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MUNU CHI SIAMO HOME PAGE NEL PROTESTANTESIMO, PASTORI E LAICI SONO MEMBRI IN MODO PARITARIO DEL POPOLO DI DIO. CIASCUNO È CHIAMATO A ESERCITARE DELLE FUNZIONI E DELLE RESPONSABILITÀ SPECIFICHE NELLA CHIESA E NELLA VITA, MA SENZA RAPPORTO GERARCHICO I Battisti, o più precisamente, le Chiese battiste, sono una confessione cristiana che emerge agli inizi del Seicento in Inghilterra, dal fermento inaugurato dalla Riforma protestante. Questo sconvolgimento teologico e storico aveva prodotto in Europa tre grandi famiglie confessionali: i luterani, gli anglicani e i calvinisti (“riformati” nel mondo francofono o “presbiteriani” nel mondo anglofono). In Inghilterra era stata mantenuta la chiesa di Stato (anglicana), e vi si era insediata anche una minoranza agguerrita di presbiteriani. All’interno di questi si sviluppò nel tempo un’ala molto rigida, che prese il nome di “puritani”. L’idea di chiesa prevalente in questi circoli era quella di natura nazionale, di cui le singole comunità sono parti. Fra questi puritani maturò una prima consapevolezza: la chiesa è innanzi tutto la comunità locale, la singola congregazione (da qui il nome “Congregazionalisti”), che si muove in sintonia con le altre chiese sorelle. Si sviluppò anche una seconda consapevolezza: la Chiesa deve essere separata dalla Chiesa anglicana, che è una Chiesa di Stato, quindi “asservita” alla corona (da qui il nome di separatisti). In questo fermento maturò anche un’ulteriore consapevolezza, sempre sollecitata e guidata dalla lettura biblica: non solo la centralità della congregazione locale, ma anche la sua autonomia. La singola chiesa locale era l’elemento ecclesiologico costitutivo, il dato di base. Il libero collegamento di varie chiese locali dava luogo ad un’Unione di chiese, non ad una Chiesa “nazionale”. Inoltre, la chiesa doveva essere formata da persone rigenerate dallo Spirito del Signore e consapevoli delle loro responsabilità nei confronti del Signore e della società. Da queste considerazione si sviluppa la riflessione che questo è possibile soltanto con il battesimo dei credenti (cioè di persone che confessano personalmente la propria fede e lo fanno con il battesimo per immersione, ritenuto l’unico corrispondente alle indicazioni del Nuovo Testamento). Quindi la riflessione sulla chiesa ha portato alla riscoperta del battesimo cristiano per immersione, come testimoniato nel Nuovo Testamento. Perché questo potesse avvenire era necessario un ulteriore passo: in una società in cui tutti i bambini erano battezzati appena nati, si poneva il problema dell’appartenenza (decisa da altri!) ad una chiesa. In paesi con religione di Stato, c’era un’identificazione molto rigida e “automatica” fra cittadini e membri di chiesa, con il risultato d’avere chiese territoriali, di massa, senza altra alternativa. Per rispondere a quest’esigenza i battisti rivendicarono la libertà di coscienza e la affermarono come uno dei loro principi distintivi. Erano nate le chiese battiste. Questa nuova formazione ecclesiastica, pur mantenendo e riaffermando i grandi principi teologici della Riforma protestante, si contraddistingue dalle altre chiese “evangeliche” (questo è il nome collettivo che esse si davano, mentre “protestante” fu un nome dato dagli avversari con intento denigratorio, ma che ormai è entrato nell’uso) per alcuni principi di base, unici a quel momento: la concezione della chiesa; il battesimo dei credenti per immersione; la libertà di coscienza; la completa separazione fra Chiesa e Stato. Altre Chiese evangeliche, sorte in seguito, hanno ripreso questi principi e modificato alcuni aspetti teologici dell’eredità della Riforma protestante. Oggi, quindi, questi principi sono vissuti da molte chiese evangeliche, che ne condividono la portata e il significato. Costituiscono un patrimonio ideale e teologico comune. Quali sono i nodi che questi principi hanno cercato di sciogliere? Li esaminiamo brevemente. 1. La concezione della chiesa (tecnicamente: ecclesiologia) che i battisti hanno elaborato vede la singola comunità locale come dato fondamentale e irrinunciabile d’ogni discorso ecclesiologico. Ogni comunità locale è autonoma nel suo essere ed operare e liberamente si unisce con altre chiese consorelle a costituire Associazioni di zona e Unioni nazionali. Queste non sono dati che fondano la natura della chiesa, dimensioni della chiesa, ma strutture ecclesiastiche, spesso di tipo territoriale o “amministrativo”. I responsabili nominati nelle rispettive assemblee hanno carattere amministrativo e rappresentativo, non religioso. Ogni chiesa locale è autonoma e si autogoverna: del suo operato risponde responsabilmente soltanto al Signore e a se stessa, nel corso delle sue assemblee. Il fatto d’essere chiesa non deriva dal riconoscimento ufficiale di un terzo (sia esso un’autorità religiosa o statale), ma dalla propria consapevolezza dinanzi al Signore e alle altre chiese cristiane. Di solito questo avviene mediante la formulazione di una Confessione di fede, in cui sono enunciati i dati teologici che ne permettono l’identificazione. La chiesa è costituita da credenti confessanti e responsabili dinanzi al Signore e ai loro confratelli e consorelle. 2. Il battesimo per immersione dei credenti prevede che il battesimo avvenga in una forma specifica (per immersione totale del battezzato in acqua) e che il credente sia in grado di confessare responsabilmente e personalmente la sua fede (parlare di battesimo degli adulti è una semplificazione imprecisa). Lo schema teologico sotteso a questa concezione è che ogni persona, all’ascolto dell’annunzio dell’evangelo, vi dia la propria adesione in seguito alla conversione. Con il battesimo per immersione, il credente diventa parte del Corpo di Cristo, della chiesa locale. Questo è lo schema teologico e la prassi battesimale che si ricava direttamente dal Nuovo Testamento. Tutte le chiese cristiane che hanno questa prassi rivolgono una domanda alle chiese consorelle che praticano il battesimo dei fanciulli sulla legittimità e sul fondamento biblico-teologico della loro prassi battesimale. 3. La libertà di coscienza è diventato oggi un diritto inalienabile d’ogni persona. Assieme all’altro principio più generale della libertà religiosa, oggi caratterizzano il modo di pensare del mondo moderno. Il dato fondamentale che questo principio mette in evidenza è quello della libertà di agire in base alle proprie convinzioni più profonde. Questo principio trova la sua applicazione primaria in problematiche religiose, dove appunto è stato sollevato per la prima volta. Il dato che si vuole salvaguardare e riconoscere è se una persona ha o no il diritto di agire in base alle proprie convinzioni o se deve accettare supinamente le scelte altrui o agire in base a costrizioni esterne di vario genere. I battisti hanno rivendicato questo principio che permette ad ogni credente di aver parte nella chiesa che sente più vicina ai suoi convincimenti più profondi, sia per avvicinarsi al mondo battista, sia per avvicinare altre chiese e movimenti religiosi. 4. La separazione fra Chiesa e Stato è un altro dei principi che i battisti hanno rivendicato e che oggi si pone alla base di qualsiasi Stato laico. Prima di allora vigeva o il cesaropapismo (la chiesa prevaleva sullo Stato e ne determinava le leggi), oppure il giurisdizionalismo (lo Stato dettava le leggi per materie riguardanti l’ambito ecclesiastico). I battisti hanno ritenuto che le due realtà avessero ciascuna il proprio ambito di competenza e che nessuna dovesse prevalere sull’altra, che ci fosse una separazione netta dei due ambiti. Per questo sono conosciute di solito come “Chiese libere”. Per le materie di comune interesse, Stato e Chiesa devono trovare una soluzione equilibrata che tenga conto delle rispettive competenze, ma senza alcun’ingerenza reciproca. Nel tempo questo è diventato il principio base della laicità dello Stato, che garantisce a tutte le manifestazioni religiose di potersi esprimere e organizzare liberamente, fatto salvo il principio del rispetto dell’ordinamento statale. In conclusione: i battisti, che hanno le loro radici nella tradizione teologica della Riforma protestante del XVI secolo, e più direttamente nell’ala calvinista, hanno rivendicato posizioni specifiche e originali sia per quanto riguarda la concezione della chiesa e il battesimo dei credenti, sia per quanto riguarda il rapporto fra chiesa e Stato, battendosi in modo significativo per i principi della libertà di coscienza, della libertà religiosa e della separazione fra Chiesa e Stato, contribuendo così all’affermazione della laicità della Stato. Libere chiese in libero Stato. La nostra chiesa fa parte dell'u.c.e.b.i. (unione delle chiese battiste italiane) e dell'a.c.e.b.l.a (associazione delle chiese battiste del lazio e dell'abruzzo) I SOTTOMENU ATTIVITA’ Chi siamo/ testata attività chiese battiste La direzione da prendere non è quella che prendiamo noi, ma quella che Dio prende per venire da noi, Cristo. A volte basta non muoversi proprio ed è Cristo che ci dice quale strada sta percorrendo con noi... a volte siamo già su una strada che aspetta solo di essere illuminata da Cristo per poter essere vista anche da noi, come lui già la vedeva. Gesù dice "io sono la via..."e Gesù è già accanto a noi. E allora la sua resurrezione è l'unico segno per noi su cui fondare tutto, il fatto che lui vive per noi. PDF CALENDARIO DI TROVA SUL SITO NUOVO: MENU LATERALE/ CALENDARIO ED EVENTI II SOTTOMENU A TAVOLA CON LA BIBBIA “Chi ci potrà dare da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio… ora i nostri occhi non vedono altro che questa manna…” (Nm. 11,4-6). Cibo e scrittura sono particolarmente ben integrati nella Bibbia. Ecco alcuni esempi di piatti deliziosi che potrebbe mettere insieme uomini e donne che vivevano in tempi biblici Il pane del profeta Ezechiele Nel Libro di Ezechiele, il Signore comanda di cucinare un tipo speciale di pane, che il profeta dovrà mangiare per un periodo di centonovanta giorni. “Prendi grano, orzo, fave, lenticchie, miglio e farro, mettili in un recipiente e fattene del pane…” (Ezechiele 4,9) Questa ricetta si avvicina a quello che i moderni dietologi chiamerebbero un alimento completo; infatti, una combinazione di farine di cereali e di legumi (in proporzione di due parti di cereali per una di legumi) garantisce la massima capacità di assimilare le proteine (circa il 50% in più di quelle che si potrebbero assimilare mangiando separatamente le stesse quantità di cibo). Nella quantità descritta dal libro di Ezechiele (circa 200 grammi al giorno), questo pane è in grado di offrire il sostentamento necessario a un essere umano adulto per periodi molto lunghi. Se consumato in combinazione con alimenti freschi (per esempio, frutta e verdura di stagione) può essere la base di un’alimentazione sana e bilanciata. Di fatto, vi si fa spesso cenno negli scritti ascetici ortodossi quando si parla della razione quotidiana di pane per monaci e monache. Il “pane di Ezechiele” è di gusto gradevole (grazie alla combinazione di aromi delle diverse farine), e si conserva a lungo, come i migliori tipi di pane integrale. Veniamo alla ricetta, ricordando che si può usare la farina di QUALSIASI cereale o legume, a condizione di mantenere la proporzione corretta: due parti di farina di cereali (anche di tipi diversi) per una parte di farina di legumi. Il grano, la segala e l’avena hanno il 30-35% in più di proteine rispetto al riso, al mais, all’orzo o al miglio. I cereali variano in valore calorico. Ingredienti - Due tazze di farina di cereali - Una tazza di farina di legumi - Zucchero - Sale - Lievito secco - Acqua Sciogliete un poco di zucchero in acqua tiepida (a temperatura corporea) in una ciotola, gettate nell’acqua alcuni granuli di lievito secco, e lasciate in un luogo tiepido finché il lievito agisce, facendo la schiuma alla superficie. Mescolatelo alle farine in una ciotola con un cucchiaio di legno, aggiungendo altra acqua finché si forma una pasta densa. Riponete la pasta in recipienti da forno e lasciatela lievitare per circa mezz’ora, o finché ha raddoppiato il suo volume. Cuocete in un forno molto caldo. La durata della cottura varierà, naturalmente, secondo la grandezza e il numero delle forme. Polpette alla maniera biblica Salare e pepare la carne (500 g) e trasformare in piccole palline. Friggere in olio d'oliva. Per la salsa: In una pentola capiente riscaldare 2 cucchiai di olio d'oliva, aggiungere 1 porro tritato e 1 tazza di foglie di sedano tritate. Soffriggere fino a che non è tenera. aggiungere: 1 / 4 bicchiere di vino dolce 1 bicchiere di vino rosso 1 rametto origano fresco o 1 / 2 di origano secco 1 tazza di brodo vegetale concentrato Sale e pepe e cuocere altri 5 min. Aggiungere tutte polpettine nella preparazione e cuocere altri 20 minuti. Condire a piacere. CAROTE AL CUMINO 6 carote medie 1 poco di miele 1 / 2 di cumino macinato 1 / 4 bicchiere di olio d'oliva 2 spicchi d'aglio, schiacciati 1 rametto di prezzemolo tritato Sbucciate le carote e tagliarle a fette medie. Metterle in un tegame con poca acqua (solo fino a copertura delle stesse) e sale e far cuocere per circa 10 minuti. Esse dovrebbero essere leggermente croccanti. Mescolare gli ingredienti restanti e aggiungerli alle carote calde. Mescolare e servire! Genesi 25:34 Allora Giacobbe diede a Esaù del pane e della minestra di lenticchie. Egli mangiò e bevve; poi si alzò, e se ne andò. Fu in questo modo che Esaù disprezzò la primogenitura. Minestra rossa di esaù 200 g di lenticchie rosse 1 patata 4 cucchiai di riso integrale 200 g di bietole 1 cipolla 1 l di brodo vegetale olio e.v.o. sale procedimento: mettere le lenticchie (precedentemente lasciate a bagno 3 ore) in una casseruola e portare ad ebollizione (con dell'acqua si intende). dopo 20 mn di cottura unire la patata tagliata a fette, il riso e le bietole tritate con la mezzaluna e la cipolla. finire di cuocere per altri 20 mn. regolare di sale e servire. Pane azzimo, la ricetta per farlo a casa La particolarità del pane azzimo è l’assenza di lievito ed è per questo che chi è a dieta spesso deve mangiarlo se vuole evitare gonfiore e chi è intollerante ai lieviti anche. Ingredienti per 10 filoncini 300 grammi farina 00 150 grammi farina integrale olio d’oliva sale a piacere acqua tiepida Come si fa 1) Versate le due farine, setacciate, in una ciotola grande e, senza necessariamente praticare il classico buco in mezzo, versate circa 180 ml di acqua tiepida; 2) Impastate con le mani oppure con l’impastatrice fino a quando non otterrete un impasto abbastanza elastico (10 minuti circa con le mani, 2-3 con la planetaria). In questa fase volendo potete aggiungere sale a vostro piacimento; 3) Lasciate riposare l’impasto per un’ora sotto un panno bagnato dopo averlo spennellato con olio; 4) Formate 10 panini dalla forma lunga e stendeteli con le mani o con un mattarello all’altezza di 12 cm e spennellateli con poco olio. 5) Ungete una teglia, sistemate i panini e infornate per 15 minuti a 220°C facendo attenzione a girare una volta per lato i panini. Tempo di preparazione: 30 minuti + 1 h coperto Risultato: basso ma morbido, questo tipo di pane azzimo è adatto per il consumo quotidiano a tavola ma anche se si vuole preparare una merenda più leggera. Curiosità: il vero matzah ebraico prevede che la farina e l’acqua vengano mescolate e informate al massimo entro 15 minuti per evitare qualsiasi processo di lievitazione. In questo modo si ottengono però dei crackers. Variante: qualcuno invece di infornare cuoce l’azzimo in padella a mo’ di piadina ma il risultato cambia del tutto, sia nella forma che nel sapore in quanto si tratta del pane classico che si usa, per esempio, per fare il kebab. Conservazione: questo pane si indurisce prestissimo, nel giro di un giorno. Potete farlo durare di più avvolgendolo in un panno di cotone oppure conservandolo in un sacchetto di carta sigillato. se volete congelarlo, avvolgetelo in alluminio e mettetelo in congelatore. Piante bibliche usate in cucina I cereali Nel brano del Deuteronomio che enumera le attrattive della Terra Promessa (Dt. 8,7-8), al primo posto troviamo l'acqua, il bene indispensabile; seguono “sette piante”, di cui le prime sono cereali, cioè grano e orzo, le altre cinque alberi da frutto: vite, olivo, fico, melograno e palma da datteri. Col termine “cereali”, parola che nella tradizione latina deriva da Cerere, la dea romana delle messi, si indica convenzionalmente un gruppo di dieci piante che hanno un ruolo fondamentale nell'alimentazione dell'uomo e degli animali: riso, mais, frumento, orzo, avena, segale, miglio, panìco, sorgo e grano saraceno. Le prime nove appartengono alla famiglia delle Graminacee, l'ultima alle Poligonacee. La storia dei cereali si identifica con la più remota storia dell'uomo, col suo passaggio da cacciatore o pescatore nomade ad agricoltore stanziale e quindi con la nascita di una società complessa: un'evoluzione basata su due elementi fondamentali, la conoscenza di piante con semi commestibili (e riproducibili) e l'invenzione dell'aratro. Le diverse condizioni climatiche hanno fatto prevalere l'una o l'altra specie ma questi eventi si verificarono in modo analogo in varie parti del mondo sempre iniziando nelle regioni dove il terreno era più fertile per la presenza di grandi fiumi: la Mesopotamia, la valle del Nilo e del Giordano, ma anche dell'Indo, del Gange e del Fiume Giallo. La Bibbia in moltissime occasioni parla di cereali o loro derivati (farina, focacce, pane), riferendosi ovviamente a quelli coltivati fin dai tempi antichi in Israele, Egitto e Mesopotamia. Le cerealicole citate appartengono a quattro o cinque specie; la corrispondenza dell'antico nome ebraico con il nome botanico in qualche caso è sicura, in altri dubbia ed è su questo che storici e botanici stanno investigando. Le aromatiche Sono molte quelle menzionate nella Bibbia, segno che ogni grande cultura è sempre in presa diretta con le tradizioni del suo popolo e da esse trae forza e sostanza. Ad esempio, una delle piante più dense di significato è l’issopo (Origanum syriacum): questa erbacea dai fiori bianchi, della famiglia botanica delle Labiate, cresce sui terreni aridi e sassosi e per il suo carattere selvatico e spontaneo, è sempre stata utilizzata dalle popolazioni nomadi e stanziali di tutto il Medio Oriente per insaporire i cibi e come essenza digestiva. In ebraico è chiamata “ezob” e il suo significato biblico è di purificazione. Infatti, nelle prescrizioni per la Pasqua dettate da Mosè, si legge che “il Signore risparmierà dallo sterminio le case segnate dal sangue dell’agnello, spruzzato mediante un fascio d’issopo sull’architrave e sugli stipiti della porta” (Es. 12,21-24). Più vicine alle nostre tradizioni, il coriandolo (Coriandum sativum), la menta (Menta longifolia), l’aneto (Anethum graveolens) e il cumino (Cuminum cyminum), che venivano largamente seminati nei campi, primo esempio di erboristica ante litteram, come si può leggere in Isaia 28,25. Lo stesso Gesù, secoli dopo, utilizzerà spesso citazioni del mondo contadino nelle sue parabole e nelle sue reprimende contro scribi e farisei: “Guai a voi, che pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino e trascurate le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà…” (Mt. 23,23). le erbe amare Le erbe amare venivano mangiate dagli israeliti alla notte di Pasqua insieme all’agnello arrostito e a pani non fermentati. La Bibbia non specifica il tipo o i tipi di erbe amare che venivano usate. Si sa solo che lo scopo delle erbe amare era probabilmente quello di ricordare agli israeliti l’amara esperienza della schiavitù in Egitto La frutta ISAIA 27,6: In avvenire, Giacobbe metterà radice, Israele fiorirà e germoglierà, e copriranno di frutta la Faccia del Mondo. III SOTTOMENU BARZELLETTE DIO INVENTÒ L'ATOMO, L'ENERGIA DI FUSIONE, IL DNA, LA FOTOSINTESI CLOROFILLIANA.... E ANCORA ASPETTA IL NOBEL ADAMO? IL PIÙ FEDELE DI TUTTI GLI UOMINI: C'ERA SOLTANTO EVA CHE COSA DICE ADAMO QUANDO VUOLE FARE L'AMORE CON EVA? SFOGLIATI! NOÈ È APPENA SCESO DALL'ARCA DOPO CHE LE ACQUE SI SONO RITIRATE. TUTTI I GIORNALISTI SI PRECIPITANO A INTERVISTARLO: “ALLORA, COSA NE PENSA DEL DILUVIO?” "ACQUA PASSATA" GIACOBBE STA ANDANDO A LAVORARE QUANDO VEDE DA LONTANO SUO FRATELLO ESAÙ CHE GLI FA CENNO DI FERMARSI. “SCUSA SE TI FACCIO PERDERE TEMPO, MA AVRESTI DELLE PECORE DA PRESTARMI?” E GIACOBBE RISPONDE: “ NO MI SPIACE, MA COME VEDI HO SOLO UN ASINO, NON HO GREGGE.” “E A CASA?” “TUTTO BENE GRAZIE” MARIA VA A PARLARE CON LA MAESTRA DI GESÙ. ”SUO FIGLIO È EDUCATO ” LE DICE LA MAESTRA “ E BRAVO IN LETTERE. MA IN MATEMATICA... CONTINUA A DIRE CHE 5 PANI + 3 PESCI =4287 PANI" GIUSEPPE: “ E PENSARE CHE VIVRÀ SOLO 33 ANNI...” MARIA: “BEH PER ESSERE UN PALESTINESE È GIÀ TANTO!” GESÙ HA APPENA TERMINATO DI RACCONTARE LA PAROBOLA DEI TALENTI. E COME SEMPRE CONCLUDE: CHI VUOLE INTENDERE, IN TENDA. TUTTI GLI ALTRI IN CAMPER” IV SOTTOMENU CHIESE E DENARO Un rapporto ambiguo, secondo il teologo Daniel Marguerat, dell'Università di Losanna (Tania Buri) Nel corso della storia la chiesa ha tenuto un discorso molto ambiguo sul denaro. Da un lato ha colpevolizzato i ricchi brandendo contro di essi le minacce profetiche. Dall’altro lato ha sollecitato senza ritegno le loro elemosine allo scopo di finanziare le proprie opere. È vero che l’attenzione caritatevole dei cristiani nei confronti dei poveri è stata e resta notevole, sottolinea il professor Daniel Marguerat, professore emerito della Facoltà di teologia di Losanna. Il ruolo sociale della diaconia cristiana meriterebbe maggiore considerazione, in particolare da parte dei sostenitori di un laicismo aggressivo. L’errore commesso dalla chiesa è stato tuttavia quello di basare le richieste di fondi su una colpevolizzazione dei ricchi. L’aggressività di cui oggi la chiesa è fatta oggetto è in parte frutto di tale manipolazione delle coscienze. Nel Nuovo Testamento Gesù definisce il denaro “Mammona” e spiega che gli uomini non possono servire Dio e il denaro. La visione del denaro è cambiata tra l’Antico e il Nuovo Testamento? La Bibbia ebraica non mette in concorrenza Dio e il denaro, al contrario considera il secondo come un segno della benedizione divina. La saga dei patriarchi mostra che una grande famiglia, greggi abbondanti e una lunga vita sono altrettanti segni della presenza di un Dio buono. A un lettore dell’Antico Testamento non verrebbe mai in mente di affermare che il possesso è una cosa vergognosa. I beni sono considerati in modo positivo, è la disuguaglianza nella loro ripartizione a costituire un problema? La compresenza di ricchi e di poveri è considerata uno scandalo nella misura in cui questi ultimi sono privati della loro porzione di benedizione divina. Per questo motivo il Deuteronomio introduce una legislazione audace che mira ad assicurare ai poveri ciò che spetta loro di diritto in quanto membri del popolo. Era già stato introdotto un patto sociale? La Legge definisce una sorta di patto sociale minimo che pur non sopprimendo la povertà, ne attenua gli effetti. Tale patto non fa appello alla carità o ai sentimenti, ma traccia i contorni di una giustizia sociale che condiziona la ricerca della benedizione di Dio su Israele. Per contrastare la povertà Israele introduce l’anno sabbatico o giubileo. Ogni sette anni il popolo è chiamato a cancellare i debiti e a liberare gli schiavi. L’agricoltore deve lasciar riposare la propria terra. Durante questo periodo sabbatico la sua terra diventa proprietà pubblica. I beni dell’uomo rientrano nell’ambito del dono. Ancora un’idea controcorrente? Una regola su cui la Bibbia ebraica non transige è l’offerta delle primizie del raccolto e dei primogeniti del gregge. Questo gesto ritualizza sicuramente la riconoscenza nei confronti della Provvidenza divina: l’uomo riconosce in questo modo che i suoi beni rientrano nell’ambito del dono. Patto sociale, ridistribuzione delle eccedenze, giubileo. Eppure tali misure non hanno impedito, nell’antico Israele, il fenomeno della pauperizzazione... Se il possesso di beni non viene mai penalizzato, nel Nuovo Testamento come nell’Antico, il suo abuso è invece denunciato. Il “guai a voi, ricchi” di Gesù estende questa vena di collera profetica. Si erge contro l’egoismo dei ricchi che precipitano i poveri nella miseria. Mira a distogliere i benestanti dal loro errore e dalla loro sordità, affinché si assumano la responsabilità che deriva dai beni che possiedono. Il pericolo segnalato è spaventoso: accaparrata per il solo profitto del proprietario, la benedizione del denaro può trasformarsi in maledizione. Se la ricchezza non genera una responsabilità nei confronti dei poveri si trasforma in godimento perverso dei beni. Ritorniamo al denaro-Mammona. Perché Gesù gli attribuisce il nome di un idolo? Gesù denuncia il fascino esercitato dal denaro. Tale fascino non permette di vedere il denaro in quanto tale, ma ciò che esso rappresenta: la riuscita, il successo, il potere, l’ammirazione. Il denaro diventa un rimedio che assicura l’immortalità. La breve parabola del ricco contadino descrive questo fenomeno con ironia. L’uomo è talmente ricco che intende costruire dei granai più grandi per immagazzinarvi i suoi raccolti e i suoi beni. Intende in seguito riposarsi e fare festa. Ma morirà prima di averne potuto approfittare. L’ironia della parabola si palesa quando il grosso proprietario dice a sé stesso: “Riposati” e, nel momento stesso in cui sperava di aver trionfato sulla propria fragilità, la morte se lo porta via. Per questo Gesù definisce Mammona “ingannevole”. Perché non mantiene le sue promesse. Il dono e la gratuità come antidoti? Il filosofo protestante Jacques Ellul ha trovato una formula felice: bisogna profanare il denaro. Ellul invita a una desacralizzazione del denaro-Mammona, che lo privi delle sue promesse illusorie per restituirgli la funzione di strumento materiale di scambio. Come realizzare questa impresa profanatrice? Il filosofo invita i cristiani a introdurre, in un società dominata dal denaro-Mammona,l’elemento del dono e della gratuità. Moralizzare il capitalismo? Nella sua opera L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, un libro del 1904, Max Weber ha sostenuto che riconducendo la vocazione del cristiano al centro della creazione, il protestantesimo avrebbe creato le condizioni per la nascita del capitalismo. Un noto atto di Giovanni Calvino fu di autorizzare il prestito a interesse. Vietato dalla chiesa cattolica, fu praticato nel corso di tutto il medioevo dagli ebrei, ai quali era permessa soltanto questa attività finanziaria. Calvino infrange il tabù reputando che tale proibizione ostacoli lo sviluppo della libera impresa: il denaro tesaurizzato è improduttivo, il prestito a interesse è un mezzo per metterlo in circolazione. Il Riformatore di Ginevra ha previsto dei prestiti senza interesse per le persone bisognose... Il Riformatore di Ginevra è stato indicato, non senza biasimo, come il “padre del capitalismo”. Come se con quel suo atto avesse liberato i demoni della ricerca del profitto. Ma Giovanni Calvino non ha semplicemente liberalizzato il mercato del denaro a vantaggio degli imprenditori della sua epoca. Il Riformatore ha allo stesso tempo differenziato chiaramente due tipi di prestito (per usare termini attuali): il credito al consumo e il credito alle imprese. Il credito alle imprese deve esigere un interesse moderato. Contrariamente a molti suoi contemporanei Calvino reputa che il denaro sia produttivo come qualsiasi altra merce e che sia legittimo che il creditore riceva la sua parte di quella ricchezza sotto forma di interessi. Invece il credito al consumo è accordato a qualcuno che è nel bisogno: tale prestito deve essere privo di interessi e nemmeno ci si deve aspettare la riconoscenza del debitore. Le soluzioni escogitate dal Riformatore di Ginevra potrebbero ispirare anche oggi il discorso delle chiese: positivo sul denaro, fermo sugli abusi, inquisitore sui valori investiti nell’arricchimento (trad. it. Giacomo Mattia Schmitt). http://www.voceevangelica.ch/news/news.cfm?id=15038 APPROFONDIMENTO LA DECIMA Il dare la decima in una chiesa battista, non significa solo autofinanziarsi, ma riconoscersi gli uni gli altri facenti parte di un unico corpo in Cristo dove ognuno è un membro 1Corinzi 12:12 “Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche di Cristo”. Dare la decima significa anche instaurare una relazione tra credenti e mebra del corpo di Cristo e avere un senso di gratitudine a Dio che gratuitamente ci ha donato e che permette alle singole mebra di questo corpo di donarsi agli altri. La decima nella Bibbia e nelle prime chiese: Nella Bibbia, la decima (in ebraico מעׂשר, ma‛ăśêr, in greco δεκάτη, dekatē) è l'offerta regolare al Tempio della decima parte dei prodotti del suolo e del gregge (Levitico, 27:30-32). La decima era già praticata in tempi antichissimi come segno di riconoscenza a Dio dal quale proviene ogni cosa (Genesi, 14:20; 28:22). Il Deuteronomio insiste su questo carattere di riconoscenza, manifestato anche dal gioioso banchetto che ne accompagnava la presentazione (Deuteronomio, 12:18; 14:2226; 12-15). Le decime servivano a provvedere alle necessità del culto nel tempio ed erano concesse in proprietà ai Leviti (Numeri, 18:20-24). Questi, a loro volta, davano ai sacerdoti la decima di quel che possedevano (Numeri, 18:25-28; Neemia 10:37,38). Così, però, la decima perde il suo carattere di sacrificio di riconoscenza. Nel Giudaismo la decima diventa oggetto di minuziose prescrizioni, cui i Farisei davano grande importanza. Gesù predica contro l'ipocrisia di pagare la decima della menta, dell'aneto e del comino e trascurare lo spirito dei precetti religiosi (Matteo, 23:23; Luca, 18:12). Nella chiesa apostolica non si trovano esempi di contributi ecclesiastici fissi ed obbligatori, ispirati all'antico uso delle decime. La Chiesa antica prescriveva per i suoi membri il pagamento della decima. Questa differiva dalle regole dell'Antico Testamento nel fatto che era considerata l'assoluto minimo[non chiaro], e doveva essere calcolata sulla base delle proprie entrate totali. La Didaché stabiliva che bisognasse dare le primizie del "denaro, vestiti, e di tutte le vostre proprietà" (13:7). V SOTTOMENU EVANGELICI ILLUSTRI https://youtu.be/Zk2WAhd-aAY link esterno Ezechiele 34:23 Porrò sopra di esse un solo pastore che le pascolerà: il mio servo Davide; egli le pascolerà, egli sarà il loro pastore. (EN) (IT) « I have a dream: that one day this nation « Ho un sogno: che un giorno questa will rise up and live out the true meaning of nazione si sollevi e viva pienamente il vero its creed: "We hold these truths to be selfsignificato del suo credo: "Riteniamo queste evident, that all men are created equal" » verità di per se stesse evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali" » (Martin Luther King, 28 agosto 1963, Washington, discorso[1] al Lincoln Memorial durante la marcia per lavoro e libertà Esistevano in America fontanelle pubbliche separate per bianchi e neri. A teatro, le balconate erano altrettanto separate e così i posti negli autobus pubblici. La lotta per cambiare queste condizioni e guadagnare la parità dei diritti di fronte alla legge per i cittadini di qualsiasi razza è stata la scelta di fondo della breve vita di Martin Luther King. Pacifista convinto e grande uomo del Novecento, Martin Luther King Jr. nasce il 15 gennaio 1929 ad Atlanta (Georgia), nel Profondo sud degli States. Suo padre era un predicatore della chiesa battista e sua madre una maestra. I King inizialmente vivono nella Auburn Avenue, soprannominata il Paradiso Nero, dove risiedono i borghesi del ghetto, gli "eletti della razza inferiore", per dirla con un'espressione paradossale in voga al tempo. Nel 1948 Martin si trasferisce a Chester (Pennsylvania) dove studia teologia e vince una borsa di studio che gli consente di conseguire il dottorato di filosofia a Boston. Qui conosce Coretta Scott, che sposa nel '53. A partire da quell'anno, é pastore della Chiesa battista a Montgomery (Alabama). Nel periodo '55-'60, invece, è l' ispiratore e l' organizzatore delle iniziative per il diritto di voto ai neri e per la parità nei diritti civili e sociali, oltre che per l'abolizione, su un piano più generale, delle forme legali di discriminazione ancora attive negli Stati Uniti. Nel 1957 fonda la "Southern Christian Leadership Conference" (Sclc), un movimento che si batte per i diritti di tutte le minoranze e che si fonda su ferrei precetti legati alla non-violenza di stampo gandhiano, suggerendo la nozione di resistenza passiva. Per citare una frase di un suo discorso: "...siamo stanchi di essere segregati e umiliati. Non abbiamo altra scelta che la protesta. Il nostro metodo sarà quello della persuasione, non della coercizione... Se protesterete con coraggio, ma anche con dignità e con amore cristiano, nel futuro gli storici dovranno dire: laggiù viveva un grande popolo, un popolo nero, che iniettò nuovo significato e dignità nelle vene della civiltà.". Il culmine del movimento si ha il 28 agosto 1963 durante la marcia su Washington quando King pronunci a il suo discorso più famoso "I have a dream...." ("Ho un sogno"). Nel 1964 riceve ad Oslo il premio Nobel per la pace. Durante gli anni della lotta, King viene più volte arrestato e molte manifestazioni da lui organizzate finiscono con violenze e arresti di massa; egli continua a predicare la non violenza pur subendo minacce e attentati. "Noi sfidiamo la vostra capacità di farci soffrire con la nostra capacità di sopportare le sofferenze.metteteci in prigione, e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli, e noi vi ameremo ancora Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case nell' ora di mezzanotte, batteteci e lasciateci mezzi morti, e noi vi ameremo ancora. Fateci quello che volete e noi continueremo ad amarvi. Ma siate sicuri che vi vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno noi conquisteremo la libertà, ma non solo per noi stessi: faremo talmente appello alla vostra coscienza e al vostro cuore che alla fine conquisteremo anche voi, e la nostra vittoria sarà piena. Nel 1966 si trasferisce a Chicago e modifica parte della sua impostazione politica: si dichiara contrario alla guerra del Vietnam e si astiene dal condannare le violenze delle organizzazioni estremiste, denunciando le condizioni di miseria e degrado dei ghetti delle metropoli, entrando così direttamente in conflitto con la Casa Bianca. Nel mese di aprile dell'anno 1968 Luther King si recò a Memphis per partecipare ad una marcia a favore degli spazzini della città (bianchi e neri), che erano in sciopero. Mentre, sulla veranda dell'albergo, s'intratteneva a parlare con i suoi collaboratori, dalla casa di fronte vennero sparati alcuni colpi di fucile: King cadde riverso sulla ringhiera, pochi minuti dopo era morto. Approfittando dei momenti di panico che seguirono, l'assassino si allontanò indisturbato. Erano le ore diciannove del 4 aprile. Il killer fu arrestato a Londra circa due mesi più tardi, si chiamava James Earl Ray, ma rivelò che non era stato lui l'uccisore di King; anzi, sosteneva di sapere chi fosse il vero colpevole. Nome che non poté mai fare perché venne accoltellato la notte seguente nella cella in cui era rinchiuso. Ancora oggi il mistero della morte dell'indimenticabile leader nero rimane insoluto. A lui sono oggi dedicate molte vie, piazze, poesie e canzoni; non ultima la famosissima "Pride - In the name of love" degli U2. Rosa parks La situazione di segregazione e negazione dei più elementari diritti civili alla comunità nera, a Montgomery come in molte altre parti degli USA, aveva già portato molta tensione nella comunità afroamericana. Il 2 marzo del 1955 a Montgomery alcuni bianchi salirono su un autobus, non essendoci posti liberi l'autista pretese che quattro donne nere, che si erano sedute nei posti di mezzo, si alzassero lasciando il loro posto a quei ragazzi bianchi, due ubbidirono mentre altre due no. Accorsa la polizia a dirimere la questione, Claudette Colvin, una studentessa quindicenne reclamò i suoi diritti essendosi seduta prima, venne fatta scendere e arrestata Il caso viene messo al vaglio di una commissione della comunità afroamericana, in cui siede anche King il quale, assieme agli attivisti Edgar Nixon e Clifford Durr, decide di non prendere iniziative, al momento. Il 1º dicembre 1955 Rosa Parks per essersi rifiutata di lasciare il suo posto, sempre quello di mezzo, messo a disposizione di tutti, per far sedere un uomo bianco venne arrestata, accusata di aver violato le leggi sulla segregazione. La donna apparteneva al Movimento per i Diritti Civili americano (NAACP); avvertì Edgar Nixon che ne firmò la garanzia.[28] In un primo momento la notizia del sopruso scatenò una reazione violenta da parte della comunità nera di Montgomery, e la polizia reagì agli incendi degli autobus e alle vetrine fracassate sparando. Nixon avvertì King dell'accaduto e dopo un incontro nella sua chiesa dove parteciparono più di quaranta leader della comunità afroamericana,[29] su proposta di L. Roy Bennett, presidente della Interdenominational Alliance attuando un sistema di protesta non violento, basato sul boicottaggio, si decise che il giorno 5 dicembre 1955 nessuno nero dovesse utilizzare gli autobus. L'autobus dove la Parks fu arrestata Il giorno stesso si ebbe la sentenza: Parks venne condannata a pagare una multa pari a 10 dollari a cui si aggiunsero le spese per il processo. La sera si tenne una riunione di massa, tenutasi nella chiesa battista di Holt Street, si formò il MIA Montgomery Improvement Association (Associazione per il miglioramento di Montgomery) nome scelto su proposta di Ralph Abernathy, di cui Martin venne eletto presidente. Il boicottaggio dei mezzi pubblici assunse proporzioni sempre più vaste man mano la notizia si diffuse: la comunità afroamericana si spostava come poteva, a piedi o con l'aiuto di tassisti afroamericani, che avevano abbassato le loro tariffe sino a quella degli autobus e liberi cittadini che si prestavano volentieri alla protesta. In un incontro dell'8 dicembre con la commissione municipale Clyde Sellers ricordò l'esistenza di una legge che stabiliva una tariffa minima per la corse dei tassì, 45 centesimi contro i 10 richiesti a cui nei giorni seguenti i tassisti furono obbligati a rispettare. King dopo essersi consultato con Theodore Jemison che aveva vissuto un'esperienza simile espose in un'assemblea i fatti ricevendo offerte di autisti disposti a trasportare le persone, le auto a disposizione furono circa trecento, e si organizzarono luoghi di raccolta. Ci furono delle trattative in municipio dove King voleva presentare 3 punti su cui discutere, fra cui la richiesta di rispettarre l'ordine in cui si saliva sui mezzi pubblici, ma venne obiettato dal legale Jack Crenshaw che la loro proposta violava l'ordinanza municipale e non si concluse nulla Si diffuse un finto accordo tenutosi il 22 gennaio con persone non aderenti al MIA e riuscirono a smentire l'accaduto in tempo, continuando la loro azione di disturbo, mentre in sindaco annunciò in televisione che si doveva combattere il boicottaggio. Il 26 gennaio 1956 Luther King si trovava alla guida della propria auto e decise di raccogliere alcune persone con cui condivise il viaggio, notando di essere seguito da un poliziotto cercò di rispettare il codice stradale, ma venne fermato, e con il pretesto di eccesso di velocità, arrestato e incarcerato. Condotto al carcere municipale di Montgomery gli vennero prese le impronte digitali. Si formò una folla davanti al carcere e alla fine venne rilasciato, lui stesso firmò l'impegno alla cauzione. Intanto la rabbia della comunità bianca montò sempre di più, fino a sfociare nella violenza (in buona parte dal Ku Klux Klan), ogni giorno la famiglia King riceveva lettere minatorie, anche decine di esse, il 30 gennaio intorno alle 21 e 30 venne scagliata una bomba nella casa di King. Lui al ritorno notando la molta gente armata radunatasi e la tensione che si respirava tenne un discorso con cui placò gli animi e Coretta disse al padre, che era venuto a prenderla, che non poteva lasciare il marito in questo momento. La notizia della protesta cominciò a riscuotere consensi anche fuori dall'Alabama, e il movimento afroamericano riceve fondi e sostegno morale anche da paesi lontani. Charles spurgeon Charles Haddon Spurgeon, comunemente C.H. Spurgeon (Kelvedon, 1834 – 1892), è stato un predicatore battista riformato britannico dell'800 la cui influenza continua a rimanere oggi molto grande fra cristiani riformati di diversa denominazione, fra i quali è ancora conosciuto come "il principe dei predicatori". Primi anni Nato a Kelvedon nell'Essex (Inghilterra), la conversione di Spurgeon alla fede cristiana avviene il 6 gennaio 1850 all'età di 15 anni. Sulla via che lo portava ad un appuntamento che aveva programmato, una tormenta di neve lo costringe a riparare in una chiesa metodista di Colchester, dove era in corso un culto. Il predicatore stava predicando sul testo di Isaia 45:22: "Volgetevi a me e siate salvate, voi tutte estremità della terra. Poiché io sono Dio e non c'è alcun altro". Quella predicazione lo colpisce così tanto che, come lui stesso affermerà, "Quel giorno il Signore ha aperto il mio cuore al messaggio della salvezza". Più tardi (il 4 aprile 1850) viene accolto come membro della comunità evangelica. Il 3 maggio segue il suo battesimo nel fiume Larl, a Isleham. Più tardi in quello stesso anno si trasferisce a Cambridge. Predica il suo primo sermone nel 1851 e, sin dall'inizio del suo ministero, il suo stile ed indubbie capacità oratorie, lo portano a distinguersi ben al di sopra della media dei predicatori di quel tempo. Quello stesso anno viene consacrato pastore di una piccola chiesa battista a Waterbeach nella contea di Cambridge, dove pubblica la sua prima opera letteraria, un trattatello evangelistico scritto nel 1853. Il pulpito di New Park Street Nel 1854, dopo aver predicato per tre mesi in prova e appena quattro anni dopo la sua conversione, Spurgeon, all'età di soli 19 anni, viene chiamato a servire come pastore della famosa chiesa evangelica di Londra New Park Street Chapel di Southwark (precedentemente condotta dai pastori battisti calvinisti Benjamin Keach, il teologo John Gill e John Rippon). A quel tempo era la chiesa battista più numerosa di Londra, sebbene il numero dei suoi membri avesse molto oscillato nel corso del tempo. Spurgeon trova a Londra numerosi amici fra i suoi colleghi pastori, come William Garrett Lewis, della Westbourne Grove Church, un uomo più anziano con cui più tardi Spurgeon fonderà l'Associazione Battista di Londra. Pochi mesi dopo l'arrivo di Spurgeon a Park Street, la sua potenza di predicatore lo rende famoso in tutta la città. L'anno seguente viene pubblicato il primo dei suoi sermoni nella raccolta "New Park Street Pulpit". I sermoni di Spurgeon erano pubblicati a stampa ogni settimana e subito godono di vasta diffusione. Nell'anno della sua morte, il 1892, egli avrebbe predicato quasi 3600 sermoni e pubblicati 49 volumi di commentari, citazioni, aneddoti, illustrazioni e testi devozionali. La sua fama è pure accompagnata da molte controversie. Il primo attacco contro di lui nella stampa appare in "Earthen Vessel" nel gennaio 1855. La sua predicazione, sebbene non rivoluzionaria, è un chiaro e diretto appello all'uditorio a considerare le sfide poste da Gesù Cristo attraverso gli scritti della Bibbia a singoli ed alla società. Gli attacchi critici dei media nei suoi confronti continueranno per tutta la sua vita. Il richiamo e la straordinaria efficacia della sua predicazione ben presto rende i locali della sua chiesa inadeguati a ospitare un pubblico sempre crescente. La comunità decide, allora, di trasferirsi alla Exeter Hall e poi alla Surrey Music Hall. In questi nuovi locali le predicazioni dello Spurgeon vengono udite ogni settimana da una media di 10.000 persone, e il tutto molto tempo prima dei moderni sistemi di amplificazione della voce. All'età di 22 anni Spurgeon diventa il più popolare predicatore del tempo. L'8 gennaio 1856, Spurgeon sposa Susannah, figlia di Robert Thompson di Falcon Square, Londra, dalla quale ha due figli gemelli, Charles e Tomas, il 20 settembre 1856. Alla fine di quell'anno, la tragedia lo colpisce quando, il 19 ottobre 1856, mentre Spurgeon sta predicando alla Surrey Gardens Music Hall per la prima volta, qualcuno dalla folla grida: "Al fuoco!". S'ingenera così un tale panico e parapiglia che diversi vengono calpestati a morte. Spurgeon ne rimane devastato emozionalmente, tanto che la cosa avrà una notevole influenza sul suo carattere. Lotta per molti anni contro la depressione e afferma di scoppiare ogni tanto a piangere per alcun motivo apparente. La sua opera, però, procede. Nel 1857 fonda un College per la preparazione al ministero di nuovi pastori, che, nel 1923 viene chiamato "Spurgeon College" quando si trasferisce nell'edificio in cui ancora oggi è ospitato, a South Norwood Hill, Londra. Il 7 ottobre 1857 egli predica al più vasto uditorio da lui raggiunto in una sola volta, cioè a 23.654 persone radunate al Crystal Palace di Londra. Spurgeon scrive: "Nel 1857, un giorno due prima di predicare al Crystal Palace, mi reco in quell'auditorium per decidere dove sistemare il pulpito per verificare le proprietà acustiche dell'edificio e grido ad alta voce: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo!". In un'ala del vasto auditorium, un operaio al lavoro, che non aveva idea alcuna di quel che stesse avvenendo, ode quelle parole e per lui diventano un messaggio del cielo rivolto alla sua anima. Si persuade nel profondo del suo cuore di essere un peccatore bisognoso della grazia e del perdono di Dio. Depone i suoi attrezzi, torna a casa e là, dopo un periodo di intenso travaglio spirituale trova la sua pace in Cristo, l'Agnello di Dio. Anni dopo, egli racconta di questa sua esperienza ad uno che gli aveva fatto visita presso il suo letto di morte". Il pulpito del Metropolitan Tabernacle Il 18 marzo 1861 la comunità si trasferisce permanentemente nella chiesa costruita appositamente, il Metropolitan Tabernacle ad Elephant and Castle, Soutwark, che può ospitare 5000 persone sedute e un altro migliaio in piedi. Il Metropolitan Tabernacle diventa il più vasto edificio religioso del tempo e può essere considerato il precursore delle "mega-chiese" americane. È al Tabernacle che Spurgeon continua a predicare diverse volte alla settimana fino alla sua morte 31 anni più tardi. Al termine dei suoi sermoni egli non invita mai direttamente gli astanti ad avvicinarsi al pulpito per dichiarare la propria fede in Cristo rispondendo così alla predicazione (com'è l'usanza in molte chiese evangeliche), ma sempre invita chi si è sentito toccato dalla predicazione tanto da comprendere come l'opera di Cristo lo riguardi personalmente, a venire per un colloquio con lui in sacrestia il lunedì mattina. Regolarmente, il giorno seguente, vi sarebbe sempre stato qualcuno alla sua porta per ricevere da lui consiglio, direzione personale e preghiera. Spurgeon sempre scrive completamente i suoi sermoni prima di predicare, ma quel che porta al pulpito è che un foglietto con soltanto lo schema dei diversi punti toccati dal sermone. Degli stenografi, poi, avrebbero trascritto il sermone mentre lo presentava. Spurgeon, poi, avrebbe avuto l'opportunità di rivedere la loro trascrizione il giorno seguente per la pubblicazione immediata. I suoi sermoni settimanali erano poi venduti ad un penny ciascuno per circolare ampiamente. Essi rimangono a tutt'oggi fra le serie di predicazioni best-seller mai pubblicate nella storia. Oltre ai sermoni, Spurgeon scrive diversi inni e pubblica una nuova raccolta di canti per il culto nel 1866 chiamata "Our Own Hymn Book" (il nostro innario). Era prevalentemente una compilazione dei Salmi ed Inni di Isaac Watts, scelti originalmente da John Rippon, un predecessore battista di Spurgeon. Ciò che rimane notevole rispetto alla pratica moderna è che il canto della comunità avvenisse, sotto il suo pastorato, esclusivamente "a cappella", cioè senza accompagnamento musicale. È stupefacente come migliaia di persone potessero allora udire la sua predicazione senza l'ausilio dei moderni impianti di amplificazione. Gli inni era un argomento che Spurgeon prendeva molto seriamente. Mentre Spurgeon ancora predicava alla New Park Street, viene pubblicato un innario dal titolo "The Rivulet". Il 5 giugno 1862, Spurgeon attacca direttamente il battesimo dei bambini in un suo famoso sermone chiamato "Baptismal Regeneration". Spurgeon, però, si da la pena di dialogare con cristiani di diversa tradizione. È durante questo periodo al nuovo Tabernacle che Spurgeon trova un amico in James Hudson Taylor, il fondatore dell'opera missionaria interdenominazionale "China Inland Mission". Spurgeon appoggia finanziariamente quest'opera e dirige molti giovani ad operare nell'ambito di questa missione con Taylor. Egli pure contribuisce all'opera dell'evangelizzazione trans-culturale promuovendo il "Libro senza parole", un sussidio didattico che egli descrive in un messaggio pronunciato l'11 gennaio 1866 sul testo del Salmo 51:7 "Purificami con issopo, e sarò mondo; lavami, e sarò più bianco della neve". Questo "libro" è stato usato ed è ancora usato per raggiungere con l'Evangelo migliaia di persone analfabete in tutto il mondo. Sulle orme di un'altra figura cristiana di rilievo che ammira, benché di altra denominazione, George Muller, Spurgeon fonda l'Orfanotrofio Stockwell, aperto per ragazzi nel 1867 e per ragazze nel 1879 e che rimase in attività fintanto che l'edificio fu bombardato durante la seconda guerra mondiale. Questo orfanotrofio continua a tutt'oggi la sua attività con il nome "Spurgeon's Church Care". Alla morte del missionario David Livingstone nel 1873, anni dopo, fra le sue carte, viene trovata una copia scolorita di uno dei sermoni pubblicati di Spurgeon, "Incidenti, non castighi" con un commento scritto da lui a mano in cima della prima pagine: "Molto buono. D. L.". Lo aveva portato per le sue peregrinazioni in Africa ed era stato restitituito allo stesso Spurgeon che l'aveva conservato con riconoscenza. Altre polemiche sorgono fra i suoi colleghi battisti nel 1887 con la pubblicazione del suo saggio "Down-grade" (Degrado) in cui descrive il declino spirituale che avviene in quel tempo fra le chiese. Questo porta la sua comunità, il Metropolitan Tabernacle, a staccarsi dall'Unione Battista inglese ed a diventare la più grande chiesa nondenominazionale del tempo. Spesso la moglie di Spurgeon era troppo malata per uscire di casa ed udirlo predicare. Anche Spurgeon soffre di cattiva salute al termine della sua vita, afflitto da una combinazione di reumatismi, gotta e sindrome di Bright. Per curarsi, spesso si recava a Mentone, vicino a Nizza, in Francia, dove morirà il 31 gennaio 1892. La moglie ed i figli di Spurgeon gli sopravvivono. I suoi resti sono conservati nel cimitero West Norwood di Londra. Karl Barth Tra uomo e Dio Karl Barth nasce a Basilea (Svizzera) il 10 maggio 1886. Teologo e pastore calvinista, ha fatto irruzione sulla scena teologica e filosofica europea all'inizio degli anni '20 del Novecento con quella che è poi rimasta la sua opera più letta e commentata: l'"Epistola ai Romani" (Roemerbrief). Con questo testo ha dato inizio a un movimento teologico denominato "teologia dialettica" contrapposto alla "teologia liberale" di matrice storicista e romantica. Compito della teologia è quello di riaffermare, secondo Barth, la relazione "dialettica", paradossale, inconcepibile, di "rottura" tra Dio e il mondo (l'uomo, la cultura, la storia) contrariamente a quanto affermato dai teologi liberali (Harnack, Troeltsch) che asserivano invece una continuità tra Dio e l'uomo, considerando la fede come un elemento dell'interiorità psicologica dell'uomo e la teologia come l'analisi storicocritica della Scrittura. Dopo la fase polemica iniziale Barth si assesterà su posizioni più morbide. Senza smentire mai l'originaria affermazione della trascendenza di Dio ("totalmente Altro" rispetto all'uomo e al mondo) Barth affermerà la predominanza dell'aspetto della relazione e dell'incontro tra uomo e Dio nell'evento di Gesù Cristo. Testo fondamentale di questa fase è la monumentale "Dogmatica Ecclesiale" (Kirchliche Dogmatik) in 13 tomi che ha impegnato l'Autore dal 1932 alla morte (1968). Nel pensiero di Barth si possono individuare quattro momenti cruciali di sviluppo: - la formazione alla scuola della teologia liberale fino alla rottura con essa; - il Roemerbrief, cioè la "fase dialettica"; - la fase di passaggio del Fides quaerens intellectum; - la fase dogmatica matura della Kirchliche Dogmatik. La formazione, fonti e influenze Karl Barth studia presso varie Università svizzere e tedesche acquisendo una formazione in linea con le tendenze dominanti nel mondo protestante di inizio Novecento. Suoi maestri sono i teologi liberali Herrmann e Harnack, sue letture preferite Schleiermacher e Kant. In linea con questa corrente teologica Barth matura interesse per l'indagine storico-critica, l'interpretazione della fede come "sentimento interiore", la riduzione del cristianesimo a messaggio morale di cui Cristo sarebbe stato il più esemplare portatore. Nel tempo varie influenze si sovrappongono a questa base e portano Barth a maturare una sensibilità molto diversa. L'attività pastorale, iniziata nel 1909, il contatto con la questione operaia, la povertà materiale e culturale dei suoi parrocchiani, la difficoltà a trasmettere e insegnare il Regno di Dio... maturano in lui la convinzione della abissale distanza tra la teologia liberale, che aveva imparato all'Università, e la condizione esistenziale concreta della chiesa. Il Regno di Dio diventa una realtà "indicibile", problematica, trascendente e che se agisce, agisce al di fuori delle capacità umane e delle istituzioni storiche. Lo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, porta Barth a prendere le distanze dai suoi maestri tedeschi che avevano dichiarato il loro sostegno alla guerra. Egli vive così il "tramonto degli dei", è portato a valutare criticamente i suoi maestri e le sue convinzioni. L'incontro con i Blumhardt, due pastori carismatici, padre e figlio, che si fanno portatori di un messaggio carico di speranza (presso di loro avvenivano pellegrinaggi e malati mentali guarivano) alimenta in Barth l'idea di un Dio liberatore e rinnovante, che libera, salva, e dà speranza al mondo con il suo intervento miracoloso e di grazia. La lettura di Platone, attraverso il fratello Heinrich, lo porta a evidenziare il concetto di un'«origine» trascendente, di un piano ideale, «altro» e trascendente rispetto al mondo limitato e carico di problematicità e non-senso. Il teologo Overbeck e l'influsso illuminista di cui egli è debitore introducono in Barth la concezione di un cristianesimo in totale contraddizione rispetto al mondo e alla cultura. Il messaggio cristiano e Gesù Cristo possono essere compresi solo al di fuori degli schemi storici come fatti appartenenti alla "Urgeschichte" (protostoria o storia originaria). La scoperta di Dostoevskij si traduce in una lettura del mondo e dell'esistenza come di una realtà problematica, stratificata, piena di contraddizioni. La chiesa stessa viene vista come una istituzione umana, limitata e al tempo stesso prometeica in quanto intende sostituirsi a Dio. Infine un influsso non determinante, ma chiarificatore è quello di Kierkegaard: grazie al filosofo danese Barth mette ordine nel "materiale mentale" raccolto attraverso tutti questi stimoli e trova la formula dell'«infinita differenza qualitativa tra il tempo e l'eternità» che sta alla base di tutta la sua speculazione in particolare negli anni '20, ma anche dopo. In questa prospettiva la fede è un dono di grazia, un incontro indeducibile tra uomo e Dio, un salto abissale che non si può spiegare con le categorie filosofiche e che si situa al di fuori del tempo e della storia. Gli influssi di Dostoevskij e Kierkegaard avvicinano Barth ai temi e alla sensibilità dell'esistenzialismo, pur senza identificalo con questo movimento in quanto per Barth la centralità sta in Dio e non nell'uomo e nella sua esistenza. Il Roemerbrief (RB) e la fase dialettica Risultato maturo del travaglio e dell'evoluzione giovanile di Barth è il RB del 1922 (una prima edizione poi totalmente rifatta era uscita nel 1919). Esso è il manifesto della cosiddetta "teologia dialettica". Il termine "dialettica" sta ad indicare la tendenza di fondo di questa teologia per cui: 1) Dio e l'uomo si trovano in un rapporto statico-dualistico irriducibile, secondo una dialettica di matrice kierkegaardiana, tra i due termini non c'è sintesi, ma solo contrasto e differenza; 2) in virtù di questo Dio stesso si manifesta all'uomo in termini dialettici, contraddittori, paradossali, di Lui quindi non si può parlare mai in termini lineari, logici e definitivi; 3) di conseguenza l'esistenza stessa dell'uomo, la storia, il mondo sono immersi nella paradossalità, nella problematicità, nel non-senso in un circolo chiuso che umanamente non si può rompere. Alla base del RB stanno due affermazioni su Dio "dialettiche" che attraversano tutto il testo e che non trovano mai una conciliazione suprema. 1) Dio è "totalmente Altro" rispetto all'uomo, al mondo, alla storia, al tempo. Tra Dio e mondo vi è una irriducibile e infinita "differenza qualitativa". L'uomo è perciò immerso "a priori" in un circolo chiuso di peccato e problematicità che lo porta a porsi continue domande senza trovare risposte definitive. L'uomo è posto in una crisi insolubile di cui è consapevole, ma che non riesce a superare. Questa crisi apre uno spazio: dall'esistenza emerge un interrogativo su una "origine" al di là del mondo e della storia in cui possano superarsi tutte le contraddizioni, ma tale origine non è mai umanamente possedibile e raggiungibile. Da questa considerazione di fondo seguono alcune conseguenze: L'uomo è peccatore e luogo privilegiato della domanda su Dio (ma non trova risposta). Le conoscenze umane sono tutte relative, fallaci e deboli, la teologia non può fare affermazioni "forti" su Dio, la fede è un salto indeducibile, uno spazio vuoto lasciato all'iniziativa di grazia divina. L'etica non può fondarsi sull'uomo, ma deve essere testimonianza del fallimento dell'uomo nella dimensione del "sacrificio". La politica deve fuggire dagli estremismi di rivoluzione e conservazione, perché entrambi finiscono con lo sfidare Dio e la sua salvezza. La religione corre costantemente il rischio del titanismo, di volere cioè raggiungere Dio. La chiesa si rivela spesso come il tentativo storico di "umanizzare Dio". 2) Dio può entrare in una indeducibile relazione di grazia con il mondo. Nonostante la sua infinita trascendenza, Dio non rinuncia a entrare in relazione con l'uomo, a incontrarlo e intervenire "tra i tempi" senza entrare "nel tempo". Ciò avviene in un atto indeducibile che può partire solo da Dio stesso che è la grazia o l'elezione divina. Con quest'atto Dio, nella sua assoluta libertà, fonda la fede nell'uomo permettendogli di uscire dalla sua problematicità e facendogli scorgere un barlume di eternità. Il risultato è che la realtà problematica e insensata del mondo acquisisce senso, si carica di un significato e diviene "simbolo", "parabola", "testimonianza" di qualcosa che va oltre il mondo. Lo scorrere indeterminato del tempo e la corruttibilità trovano una fissazione "simbolica" e un significato. Le conseguenze sono molteplici. L'uomo è "rinnovato" dalla fede in Dio e diviene "figlio" di Dio, pur senza identificarsi con Lui, la speranza della fede getta una luce nuova sull'esistenza, pur senza cancellare e annullare la condizione di peccato dell'uomo e quindi un suo margine di libertà e scelta. Le conoscenze acquisiscono significato alla luce di Dio, la teologia deve mettersi in ascolto della rivelazione, rinunciare a speculazioni metafisiche troppo umane e saper cogliere la "contemporaneità" che parla attraverso la Parola di Dio, la fede è l'accettazione di un dono che viene da Dio, l'obbedienza accettata a una chiamata. In campo etico occorre vivere come se noi fossimo Cristo, cioè amare il prossimo in modo totalmente gratuito. La religione diventa la più alta delle possibilità umane, perché è il luogo in cui l'uomo si apre alla trascendenza e alla grazia. La chiesa non mira più ad affermare se stessa, ma rinvia oltre sé, divenendo simbolo e testimonianza di una realtà trascendente. Di questi due aspetti del pensiero del RB quello più dirompente è il primo ed è quello più valorizzato dalla critica e anche dallo stesso Barth. Il Fides quaerens intellectum del 1931 Dopo la prima fase duramente polemica contro la teologia liberale, Barth ammorbidisce i suoi toni e descrive il rapporto tra fede (grazia divina) e ragione (intelletto umano) non più in termini così fortemente contrastanti, ma cerca di conciliare i due termini. La fede mantiene il suo assoluto primato, essa è dono di Dio, proveniente dalla grazia e indeducibile dalla storia e dalla psicologia. Tuttavia l'intelletto non è escluso dallo svolgere un suo ruolo: all'interno del dato della fede tocca all'intelletto infatti cercare di capire e comprendere. Barth vede questa impostazione in Anselmo d'Aosta e nel suo Proslogion. Quest'opera, lungi dall'essere la dimostrazione dell'esistenza di Dio sola ratione è in realtà la ricerca di conferme e di approfondimenti una volta che ci si trova già all'interno dalla fede stessa e che la si è accettata. Lo schema a cui Barth si rifà è il «credo ut intelligam» agostiniano, in cui il credo ha il primato sull'intelligo. Superata la fase polemica contro i teologi liberali, Barth recupera un ruolo alla ragione umana. In quest'opera più matura Dio e uomo, fede e ragione, eternità e tempo si trovano dunque in una maggiore collaborazione. L'umanità di Dio e la "fase dogmatica" A partire dagli anni '30 fino alla morte avvenuta il 10 dicembre 1968, il pensiero di Barth porta a compimento quell'ammorbidimento di posizioni che già si era intravisto nello studio su Anselmo d'Aosta . Testo cruciale di questa fase è la monumentale Dogmatica Ecclesiale (Kirchliche Dogmatik KD) in 13 volumi che impegnerà l'Autore per oltre trent'anni. Di rilievo e decisamente più accessibile è una conferenza del 1956 intitolata L'umanità di Dio in cui già dal titolo si nota un'evoluzione, senza tuttavia smentite, del suo pensiero. Tratti salienti di questa fase sono fondamentalmente tre: 1) una sempre più forte accentuazione dell'incontro tra Dio e l'uomo, l'eternità e il tempo che si trovano ora in una relazione di incontro, di «partnership» e di alleanza; 2) come conseguenza una concentrazione attorno a Cristo, luogo d'incontro tra Dio e uomo; 3) e infine definitivo primato della Rivelazione e della Parola sulle concezioni filosofiche. 1) L'incontro Dio-uomo. Barth mette sempre più in evidenza che il cuore del messaggio cristiano è la resurrezione, la salvezza, l'elezione, la grazia e non la condanna, la trascendenza, l'ira di Dio che rifiuta l'uomo e il mondo... Quest'ultimo aspetto e quindi l'idea del Dio «totalmente Altro» rispetto al mondo, cruciale nel RB, non viene mai eliminato da Barth, ma viene definito come «il duro involucro» che bisogna ammettere, ma che non rappresenta e non esaurisce affatto il «nocciolo buono» dell'amicizia tra uomo e Dio e quindi l'«umanità di Dio». Quel rapporto tra trascendenza di Dio e incontro con l'uomo (la kenosis) che nelle prime opere era più sbilanciato a favore del primo elemento (anche per ragioni di polemica intellettuale), si capovolge qui a favore del secondo elemento, senza perdere nulla (Dio rimane sempre una realtà trascendente all'uomo e mai possedibile). 2) La concentrazione cristologica. Come conseguenza di questa valorizzazione dell'incontro Dio-uomo il centro attorno a cui ruota la teologia è sempre più il Cristo, l'umanità di Dio, il luogo in cui Dio si fa uomo e ridà così una dignità al piano umano e storico. Primato della Rivelazione e della Parola. Legato a questi due punti e corollario di essi è la presa di coscienza che quando si parla di Dio in un discorso teologico occorre in primo luogo ascoltare la Rivelazione che Dio stesso ha dato di sé, la sua Parola. L'idea di un Dio-uomo è filosoficamente problematica, ma occorre accettarla sulla base della stessa autorivelazione di Dio, al contrario della trascendenza di Dio, filosoficamente più coerente, ma che va corretta e calibrata sulla base della Rivelazione e in particolare sulla persona di Gesù Cristo. In questa prospettiva la filosofia non è rigettata dalla teologia, ma essa diviene uno strumento per interpretare meglio la Rivelazione (sulla linea di quanto già detto da Barth nel Fides quaerens intellectum). L'importante è evitare di assolutizzare un sistema filosofico, ma essere sempre consapevoli dei limiti del pensiero umano mettendo ogni filosofia al servizio di una maggiore comprensione della fede (in questo senso Barth si definisce "eclettico" in filosofia). Punto di arrivo di questa evoluzione è l'elaborazione del metodo della analogia fidei all'interno della KD. Con questo termine si intende il metodo con cui Barth, nella sua fase matura, ha voluto esprimere la possibilità di una relazione tra uomo e Dio. Il primo termine «analogia» presenta una sfumatura di significato diversa e intermedia rispetto a "uguaglianza" (che implica coincidenza o identità) e a completa diversità (che implica contraddizione o inconciliabilità), essa è corrispondenza o "accodo parziale". Se ci fosse uguaglianza Dio cesserebbe di essere Dio e verrebbe meno la sua infinita differenza qualitativa rispetto alla creatura. Se ci fosse totale diversità Dio sarebbe assolutamente inconoscibile e contraddirebbe l'incarnazione di Cristo. Il secondo termine «fidei» intende essere una contrapposizione al termine «entis». L'«analogia entis» infatti era il modo in cui la Scolastica aveva definito il rapporto tra Dio e l'uomo: in questa prospettiva si riteneva di poter dire qualcosa su Dio, sulla sua natura, sui suoi attributi, partendo dall'essere degli enti creati (la natura). Barth, per i suoi presupposti rifiuta ovviamente questa posizione e contrappone l'«analogia fidei». Con essa egli intende sottolineare il fatto che Dio non si può conoscere mai a partire dalla natura creata, appunto a causa della infinita differenza qualitativa che la separa da Dio, al contrario se conosciamo qualcosa su Dio è solo in virtù della sua stessa auto-Rivelazione che possiamo accogliere solo nella fede, al di là delle categorie della razionalità. Nel Barth maturo dunque c'è una relazione tra Dio e uomo, ma essa non è mai una identificazione, poiché il presupposto della fase dialettica, la trascendenza di Dio, non viene mai cancellata. Approfondimento MANFREDI RONCHI Manfredi Ronchi è stato un predicatore, un intellettuale ma soprattutto un uomo dell’Unione delle chiese battiste. Organizzatore dell’Opera battista, fu il principale artefice dell’Unione battista. Il servizio reso all’Unione delle chiese battiste fu la cifra del suo ministero. Manfredi Ronchi nasce a Solofra (Avellino) il 28 agosto del 1899. Conseguito il diploma, si trasferisce a Roma dove si iscrive alla Facoltà di legge. A Roma egli conosce l’evangelo frequentando la chiesa battista in Via del Teatro Valle; lì riceve il battesimo per immersione il 12 dicembre 1920, a 21 anni, Assume l’incarico di monitore della Scuola Domenicale e sostituisce sul pulpito il pastore Aristarco Fasulo quando questi è assente. Nel 1921 si iscrive alla Facoltà Valdese di Teologia (allora a Firenze) dove insegnava, tra gli altri, Giovanni Luzzi. Il 30 settembre 1927 consegue il diploma in teologia con una tesi su “La Dottrina dei Dodici Apostoli”: fu il primo studente battista a conseguire il diploma presso la Facoltà Valdese di Teologia. Nel 1924 sposa Lina Spangaro con la quale ebbe tre figli: Miriam, Luigi (morto a 16 mesi) e Ugo. Appena sposato, nel 1925, Manfredi Ronchi si trasferisce con la famiglia in Sicilia, a Floridia e quindi nel 1929 a Cagliari. Qui, nel 1932, insieme a un ultimo nato, muore la moglie Lina. Manfredi Ronchi trascorre l’anno accademi- co 1932 - 1933 tra Londra e a Oxford dove studia le vicende degli evangelici italiani esuli oltre Manica. Tornato in Italia, scriverà una serie di articoli per La Luce e terrà delle conferenze su Piermartire Vermigli, Bernardino Ochino e Gabriele Rossetti. Il rientro in Italia lo vede vorticosamente trasferirsi tra Roma e Torino. Nel 1935, sposa Maria Spangaro. Dal matrimonio nasceranno Bianca, Franco e i gemelli Laura e Sergio. Dal 1935 al 1968 Manfredi Ronchi è pastore nella chiesa battista di Via del Teatro Valle. Manfredi Ronchi fu innanzitutto uno straordinario predicatore. Chi lo ha ascoltato ricorda l’originalità, la forza e l’efficacia dell’eloquio. Di rado scriveva un testo per intero; per lo più stendeva uno schema, qualche citazione biblica, qualche nota. Il resto lo facevano gli studi disciplinati, una memoria straordinaria e un’intelligenza sottile. Ascoltarlo era un piacere e per questo Manfredi Ronchi negli anni tra il 1946 e il 1951 fu impegnato in vari contraddittori pubblici con esponenti cattolici. Aveva imparato da Luzzi l’arte della dialettica: stringente e arguta eppure serena, mai aggressiva. All’attività di predicatore, Manfredi Ronchi accostò quella di conferenziere. Del poco che è stato conservato in archivio, è di particolare inte- resse quanto egli scrisse in preparazione al Secondo Congresso delle Chiese Evangeliche Italiane del 1965. Manfredi Ronchi fu anche un’efficace insegnante. I suoi ambiti di interesse erano la storia e il pensiero della Chiesa Antica, e si impegnò molto anche per la formazione non solo dei futuri pastori ma anche dei membri di chiesa: appena le condizioni economiche lo resero possibile fondò a Rivoli (TO) il Seminario teologico battista (di cui si occupò per anni, con profonda dedizione, il pastore Vincenzo Veneziano, quale decano e amministratore), e lavorò con impegno, tenendo dei corsi regolari anche alla Scuola Biblica Femminile di “Betania”. Le sorelle che egli formò sono tra le colonne delle chiese battiste in Italia. Manfredi Ronchi profuse l’attività di scrittore in un numero sterminato di articoli apparsi soprattutto nelle riviste evangeliche. Già nel 1922 cominciò a scrivere per Conscientia diretta da Giuseppe Gangale. Nello stesso anno inizia a collaborare con Il Testimonio, che in seguito diresse. Fondò e fu direttore del Messaggero Evangelico. Collabora regolarmente per La Luce. Per Gioventù Evangelica, di cui è redattore, scrive sul movimento di evangelizzazione di Oxford. Del Ronchi scrittore, non va dimenticata la produzione per l’infanzia: curerà con particolare attenzione la speciale 150 anni Pagina per i piccoli per Il Messaggero Evangelico. Tuttavia (parafrasando un noto inno) “i fiori più belli della mente” Manfredi Ronchi li spese per il governo delle chiese battiste Italiane. Di suo pugno è lo Statuto dell’Opera battista (1934); negli anni drammatici dell’immediato secondo dopoguerra, si adoperò nel sostegno dei pastori e delle chiese affinché portassero avanti la missione. Proprio per assicurare un’amministrazione razionale delle Chiese e tutelarle nel loro rapporto con lo Stato, Manfredi Ronchi ideò l’Ente Patrimoniale; ma anche creò le condizioni che assicurassero una pensione al corpo pastorale, quel corpo pastorale cui egli penso di conferire fisionomia istituzionale con la creazione dell’«Associazione pastorale battista». Attraverso un lavoro lento e paziente egli contribuì in modo determinante a trasformare il battismo italiano, nato come missione estera (1863) e diventato Opera battista Italiana (1923), in una vera e propria Unione di chiese (1956), di cui fu il primo Presidente. Manfredi Ronchi dovette superare sia le resistenze della Southern Baptist Convention, sospettosa nei confronti di questo movimento d’indipenden- za che era anche teologico sia l’opposizione di quei colleghi che non volevano rinunciare a certi privilegi di ordine economico derivanti da un rapporto diretto con la missione americana. Ronchi viaggiò molto. Nel 1950, fu eletto vicepresidente dell’Alleanza Mondiale Battista (19501955) e gli fu conferita la Laurea Honoris Causa in Teologia dal Georgetown College in Kentucky. Della Federazione battista europea divenne prima Vicepresidente (1952-1954) e poi Presidente (19541956). Manfredi Ronchi lavorò, tra gli altri, alla costituzione della Federazione delle Chiese Evangeliche d’Italia (Roma, maggio 1965), nella convinzione che tutto quello che le chiese potevano fare insieme lo dovessero fare in comune. Tuttavia, egli mantenne un certo riserbo nei rapporti ecumenici con la Chiesa cattolica e desta l’attenzione affinché la fragile Unione battista non venisse assorbita in altre istituzioni ecclesiali più forti e facoltose. Mario Sbaffi, ricorda che Ronchi fu Presidente del Consiglio Federale delle Chiese Evangeliche Italiane in anni particolarmente difficili per l’affermazione della piena libertà religiosa in Italia. Sul tema della libertà religiosa, Ronchi si era già 29 misurato fin dagli esordi del suo ministero. All’alba della Costituente scrisse una lettera al Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana e al Comitato Centrale del Partito Socialista Italiano per sollecitare l’impegno di quei partiti a dare una forma laica allo Stato Italiano. In un editoriale pubblicato su il Testimonio nel 1946 indica quali sono i principi di libertà religiosa: La garanzia dei diritti che lo Stato deve assicurare a tutti, qualunque sia la loro convinzione; la garanzia degli stessi diritti per tutte le istituzioni religiose che devono sottostare agli stessi doveri nei riguardi della legge; l’uguaglianza del trattamento di tutte le religioni; il diritto di propaganda di parola e libertà di associazione; la libertà di nominare i suoi ministri senza ingerenza dello Stato. Manfredi Ronchi era convinto che la libertà di religione fosse la madre di tutte le altre libertà. Giunto sulla soglia del pensionamento, Manfredi Ronchi sperava di riprendere lo studio della storia e di portare a termine una ricerca su Bernardino Ochino e di pubblicare su Pico della Mirandola; ma la morte lo colse, inaspettata, in Svizzera il 25 maggio 1970. cfr. Sanfilippo, P. Vita di Manfredi Ronchi, Ciclostilato presso l’autore, Chiavari 1975. Visitando i musei di Villa Torlonia...... Paolo Paschetto Rose, nastri e farfalle 1920 Vetro antico di Germania, soffiato a bocca, colorato in pasta; vetri opalescenti colorescenti; vetro antico multicolore. Tessitura a piombo di vario spessore, sustagnato e stuccato su entrambi i lati Provenienza: Casina delle Civette Balcone delle rose Lo stretto passaggio attiguo alla stanza da letto del Principe è scandito dalla sequenza di vetrate ideate da Paolo Paschetto ed eseguite da Cesare Picchiarini sulla base dei bozzetti esposti nel Fumoir. Il soggetto solare e vivace doveva creare un netto contrasto con l'atmosfera cupa della stanza da letto. Le vetrate, realizzate nel 1920, ripetono, con alcune variazioni compositive, il tema delle rose e delle farfalle, con nastri intrecciati; i caldi e brillanti colori del giallo, rosso, arancio delle rose formano un vivace contrasto con i colori più freddi delle farfalle che alternano verdi, blu, viola. Il motivo decorativo delle rose e nastri, è qui svolto con sciolto grafismo, libertà compositiva e maggiore morbidezza nel disegno dei fiori e delle foglie. I tagli irregolari dei fondi chiari, su cui si stagliano i fitti tralci di rose, inseriti in un andamento continuo, contribuiscono ad animare l’intera composizione. In fase esecutiva, l’artista e il maestro vetraio hanno aggiunto alcune farfalle dalle ali cangianti, che concorrono al fluente movimento dell’insieme. Il lungo balcone si apre su un minuscolo terrazzino coperto da una loggetta sostenuta da colonnine in marmo cipollino con elaborati capitelli dalle volute che ricordano occhi di civetta stilizzati. Sul pavimento in graniglia "alla veneziana", sono disegnate comete ad evocare l'emblema araldico dei Torlonia, come pure le rose che affollano le vetrat OMANI 16,1-2 Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa di Cencrea, perché la riceviate nel Signore, in modo degno dei santi, e le prestiate assistenza in qualunque cosa ella possa aver bisogno di voi; poiché ella pure ha prestato assistenza a molti e anche a me. Virginia Wingo Anche se territorialmente è una figura che non ci appartiene, perchè fa parte del quartiere Montesacro, dove ancora, a via Montebianco N°93, vi è una chiesa battista, la ricordiamo come una bellissima testimone della fede battista delle donne. Virginia Wingo nacque il 19 aprile 1912 a Dora in Alabama, ma crebbe a Slidell in Louisiana, dove il padre era pastore della Slidell Baptist Church. Era una bambina molto intelligente e a soli sette anni scelse di seguire Cristo e fu battezzata in acqua dal padre. A Virginia piaceva molto leggere e cantare e, nelle occasioni in cui la famiglia si riuniva, suonava il pianoforte accompagnando inni al Signore. Nella sua chiesa spesso venivano dei missionari che testimoniavano del lavoro che svolgevano in paesi lontani; Virginia lesse anche di un missionario che aveva lavorato con i lebbrosi in India, e delle missioni di William Carey e David Livingstone. A 14 anni, partecipando ad un campo estivo, sentì che Dio avrebbe voluto che lei un giorno fosse una mis- sionaria. Tornata a casa da quel campeggio Virginia s’impegnò a leggere la Bibbia intera almeno una volta ogni anno. Finita l’università Virginia insegnò per quattro anni in un liceo ma sentiva che avrebbe dovuto fare altro. Così frequentò vari seminari di Teologia e in seguito accettò di lavorare come segretaria tra i bambini dell’Unione Femminile Battista dello stato della Louisiana. Dal 1946 al 1949 insegnò al Woman’s Missionary Union Training School, poi si mise in contatto con il Foreign Mission Board per poter partire come missionaria in Brasile, ma proprio in quel periodo il FMB aveva comprato un terreno a Roma per la costruzione di una Scuola Biblica Femminile. C’era bisogno di una direttrice e chiesero a Virginia se desiderava accettare quell’incarico. Lei partì subito per Richmond. Alla parete dell’ufficio del Dr. Ronkin del FMB c’era una cartina del mondo e mentre la conversazione tra lei e il dr. Ronkin andava avanti, gli occhi di Virginia vedevano un solo unico paese: l’Italia. Era sicura che Roma era il posto in cui Dio voleva che lo servisse come missionaria. Così Virginia Wingo divenne direttrice della Scuola Biblica Femminile che si chiamò «Istituto Betania», a Roma Montesacro: fu inaugurata il 2 ottobre 1950. La sua costruzione fu «la risposta al desiderio delle donne di crescere nella conoscenza della Parola del Signore» (da Il Testimonio, Aprile 1985). La scuola aprì le porte a molte ragazze provenienti da vari paesi, specialmente del Centro e Sud d’Italia, desiderose di studiare e di approfondirsi nella conoscenza biblica. Alcune di loro si dedicarono ad un lavoro missionario a S. Angelo in Villa (Frosinone) o presso i centri minerari di Ribolla (Grosseto) e Carbonia (Cagliari). Queste sorelle assistevano le famiglie dei minatori sia spiritualmente, con riunioni di studio della Bibbia, sia materialmente prodigandosi in ogni sorta di aiuto: dall’assistenza medica alla cura dei bambini e alla collaborazione con le madri. Ricordiamo alcuni nomi: Maria Garbato, Anna Palma, Concetta Cerreta, Marisa Cetorelli, Giulia Nesterini. I corsi di insegnamento e studio dell’Istituto Betania erano così articolati: Bibbia e organizzazione delle chiese battiste (Dr. W. D. Moore e Dr. R. F. Starmer), finalizzato all’approfondimento della fede, all’insegnamento di come testimoniare di Cristo e al lavoro di monitrici della Scuola Domenicale; Storia e pensiero cristiano (Manfredi Ronchi); Drammatica religiosa (Lidia Schirò), per la pre- parazione di recite della Scuola Domenicale; Musica (M° Fanzilli); Lavoro delle Unioni Femminili (sig.na Moore): Italiano (Mida Foderà e Miriam Rosa); Inglese (Lillie M. Starmer); Igiene (Dr. Marco Foderà); Dodici furono le prime studentesse: Pasqualina Bara, Nunziatina Grasso e Santina Nastasi provenienti dalla Sicilia; Maria Calderaro e Silvia Emiliani di Roma; Anna Cannavacciuoli di Napoli; Licia Colombo di Cagliari; Angela Dentico di Torino; Margherita Fehr di Zurigo; Maria Finocchiaro di Augusta; Wanda Pili di Civitavecchia; Nina Zampino di Macchiavalfortore. missionaria. Per 20 anni Virginia Wingo investì tutte le sue energie nell’unico interesse d’andare incontro a quelle giovani che intendevano prepararsi adeguatamente ad un lavoro di testimonianza nelle proprie comunità come monitrici, animatrici nelle unioni femminili, con e fra i giovani. Per tutte loro, Virginia è stata di incoraggiamento e di sprone, a volte col suo sorriso, a volte con fermezza e decisione. Nel 1970 la pagina dell’Istituto Betania si chiude: il contesto culturale ed economico italiano era cambiato e non vi erano più iscrizioni di ragazze. Ma i segni di quella esperienza ci sono in tutta Italia ancora oggi e ci rimandano alla fede di tante donne che scelsero di studiare e di dedicarsi, con generosità ed entusiasmo, al servizio dell’Evangelo a cominciare dall’impegno nella propria comunità locale. L’auspicio è che qualche giovane studiosa possa approfondire la vicenda spirituale e culturale di Virginia Wingo e il lascito dell’Istituto Betania. Paschetto: vedi download VI SOTTOMENU Festival 150 anni Si è svolto a Roma il festival per i 150 anni di presenza battista in Italia In marcia con lo Spirito «Lasciamoci guidare dallo Spirito di Dio che ci ha portati fin qui e ci porterà ancora più avanti, verso mete che non conosciamo» (Raffaele Volpe, dal culto di apertura) Marta D’Auria Una gioiosa festa dell’incontro: questo è stato l’atteso Festival battista svoltosi a Roma dal 5 all’8 settembre per celebrare i 150 anni di presenza battista in Italia. L’atmosfera di festa si respirava appena si varcava il cancello dell’Istituto G. B. Taylor, luogo simbolico del battismo italiano nel quartiere Centocelle: all’ingresso colorati stand ospitavano libri, riviste, volantini, manufatti, prodotti alimentari e bandiere tricolori; e poi, tanti volti sorridenti di tutte le generazioni, l’eco di diverse lingue e inflessioni dialettali, gli abbracci di persone che si rincontravano dopo anni, le chiacchiere di ragazzi e ragazze cresciuti nei centri giovanili a Santa Severa e Rocca di Papa, diventati oramai uomini e donne. Il clima festoso è stato senza dubbio favorito dal fatto che il popolo battista si è ritrovato a casa, in un luogo familiare, caro alla propria storia e testimonianza: l’ampio complesso della casa di riposo per anziani, fondata nel 1923 dal Foreign Mission Board della Southern Baptist Convention (Usa), ha agevolmente accolto nei suoi ampi spazi circondati dal verde oltre 250 battisti e battiste, con punte di circa 400 presenze nella giornata di sabato, quando si sono aggiunti fratelli e sorelle provenienti dalle chiese battiste di Abruzzo, Campania, Puglia e Toscana, e tanti amici e amiche delle altre chiese evangeliche di Roma e dintorni. Nonostante l’elevato numero di presenze, nello svolgersi di tutto l’evento, l’accoglienza è stata efficiente e calorosa grazie all’impegno dei membri della comunità di Centocelle, che hanno lavorato senza risparmio di energie nel servizio bar, cucina, logistica, babysitting, pulizia degli spazi interni ed esterni, smaltimento dei rifiuti. Infine, il servizio durante i pranzi e le cene è stato garantito dai volontari della Protezione civile, che hanno offerto il loro aiuto in virtù dell’amicizia con alcune sorelle della chiesa che svolgono regolarmente volontariato all’interno dell’associazione. Il programma, pur essendo molto articolato, è stato scandito da tempi rilassati che hanno favorito la socializzazione e la comunione tra i partecipanti: nove laboratori, tre interviste pubbliche, la mostra storico-documentaria I battisti e l’Italia, i culti mattutini, e infine tre concerti serali (un approfondimento sui contenuti proposti e sugli ospiti presenti sarà dato sul prossimo numero). La celebrazione di un anniversario è il momento per fare memoria del proprio passato ma è anche un’occasione preziosa per volgere il proprio sguardo onesto sul presente da cui ripartire. 150 anni sulla linea della Storia non sono tanti, eppure meritavano di essere festeggiati, anche scegliendo di rimanere in un quartiere periferico della Capitale, per riconoscere che se una minoranza come la nostra è presente in questo paese, caratterizzato dalla secolarizzazione e dal pluralismo religioso, è solo grazie all’opera paziente dello Spirito di Dio che dal 1863 fino a oggi ha guidato uomini e donne che si sono confessati cristiani e battisti, diffondendo la Buona Notizia lungo la nostra penisola e le isole. Lo ha ricordato al culto di apertura il past. Raffaele Volpe, presidente dell’Ucebi, predicando su Galati 5, 25 – 6, 18. «Lasciamoci guidare dallo Spirito di Dio che ci ha portati fin qui, e che ci porterà ancora più avanti verso mete che non conosciamo». È tempo di ricordare le proprie radici per guardare il presente in vista del cammino futuro. Senza trionfalismi e senza nascondere il nostro peccato, che nelle chiese – ha detto Volpe – ha il volto delle discussioni inutili e infinite, della faziosità, dell’invidia, delle parole che invece di ricucire creano lacerazioni. La frase «Riprendiamo la marcia dello Spirito» è risuonata come monito e incoraggiamento. Anche se non sappiamo dove lo Spirito ci condurrà, bisogna ripartire dalla fede in Dio: la questione non è la ricerca del manuale del discepolo perfetto, dell’evangelizzazione infallibile o delle indicazioni etiche chiare; l’esistenza futura delle piccole e fragili chiese battiste italiane si gioca nel fidarsi solo di Dio, e nell’affidare la nostra vita e le nostre comunità unicamente nelle sue mani. Il Festival è stato, dunque, la festa dell’incontro: non solo dei battisti di seconda e terza generazione, ma anche di coloro che sono battisti da pochi anni e dei tanti fratelli e sorelle che sono venuti da altri paesi per condividere insieme l’amore verso Dio, la solidarietà verso il prossimo, l’impegno per la giustizia e la pace. In particolare il pensiero e la preghiera sono stati rivolti più volte al conflitto in Siria, anche con una breve dichiarazione del Comitato esecutivo (riportata nell’editoriale di questo numero). Una festa che non ha voluto dimenticarsi del mondo e dei suoi bisogni anche con la decisione di devolvere l’intera somma delle collette di tutti i culti al completamento della sartoria del progetto Tabita in Zimbabwe. Come tutte le feste più belle, anche questa è finita. Ritorniamo alle nostre case però con una provvista di gioia, di entusiasmo, di rinnovata motivazione alla causa dell’Evangelo, consapevoli di essere una piccola minoranza a cui Dio ha rivolto una vocazione: essere agenti di cambiamento per il nostro Paese, che ha bisogno di incontrare la Parola di salvezza e di speranza, attraverso i piccoli gesti quotidiani che sapremo compiere a favore del povero e dell’oppressa, dell’emarginato e della sfruttata. (11 settembre 2013) VII SOTTOMENU NOI PROTESTANTI GIUBILIAMO? IL GIUBILEO SECONDO LA BIBBIA Di giubileo, ultimamente, se ne parla parecchio, ma sappiamo cos'è secondo la Bibbia? La parola Giubileo ci richiama alla mente un'altra parola: giubilo, cioè voglia di saltare di gioia. La parola vine dalla lingua ebraica e in particolare dall'antico testamento. Il termine preciso era “yobel” e stava ad indicare uno strumento musicale, il cui suono scandiva appunto l'inizio di una festa. Il Giubileo indicava la festa della libertà. Ogni cinquanta anni era prevista questa festa e ogni schiavo, divenuto tale per vari motivi, ritornava in libertà, e chi aveva perduto beni e terreni ne ritornava in possesso. Probabilmente, però, questa regola, non fu mai applicata ma questo ci porta a non dimenticare che: -è desiderio di Dio che la gente viva libera - che la terra, appartenendo a Dio, porti ricchezze a tutti e non solo a pochi. Chi ha attuato la legge giubilare che sino ad allora non era mai stata messa in atto? Dio in Gesù Cristo che è venuto per liberare la gente da ogni forma di schiavitù. Gesù: il Giubileo vivente di Dio! VIII SOTTOMENU GOSPEL https://soundcloud.com/bergerac18 I CANTI CHE SI ESEGUONO NELLA NOSTRA CHIESA SONO CANTI GOSPEL (VANGELO IN INGLESE) Nella mia vita ho visto e sentito diverse definizioni di spirituals e di gospel, ma nessuna che riuscisse veramente ad entrare nel profondo di questa antica musica tradizionale ancora attuale. Per noi i gospel sono canzoni di salvezza e di libertà. Noi cantiamo della gioia, del dolore,della felicità e della sofferenza, ma sempre ringraziando Dio per un'altro giorno che verrà. Questa non è soltanto una musica, ma una forma di comunicazione diretta con Dio. CHERYL PORTER Il termine musica Gospel può riferirsi sia (strettamente) alla musica religiosa che emerse nelle chiese afroamericane negli anni Trenta sia alla musica religiosa composta e suonata da artisti, di qualunque etnia, del sud degli States. La separazione tra i due stili, infatti, non fu mai assoluta: entrambi nascono dalla tradizione degli inni metodisti. Tuttavia, anche se alcuni brani di una scuola sono mutuati dall'altra, la netta divisione tra America nera e America bianca e tra chiesa nera e chiesa bianca, tenne le due correnti divise. Anche se queste divisioni si sono leggermente allentate nei precedenti 50 anni, le due tradizioni restano tutt'ora distinte. In entrambe le tradizioni alcuni artisti, come Mahalia Jackson, si limitano ad apparire in contesti puramente religiosi (Gospel in inglese significa Vangelo), mentre altri, come il Golden Gate Quartet o Clara Ward, cantano anche nei night club. La maggior parte degli artisti, come i Jordanaires, Al Green e Solomon Burke tende a suonare in entrambi i contesti. È frequente che includano un pezzo religioso in una performance secolare, sebbene non succeda quasi mai il contrario. I precursori (1700) Willie Ruff, professore Afro-Americano di musica all'Università di Yale, sostiene che la musica Gospel condivide la stessa struttura dei salmiscozzese presbiteriana, struttura nota come 'lining-out'. Questa consentiva di usare una sola copia della Bibbia per tutta la chiesa poiché il pastore cantava una riga del salmo all'assemblea e questa rispondeva ricantandola arricchita del suo timbro ed emozione. Ruff sostiene, sebbene altri lo contestino per "razzismo accademico", che questa forma di canto venne udita dagli schiavi Afro-Americani nelle chiese dei loro padroni e che essi la svilupparono in uno stile proprio e personale. cantati dalla chiesa Le origini (dagli anni Venti agli anni Quaranta) Ciò che la maggior parte delle persone identificherebbe come "Gospel Music" è una musica religiosa Afro-Americana basata su grandi cori di chiesa cui fa da contraltare un cantante solista eccezionale. In realtà il genere reso famoso da artisti come Thomas A. Dorsey, Sallie Martin, Willie Mae, Ford Smith ed altri cambiò sensibilmente circa 80 anni fa, e affonda le sue radici nelle forme più spontanee di devozione religiosa delle Chiese dei Santi, che incoraggiavano i singoli fedeli a "dare testimonianza" parlando e suonando (e talvolta danzando) spontaneamente della loro fede, durante la celebrazione. Negli anni Venti gli artisti di questo tipo di chiese erano spesso predicatori che si spostavano di parrocchia in parrocchia, e tra una predica e l'altra cominciarono a incidere in uno stile che fondeva temi religiosi tradizionali con le tecniche del blues e del boogie woogie. Inoltre cominciarono a portare strumenti di derivazione jazz, come percussionifiati, in chiesa. e Dorsey, che aveva composto e suonato il piano per giganti del blues come Tampa Red, Ma Rainey e Bessie Smith, lavorò sodo per sviluppare una sua propria musica, organizzando un convegno annuale per artisti gospel, andando in tournée con Martin per vendere spartiti e superare la resistenza delle chiese più conservatrici verso ciò che esse consideravano una musica mondana e peccaminosa. Combinare la struttura "sixteen bar" e i modi e ritmi del blues con i testi religiosi, aprì la possibilità ad artisti innovativi, come Sister Rosetta Tharpe, di usare il proprio talento nelle canzoni, mentre ispiravano i fedeli a "gridare", a "buttare fuori" per aggiungere parole alle sue o per inserire linee musicali proprie in risposta al suo canto. Questo "stile libero" influenzò altri stili religiosi neri alla stessa maniera. I gruppi più conosciuti degli anni Trenta erano quartetti o gruppi piccoli maschili come il Golden Gate Quartet che cantavano, di solito senza accompagnamento, nello stile quartetto Jubilee mescolando attentamente armonie, canti melodiosi, sincopati giocosi e arrangiamenti sofisticati per ottenere uno stile sperimentale fresco ben lontano dal più sobrio canto di inni. Questi gruppi assorbirono suoni popolari da gruppi pop come i Mills Brothers e produssero canzoni che univano temi religiosi, humor e satira politico-sociale. Cominciarono a mostrare sempre maggior influenza dal Gospel da che incorporarono la nuova musica nel loro repertorio. L'età dell'oro (dagli anni Quaranta agli anni Cinquanta) La nuova musica Gospel composta da Dorsey e altri si mostrò essere davvero molto popolare nei quartetti, che si volsero in una direzione nuova. Gruppi come i Dixie Hummingbirds, i Pilgrim Travelers, i Soul Stirrers, i Swan Silvertones, i Sensational Nightingales e i Five Blind Boys of Mississippi introdussero anche maggior libertà alle chiuse armonie dello stile Jubilee, aggiungendo degli 'ad libitum' e brevi frasi ripetute sullo sfondo per mantenere una base ritmica per le innovazioni del cantante principale. I solisti emersero maggiormente man mano che il Jubilee divenne Hard Gospel e man mano che i cantanti cominciarono a gridare di più, spesso in falsetto, ancorati ad un basso rilevante. I cantanti dei quartetti combinarono sia le performance del solista virtuoso sia le innovazioni ritmico armoniche. Questo venne definito da Ira Tucker Sr. e Paul Owens degli Hummingbirds chiamarono "trickeration" e che amplificava l'intensità musicale ed emozionale delle loro canzoni. Mentre i quartetti stavano raggiungendo il loro massimo splendore negli anni Quaranta e Cinquanta, un certo numeri di cantanti donne stava raggiungendo il successo. Alcune, come Mahalia Jackson e Bessie Griffin erano principalmente soliste, altre come Clara Ward, The Caravans, The Davis Sisters e Dorothy Love Coates, suonavano in piccoli gruppi. Alcuni gruppi come i Ward Singers usavano una sorta di teatralità e dinamiche di gruppo particolari che erano in uso nei quartetti maschili, ma la maggior parte delle cantanti gospel basavano le proprie possibilità di successo su una competenza tecnica eccezionale ed un estremo fascino personale. Fece eccezione sotto molti punti di vista Roberta Martin a Chicago, Illinois. Condusse gruppi misti di uomini e donne che avevano uno stile che non sottolineava così tanto il virtuosismo personale e sponsorizzò un certo numero di artisti, come James Cleveland, che avrebbero cambiato il volto del Gospel nei decenni a venire. I cori e le star (dagli anni Sessanta ad oggi) James Cleveland e Alex Bradford portarono una rivoluzione nel gospel lanciando l'era dei grandi cori, grosse strutture disciplinate e organizzate che usavano arrangiamenti complessi per spingere la loro forza vocale per arrivare al ritmo propulsivo, alle intricate armonie e al virtuosismo individuale dei quartetti dell'età dell'oro. Gruppi come i Brooklyn Tabernacle Choir e il Mississippi Mass Choir sono due dei più popolari delle centinaia di gruppi legati a parrocchie locali. Allo stesso tempo star più recenti come Andrae Crouch, CeCe Winans e i Take 6 hanno continuato sulle influenze pop, proprio come Dorsey e altri pionieri presero a prestito dal Blues e dal Jazz. Altri, come Kirk Franklin, hanno introdotto elementi Hip Hop. La morte lenta di Jim Crow cambiò anche le priorità del gospel. Durante gli anni di segregazione e repressione formale dei neri, il gospel servì, specie per le chiese dei Santi largamente apolitiche e quietiste, come una forma nascosta di protesta politica. Strofe come: "When I get to Heaven I'm going to sing and shout / 'Cause nobody there's going to turn me out" e "I know my robe's going to fit me well / 'Cause I tried it on at the gates of hell" ("quando andrò in cielo canterò e griderò / Perché nessuno mi zittirà" e "so che la mia veste mi starà a pennello / Poiché l'ho provata alle bocche dell'inferno") avevano un secondo significato ovvio per i molti ascoltatori che non avevano possibilità di rivendicare la propria posizione nel mondo in modi più diretti. Le canzoni gospel erano quindi la scelta logica per i ritornelli del Movimento dei Diritti Civili, che trasse i suoi capi, gran parte della sua organizzazione e i suoi ideali dalle chiese nere. In Italia il genere si diffonde velocemente fino ad esser oggetto di festival su tutto il territorio nazionale da nord a sud la musica e la ricerca vocale diventa spettacolo, celebrazione, coinvolgimento APPROFONDIMENTO La danza nella Bibbia Segno di gioia e di gratitudine La Danza, nella Bibbia è intesa soprattutto come lode, manifestazione di gioia spirituale ed espressione liturgica. Si danza per festeggiare una vittoria ottenuta con l’intervento divino; per il ritorno di una persona cara, e in occasione di nascite e matrimoni. La profetessa Miriam, sorella d'Aronne, esterna la sua esultanza e ringrazia Dio, dopo il passaggio del Mar Rosso, “formando cori di danze” con le altre donne, suonando i timpani e cantando (Cf Es 15,20). Un’altra danza molto famosa è quella che fece Davide, in occasione del trasferimento dell’arca a Gerusalemme. Danzando e saltellando agilmente, il re d’Israele manifesta con tutto il suo essere la gioia incontenibile che prova per il singolare avvenimento. “Allora Davide andò e trasportò l’Arca di Dio dalla casa di Obed-Edom nella città di Davide, con gioia. (...) Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod Così Davide e tutta la casa d’Israele trasportarono l’arca del Signore con tripudi e a suon di tromba” (2Sam 6,12; 6,14-15). Per descrivere l’esultanza del re Davide di fronte all’arca dell’Alleanza, l’autore sacro usa le parole: “gioia” e “con tutte le forze”, rimarcando così il coinvolgimento totale della persona nel movimento ritmico della danza. Simbologia rituale Nell'Arca sono custodite le Tavole della Legge date da Dio a Mosè sul Monte Sinai. Danzando davanti all’arca, Davide indossa un costume sacerdotale succinto, una specie di perizoma adatto a compiere i sacrifici: l’efod di lino. Il testo sacro ci fa capire che la nudità del re e la sua danza sono in rapporto con gli “olocausti e i sacrifici di comunione” che egli si appresta ad offrire davanti al Signore. Il modo in cui Davide esprime la sua gioia per la Legge (Torà), è ritenuto sconveniente dalla figlia di Saul che se ne scandalizza. “Mentre l’Arca del Signore entrava nella città di David, Mikal, figlia di Saul, guardò dalla finestra; vedendo il re Davide che saltava e danzava dinanzi al Signore, lo disprezzò in cuor suo” (2Sam 6,16). Più tardi il re chiarirà alla donna il senso rituale del suo gesto: “L’ho fatto dinanzi al Signore, (...) ho fatto festa davanti al Signore” (2Sam 6,21). Gli ebrei di oggi, al termine della festa dei Tabernacoli (Sukkot), celebrano nelle sinagoghe la Simchat Torà - o gioia della Legge - danzando, a saltelli ritmati, con i rotoli della Torà e cantando inni in onore dell’Eterno. La danza è anche in questo caso un gesto liturgico che esprime il rapporto di tutto l’essere con Dio. È un’espressione di gioia e di “festa davanti al Signore”, per il dono della Torà. Ed è ancora con la danza che gli ebrei chassidici [i], dopo le preghiere quotidiane, esternano il loro entusiasmo religioso. La Danza in cerchio: hag Ai tempi biblici, le processioni danzanti di uomini e donne caratterizzavano le tre grandi feste di pellegrinaggio: Pasqua, Pentecoste e Tabernacoli. Sembra che tali danze ritmate avvenissero in modo circolare, ed è forse per questo motivo che nell’ebraismo, la danza in cerchio è chiamata hag: festa. In cerchio si danza intorno ad un luogo sacro, o durante una cerimonia religiosa, esprimendo così il clima gioioso e comunitario della festa. La simbologia della danza in cerchio ci dice che nessuno può ritenersi più importante dell’altro, mentre tutti sono rivolti verso Colui che è al centro della vita di ognuno. IX SOTTOMENU LIBERTÀ CRISTIANA LA LIBERTÀ DI CRISTO (GALATI 5,1.13) Cristo ci ha liberati per farci vivere effettivamente nella libertà. State dunque saldi in questa libertà e non ritornate ad essere schiavi […] Perché, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà… (Galati 5, 1.13) Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù. Scrive Paolo Ricca nella sua introduzione all’edizione Claudiana dell’opera di Lutero: “ha proclamato la libertà dello Stato verso la Chiesa, la libertà del laicato verso il clero, la libertà dell’Evangelo contro le interpretazioni obbligate, la libertà della Chiesa contro le dottrine e le istituzioni che la irretiscono.” Al centro della riflessione sulla libertà del cristiano, per Lutero stanno le due affermazioni di apertura del suo scritto, apparentemente contraddittorie: “Il cristiano è signore di tutte le cose, assolutamente libero, non sottoposto ad alcuno; il cristiano è servo zelantissimo in tutte le cose, sottoposto a tutti.” Questa forma antitetica e apparentemente contraddittoria non è affatto un artefizio retorico di Lutero ma un modo profondo di ragionare. Infatti, per far capire la contraddizione fra il libero e il sottoposto, Lutero parte dalla sua concezione secondo cui l’essere umano è diviso in una natura spirituale e una corporale, due nature in battaglia permanente fra di loro: lo spirito cerca di dominare il corpo e il corpo con i suoi desideri indebolisce gli sforzi dello spirito. Cristo ha vinto questa battaglia a favore dello spirito e liberato di conseguenza l’essere umano in modo da non dover più cercare la propria salvezza in delle opere pie o buone. In Cristo tutte le pretese di salvezza siano esse ideologiche, morali o idealistiche sono da Lutero rigettate. La libertà del cristiano è la libertà di non dover ricorrere all’autoredenzione inutile. Lutero, questa libertà, la chiama la giustificazione per sola fede. Questa libertà non è una semplice libertà da qualcosa, come se, una volta libero, l’essere umano potesse fare ciò che vuole. Paolo, infatti, afferma poco dopo il nostro brano1: Perché, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell'amore servite gli uni agli altri. E Lutero conclude la sua opera sulla libertà del cristiano con le parole: “Pertanto concludiamo che il cristiano non vive in se stesso, ma in Cristo e nel suo prossimo, altrimenti non è cristiano: in Cristo per mezzo della fede, nel prossimo per mezzo dell’amore. Per mezzo della fede è rapito in alto, al di sopra di sé, in dio, e nell’altra direzione per mezzo dell’amore discende al di sotto di sé nel prossimo, rimanendo tuttavia sempre in Dio e nel suo amore.” La libertà a cui Cristo ci ha liberati va sempre insieme alla responsabilità. La fiducia nella misericordia di Dio si esprime sempre nel modo misericordioso e pieno di amore in cui io, liberato da Cristo, vivo insieme agli altri. La libertà della nostra fede, la libertà del cristiano si deve sempre misurare con l’altro e oggi diciamo anche con il Creato tutto. La libertà dell’essere umano di poter utilizzare la natura secondo l’incarico di Dio in Genesi 1 - rendere soggetta la terra, la creazione - trova il suo limite nel diritto del creato stesso di avere un valore proprio e di dover essere la base della vita anche per le generazioni future. La libertà dataci in Genesi trova il suo limite quando fa sì fraintendiamo l’affidamento del Creato nelle nostre mani come possesso invece di interpretarlo nella responsabilità di chi usufruisce del creato. Quando, secondo alcune previsioni, in qualche anno fra il 2015 e 2050 non ci saranno più pesci nel mare e quando il cambio climatico avrà desertificato vaste zone della terra e il mare si sarà ripreso altrettanto vaste zone costiere, la libertà umana si sarà rivelata irresponsabile e non avrà tenuto conto delle parole di Paolo: Perché, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell'amore servite gli uni agli altri. La crescita economica e il libero mercato da tempo non sono più legati alla responsabilità, perché la crescita è diventata un idolo e il libero mercato è diventato un despota che ci rende schiavi. Certo, la libertà è anche libertà di scelta, ma la nostra scelta, la scelta della fede, la scelta di chi è libero in Cristo, è sempre la scelta dell’amore e della responsabilità. Solo in Cristo la libera scelta non è mai indifferenza. Poiché di fronte alle catastrofi di Cernobil e di Fukushima non è indifferente se lasciare il nucleare è cosa giusta o no, si deve arrivare ad una decisione, decisione presa dal popolo italiano con responsabilità, perché una discussione vera si può fare solo in libertà. Non è quindi per caso che oggi gran parte delle centrali nucleari in costruzione si trova in Cina, zona ad alto rischio sismico. E’ il sistema politico cinese che è totalitario e non da libertà alla gente, togliendo così alla popolazione anche l’opportunità di vivere responsabilmente. La libertà cristiana è fortemente legata all’amore di Dio, all’amore per il prossimo e alla responsabilità per il creato. (triangolo della relazione) Perciò la libertà di cui parla Paolo non è per forza contraria alla legge come alcuni in uno zelo anti-giudaico hanno voluto interpretare. La legge non è il problema, la legge è un aiuto per orientarsi e per vivere con responsabilità. Quando però l’essere umano pensa che seguire la legge in modo rituale e superficiale possa portare la salvezza, esso cade dalla grazia di Dio, quando l’essere pensa di guadagnarsi una posizione davanti Dio con la semplice pretesa di aver fatto qualcosa di giusto, esso fallisce. Dio non vuole seguaci ciechi che meccanicamente vivono una legge perdendo così la libertà, Dio vuole che siamo liberi e di conseguenza responsabili. Paolo afferma: la circoncisione non è decisiva per la salvezza. Noi siamo liberi quando non dobbiamo difendere le nostre azioni, le nostre parole, le nostre idee e la nostra fede in modo forse fondamentalista. Fa parte della libertà in Cristo di poter ammettere i propri errori. La nostra responsabilità include la consapevolezza della propria colpa. Il peccato è mancanza di responsabilità. Nella fiducia nella misericordia di Dio nel Cristo morto e risorto noi riconosciamo il nostro peccato ma anche il perdono. La nostra libertà è fondata sul decreto divino di liberazione che fa di noi persone che sperano nella giustizia. Perciò la libertà vissuta nella responsabilità cerca sempre la giustizia: per il prossimo, per la creazione e per noi stessi. X SOTTOMENU Libri sopprimere in sé l'idea del merito, ecco il grande ostacolo per lo spirito ANDRÉ GIDE SCRITTORE FRANCESE PROTESTANTE Un profilo storico-teologico dalle origini a oggi, il Libro Italiano di Rubboli Massimo, pubblicato da Claudiana, collana Nostro tempo. Il movimento battista in Italia dal 1873 al 1923 L'impegno di evangelizzazione di un paese cattolico "Libera chiesa in libero stato" Il volume di Maselli è la prima ricostruzione organica della storia del movimento evangelico battista in Italia nel periodo compreso tra il 1873 e il 1923. Le iniziative missionarie inglesi e americane a favore dell'evangelizzazione di un paese cattolico appena unificato, la separazione tra Stato e chiesa, la promozione della libertà religiosa, l'attenzione alla questione sociale, le riviste... Un testo di grande rigore scientifico e sensibilità spirituale. Tra il marzo e il giugno della vita - Pedagogia della gioventù (Strumenti per la pastorale giovanile, LDC 2011) di Mantegazza Raffaele euro 14,00 Copertina di 'Tra il marzo e il giugno della vita' Descrizione Il mondo dei giovani è un caleidoscopio che presenta volti differenti. Questo libro vuole presentarne la ricchezza e l'inesauribilità a partire dalle suggestioni fornite da alcune opere d'arte e attraverso un percorso che interroga la poesia, la letteratura e la musica, avendo sempre sott'occhio la realtà concreta e viva dei giovani. Un'opera che mostra la forza straordinaria insita nella gioventù che più che un'età della vita è un atteggiamento di fronte all'esistenza, alle sue gioie, alle sue difficoltà, alla sua straordinaria complessità o 1. I BATTISTI IN ITALIA: o D.G. WHITTINGHILL, "Cenni Storici" in AA.VV. I Battisti. Claudiana, Firenze, 1913. o P. SANFILIPPO. L'Italia Battista. Roma, Reparto Pubblicazioni U.C.E.B.I., 1959. o Giuseppe Gangale: Araldo del nuovo protestantesimo italiano. Genova, Lanterna, 1981. o P. SPANU, "Cenni Storici sulle chiese battiste con particolare riguardo a quelle italiane", in AA.VV. Conosciamo i Fratelli: Corso Breve di Ecumenismo (secondo vol.). Roma, Centro Pro Unione, 1981. o P. BENSI. "Perché sono Evangelico Battista?", in AA.VV. Conosciamo i fratelli (Ib.) P. SPANU E F. SCARAMUCCIA. I battisti, democrazia, libertà, tolleranza. Claudiana, Torino, 1998. o o o o R. MAIOCCHI E F. SCARAMUCCIA. L'Intesa Battista: Un'identità rispetata. Claudiana, Torino, 1996. D. TOMASETTO. Commento alla Confessione di fede Battista. Claudiana, Torino, 1992. D. MASELLI, Storia dei battisti italiani. Claudiana, Torino, 2003. L'archivio storico dell'UCEBI è disponibile per gli studiosi e ricercatori presso il Museo Valdese di Torre Pellice (TO). 2. Era l’anno 1792 e il luogo - Nottingham, Inghilterra. Un giovane di nome William Carey si alzò davanti ad un gruppo di predicatori e aprì le Scritture Isaia 54: 2,3: “Allarga il luogo della tua tenda e i teli delle tue dimore si distendino senza risparmio; allunga le tue corde e rinforza i tuoi piuoli, perché ti espanderai a destra e a sinistra”. Carrey poi proseguì a presentare quello che è stato riconosciuto come uno dei più grandi sermoni nei recenti secoli. William Carrey è conosciuto come il padre del moderno movimento missionario protestante. Nato in una famiglia povera con poche risorse, è sorprendente quello che era in grado di compiere con l’aiuto di Dio. A differenza di molti famosi teologi e preti, Carrey non aveva l’educazione di Cambridge o di Oxford. Infatti, doveva lasciare ogni istruzione scolastica appena nell’età di 14 anni per guadagnare da vivere. Il suo padre era tessitore, ma le ditta del basso e tozzo ragazzo non erano adatti per questo mestiere, così egli doveva diventare un apprendista ciabattino - un riparatore delle scarpe. Sebbene giovane Carrey era stato cresimato nella chiesa anglicana, l’artigiano con il quale egli lavorava e viveva era un uomo molto empio. Nel corso di tre anni, bere, bestemmie, profanità e asprezza del ciabattino ebbero una cattiva influenza sul giovane apprendista. Presto Carrey iniziò a sfuggire il primo insegnamento dei genitori e cadde nello stile di vita irreligioso. Nuova vita di un adolescente Nel frattempo, il suo collega apprendista, Giovanni Warr, si era convertito a Cristo, e divenne preoccupato per il suo amico, William Carey. Egli iniziò a parlare con lui sullo stato della sua anima e il suo bisogno del Signore. Sebbene per prima incontrò resistenza, Warr finalmente persuase Carrey a frequentare una chiesa incline alla riforma. All’età di 18 anni, per la prima volta nella sua vita, Carrey pienamente afferrò il vero evangelo di Gesù Cristo. Egli comprese che la vita eterna era un libero dono mediante la morte espiatoria del Salvatore. Il suo cuore si rallegrò per l’assicurazione che egli apparteneva a Cristo e che, se fedele sarebbe con Lui per sempre. Con questa nuova scoperta del significato della vita venne un interesse speciale per gli altri e la prima persona per quale Carrey sviluppò un fardello era sig. Clarke Nichols, il suo supervisore. Ma l’irreligioso ciabattino resisteva fermamente agli appelli dei suoi due convertiti apprendisti. Egli alla fine si ammalò seriamente. Siccome la sua malattia peggiorava, gli adolescenti continuavano a condividere con lui la grazia e la misericordia di Cristo, anche nella sua camera di morte. Con un miracolo di Dio e con la perseveranza della coppia fedele, sig. Nichols si pentì alla fine per i suoi peccati e abbracciò Cristo come suo Salvatore prima che fu posto a riposo. Con questa esperienza, William Carey provò una grande gioia che non aveva mai conosciuto - la gioia di vedere un’anima guadagnata per Gesù. Uno fardello del tutto nuovo oppresse il suo cuore; egli era convinto che l’intero mondo aveva bisogno di conoscere Cristo. Le Scritture scorrevano nella sua mente, echeggiando i pensieri: “Andate per tutto il mondo... Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio.. e fate discepoli di tutti i popoli”. Ora, nei nostri giorni, all’inizio del 21° secolo, questo non potrebbe sembrare del tutto rivoluzionario, ma nel tardo 1700 l’interesse delle chiese per il mondo era molto minore che è oggi. In quel tempo non c’erano le società missionarie mondiali e di fatto nessun missionario andò fuori Europa e America. India, Cina, Africa e Sud America si erano appropriate dei credenti cristiani, ma in gran parte non erano toccati dalla riforma protestante del mondo occidentale. Nel cuore di questo giovane ardeva lo zelo per i bisogni del mondo. Egli non poteva rimanere senza proseguire verso la sua ulteriore meta. Visualizzare una meta Carrey fece una enorme carta geografica dalla carta marrone e pezzi di cuoio e l’ha mise nella sua bottega di ciabattino. Egli raccoglieva attentamente informazioni su tutti i paesi del mondo, della loro popolazione, della religione e delle condizioni del paganesimo. Per aumentare la sua entrata, Carrey iniziò a insegnare nella scuola. Uno dei biografi menziona che quando egli insegnava la geografia, i suoi allievi scorgevano una vista strana: In mezzo di una lezione di geografia, il loro insegnante veniva commosso fino a piangere quando descriveva le varie nazioni del mondo. Poi si sarebbe interrotto e diceva: “Essi sono pagani!” e scoppiava a piangere. Veramente non c’era nessuno che andava nel mondo con il messaggio dell’evangelo. Alla fine, quel giorno arrivò in Nottingham quando William Carey condivise il suo fardello con una piccola associazione dei ministri. Egli citò Isaia 54: 2,3 e sfidò se stesso e i suoi colleghi con le parole: “Aspettate grandi cose da Dio. Cercate grandi cose per Dio”, invitando questi uomini di portare l’evangelo al mondo. Quale era il risultato di questa commovente richiesta? Ci è detto che l’anziano John Ryland si alzò e dichiarò: “Siediti giovane. Quando Dio desidererà convertire i pagani, Egli lo farà senza il tuo aiuto o il mio.” Dall’altra parte, un altro che aveva sentito il sermone di Carrey era così toccato che pensava che tutti si sarebbero abbattuti e avrebbero pianto. Ma essi non fecero così. Molti si alzarono e andarono via. Ulteriormente costernato, Carrey afferrò la mano del suo amico, implorando: “Oh, Fuller, chiamali indietro, chiamali indietro. Non andremo a fare qualche cosa?” William Carey era un uomo di azione. Egli non era soddisfatto con pura discussione o preghiera, egli doveva fare qualcosa su questo. Così la gente fu riportata indietro e fu fatta una proposta di formare una società missionaria dedicata a portare l’evangelo di Cristo al mondo. Ma non c’era ancora nessun missionario da mandare. E i fondi in totale si alzavano fino ad ammontare solo circa $67.00. Non lasciandosi scoraggiare, Carrey si offri che fare con questa l’idea. Nonostante tutto, dopo una lunga serie di difficoltà e ostacoli, all’età di 32 anni, Carrey finalmente salpò per l’India con sua moglie e figli. Nell’area dove iniziò a lavorare, durante i primi anni, 25 uomini furono portati via dalle tigri di Bengala e mai si sono visti di nuovo. Ma Carrey era deciso e coraggioso. Come un giovane di 14 anni, egli aveva già investito nello studio personale di latino, che seguì subito da una autodidatta padronanza del Greco, Ebraico, Francese e Olandese - tutto prima dell’età di 20 anni. Poi, durante la sua vita ministeriale in India, Carey imparò altre 35 lingue e tradusse in esse l’intera Scrittura o una parte di esse. Che cosa era quello che imbevve quest’uomo con una tale quantità incredibile di energia e di zelo? C’è solo una risposta. Questo era il suo tremendo amore per le anime della gente. Egli vedeva un tale valore in un’anima che egli avrebbe perseverato affinché la vittoria per Cristo venisse realizzata. Carrey predicò ogni giorno agli indigeni in India. Il risultato? Per sette anni egli non vide nemmeno una sola persona convertita fra gli indiani. Alla fine nell’anno 1800, un uomo di nome Krishna Pal divenne il primo convertito del movimento missionario di Carrey. Con la grazia di Dio molte centinaia presto aderirono alla cristianità. Davvero, la fede di William Carey ebbe successo. 3. WILLIAM CAREY missionario pioniere in india F. Deaville Walker Casa Editrice Battista 4. Le chiese di Roma moderna vol. 4 un libro di Massimo Alemanno 5. Il quarto volume della serie dedicata alle chiese della Roma moderna, nel periodo tra il 1860 e il 1960, si compone di tre sezioni distinte. Nella prima si analizza una selezione di costruzioni in prevalenza appartenenti a diverse Istituzioni religiose di culto cattolico (Congregazioni, Conventi, Prelature) e si esaurisce la panoramica degli edifici parrocchiali posti in zone "periferiche" della Capitale. Le altre due sezioni sono dedicate rispettivamente agli edifici cristiani di culto non cattolico costruiti nel periodo in esame e agli esempi più significativi di edifici sacri edificati dopo il 1960, allo scopo di rendere il più possibile approfondito il quadro generale dell'architettura religiosa della Roma moderna. Il volume presenta anche un'interessante appendice sui principali progettisti attivi nell'ambito dell'architettura, religiosa e non, del periodo in esame 6. (parla anche della chiesa del teatro valle) Per il catechismo cattolico significa soprattutto non nominare il nome di Dio senza rispetto e non bestemmiare. In realtà, nella sua formulazione più autentica, il comandamento biblico vieta di servirsi del nome del Signore per coprire ogni forma di ingiustizia: dal giurare il falso alle giustificazioni dell'oppressione, alle guerre sedicenti giuste. In un non lontano passato gli Stati moderni hanno definito giuste le loro guerre trovandone la legittimazione anche in simboli religiosi; e ancor oggi, in età globale, il connubio tra Dio e violenza resta più che mai all'ordine del giorno. Il nome di Dio continua perciò a dirsi in molti modi carichi di ambiguità, mentre la sua santificazione - prospettata nel "Padre Nostro" dovrebbe essere uno spazio di libertà e rifrangersi nella costruzione di relazioni umane pacificate. Non si possono adorare altri dei e non si può adorare Dio al modo degli altri, ossia rendendolo immagine-feticcio. Non solo: le storiche dispute religiose in ambito cristiano su questo divieto hanno investito anche il tema della differenza fra l'autentico sacramento della presenza divina e il segno magico o superstizioso, come l'amuleto e il feticcio. Oggi il problema dell'idolatria non si è esaurito, ha solo trovato la sua metamorfosi banale nella proliferazione di nuove icone e idoli di massa prodotti dai media. Come distinguere ancora l'incanto dell'immagine sacra e artistica dalla perversione del feticcio? Filo tradito. Vent'anni di teologia femminista un libro di Elizabeth E. Green In questo libro Elizabeth Green ripercorre le principali linee di riflessione della teologia femminista degli ultimi venti anni: spaziando dall'esegesi biblica alla teologia sistematica e alla storia, esplora la questione di Dio al femminile, il Gesù incontrato dalle donne, lo Spirito della preghiera, le donne nella chiesa. Appaiono in controluce alcune altre istanze di diritti negati - a omosessuali e vittime di violenza, all'ambiente - nonché temi cari al pensiero delle donne, come l'eros, il corpo, la relazione, il racconto, il tempo. Sono riflessioni nate ai margini della chiesa istituzionale che testimoniano di un cristianesimo ben più variegato e vitale di quello presentato dai mass media. Com'è possibile pensare la Trinità conservando un rigoroso monoteismo? Ovvero, com'è possibile pensare le tre persone divine nell'unità di Dio? ero e proprio cuore comune della fede di cattolici, evangelici e ortodossi, elemento imprescindibile per un'autentica comprensione del Dio cristiano, la dottrina trinitaria comporta difficoltà di comprensione tali da farne "il più profondo mistero divino". Facendo riferimento alle testimonianze bibliche nonché alle correnti religiose e filosofiche dei primi secoli, Helmut Fischer ripercorre con grande chiarezza e competenza il processo storico e culturale di elaborazione del concetto cristiano di Dio, illustrando come si sia sviluppato, che cosa significhi e come si caratterizzi il modello concettuale della Trinità. Riprendiamoci il tempo a cura di Franco Giampiccoli ed. Claudiana 2003 - € 5,00 La riflessione sul tempo proposta in queste pagine si inserisce nella ricerca etica di un nuovo stile di vita condotta dalla FCEI anche per rispondere all'invito dell'Assemblea ecumenica europea di Graz (1997) a dedicare ogni anno un tempo alla riflessione su un tema connesso alla salvaguardia dell'ambiente. Senza commento Senza commento Kristus Vita incompiuta di Jan Beukels Nel 1517 dopo la pubblicazione delle 95 Tesi di Martin Lutero contro le vendite delle indulgenze, l'Europa è attraversata da un'ondata di ribellione contro la corruzione della chiesa romana. In Westfalia e nella vicina Olanda, accanto al luteranesimo, si diffonde il movimento degli anabattisti, che predicano la necessità di una fede tutta interiore e del battesimo consapevole, il rifiuto della guerra e delle milizie mercenarie, il comunismo dei beni e delle donne, la purezza della condotta della vita, in attesa dell'imminente ritorno di Cristo. Il loro profeta è Jan Beukels. Il libro racconta la sua vita nel quadro delle vicende storiche. In questo libro, costato anni di lavoro e di ricerca, il misterioso Luther Blissett, nome multiplo sotto il quale agisce un nucleo di destabilizzatori del senso comune, molto presente e attivo sulle reti telematiche, ha per la prima volta affrontato la forma romanzo. "Omnia sunt communia!", tutte le cose sono di tutti: il grido che aveva terrorizzato i principi tedeschi nelle rivolte contadine guidate da Thomas Muntzer risuona ancora sulle labbra degli sconfitti giustiziati dopo la disfatta di Frankenhausen del 1525. Ma chi ha spinto Thomas Muntzer all'avventurismo estremo? Chi scrive a Pietro Carafa, emissario del papa, lettere in cui gli consiglia, per contenere la rivolta, di allearsi con il maggiore nemico di Roma? Per un'esposizione più ampia e argomentata delle "Differenze" fra cristiani evangelici e cristiani cattolici si veda: Giorgio Girardet, Protestanti e cattolici: le differenze, Edizione Claudiana. E' anche possibile scaricarne gratuitamente una edizione precedente in formato ".pdf", cliccando sull'immagine. Presso lo stesso editore anche: Giorgio Girardet, Protestanti perché, Edizione Claudiana. XI SOTTOMENU Parole d’ordine RICONCILIAZIONE E COMUNIONE Una chiesa dovrebbe essere un luogo dove trovare comprensione e molte volte è così, ma altre volte no. Le comunità cristiane non sono al riparo dalle difficoltà delle relazioni umane, perchè formate da persone umane. Nella Bibbia possiamo però, trovare insagnamenti da applicare alla vita comunitaria, delle raccomandazioni, all'amore fraterno e al sostegno reciproco usando attentamente un liguaggio consono atto a non ferire l'altro (lettera di Giacomo). Nella Bibbia, inoltre, Gesù è presentato come colui che ci insegna a guardare le altre persone non per condnnare o escludere, ma per condividere l'amore di Dio. Il linguaggio violento è parte della storia umana e a volte anche delle chiese cristiane con la convinzione che, il solo citare i versetti biblici, le faccia apparire come luoghi ricolmi di veri credenti, usandoli magari impropriamente o estrapolandoli dal contesto nella quale si trovano. Altre volte non ci si preoccupa dell'impatto che questo può avere su un'altra persona che ha un suo vissuto alle spalle e una sua sofferenza. Ma la fede di ogni singolo credente, di una chiesa cristiana, vede Gesù come portatore di rivelazione di Dio e di riconciliazione con l'umanità e per questo cerca, o almeno dovrebbe farlo, contatto con l'altro credente o non credente nel reciproco bisogno l'uno dell'altro. Per questo la chiesa cristiana guarda alla riconciliazioe e alla comunione con il prossimo, imparando che non si è così perfetti da pretendere che un'altro lo sia. Questo atteggiamento porta ad una guarigione emotiva e spirituale nella direzione di un linguaggio di pace e comunione con gli altri (TRATTO LIBERAMENTE DAL GIORNALE RIFORMA articolo di Paola Zambon) SIGNORE IDDIO, TI PRESENTIAMO I NOSTRI AMORI: AMORI NATI SPLENDIDI, FINITI MISEREVOLI. COLMI NEI PRIMI MOMENTI DI PASSIONE, ESAURITI NELL'INCOMPRENSIONE. RICCHI DI PASSIONE E DOLCEZZA, SPESSO INARIDITI NELL'EGOISMO, NELL'INCAPACITÀ DI ASCOLTARE CHI CI STA VICINO. DACCI DI AMARE SENZA MIOPIA NÈ SORDITÀ: UN AMORE SIMILE A QUELLO CHE GESÙ HA MOSTRATO VERSO GLI UOMINI E LE DONNE CHE HA INCONTRATO NEI GIORNI IN CUI HA CAMMINATO SULLA NOSTRA TERRA. AMEN Approfondimento DIO VUOLE UNITÀ NON UNIFORMITÀ Ristabilire la comunione interrotta Giacomo 4 Da dove nascono le liti e i bisticci che ci sono tra voi? Non sono forse la conseguenza delle passioni che sono in lotta dentro di voi? Pieni di voglie che non riuscite a soddisfare, siete pronti ad uccidere. Invidiosi, gelosi, incapaci d’ottenere ciò che volete, voi litigate e v’accapigliate e non ottenete niente, perché non pregate. E quando pregate, non ricevete nulla lo stesso, perché le vostre intenzioni non sono buone: voi chiedete con il solo scopo di soddisfare i vostri capricci. Siete come una moglie infedele, che ama i nemici del proprio marito. Non sapete che essere amici del mondo significa essere nemici di Dio? Lo ripeto: se lo scopo della vostra vita è quello di soddisfare le passioni tipiche di questo mondo perduto, non potete essere amici di Dio. Credete, forse, che la Scrittura parli a vanvera, quando dice che lo Spirito Santo, che Dio ha messo dentro di noi, ci sorveglia gelosamente? Ma egli ci dà più grazia. Infatti le Scritture dicono: « Dio si oppone ai superbi ma dà grazia agli umili ». Sottomettetevi dunque a Dio! Resistete al diavolo, allora sì che fuggirà lontano da voi. Avvicinatevi a Dio, ed egli s’avvicinerà a voi. Purificate le vostre mani di peccatori e i vostri cuori di ipocriti! Sì, siate addolorati ed afflitti, e piangete tutte le vostre lacrime per il male che avete fatto! Il vostro riso si muti in pianto e la vostra gioia in tristezza! Allora, quando capirete di non essere niente davanti al Signore, sarà proprio lui che vi rialzerà e v’aiuterà. Fratelli, non criticate e non parlate male gli uni degli altri. Se lo fate, vi metterete contro la legge di Dio che vi ordina d’amarvi a vicenda: sarebbe come se la giudicaste sbagliata. Ma non sta a voi decidere se questa legge è giusta o sbagliata, voi dovete soltanto osservarla. Soltanto colui che ha fatto questa legge può giudicare giustamente. Colui che ha il potere di salvare e distruggere. Ma chi sei tu che giudichi il tuo prossimo? E ora due parole a voi che dite: « Oggi o domani andremo nella tal città o nella tal altra, vi resteremo un anno, faremo affari e guadagneremo molto ». Che ne sapete voi di ciò che accadrà domani? La durata della nostra vita è incerta come la nebbia del mattino che appare per un momento, poi sparisce. Fareste meglio a dire: « Se vuole il Signore, vivremo e faremo questo o quello ». Ora, invece, vi vantate dei vostri progetti e questa arroganza è male. Perciò chi sa che cosa è bene e non lo fa, commette peccato. ------------------------------------------------------------- Per ristabilire una comunione interrotta si deve essere maturi spiritualmente e capaci perciò di relazionarsi perchè Dio ci ha donato il ministero della riconciliazione da mettere in pratica. Ciò non significa fare da zerbino, ma chiarirsi con la persona con cui si ha un conflitto in corso. Con la rabbia e l'amarezza non si risolve nulla. Tra fratelli di chiesa ci deve essere armonia anche quando ci sono differenze di vedute. Bisogna mettere quindi da parte il proprio orgoglio e, di chiunque fosse la colpa, essere i primi a scusarsi se si vuole raggiungere lo scopo di riconciliarsi. ------------------------------------------------------------ 2 Corinzi 5:18-21 Ora tutte le cose sono da Dio, che ci ha riconciliati a sé per mezzo di Gesú Cristo e ha dato a noi il ministero della riconciliazione, poiché Dio ha riconciliato il mondo con sé in Cristo, non imputando agli uomini i loro falli, ed ha posto in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro, e noi vi esortiamo per amore di Cristo: Siate riconciliati con Dio. Poiché egli ha fatto essere peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui. XII SOTTOMENU PROTESTANTI E SESSUALITÀ (url per incorporamento) <iframe width="580" height="326" src="https://www.youtube.com/embed/ahYxCuprgoQ" frameborder="0" allowfullscreen></iframe> url video https://youtu.be/ahYxCuprgoQ LINK ESTERNI La Bibbia ci racconta che siamo stati creati da Dio con dei corpi (maschile e femminile) tuttavia la sessualità non occupa un posto particolare al suo interno. Il sesso in sé stesso non è peccato, ma l'uso improprio che se ne fa sì. Infatti senza sessualità non c'è relazione, ne reciprocità e nemmeno procreazione. Ma se si usa il sesso non più come dono per creare una relazione, per procreare, ma lo si utilizza come mezzo, ad esempio, per ottenere delle cose, allora sì che se ne fa un uso improprio. Per il protestante, l'etica sessuale ha una forte reputazione di libertà e di originalità rinnovata nella fede. Ad essere uomini e donne è piacevole quando si è l'uno con e dentro l'altro, formando questa sola carne di cui parla la Bibbia che diviene promessa e ricordo, dono reciproco e generoso tra due esseri graziosi e graziati da Dio. L'amore è una grande e bella libertà. Ma allo stesso tempo non ci si dimentica del peccato in tutte le sue forme e bisogna proteggere la libertà grazie al diritto, e l'Evangelo non è senza legge sino a che noi siamo su questa terra. Se l'uomo e la donna hanno la libertà del birth control non è mai senza l'obbligazione del self control. La gioia e il piacere che l'uomo e la donna si donano reciprocamente, non si deve ridurre allo sfogo di un istinto o all'appagamento sessuale fine a se stesso, ma divenendo dono verso l'altro, dall'egoismo si passa altruismo. Quindi nella piena libertà dell'individuo si cerca di vivere una sessualità volta all'amore verso l'altro. Spesso quando si parla di etica protestante in ambito sessuale, si usa il termine puritano con l'accezione inadatta che se ne fa del termine (puritano come individuo bigotto e sessuofobico). In realtà il Puritanesimo sorto in Inghilterra alla fine del XVI secolo e giunto nel New England in quello successivo, fu ben altro che un movimento religioso volto al rigorismo sessuale, ma tendeva solo a riportare la chiesa alla purezza e all'essenzialità evangelica. Come in tutte le cose quando si cerca di richiamare la chiesa ad una fede pura ed essenziale si può scadere nell'ipocrisa come ci attesta il romanzo di Hawthorne “La lettera scarlatta”. Ma la spinta dei puritani non era la rigidità sessuale bensì il ritornare alla purezza. Approfondimento RIFLESSIONI SULL'ABORTO Sovente siamo portati a pensare che l'aborto sia un omicidio che va impedito perché la vita deve avere il suo corso indipendentemente dalla donna che porta in grembo questo essere vivente. Quello che ci viene più spontaneo fare, nel caso in cui una donna sceglie di interrompere la gravidanza, è decidere per lei quando la preferenza finale spetta proprio alla persona che vive la gestazione. Nel corpo di una donna avviene un cambiamento e non si può pensare che la scelta di abortire sia facile o venga presa a cuor leggero. C'è un dolore ed un coflitto interiore che nascono e che non vanno sottovalutati, ne additati provocando nella persona dannosi sensi di colpa. L'interruzione di una gravidanza è certamente un fatto negativo sempre, ma è anche un diritto che non può arrogarsi un altro al posto della donna. Nelle chiese protestanti non ci sono norme scritte che regolano come comportarsi in questi casi, ma una cosa è certa: giudicare e portare la persona alla “dannazione” non è una soluzione buona (Matteo 23:4). Noi chiese protestanti non acettiamo il fatto di dare all'aborto un accezione morale o religiosa in astratto per tacitare la nostra coscienza. L'unica cosa che condanniamo è la costrizione all'aborto nei paesi dove vengono controllate le nascite per imposizione o per raggiungere lo scopo che ci siano più uomini che donne, ad esempio. Tutto ciò che è imposto è sbagliato, tutto ciò che, invece, è il risultato di una scelta consapevole e ragionata allora è condivisibile. FEDE E OMOSESSULITÀ Nel protestantesimo, non esistono dei gradi di peccato, ma esiste il Peccato a causa del quale, Gesù è stato crocofisso per la nostra salvezza. La nostra incredulità e la nostra infedeltà è la condizione umana di peccato. Pur riconoscendo la centralità della fede e la responsabilità del singolo, purtroppo non ha impedito alle chiese protestanti di avvallare in alcuni casi, razzismo e discriminazione, trovando giustificazione nella Bibbia a sostegno della propria tesi. L'omosessualità è stata oggetto di discriminazione da parte di generazioni di protestanti, ma oggi, grazie a Dio, le cose stanno cambiando. La sessualità viene presentata nella Bibbia come una “vocazione” umana dove uomo e donna si amano con pienezza e generano una nuova vita. Questo però, non dà alcun adito a condannare l'omosessualità. L'attacco che la Bibbia sembrerebbe fare su questo tema è dovuto a due motivazioni principali: il legame tra culti idolatri e pratiche omosessuali e il limite alla procreazione e quindi un omosessulale non può generare la discendenza che Dio ha promesso generosa al popolo di Israele. A differenza di oggi, poi, l'omosessualità non era conosciuta così profondamente e veniva vista come una passione sfrenata e non come attualmente sappiamo bene, una condizione umana. Con questo non si cerca di impoverire o relativizzare il rapporto uomodonna nell'esperienza dell'umanità. Prendere alcuni testi biblici alla lettera, condannando tout court l'omosessualità, significa ignorare il contesto storico in cui sono stati scritti e la cultura che li ha prodotti. Il divieto di pratiche omosessuali contenute nel testo di Romani 1:26, se preso come normativo, significa anche rifiutare l'abolizione della schiavitù, che è più volte citata come condizione da vivere con ubbidienza oppure l'astenersi di aprire un conto in banca dove mettere da parte il denaro poiché Dio provvederà al nostro vestire e al nostro mangiare. Quindi gli esempi e le raccomadazioni di Paolo vanno ricondotte sia al constesto storico, sia ad un contesto interno “ dov'è il tuo tesoro lì c'è anche il tuo cuore” Matteo 6 (discorso di Gesù). Con questo, non si vuole liquidare il tutto con superficialità, ma al contrario farne un approfondimento. Oggi, nelle nostre chiese, non solo vi sono a pieno titolo, credenti omosessuali, ma anche pastori che hanno ricevuto la vocazione. XIII SOTTOMENU Significato di chiesa "ECCLESIA REFORMATA SEMPER REFORMANDA: CHIESA RIFORMATA DEVE SEMPRE RIFORMARSI". QUESTO PRECETTO LATINO FA PARTE DELLE PAROLE D'ORDINE DELLA RIFORMA Chiesa La parola "chiesa" deriva dal greco "ekklesìa" che significa "assemblea", "gruppo", "riunione" e certamente non si riferisce a un edificio fatto di mattoni e tegole, bensì a un gruppo di persone radunate per adorare Dio e per mettere in pratica gli insegnamenti di Cristo. "Il Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d'uomo" (Atti 17:24) Dire "la chiesa di Cristo" equivale a dire "l'insieme di persone che seguono Cristo, che sono di Cristo". Protestante Il Protestantesimo è una forma di Cristianesimo sorta nel XVI secolo per riformare la Chiesa cattolica considerata nella dottrina e nella prassi non più conforme alla parola di Dio, a seguito del movimento politico e religioso noto come "Riforma protestante", derivato dalla predicazione dei riformatori, fra i quali i più importanti sono Martin Lutero e Giovanni Calvino. Cristiana Il Cristianesimo è la conoscenza di una persona, Gesù Cristo; è una relazione tra Lui che dà la vita e noi che la riceviamo. Questa relazione è stabilita una volta per tutte alla conversione, cioè quando, riconoscendoci peccatori, accettiamo per fede la salvezza gratuita ch’Egli ci offre, il pieno valore del suo sangue versato per togliere i nostri peccati. Essa poi è mantenuta dallo Spirito Santo, dato al cristiano per rinnovare la sua pace interiore, la sua pazienza, il suo coraggio, la sua fiducia, la sua gioia nell’amore del Signore Gesù per lui Evangelica. La parola "evangelica" ha un significato più chiaro e indica la fedeltà dei protestanti al messaggio del Evangelo, senza doverlo vincolare a particolari interpretazioni "ufficiali". Battista Il nome del movimento battista deriva dalla pratica neotestamentaria di battezzare coloro che hanno fatto una personale confessione di fede nel Signore Gesù Cristo. I battisti, insieme ai mennoniti e ad altri anabattisti fanno parte di un movimento spirituale per il rinnovamento e separazione tra stato e chiesa, il battesimo ai credenti e un impegno consapevole alla fede personale in Cristo. Si parla anche di libertà delle comunità di costituirsi e di vivere senza gerarchie e ritenere ciascuno libero nel suo ambito. XIV SOTTOMENU Storia della chiesa Chi siamo/ testata storia della chiesa PAOLO PASCHETTO, L'ARTISTA CHE HA DECORATO LA NOSTRA COMUNITÀ, È ANCHE COLUI CHE HA FATTO L'EMBLEMA DELLA REPUBLICA ITALIANA La chiesa evangelica battista di via del Teatro Valle è il primo edificio costruito a Roma per il culto evangelico. Essa è impreziosita dagli affreschi in stile liberty dell'artista Paolo Paschetto anch'egli membro della chiesa fino alla morte. Nell'edificio si incontra ancora la comunità, membro dell'UCEBI (Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia). Storia Dopo la presa di Porta Pia nel 1870, il Foreign Mission Board della Southern Baptist Convention aveva inviato come missionario per l'Italia il Dr. William Nelson Cote che nel 1871 era riuscito ad aprire una chiesa battista regolare in Via della Croce n. 39, ma come per tutti i movimenti missionari evangelici presenti a Roma in quei anni, anche i battisti trovarono difficoltà a trovare una sede stabile per la loro comunità. La diffidenza e l'ostilità dei proprietari dei locali li costrinsero più di una volta la nascente comunità battista a spostarsi da un luogo all'altro della città. Sotto la guida di Georg Boardman Taylor nel 1874 il movimento riuscì ad aprire una sala grande nell'ex Caffè Cesano in Piazza Montecitorio 17 e qui iniziò la raccolta di fondi per l'acquisto di un proprio edificio. Nel 1878, il Foreign Mission Board acquistò con fondi raccolti tra le comunità battiste statunitensi, un edificio nel rione Sant'Eustachio, in un'area confinante con il Teatro Valle[1]. La chiesa fu inaugurata con un culto solenne la domenica 2 novembre 1878. L'Area La zona dove sorge la chiesa battista, una volta depressione della pianura del Campo Marzio, era stata un'area di grande interesse fin dall'epoca romana. Molte e importanti sono le rilevanze archeologiche che la caratterizzano e lo stesso sistema viario attuale, con un orientamento NordSud, risente dell'antico tessuto urbano. Nel 1878, il Foreign Mission Board acquistò con fondi raccolti tra le comunità battiste statunitensi, un edificio nel rione Sant'Eustachio, in un'area confinante con il Teatro Valle (tra piazza della Rotonda e Corso Rinascimento), a est dal Pantheon e dalle terme di Agrippa (localizzate a nord di largo Argentina, tra Corso Vittorio Emanuele e via santa Chiara) e caratterizzato in ultimo da una grande “Stagnum” un lago artificiale realizzato da Agrippa deviando le acque provenienti dai colli Pincio e Quirinale. Nel Medioevo, la depressione del terreno, occupata originariamente dallo Stagno di Agrippa, assunse il nome di Valle costituendo un toponimo di riferimento sia per il Teatro, che per la Basilica di Sant'Andrea della Valle e per la famiglia della Valle, proprietaria di questi terreni. Tra Medioevo e Rinascimento quest'area, inclusa nel rione VIII, che prendeva il nome dalla vicina Basilica di Sant'Eustachio, fu il centro di attività commerciali e artigiane la cui memoria resta nei toponimi delle strade che la costeggiano (via dei Chiavari, Baullari, Canestrai, Sediari ecc.). I locali acquistati della missione battista facevano parte, insieme al Teatro Valle e al Palazzo Capranica alla Valle, realizzato nel 1530, di un unico complesso, proprietà ereditata dalla famiglia Capranica, che aveva al suo centro il Teatro e che si estendeva da Piazza Sant'Andrea della Valle fino a Piazza Sant'Eustachio [2]. Probabilmente questi ambienti erano in origine aree di servizio del Palazzo, forse stalle o rimesse per le carrozze [3]. Sappiamo però che agli inizi dell'Ottocento, parte di questa proprietà, quella includente l'area dove è sorta la chiesa battista, fu ceduta alla famiglia Lante e da questa, si può supporre venduta al pastore Taylor [4]. Nel 1905 nello stesso edificio, al primo e secondo piano fu stabilita una Scuola Teologica. “I missionari stranieri che lavoravano da molti anni in Italia, ritenevano che fosse giunto il momento di formare un corpo pastorale e un gruppo dirigente italiano che garantissero la completa autonomia dalle missioni estere, nella convinzione che il movimento battista sarebbe divenuto prettamente italiano e sostenuto da mezzi italiani” [5]. Struttura La chiesa presenta una facciata a timpano suddivisa in due ordini; l'inferiore in cui si aprono il portone a timpano triangolare e due finestre centinate, è suddiviso in tre parti da paraste di stile tuscanico. L'ordine superiore è caratterizzato da tre finestre centinate sormontate da una trabeazione continua. L'interno è costituito da una sala rettangolare absidata, coperta a volta a botte. Sopra l'ingresso vi è un piccolo coro. L'abside semicircolare è incorniciata da un arco decorato con motivi floreali a rilievo e nella calotta absidale è dipinta al centro una semplice croce. La vasca battesimale, fulcro liturgico della chiesa, è incastonata nel pavimento davanti all'abside. Sulla parete laterale di destra due bifore rappresentano le uniche fonti di luce. Decorazioni La decorazione interna di questo edificio come nel caso della chiesa battista di Piazza San Lorenzo in Lucina fu affidata nel 1911 a Paolo Paschetto [6]. L'autore si ispirò liberamente dell'arte paleocristiana e alle decorazioni che adornavano le sepolture delle Catacombe cristiane. La caratteristica principale di questa arte cristiana primitiva era l'uso del simbolo, alla cui sobrietà era affidato il compito di esprimere non tanto delle definizioni teologiche quanto il ricco contenuto della fede cristiana vissuta. Paschetto [7] realizzò sulle pareti laterali tre false finestre (tre per lato) con simboli cristiani: il giglio, l'alfa e omega, il roveto ardente, il pavone, la vite, un altare con il pane e il vino, chiaro riferimento all'Eucaristia e tradusse questi simboli in predicazione promuovendo l'arte, come nel caso successivo della Chiesa di Piazza Cavour, come strumento della diffusione della Parola di Dio. ARCHITETTURA DELL'EDIFICIO L’edificio è la sede della Chiesa Battista in via del Teatro Valle. Esso è costituito da due corpi di fabbrica uniti tra loro che ospitano l’aula liturgica e altri ambienti che ospitano le attività comunitarie, negozi, la casa del pastore e un appartamento in affitto. La facciata della chiesa presenta un alto zoccolo in pietra interrotto dal grande portale di accesso all’aula liturgica costituito da una sottile cornice che corre lungo tutto il perimetro del portone sormontato da un timpano aggettante circa venti centimetri sostenuto da due mensole. Sopra lo zoccolo ci sono quattro paraste che inquadrano il portale d’accesso e due finestre arcuate che sostengono un’alta trabeazione. Al di sopra di essa ci sono 3 ampie finestre ad arco incorniciate. La facciata è coronata da un grande timpano fortemente aggettante. All’interno l’ambiente architettonicamente più interessante è l’aula liturgica. Essa è costituita da una grande sala rettangolare (8,95 x 13,55 ml circa) absidata coperta da una grande volta a botte lunettata che ha un'altezza interna massima di 7,68ml circa. Con un restauro negli anni '50 è stata aggiunta la cantoria, sostenuta da una pesante trave in cemento armato, che nell'intervento di restauro sarà rimossa e sostituita con catene e un solaio tecnologico in legno e metallo. Le pareti sono caratterizzate da un’interessante decorazione a pittura realizzata dal celebre artista Paolo Paschetto, noto grafico e illustratore dei primi anni del Novecento. La decorazione pittorica dell’aula liturgica è di carattere grafico e propone sulle pareti una finta muratura in pietra. Al centro dei finti blocchi di pietra si trovano degli elementi decorativi grafici con stelle e fiori stilizzati di colore rosso. Alla base di tale decorazione, a circa 2 metri da terra, è presente un fregio orizzontale che riporta le parole del Padre Nostro. Al di sotto del fregio vi è una zoccolatura di lastre marmoree. Nell’abside, preceduto da un arco a bassorilievo, è dipinto un cielo stellato con una croce di colore rosso con coppie di ali bianche alle estremità. Al di sopra dell’abside si trova un rosone centrale con una vetrata artistica dipinta ad opera sempre del Paschetto. Le voltine laterali presentano ognuna dei raffinati dipinti raffiguranti alcuni simboli del Cristianesimo: il pesce, la lampada, il pavone, la vite, il pane e il vino, l’alfa e l’omega. Altre interessanti decorazioni grafiche con elementi vegetali di ascendenza liberty, si trovano lungo le pareti; inoltre la parete nord è arricchita anche da quattro finestre arcate, impreziosite da due coppie di vetrate dipinte dallo stesso artista. La chiesa presenta una facciata a timpano suddivisa in due ordini; l'inferiore in cui si aprono il portone a timpano triangolare e due finestre centinate, è suddiviso in tre parti da paraste di stile tuscanico. L'ordine superiore è caratterizzato da tre finestre centinate sormontate da una trabeazione continua. L'interno è costituito da una sala rettangolare absidata, coperta a volta a botte. Sopra l'ingresso vi è un piccolo coro. L'abside semicircolare è incorniciata da un arco decorato con motivi floreali a rilievo e nella calotta absidale è dipinta al centro una semplice croce. La vasca battesimale, fulcro liturgico della chiesa, è incastonata nel pavimento davanti all'abside. Sulla parete laterale di destra due bifore rappresentano le uniche fonti di luce. http://www.archilovers.com/p22286/PROGETTO-DI-RESTAURO-CHIESA-BATTISTAIN-VIA-DEL-TEATRO-VALLE-26-ROMA APPROFONDIMENTO INFLUENZA BATTISTA MAZZINI E CAVOUR AI LATI DI GARIBALDI Il risorgimento italiano fu permeato consapevolmente e non dalla consistenza spirituale dei protestanti e in particolare dei battisti. Con questo non vogliamo apparire, forzando la realtà, come usurpatori della grandezza altrui, ma la coincidenza e l'affinità c'è ed è chiara..... CAVOUR E IL BATTISMO MAZZINI E IL BATTESIMO Cavour fu colui che affrontò il problema dei rapporti tra stato e chiesa con fini politici ma con impostazione religiosa. Egli si rese conto che la chiesa non doveva entrere in nessun modo nella politica e che lo stato non doveva difendere una sola religione, quella cattolica, ma assicurare libertà di professare il proprio credo religioso. Insomma, come diceva in un unica frase Cavour: “Libera Chiesa in libero Stato” Ma ci si chiede: dove ha tratto questa convinzione incrollabile della sua vita? Semplice, dai parenti protestanti materni e vivendo tra essi ne subì il fascino del pensiero protestante che in quel tempo si svolgeva con passione su libertà religiosa individuale e chiesa. Con Cavour tornava in Italia un aspetto del pensiero dei riformatori italiani che nel secolo della Riforma fuggirono in esilio e mantennero con sofferenza le idee di libertà di tolleranza. Mazzini, invece, fu colui che aveva una visione della religione e in particolare del battesimo differente dalla chiesa ufficiale. Infatti rifiutò il pedobattismo, cioè il battezzare un individuo da piccolo perchè , per lui, esisteva solo il battesimo dei credenti (persone in grado di decidere). Con questo suo ragionamento, non fece altro che sostenere quello che, ancora oggi portano avanti i battisti, l'originale significato del battesimo secondo la Bibbia. Mazzini staccandosi dal rito cattolico, si avvicinò coscentemente o no, allo spirito del cristianesimo primitivo in molti aspetti esercitando, forse, una grande influenza spirituale su molti evangelici italiani e non di quel tempo. Tratto dal libro “l'Italia battista” del pastore Sanfilippo edizioni c.e.b. XV SOTTOMENU TEOLOGIA DELLA SPERANZA "LA SCELTA DI FEDE E' L'UNICA SCELTA DI UNA VITA POSSIBILE" La fede che nasce dalla "contraddizione" che c'è tra l'uomo, in quanto tale e Dio nel suo "Essere". Da questa crisi che si genera dall'eterna diversità, scaturisce l'unica scelta possibile per una vita "vera". Una scelta che nasce dalla fede in chi non si comprende, e produce la speranza in chi non si conosce ancora. Vita vera, perchè si sviluppa in un divenire, che si rivela in una quotidiana scoperta di noi stessi, in "somiglianza" di colui che ci ha mostrato come possiamo essere. Una vita che riconosce noi stessi, non per quelli che siamo, ma per quelli che ancora dobbiamo essere. Una scelta che nasce da questa consapevolezza di fede, cioè: Siamo ora quello che diventeremo. Il tempo della vita presente, è un'attimo che è già passato. La nostra storia è metafora di ciò che sarà. Una vita di fede che pone le sue "radici" nel futuro, vivendo oggi per quello che non è ancora. TEOLOGIA DELLA SPERANZA JÜRGEN MOLTMANN Il cristianesimo è escatologia dal principio alla fine, nonostante questo sia stato dimenticato. Il Dio cristiano ha come qualità dell’essere il futuro, ed è sempre davanti a noi. Per i greci la speranza è uno dei mali usciti dal vaso di pandora, ma per i cristiani è il fondamento della propria fede. Quella che la differenzia dall’utopia è il suo fondamento, cioè quello di Cristo. Questo futuro è ancora nascosto ma si rivela nel nostro presente attraverso le promesse. Allora bisogna considerare la speranza l’incipit, il motore della fede e della teologia cristiana. La speranza che si fonda sulla resurrezione di Cristo. La speranza è il compagno inseparabile della fede, in quanto mantiene aperto quel futuro onnicomprensivo di Cristo. Un futuro completamente nuovo e diverso da questo mondo con le sue prospettive, una speranza che diventa addirittura causa di disturbo per questo mondo che cerca una propria e diversa stabilità. Un disturbo che fa in modo che la chiesa di Dio si trovi sempre in contraddizione tra la propria speranza e le aspettative del mondo stesso. Ma non si isola, ma proprio per la speranza in un mondo nuovo e completamente diverso, si sforza di rendere il passaggio per il mondo, una realtà quanto migliore sia possibile, cercando di vivere nel mondo conosciuto ma avendo la propria vita e visione proiettata a ciò che ancora non si conosce. Il Dio di Israele è un Dio che promette, ed anche se attraverso l’esodo si manifesta con la sua gloria e rivela il suo nome, esso diviene un mezzo per proiettare il popolo verso le promesse future. Il suo nome non definisce una entità statica, ma in esso è rinchiuso un progetto, fatto di promesse che si muove in avanti verso il futuro. La sua parola, anche se detta al presente, ma in essa nasconde la rivelazione che si rivela non nel momento, ma nella promessa. Una rivelazione, che ancora una volta apre le porte al “non-ancora” ma che trova forza proprio nella promessa. Una speranza che produce attesa, ma un’attesa che rende la vita mondana “buona”, in quanto l’uomo accetta tutto il suo presente , anche quello negativo, proprio perché vede la propria parusia nell’avvento del regno. Infatti, la parusia del Cristo Risorto, anche se si è manifestato nel tempo, non lo ferma al momento della sua epifania, ma attraverso l’avvento schiude il suo futuro, dando la possibilità di vivere nel tempo, perché la vita nel tempo è speranza. Allora il credente viene collocato all’alba di un nuovo giorno, quando il buio lascia il posto alla luce, vive così la sua attesa, in un tempo, che è in movimento verso il “non-ancora”, che travalica il momento presente. La speranza diviene anche la forza che sostiene la fede.” La fede spera per conoscere ciò che crede”. Essa si muove non sulla visione di un mondo rinnovato, ma in un novum ultimum, che non conosce ma si muove sulle promesse, sapendo che “nulla è molto buono se non sia nuova” . La differenza tra il logos greco e la promessa giudaicocristiana, è proprio nella parola di speranza. In quanto il logos greco è legato alla manifestazione dell’evento ei un eterno presente. Un’eternità che tange il presente in un punto preciso, rendendo il momento eterno; mentre la rivelazione per giudeo-cristiani è proprio nella promessa, un’epifania che si dimostra al fianco dell’uomo, ma nello stesso momento lo sospinge verso la ricerca di quel futuro atteso dalla parola rivelata dalla promessa. La fede è poggiata sulla parola della promessa in quanto Dio è fedele a mantenere la parola data. Una parola che non sempre storicamente ritrova l’esatto riscontro, ma ritrova nel futuro che dovrà venire, il suo completo adempimento. Allora la speranza cristiana della promessa rivelata, è ancora una volta proiettata nel futuro di Dio e non in un momentaneo adempimento. Dio non si può dimostrare, ne partendo dal cosmo e tanto meno dall’esistenza umana, ma la dimostrazione di Dio è la sua rivelazione stessa. Ma se la sua rivelazione si ha nella promessa e il suo topos (http://it.wikipedia.org/wiki/Tòpos) è il futuro, proprio la speranza, che non è soltanto una fatto ontologico, diventa anche in quanto cristiana, una dimostrazione di Dio stesso, proprio nella promessa e attraverso la speranza Dio rivela se stesso. Nel momento della predicazione, l’uomo scopre una realtà che gli viene rivelata al momento, ma nello stesso tempo, attraverso Cristo, scopre ciò che non è ancora. La rivelazione ricevuta in un determinato presente, diventa promessa di un suo divenire, che riscopre non nel suo io-sono, ma in quello che io-sarò. In questa prospettiva cambia anche la concezione del mondo, il quale non viene più visto come semplicemente il “bacino della corruzione “ destinato a finire, ma nella prospettiva escatologica di fede, anche esso aspetta l’avvento di un futuro che ha da venire, in quanto parte delle promesse di Dio. Allora, anche il mondo si muove o si dovrebbe muovere nel tempo in una prospettiva simile. Il credente attraverso la speranza, che diventa la forza dell’azione, deve far in modo che le cose possano tendere verso un futuro e non morire in un “eterno presente”. L’apocalittica, rende il futuro come l’avvento che deve sostituire il presente. L’attesa allora non diventa una speranza, ma soltanto un momento di passaggio tra uno “ione” ad un altro. Questo fa della rivelazione un predicato della storia, cercando nella progressione escatologica della storia della salvezza in “altri segni dei tempi”, che non fossero la croce e la resurrezione di Cristo, cioè intendere la storia deisticamente, facendola quasi un sostituto di Dio. In realtà, se la rivelazione che è nella promessa e quindi si muove verso il futuro, allora la storia diventa un predicato della rivelazione, cioè essa si muove verso la direzione della speranza di un futuro, che si trova davanti, verso il raggiungimento di quel tempo che ha da venire. Poiché ogni singolo atto di Dio illumina solo parzialmente l’essenza di Dio, non è possibile la piena rivelazione in un solo momento, ma la piena rivelazione si otterrà soltanto nella totalità della storia. Ma essa è possibile riconoscerla come rivelazione soltanto se viene guardata dalla fine. Gli scrittori apocalittici del tardo giudaismo, hanno contemplato in anticipo questa fine, al di là delle loro visione, hanno visto la fine della storia nella resurrezione dei morti. Allora Gesù ha anticipato questa fine, attraverso la sua resurrezione è accaduto quello che ancora deve accadere a tutti gli uomini. Se la resurrezione è la prolessi della fine universale, nella sua sorte, Dio stesso si rivela come Dio di tutti gli uomini. Ma tra le aspettazioni apocalittiche del tardo giudaismo e quelle cristiane si pone la croce. Questa non è semplice cesura (taglio, stacco netto) nello svolgere i fatti storici, ma da essa dipende una visione completamente diversa del mondo e del presente. Una visione che sposta il raggio e la forza della nostra attesa. Essa nella sua contraddizione compenetra tutta l’esistenza e il pensiero teologico “della comunità nel mondo”. Questo fa si che la rivelazione di Dio non è dimostrazione della storia di questa società, ma aprirebbe il processo escatologico della storia, cioè la trasformazione del mondo e della storia in una attesa divina. Il Cristo risorto allora non è epifania di un eterno presente, ma rivelazione di promesse di un futuro completamente nuovo. Le apparizioni pasquali non sono altro, sotto questa prospettiva, che caparra, annuncio di tali promesse. Infatti, per coloro che assistettero alle apparizioni pasquali, il Risorto non compare come colui che è giunto nella sua gloria, ma come colui che annuncia il suo “andare” verso la gloria. Allora Egli non è “l’immortalato” ma il “veniente”, cioè come colui che deve ancora venire. In questo la fede nel Risorto trova un senso, in quanto riconosce in esso una rivelazione nascosta, ma ha fiducia nelle sue promesse, dimostrate e annunciate attraverso la sua resurrezione. Allora non un ’epifanico compimento, ma qualcosa di incompiuto e di non-ancora accaduto, la rivelazione ancora una volta trova la sua forza nella speranza, che si fonda in quello che è stato promesso ma non è ancora venuto. Allora come si diceva prima, la rivelazione non diventa un avvenimento storico, ma un"primum movens", che si trova alla testa del fatto storico. Il credente che viene raggiunto da questa promessa, diventa essenzialmente uno “sperante”, in quanto riconosce se stesso, ma si differenzia per quello che sarà. La sua via è nascosta nel futuro di Cristo, promesso ma non ancora apparso, affidando l’esito di questo futuro completamente nell’azione del Risorto. La rivelazione allora raggiunge l’uomo, che attraverso la resurrezione lo conduce alla rinuncia estrema di se stesso, in quanto legato a ciò che” sarà”. Questo non lo allontana dal presente del mondo, anzi lo rende partecipe tanto da calarsi completamente in esso, in quanto la promessa si rivolge a lui attraverso il mondo. Un mondo che non è stabile, tanto da portarlo a credere di aver raggiunto l’adempimento, ma esso è in continuo cambiamento; solo davanti a questo tipo di suscettibilità trova il suo senso la speranza, in quanto essa non si adempie, ma davanti ai continui cambiamenti “spera”. Con questo possiamo dire che in una dimensione cristiana “storia” non significa annunziare la verità di Dio in combinazione con vecchie esperienze del destino e della casualità, ma significa inserire questo mondo nel processo della promessa che è tenuto in movimento dalla speranza. Nell’Israele palestinese avviene la tensione e lo scontro tra l’antica religione dei nomadi e quella agricola cananea. Cioè, tra un modello di religione, basato sulle promesse e la ricerca di un futuro, un dio che cammina con il popolo in movimento e con quella agricola, di una divinità che si manifesta nel presente per benedire la terra. La particolarità di Israele è, che nel suo insediamento non ha abbandonato l’aspetto promissorio di Dio, ma ha continuato a credere alle promesse di Dio. Anzi, il suo insediamento nella terra “promessa”, questo passaggio da popolo nomade a un popolo agricolo e cittadino, ha fatto si che questa realtà sia stata vista proprio alla luce del Dio della promessa. Non un abbandono al Dio che “camminava con loro”, ma l’aspetto promissorio di Dio diventa la chiave di interpretazione del presente. Allora per Israele la rivelazione di Dio non è nella sua epifania, ma nella promessa, in essa si manifesta la sua parola. Una promessa che sempre si richiama a quelle fatte nel deserto al popolo nomade. Quindi si assicura della propria esistenza non in base al momento presente, ma attraverso quelle promesse fatte ai padri nomadi nel deserto.” La promessa mantiene la coscienza di colui che spera nell’atmosfera di un “non-ancora”, che trascende tutta l’esperienza e la storia. In essa troviamo il motivo fondamentale della rottura dei rapporti di corrispondenza mitici e magici, della storicizzazione delle festività e della natura in riferimento alle date della storia della promessa, e della futurizzazione dei loro contenuti, in vista del futuro della promessa. La parola promessa porta con se sempre un carico di tensione tra il presente e il nonancora. Questa tensione si manifesta proprio nel fatto che se è un parola promessa non ha ancora trovato il suo perfetto habitat nella realtà, essa si proietta in un futuro diverso dal presente. Ma allora la domanda è se con l’adempimento, la promessa possa cessare di esistere? Questo interrogativo è rivolto anche ad Israele, ed esso è la dimostrazione di come la promessa di Dio continui ad esistere anche dopo il suo adempimento. Cioè , la promessa è al di sopra e più grande dello stesso suo adempimento. Infatti, ci si chiede come mai Israele, una volta insediatosi nella “terra promessa” come mai non ha cambiato Dio? cioè non ha rinunciato al Dio della promessa per soppiantarlo con quello epifanico dei popoli agricoli e sedentari? Questo perché l’adempimento di una promessa non chiude la storia, ma ne diventa l’inizio di una più grande. Infatti, la promessa del dono di una terra è stata adempiuta, ma quella di protezione e presenza continua a vivere come tale. Poi Israele più di ogni altro popolo coglie la tensione della promessa nella storia, nella sua incongruenza con il presente; ma la soluzione per Israele è proprio nella promessa stessa, cioè la sua incongruenza e tensione viene risolta proprio dal fatto stesso che essa deve ancora completarsi in un futuro e nel non-ancora. Il non-ancora dell’attesa, supera qualsiasi adempimento che già ora si realizzi. Perciò qualsiasi realtà che abbia il valore dell’adempimento, diventa occasione per confermare, ma anche per lasciar il via libera ad altre più grandi speranze. Per Israele vi è storia soltanto quando Jhawé ha parlato. Ma se la sua parola e soprattutto la sua rivelazione è nella promessa, la storia di Israele è vissuta in questa nuova dimensione cioè quella della promessa. Il presente allora diventa il risultato di quello che è stato promesso nel passato. La lettura della storia non diventa, come nelle mitologie greche, il passato che viene reso presente, ma una specie di profezia inversa. Gli avvenimenti storici, non hanno il carattere di casualità o di circostanza, ma di incompiutezza, in quanto prodotti dalla promessa, che non si esaurisce solo nel momento del suo ora, ma ancora proietta il vissuto presente verso la visione del non-ancora. Tutto assume un carattere di provvisorietà, alla luce del futuro di Dio. Bisogna però tener conto del fatto che molte promesse, soprattutto quelle fatte per bocca dei profeti, non si sono avverate nel modo in cui erano state intese originariamente, così che la storia li ha rese antiquate superandole. Ma in realtà bisogna tener presente il fatto, che le promesse non sono quelle che si perdono per la strada della storia, ma sono quelle che attraverso la loro “interpretazione” hanno dato identità ad Israele. Un’interpretazione che supera il momento storico di quando sono state date, ma si cala nel tempo in cui ad esse si guarda. Una rivelazione che non ci dà la chiara e inequivocabile susseguirsi di fatti, ma c’è né dà “il senso”. Un senso che ci proietta nuovamente verso il futuro di un presente, che và avanti e che trova in esso il suo ”senso”. Allora Israele non si preoccupa di dare validità alla promessa attraverso i fatti storici, tanto meno di prendere le promesse come semplice interpretazione della storia. Tra la promessa e l’adempimento, si estende il processo della storia di come agisce la parola; il quale diventa tradizione in quanto la promessa viene trasmessa alle generazioni future interpretata e attualizzata. Allora la storia diventa uno strumento nelle mani di Dio, che Egli nella sua sovrana libertà modella in base alle sue promesse. Essa allora è il topos dove lo stesso Dio si rivela, nell’interpretazione della promessa che illumina la storia. Ma se Egli si rivela nella promessa, possiamo dire che il futuro stesso è Dio, cioè colui che si rivela nel futuro di Israele. Come lo stesso suo nome non è un’auto rivelazione di un’epifania di un momento storico, ma è un’indicazione che ci apre l’orizzonte verso il futuro di Dio ma ancora di più è Dio stesso. In questa direzione e dimensione si muove il messaggio profetico per Israele. La conoscenza di Yahweh non è limitata al momento presente ma è sempre rilegata a ciò che ci si pone all’orizzonte. Conoscere Dio significa riconoscerlo nella sua realtà storica e nelle sue promesse, questo ci parla della fedeltà di Dio, cioè riconoscere nel trascorrere della storia che Egli è fedele alle sue promesse. Non solo nel futuro si riconosce Dio ma anche nel tempo presente, proprio attraverso il conoscere la sua fedeltà alle sue stesse promesse. La conoscenza di Dio è una conoscenza che ci spinge in avanti e non in alto, essa ci anticipa il futuro di Dio, non come adempimento ma come caparra di quello che è non-ancora. Le promesse non sono parole che interpretano la realtà in quanto tale, ma sono parole dinamiche che si muovono in avanti, ci trascinano verso il futuro di Dio. La speranza di Israele è poggiata su tali parole, la “Parola di Dio”, la quale ha in sè la usa. La speranza non è poggiata sull’essere di Dio, in quanto futuro ci si pone davanti, ma proprio sulle parole della promessa, che ci parlano della sua fedeltà. Quest’ultima interviene nel’oggi di Israele, per proiettarlo attraverso la fede(fiducia), nella fedeltà di Dio, al domani di Dio. Le promesse non possono essere dimostrate attraverso le realtà storiche, anzi esse sono in contraddizione con tali realtà, in quanto ci parlano di cose che devono ancora avvenire. Ma attraverso la fede nella fedeltà di Dio, tali parole diventano “una speranza certa”, in quanto la sua fedeltà è manifestata nel nostro tempo. Una speranza che si poggia proprio sul dato di riconoscere che Dio in quanto fedele nel nostro momento, lo sarà anche nelle sue promesse. “ non sono le esperienze che fanno la fede e la speranza, bensì la fede e la speranza che fanno esperienze e conducono la mente umana ad un sempre ed inquieto trascendersi”. Se le promesse aprono un intervallo di tensione tra promessa e adempimento, aprono in questa maniera uno spazio di libertà per l’obbedienza. In questo spazio va ad inserirsi la “legge”. Essa diventa etica della promessa, in quanto regola il comportamento di colui che riceve e vive la promessa, in attesa del suo adempimento. I comandamenti allora non regolano la promessa ma il modo di attendere essa; allora in questa prospettiva vengono anche loro inglobati nella promessa stessa, in quanto contribuiscono all’obiettivo comune. In realtà l’obbedienza a tali leggi, per il tardo giudaismo, soprattutto in periodi di crisi, viene visto come causa primaria per l’adempimento delle promesse. Messa in questa maniera, ci accorgiamo che l’obbedienza dell’uomo diventa la “conditio sine qua non”, senza la quale le promesse non possono essere adempiute. Questo comporta che il loro adempimento non dipendi più dalla fedeltà di Dio, ma dalla capacità dell’uomo. Questo problema è posto anche dall’apostolo Paolo nel suo rapporto con la legge, ma si comprende come egli in questa diatriba tra fede e legge, quello che gli interessa e salvaguardare proprio l’aspetto della promessa, che non è condizionata dalla legge, ma essa la rende necessaria. L’adempimento della legge allora, diventa non più una condizione per la quale la promessa si adempi, ma una partecipazione alla promessa stessa. Cioè, la fedeltà alle promesse di Dio, ci rende gioiosi nel obbedire ai comandamenti, che diventano correlati alla parola rivelata nella promessa. Una parola che come la rivelazione e la speranza, progredisce nella storia e come la storia viene interpretata attraverso tale rivelazione, così i comandamenti, calati nell’oggi di Israele, vengono interpretati alla luce di tale rivelazione. I profeti classici non hanno profetizzato a riguardo del futuro di Israele, ma principalmente, erano proiettati all’esortare Israele ad avere fiducia in Dio. Allora le loro parole non hanno un valore propriamente escatologico, ma un messaggio dove Dio presenta ad Israele la propria speranza. I Profeti posteriori, davanti alla crisi politica e alla minaccia Caldea, vedendo in questo le promesse di Dio frantumarsi sul presente avverso, assumono un messaggio puramente apocalittico. In effetti, le promesse degli antichi profeti sembrano dissolversi davanti alla realtà. Allora essi, non del tutto abbandonando le parole degli antichi, assumono un nuovo linguaggio, appunto propriamente detto apocalittico, che sposta l’adempimento delle promesse di Yahawe, in un futuro di Dio del tutto nuovo, dove le cose “vecchie saranno passate” e dove finalmente si potrà godere del loro adempimento. Allora il messaggio diventa apocalittico, in quanto non è più fondato sulle promesse fatte dagli antichi, anzi esse vengono sostituite da un’azione futura di Dio. Ma in questo nuovo futuro di Dio, vengono inserite tutte le nazioni, soprattutto quelle che sono servite per il giudizio ad Israele. Essa a loro volta saranno giudicate, nel giorno del Signore, come Israele. Allora se tutte le nazioni, attraverso il giudizio finale, avranno un “pari trattamento” come Israele, anche la salvezza in questo senso diventa universale, per Israele e per le altre. La differenza è nel fatto, che Israele sarà salvato attraverso il giudizio che vedrà come strumento le nazioni, mentre le altre nazioni saranno salvate attraverso Israele. Allora la visione glorificatrice del futuro di Jahawe si sviluppa sotto l’impulso delle nuove esperienze di giudizio, la gloria di Dio si dimostra nel superare il giudizio stesso, Dio che supera Dio. Cioè, il giudizio diventa lo strumento affinché la gloria di Dio dopo il giudizio si manifesti, dando la vita, trasformando il giudizio in benedizione. In questa prospettiva allora i profeti “apocalittici” vivono la speranza, fiducia in colui che trasformerà il giudizio in benedizione. La speranza allora ancora una volta parla in modo universale, in quanto un unico giudizio e allora un'unica benedizione, per Israele e per tutte le nazioni. Anche la morte viene vista sotto questa prospettiva: “ essa appare come l’atto di subire il giudizio divino, e la salvezza messianica in cui il giudizio è annullato si semplifica con la vittoria sul morire e sulla morte. Per quanto riguarda alla figura di Cristo, è necessario precisare chi è il Dio di Gesù. Infatti, il Dio di Gesù non è, la divinità greca, cioè quel motore immobile perfetto che poteva essere per Aristotele, o la suprema idea di Platone o il "presente eterno" di Parmenide. Il Dio di Gesù è il Padre Eterno, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Colui che si rivela nell’antico Testamento, e quindi si rivela nella promessa. Cioè colui che non si rivela in tutta la sua totalità, ma si fa conoscere nella storia di Israele, una storia che assume una dimensione universale, proprio attraverso le parole e l’annuncio delle sue promesse. La parola di Dio ha il carattere della promessa, in quanto colloca colui che la riceve in un sentiero che sta ad indicargli la meta, ma nello stesso tempo si trova in antitesi con la realtà vigente. Questo la rende escatologica, ma fondata sulla fedeltà di Dio. Gli evangeli hanno in sé tale rivelazione, la quale li rende non un evento storico ma portatori di una promessa e annuncio di speranza. In essi ritroviamo per prima, la promessa che ritroviamo anche nell’antico Testamento, la remumerazione dei “giusti”, secondo le regole della “Torah”, ma poi ciò viene superato attraverso la promessa, di dare ai giusti attraverso un “nuovo” mondo, quello che nel mondo non potrebbero mai ricevere e trovare. Per il mondo rabbinico, Abramo diventa l’elemento fondante dove le promesse di Dio hanno avuto inizio, e trovano in esso la loro validità. Anche Paolo si rifà ad esso, scegliendolo a Mosè, ma per illustrare che la promessa, non si basa sulla legge e nemmeno sulla continuazione di ciò, che già ci è stato dato, ma per introdurre la speranza del “nuovo” mondo in un futuro promesso, però completamente diverso da quello che empiricamente possiamo conoscere. In questo nuovo mondo, ritroviamo un nuovo popolo, formato da ebrei e gentili. Ma in Paolo i presupposti, sono diversi, in quanto la “certezza della propria speranza”, no è in Abramo o nella legge, ma proprio nell’evento pasquale. Se Dio ha risorto Cristo dai morti, così chiamerà a vita tutte le cose. Infatti, se la promessa di Dio, dipendesse dalla legge, il suo adempimento non dipenderebbe dalla potenza di Dio, ma dalla capacità dell’uomo nell’adempiere la legge. Allora con questo presupposto, la promessa diventa non esclusiva, ma inclusiva. Perché se il suo fondamento è il Cristo risorto, allora è stata liberata dalla legge e dall’elezione di Israele. La promessa è allora per “tutti”. Essa è incondizionata, per “la giustificazione degli empi”. Con questi presupposti, possiamo affermare, che l’evento del Cristo ha rovesciato la storia. “I primi saranno gli ultimi”, in quanto Israele scoprirà l’adempimento della promessa, quando i “gentili” riceveranno il compimento della loro speranza, partecipi delle promesse fatte in Cristo. Allora, l’evangelo non liquida le promesse fatte ad Israele, ne le rende obsolete, ma fa in modo che esse possono essere parte di un unico grande adempimento escatologico, che trova il suo centro nel Cristo crocifisso e risorto. Solo appoggiandosi alle scritture dell’antico Testamento, il nuovo può essere una continuazione e un adempimento delle promesse veterotestamentarie, ma anche soltanto l’antico quando si appoggia al nuovo, può scoprire una speranza escatologica nelle stesse promesse, che gli sono state annunciate. Soltanto guardando il primo Testamento, noi possiamo comprendere in chiave salvifica, la figura del Cristo e con lui l’adempimento di ogni promessa. Infatti, alla luce di ciò “il paese diventa il mondo e la progenie, tutti i popoli”. Questo processo, è molto forte in Paolo; in quanto la promessa fatta ad Abramo esiste soltanto in un valore escatologico. Un valore però, che può essere ritrovato soltanto se viene vista e accertata dall’evento Cristo. Egli introduce la promessa in una nuova storia, quella che segue l’evento “finale”, cioè il futuro del Risorto. Allora, nel nuovo Testamento, la promessa assume un valore nuovo: il proprio futuro escatologico; mentre la legge il suo “compimento”. L’evangelo annuncia e conduce gli uomini verso un unico futuro; quello del Risorto. Non c’è più una differenza di promessa fatta a differenti popoli, ma tutto viene assorbito dall’unica promessa del futuro di Dio, in Cristo. Allora le promesse dell’antico Patto, diventano storia, racconto di un'unica promessa che vede il suo adempimento in unico evento, universalmente inteso. Ciò che è stato annunciato ad Israele, ora è integrato completamente nell’unico annuncio a tutta l’umanità, il nonancora di Cristo. Un'unica speranza, perché tutto ormai ha assunto un'unica forma ed un’unica “Parola”, la promessa dell’evangelo. Purtroppo il ritardo della “parusia”, e il contatto e il calarsi del cristianesimo nella realtà ellenistica, fanno in modo che il mondo religioso, soprattutto attraverso il culto, si cali quasi in un “eterno presente”, come se l’adempimento fosse avvenuto nel momento storico del Cristo risorto. Un adempimento che si riscopre presente attraverso la celebrazione del culto e dei sacramenti. Questo in realtà è un dualismo metafisico, dove troviamo una realtà epifanica che si cala nella realtà empirica. Una ferita nella storia che si ripete nelle occasioni del culto e delle “manifestazioni” del sacro. Un, dualismo che cerca di rispondere alla tensione di un altro dualismo, ma questa volta storico cioè: tra il tempo presente, l’ora e il non-ancora. Ma questo ci porta a stare fuori dal mondo e dalla vera realtà del Regno di Dio. Esso è un regno che non ha niente a che fare con il nostro. Un mondo nuovo che si trova nel futuro che ancora ha da venire. Cristo è certamente presente con e nella chiesa, ma come colui che è il “veniente”. Il Signore che sta ritornando. Questo in Paolo è molto chiaro; infatti, sottolinea che il battesimo non è l’adempimento del regno ma è la partecipazione alla morte del Cristo. “Essi ottengono di partecipare alla resurrezione di Cristo, mediante una nuova obbedienza,che si esplica nel campo della speranza della resurrezione.” Cristo è risorto ed è fuori dalla portata della morte, ma i suoi discepoli, non lo sono ancora. Ma mediante la speranza hanno la possibilità di partecipare alla sua resurrezione, una resurrezione presente in loro in quanto speranza nella promessa. Pertanto noi siamo chiamati all’obbedienza non per quello che ”siamo”, ma per quello che “saremo.”, questo ci porta a considerare la nostra “conversione” sotto un presupposto escatologico, ma tale presupposto ci spinge verso il futuro, che diviene certezza, perché mediante la resurrezione di Cristo è tenuto certo. L’eterno presente non è l’adempimento metafisico, che irrompe nel nostro tempo, ma è “la meta escatologica”, futura della storia. Dio non è in qualche parte nell’al-di là, ma è presente in quanto veniente. Egli promette un nuovo mondo, una nuova vita che mette in discussione questo mondo, il quale per colui che spera, esso non è una nullità, ma per la speranza, esso è un nonancora nella prospettiva di diventare. Non ci può essere escatologia senza la croce di Cristo. Non si può sperare nel futuro di Dio senza prima passare per la croce di Cristo. Alla croce di Cristo bisogna realizzare, che il venerdì santo è l’evento della morte di Dio stesso, e con lui muoiono tutte le nostre speranze e la nostra fede. In questa prospettiva, guardando alla croce , non soltanto come l’abbandono del Figlio, ma anche Dio che abbandona se stesso, e in Lui tutto è abbandonato a se stesso. Tutto muore, sulla croce. Solo attraverso questa prospettiva, in una dimensione di questo tipo, cioè la fine di ogni promessa e speranza, noi possiamo attraverso la resurrezione di Cristo, ritrovare una “nuova escatologia”. Una nuova speranza che reinterpreta le promesse, che sulla croce credevamo irrealizzate. L’umanità abbandonata, ritrova ora un “nuovo” presente, dove la presenza di Dio è come il Risorto, che in Lui prende il nostro presente e lo accompagna verso il futuro di Dio, che si pone ora, come il Risorto, davanti a noi. In questa prospettiva, allora la resurrezione non è un evento passato, ma un evento futuro. Essa diventa escatologia di tutti gli uomini. Come la croce è la vera fine di ogni cosa; così la resurrezione è l’inizio del futuro della “vita”. La resurrezione però non và intesa come fatto storico, come noi possiamo intendere la storia, cioè una ricerca della verità oggettiva, certificata da fonti così dette “storiche”. La ricerca storica cerca di trarre dalla narrazione il “nocciolo”, cioè quello che sostanzialmente è verificabile oggettivamente, attraverso le fonti. In questo senso la resurrezione non può essere un fatto storico, in quanto non possiamo trovare documenti o reperti, che possano in qualche modo verificare l’attendibilità dell’evento. Allora, la resurrezione vista in questa prospettiva, è nella categoria della “rivelazione”. Ma se abbandoniamo questa dimensione della storia, possiamo dire che la resurrezione ha una dimensione storica, non perché ha avuto luogo nella storia, ma perché indica la “via dei futuri eventi”. Essa è storia nella quale dobbiamo vivere. Essa è storia perché schiude un futuro escatologico. Il dato oggettivo della storicità della resurrezione, è la fede di ogni credente che si fonda in essa, in quanto evento; non storicamente detto, ma come annuncio e speranza di una vita che si muove attraverso una tale prospettiva. I racconti della resurrezione, vanno letti sempre in chiave escatologica, ponendoci la domanda, che cosa posso sperare? Soltanto cercando di rispondere a tale domanda, possiamo trovare una conoscenza storica e il ricordo, che vengono collocati ad un orizzonte adeguato dalla cosa da ricordare. Soltanto in base a questa domanda la storicità dell’esistenza e la corrispondente comprensione di sé, trova un orizzonte adeguato alla storia, che offre la base e apre la via alla storicità dell’esistenza”. I racconti della resurrezione non ci forniscono risposte, che riguardano alle origini del mondo o al significato della sua essenza. Essi ci forniscono un orizzonte, che deve essere visto dalle aspirazioni profetiche ed apocalittiche; speranze e interrogativi che secondo le promesse di Dio devono avvenire. L’escatologia cristiana prende inizio dalle promesse pasquali e le promesse pasquali prendono spunto dall’escatologia cristiana. Un binomio inscindibile, un movimento circolare che si muove attraverso la fede e la speranza nell’annuncio. Promesse che riprendono quelle precedenti, ma interpretate alla luce del Risorto e del Crocifisso, che ha sua volta riprende quello che precedentemente è stato proclamato. L’escatologia cristiana si differenzia dall’apocalittica veterotestamentaria, in quanto parla del futuro di Cristo è in esso ha la sua essenza. Non si preoccupa di fornire un futuro storicamente possibile, che in qualche modo si possa avvicinare alle aspettative di chi spera “nella terra promessa”. Essa parte dall’evento di Gesù di Nazareth, per arrivare alla sua resurrezione, che trova in quest’ultimo il “topos” del futuro di Dio. In esso si trova l’adempimento delle attese cristiane e ci si fonda la speranza del credente; non preoccupandosi di fornire una possibilità di futuro per la storia, ma attraverso il risorto la speranza diventa attesa in qualcosa di “veramente nuovo”, proprio perché storicamente non del tutto possibile. Un’altra sostanziale differenza dall’apocalittica del tardo giudaismo, è che Cristo occupa il posto che in essa occupa la Torah. Il Risorto è anche il Crocifisso, per tanto il futuro di Dio, non è frutto dell’adempimento della legge ma della giustificazione che si ottiene attraverso la croce. Scrive l’Apostolo, che “Gesù è la primizia dei morti”, se nel Risorto vi è il “principio”, allora questo è già avvenuto e non si ha il bisogno di conquistarlo attraverso meriti e demeriti legati alla “Torah”. Le apparizioni pasquali, contrariamente ad una visione apocalittica, non ci rivelano eventi cosmici, ma soltanto la signoria del Cristo risorto e del futuro universale che la sua signoria eserciterà in quanto Cristo crocifisso. Israele riconosce nella giustizia di Dio e nel suo adempimento, il vero motivo portante del futuro e della storia. Egli ricorda la fedeltà di Yahwe, in quanto fedele alla sua giustizia e al patto che si dimostra in tutta la storia di Israele. Un motivo che non cambia ma conduce il popolo eletto fino al “giorno del Signore”. Allora come la prova dell’elezione di Dio si manifesta attraverso il “dono della Torah”, la sua giustizia ne rende l’adempimento, per condurre il popolo ad un futuro storicamente possibile ma non-ancora. Bisogna considerare, sotto questa luce, che è questa giustizia a regolare e a tenere insieme l’intera creazione. “Senza la sua giustizia la creazione di Dio precipita nel nulla, in quanto priva della fedeltà di Dio”. la giustizia di Dio, però non si riferisce soltanto all’ordine di cose esistenti, ma anche alle cose che attendiamo. Quelle cose che fanno parte del nuovo ordine delle cose. Così, come sottolinea anche l’Apostolo, la venuta della giustizia di Dio porta con sé una nuova creazione, avendo lo stesso fondamento della prima ma in e con un ordine diverso. Un ordine nuovo che ci viene rivelato nell’evangelo, in quanto il motivo non è l’adempienza della legge, o il dono della stessa, ma è il dono della grazia in Cristo crocifisso; in lui si manifesta e si adempie la giustizia di Dio, nel Risorto essa trova il suo nuovo ordine di cose, in un nuovo che ha da venire. Questa giustizia nella vita del credente, assume la dimensione della promessa in quanto, il Cristo risorto nella sua signoria và in contro alla giustizia di Dio, allora così il credente, nel battesimo riceve questa giustizia che lo giustifica in vista del “sole di giustizia” che ha da venire, cioè un processo che si concluderà nella parusia di Cristo. Essa è sempre un dono, ma che spinge il credente verso il giorno che ha da venire. Certamente nel presente si ricevono i benefici di questo dono, ma questo bene può essere solo afferrato mediante la speranza della fede , che rende l’uomo pronto a servire il futuro della giustizia di Dio. La fede di Israele, si è sempre opposta in maniera radicale al culto dei morti. Questo trova la sua importanza se consideriamo come, il popolo eletto si trovasse a stare tra gente, dove il culto dei morti era molto sentito. Il culto di Yahawe non ha mai risentito di questo sincretismo religioso, almeno per la maggior parte della sua storia. Questo è conseguenza della forte fede nelle promesse di Dio che il popolo ascoltava. Per il popolo di Israele, la morte non era soltanto la cessazione di una vita, ma era l’abbandono completo di Dio. il morto era “impuro”. Abbandonato da Dio, perché “i morti non lodano Dio”. Solo partendo da questa prospettiva riusciamo a comprendere la vera essenza della morte di Cristo, e dell’abbandono di Dio. Per un giudeo, la resurrezione non è rinascita da uno stato di morte ad un altro di vita, ma è la testimonianza che Dio ha mantenuto la sua promessa cioè, che la morte non ha più potere ed è stata vinta. Un passaggio da una vita ad un’altra, perché solo così, attraverso questo tipo di promessa, si continua a lodare il Signore. Questo pensiero investe non solo la morte ma tutto quello che separa l’uomo da Dio: l’esilio, la malattia ecc. Ma il popolo ritrova il suo ristabilimento non attraverso una “cura ricostituente”, ma attraverso una nuova creazione, che Dio attua per l’adempimento delle sue promesse. La speranza della vita dopo la morte non lascia indifferente l’uomo a tale realtà, tanto meno non può far a meno di parlare all’uomo della brevità della vita, ma essa si fonda sul fatto che anche se la morte è in contrapposizione alla vita, la morte è stata vinta in cambio di una vita che loda Dio. Anche il Crocifisso, rappresenta non solo l’abbandono di Dio, ma anche la morte di Dio stesso, in quanto mandato da Dio come messia, muoiono con lui tutte le promesse messianiche di Dio. Ma il Risorto, non torna alla vita, ma è la dimostrazione della vittoria sulla morte; essa è stata sconfitta dove proprio sul campo del suo trionfo. Vittoria su quello che la morte rappresenta, non solo la cessazione della vita, ma vittoria sull’abbandono di Dio e soprattutto sulle sue promesse che ora ci ricordano che Dio rimane fedele è per questo la nostra speranza non può essere delusa, in quanto le sue promesse certamente saranno compiute nel futuro di Dio. Ad operare questa vittoria è lo Spirito, se la sarx(carne) ci ha tenuti legati al terreno, il pneuma ci schiude il futuro liberandoci dalla schiavitù della sarx e ridando la vita, che non è più legata al terreno e al vano, ma una vita libera, perché lo Spirito gli concede la libertà schiudendogli il futuro e in esso pone la sua sostanza. La risurrezione e la vita eterna sono il futuro che è stato promesso e grazie allo Spirito, rende nel corpo latente quello che stato promesso. In questo modo è possibile l’obbedienza, in vista di tale traguardo. Allora anche l’amore e l’obbedienza diventano seminagione della speranza nella vivificazione della vita futura. Tra la realtà corporea e quella che si spera c’è una grande differenza, ma proprio questa differenza si apre al carattere futuro della speranza. In questo spazio aperto, si vanno ad inserire le raffigurazioni cosmiche dell’escatologia. Esse non sono mitologie ma esprimono l’attesa della creazione per una nuova creazione. Così pure le rappresentazioni di Dio nella sua gloria, sono rappresentazioni che alimentano la speranza in contrasto con il presente negativo. Fin dagli antipodi della sua storia, il popolo di Israele fondava la sua speranza sulla signoria di Yahawe. Ma una signoria che non lo vedeva come dominatore di tutti i popoli della terra, ma come Signore e guida di Israele. Una guida che ritroviamo soprattutto nel suo nomadismo, ma una guida, che ancora una volta si poggia nella promessa, in quanto guida verso la terra promessa. Per Israele vivere sotto la sua signoria è vivere come pellegrini, obbedienti pronti per affrontare il futuro. Una vita ricevuta come promessa e aperta alla promessa. In seguito la sua signoria fu rilegata alla teologia rabbinica del giusto che osserva la torah. Inoltre nell’esilio, assume carattere apocalittico, futurizzata in sviluppi storici che coinvolgono con la sua venuta l’intera storia dell’umanità. Nel nuovo Testamento, Gesù diventa il predicatore del Regno di Dio, un regno che sta per venire; e tutti i miracoli e le potenti operazioni che Egli compie sono una dimostrazione di questo regno e soprattutto della signoria del Regno, che attraverso Gesù esercita Dio. Gesù non annuncia soltanto il Regno che viene, ma attraverso di lui il regno è già venuto, in quanto l’ingresso in esso è reso possibile attraverso la posizione, che veniva presa dagli uditori verso la sua persona. La signoria di Dio veniva esercitata direttamente da Gesù ed era legata al segreto della sua persona. Il messaggio escatologico consisteva che il Regno di Dio era vicino in quanto per l’uditore era giunto l’ora della decisione. In realtà la comprensione di tale Regno si ottiene soltanto attraverso il suo futuro, che viene testimoniato attraverso le apparizioni pasquali, che a loro volta rendono credibile l’annuncio del Regno, il quale è il futuro di Dio. Le apparizioni pasquali, non solo rendono comprensibile il kerigma(annuncio) del Regno, ma lo trasformano, in quanto attraverso di esse si ha l’inizio della venuta del Regno stesso. Il Signore del Regno è il Dio che ha resuscitato Gesù dai morti, per tanto se ha resuscitato Gesù, il suo regno non è una continuazione storica di quello terreno ma è una nuova creazione ,”creator ex nihilo”. Il suo governo consiste nel resuscitare i morti, quindi a chiamare all’essere le cose che non sono. Per quanto riguarda alla manifestazione dello Spirito, il dono di esso, non è certamente l’adempimento nel presente del Regno promesso, come qualcuno crede, ma in realtà il dono dello spirito è in linea con il futuro di Dio e del Regno che ha da venire, per questo esso diventa “caparra” di un’eredità che attende il credente. Una caparra che si pone come speranza nella promessa dell’adempimento di un futuro che per certo è garantito dalla Signoria di Dio. Un futuro che trova nell’evento del Crocifisso e del Risorto, non il suo compimento una volta e per sempre, ma il fondamento di una fiduciosa speranza che diventa certezza nel momento, che si crede per fede che Gesù è il Cristo. Un Regno che il credente realizza soltanto con questo presupposto, ma non perdendo la dimensione della sua vita terrena. Questa vita in prospettiva del Regno, assume una dimensione di missione, in quanto il presente si trasforma in un evento passato, in quanto preparatorio per il futuro Regno. Esso è nello stesso tempo campo di missione, per alimentare la speranza nella promessa di Dio attraverso la croce e la resurrezione del Cristo. Questo ci permettere guardare il presente in modo critico, non certamente guardando il passato, ma proiettandoci nel futuro. Un futuro del tutto diverso dal presente, ma proprio per questo ci permette di analizzare il presente cercando di avvicinare questo tempo alla rivelazione che attraverso la promessa di Dio ci viene data del futuro. Una missione che diventa quasi rivoluzione, in quanto in vista di una prospettiva del tutto nuova e mai realizzata, si cerca di stravolgere la stato attuale delle cose. Questa concezione del presente, cambia anche la concezione di fare la storia, che non diventa più la storia di un singolo popolo, ma proprio perché, è fatta in vista del futuro, diventa la storia di tutti gli uomini, in quanto il futuro in prospettiva non è la veduta delle guide di una nazione, ma è il futuro realizzato per tutti da Dio. Allora soltanto quando la storia viene fatta conservando questo orizzonte universale, è possibile conservare il concetto di divenire anche nel tempo storico. Infatti, il concetto di storia stesso è legato al’idea del divenire, in quanto se già ci fosse un mondo perfetto non ci sarebbe motivo di fare la storia, in quanto è lo sforzo di migliorare ciò, che ha da essere migliorato che fa la storia. In questa dimensione storica si muove la missione cristiana , che cerca di fornire al proprio tempo, questa chiave di interpretazione della storia, un’interpretazione escatologica del mondo e non solo della religione. Una chiave interpretativa non solo della storia del mondo ma anche della storicità della bibbia. Infatti, soltanto l’escatologia cristiana ci fornisce la chiave ermeneutica(metodologia dell'interpretazione) per comprendere la storicità dei due Testamenti. Soltanto attraverso le promesse future noi possiamo ritrovare in essi un valore storico universalmente comprensibile e attuabile a tutti. Tutti gli scritti biblici sono aperti al futuro, allora per comprenderli veramente, occorre guardare nella stessa direzione. Come per la storia, anche per l’uomo, il quale ha conoscenza di se soltanto nella scoperta di questo futuro. Egli ha consapevolezza del peccato delle sue debolezze e fragilità, solo attraverso la missione, che come palesa il presente completamente diverso alla rivelazione del “nuovo”, così mette alla luce tutto ciò che si trova in contraddizione nell’uomo, con l’uomo nuovo, cioè quello che sarà nel futuro di Dio. La vocazione dà all’uomo la prospettiva di un nuovo poter essere, ed impara cosa è e cosa può fare attraverso la missione, che si muove verso il non-ancora di Dio. Per questo, nei due Testamenti gli uomini insieme alla vocazione ricevono un nuovo nome, in quanto ricevono una nuova natura è un nuovo futuro. La vocazione è rivolta a tutti gli uomini proprio grazie al suo carattere escatologico, in quanto l’escatologia ha valore universale ed è il futuro che ha da venire per tutti, come scrive l’Apostolo: “ Dio in tutti”. Sotto la luce escatologica della trasmissione della fede o della tradizione, possiamo già in Israele notare una differenza con il modo di intendere la tradizione dei popoli vicini. Infatti, contrariamente in Israele non c’era la semplice trasmissione di fatti e di miti, ma soprattutto ci si trasmetteva le promesse di Yahawe. Il Dio di Israele non è il Dio del cosmo, ma il Dio di Abramo Isacco e Giacobbe. Egli veniva trasmesso nella formula promissoria, ricordando coloro che per primi hanno ricevuto le promesse. Questo avviene anche nel nuovo Testamento, infatti la tradizione cristiana non è una trasmissione di regole o precetti, ma è l’annuncio del Cristo, morto e risorto e in quanto tale, del futuro di Dio. Attraverso lui si sono adempiute tutte le promesse, in quanto egli è il futuro di Dio. la tradizione cristiana non è altro che l’annuncio della speranza viva, che si volge verso l’evento creativo di Dio, che dal Risorto crea una creatio nihilo. L’invio missionario che si muove nella prospettiva escatologica, non sta a guardare il mondo che passa, non è indifferente al tempo che è in contrasto con il Regno di Dio. “la cristianità non ha a servire l’umanità affinché il mondo rimanga nello stato in cui si trova, ma è chiamata affinché il mondo si trasformi e diventi ciò che gli è promesso che diventerà”. Questo vuol dire che è ora che la chiesa inserisca nel proprio orizzonte di aspettazione la società in cui vive, per fare in modo che essa possa essere per quanto sia possibile, annuncio di quello che sta “venendo”. La missione cristiana è chiamata ad adempiere le promesse veterotestamentarie(relative al vecchio testamento), soprattutto quelle che riguardano alla salvezza di tutti i popoli, una salvezza che non solo attraverso Cristo assume il suo carattere escatologico, ma che nel nostro tempo si manifesta attraverso quello shalom che unisce tutti i popoli, potendo così insieme, guardare all’adempimento di un’unica speranza. Il mondo non è ancora concluso ma è quello che si impegna nella storia. Esso è il mondo delle cose possibili, dove si può essere a servizio delle cose future. Oggi è il tempo di seminare speranza è del dono del nuovo futuro.” Dischiudere a questo mondo l’orizzonte del futuro del Cristo crocifisso è il compito della comunità cristiana.” Alcuni termini sono difficili? Eccone la definizione!!!! LOGOS: parola. Logos (in greco: λόγος) deriva dal greco λέγειν (léghein) che significa scegliere, raccontare, enumerare. I termini latini corrispondenti (ratio, oratio) si rifanno con il loro significato di calcolo, discorso al senso originario della parola. Successivamente la parola logos ha assunto nella lingua greca molteplici significati:«stima, apprezzamento, relazione, legame, proporzione, misura, ragion d'essere, causa, spiegazione, frase, enunciato, definizione, argomento, ragionamento, ragione, disegno.» TÒPOS: Il tòpos (pl. tòpoi) è una parola di derivazione greca che indica una caratteristica o una proprietà di una determinata cosa o di uno specifico argomento. Letteralmente può significare anche "luogo". Il topos è un argomento dialettico o retorico utilizzato in relazione a discipline diverse. Può indicare un insieme di tecniche e rappresentazioni comuni a più correnti artistiche o letterarie che spesso sono l'occasione per l'evoluzione dell'opera d'arte, come ad esempio i luoghi d'ambientazione dell'Arcadia, o il rapporto tra individuo e società nel romanzo storico romantico. Tecniche ben distinte dalla Weltanschauung, la quale invece è il sistema di pensiero che un'opera d'arte condivide con le scienze e le filosofie del proprio tempo. Nella retorica classica i topoi erano utilizzati per rispondere a quesiti classificabili con chi, che cosa, dove, con quali aiuti, perché, come, quando, eccetera. Il topos quindi inerisce strettamente l'opera e può imporre regole stilistiche. Può essere in uso propriamente solo in una determinata corrente di pensiero o epoca storica (si veda ad esempio il topos dell'amor cortese), o può essere influenzato da essa. PARUSIA: La parusia ovvero la seconda venuta del Signore Nostro Gesù PROLESSI: anticipazione. AGGIORNAMENTO Jürgen Moltmann «Non fui io a incontrare Cristo, ma Cristo a incontrare me» Siamo negli anni ‘60. Molte cose sono in movimento nel mondo, anche se è sempre nel clima della guerra fredda e degli armamenti nucleari. Negli Stati Uniti, Martin Luther King ha lanciato la sua lotta per i diritti civili dei Neri. «I have a dream» («Ho un sogno»), dirà nel suo grande discorso di cinquant’anni fa. I Kennedy lo sostengono, loro che tentano di rilanciare la democrazia negli Stati Uniti. In Cecoslovacchia, si sta disegnando un movimento di rinnovamento, chiamato la «Primavera di Praga», che sta lottando per un socialismo dal volto umano. In Germania e in Francia si stanno sviluppando i movimenti studenteschi che porteranno al Maggio 68 e che rivendicano una nuova educazione, una nuova cultura. È in quel contesto che un teologo tedesco scrive la sua Teologia della speranza, pubblicata nel 1964 (avrà cinquant’anni l’anno prossimo!). Una traduzione francese uscirà nel 1970 nelle Éditions du Cerf, a Parigi. Chi è Jürgen Moltmann? Proveniente dalla Chiesa riformata tedesca, Jürgen Moltmann è nato ad Amburgo nel 1926. Dopo i suoi studi in teologia nel periodo del dopoguerra a Göttingen, è pastore per alcuni anni a Brema, prima di entrare nella carriera accademica, a Wuppertal prima, poi a Bonn, e infine, a partire dal 1967, a Tübingen dove insegnerà fino alla fine della sua carriera. Altre opere seguiranno quella del 1964, approfondendola e precisandone alcuni aspetti. Negli anni 1980, Moltmann svilupperà la sua riflessione in direzione di una teologia ecologica. Insieme a Dorothee Sölle e a Johan Baptist Metz in particolare, Moltmann ha segnato una svolta politica nella teologia tedesca. Influenzerà molto fortemente anche i teologi della liberazione in America latina. Principio speranza. Dal punto di vista filosofico, Moltmann si ispira a movimenti di rinnovamento del pensiero marxista che cercavano di estrarre il socialismo dalla barbarie sovietica e di ridargli una dimensione di liberazione umanistica. È il caso di autori riuniti in quella che si chiama la «Scuola di Francoforte» (Horkheimer, Adorno, Benjamin). Ma è anche soprattutto il caso di un pensatore che segnerà fortemente Moltmann, Ernst Bloch. Questo filosofo tedesco, che insegna a Lipsia, poi anche a Tübingen, aveva appena pubblicato, negli anni ‘50, un’opera in più volumi intitolata Principio speranza. Quell’opera sta sullo sfondo della Teologia della speranza. Ma la prima fonte di ispirazione di Moltmann è biblica. Egli cerca di mostrare che la dimensione fondamentale che porta il messaggio cristiano quale si enuncia nel Nuovo Testamento è quella di una promessa divina di futuro, una promessa già proclamata nell’Antico Testamento. Il Dio biblico è un Dio che apre un avvenire al suo popolo e che invita questo popolo a camminare verso quell’avvenire. Per questo Moltmann può dire che al fondamento di ogni cosa si trova l’escatologia (la concezione delle cose ultime). Dal punto di vista cristiano, questo futuro è anticipato nel messaggio della risurrezione del Cristo: è in essa che si apre la speranza nel futuro liberatore che Dio ci promette. Contrariamente alla teologia dialettica (Karl Barth in particolare), che concepisce l’intervento divino come l’irruzione puntuale della Parola di Dio, Moltmann sottolinea che l’azione divina è un processo storico di liberazione, un movimento verso un futuro di giustizia, di pace e di solidarietà. Per questo il popolo di Dio è chiamato a operare per l’avvento di questo processo, ponendo dei segni di questo futuro divino, partecipando attivamente a liberare gli umani dalle loro sofferenze, dalle loro alienazioni. Il Dio crocifisso. Svolta nel 1968: Martin Luther King e Robert Kennedy sono assassinati, il Maggio 68 è represso, i carri armati sovietici entrano a Praga. Qualche anno dopo la sua Teologia della speranza, Moltmann pubblica un libro intitolato Il Dio crocifisso (1972); traduzione francese nel 1974). Bisogna vederci un repentino mutamento, dalla speranza alla disperazione? No! Occorre sottolineare che la speranza, se non vuole essere cieca, deve integrare il momento della lotta, della sofferenza nelle avversità. Essa è un movimento di resistenza, ed è per questo che il Risorto è anche il Crocifisso. In altre parole: «positivizzare» non è fare lo struzzo, chiudere gli occhi davanti al negativo, che tornerà in continuazione. «Positivizzare» è confrontarsi con il negativo per attingervi risorse nuove. forze... di speranza. (Protestinfo) *Professore alla Facoltà di Teologia dell’Università di Zurigo RIFORMA.IT DIO NELLA CREAZIONE-DOTTRINA ECOLOGICA DELLA CREAZIONEMOLTMANN DIO NELLA CREAZIONE DOTTRINA ECOLOGICA D Documento Adobe Acrobat [404.7 KB] Download Opere di Jürgen Moltmann Tra le opere principali tradotte in italiano, le pubblicazioni più recenti sono: Etica della speranza, (2011) Vasto spazio. Storie di una vita, (2009) Dio nella creazione. Dottrina ecologica della creazione, (2007) Il Dio crocifisso, (2005) La provocazione del discorso su Dio, con Joseph Ratzinger e Johann Baptist Metz, (2005) L’avvento di Dio, (2004) Nella fine l’inizio, (2004) Scienza e sapienza, (2003) Teologia della speranza, (2002) La via di Gesù Cristo. Cristologia in dimensioni messianiche, (1991) XVI SOTTOMENU TESTIMONIANZE DI FEDE La fede non è un riempimento di vuoti perché non ha vuoti da riempire. Questo convincimento è di quei credenti che non avrebbero bisogni umani per credere, ma credono per grazia. I PDF SONO NEL NUOVO SITO ALLA VOCE LETTERATURA XVII SOTTOMENU 8x1000 https://youtu.be/d6ShSWLLTlI link youtube