* l’impianto lavora in condizioni di
perdita, in quanto i costi totali sono maggiori dei ricavi, mentre per y>y* l’utilizzazione
dell’impianto dà luogo a dei profitti.
Figura 11 - Individuazione grafica del punto di pareggio
Una considerazione legata a questo tipo di analisi riguarda la forma della funzione di
costo variabile CV. Infatti, operando nell’ambito della teoria della produzione a
coefficienti fissi, questa presenta una pendenza cv costante ed indipendente dalla
quantità prodotta. Volendo utilizzare questo schema di analisi per la determinazione del
livello produttivo ottimale, a cui cioè corrisponde il massimo livello di profitto, si
otterrà un risultato che corrisponde sempre alla massima utilizzazione dell’impianto. La
linearità dei costi variabili comporta, infatti, che il livello del profitto aumenti
proporzionalmente al crescere della produzione, finché non intervengono limiti tecnici
sulla quantità prodotta o lavorata (introdotti dalla dimensione finita dell’impianto o
dall’esaurimento di altri fattori produttivi).
~~~~~~~~~~~~~ ESEMPIO ~~~~~~~~~~~~~
Un impianto ha dei costi fissi annui pari a 6.000 € e dei costi di gestione pari a 3,50
€ per ogni unità di prodotto. Considerato che il prezzo di vendita del prodotto è di
18,50 €, si vuole stabilire il livello produttivo minimo che consente la completa
copertura dei costi dell’impianto.
Detto y* il livello produttivo che determina la condizione di break-even ed
utilizzando la relazione per la sua determinazione si ottiene:
y* =
CF
6.000
6.000
=
=
= 400
(p − cv) (18,50 − 3,50)
15
- 90 -
Il caso posto nell’esempio è rappresentato graficamente nella figura seguente il cui
esame evidenzia il punto di pareggio y* e l’entità, sia della perdita conseguente ad un
livello produttivo inferiore a y*l (pari a CT-R), sia del profitto legato ad una produzione
superiore (pari a R-CT).
- 91 -
- 92 -
5. RILEVAZIONI CONSUNTIVE E CONTROLLO DI GESTIONE
5.1 LA RILEVAZIONE CONSUNTIVA
La presenza di un sistema di rilevazione contabile all’interno di un’impresa
risponde alle seguenti esigenze amministrative:
i) valutare i risultati della gestione (nel corso o a conclusione dell’esercizio
amministrativo) per determinare l’entità degli scostamenti dalle previsioni;
ii) verificare la composizione e la solidità patrimoniale dell’impresa;
iii)acquisire ulteriori conoscenze per migliorare i risultati della attività future;
iv) assolvere agli obblighi di legge (in particolare per le imprese collettive) e fornire
indicazioni ad attori esterni all’impresa.
I primi due punti si realizzano attraverso lo svolgimento di un’analisi di bilancio
che si sviluppa a partire dai prospetti che lo costituiscono (situazione patrimoniale e
conto economico.
Con il punto iii) si gettano le basi per intervenire nell’organizzazione dei fattori
produttivi dell’impresa e per impostare strategie produttive efficienti (definizione del
budget). Tali strategie, una volta messe in atto, devono essere controllate nel loro
sviluppo attraverso un confronto con le risultanze della contabilità per verificare la
validità del programma stabilito ed identificare le cause delle variazioni intervenute
(procedimento noto come “controllo di gestione”).
Riguardo all’ultimo punto, la contabilità consente di adempiere ad obblighi di
legge (stabiliti in diversi articoli del codice civile) e di fornire indicazioni ad agenti
esterni all’impresa interessati al suo andamento per diverse motivazioni:
- salvaguardia degli interessi dei soci;
- adempimento degli obblighi fiscali;
- richiesta di prestiti presso istituti di credito;
- interventi di politica economica.
Il primo passo per l’attivazione di un sistema contabile in un’impresa è
rappresentato dalla rilevazione del suo capitale. Questa operazione, che prende il nome
di inventario, costituisce l’atto iniziale necessario per attivare un qualunque processo di
rilevazione contabile e prevede, come visto nel primo capitolo, la caratterizzazione del
capitale attraverso la sua descrizione, classificazione e valutazione28. In particolare ci si
pone l’obiettivo di stabilire l’entità del capitale investito procedendo alla valutazione
delle attività, ovvero il capitale lordo, e delle passività, cioè il capitale di terzi.
28 L’inventario, una volta avviata la rilevazione contabile, andrà eseguito nuovamente nel caso in cui si manifesti la
necessità di “riallineare” eventuali discrepanze fra la consistenza effettiva dei capitali e quella che emerge dalle
risultanze contabili oppure a fine esercizio per valutare la consistenza di alcune componenti del capitale di cui la
contabilità non è di grado di monitorare la quantità.
- 93 -
Completata la rilevazione del patrimonio dell’impresa, è possibile avviare le
procedure di rilevazione contabile seguendo i concetti ed i criteri illustrati nel seguito.
Dal punto di vista quantitativo, lo scopo ultimo della contabilità è quello di
pervenire alla determinazione del reddito, inteso come valore prodotto dall’impresa per
effetto della gestione. Il reddito, come già discusso nel secondo capitolo, possiede un
aspetto dualistico in quanto può essere interpretato in chiave patrimoniale o economica.
Dal punto di vista patrimoniale il reddito rappresenta l’entità della variazione del
capitale netto, dal punto di vista economico l’entità della differenza fra il valore della
produzione ed i costi espliciti sostenuti per realizzarla. Nel caso in cui il reddito sia
positivo si parla di utile, in caso contrario di perdita.
La definizione di reddito è sempre riferita ad un intervallo di tempo:
- se ci si riferisce all’intera vita dell’impresa si parla di reddito d’impresa, il cui
ammontare è perfettamente determinato ed è pari alla differenza fra capitale realizzato
e capitale investito (nella visione patrimoniale) o alla differenza fra il totale delle
entrate ed il totale delle uscite (nella visione economica);
- se ci si riferisce ad un esercizio amministrativo si parla di reddito d’esercizio, il
quale è determinabile con un inevitabile margine di incertezza in quanto è legato a
valutazioni soggettive e risente dello sfasamento temporale fra ricavi e incassi e fra
costi e uscite.
Lo sfasamento temporale tra fatti economici e fatti monetari determina alcune
situazioni di cui è necessario tenere conto per evitare di incorrere in errori nella
attribuzione dei valori agli esercizi interessati falsandone i risultati, nello specifico:
- uscite nell’esercizio corrente per acquisto di fattori fissi;
- uscite nell’esercizio corrente per acquisto di fattori variabili utilizzati nell’esercizio
successivo;
- entrate nell’esercizio successivo per produzioni ottenute nell’esercizio corrente;
- uscite nell’esercizio successivo per fattori impiegati nell’esercizio corrente;
- entrate nell’esercizio corrente per produzioni ottenute nell’esercizio successivo;
- uscite nell’esercizio corrente per acquisto di materie prime utilizzate nell’esercizio
corrente in processi che forniranno produzioni nell’esercizio successivo;
La prima circostanza dà origine al concetto di ammortamento, mentre le due
successive originano delle rimanenze di materie prime e di prodotti destinati alla
vendita, la cui consistenza è inserita fra i capitali circolanti.
I successivi due casi rappresentano situazioni in cui lo sfasamento fra
l’entrata/uscita ed il relativo ricavo/costo può comportare delle errate imputazioni di
valori agli esercizi interessati; per far fronte a queste difficoltà si fa ricorso ai concetti di
ratei (fatti amministrativi in cui l’effetto monetario anticipa quello economico) e di
risconti. (in cui l’effetto economico anticipa quello monetario).
L’ultimo caso, infine, si riferisce alla circostanza in cui un’attività produttiva
viene condotta a cavallo di due esercizi. In questo caso nel primo esercizio sono
presenti le uscite per l’acquisto di alcuni fattori produttivi, nel secondo le uscite per
l’acquisto degli altri fattori e le entrate per le vendite dei prodotti. Per non falsare i
risultati dei due esercizi è necessario posticipare il processo considerando le uscite
sostenute nel primo esercizio come risconti attivi, che vengono considerati come
prodotti in corso di lavorazione.
- 94 -
FORME, METODI E SISTEMI DI SCRITTURA
I documenti che fanno parte dell’amministrazione di un’impresa riguardano eventi
gestionali esterni (documenti fiscali, titoli di credito, estratti del conto corrente,
documenti relativi al personale) ed eventi gestionali interni (rilevazioni sulle operazioni
eseguite, rapporti di officina, buoni di carico e scarico del magazzino, registrazioni
relative alle attività produttive). Tali eventi gestionali, detti fatti amministrativi,
attraverso le quantità fisiche e monetarie riportate nei documenti originali, costituiscono
gli elementi oggetto delle scritture contabili (che, essendo eseguite in appositi registri,
prendono il nome di registrazioni).
Le scritture contabili possono essere di diversa forma: elementari o sistematiche.
Sono elementari le scritture effettuate per verificare le variazioni intervenute su singoli
aspetti o specifiche unità dell’impresa (cassa, magazzino, ecc.) e per predisporre i dati
per il successivo inserimento in contabilità. Sono sistematiche le scritture che vengono
inserite nel sistema contabile per determinare l’effetto dei fatti amministrativi sui
risultati della gestione dell’impresa. Nelle scritture sistematiche, quindi, le
modificazioni intervenute nelle diverse unità dell’impresa vengono poste in relazione
per determinare l’effetto sull’intero complesso.
L’inserimento delle scritture contabili nel sistema avviene annotando i fatti
amministrativi in particolari prospetti detti conti. Essi rappresentano i riferimenti
quantitativi utilizzati per controllare l’entità e le variazioni delle singole componenti
ritenute essenziali per gli obiettivi che si intendono perseguire attraverso la rilevazione.
L’inserimento di un fatto amministrativo in un conto prevede la trascrizione del
numero d’ordine (articolo), la data, una descrizione sintetica e la quantità; quest’ultima
viene posta nella sezione di sinistra del conto (dare) quando genera un addebito e in
quella di destra (avere) quando genera un accredito alla componente rappresentata dal
conto stesso. La differenza fra il totale del dare e dell’avere esprime il saldo del conto.
Le regole con le quali vengono operate le registrazioni dei fatti amministrativi
nell’insieme dei conti definiscono il metodo di scrittura.
Il metodo di scrittura più diffuso è quello della partita doppia il quale prevede che
ogni fatto amministrativo venga registrato in almeno due conti del sistema; l’elemento
quantitativo è addebitato (e quindi registrato in dare) in uno o più conti e accreditato (e
quindi registrato in avere) in uno o più altri conti.
La trascrizione dei valori nei conti, il cui insieme è raccolto nel libro mastro,
viene eseguita dopo che i singoli fatti amministrativi sono stati trascritti in forma di
articoli nel libro giornale.
Le scritture sistematiche vengono distinte in quattro tipologie:
- scritture di apertura: eseguite all’inizio dell’esercizio per avviare la rilevazione
contabile;
- scritture continuative: eseguite nel corso dell’esercizio per annotare gli effetti
prodotti dai fatti amministrativi29;
- scritture di assestamento: eseguite prima della chiusura dell’esercizio per far
assumere ad alcuni conti la loro effettiva consistenza;
- scritture di chiusura: eseguite alla chiusura dell’esercizio per definire il risultato
della gestione.
29 Per controllare periodicamente la correttezza di queste registrazioni è opportuno verificare l’uguaglianza dei
valori complessivi dei conti (importi e saldi) per mezzo del bilancio di verificazione.
- 95 -
Perché possa avvenire la trascrizione nel libro mastro è necessario che per ogni
articolo registrato nel libro giornale venga indicato il numero dell’articolo, la data, una
descrizione ed i conti interessati in dare e in avere.
Poiché i fatti amministrativi possono accreditare o addebitare più conti
contemporaneamente gli articoli possono essere di tipo diverso:
- articoli semplici (un solo conto in dare e un solo conto in avere);
- articoli composti (un solo conto in dare e diversi conti in avere, oppure diversi conti
in dare e un solo conto in avere);
- articoli complessi (diversi conti in dare e diversi conti in avere).
La modalità di registrazione degli articoli prevista dal metodo della partita doppia
impone che il totale del dare di tutti i conti sia uguale al totale dell’avere di tutti i conti
o, equivalentemente, che la somma dei saldi dei conti sia costantemente pari a zero.
Una volta definito l’obiettivo della rilevazione contabile (la determinazione del
reddito di esercizio), la forma ed il metodo di scrittura (sistematiche in partita doppia) è
necessario determinare quale sistema di scrittura deve guidare il metodo verso
l’obiettivo, ovvero l’insieme degli elementi dell’impresa di cui si vogliono conoscere
l’entità e le variazioni.
Tale operazione consiste nello stabilire i conti che si vogliono attivare (o
“accendere”) e nell’individuare i fatti amministrativi che, agendo su tali conti,
influenzano gli aspetti patrimoniali ed economici dell’impresa. L’insieme dei conti del
libro mastro, che viene impostato secondo un’opportuna configurazione in relazione al
sistema di scrittura adottato, viene detto il piano dei conti.
Nel paragrafo seguente verranno brevemente descritte le principali caratteristiche
e peculiarità dei due sistemi più frequentemente adottati per eseguire la rilevazione
contabile all’interno delle imprese.
5.2 SISTEMI DI RILEVAZIONE CONTABILE
I due sistemi di scrittura più utilizzati per la determinazione del reddito di
esercizio attraverso il metodo della partita doppia sono il sistema patrimoniale ed il
sistema del reddito.
Nel sistema patrimoniale il reddito viene determinato come somma dei risultati
delle attività produttive condotte nell’impresa. Questo risultato viene ottenuto attraverso
la registrazione sistematica di tutte le variazioni, sia di forma che di sostanza, del
capitale netto. Ciò implica che devono essere presi in considerazione anche i fatti che
esprimono mutamenti interni all’impresa i quali, essendo riferiti alle singole attività
produttive che vengono condotte, possono essere attribuiti ai relativi conti.
Nel sistema del reddito la determinazione del reddito avviene attraverso una
visione unitaria dell’impresa. Il sistema prende in considerazione i fatti amministrativi
nel momento in cui le componenti del reddito si rendono manifeste; questo modo di
procedere, ignorando i movimenti interni all’impresa, riduce il numero delle
registrazioni ma impedisce di porre in relazione i ricavi con i relativi elementi di costo.
Il prospetto di figura 12 riepiloga alcune caratteristiche dei due sistemi
evidenziandone le principali specificità.
- 96 -
Figura 12 – Principali caratteristiche dei sistemi patrimoniale e del reddito
Sistema
Patrimoniale
MODALITÀ DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO
Sistema
del reddito
Somma dei risultati delle
Risultato dell’attività di
singole attività
impresa nel suo complesso
INFORMAZIONI DA ELABORARE
Fatti amministrativi
esterni e interni
Fatti amministrativi
esterni
NUMERO DI REGISTRAZIONI
Elevato
Contenuto
TIPO DI RILEVAZIONE
Settoriale o Analitica
Generale o sintetica
5.2.A LA CONTABILITÀ ANALITICA – SISTEMA PATRIMONIALE
La contabilità analitica, vale a dire quella che utilizza i principi del sistema
patrimoniale, è impostata in modo da pervenire alla determinazione del reddito di
esercizio come somma dei redditi parziali delle attività svolte dall’impresa.
Per conseguire questo obiettivo è necessario tenere conto di tutti i fatti
amministrativi, sia esterni che interni, ed impostare il piano dei conti in modo tale da
rendere possibile un controllo continuo della consistenza patrimoniale dell’impresa, il
quale dà origine a quello che viene definito un inventario permanente, e dei flussi di
input (fattori produttivi) e di output (prodotti) delle singole attività produttive che
vengono svolte nell’impresa.
CLASSIFICAZIONE DEI FATTI AMMINISTRATIVI
Nel sistema patrimoniale i fatti amministrativi vengono distinti in:
- fatti permutativi, che descrivono variazioni nella forma, ma non nella consistenza,
del capitale netto;
- fatti modificativi, che descrivono variazioni nella consistenza del capitale netto;
- fatti misti:, che descrivono variazioni sia nella forma che nella consistenza del
patrimonio e quindi hanno un effetto sia permutativo che modificativo.
I fatti permutativi, non apportando variazioni alle componenti di reddito, non
presentano alcuna rilevanza economica; sono, invece, i fatti modificativi quelli che
concorrono alla determinazione del reddito, in quanto danno origine a variazioni del
capitale netto attraverso un aumento o una diminuzione della sua consistenza.
Un aumento del capitale netto, generato dall’incremento dell’attivo o dalla
riduzione del passivo del patrimonio, è legato ad una componente positiva di reddito e
quindi, dal punto di vista economico, ad un ricavo.
Una diminuzione del capitale netto, generata dall’incremento del passivo o dalla
riduzione dell’attivo del patrimonio, è legata ad una componente negativa di reddito e
quindi, dal punto di vista economico, ad un costo.
- 97 -
Eventi che determinano fatti amministrativi di tipo modificativo sono i seguenti:
• realizzazione di un prodotto, che ha come effetto l’aumento del valore di una
componente patrimoniale (il magazzino prodotti, se viene immagazzinato, la cassa,
la banca o i crediti se viene venduto direttamente);
• utilizzazione di una materia prima, che ha come effetto la diminuzione del valore di
una componente patrimoniale (il magazzino materie prime da cui viene prelevato);
• deprezzamento di un macchinario attraverso la registrazione della sua quota di
ammortamento, che ha come effetto la diminuzione del valore di una componente
patrimoniale (la relativa componente delle immobilizzazioni materiali).
Nel primo caso si ha un aumento dell’attivo, cui è associato un ricavo dal punto di
vista economico, negli altri due una riduzione dell’attivo, cui è associato un costo.
Sono quindi i fatti modificativi quelli che consentono di determinare il contributo
delle singole attività alla formazione del reddito.
I fatti misti, infine, agiscono contemporaneamente sulla forma e sull’entità del
patrimonio. Considerando, ad esempio, il pagamento di una rata di un mutuo contratto
dall’impresa, nel fatto amministrativo si riscontra sia una componente permutativa
(riduzione contemporanea dell’attivo e del passivo per una cifra pari alla quota capitale
della rata), sia una componente modificativa (riduzione dell’attivo e presenza di un
costo pari alla quota interessi della rata).
IMPOSTAZIONE DEL PIANO DEI CONTI
Nel sistema patrimoniale il piano dei conti si sviluppa secondo due serie distinte:
- conti elementari: intestati ai singoli elementi del patrimonio per verificare le
variazioni che intervengono nel corso dell’esercizio per effetto della gestione;
- conti al netto: intestati alla componenti del reddito per registrare le variazioni
apportate dai fatti amministrativi.
La registrazione sistematica delle scritture continuative eseguita secondo il
metodo della partita doppia prevede per i fatti permutativi il coinvolgimento esclusivo
dei conti elementari, mentre per i fatti modificativi il coinvolgimento di conti elementari
e di conti al netto.
La serie dei conti elementari include i conti intestati a tutte le componenti attive
(circolanti e fisse) e passive (debiti a breve e a medio-lungo termine) del capitale.
La serie dei conti al netto prevede i seguenti gruppi di conti:
- conti intestati alle singole attività produttive;
- conti intestati ai costi fissi e generali;
- conti intestati alle componenti extra-caratteristiche e straordinarie;
- conti transitori;
- conti intestati al capitale (capitale netto e profitti e perdite).
I conti intestati alle attività produttive sono deputati a tenere traccia degli input e
degli output di un processo produttivo e a determinarne il reddito lordo attraverso il
saldo che rappresenta la differenza fra il valore delle produzioni realizzate ed il costo
dei fattori impiegati nello svolgimento della attività stessa.
Nei conti intestati ai costi fissi e generali vengono registrati i fatti amministrativi
relativi alla gestione caratteristica che originano delle voci di costo che non sono
attribuibili alle singole attività produttive ma che si riferiscono alla conduzione
dell’impresa nel suo complesso.
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I fatti amministrativi che non riguardano la gestione caratteristica dell’impresa
vengono trascritti nei conti intestati alle componenti extra-caratteristiche e straordinarie.
Le prime, come si ricorderà, riguardano gli interessi attivi e passivi e altre voci di ricavo
e di costo che, pur non essendo attribuibili alla attività tipica dell’impresa, si
manifestano con regolarità nel corso degli esercizi amministrativi. Le componenti
straordinarie, che possono sia incrementare che decrementare il reddito, rappresentano
degli eventi che si presentano con carattere di eccezionalità e imprevedibilità30.
I conti transitori hanno lo scopo di fungere da supporto temporaneo per la
trascrizione dei fatti amministrativi che coinvolgono più attività produttive ma dei quali
non si è in grado di ripartire l’entità fra le singole attività (si pensi, ad esempio, ai
consumi energetici o al costo dei lavoratori impegnati in più processi produttivi). Al
termine dell’esercizio amministrativo, prima di procedere alla sua chiusura, tali conti
verranno “svuotati” trasferendo alle singole attività produttive, secondo un criterio
oggettivo, l’entità complessiva del consumo del fattore produttivo a cui sono intestati.
I due conti intestati al capitale hanno lo scopo di rilevare le variazioni subite dal
capitale netto (conto capitale netto) e di valutare la consistenza del reddito di esercizio
in termini economici come differenza fra ricavi e costi (conto profitti e perdite).
SVOLGIMENTO DELLE SCRITTURE
Nel sistema patrimoniale le diverse tipologie di scritture sistematiche hanno i
seguenti obiettivi:
i) scritture di apertura: trasferire nei conti elementari i valori patrimoniali rilevati
all’inizio dell’esercizio;
ii) scritture continuative: imputare gli effetti dei fatti amministrativi (esterni ed interni)
sulle componenti del patrimonio e sulle voci di ricavo e di costo, in particolare:
• per i fatti permutativi, inserimento in DARE della componente che incrementa la
consistenza (aumento attività, riduzione passività) e in AVERE della componente
che la decrementa (riduzione attività, aumento passività);
• per i fatti modificativi, inserimento in DARE nel conto elementare e in AVERE
nel conto al netto per un ricavo; inserimento in DARE nel conto al netto e in
AVERE nel conto elementare per un costo;
iii) scritture di assestamento: far assumere ad alcuni conti (ad esempio quelli
transitori) la loro configurazione finale.
iv) scritture di chiusura: riepilogare i saldi dei conti elementari nel conto capitale netto
e dei conti al netto nel conto profitti e perdite.
I CONTI “CAPITALE NETTO” E “PROFITTI E PERDITE”
Come si è appena visto, le scritture di apertura assegnano ai conti intestati alle
componenti del patrimonio i valori rilevati all’inizio dell’esercizio, siano essi
provenienti dalle risultanze dell’inventario o dalla chiusura dell’esercizio precedente, e,
di conseguenza riguardano essenzialmente i conti elementari, ad esclusione del saldo fra
attività e passività che viene iscritto nel conto capitale netto. Le scritture di chiusura,
oltre ad avere il compito di riportare i saldi dei conti elementari nel conto capitale netto,
trasferiscono i saldi dei conti al netto nel conto profitti e perdite.
30 I fatti amministrativi che rientrano nella gestione straordinaria possono configurarsi secondo diverse tipologie
quali: plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, insussistenze.
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Ne consegue che il conto capitale netto contiene il valore iniziale (inserito con le
scritture di apertura) e il valore finale (inserito con le scritture di chiusura) del capitale
netto e, come saldo, l’entità del reddito d’esercizio. Il reddito d’esercizio costituisce
anche il saldo del conto profitti e perdite nel quale viene quindi determinato come
differenza fra ricavi e costi. L’ultima scrittura di chiusura avrà il compito di compensare
(“stornare”) questi due valori azzerando così tutti i conti del sistema.
Con questa impostazione viene evidenziata la duplice visione del reddito: in
termini patrimoniali, come effetto della gestione sui capitali dell’impresa, e in termini
economici, come contributo delle singole attività produttive al risultato della gestione.
CONSIDERAZIONI SUL SISTEMA PATRIMONIALE
Il sistema patrimoniale consente di ottenere informazioni molto utili dal punto di
vista gestionale, in particolare per apportare miglioramenti ai risultati produttivi
dell’impresa in quanto consente di conoscere in dettaglio il contributo apportato al
risultato complessivo dalle singole attività. Tuttavia presenta dei limiti operativi che
riguardano, sia il carico di lavoro amministrativo (elevato numero dei conti, numerose
scritture continuative, laboriose procedure di assestamento dei saldi), sia la necessità di
un elevato livello di dettaglio e di precisione nelle informazioni da registrare (consumi
di fattori nelle diverse attività produttive, distinzione fra attività che danno origine agli
stessi prodotti ma che vengono condotte con tecniche o risultati differenti, ecc.).
I principi di questo sistema, al di là del loro impiego in un sistema contabile,
rimangono comunque validi per condurre la rilevazione e la valutazione di dati analitici
e, soprattutto, per ottenere informazioni indispensabili alla applicazione di metodi di
analisi preventiva delle scelte produttive.
5.2.B LA CONTABILITÀ GENERALE – SISTEMA DEL REDDITO
La contabilità generale, che basa la sua metodologia di rilevazione sul sistema del
reddito, si concentra prevalentemente sugli aspetti economici della gestione, mentre il
controllo dell’evoluzione del patrimonio rappresenta un obiettivo secondario.
Il sistema, non ponendo in relazione i singoli elementi di ricavo e di costo, può
pervenire alla determinazione del reddito d’esercizio solo attraverso una visione globale
dell’impresa senza considerare il contributo apportato dalle diverse attività produttive.
CLASSIFICAZIONE DEI FATTI AMMINISTRATIVI
Il sistema del reddito distingue gli eventi in relazione alla loro connotazione
monetaria, operando una separazione logica fra:
- fatti amministrativi che riguardano esclusivamente la liquidità dell’impresa;
- fatti amministrativi che contribuiscono alla determinazione del reddito.
IMPOSTAZIONE DEL PIANO DEI CONTI
La suddetta classificazione dei fatti amministrativi origina nel piano dei conti la
distinzione tre serie distinte:
- conti numerari-finanziari;
- conti di reddito;
- conti capitali.
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Nella serie dei conti numerari-finanziari si trovano i conti intestati alle
componenti circolanti del capitale, sia attive che passive, ovvero ai:
- valori numerari certi (cassa, banche);
- valori numerari assimilati (clienti, fornitori);
- debiti su capitale circolante (prestiti a breve).
Nella serie dei conti di reddito si trovano i conti intestati alle componenti
immobilizzate del capitale, sia attive che passive, alle rimanenze iniziali e finali, alle
vendite ed agli acquisti, ovvero ai:
- fattori fissi (immobilizzazioni);
- debiti di capitale fisso (prestiti a m/l periodo);
- ammortamenti;
- rimanenze iniziali e finali;
- vendite di prodotti;
- acquisto di materie prime;
- altre componenti dei costi;
- componenti extra-caratteristiche e straordinarie.
Infine, nella serie dei conti capitali si trovano i conti utilizzati per la
determinazione del reddito d’esercizio in termini patrimoniali ed economici, ovvero:
- capitale netto;
- profitti e perdite.
SVOLGIMENTO DELLE SCRITTURE
Nel sistema del reddito le diverse tipologie di scritture sistematiche hanno i
seguenti obiettivi:
i) scritture di apertura: trasferire nei relativi conti i valori delle componenti del
patrimonio dell’impresa rilevati all’inizio dell’esercizio;
ii) scritture continuative: attribuire ai conti numerari-finanziari ed ai conti di reddito
gli effetti dei fatti amministrativi (solo esterni), in particolare:
• per le scritture nei conti numerari-finanziari, inserimento in DARE della
componente che incrementa la consistenza (aumento attività, riduzione passività)
e in AVERE della componente che la decrementa (riduzione attività, aumento
passività);
• per le scritture nei conti di reddito, inserimento in DARE dei costi e inserimento
in AVERE dei ricavi;
iii)scritture di assestamento: far assumere ad alcuni conti la loro configurazione finale,
in particolare quelli intestati alle “rimanenze finali” la cui consistenza, in assenza
della registrazione dei fatti interni, deve essere rilevata tramite un inventario eseguito
alla fine dell’esercizio amministrativo.
iv) scritture di chiusura: riepilogare i saldi dei conti intestati alle componenti del
patrimonio nel conto capitale netto e i saldi dei conti intestati alle componenti di
ricavo e di costo nel conto profitti e perdite.
I CONTI “CAPITALE NETTO” E “PROFITTI E PERDITE”
La funzione e le scritture relative al conto capitale netto non presentano
sostanziali differenze rispetto a quanto illustrato nel caso del sistema patrimoniale.
- 101 -
Lo stesso non accade per il conto profitti e perdite il quale, nel sistema del
reddito, elenca le componenti positive (ricavi) e negative (costi) del reddito determinate
dall’attività dell’impresa nel suo complesso. In questo caso i valori elencati nel conto
profitti e perdite presentano una diversa connotazione riguardo la certezza della loro
entità, infatti:
- le vendite, gli acquisti e gli altri costi, avendo dato origine ad un fatto numerario,
hanno una consistenza certa;
- le rimanenze (iniziali e finali), provenendo da una valutazione svolta in sede di
inventario, hanno una consistenza incerta;
- gli ammortamenti, la cui entità generalmente non coincide con il valore reale dei
beni, hanno una connotazione presunta.
Con una tale impostazione del conto profitti e perdite il sistema è quindi in grado
di indicare quanta parte del reddito proviene da elementi ben determinati e quanta altra
da valori approssimati o presunti. Queste componenti devono rimanere ben distinte per
evitare che possano sorgere dei problemi nell’interpretazione dei risultati, soprattutto
nelle imprese collettive in cui alcuni soci possono non essere al corrente delle modalità
adottate per la valutazione delle componenti del capitale.
CONSIDERAZIONI SUL SISTEMA DEL REDDITO
Oltre alla lettura degli elementi economici in ragione della loro “certezza”, il
sistema del reddito presenta alcuni ulteriori vantaggi rispetto al sistema patrimoniale,
sia riguardo alla maggiore semplicità dei controlli sul corretto svolgimento delle
registrazioni, sia il minore numero complessivo delle registrazioni stesse.
Rimane, tuttavia, il limite di carattere gestionale legato alla impossibilità di
seguire il flusso delle singole attività e di confrontarlo con le relative valutazioni
preventive. Questo limite porta, in molte applicazioni operative, al tentativo di
“settorializzare” il sistema modificando l’idea stessa su cui esso si basa. L’esito di
questi tentativi è generalmente insoddisfacente e i risultati che si ottengono sono
comunque peggiori di quelli ottenibili con l’adozione del sistema patrimoniale.
Il sistema del reddito, quindi, è in grado di fornire importanti informazioni a patto
che vengano rispettati i presupposti che ne sono alla base. Nel caso si ritenga
indispensabile disporre di informazioni di carattere settoriale, queste possono comunque
essere rilevate attraverso l’applicazione di procedure specifiche sganciate dalla
contabilità generale.
IL BILANCIO D’ESERCIZIO NEI DUE SISTEMI
I prospetti che costituiscono il bilancio dell’impresa sono, come si è visto, la
situazione patrimoniale ed il conto economico. Entrambi derivano da una specificazione
dei valori contenuti in dei conti accesi nell’ambito del sistema di scrittura contabile
adottato dall’impresa. In particolare, la situazione patrimoniale è originata dal conto
capitale netto, mentre il conto economico deriva dal conto profitti e perdite.
SITUAZIONE PATRIMONIALE
La situazione patrimoniale proviene dalla specificazione dei valori che
compongono il conto capitale netto con evidenziate le attività e le passività.
La forma che viene generalmente utilizzata, prevede che i valori di fine esercizio
vengano comparati con quelli di inizio esercizio in modo da evidenziare gli effetti della
- 102 -
gestione sulle componenti patrimoniali. La situazione patrimoniale è opportuno che
venga corredata dai valori percentuali che indicano l’incidenza delle diverse voci sul
totale del capitale lordo sia all’apertura che alla chiusura dell’esercizio. Ciò consente di
meglio comprendere le variazioni delle singole componenti del patrimonio e l’origine
del reddito d’esercizio.
Il prospetto della situazione patrimoniale ha una configurazione che risulta
indipendente dal tipo di sistema di rilevazione. Infatti i valori che vi figurano sono
quelli relativi alla consistenza iniziale e finale dei conti intestati alle componenti del
patrimonio, i quali, pur essendo inseriti in differenti serie di conti nei due sistemi,
contengono i medesimi valori.
CONTO ECONOMICO
Nel conto economico il valore del reddito d’esercizio trova giustificazione nel
raffronto tra il valore della produzione ed i costi sostenuti per realizzarla.
Come visto nel secondo capitolo, allo scopo di evidenziare nel conto economico
l’incidenza delle varie componenti sul reddito d’esercizio, il risultato globale viene
suddiviso tra l’insieme di eventi che fanno capo alle diverse “gestioni”. La gestione
caratteristica, cui appartengono tutti gli eventi che rientrano nella attività specifica
dell’impresa, ha un risultato espresso dal reddito operativo; a questo, per determinare il
reddito d’esercizio, deve essere aggiunto il risultato della gestione extra-caratteristica e
il risultato della gestione straordinaria.
A differenza della situazione patrimoniale, il conto economico, in particolare per
quanto riguarda la gestione caratteristica e la modalità con cui viene determinato il suo
risultato, presenta una struttura differente in relazione al sistema di scritture adottato.
Nel sistema patrimoniale, la serie dei conti al netto consente di ottenere un conto
economico nel quale, partendo dalle voci del conto profitti e perdite, viene evidenziato
il valore della produzione e l’ammontare dei costi variabili in ciascuna delle attività
produttive condotte nell’impresa. Una tale impostazione consente di analizzare la
dimensione con la quale le diverse attività contribuiscono alla determinazione del
reddito lordo e, per ciascuna di esse, di evidenziare l’incidenza delle singole voci di
costo rispetto al valore della produzione. Più problematico, invece, si presenta l’utilizzo
del conto economico elaborato attraverso il sistema patrimoniale per operare il
confronto dell’entità delle sue componenti con i corrispondenti valori ottenuti negli
esercizi precedenti. Ciò in quanto le eventuali modifiche che intervengono nella
organizzazione produttiva limitano la possibilità di porre in relazione diretta i risultati
delle diverse attività.
Se, invece, l’impresa adotta una contabilità impostata con il sistema del reddito, i
dati trascritti nel conto profitti e perdite consentono di sviluppare il conto economico
secondo una differente configurazione. In questo caso, infatti, non è possibile
determinare il contributo delle singole attività nella determinazione del valore della
produzione e dei costi variabili e quindi si rende necessario provvedere al calcolo di
queste voci considerando il complesso delle attività.
A differenza del sistema del sistema patrimoniale, inoltre, nel sistema del reddito
non è dato conoscere il valore delle produzioni ottenute ed il costo de fattori impiegati
per cui si rende necessaria una “riaggregazione” delle informazioni che consenta di
pervenire alla determinazione della loro entità.
Per quanto riguarda il valore della produzione, questo viene determinato
aggiungendo all’ammontare delle vendite la consistenza delle rimanenze finali di
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prodotti, ovvero le produzioni realizzate nel corso dell’esercizio amministrativo (e in
quelli precedenti) ma non ancora vendute, e sottraendo le rimanenze iniziali di prodotti,
che, essendo state realizzate negli esercizi precedenti, non vanno attribuite al valore
della produzione dell’esercizio corrente, sia che siano state vendute sia che siano
rimaste fra le rimanenze finali. Si ha pertanto:
Valore della produzione = Vendite + Rimanenze finali prodotti - Rimanenze iniziali prodotti
Con ragionamento analogo è possibile procedere alla determinazione dei costi
variabili, ossia il valore dei fattori produttivi a logorio totale utilizzati nei processi
condotti nell’esercizio amministrativo. In questo caso dagli acquisti andranno sottratte
le rimanenze finali di materie prime, in quanto rappresentano fattori acquistati
nell’esercizio (e in quelli precedenti) ma non ancora utilizzati, e aggiunte le rimanenze
iniziali che, pur essendo state acquistate precedentemente, sono state impiegate nel
corso dell’esercizio. Il conteggio diviene in questo caso:
Costi variabili = Acquisti + Rimanenze iniziali mat. prime – Rimanenze finali mat. prime
Sia nel caso del sistema patrimoniale che del sistema del reddito, i valori del conto
profitti e perdite possono essere riclassificati in modi differenti per dare origine ad altre
forme di conto economico. Una di queste che trova frequente utilizzazione, sia a fini
fiscali che per quantificare la ricchezza creata dall’impresa, è quella cosiddetta a valore
aggiunto; in questo caso il prospetto prevede la determinazione di un parametro, il
valore aggiunto appunto, che viene ottenuto come differenza tra valore della produzione
e consumi e che esprime la ricchezza da distribuire fra tutti i fattori che hanno
partecipato, direttamente o indirettamente, all’attività dell’impresa.
5.3 CENNI AL CONTROLLO DI GESTIONE
Il controllo di gestione è definito come l’insieme delle procedure operative che
l’impresa imposta e mette in atto allo scopo di guidare la gestione verso il
conseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di pianificazione. Tali procedure,
attraverso la misurazione di appositi indicatori, evidenziano la presenza e l’entità dello
scostamento tra obiettivi prefissati e risultati osservati, consentendo al management
(inteso come la componente direzionale che possiede il controllo e la responsabilità
delle risorse operanti all’interno dell’impresa) di avere un quadro più completo
dell’andamento aziendale e di identificare le opportune azioni correttive.
La procedure del controllo di gestione sono strettamente connesse alla
componente del sistema di gestione nella quale vengono definite le strategie attraverso
lo svolgimento delle analisi preventive, tanto che di solito, sia in ambito teorico che
nella pratica aziendale, si parla di sistema di pianificazione e controllo. Medesimo
livello di connessione presentano con le procedure di analisi consuntiva, attraverso le
quali viene eseguito il continuo monitoraggio dell’andamento dell’attività dell’impresa.
Tali connessioni vengono evidenziate nella figura 13 (la quale riporta uno stralcio del
sistema di gestione illustrato in figura 1) con le due linee continue che rappresentano il
flusso di informazioni che giunge al controllo di gestione proveniente dalle procedure di
analisi preventiva e consuntiva. In figura è riportato con una linea tratteggiata anche il
flusso di informazioni che torna verso le procedure di pianificazione attraverso il quale
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vengono trasferite le risultanze del controllo di gestione che forniscono delle utili
indicazioni per lo svolgimento delle analisi preventive nei successivi cicli produttivi.
Figura 13 – Il controllo di gestione nel sistema di gestione aziendale
La valutazione e l’analisi degli scostamenti, a cui si accennerà più avanti, viene
condotta riferendosi alla totalità dell’impresa (controllo globale) e a livello delle singole
attività (controlli settoriali). Questi ultimi sono quelli verso i quali viene posta la
maggiore attenzione in quanto consentono di individuare singole problematiche,
responsabilità ed inefficienze e, di conseguenza, di intervenire con rimedi e soluzioni
specifiche. Per questa ragione è indispensabile che le procedure di analisi consuntiva
siano organizzate in modo da fornire tutte le informazioni relative a ricavi e costi delle
singole attività produttive dell’impresa. Questa possibilità, come si è visto nei
precedenti paragrafi, è legata all’utilizzo di una contabilità analitica basata sul sistema
patrimoniale, mentre è preclusa nel caso in cui l’impresa adotti esclusivamente una
contabilità generale.
LE PROCEDURE DEL CONTROLLO DI GESTIONE
Dal punto di vista organizzativo, il sistema di controllo di gestione è coordinato
dai vertici aziendali e viene eseguito a scadenze periodiche (solitamente annuali per
controlli a livello globale, più frequentemente per le verifiche settoriali).
Dal punto di vista logico è articolato nelle seguenti fasi successive:
1. controllo antecedente (budgeting);
2. controllo concomitante (monitoring);
3. controllo susseguente (reporting).
Il controllo antecedente acquisisce le informazioni e i risultati provenienti dalle
procedure di analisi preventiva e si concretizza nella predisposizione dei cosiddetti
budget. Attraverso questo procedimento gli obiettivi gestionali vengono resi:
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misurabili, attraverso la definizione di un indicatore e di un target (o traguardo),
ossia di un valore che l’indicatore deve raggiungere per affermare che l’obiettivo è
stato conseguito31;
• corredati della previsione delle risorse (umane, finanziarie ecc.) necessarie al loro
conseguimento, espresse in termini di costo;
• assegnati, unitamente alle risorse ritenute necessarie al loro conseguimento, a
degli organi aziendali che assumono il ruolo di centri di responsabilità32.
Nelle imprese di maggiore dimensione la definizione del budget viene concordata
fra la figura (manager) cui viene affidato il centro di responsabilità e il vertice
aziendale. In questo caso il budget diviene una sorta di contratto tra il manager, che si
impegna a raggiungere i risultati stabiliti, e l’azienda che mette a disposizione le risorse
necessarie.
Il controllo concomitante si svolge parallelamente alla gestione e prevede le
seguenti fasi:
1. misurazione periodica degli indicatori, attraverso la rilevazione delle variabili
produttive ed economiche (ricavi e costi);
2. trasmissione dei dati al manager del centro di responsabilità e al vertice aziendale;
3. verifica ed analisi degli scostamenti tra risultati attesi ed effettivi;
4. individuazione, da parte dei responsabili (manager o vertice aziendale), di
interventi correttivi volti a ridurre gli scostamenti evidenziati;
5. attuazione degli interventi.
Il terzo punto evidenziato, ovvero l’analisi degli scostamenti, rappresenta
un’operazione indispensabile per identificare l’origine e la responsabilità di eventuali
problemi e inefficienze gestionali. Va considerato, a questo riguardo, che lo
scostamento fra risultati attesi e consuntivi costituisce una situazione molto frequente e,
oltre che da effettive inefficienze nell’organizzazione produttiva, può essere originata
da diverse situazioni: errata individuazione degli obiettivi (a volte ciò viene fatto
consapevolmente fissando traguardi superiori a quelli effettivamente ottenibili per
creare una forte motivazione nel personale), sottovalutazione delle difficoltà presenti
nel contesto, verificarsi di eventi imprevisti.
Nei centri di ricavo la grandezza sotto osservazione è generalmente il fatturato,
per cui gli eventuali scostamenti registrati riguarderanno questo indicatore. L’entità del
fatturato è la risultante di tre componenti riferite ai prodotti: volumi venduti, prezzi di
vendita e mix di vendita (intesa come la ripartizione percentuale del totale venduto tra
le diverse tipologie di prodotto). Ovviamente ciascuna di queste tre componenti può
presentare degli scostamenti rispetto alla relativa entità pianificata nel budget e, di
conseguenza, dare origine a uno scostamento di volume, uno scostamento di prezzo o
uno scostamento di mix.
•
31 Gli indicatori vengono detti di efficacia, quando esprimono il rapporto tra risultato raggiunto e obiettivo
prestabilito, di efficienza, quando misurano la relazione tra il risultato raggiunto e le risorse impiegate per il suo
ottenimento espresse in termini di costo.
32 I centri di responsabilità vengono distinti sulla base della finalità che si pongono; in particolare si distinguono:
- centri di costo, la cui finalità è quella di minimizzare un costo; si distinguono centri di costo standard, quando è
possibile rapportare il costo al volume di output e stabilire un costo standard al quale tale rapporto deve tendere e
centri di spesa, quando, non potendo stabilire un costo standard, si stabilisce un massimale di spesa e si dà al centro
il compito di massimizzare il suo output rispettando tale massimale;
- centri di ricavo, la cui finalità consiste nel massimizzare un ricavo;
- centri di profitto, la cui finalità consiste nel massimizzare la differenza tra un ricavo e un costo.
- 106 -
Nei centri di costo, invece, la grandezza sotto osservazione è il costo totale la cui
entità è data dalla somma di costi fissi e costi variabili, questi ultimi determinati dalla
quantità prodotta per i costi variabili per unità di prodotto. L’origine dello scostamento
osservato sull’indicatore di riferimento, ovvero i costi totali, può essere quindi causato
sia da una produzione insoddisfacente, la quale dà origine ad una scostamento di
volume, sia da un’incidenza eccessiva delle voci di costo (in particolare nei costi
variabili per unità di prodotto), circostanza che evidenzia uno scostamento di efficienza.
Il controllo susseguente chiude il processo del controllo di gestione attraverso la
comunicazione ai centri di responsabilità e al vertice aziendale delle informazioni
relative agli esiti del controllo concomitante. Tali informazioni, oltre ad essere utilizzate
dalla dirigenza per valutare l’attività dei manager, hanno la fondamentale funzione di
“tornare” verso le procedure di analisi preventiva per supportare le successive
pianificazioni che verranno condotte.
Per questa ragione, assume grande importanza il reporting, ossia la modalità di
trasmissione ai centri di responsabilità e al vertice aziendale delle informazioni prodotte
dal controllo di gestione. Questa deve risultare strutturata in modo da veicolare le
informazioni di interesse verso le persone, con modalità e tempi che ne valorizzino al
massimo il contributo che possono dare al conseguimento degli obiettivi aziendali.
Se condotto con la procedura sinteticamente illustrata, il controllo di gestione si
integra strettamente con la strategia aziendale divenendone una componente essenziale.
Infatti, se, da un lato, la strategia mira ad individuare e valorizzare le competenze
distintive dell’impresa che sono in grado di produrre un riflesso positivo sui ricavi, in
quanto espressione tangibile del rapporto economico con il mondo esterno, il controllo
di gestione opera per migliorare l’efficienza dell’impresa in modo da produrre un
riflesso positivo sulle componenti economiche che sono espressione diretta della sua
organizzazione interna.
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