Ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative

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Ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative
RUOLO DEGLI IONI METALLICI NELLE PATOLOGIE DEGENERATIVE CRONICHE
Alla realizzazione di questo progetto di Ricerca concorreranno diverse unità operative, in cui sono
localizzati gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare le unità coinvolte
sono:
UNITÀ OPERATIVA DI CATANIA,
UNITÀ OPERATIVA DI FERRARA,
UNITÀ OPERATIVA DEL SALENTO
UNITÀ OPERATIVA DI SIENA
INTRODUZIONE
E’ ormai riconosciuto che lo stress ossidativo è un fattore determinante in molte patologie croniche
come l’arteriosclerosi, le malattie vascolari, le malattie neurodegenerative, i disordini immunologici e
quelli correlati all’invecchiamento. Con il termine stress ossidativo ci si riferisce principalmente al grado
di danno ossidativo indotto dalle specie reattive all’ossigeno (ROS) all’interno di una cellula. I ROS
possono causare seri danni modificando le proteine, gli acidi nucleici e deteriorando il doppio strato
lipidico. In un organismo sano la tossicità proveniente dai ROS è normalmente tenuta sotto controllo (i
ROS sono convertiti in molecole metabolicamente non distruttive o sono rimossi dopo la loro
formazione) e il danno causato dai ROS viene riparato rapidamente. I Metalli redox attivi come
Cu(II)/Cu(I) e Fe(III)/Fe(II) sono strettamente correlati allo stress ossidativo in quanto possono
catalizzare la produzione di ROS. Negli ultimi 20 anni sono aumentate le evidenze che correlano
l’anomala omeostasi dei metalli con la patogenesi di molteplici malattie neurodegenerative, ed è ormai
ampiamente accettato che un metabolismo alterato dei metalli può iniziare ed accelerare il processo
neurodegenerativo.1,2,3,4 Una corretta omeostasi dei metalli è, infatti, fondamentale per la maggior parte
delle funzioni fisiologiche, e la concentrazione di ioni come il rame, lo zinco ed il ferro, pur essendo
essenziali per lo sviluppo e il mantenimento delle funzioni cerebrali, deve essere strettamente regolata
per evitare l'innesco di processi cellulari dannosi. Una correlazione diretta tra disomeostasi degli ioni
metallici ed insorgenza delle malattie neurodegenrative è ulteriormente confermata dal fatto che
l'invecchiamento è il maggiore fattore di rischio per la comparsa di fenomeni di neurodegenerazione e
che, generalmente, i livelli degli ioni metallici nei tessuti cerebrali aumentano con l'età.5 La disomeostasi
dei metalli contribuisce notevolmente allo stress ossidativo che una volta che viene innescato, è spesso
irreversibile e determina un circolo vizioso a catena, tale che non appena le funzioni mitocondriali sono
alterate dai ROS, viene favorita ulteriore produzione di ROS. Alla fine questo circolo vizioso porta allo
stress ossidativo e ad un invecchiamento precoce.
1
D. Allsop, et al., Biochem Soc Trans, 2008. 36(Pt 6): p. 1293-8.
M.A. Lovell, et al., J Alzheimers Dis, 2009. 16(3): p. 471-83.
3
S. Bolognin, et al, Neuromolecular Med, 2009. 11(4): p. 223-38.
4
E. Gaggelli, et al., Copper homeostasis and neurodegenerative disorders (Alzheimer's, prion, and Parkinson's diseases and
amyotrophic lateral sclerosis). Chem Rev, 2006. 106(6): p. 1995-2044.
5
J.M Stankiewicz, et al., Curr Opin Clin Nutr Metab Care 2009. 12(1): p. 22-9.
2
UNITA’ LOCALE DI CATANIA
L’UO di Catania svolgerà i seguenti temi nell’ambito dell’Interplay tra proteostasi e metallostasi nella
neurodegenerazione.
Introduzione
L'alterazione dei processi che regolano il delicato equilibrio esistente fra metallostasi e proteostasi è la
principale causa della neurodegenerazione. Nei neuroni, la concentrazione delle proteine in grado di
formare amiloidi, quali Abeta e prioni, viene in parte regolata da enzimi degradativi la cui attività è
strettamente correlata alla comparsa di particolari malattie neurodegenerative. Il funzionamento anomalo
di queste proteine viene spesso riconosciuto dai sistemi Ubiquitina-Proteosoma ed autofagia che
svolgono quindi un ruolo fondamentale nei meccanismi di difesa cellulare. Tuttavia, un numero sempre
maggiore di dati sperimentali indica che molti ioni metallici modulano l'attività di questi sistemi e
accelerano inoltre i processi di aggregazione proteica. L'aumento dei livelli di ioni metallici durante
l'invecchiamento, l'alterazione dei sistemi UPS/autofagia e la comparsa della malattie neurodegenerative
sembrano quindi essere strettamente correlati. Studi recenti suggeriscono il coinvolgimento di ulteriori
meccanismi di difesa cellulare ed in particolare del sistema di risposta allo shock termico e della via
KEAP1/Nrf2/ARE, nelle malattie neurodegenerative. Infatti, il malfunzionamento di questi sistemi è
stato correlato ad una rapida progressione delle malattie neurodegenerative e all'invecchiamento. Inoltre,
la riduzione dei fattori trofici neuronali rappresenta un altro importante elemento nella patogenesi delle
malattie neurodegenerative. Le neurotrofine sono proteine responsabili dello sviluppo, sopravvivenza e
plasticità sinaptica del sistema nervoso centrale e periferico. Sorprendentemente, le regioni neuronali
dove queste proteine esplicano la loro attività biologica, corrispondono spesso a quelle in cui è stato
riscontrato una disomeostasi di ioni metallici. Gli ioni metallici potrebbero quindi rappresentare la
connessione fra neurotrofine e l' Abeta nell'Alzheimer. La distribuzione fisiologica degli ioni metalli nei
diversi compartimenti neuronali viene assicurata da un gruppo di metallo-chaperone fra cui ATOX1. La
perdita di ATOX1 comporta una errata compartimentalizzazione del Cu causandone una distribuzione
patogenica.
Tenendo presente questo complesso scenario, l'obiettivo a lungo termine è quello di proporre un
approccio terapeutico basato sulla possibilità di modulare i diversi meccanismi citoprotettivi, presenti
all'interno della cellula, agendo sull'omeostasi degli ioni metallici.
1. Degradazione dell' amiloide Abeta: miglioramento dell'efficienza degli enzimi degradativi
La presente linea di ricerca si indirizzerà allo studio di alcune metalloproteasi coinvolte nella
degradazione di Abeta, la cui espressione verrà indotta in opportuni modelli cellulari. Gli enzimi così
ottenuti saranno studiati tramite la combinazione di diversi approcci sperimentali. La Spettrometria di
massa (MS) sarà utile per identificare i frammenti prodotti dalle varie proteasi in differenti condizioni
sperimentali e per ottenere maggiori dettagli sui siti di cleavage preferenziali e sui meccanismi di
interazione. In particolare, si studierà il ruolo che i metalli (principalmente Cu e Zn) svolgono nella
modulazione dell'interazione tra Abeta e gli enzimi degradativi. Tecniche NMR, CD e misure
potenziometriche saranno utilizzate per chiarire le caratteristiche di coordinazione degli ioni metallici
con le metalloproteasi in oggetto. Piccoli frammenti di alcune metalloproteasi potranno essere
sintetizzati (possibilmente solo il dominio che contiene il sito catalitico) al fine di realizzare uno studio
strutturale dettagliato sul sito di legame del metallo. Verrà valutato l'effetto di inibizione/attivazione che
i metalli hanno sui differenti enzimi, distinguendolo dalle variazioni conformazionali di Abeta e lo stato
di oligomerizzazione.
L'obiettivo ultimo sarà quello di progettare e realizzare la sintesi di nuovi peptidi Abeta che non siano in
grado di legare ioni metallici ma che siano degradati dagli enzimi. La Surface Plasmon Resonance (SPR)
fornirà informazioni qualitative e quantitative sull'interazione tra questi Abeta peptidi e gli enzimi
degradativi. I risultati ottenuti con questi peptidi modello saranno utili per comprendere come Abeta (1-
40) e Abeta (1-42) interagiscono e vengono degradati dai differenti enzimi. Una volta identificati i
principali siti di interazione, saranno progettate e testate in vitro e in vivo farmaci capaci di modulare tali
interazioni. Lo studio proseguirà su altre metalloproteasi, non classificate come enzimi degradativi di
Abeta ma che potrebbero essere coinvolte nel catabolismo di Abeta e anche come biomarcatori della
neurodegenerazione. Tra questi verrà studiata la carnosinasi CN1 allo scopo di chiarire la correlazione
tra disomeostasi di CN1 nelle malattie neurodegenerative con quella di altri importanti metaboliti:
l'attività enzimatica di CN1 sarà studiata in presenza di potenziali nuovi attivatori, inibitori o substrati,
quali ioni metallici di transizione, composti legati alla carnosina endogena e derivati sintetici della
carnosina. Un ampio spettro di proteine, peptidi e frammenti di peptidi coinvolti nello sviluppo di
diverse malattie neurodegenerative (Abeta,prione,etc) saranno testati in saggi enzimatici con CN1. Verrà
valutato l'effetto della carnosina e di suoi derivati sui processi cognitivi.
2. Complessi di peptidi prionici multimetallo e multilegante
Negli ultimi anni, l'unità di ricerca di Catania ha studiato la speciazione e le caratteristiche di affinità e di
legame dei complessi di Cu(II) con frammenti peptidici con specifiche sequenze aminoacidiche del
dominio N-terminale della proteina prione. La sintesi e lo studio di frammenti di peptidi contenenti un
solo residuo di istidina disponibile alla complessazione hanno fornito utili informazioni sull'affinità di
legame di ciascun sito, mentre la caratterizzazione sistematica delle specie complesse di leganti con più
istidine ha mostrato che tutti i siti di legame sono indipendenti ma hanno differenti affinità per il
rame(II). La maggiore differenza tra i frammenti a singola istidina e quelli contenenti più istidine si ha
soprattutto nella stabilità delle specie coordinate all'azoto imidazolico. Nel caso di frammenti contenenti
i residui di istidina presenti all'interno e all'esterno della regione degli octarepeat, gli imidazoli sono in
grado di coordinare il metallo formando un macrochelato in cui il rame(II) interagisce con entrambi i
due domini N-terminali. La caratterizzazione dei complessi di rame (II) con i frammenti che includono
l'intera regione N-terminale (residui 60-114) potrà quindi chiarire meglio le caratteristiche di
speciazione, di legame e di affinità con la regione non strutturata della proteina prione. Tale approccio
rappresenta un passo avanti che permette di sfuggire alla consueta critica riguardante l'uso di piccoli
peptidi come modello rappresentativo dell'intera proteina. Saranno caratterizzate anche specie con
metalli misti. Studi di sistemi multimetallo sono giustificati dalle reali condizioni biologiche dove
differenti metalli si trovano in concentrazioni tra loro comparabili. Nel primo anno, saranno sintetizzati i
frammenti di peptidi PrP (60-114) coniugati con polietilenglicole (PEG), in modo da sopperire alla bassa
solubilità di questi complessi metallici con frammenti peptidici. I complessi di rame(II) così come i
complessi a metallo misto saranno caratterizzati potenziometricamente e spettroscopicamente (CD, UVVis, EPR, MS). Nel secondo anno, saranno sintetizzati i frammenti di tetraoctarepeat contenenti unità
extra-octarepeat, anch'essi funzionalizzati con molecole di PEG, per aumentarne la solubilità.
L'inserimento da una a nove unità extra octarepeats risulta in un ampliamento del dominio N-terminale,
che è noto essere una mutazione comune a patologie correlate con la forma ereditaria della malattia
prionica. Anche i complessi metallici di questi frammenti saranno caratterizzati tramite potenziometria e
spettroscopia. Il confronto di questi risultati con quelli ottenuti per i sistemi metallo-PrP(60-114)
permetterà di apprezzare le differenze in stabilità di legame tra le specie complesse dei due differenti
sistemi e fornire ulteriori dettagli sulle loro proprietà funzionali. Nel terzo anno, saranno investigate
tramite voltammetria ciclica le proprietà redox delle principali specie complesse così come emerse dalla
speciazione dei sistemi Cu(II)-PrP(60-114) e Cu(II)-Extraoctarepeat e studiate le proprietà
conformazionali di questi sistemi tramite spettroscopia CD. Da questi risultati potranno emergere
interessanti correlazioni tra le caratteristiche strutturali delle specie complesse, i cicli redox e i
cambiamenti conformazionali del dominio N-terminale della proteina Prione. I risultati saranno
comparati con quelli relativi alla proteina prionica WT e mutata.
3. Ioni metallici e neurotrofine
Nel primo anno, l'utilizzo di spettrometria di massa, dicroismo circolare ed EPR permetterà di
caratterizzare la natura dei complessi neurotrofine/metallo. Si potrà determinare il numero di ioni per
molecola e studiare l'influenza dei diversi metalli sulle proprietà biologiche di NGF e BDNF a differenti
rapporti molare metallo/proteina. Verranno effettuati studi di Western blot mirati a testare l'abilità dei
complessi neurotrofine/metallo o del metallo libero di attivare il recettore Trk, di controllare il suo
processing e la cascata di eventi che portano alla produzione dell' amiloide. Verranno monitorati i livelli
intracellulari di rame e zinco in risposta al trattamento con differenti neurotrofine. L'ausilio del
microscopio confocale permetterà anche di valutare il trasporto intracellulare di questi metalli. In
particolare, si potranno studiare su differenti linee cellulari l'effetto di NGF e BDNF sulla regolazione
dell'espressione di trasportatori cellulari di rame e zinco. A tal fine verranno sintetizzati dei frammenti
peptidici contenenti la regione N-terminale della proteina BDNF, i cui dati cristallografici suggeriscono
essere coinvolta nell'interazione BDNF-TrkB e saranno caratterizzati i loro complessi con Cu(II) e
Zn(II).
Approcci computazionali ci consentiranno di valutare gli effetti dei metalli sulle conformazioni
peptidiche e sull'attivazione dei recettori. L'attività BDNF-mimetica dei peptidi sintetizzati potrà essere
studiata su colture neuronali della regione dell'ippocampo, in presenza o assenza di rame e zinco. La
possibilità che BDNF e i peptidi correlati possano attivare processi angiogenetici verrà anche investigata
in collaborazione con il Prof. Diego La Mendola (Pisa). Per i peptidi che dai primi studi risulteranno più
promettenti sarà progettata e realizzata la sintesi di glicoconiugati e di micelle con l'obiettivo di
aumentarne la bioaccessibilità e proteggerli dalla degradazione proteolitica, permettendone il trasporto
attraverso la barriera emato-encefalica.
Altro aspetto da valutare sarà la capacità degli ioni metallici di modulare la maturazione del precursore
delle neurotrofine. Infine verrano messi a punto saggi enzimatici che metteranno in luce la possibilità
che rame e zinco interagiscano con enzimi quali furine, plasmine e MMP, che in condizioni non
patologiche degradano il precursore di NGF e BDNF. Verrà valutato come il legame con i metalli possa
comportare cambiamenti conformazionali del precursore. Il ruolo dei metalli potrà essere ulteriormente
investigato mediante saggi enzimatici e tecniche spettroscopiche.
4. Studi in silico di interazioni metallo-proteine
Studi in silico saranno indirizzati sul ruolo dei biometalli nell'influenzare specifiche strutture proteiche,
quali NGF, BDNF, enzimi che degradano l'insulina (IDE) e l'amiloide beta. In questi studi si adotteranno
approcci di chimica computazionale come dinamica molecolare (MD), simulazioni di energia libera
(come metadinamica, dinamica molecolare “steered”), approcci ab-initio per il trattamento degli ioni
metallici, ricerca dei minimi locali con il software Gaussian09. Il programma di lavoro verrà diviso in
due parti. La prima parte (1-18 mesi) coinvolgerà la valutazione dell'equilibrazione del sistema tramite
simulazioni di dinamica molecolare (MD), energia libera e dinamica molecolare “steered” per
investigare l'aspetto conformazionale e i moti interni. La seconda parte (19-36 mesi) sarà indirizzata
all'indagine quanto-meccanica dei biometalli legati alle proteine oggetto degli studi. Verranno usati
approcci del tipo Car-Parrinello plane wave e Gaussian09, con il coinvolgimento della Dott.ssa Adriana
Pietropaolo (Cz).
5. Ioni metallici e sistema Ubiquitina-Proteosoma.
L'obiettivo della linea di ricerca sarà quello di monitorare le reazioni di poliubiquitinazione alla Lys48ed alla Lys63 in presenza di ioni CuII e ZnII. Ci si chiede in particolare se effetti di questi ioni metallici
sulle reazioni di poliubiquitinazione possano essere riconducibili al legame di CuII e ZnII all'ubiquitina.
Le reazioni di poliubiquitinazione alla Lys48- ed alla Lys63 in presenza di ioni CuII e ZnII saranno
ripetute in vitro in presenza di diversi ionofori (quali clioquinol, carnosina e rispettivi bio-coniugati). Su
varie linee cellulari (ad es. cellule di neuroblastoma e colture cellulari neuronali) verrà effettuata
l'incubazione con ionofori vari (ad es. clioquinol) al fine di valutare l'influenza sulle reazioni di
poliubiquitinazione e sull'autofagia. Anche i modelli idrosolubili di peptidi Aß ed i loro complessi con
Cu e Zn verranno impiegati in questi studi. Gli stessi peptidi saranno successivamente testati su colture
cellulari (ad es. neuroblastoma e colture cellulari neuronali), valutando, nel contempo, l'influenza dei
complessi metallo-amiloide sulle reazioni di poliubiquitinazione. Le interazioni Ubiquitina/peptidi
amiloidi, Ubiquitina/ionofori e Ubiquitina/complessi metallici saranno caratterizzate tramite studi
spettroscopici e calorimetrici.
Esploreremo anche i folding pathways dell'ubiquitina in presenza di ioni metallici alla luce di nuovi
modelli di analisi calorimetrici in grado di valutare l'eventuale presenza di fenomeni di downhill folding.
Inoltre si procederà alla sintesi di un nuovo sensore fluorescente finalizzato a misurare l'attività
proteasomale su singola cellula.
6. Monitoraggio del trasporto degli ioni metallici nella cellula.
La linea di ricerca mira al monitoraggio del trafficking intracellulare di ioni rame e zinco e sarà
sviluppata su due principali direzioni: (i) l'uso di sensori fluorescenti per il rame(I), rame(II) e zinco(II),
ultrasensibili e a risposta immediata in esperimenti in vitro su cellule vive; (ii) progettazione di nuovi
sensori intracellulari di metalli con maggiore sensibilità, stabilità e multifunzionali. (i) Saranno utiIizzati
in una serie di esperimenti su linee cellulari sensori fluorescenti già noti per la loro alta sensibilità e
selettività nei confronti del Cu+ (1@NP, CS1), Cu2+ e Zn2+ (RhodZin-3, FluoZin-3,) In questi studi, si
utilizzeranno due tipi di linee cellulari, nelle quali si monitoreranno le variazioni di concentrazione degli
ioni rame e zinco: la linea cellulare di neuroblastoma umano, SH-SY5Y, e colture primarie di puri
neuroni corticali ottenuti da embrioni di topi E15, secondo un protocollo ben consolidato.(ii) Il
chemosensore basato su nano particelle(1@NP) sarà usato come piattaforma di supporto per ulteriori
funzionalizzazioni con approcci biomimetici (p.e. membrane lipidiche funzionalizzate con frammenti
peptidici di neurotrofine come NGF e BDNF). Le variazioni sia in concentrazione totale che in
localizzazione degli ioni rame e zinco, saranno monitorate mediante l'utilizzo del microscopio confocale
laser e grazie a specifici sensori fluorescenti che distinguono i differenti distretti cellulari (mitocondri,
apparato di golgi, lisosoma, endosoma, nucleo), in risposta a differenti condizioni di perturbazione dei
sistemi in oggetto. Tre principali strategie saranno prese in considerazione: (a) eccesso o diminuzione
della concentrazione totale di metallo, ottenuta aggiungendo rispettivamente composti che rilasciano
rame o zinco nel terreno di coltura, o specifici chelanti o piccoli ionofori; (b) l'interazione con specifiche
proteine e peptidi; (c) variazioni del microambiente cellulare (pH,stress ossidativo). Tra i chelanti e i
piccoli ionofori utilizzati, ci saranno composti noti come chelanti del Cu(I) (penicillinammina e
batocuproina di solfonato), o come chelanti del Cu(II) e Zn(II) (clioquinol e disulfiram) o nuovi
composti sintetizzati ad hoc (derivati dell'acido ialuronico). In collaborazione con l'UO di Chieti saranno
anche utilizzate facilities avanzate di microscopia confocale finalizzate all'imaging intracellulare dello
Zn.
7. Modelli cellulare (dis)funzionali di Atox1: influenza di ionofori sulla regolazione dei
trasportatori del rame.
La seguente linea di ricerca si propone di studiare in modelli cellulari gli effetti del silenziamento di
Atox1, e quindi del conseguente accumulo di rame intracellulare indotto da specifici ionofori, sul
processing di APP tramite il pathway amiloidogenico. La ricerca mirerà ai seguenti obiettivi specifici: i)
generazione di un modello cellulare di processing di APP tramite transfettazione di APP695 e
caratterizzazione del processing su linee cellulari di glioma: 6 mesi; ii) identificazione di Abeta
intracellulare ad extracellulare tramite saggi ELISA:6 mesi iii) messa a punto del modello cellulare di
accumulo di rame tramite ionofori specifici ed effetti sulla vitalità cellulare ;iv) progettazione e analisi
dei duplex di siRNA per Atox1: 3 mesi ;v) valutazione della down-regulation di Atox1 tramite
interferenza con RNA , in assenza e in presenza di ionofori per il rame per valutare la produzione di
Abeta: 6 mesi; v) messa a punto di modelli cellulari di sovraccarico di rame nella cellula mediante
trattamenti con ionofori del rame in topi transgenici con la mutazione di London nel precursore
dell'amiloide umano (APP. V717L) (in collaborazione con il Nencky Institute Polonia): 1 anno.
8. Ricerca dei regolatori delle vie metaboliche citoprotettive cellulari
La risposta allo stress termico ed il pathway KEAP1/Nrf2/ARE sono meccanismi di difesa per la cellula
che regolano l'espressione di diverse centinaia di geni che codificano per proteine con funzioni
citoprotettive. L'inefficienza di questi sistemi è associata al rapido sviluppo di patogenesi correlate con
malattie neurodegenerative croniche e con l'invecchiamento. L'identificazione di piccole molecole in
grado di attivare questi pathways è stata una delle strategie terapeutiche seguita per rallentare il decorso
patologico e per estendere l'aspettativa di vita dei pazienti. In aggiunta, alcuni composti proteggono
dagli effetti collaterali dovuti a processi tossici, neoplastici e proinfiammatori di un vasto numero di
xenobiotici e sostanze endogene in numerosi esperimenti di carcinogenesi, malattie cardiovascolari e
neuro degenerazione. Utilizzando un approccio chimico, ci si propone di investigare: i) piccole molecole
che inducono il pathway KEAP1/Nrf2/ARE con capacità di upregulation su Hsp70, e quindi di
identificare a monte i target ancora non noti di queste molecole; ii) utilizzando un approccio genetico e
realizzando dei modelli cellulari che mancano dei fattori di trascrizione HSF1 o NRF2, si vuole chiarire
da un punto di vista meccanicistico il ruolo di HSF1 e NRF2 nell'induzione di Hsp70; iii) ci si propone
di approfondire alcuni meccanismi di risposta allo stress ossidativo e alla sua regolazione redox su
modelli di topi NMR ad alta longevità, in assenza e in presenza di somministrazione esogena di
carnosina o suoi derivati come induttori di risposta allo stress ossidativo. I nostri risultati si propongono
di fornire una possibile spiegazione degli effetti citoprotettivi che sono stati osservati in alcuni composti
e chiarire quindi le interazioni tra questi sistemi protettivi a livello fisiologico. Nel complesso, i risultati
ottenuti si propongo, attraverso il chiarimento del loro meccanismo d'azione, di dare utili indicazioni per
la progettazione di potenti ‘‘dual activators‘‘ come agenti citoprotettivi.
9. Studio delle interazioni porfirine- proteasoma e porfirine-Z DNA in soluzione acquosa.
Le porfirine sono molecole poliedriche e quindi di grande interessante per i chimici. Le proprietà ottiche
sono uniche sia in assorbimento (il coefficiente di estinzione molare è dell’ordine di 105 consentendo di
lavorare in un intervallo di concentrazioni utile per le nano-applicazioni) che in emissione (la resa di
fluorescenza è elevata). In natura ricoprono diversi ruoli; per esempio nella catena respiratoria sono
coinvolte sia nel trasporto che nello “storage" dell’ossigeno, così come nella catena dei processi ossidoriduttivi che accompagna il la riduzione dell’ossigeno ad acqua. Sono attualmente in utilizzate nella
terapia antitumorale grazie alle loro capacità di foto-sensibilizzare la formazione di Ossigeno singoletto.
Le loro interazioni con le matrici biologiche sono modulabili grazie alla facile introduzione di gruppi
periferici cationici o anionici nelle posizioni meso-. Infine, la loro stereochimica è modulabile grazie alle
proprietà dello ione metallico centrale. Negli ultimi anni ci siamo interessati sia delle interazioni
porfirine-proteasoma che delle interazioni porfirine-Z-DNA e l’approfondimento di questi temi sarà
parte dell’attività dei prossimi anni. Per quanto riguarda il primo tema di ricerca, si è trovato che la
porfirina non metallata tetra-cationiche 5,10,15,20-tetrakis-meso(4-N-metilpiridil)-porfirina, inibiscono
il proteasoma a concentrazioni micromolari; le porfirine anioniche, invece, lasciano inalterata la sua
attività. L’attività delle porfirine cationiche è, a sua volta, modulata dalla stereochimica del metallo
centrale. In particolare, la scala di capacità inibitorie segue questo andamento: porfirine esa-coordinate<
penta-coordinate< planari. Si investigherà l’influenza dell’ingombro sterico nella periferia della porfirine
tetra-cationiche. In particolare, si studieranno i derivati 5,10,15,20-tetrakis-meso(2-N-metilpiridil)porfirina e 5,10,15,20-tetrakis-meso(3-N-metilpiridil)-porfirina. In particolare, si può prevedere che
l’ingombro sterico del derivato con il gruppo N-metil piridil in posizione 2 dovrebbe ridurre la capacità
della porfirina di inibire l’attività del prteasoma. Saranno studiate anche altre porfirine con leganti
peptidici o ammine per valutare il ruolo di interazioni quali legami ad idrogeno nel favorire l’interazione
porfirina-proteasoma. Per quanto riguarda le interazioni tra porfirine e la forma Z del DNA, si è di
recente pubblicato che lo zinco derivato della porfirina tetra-cationica 5,10,15,20-tetrakis-meso(4-Nmetilpiridil)-porfirina è un ottimo reporter chirottico di sequenze Z anche quando queste si trovano
alternate tra lunghe sequenze di tipo B. Si indagherà nei prossimi anni l’interazione con la forma Z del
DNA di porfirine con pendagli amminici nelle posizioni meso. Sempre nella direzione delle interazioni
tra porfirine ed acidi nucleici, si studieranno le interazioni di diverse porfirine con sequenze telomeriche.
UNITA’ LOCALE DI FERRARA
Composizione dell’Unità di ricerca:
L’unità di Ferrara è costituita da chimici inorganici ed analitici:
Dott. Paola Bergamini, Prof. Andrea Marchi, Dott. Lorenza Marvelli (Tematiche: Nuovi farmaci
inorganici in oncologia, Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale); Prof. Andrea Maldotti, Dott.
Alessandra Molinari (Tematica: Metalloproteine come catalizzatori biologici); prof. Maurizio Remelli
(Tematica: Ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative croniche).
Gruppo di Ricerca del Prof. Remelli
Collaborazioni: Centro di Strutturistica Diffrattometrica dell’Università di Ferrara; Dipartimento di
Scienze Farmaceutiche dell’Università di Ferrara; Laboratorio di Chimica Bioinorganica e Biomedica
della Facoltà di Chimica dell’Università Wroclaw (Polonia); Dipartimento di Chimica dell’Università di
Siena; Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Cagliari.
Titolo della ricerca: Sintesi, caratterizzazione ed attività biologica di nuovi derivati peptidici
multifunzionali per il trattamento di patologie neurodegenerative
L'aumento di speranza di vita nei paesi più sviluppati ha intrinsecamente lo svantaggio di aumentare
drasticamente l'incidenza di patologie legate all'età, come le malattie neurodegenerative (ND). Le più
diffuse tra queste sono il morbo di Alzheimer (AD) e di Parkinson (PD). Le cause delle ND sono quasi
completamente sconosciute e non esiste alcuna cura: i farmaci attualmente in uso sono per lo più diretti
ad alleviare i sintomi, e le ND sono sempre fatali. Poiché l'età è uno dei principali fattori di rischio, la
prevalenza delle ND è destinata ad aumentare in futuro e vi è un grande bisogno di farmaci nuovi.
Il primo requisito che un farmaco deve avere per essere attivo nei confronti delle patologie
neurodegenerative è la sua capacità di attraversare la barriera emato-encefalica (BEE) per raggiungere
gli obiettivi sensibili nel cervello. Questo può essere ottenuto sia aumentando il trasporto passivo (per
esempio controllando il peso molecolare e l'idrofobicità) sia sfruttando i meccanismi di trasporto attivo
dovuti alla presenza di recettori specifici sulla BEE (come quelli per il glucosio, per esempio). In
secondo luogo, il farmaco deve esercitare una o più attività farmacologiche, quali ad es. l'azione
antiossidante, la chelazione di metalli, la neuroprotezione e così via. In particolare, è oggi riconosciuto
che alcuni ioni metallici, come Fe(III) e Cu(II), svolgono un ruolo importante nello sviluppo delle ND: il
loro metabolismo è sbilanciato ed essi tendono ad accumularsi nei depositi proteici tipici delle ND. Qui
essi possono fungere da catalizzatori per formare specie reattive dell'ossigeno (ROS) attraverso la
reazione di Fenton. È un dato di fatto che lo stress ossidativo sia una caratteristica tipica delle ND.
Una delle linee di ricerca più promettenti in questo campo è lo studio di molecole multifunzionali.6,7 In
questo contesto, il piano di ricerca dell’Unità Operativa di Ferrara, per il triennio 2012-14, nell’ambito
della tematica 7, sarà rivolto alla sintesi di nuovi derivati di peptidi o pseudo-peptidi che possiedono
6
7
H. Zheng et al., J. Neural. Transm.-Suppl., 163 (2006) 34.
D. Blat et al., J. Med. Chem., 51 (2008) 126.
attività neuroprotettiva o di tipo oppioide, avvalendosi della collaborazione in atto con il Dipartimento di
Scienze Farmaceutiche dell’Università di Ferrara.8,9 La modifica sintetica consisterà nell'inserimento
nella molecola di uno o più gruppi chelanti per gli ioni Fe(III) o Cu(II). Lo scheletro peptidico di queste
molecole dovrebbe consentire loro di attraversare la BEE per raggiungere i neuroni e i depositi di ferro e
rame nel cervello, dove possono complessare il metallo in eccesso ed esercitare allo stesso tempo
l'azione neuroprotettiva. È da attendersi che la formazione di complessi metallici stabili contribuisca a
combattere lo stress ossidativo e, allo stesso tempo, a rimuovere l'eccesso di metalli. Le capacità di
complesso-formazione di questi leganti verranno studiate per mezzo dei più avanzati metodi chimici;10,11
saranno inoltre determinati sperimentalmente anche la loro stabilità enzimatica, la permeabilità nei
confronti della BEE e l'attività anti-ossidante. Infine, verrà valutata l'attività farmacologica sia in vitro,
nei confronti di cellule di neuroblastoma umano SH-SY5Y, che in vivo in modelli animali
opportunamente trattati.
UNITA’ LOCALE DEL SALENTO
Direttore: Prof. Francesco Paolo Fanizzi
Gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Michele Maffia, Laboratorio di Fisiologia Generale
Il gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Michele Maffia intende avviare nel triennio 2012-2014
un’attività sperimentale mirata a definire i meccanismi patofisiologici rame-dipendenti alla base
dell’insorgenza di diffuse patologie croniche (es. morbo di Alzheimer, Sclerosi Multipla).
Saranno affrontate, in particolare, le seguenti tematiche:
I. Ruolo dello ione rame nei processi di angiogenesi fisiologica e patologica e possibili
implicazioni nella neurodegenerazione (Anno I e II)
II. Squilibri nell’omeostasi sistemica del rame e possibile coinvolgimento nell’eziologia della
Sclerosi Multipla (Anno II e III)
Tematica di ricerca I
Recenti osservazioni in ambito clinico hanno dimostrato come processi di angiogenesi aberrante possano
condizionare l’evoluzione di patologie croniche di carattere neurodegenerativo.
Particolarmente rappresentativo, a questo proposito, è il caso del morbo di Alzheimer. Nell’ultimo
decennio, la tradizionale interpretazione “neuro-centrica” di questa patologia cronica ha ceduto il passo
ad una visione più organica del quadro patofisiologico associato. In dettaglio, secondo l’”ipotesi
neurovascolare” avanzata da Zlokovic12 (2005), difetti nei processi di clearance del peptide betaamiloide (Abeta 1-42) attraverso la barriera emato-encefalica, un’attivazione abnorme della funzione
endoteliale e la senescenza del sistema cerebrovascolare causerebbero ipoperfusione cerebrale e
infiammazione neurovascolare. Ne deriverebbero una grave compromissione dell’integrità della barriera
emato-encefalica, squilibri nell’omeostasi ionica dei tessuti nervosi, disfunzioni a livello sinaptico e
morte neuronale.
Questa chiave interpretativa del morbo di Alzheimer come patologia “angiogenesi-dipendente” ha
evidentemente suggerito nuovi approcci terapeutici basati sulla modulazione della funzione endoteliale.
Poiché da decenni è riconosciuto allo ione rame un ruolo diretto nel potenziamento degli stimoli proangiogenici, si ritiene che terapie di chelazione di questo metallo possano rallentare il decorso della
patologia13 e, in generale, dei processi neurodegenerativi. E’ noto come concentrazioni fisiologicamente
rilevanti di questo metallo possano incidere positivamente sui livelli di espressione del fattore di crescita
8
M. Marastoni et al., J. Med. Chem., 48 (2005) 5038.
G. Balboni et al., J. Med. Chem., 45 (2002) 5556.
10
M. Remelli et al., New J. Chem., 33 (2009) 2300.
11
D. Valensin, et al., Metallomics, 3 (2011) 292.
12
BV Zlokovic Trends Neurosci. 28 (2005) 202.
13
A. Budimir Acta Pharm. 2011; 61(1):1-14
9
VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), regolatore chiave della funzione endoteliale e noto fattore
trofico per le cellule nervose. L’idea di una sovrapposizione tra metabolismo cellulare dello ione rame
ed effetti VEGF-dipendenti è confortata da un recente studio su cellule endoteliali umane del
microcircolo (HMVEC), che illustra come l'esposizione a stimoli pro-angiogenici (VEGF, bFGF) attivi
rapidamente un processo di rilocalizzazione dell'80-90% dei depositi di rame endocellulare verso la
periferia cellulare, seguito da una parziale traslocazione nell'ambiente extracellulare14.
A dispetto di simili evidenze sperimentali, i bersagli molecolari dell’azione pro-angiogenica dello ione
rame non sono, però, del tutto conosciuti.
Sulla base di queste premesse, il piano di ricerca per il prossimo biennio ha come obiettivi la definizione
dei meccanismi di trafficking cellulare dello ione rame in modelli cellulari di origine endoteliale e loro
modulazione in risposta a stimoli pro-angiogenici.
In dettaglio, l’attività sperimentale prevista sarà articolata come segue:
Anno I
- Analisi del profilo di espressione delle proteine di trasporto dello ione rame (trasportatori di
membrana, chaperones) in colture cellulari di endotelio macrovascolare (cellule HUVE, isolate
da vena ombelicale umana) e microvascolare (HMVEC, HBMEC) mediante western blotting e
tecniche di biologia molecolare.
- Analisi cinetica dei processi di trasporto dello ione in ingresso e in uscita dalle cellule mediante
tecniche di indagine fluorimetrica e spettrometria ad assorbimento atomico (AAS). Il contributo
dei singoli trasportatori (Copper Transporter-1, Divalent Metal Transporter-1, Prion Protein,
ATP7A) rispetto a questi processi sarà valutato mediante l’uso di inibitori specifici e tecniche di
silenziamento genico. Gli studi in oggetto saranno, inoltre, condotti in presenza di rame in forma
libera (cloruro di rame) e complessato con amminoacidi (istidina, glicina) e proteine carrier di
origine plasmatica (albumina, ceruloplasmina), nel tentativo di definire l’identità dei trasportatori
con cui interagiscono fisicamente i complessi.
- Studio della risposta cellulare endoteliale a stimoli pro-angiogenici. In dettaglio, le colture
cellulari di endotelio saranno esposte a trattamenti con il fattore di crescita VEGF165. Mediante le
tecniche richiamate nel punto precedente, sarà, quindi, effettuata un’analisi dettagliata dei
processi di trafficking cellulare dello ione, associata allo studio di eventuali variazioni nella
localizzazione subcellulare dei principali trasportatori ionici mediante tecniche di microscopia
confocale.
Anno II
L’utilizzo del fattore di crescita VEGF nell’ambito di trattamenti farmacologici destinati alla cura di
patologie di tipo ischemico e neurodegenerativo è stato scoraggiato dall’insorgenza di effetti collaterali
tutt’altro che trascurabili (edemi, neovascolarizzazione disorganizzata). Questo dato ha contribuito ad
alimentare la ricerca nel settore della progettazione e sperimentazione di molecole peptidomimetiche che
possano sostituire il VEGF nelle terapie angiogeniche.
La presente Unità di Ricerca dispone attualmente di due ligandi peptidomimetici (agonista e antagonista)
dei recettori di membrana del VEGF (VEGFR1 e 2), progettati e sintetizzati presso l’Istituto di
Biostrutture e Bioimmagini, CNR di Napoli, dal Dr Luca D’Andrea, candidati a sostituire il fattore
VEGF nell’uso terapeutico. Indagini in vitro e in vivo hanno evidenziato come il peptide agonista sia in
grado di riprodurre l’azione biologica del fattore di crescita VEGF, anche se non sono state ancora
definite tutte le possibili vie di interazione con il metabolismo cellulare. Gli studi sull’azione della
variante peptidica antagonista sono, invece, in fase ancora preliminare.
Obiettivo dell’attività scientifica proposta è la caratterizzazione dell’effetto delle due varianti peptidiche
sui modelli endoteliali sopra citati, assumendo il fattore di crescita VEGF come riferimento per una
valutazione comparativa dell’efficacia dell’azione biologica esplicata. Particolare attenzione sarà rivolta
alla capacità da parte di queste molecole di modulare l’espressione e l’attività dei principali sistemi di
trasporto cellulare dello ione rame, che saranno investigate secondo le modalità già descritte.
14
L. Finney et al., Proc Natl Acad Sci U S A. 2007; 104(7): 2247-52
Possibili variazioni nel rilascio cellulare di fattori proteici in grado di alimentare i processi angiogenici
saranno esaminate mediante l’analisi delle mappe proteomiche del secreto (gel-elettroforesi
bidimensionale associata a spettrometria di massa MALDI-TOF).
Tematica di ricerca II
La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia cronica demielinizzante del Sistema Nervoso Centrale (SNC)
dall’eziologia sconosciuta, caratterizzata da componenti autoimmuni e neurodegenerative. Secondo una
delle ipotesi più accreditate riguardo le cause dell’insorgenza, fattori ambientali non ancora definiti
determinerebbero in individui geneticamente predisposti l’attivazione di specifici cloni di linfociti T
CD4+ periferici e autoreattivi, in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e migrare nel
parenchima cerebrale. A livello del SNC, la mielina costituirebbe il bersaglio dell’attacco auto-immune
dovuto alla riattivazione dei linfociti T. Si verificherebbero, quindi, morte neuronale e perdita assonale
irreversibili.
E’ stata dimostrata in soggetti affetti da SM una correlazione tra gli eventi di demielinizzazione a carico
del SNC e bassi livelli ematici di rame15, ma i meccanismi che ne sono alla base sono ancora oggetto di
studio.
Una possibile interpretazione è che un deficit sistemico di rame causi o almeno aggravi la condizione di
stress ossidativo associata alla patologia e comprometta l’efficienza dei processi di produzione di
energia a livello mitocondriale, incidendo in questo modo anche sulla risposta autoimmune.
L’attività proposta dall’Unità di Ricerca intende chiarire alcuni aspetti della correlazione tra deficit di
rame, metabolismo energetico e risposta autoimmune in soggetti SM, conducendo una serie di indagini
integrate su campioni ematici e liquorali prelevati da oggetti sani e individui malati.
L’attività di ricerca, in parte già avviata, sarà condotta in collaborazione con il reparto di Neurologia
dell’Ospedale “Vito Fazzi” di Lecce e sarà articolata come segue:
I. Valutazione comparativa dei livelli di rame serico e liquorale in campioni di sangue e liquido
cerebrospinale prelevati da soggetti sani e malati, e loro correlazione con i livelli di oloceruloplasmina.
La ceruloplasmina è una proteina plasmatica che funge da carrier per gli ioni rame e solo se
legata (forma olo-) esibisce attività ferrossidasica. Un basso rapporto tra i livelli della forma
olo- e apo- (non legata) è indice di un insufficiente approvvigionamento di rame ai tessuti.
Il contenuto di rame nei campioni biologici sarà stimato mediate Spettrometria ad
Assorbimento Atomico, mentre l’attività enzimatica della ceruloplasmina sarà valutata
mediante un test “in gel”, basato sull’utilizzo di un substrato cromogeno.
II. Analisi dei livelli di espressione di proteine coinvolte nel metabolismo energetico mitocondriale
nei campioni di linfociti CD4+ isolati da soggetti sani e malati.
Tra le proteine di maggiore interesse sono stati inclusi il trasportatore degli acidi
monocarbossilici MCT1, il trasportatore del glucosio GLUT-1 e alcuni chaperones dello ione
rame (Cox17, SCO1, SCO2), indispensabili nel veicolare questo cofattore verso gli enzimi
della catena respiratoria mitocondriale.
III. Analisi dell’espressione dei principali trasportatori di membrana dello ione rame nei campioni
citati al punto precedente (CTR1, ATP7A, Proteina Prionica Cellulare).
IV. Analisi dell’efficienza respiratoria mitocondriale linfocitaria mediante polarografia.
V. Studio della funzionalità dei singoli complessi enzimatici della catena respiratoria mitocondriale
mediante l’uso di specifici substrati e inibitori.
15
Maña P, et al., J Neuroimmunol. 2009; 210(1-2): 13-21
UNITA’ LOCALE DI SIENA
Direttore: Prof. Piero Zanello
Gruppo di ricerca coordinato dal Prof. G. Valensin – Personale coinvolto: Dr. Daniela Valensin; Dr.
Nicola Gaggelli
Gruppo di ricerca coordinato dal Prof. P. Zanello – Personale coinvolto: Dr. Fabrizia Fabrizi De
Biani; Dr. Maddalena Corsini
Il gruppo coordinato dal Prof. Gianni Valensin ha una lunga esperienza nello studio del legame degli
ioni Cu(II) e Zn(II) con proteine coinvolte nei processi neurodegenerativi come la proteina Prionica
(PrP), l’α-Sinucleina (AS) e l’amiloide β (Aβ). Le informazioni sul legame rame e/o zinco alle suddette
proteine sono state principalmente ottenute attraverso l’uso di peptidi modello derivanti dalle regioni
non strutturate delle corrispondenti proteine. L’approccio che viene applicato consiste principalmente
nell’uso combinato di vari metodi spettroscopici. In particolare, il gruppo di ricerca ha una solida
esperienza sulle metodologie NMR applicate allo studio della coordinazione dei metalli in sistemi di
rilevanza biologica. Le attività di ricerca che saranno sviluppate consisteranno nel prolungamento delle
attività intraprese negli scorsi anni con particolare riferimento ai seguenti sistemi:
1 . Interazioni tra le proteine implicate nei processi neurodegenerativi e gli ioni metallici
E’ ormai accettato che la disomeostasi degli ioni metallici , è più precisamente del rame, del ferro e dello
zinco, gioca un ruolo principale nei processi molecolari che portano alla neurodegenerazione e al danno
neuronale in specifiche regioni del cervello.1,2,3,4 Tale ruolo può implicare una diretta interazione dei
metalli con le proteine coinvolte nelle malattie neurodegenerative (Aβ, PrP e AS) causandone sia il
“misfolding” che variazioni a carico di amminoacidi, dovute all’interazione con specie altamente
reattive.16,17,18 A questo riguardo analizzeremo l’interazione degli ioni Cu(II)/Cu(I), Zn(II) e
Fe(III)/Fe(II) con Aβ, PrP e AS . Il nostro gruppo di ricerca continuerà gli studi rivolti alla
caratterizzazione delle proprietà strutturali e funzionali dei complessi metallici con le suddette proteine.
Per la caratterizzazione delle interazioni metallo-proteina, saranno utilizzate principalmente le
spettroscopia NMR e CD. Misure di fluorescenza e tecniche microscopiche saranno utilizzate per
valutare l’effetto dei metalli sulla cinetica di formazione e sulla morfologia degli aggregati proteici in
presenza dei metalli. Lo studio dei processi di trasferimento elettronico nelle proteine verrà effettuato
anche attraverso tecniche elettrochimiche.19,20 Queste, infatti in seguito all’opportuna scelta del materiale
elettrodico e delle condizioni di misura (solvente, concentrazione elettrolita, temperatura, pH),
permettono la determinazione accurata e diretta dei potenziali redox. Per quanto riguarda i complessi di
rame con Aβ, il prione e AS, tenteremo di generare la metallo-proteina nella forma ridotta al fine di
caratterizzarla e valutarne l’attività superossidodismutasica. Questo studio verrà seguito dall’unità di
ricerca coordinata dal Prof. P. Zanello.
2. Sviluppo di nuove strategie terapeutiche per le neurodegenerazioni
Il nostro gruppo studierà alcuni potenziali farmaci a base di metalli, in particolare saranno selezionati
complessi di Ru(II), Ru(III) e Pt(II), in grado di coordinarsi selettivamente ai residui istidinici di Aβ e di
impedire in questo modo la successiva interazione di Cu(II), Zn(II) e Fe(II) con Aβ. Infatti, studi recenti
hanno indicato che i complessi di Ru(II/III) e Pt(II) sono potenziali inibitori del legame di Cu(II) e
Zn(II) ad Aβ,21,22,23 suggerendo il loro utilizzo per nuovi trattamenti sperimentali della malattia di
16
E.H. Norris, et al., J. Biol. Chem., 280 (2005) 21212.
FE Herrera, et al., PLoS One. 3 (2008) 3e3394.
18
FE Ali, et al., Letters in Peptide Science, 10 (2003) 405.
19
J. Geng, et al., Biochemistry, (2006), 45 13543.
20
D. Jiang,et al., Biochemistry, (2007), 46, 9270.
21
K.J. Barnham, et al., Proc Natl Acad Sci U S A, (2008) 105 6813.
22
I. Sasaki, et al., Dalton Trans, (2012) in press.
17
Alzheimer. Proveremo anche a studiare l’effetto di altre molecole con proprietà antiossidanti e allo
stesso tempo, capaci di ordinarsi agli ioni metallici, su sistemi mitocondriali. Infatti, la disfunzione
mitocondriale è strettamente correlata sia ai processi di invecchiamento che a quelli neurodegenerativi.
3. Studi Metabolomici di culture cellulari o isolate dai mitocondri
Gli studi metabolomici comprendono concentrazioni e fluttuazioni di profili metabolici multipli come
risposta a farmaci, dieta, stile di vita, ambiente allo scopo di caratterizzare gli effetti di suddette
interazioni.24 Ad oggi, i profili metabolici vengono utilizzati in diversi settori fra cui quelli rivolti alla
valutazione della risposta e dell'efficacia di farmaci, alla comprensione di processi patologici e
diagnostici di malattie.25 Infatti, l’analisi dei profili metabolomici permette di esaminare cambiamenti
globali nei metaboliti associati a particolari condizioni. Le indagini metabolomiche possono essere
condotte sia in vitro che in vivo utilizzando cellule, fluidi o tessuti. In generale l'NMR può fornire
informazioni strutturali e conformazionali su classi chimiche diverse, utilizzando una singola procedura
analitica. Gli studi metabolomici che effettueremo, saranno condotti tramite misure NMR che verranno
poi elaborate tramite analisi statistiche. Questo approccio permetterà di ottenere informazioni utili sul
deterioramento dell’attività cellulare causato da specie citotossiche oligomeriche e/o polimeriche delle
proteine coinvolte nelle malattie neurodegenerative sia in presenza che in assenza di ioni metallici.
Infine, il metabolismo energetico, nei mitocondri isolati, sarà monitorato con l’intenzione di determinare
la capacità di potenziali farmaci di ridurre gli effetti citotossici tipici delle malattie neurodegenerative.
23
D. Valensin, et al., Inorg Chem, (2010) 49 4720.
KW Jordan et al. Expert Rev Proteomics (2007) 4 389.
25
DA MacIntyre et al. Leukemia (2010) 24 788.
24