Antica e nuova cultura - Premio Capri San Michele

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Antica e nuova cultura - Premio Capri San Michele
ANTICA E NUOVA CULTURA
Nella più famosa delle sue liriche dedicate a Capri, Rainer Maria
Rilke parla di un vento che viene nell’isola dal mare per donarsi, ma
che nessuno sa raccogliere. E se qualcuno, nella solitudine notturna,
veglia per attenderlo, quando il vento giunge non regge nel
sostenerlo.
Con questo ci aiuta a comprendere quello che nell’isola di Capri, in
special modo nell’Ottocento e nel Novecento, è avvenuto nel campo
culturale. Venti dell’autentica cultura sono venuti dal mondo, ma,
per lo più, gli abitanti non li hanno potuti sostenere, giacché non
avevano adeguatamente pensato la loro spontanea visione di vita
ed il loro spontaneo modo di vivere.
Un secolo dopo la fondazione della Certosa di San Giacomo,
avvenuta nel 1334, seguendo le orme di Dante e Petrarca e
ripensando, nella luce del cristianesimo, quel che del patrimonio
culturale dei greci e dei romani si era ritrovato e si conservava, a
Firenze si sviluppò l’Umanesimo, che poi si diffuse nel mondo e che
creò opere altissime in tutte le arti.
Purtroppo non possiamo sapere quanto di questo umanesimo sia
giunto nella Certosa e quanto di esso si sia propagato nell’isola,
giacché tutto l’archivio certosino fu distrutto durante l’incendio
appiccato dal pirata Dragut nel 1553.
Tra il 1661 ed il 1683 Prudenza Pisa, diventata poi suor Serafina,
non solo fondò il Monastero del Santissimo Salvatore a Capri e
quello di S. Michele ad Anacapri, ma scrisse anche piccoli trattati
per le sue consorelle, invitandole, oltre che alla preghiera, allo
studio ed alla riflessione. Ma essi, più che a suo merito, come si
sarebbe dovuto, furono considerati a suo demerito, e restano quasi
del tutto sconosciuti.
Nell’estate del 1853, dopo essere salito sul Monte Solaro,
Ferdinand Gregorovius contemplò le altre isole del Golfo, i sognanti
mondi lontani, la città di Napoli, il Vesuvio allora fumante, i paesi
sottostanti, la penisola sorrentina, la costiera amalfitana, Salerno, i
lontani monti della Calabria ed un mare che si perdeva nell’infinito.
Davanti a tutto ciò si avvide che il desiderio dell’uomo di vivere in
un orizzonte più vasto è limitato dal veloce incalzare di cose di ogni
genere, che provocano una meschina e penosa lotta per l’esistenza.
Ma, pensando a quel che aveva scritto Wilhelm Christian
Humboldt, si avvide che a donare quell’orizzonte più vasto che
l’uomo desidera è la cultura, la quale sa disporre in un ordine divino
l’arte e la scienza, tutto quanto si è visto, pensato e vissuto. Essa
rivela l’essenziale, disperde l’effimero, dà senso ed orientamento al
vivere, illumina le cose, rivelando il loro autentico valore, anche di
quelle che si ritengono piccole ed insignificanti.
Ma il dir di Ferdinand Gregorovius, quantunque ripetutamente
pubblicato, è rimasto inascoltato, così come inascoltato è rimasto
ciò che fu detto nel 1922, ovvero che a Capri la natura rivela l’opera
compiuta, l’Opus Dei, il pathos è mitigato dall’ethos in una misura
apollinea, la bellezza è fulcro della nostra tradizione antica e
suscitatrice di humanitas contro gli insulti di una modernità
tecnico-industriale materialista.
Il non ascolto e il non ripensare quello che era stato detto ha
permesso che, mentre nel mondo si indebolivano sempre più i venti
della cultura della natura, della verità, dell’essenza, della bellezza,
della gratuità, entrassero a Capri, senza resistenza, anzi ben
accettati, i venti della cultura dell’utilitarismo, dell’artefatto, della
menzogna, della malafede, del denaro, della mondanità. E’ la
cultura che sta tentando di scardinare i fondamenti della religione e
della politica, e che ha portato e porta per lo più a non saper
pensare. E’ la cultura che ha considerato e considera l’isola di Capri
come un luogo di piaceri materiali, e lontana dal mondo, che invece
l’ha determinata e la determina.
E che si irrita se si sostiene che Capri, per le bellezze naturali che
ancor possiede, per la sua storia , e quando sa pensare quello che
viene dal resto del mondo, dialogando pariteticamente con altre
culture, è per sé e per lo stesso mondo suscitatrice di quell’autentica
cultura che è armonia tra uomo e natura, tra materiale e spirituale,
tra finito ed infinito, e che solamente può dar concrete speranze per
il futuro dell’umanità.
RAFFAELE VACCA
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