Ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative
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Ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative
RUOLO DEGLI IONI METALLICI NELLE PATOLOGIE DEGENERATIVE CRONICHE Alla realizzazione di questo progetto di Ricerca concorreranno diverse unità operative, in cui sono localizzati gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare le unità coinvolte sono: UNITÀ OPERATIVA DI CATANIA, UNITÀ OPERATIVA DI FERRARA, UNITÀ OPERATIVA DEL SALENTO UNITÀ OPERATIVA DI SIENA INTRODUZIONE E’ ormai riconosciuto che lo stress ossidativo è un fattore determinante in molte patologie croniche come l’arteriosclerosi, le malattie vascolari, le malattie neurodegenerative, i disordini immunologici e quelli correlati all’invecchiamento. Con il termine stress ossidativo ci si riferisce principalmente al grado di danno ossidativo indotto dalle specie reattive all’ossigeno (ROS) all’interno di una cellula. I ROS possono causare seri danni modificando le proteine, gli acidi nucleici e deteriorando il doppio strato lipidico. In un organismo sano la tossicità proveniente dai ROS è normalmente tenuta sotto controllo (i ROS sono convertiti in molecole metabolicamente non distruttive o sono rimossi dopo la loro formazione) e il danno causato dai ROS viene riparato rapidamente. I Metalli redox attivi come Cu(II)/Cu(I) e Fe(III)/Fe(II) sono strettamente correlati allo stress ossidativo in quanto possono catalizzare la produzione di ROS. Negli ultimi 20 anni sono aumentate le evidenze che correlano l’anomala omeostasi dei metalli con la patogenesi di molteplici malattie neurodegenerative, ed è ormai ampiamente accettato che un metabolismo alterato dei metalli può iniziare ed accelerare il processo neurodegenerativo.1,2,3,4 Una corretta omeostasi dei metalli è, infatti, fondamentale per la maggior parte delle funzioni fisiologiche, e la concentrazione di ioni come il rame, lo zinco ed il ferro, pur essendo essenziali per lo sviluppo e il mantenimento delle funzioni cerebrali, deve essere strettamente regolata per evitare l'innesco di processi cellulari dannosi. Una correlazione diretta tra disomeostasi degli ioni metallici ed insorgenza delle malattie neurodegenrative è ulteriormente confermata dal fatto che l'invecchiamento è il maggiore fattore di rischio per la comparsa di fenomeni di neurodegenerazione e che, generalmente, i livelli degli ioni metallici nei tessuti cerebrali aumentano con l'età.5 La disomeostasi dei metalli contribuisce notevolmente allo stress ossidativo che una volta che viene innescato, è spesso irreversibile e determina un circolo vizioso a catena, tale che non appena le funzioni mitocondriali sono alterate dai ROS, viene favorita ulteriore produzione di ROS. Alla fine questo circolo vizioso porta allo stress ossidativo e ad un invecchiamento precoce. 1 D. Allsop, et al., Biochem Soc Trans, 2008. 36(Pt 6): p. 1293-8. M.A. Lovell, et al., J Alzheimers Dis, 2009. 16(3): p. 471-83. 3 S. Bolognin, et al, Neuromolecular Med, 2009. 11(4): p. 223-38. 4 E. Gaggelli, et al., Copper homeostasis and neurodegenerative disorders (Alzheimer's, prion, and Parkinson's diseases and amyotrophic lateral sclerosis). Chem Rev, 2006. 106(6): p. 1995-2044. 5 J.M Stankiewicz, et al., Curr Opin Clin Nutr Metab Care 2009. 12(1): p. 22-9. 2 UNITA’ LOCALE DI CATANIA L’UO di Catania svolgerà i seguenti temi nell’ambito dell’Interplay tra proteostasi e metallostasi nella neurodegenerazione. Introduzione L'alterazione dei processi che regolano il delicato equilibrio esistente fra metallostasi e proteostasi è la principale causa della neurodegenerazione. Nei neuroni, la concentrazione delle proteine in grado di formare amiloidi, quali Abeta e prioni, viene in parte regolata da enzimi degradativi la cui attività è strettamente correlata alla comparsa di particolari malattie neurodegenerative. Il funzionamento anomalo di queste proteine viene spesso riconosciuto dai sistemi Ubiquitina-Proteosoma ed autofagia che svolgono quindi un ruolo fondamentale nei meccanismi di difesa cellulare. Tuttavia, un numero sempre maggiore di dati sperimentali indica che molti ioni metallici modulano l'attività di questi sistemi e accelerano inoltre i processi di aggregazione proteica. L'aumento dei livelli di ioni metallici durante l'invecchiamento, l'alterazione dei sistemi UPS/autofagia e la comparsa della malattie neurodegenerative sembrano quindi essere strettamente correlati. Studi recenti suggeriscono il coinvolgimento di ulteriori meccanismi di difesa cellulare ed in particolare del sistema di risposta allo shock termico e della via KEAP1/Nrf2/ARE, nelle malattie neurodegenerative. Infatti, il malfunzionamento di questi sistemi è stato correlato ad una rapida progressione delle malattie neurodegenerative e all'invecchiamento. Inoltre, la riduzione dei fattori trofici neuronali rappresenta un altro importante elemento nella patogenesi delle malattie neurodegenerative. Le neurotrofine sono proteine responsabili dello sviluppo, sopravvivenza e plasticità sinaptica del sistema nervoso centrale e periferico. Sorprendentemente, le regioni neuronali dove queste proteine esplicano la loro attività biologica, corrispondono spesso a quelle in cui è stato riscontrato una disomeostasi di ioni metallici. Gli ioni metallici potrebbero quindi rappresentare la connessione fra neurotrofine e l' Abeta nell'Alzheimer. La distribuzione fisiologica degli ioni metalli nei diversi compartimenti neuronali viene assicurata da un gruppo di metallo-chaperone fra cui ATOX1. La perdita di ATOX1 comporta una errata compartimentalizzazione del Cu causandone una distribuzione patogenica. Tenendo presente questo complesso scenario, l'obiettivo a lungo termine è quello di proporre un approccio terapeutico basato sulla possibilità di modulare i diversi meccanismi citoprotettivi, presenti all'interno della cellula, agendo sull'omeostasi degli ioni metallici. 1. Degradazione dell' amiloide Abeta: miglioramento dell'efficienza degli enzimi degradativi La presente linea di ricerca si indirizzerà allo studio di alcune metalloproteasi coinvolte nella degradazione di Abeta, la cui espressione verrà indotta in opportuni modelli cellulari. Gli enzimi così ottenuti saranno studiati tramite la combinazione di diversi approcci sperimentali. La Spettrometria di massa (MS) sarà utile per identificare i frammenti prodotti dalle varie proteasi in differenti condizioni sperimentali e per ottenere maggiori dettagli sui siti di cleavage preferenziali e sui meccanismi di interazione. In particolare, si studierà il ruolo che i metalli (principalmente Cu e Zn) svolgono nella modulazione dell'interazione tra Abeta e gli enzimi degradativi. Tecniche NMR, CD e misure potenziometriche saranno utilizzate per chiarire le caratteristiche di coordinazione degli ioni metallici con le metalloproteasi in oggetto. Piccoli frammenti di alcune metalloproteasi potranno essere sintetizzati (possibilmente solo il dominio che contiene il sito catalitico) al fine di realizzare uno studio strutturale dettagliato sul sito di legame del metallo. Verrà valutato l'effetto di inibizione/attivazione che i metalli hanno sui differenti enzimi, distinguendolo dalle variazioni conformazionali di Abeta e lo stato di oligomerizzazione. L'obiettivo ultimo sarà quello di progettare e realizzare la sintesi di nuovi peptidi Abeta che non siano in grado di legare ioni metallici ma che siano degradati dagli enzimi. La Surface Plasmon Resonance (SPR) fornirà informazioni qualitative e quantitative sull'interazione tra questi Abeta peptidi e gli enzimi degradativi. I risultati ottenuti con questi peptidi modello saranno utili per comprendere come Abeta (1- 40) e Abeta (1-42) interagiscono e vengono degradati dai differenti enzimi. Una volta identificati i principali siti di interazione, saranno progettate e testate in vitro e in vivo farmaci capaci di modulare tali interazioni. Lo studio proseguirà su altre metalloproteasi, non classificate come enzimi degradativi di Abeta ma che potrebbero essere coinvolte nel catabolismo di Abeta e anche come biomarcatori della neurodegenerazione. Tra questi verrà studiata la carnosinasi CN1 allo scopo di chiarire la correlazione tra disomeostasi di CN1 nelle malattie neurodegenerative con quella di altri importanti metaboliti: l'attività enzimatica di CN1 sarà studiata in presenza di potenziali nuovi attivatori, inibitori o substrati, quali ioni metallici di transizione, composti legati alla carnosina endogena e derivati sintetici della carnosina. Un ampio spettro di proteine, peptidi e frammenti di peptidi coinvolti nello sviluppo di diverse malattie neurodegenerative (Abeta,prione,etc) saranno testati in saggi enzimatici con CN1. Verrà valutato l'effetto della carnosina e di suoi derivati sui processi cognitivi. 2. Complessi di peptidi prionici multimetallo e multilegante Negli ultimi anni, l'unità di ricerca di Catania ha studiato la speciazione e le caratteristiche di affinità e di legame dei complessi di Cu(II) con frammenti peptidici con specifiche sequenze aminoacidiche del dominio N-terminale della proteina prione. La sintesi e lo studio di frammenti di peptidi contenenti un solo residuo di istidina disponibile alla complessazione hanno fornito utili informazioni sull'affinità di legame di ciascun sito, mentre la caratterizzazione sistematica delle specie complesse di leganti con più istidine ha mostrato che tutti i siti di legame sono indipendenti ma hanno differenti affinità per il rame(II). La maggiore differenza tra i frammenti a singola istidina e quelli contenenti più istidine si ha soprattutto nella stabilità delle specie coordinate all'azoto imidazolico. Nel caso di frammenti contenenti i residui di istidina presenti all'interno e all'esterno della regione degli octarepeat, gli imidazoli sono in grado di coordinare il metallo formando un macrochelato in cui il rame(II) interagisce con entrambi i due domini N-terminali. La caratterizzazione dei complessi di rame (II) con i frammenti che includono l'intera regione N-terminale (residui 60-114) potrà quindi chiarire meglio le caratteristiche di speciazione, di legame e di affinità con la regione non strutturata della proteina prione. Tale approccio rappresenta un passo avanti che permette di sfuggire alla consueta critica riguardante l'uso di piccoli peptidi come modello rappresentativo dell'intera proteina. Saranno caratterizzate anche specie con metalli misti. Studi di sistemi multimetallo sono giustificati dalle reali condizioni biologiche dove differenti metalli si trovano in concentrazioni tra loro comparabili. Nel primo anno, saranno sintetizzati i frammenti di peptidi PrP (60-114) coniugati con polietilenglicole (PEG), in modo da sopperire alla bassa solubilità di questi complessi metallici con frammenti peptidici. I complessi di rame(II) così come i complessi a metallo misto saranno caratterizzati potenziometricamente e spettroscopicamente (CD, UVVis, EPR, MS). Nel secondo anno, saranno sintetizzati i frammenti di tetraoctarepeat contenenti unità extra-octarepeat, anch'essi funzionalizzati con molecole di PEG, per aumentarne la solubilità. L'inserimento da una a nove unità extra octarepeats risulta in un ampliamento del dominio N-terminale, che è noto essere una mutazione comune a patologie correlate con la forma ereditaria della malattia prionica. Anche i complessi metallici di questi frammenti saranno caratterizzati tramite potenziometria e spettroscopia. Il confronto di questi risultati con quelli ottenuti per i sistemi metallo-PrP(60-114) permetterà di apprezzare le differenze in stabilità di legame tra le specie complesse dei due differenti sistemi e fornire ulteriori dettagli sulle loro proprietà funzionali. Nel terzo anno, saranno investigate tramite voltammetria ciclica le proprietà redox delle principali specie complesse così come emerse dalla speciazione dei sistemi Cu(II)-PrP(60-114) e Cu(II)-Extraoctarepeat e studiate le proprietà conformazionali di questi sistemi tramite spettroscopia CD. Da questi risultati potranno emergere interessanti correlazioni tra le caratteristiche strutturali delle specie complesse, i cicli redox e i cambiamenti conformazionali del dominio N-terminale della proteina Prione. I risultati saranno comparati con quelli relativi alla proteina prionica WT e mutata. 3. Ioni metallici e neurotrofine Nel primo anno, l'utilizzo di spettrometria di massa, dicroismo circolare ed EPR permetterà di caratterizzare la natura dei complessi neurotrofine/metallo. Si potrà determinare il numero di ioni per molecola e studiare l'influenza dei diversi metalli sulle proprietà biologiche di NGF e BDNF a differenti rapporti molare metallo/proteina. Verranno effettuati studi di Western blot mirati a testare l'abilità dei complessi neurotrofine/metallo o del metallo libero di attivare il recettore Trk, di controllare il suo processing e la cascata di eventi che portano alla produzione dell' amiloide. Verranno monitorati i livelli intracellulari di rame e zinco in risposta al trattamento con differenti neurotrofine. L'ausilio del microscopio confocale permetterà anche di valutare il trasporto intracellulare di questi metalli. In particolare, si potranno studiare su differenti linee cellulari l'effetto di NGF e BDNF sulla regolazione dell'espressione di trasportatori cellulari di rame e zinco. A tal fine verranno sintetizzati dei frammenti peptidici contenenti la regione N-terminale della proteina BDNF, i cui dati cristallografici suggeriscono essere coinvolta nell'interazione BDNF-TrkB e saranno caratterizzati i loro complessi con Cu(II) e Zn(II). Approcci computazionali ci consentiranno di valutare gli effetti dei metalli sulle conformazioni peptidiche e sull'attivazione dei recettori. L'attività BDNF-mimetica dei peptidi sintetizzati potrà essere studiata su colture neuronali della regione dell'ippocampo, in presenza o assenza di rame e zinco. La possibilità che BDNF e i peptidi correlati possano attivare processi angiogenetici verrà anche investigata in collaborazione con il Prof. Diego La Mendola (Pisa). Per i peptidi che dai primi studi risulteranno più promettenti sarà progettata e realizzata la sintesi di glicoconiugati e di micelle con l'obiettivo di aumentarne la bioaccessibilità e proteggerli dalla degradazione proteolitica, permettendone il trasporto attraverso la barriera emato-encefalica. Altro aspetto da valutare sarà la capacità degli ioni metallici di modulare la maturazione del precursore delle neurotrofine. Infine verrano messi a punto saggi enzimatici che metteranno in luce la possibilità che rame e zinco interagiscano con enzimi quali furine, plasmine e MMP, che in condizioni non patologiche degradano il precursore di NGF e BDNF. Verrà valutato come il legame con i metalli possa comportare cambiamenti conformazionali del precursore. Il ruolo dei metalli potrà essere ulteriormente investigato mediante saggi enzimatici e tecniche spettroscopiche. 4. Studi in silico di interazioni metallo-proteine Studi in silico saranno indirizzati sul ruolo dei biometalli nell'influenzare specifiche strutture proteiche, quali NGF, BDNF, enzimi che degradano l'insulina (IDE) e l'amiloide beta. In questi studi si adotteranno approcci di chimica computazionale come dinamica molecolare (MD), simulazioni di energia libera (come metadinamica, dinamica molecolare “steered”), approcci ab-initio per il trattamento degli ioni metallici, ricerca dei minimi locali con il software Gaussian09. Il programma di lavoro verrà diviso in due parti. La prima parte (1-18 mesi) coinvolgerà la valutazione dell'equilibrazione del sistema tramite simulazioni di dinamica molecolare (MD), energia libera e dinamica molecolare “steered” per investigare l'aspetto conformazionale e i moti interni. La seconda parte (19-36 mesi) sarà indirizzata all'indagine quanto-meccanica dei biometalli legati alle proteine oggetto degli studi. Verranno usati approcci del tipo Car-Parrinello plane wave e Gaussian09, con il coinvolgimento della Dott.ssa Adriana Pietropaolo (Cz). 5. Ioni metallici e sistema Ubiquitina-Proteosoma. L'obiettivo della linea di ricerca sarà quello di monitorare le reazioni di poliubiquitinazione alla Lys48ed alla Lys63 in presenza di ioni CuII e ZnII. Ci si chiede in particolare se effetti di questi ioni metallici sulle reazioni di poliubiquitinazione possano essere riconducibili al legame di CuII e ZnII all'ubiquitina. Le reazioni di poliubiquitinazione alla Lys48- ed alla Lys63 in presenza di ioni CuII e ZnII saranno ripetute in vitro in presenza di diversi ionofori (quali clioquinol, carnosina e rispettivi bio-coniugati). Su varie linee cellulari (ad es. cellule di neuroblastoma e colture cellulari neuronali) verrà effettuata l'incubazione con ionofori vari (ad es. clioquinol) al fine di valutare l'influenza sulle reazioni di poliubiquitinazione e sull'autofagia. Anche i modelli idrosolubili di peptidi Aß ed i loro complessi con Cu e Zn verranno impiegati in questi studi. Gli stessi peptidi saranno successivamente testati su colture cellulari (ad es. neuroblastoma e colture cellulari neuronali), valutando, nel contempo, l'influenza dei complessi metallo-amiloide sulle reazioni di poliubiquitinazione. Le interazioni Ubiquitina/peptidi amiloidi, Ubiquitina/ionofori e Ubiquitina/complessi metallici saranno caratterizzate tramite studi spettroscopici e calorimetrici. Esploreremo anche i folding pathways dell'ubiquitina in presenza di ioni metallici alla luce di nuovi modelli di analisi calorimetrici in grado di valutare l'eventuale presenza di fenomeni di downhill folding. Inoltre si procederà alla sintesi di un nuovo sensore fluorescente finalizzato a misurare l'attività proteasomale su singola cellula. 6. Monitoraggio del trasporto degli ioni metallici nella cellula. La linea di ricerca mira al monitoraggio del trafficking intracellulare di ioni rame e zinco e sarà sviluppata su due principali direzioni: (i) l'uso di sensori fluorescenti per il rame(I), rame(II) e zinco(II), ultrasensibili e a risposta immediata in esperimenti in vitro su cellule vive; (ii) progettazione di nuovi sensori intracellulari di metalli con maggiore sensibilità, stabilità e multifunzionali. (i) Saranno utiIizzati in una serie di esperimenti su linee cellulari sensori fluorescenti già noti per la loro alta sensibilità e selettività nei confronti del Cu+ (1@NP, CS1), Cu2+ e Zn2+ (RhodZin-3, FluoZin-3,) In questi studi, si utilizzeranno due tipi di linee cellulari, nelle quali si monitoreranno le variazioni di concentrazione degli ioni rame e zinco: la linea cellulare di neuroblastoma umano, SH-SY5Y, e colture primarie di puri neuroni corticali ottenuti da embrioni di topi E15, secondo un protocollo ben consolidato.(ii) Il chemosensore basato su nano particelle(1@NP) sarà usato come piattaforma di supporto per ulteriori funzionalizzazioni con approcci biomimetici (p.e. membrane lipidiche funzionalizzate con frammenti peptidici di neurotrofine come NGF e BDNF). Le variazioni sia in concentrazione totale che in localizzazione degli ioni rame e zinco, saranno monitorate mediante l'utilizzo del microscopio confocale laser e grazie a specifici sensori fluorescenti che distinguono i differenti distretti cellulari (mitocondri, apparato di golgi, lisosoma, endosoma, nucleo), in risposta a differenti condizioni di perturbazione dei sistemi in oggetto. Tre principali strategie saranno prese in considerazione: (a) eccesso o diminuzione della concentrazione totale di metallo, ottenuta aggiungendo rispettivamente composti che rilasciano rame o zinco nel terreno di coltura, o specifici chelanti o piccoli ionofori; (b) l'interazione con specifiche proteine e peptidi; (c) variazioni del microambiente cellulare (pH,stress ossidativo). Tra i chelanti e i piccoli ionofori utilizzati, ci saranno composti noti come chelanti del Cu(I) (penicillinammina e batocuproina di solfonato), o come chelanti del Cu(II) e Zn(II) (clioquinol e disulfiram) o nuovi composti sintetizzati ad hoc (derivati dell'acido ialuronico). In collaborazione con l'UO di Chieti saranno anche utilizzate facilities avanzate di microscopia confocale finalizzate all'imaging intracellulare dello Zn. 7. Modelli cellulare (dis)funzionali di Atox1: influenza di ionofori sulla regolazione dei trasportatori del rame. La seguente linea di ricerca si propone di studiare in modelli cellulari gli effetti del silenziamento di Atox1, e quindi del conseguente accumulo di rame intracellulare indotto da specifici ionofori, sul processing di APP tramite il pathway amiloidogenico. La ricerca mirerà ai seguenti obiettivi specifici: i) generazione di un modello cellulare di processing di APP tramite transfettazione di APP695 e caratterizzazione del processing su linee cellulari di glioma: 6 mesi; ii) identificazione di Abeta intracellulare ad extracellulare tramite saggi ELISA:6 mesi iii) messa a punto del modello cellulare di accumulo di rame tramite ionofori specifici ed effetti sulla vitalità cellulare ;iv) progettazione e analisi dei duplex di siRNA per Atox1: 3 mesi ;v) valutazione della down-regulation di Atox1 tramite interferenza con RNA , in assenza e in presenza di ionofori per il rame per valutare la produzione di Abeta: 6 mesi; v) messa a punto di modelli cellulari di sovraccarico di rame nella cellula mediante trattamenti con ionofori del rame in topi transgenici con la mutazione di London nel precursore dell'amiloide umano (APP. V717L) (in collaborazione con il Nencky Institute Polonia): 1 anno. 8. Ricerca dei regolatori delle vie metaboliche citoprotettive cellulari La risposta allo stress termico ed il pathway KEAP1/Nrf2/ARE sono meccanismi di difesa per la cellula che regolano l'espressione di diverse centinaia di geni che codificano per proteine con funzioni citoprotettive. L'inefficienza di questi sistemi è associata al rapido sviluppo di patogenesi correlate con malattie neurodegenerative croniche e con l'invecchiamento. L'identificazione di piccole molecole in grado di attivare questi pathways è stata una delle strategie terapeutiche seguita per rallentare il decorso patologico e per estendere l'aspettativa di vita dei pazienti. In aggiunta, alcuni composti proteggono dagli effetti collaterali dovuti a processi tossici, neoplastici e proinfiammatori di un vasto numero di xenobiotici e sostanze endogene in numerosi esperimenti di carcinogenesi, malattie cardiovascolari e neuro degenerazione. Utilizzando un approccio chimico, ci si propone di investigare: i) piccole molecole che inducono il pathway KEAP1/Nrf2/ARE con capacità di upregulation su Hsp70, e quindi di identificare a monte i target ancora non noti di queste molecole; ii) utilizzando un approccio genetico e realizzando dei modelli cellulari che mancano dei fattori di trascrizione HSF1 o NRF2, si vuole chiarire da un punto di vista meccanicistico il ruolo di HSF1 e NRF2 nell'induzione di Hsp70; iii) ci si propone di approfondire alcuni meccanismi di risposta allo stress ossidativo e alla sua regolazione redox su modelli di topi NMR ad alta longevità, in assenza e in presenza di somministrazione esogena di carnosina o suoi derivati come induttori di risposta allo stress ossidativo. I nostri risultati si propongono di fornire una possibile spiegazione degli effetti citoprotettivi che sono stati osservati in alcuni composti e chiarire quindi le interazioni tra questi sistemi protettivi a livello fisiologico. Nel complesso, i risultati ottenuti si propongo, attraverso il chiarimento del loro meccanismo d'azione, di dare utili indicazioni per la progettazione di potenti ‘‘dual activators‘‘ come agenti citoprotettivi. 9. Studio delle interazioni porfirine- proteasoma e porfirine-Z DNA in soluzione acquosa. Le porfirine sono molecole poliedriche e quindi di grande interessante per i chimici. Le proprietà ottiche sono uniche sia in assorbimento (il coefficiente di estinzione molare è dell’ordine di 105 consentendo di lavorare in un intervallo di concentrazioni utile per le nano-applicazioni) che in emissione (la resa di fluorescenza è elevata). In natura ricoprono diversi ruoli; per esempio nella catena respiratoria sono coinvolte sia nel trasporto che nello “storage" dell’ossigeno, così come nella catena dei processi ossidoriduttivi che accompagna il la riduzione dell’ossigeno ad acqua. Sono attualmente in utilizzate nella terapia antitumorale grazie alle loro capacità di foto-sensibilizzare la formazione di Ossigeno singoletto. Le loro interazioni con le matrici biologiche sono modulabili grazie alla facile introduzione di gruppi periferici cationici o anionici nelle posizioni meso-. Infine, la loro stereochimica è modulabile grazie alle proprietà dello ione metallico centrale. Negli ultimi anni ci siamo interessati sia delle interazioni porfirine-proteasoma che delle interazioni porfirine-Z-DNA e l’approfondimento di questi temi sarà parte dell’attività dei prossimi anni. Per quanto riguarda il primo tema di ricerca, si è trovato che la porfirina non metallata tetra-cationiche 5,10,15,20-tetrakis-meso(4-N-metilpiridil)-porfirina, inibiscono il proteasoma a concentrazioni micromolari; le porfirine anioniche, invece, lasciano inalterata la sua attività. L’attività delle porfirine cationiche è, a sua volta, modulata dalla stereochimica del metallo centrale. In particolare, la scala di capacità inibitorie segue questo andamento: porfirine esa-coordinate< penta-coordinate< planari. Si investigherà l’influenza dell’ingombro sterico nella periferia della porfirine tetra-cationiche. In particolare, si studieranno i derivati 5,10,15,20-tetrakis-meso(2-N-metilpiridil)porfirina e 5,10,15,20-tetrakis-meso(3-N-metilpiridil)-porfirina. In particolare, si può prevedere che l’ingombro sterico del derivato con il gruppo N-metil piridil in posizione 2 dovrebbe ridurre la capacità della porfirina di inibire l’attività del prteasoma. Saranno studiate anche altre porfirine con leganti peptidici o ammine per valutare il ruolo di interazioni quali legami ad idrogeno nel favorire l’interazione porfirina-proteasoma. Per quanto riguarda le interazioni tra porfirine e la forma Z del DNA, si è di recente pubblicato che lo zinco derivato della porfirina tetra-cationica 5,10,15,20-tetrakis-meso(4-Nmetilpiridil)-porfirina è un ottimo reporter chirottico di sequenze Z anche quando queste si trovano alternate tra lunghe sequenze di tipo B. Si indagherà nei prossimi anni l’interazione con la forma Z del DNA di porfirine con pendagli amminici nelle posizioni meso. Sempre nella direzione delle interazioni tra porfirine ed acidi nucleici, si studieranno le interazioni di diverse porfirine con sequenze telomeriche. UNITA’ LOCALE DI FERRARA Composizione dell’Unità di ricerca: L’unità di Ferrara è costituita da chimici inorganici ed analitici: Dott. Paola Bergamini, Prof. Andrea Marchi, Dott. Lorenza Marvelli (Tematiche: Nuovi farmaci inorganici in oncologia, Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale); Prof. Andrea Maldotti, Dott. Alessandra Molinari (Tematica: Metalloproteine come catalizzatori biologici); prof. Maurizio Remelli (Tematica: Ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative croniche). Gruppo di Ricerca del Prof. Remelli Collaborazioni: Centro di Strutturistica Diffrattometrica dell’Università di Ferrara; Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Ferrara; Laboratorio di Chimica Bioinorganica e Biomedica della Facoltà di Chimica dell’Università Wroclaw (Polonia); Dipartimento di Chimica dell’Università di Siena; Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Cagliari. Titolo della ricerca: Sintesi, caratterizzazione ed attività biologica di nuovi derivati peptidici multifunzionali per il trattamento di patologie neurodegenerative L'aumento di speranza di vita nei paesi più sviluppati ha intrinsecamente lo svantaggio di aumentare drasticamente l'incidenza di patologie legate all'età, come le malattie neurodegenerative (ND). Le più diffuse tra queste sono il morbo di Alzheimer (AD) e di Parkinson (PD). Le cause delle ND sono quasi completamente sconosciute e non esiste alcuna cura: i farmaci attualmente in uso sono per lo più diretti ad alleviare i sintomi, e le ND sono sempre fatali. Poiché l'età è uno dei principali fattori di rischio, la prevalenza delle ND è destinata ad aumentare in futuro e vi è un grande bisogno di farmaci nuovi. Il primo requisito che un farmaco deve avere per essere attivo nei confronti delle patologie neurodegenerative è la sua capacità di attraversare la barriera emato-encefalica (BEE) per raggiungere gli obiettivi sensibili nel cervello. Questo può essere ottenuto sia aumentando il trasporto passivo (per esempio controllando il peso molecolare e l'idrofobicità) sia sfruttando i meccanismi di trasporto attivo dovuti alla presenza di recettori specifici sulla BEE (come quelli per il glucosio, per esempio). In secondo luogo, il farmaco deve esercitare una o più attività farmacologiche, quali ad es. l'azione antiossidante, la chelazione di metalli, la neuroprotezione e così via. In particolare, è oggi riconosciuto che alcuni ioni metallici, come Fe(III) e Cu(II), svolgono un ruolo importante nello sviluppo delle ND: il loro metabolismo è sbilanciato ed essi tendono ad accumularsi nei depositi proteici tipici delle ND. Qui essi possono fungere da catalizzatori per formare specie reattive dell'ossigeno (ROS) attraverso la reazione di Fenton. È un dato di fatto che lo stress ossidativo sia una caratteristica tipica delle ND. Una delle linee di ricerca più promettenti in questo campo è lo studio di molecole multifunzionali.6,7 In questo contesto, il piano di ricerca dell’Unità Operativa di Ferrara, per il triennio 2012-14, nell’ambito della tematica 7, sarà rivolto alla sintesi di nuovi derivati di peptidi o pseudo-peptidi che possiedono 6 7 H. Zheng et al., J. Neural. Transm.-Suppl., 163 (2006) 34. D. Blat et al., J. Med. Chem., 51 (2008) 126. attività neuroprotettiva o di tipo oppioide, avvalendosi della collaborazione in atto con il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Ferrara.8,9 La modifica sintetica consisterà nell'inserimento nella molecola di uno o più gruppi chelanti per gli ioni Fe(III) o Cu(II). Lo scheletro peptidico di queste molecole dovrebbe consentire loro di attraversare la BEE per raggiungere i neuroni e i depositi di ferro e rame nel cervello, dove possono complessare il metallo in eccesso ed esercitare allo stesso tempo l'azione neuroprotettiva. È da attendersi che la formazione di complessi metallici stabili contribuisca a combattere lo stress ossidativo e, allo stesso tempo, a rimuovere l'eccesso di metalli. Le capacità di complesso-formazione di questi leganti verranno studiate per mezzo dei più avanzati metodi chimici;10,11 saranno inoltre determinati sperimentalmente anche la loro stabilità enzimatica, la permeabilità nei confronti della BEE e l'attività anti-ossidante. Infine, verrà valutata l'attività farmacologica sia in vitro, nei confronti di cellule di neuroblastoma umano SH-SY5Y, che in vivo in modelli animali opportunamente trattati. UNITA’ LOCALE DEL SALENTO Direttore: Prof. Francesco Paolo Fanizzi Gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Michele Maffia, Laboratorio di Fisiologia Generale Il gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Michele Maffia intende avviare nel triennio 2012-2014 un’attività sperimentale mirata a definire i meccanismi patofisiologici rame-dipendenti alla base dell’insorgenza di diffuse patologie croniche (es. morbo di Alzheimer, Sclerosi Multipla). Saranno affrontate, in particolare, le seguenti tematiche: I. Ruolo dello ione rame nei processi di angiogenesi fisiologica e patologica e possibili implicazioni nella neurodegenerazione (Anno I e II) II. Squilibri nell’omeostasi sistemica del rame e possibile coinvolgimento nell’eziologia della Sclerosi Multipla (Anno II e III) Tematica di ricerca I Recenti osservazioni in ambito clinico hanno dimostrato come processi di angiogenesi aberrante possano condizionare l’evoluzione di patologie croniche di carattere neurodegenerativo. Particolarmente rappresentativo, a questo proposito, è il caso del morbo di Alzheimer. Nell’ultimo decennio, la tradizionale interpretazione “neuro-centrica” di questa patologia cronica ha ceduto il passo ad una visione più organica del quadro patofisiologico associato. In dettaglio, secondo l’”ipotesi neurovascolare” avanzata da Zlokovic12 (2005), difetti nei processi di clearance del peptide betaamiloide (Abeta 1-42) attraverso la barriera emato-encefalica, un’attivazione abnorme della funzione endoteliale e la senescenza del sistema cerebrovascolare causerebbero ipoperfusione cerebrale e infiammazione neurovascolare. Ne deriverebbero una grave compromissione dell’integrità della barriera emato-encefalica, squilibri nell’omeostasi ionica dei tessuti nervosi, disfunzioni a livello sinaptico e morte neuronale. Questa chiave interpretativa del morbo di Alzheimer come patologia “angiogenesi-dipendente” ha evidentemente suggerito nuovi approcci terapeutici basati sulla modulazione della funzione endoteliale. Poiché da decenni è riconosciuto allo ione rame un ruolo diretto nel potenziamento degli stimoli proangiogenici, si ritiene che terapie di chelazione di questo metallo possano rallentare il decorso della patologia13 e, in generale, dei processi neurodegenerativi. E’ noto come concentrazioni fisiologicamente rilevanti di questo metallo possano incidere positivamente sui livelli di espressione del fattore di crescita 8 M. Marastoni et al., J. Med. Chem., 48 (2005) 5038. G. Balboni et al., J. Med. Chem., 45 (2002) 5556. 10 M. Remelli et al., New J. Chem., 33 (2009) 2300. 11 D. Valensin, et al., Metallomics, 3 (2011) 292. 12 BV Zlokovic Trends Neurosci. 28 (2005) 202. 13 A. Budimir Acta Pharm. 2011; 61(1):1-14 9 VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), regolatore chiave della funzione endoteliale e noto fattore trofico per le cellule nervose. L’idea di una sovrapposizione tra metabolismo cellulare dello ione rame ed effetti VEGF-dipendenti è confortata da un recente studio su cellule endoteliali umane del microcircolo (HMVEC), che illustra come l'esposizione a stimoli pro-angiogenici (VEGF, bFGF) attivi rapidamente un processo di rilocalizzazione dell'80-90% dei depositi di rame endocellulare verso la periferia cellulare, seguito da una parziale traslocazione nell'ambiente extracellulare14. A dispetto di simili evidenze sperimentali, i bersagli molecolari dell’azione pro-angiogenica dello ione rame non sono, però, del tutto conosciuti. Sulla base di queste premesse, il piano di ricerca per il prossimo biennio ha come obiettivi la definizione dei meccanismi di trafficking cellulare dello ione rame in modelli cellulari di origine endoteliale e loro modulazione in risposta a stimoli pro-angiogenici. In dettaglio, l’attività sperimentale prevista sarà articolata come segue: Anno I - Analisi del profilo di espressione delle proteine di trasporto dello ione rame (trasportatori di membrana, chaperones) in colture cellulari di endotelio macrovascolare (cellule HUVE, isolate da vena ombelicale umana) e microvascolare (HMVEC, HBMEC) mediante western blotting e tecniche di biologia molecolare. - Analisi cinetica dei processi di trasporto dello ione in ingresso e in uscita dalle cellule mediante tecniche di indagine fluorimetrica e spettrometria ad assorbimento atomico (AAS). Il contributo dei singoli trasportatori (Copper Transporter-1, Divalent Metal Transporter-1, Prion Protein, ATP7A) rispetto a questi processi sarà valutato mediante l’uso di inibitori specifici e tecniche di silenziamento genico. Gli studi in oggetto saranno, inoltre, condotti in presenza di rame in forma libera (cloruro di rame) e complessato con amminoacidi (istidina, glicina) e proteine carrier di origine plasmatica (albumina, ceruloplasmina), nel tentativo di definire l’identità dei trasportatori con cui interagiscono fisicamente i complessi. - Studio della risposta cellulare endoteliale a stimoli pro-angiogenici. In dettaglio, le colture cellulari di endotelio saranno esposte a trattamenti con il fattore di crescita VEGF165. Mediante le tecniche richiamate nel punto precedente, sarà, quindi, effettuata un’analisi dettagliata dei processi di trafficking cellulare dello ione, associata allo studio di eventuali variazioni nella localizzazione subcellulare dei principali trasportatori ionici mediante tecniche di microscopia confocale. Anno II L’utilizzo del fattore di crescita VEGF nell’ambito di trattamenti farmacologici destinati alla cura di patologie di tipo ischemico e neurodegenerativo è stato scoraggiato dall’insorgenza di effetti collaterali tutt’altro che trascurabili (edemi, neovascolarizzazione disorganizzata). Questo dato ha contribuito ad alimentare la ricerca nel settore della progettazione e sperimentazione di molecole peptidomimetiche che possano sostituire il VEGF nelle terapie angiogeniche. La presente Unità di Ricerca dispone attualmente di due ligandi peptidomimetici (agonista e antagonista) dei recettori di membrana del VEGF (VEGFR1 e 2), progettati e sintetizzati presso l’Istituto di Biostrutture e Bioimmagini, CNR di Napoli, dal Dr Luca D’Andrea, candidati a sostituire il fattore VEGF nell’uso terapeutico. Indagini in vitro e in vivo hanno evidenziato come il peptide agonista sia in grado di riprodurre l’azione biologica del fattore di crescita VEGF, anche se non sono state ancora definite tutte le possibili vie di interazione con il metabolismo cellulare. Gli studi sull’azione della variante peptidica antagonista sono, invece, in fase ancora preliminare. Obiettivo dell’attività scientifica proposta è la caratterizzazione dell’effetto delle due varianti peptidiche sui modelli endoteliali sopra citati, assumendo il fattore di crescita VEGF come riferimento per una valutazione comparativa dell’efficacia dell’azione biologica esplicata. Particolare attenzione sarà rivolta alla capacità da parte di queste molecole di modulare l’espressione e l’attività dei principali sistemi di trasporto cellulare dello ione rame, che saranno investigate secondo le modalità già descritte. 14 L. Finney et al., Proc Natl Acad Sci U S A. 2007; 104(7): 2247-52 Possibili variazioni nel rilascio cellulare di fattori proteici in grado di alimentare i processi angiogenici saranno esaminate mediante l’analisi delle mappe proteomiche del secreto (gel-elettroforesi bidimensionale associata a spettrometria di massa MALDI-TOF). Tematica di ricerca II La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia cronica demielinizzante del Sistema Nervoso Centrale (SNC) dall’eziologia sconosciuta, caratterizzata da componenti autoimmuni e neurodegenerative. Secondo una delle ipotesi più accreditate riguardo le cause dell’insorgenza, fattori ambientali non ancora definiti determinerebbero in individui geneticamente predisposti l’attivazione di specifici cloni di linfociti T CD4+ periferici e autoreattivi, in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e migrare nel parenchima cerebrale. A livello del SNC, la mielina costituirebbe il bersaglio dell’attacco auto-immune dovuto alla riattivazione dei linfociti T. Si verificherebbero, quindi, morte neuronale e perdita assonale irreversibili. E’ stata dimostrata in soggetti affetti da SM una correlazione tra gli eventi di demielinizzazione a carico del SNC e bassi livelli ematici di rame15, ma i meccanismi che ne sono alla base sono ancora oggetto di studio. Una possibile interpretazione è che un deficit sistemico di rame causi o almeno aggravi la condizione di stress ossidativo associata alla patologia e comprometta l’efficienza dei processi di produzione di energia a livello mitocondriale, incidendo in questo modo anche sulla risposta autoimmune. L’attività proposta dall’Unità di Ricerca intende chiarire alcuni aspetti della correlazione tra deficit di rame, metabolismo energetico e risposta autoimmune in soggetti SM, conducendo una serie di indagini integrate su campioni ematici e liquorali prelevati da oggetti sani e individui malati. L’attività di ricerca, in parte già avviata, sarà condotta in collaborazione con il reparto di Neurologia dell’Ospedale “Vito Fazzi” di Lecce e sarà articolata come segue: I. Valutazione comparativa dei livelli di rame serico e liquorale in campioni di sangue e liquido cerebrospinale prelevati da soggetti sani e malati, e loro correlazione con i livelli di oloceruloplasmina. La ceruloplasmina è una proteina plasmatica che funge da carrier per gli ioni rame e solo se legata (forma olo-) esibisce attività ferrossidasica. Un basso rapporto tra i livelli della forma olo- e apo- (non legata) è indice di un insufficiente approvvigionamento di rame ai tessuti. Il contenuto di rame nei campioni biologici sarà stimato mediate Spettrometria ad Assorbimento Atomico, mentre l’attività enzimatica della ceruloplasmina sarà valutata mediante un test “in gel”, basato sull’utilizzo di un substrato cromogeno. II. Analisi dei livelli di espressione di proteine coinvolte nel metabolismo energetico mitocondriale nei campioni di linfociti CD4+ isolati da soggetti sani e malati. Tra le proteine di maggiore interesse sono stati inclusi il trasportatore degli acidi monocarbossilici MCT1, il trasportatore del glucosio GLUT-1 e alcuni chaperones dello ione rame (Cox17, SCO1, SCO2), indispensabili nel veicolare questo cofattore verso gli enzimi della catena respiratoria mitocondriale. III. Analisi dell’espressione dei principali trasportatori di membrana dello ione rame nei campioni citati al punto precedente (CTR1, ATP7A, Proteina Prionica Cellulare). IV. Analisi dell’efficienza respiratoria mitocondriale linfocitaria mediante polarografia. V. Studio della funzionalità dei singoli complessi enzimatici della catena respiratoria mitocondriale mediante l’uso di specifici substrati e inibitori. 15 Maña P, et al., J Neuroimmunol. 2009; 210(1-2): 13-21 UNITA’ LOCALE DI SIENA Direttore: Prof. Piero Zanello Gruppo di ricerca coordinato dal Prof. G. Valensin – Personale coinvolto: Dr. Daniela Valensin; Dr. Nicola Gaggelli Gruppo di ricerca coordinato dal Prof. P. Zanello – Personale coinvolto: Dr. Fabrizia Fabrizi De Biani; Dr. Maddalena Corsini Il gruppo coordinato dal Prof. Gianni Valensin ha una lunga esperienza nello studio del legame degli ioni Cu(II) e Zn(II) con proteine coinvolte nei processi neurodegenerativi come la proteina Prionica (PrP), l’α-Sinucleina (AS) e l’amiloide β (Aβ). Le informazioni sul legame rame e/o zinco alle suddette proteine sono state principalmente ottenute attraverso l’uso di peptidi modello derivanti dalle regioni non strutturate delle corrispondenti proteine. L’approccio che viene applicato consiste principalmente nell’uso combinato di vari metodi spettroscopici. In particolare, il gruppo di ricerca ha una solida esperienza sulle metodologie NMR applicate allo studio della coordinazione dei metalli in sistemi di rilevanza biologica. Le attività di ricerca che saranno sviluppate consisteranno nel prolungamento delle attività intraprese negli scorsi anni con particolare riferimento ai seguenti sistemi: 1 . Interazioni tra le proteine implicate nei processi neurodegenerativi e gli ioni metallici E’ ormai accettato che la disomeostasi degli ioni metallici , è più precisamente del rame, del ferro e dello zinco, gioca un ruolo principale nei processi molecolari che portano alla neurodegenerazione e al danno neuronale in specifiche regioni del cervello.1,2,3,4 Tale ruolo può implicare una diretta interazione dei metalli con le proteine coinvolte nelle malattie neurodegenerative (Aβ, PrP e AS) causandone sia il “misfolding” che variazioni a carico di amminoacidi, dovute all’interazione con specie altamente reattive.16,17,18 A questo riguardo analizzeremo l’interazione degli ioni Cu(II)/Cu(I), Zn(II) e Fe(III)/Fe(II) con Aβ, PrP e AS . Il nostro gruppo di ricerca continuerà gli studi rivolti alla caratterizzazione delle proprietà strutturali e funzionali dei complessi metallici con le suddette proteine. Per la caratterizzazione delle interazioni metallo-proteina, saranno utilizzate principalmente le spettroscopia NMR e CD. Misure di fluorescenza e tecniche microscopiche saranno utilizzate per valutare l’effetto dei metalli sulla cinetica di formazione e sulla morfologia degli aggregati proteici in presenza dei metalli. Lo studio dei processi di trasferimento elettronico nelle proteine verrà effettuato anche attraverso tecniche elettrochimiche.19,20 Queste, infatti in seguito all’opportuna scelta del materiale elettrodico e delle condizioni di misura (solvente, concentrazione elettrolita, temperatura, pH), permettono la determinazione accurata e diretta dei potenziali redox. Per quanto riguarda i complessi di rame con Aβ, il prione e AS, tenteremo di generare la metallo-proteina nella forma ridotta al fine di caratterizzarla e valutarne l’attività superossidodismutasica. Questo studio verrà seguito dall’unità di ricerca coordinata dal Prof. P. Zanello. 2. Sviluppo di nuove strategie terapeutiche per le neurodegenerazioni Il nostro gruppo studierà alcuni potenziali farmaci a base di metalli, in particolare saranno selezionati complessi di Ru(II), Ru(III) e Pt(II), in grado di coordinarsi selettivamente ai residui istidinici di Aβ e di impedire in questo modo la successiva interazione di Cu(II), Zn(II) e Fe(II) con Aβ. Infatti, studi recenti hanno indicato che i complessi di Ru(II/III) e Pt(II) sono potenziali inibitori del legame di Cu(II) e Zn(II) ad Aβ,21,22,23 suggerendo il loro utilizzo per nuovi trattamenti sperimentali della malattia di 16 E.H. Norris, et al., J. Biol. Chem., 280 (2005) 21212. FE Herrera, et al., PLoS One. 3 (2008) 3e3394. 18 FE Ali, et al., Letters in Peptide Science, 10 (2003) 405. 19 J. Geng, et al., Biochemistry, (2006), 45 13543. 20 D. Jiang,et al., Biochemistry, (2007), 46, 9270. 21 K.J. Barnham, et al., Proc Natl Acad Sci U S A, (2008) 105 6813. 22 I. Sasaki, et al., Dalton Trans, (2012) in press. 17 Alzheimer. Proveremo anche a studiare l’effetto di altre molecole con proprietà antiossidanti e allo stesso tempo, capaci di ordinarsi agli ioni metallici, su sistemi mitocondriali. Infatti, la disfunzione mitocondriale è strettamente correlata sia ai processi di invecchiamento che a quelli neurodegenerativi. 3. Studi Metabolomici di culture cellulari o isolate dai mitocondri Gli studi metabolomici comprendono concentrazioni e fluttuazioni di profili metabolici multipli come risposta a farmaci, dieta, stile di vita, ambiente allo scopo di caratterizzare gli effetti di suddette interazioni.24 Ad oggi, i profili metabolici vengono utilizzati in diversi settori fra cui quelli rivolti alla valutazione della risposta e dell'efficacia di farmaci, alla comprensione di processi patologici e diagnostici di malattie.25 Infatti, l’analisi dei profili metabolomici permette di esaminare cambiamenti globali nei metaboliti associati a particolari condizioni. Le indagini metabolomiche possono essere condotte sia in vitro che in vivo utilizzando cellule, fluidi o tessuti. In generale l'NMR può fornire informazioni strutturali e conformazionali su classi chimiche diverse, utilizzando una singola procedura analitica. Gli studi metabolomici che effettueremo, saranno condotti tramite misure NMR che verranno poi elaborate tramite analisi statistiche. Questo approccio permetterà di ottenere informazioni utili sul deterioramento dell’attività cellulare causato da specie citotossiche oligomeriche e/o polimeriche delle proteine coinvolte nelle malattie neurodegenerative sia in presenza che in assenza di ioni metallici. Infine, il metabolismo energetico, nei mitocondri isolati, sarà monitorato con l’intenzione di determinare la capacità di potenziali farmaci di ridurre gli effetti citotossici tipici delle malattie neurodegenerative. 23 D. Valensin, et al., Inorg Chem, (2010) 49 4720. KW Jordan et al. Expert Rev Proteomics (2007) 4 389. 25 DA MacIntyre et al. Leukemia (2010) 24 788. 24