Fabergé. Le Immagini Sacre

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Fabergé. Le Immagini Sacre «Il Cellini del nord» Saggio tratto dal catalogo della mostra I capolavori di Fabergé dalla collezione del fondo «Svjaz vremjon» a cura di V.S. Voronchenko Nel marzo 1902, nella lussuosa palazzina del barone Pavel Pavlovic von Derwis situata sul Lungoneva Anglijskaja a San Pietroburgo, venne inaugurata la mostra dell opere artistiche di Carl Fabergé, antiche miniature e scatole da tabacco appartenenti a collezioni delle personalità più auguste ed a rappresentanti dellʹalta società. Questa manifestazione pubblica venne organizzata dall’imperatrice Aleksandra Fjodorovna a scopi benefici, a favore delle scuole della società patriottica femminile. La casa di von Derwis non venne scelta a caso: le sue sale adornate, progettate dal famoso architetto A. F. Carl Fabergé Krasovskij in stile istorismo, si adattavano Intorno all’anno 1900 perfettamente ai raffinati oggetti orafi creati dal Fotografo G. Ober gioielliere Fabergé «col gusto di diverse epoche». Pavel Pavlovic, proprietario di un colossale patrimonio creato da suo padre, il magnate delle ferrovie P.G. von Derwis, faceva raramente la propria comparsa nella palazzina, preferendo vivere nel governatorato di Rjazan, dove allevava cavalli da riproduzione, risolveva questioni di carattere contadino e successivamente iniziò ad insegnare presso un ginnasio aperto a proprie spese. Nel successivo anno 1903, egli vendette la propria lussuosa casa al gran principe Andrej Vladimirovic, cugino del sovrano18. Al fine di tenere la mostra benefica, nelle sale vuote vennero fatte giungere le vetrine dall’Ermitage Imperiale. Sulle antiche fotografie custodite nella vetrine a piramide in vetro collocate di fronte al magnifico camino in marmo bianco neve, sono ben visibili le uova di entrambe le imperatrici create prima del 1902, attualmente appartenenti al fondo «Svjaz vremjon». L’imperatore Nikolay II, dopo aver visitato la mostra, scrisse nel proprio diario che gli «sembrava strano vedere le proprie cose ed altresì oggetti conosciuti che appartenevano ai membri della famiglia». Il corrispondente del giornale «Novoe Vremja», dopo aver dedicato alla mostra un intero articolo, fece giustamente notare che «qui i pezzi da esposizione suscitano un grande interesse già solo per il fatto che essi non sono di norma accessibili al pubblico ed inoltre si tratta di capolavori d’arte». I visitatori erano estremamente curiosi nell’ammirare gli oggetti personali della famiglia Romanov che costituivano una parte dell’ordinamento familiare e che ne conservavano i segreti della loro vita quotidiana. Nel sontuoso soggiorno dorato e nella sala bianca della palazzina, vennero esposti l’orologio rappresentativo donato ad Aleksandr III e a Maria Fjodorovna da parenti russi in occasione del quarto anniversario di nozze, un enorme cigno in argento, donato a Nikolay II e ad Aleksandra Fjodorovna «dalla famiglia» in occasione delle loro nozze, il breviario dell’imperatrice, donatole dal coniuge nel giorno della sua incoronazione, i fiorellini nei vasetti di cristallo montano, in particolare i soffioni dal pelo naturale su piccoli steli dorati della collezione della gran principessa Maria Pavlovna, le cornici fotografiche, gli orologi, i servizi in argento ed ovviamente le preziose uova pasquali contenenti ingegnose sorprese. 1
La sorella dello zar, la granduchessa Ksenia e suo marito, il granduca Aleksandr Maihajolovic, in occasione della mostra concessero un servizio in argento in stile imperiale ed una collezione di varie figure di animali in pietre preziose. La mostra ebbe un enorme successo: nel corso solamente della prima giornata i biglietti d’ingresso fruttarono 3000 rubli, mentre nei giorni successivi il loro costo venne fissato a 1 rublo e 10 copechi. Oltre a Fabergé, nessuno tra i gioiellieri russi venne insignito in vita di una mostra personale nella capitale dell’impero. Nell’epoca in cui in Europa i gioiellieri si erano da tempo conquistati il diritto di farsi chiamare «creatori» ed «artisti», in Russia i maestri dell’arte oro‐argentata venivano come da sempre considerati artigiani. «Da noi sono in molti a pensare che gli «artisti» sono solamente i pittori e gli scultori insigniti di tale titolo dalle varie accademie, mentre tutti gli altri non vengono ritenuti artisti. Per queste persone Sazikov ed Ovchinnikov non rappresentano altro che «argentatori». Altre persone però non la pensano così», – scrisse N.S. Leskov nel racconto «Il vero artista», facendo notare che in Europa ed America il concetto di «campo artistico» è assai più ampio. Per quanto riguarda Carl Fabergé, nell’industria orafa russa e nella cultura cortigiana egli occupa un posto particolare, di rilievo. Le opere del maestro accompagnarono gli ultimi Romanov letteralmente dalla nascita alla morte, senza i suoi oggetti non aveva luogo praticamente nessuna manifestazione, sia a livello di stato che familiare. Fabergé aveva una vasta clientela formata dai rappresentanti dei più svariati strati sociali che frequentavano i suoi negozi a Mosca, Odessa, Kiev e Londra. Gli acquirenti, in particolare anche «quelli non facoltosi», potevano essere sicuri del fatto che gli articoli da loro acquistati, non eccessivamente cari e dal prezzo abbordabile, erano stati creati «con una tale maestria ed un amore di prima classe come le ingegnose uova pasquali», create per la famiglia imperiale. Carl Fabergé venne riconosciuto come «il più grande artista» del periodo a cavallo tra i secoli XIX e XX. L’imperatrice Maria Fjodorovna lo definì «vero ed incomparabile genio del nostro tempo». Il maestro russo veniva paragonato al grande gioielliere dell’epoca rinascimentale Benvenuto Cellini. Sintomatico è anche il fatto che gli articoli della ditta orafa venivano esposti nel palazzo di von Derwis unitamente alle antiche miniature e scatole da tabacco da collezione. Gli ammiratori del talento di Fabergé, appartenenti all’èlite della società russa, ritenevano giustamente che i suoi articoli, per finezza e maestria, non erano secondi ai celebri capolavori orafi del passato ed erano inoltre all’altezza di occupare il proprio posto a fianco dell’antiquariato tradizionale. Le migliori creazioni della ditta, con il maestro ancora in vita, venivano considerate autentiche opere d’arte, valori a livello di museo. Le copie perfette delle regalie imperiali, create per la Mostra artistico‐
industriale universale tenutasi nel 1900 a Parigi, vennero trasmesse in custodia e per la «visione al pubblico» dall’imperatore Nikolay II all’Ermitage, nel quale occuparono un posto di rilievo tra i valori storici. All’inizio del XX secolo, il nome Fabergé echeggiava. La sua ditta era la più grande azienda industriale commerciale in Russia «per la produzione di articoli orafi in argento ed altri in metallo e pietre», composta da un considerevole organico di mastri ed artisti (più di 500 persone). Ciò divenne possibile grazie «al gusto artistico e all’esclusiva energia», con le quali il gioielliere agli albori della sua carriera si inserì nella competizione sul terreno delle arti e dell’industria. Quando Peter Carl Fabergé per la prima volta presentò la propria produzione alla Mostra artistico‐
industriale a Mosca nel 1882, egli veniva considerato «un maestro relativamente giovane». Ma nel frattempo, il gioielliere già da dieci anni era a capo dell’attività familiare fondata nel 1842 da suo padre, Gustav Fabergé, nato nella città di Pernov (Piarnu). Discendeva da una generazione di ugonotti francesi che avevano lasciato la Piccardia nel XVII secolo per stabilirsi in una provincia baltica della Russia, il governatorato della Liflandia. Come molti altri gioiellieri di quell’epoca, Gustav Fabergé si precipitò nella Mecca orafa dell’impero, la città di San Pietroburgo, nella quale aprì la propria attività nella parte più aristocratica della città chiamata Admiralteyskaja. Qui, nella 2
Venezia del nord, nacque suo figlio, Peter Carl (1846–1920), al quale fornì una molteplice istruzione. Grazie all’aiuto di un amico del padre, il mastro finlandese Peter Hiskias Pendin, Carl acquisì i fondamentali della maestria orafa, successivamente studiò commercio in Germania, viaggiò molto, osservando i luoghi e gli edifici d’interesse europei e visitando celebri musei nei quali attingeva idee per le proprie opere. Nel XIX secolo, nell’epoca dell’istorismo, si riteneva che solamente la vera conoscenza dell’arte del passato offriva la possibilità di «impiegarne sapientemente i motivi nella ricostruzione di altri sempre più ingegnosi». Gustav Fabergé ed altri mastri russi di antica formazione, gli originatori della produzione orafa manifatturiera in Russia, comprendevano la necessità di una preparazione globale dei propri successori, i futuri dirigenti del business orafo in condizioni di rapida crescita industriale. E’ sufficiente ricordare Friedrich Butz, Fornitore del Sommo Palazzo e Stimatore del Gabinetto di Sua Altezza Imperiale, il quale mandò suo figlio Julyj a viaggiare assieme a Carl Fabergé, oppure il fondatore della ditta russa più antica Pavel Saznikov, il quale mandò suo figlio Ignatyj all’estero ad osservare le fabbriche straniere. A seguito di questo viaggio, Facciata della casa di C. Fabergè in via Bolshaja Morskaja 16, a San nell’industria orafa nazionale venne Pietroburgo. Fine del XIX secolo. Fotografo C. I. Surov. introdotto il principio di suddivisione del Archivio del museo di stato di mineralogia intitolato a A. E. Fersman lavoro, la cui conseguenza divenne una RAN «meravigliosa creazione e compitezza degli articoli». La selezione di buoni campioni e l’accurata elaborazione dei disegni «mediante gli artisti cresciuti nelle fabbriche e quelli estranei» divenne una norma25. Nel giro di venticinque‐trent’anni, la produzione dei più svariati articoli orafi in Russia acquistò un carattere industriale. Nel loro lavoro, gli imprenditori iniziarono ad orientarsi nei confronti di acquirenti non solo appartenenti all’alta società, ma anche del ceto medio della società russa, il benessere materiale ed il livello d’sitruzione del quale erano rapidamente cresciuti. Fecero la loro comparse vere e proprie botteghe industriali nel settore della lavorazione dell’oro ed argento dotate di un organico di lavoratori fissi che in alcune imprese costituiva già «un discreto numero». La tradizionale domanda di articoli in oro ed argento da parte della popolazione russa, aumentata notevolmente nel XIX secolo, unita ad un’intera serie di misure prese dal governo al fine di interagire con i produttori russi, sullo sfondo caratterizzato dai comuni successi nella vita industriale del paese, contribuì alla formazione ed allo sviluppo della lavorazione dell’oro e dell’argento in Russia. «Che insolita rapidità: cresciamo non in secoli ma in decenni», questa celebre frase di N.M. Karamazin come non meglio si addice alla caratteristica dell’industria orafa russa del XIX secolo. Nei confronti dei mastri della lavorazione dell’oro e dell’argento della Russia che avevano iniziato a prendere parte alle mostre artistico‐industriali mondiali, ben presto si smise di rivolgersi in qualità di «figli adottivi imposti » del generale processo culturale europeo. «I rappresentanti della stagnazione mongola», come all’inizio li definiva in modo sprezzante la stampa straniera, iniziarono a concorrere alla pari con i celebri gioiellieri europei e a conquistare somme onorificenze. 3
A seguito del successo riportato a Mosca nel 1882, dove Peter Karl venne insignito della medaglia d’oro per le copie dei gioielli dell’antica Grecia degli scavi archeologici a Kerch, egli proprio con questa collezione debuttò all’estero. La partecipazione alla Mostra internazionale di Norimberga nel 1885, gli procurò un’altra medaglia d’oro. Anche in occasione della Mostra del nord, tenutasi a Copenhagen nel 1888, Fabergé venne insignito della medaglia d’oro oltre che del diploma d’onore per l’esposizione della collezione «Hors de concours» (fuori concorso), ed in base ai risultati della Mostra artistico‐industriale del nord del 1897 a Stoccolma, egli venne insignito del titolo di Fornitore di Sua Altezza Reale il Re di Svezia e Norvegia. Alla Mostra mondiale del 1900 tenutasi a Parigi, Carl Fabergé mostrò i propri articoli fuori concorso oltre ad essere membro della giuria per la classe articoli orafi e bigiotteria (cioè articoli di metalli preziosi) assieme al gioielliere cortigiano russo F. Kehli ed ai celebri colleghi francesi Louis Okok junior, Renè Lalique, Henri Vever e Frederic Boucheron. Nel corso della mostra vennero esposte le uova pasquali imperiali, fornite dalla famiglia imperiale, le copie in miniatura delle regalie statali, gioielli, articoli intarsiati in pietra ed i preziosi fiori nei vasetti di cristallo montano. Nonostante alcuni commenti critici da parte degli adepti dello stile Art Nouveau, questi articoli riscontrarono un enorme successo nei confronti dei parigini e degli ospiti della città provenienti da tutto il mondo. Per la sua maestria, Carl Fabergé venne insignito della più alta onoreficenza francese, l’ordine della Legione d’Onore ed una medaglia a ricordo della mostra. A partire dal 1885, a Carl Fabergé venne concesso di farsi chiamare Fornitore del Sommo Palazzo, mentre cinque anni dopo gli venne conferito il titolo di Stimatore del Gabinetto di Sua Altezza Imperiale, che dava il diritto di accedere liberamente ai palazzi. Fabergé veniva continuamente invitato al fine di stabilire con esattezza pregiabilità, qualità e valore delle pietre. Non si rifiutava mai di fungere da stimatore per gli acquisti nel Gabinetto di Sua Altezza Imperiale, l’ente del Ministero della Corte, in spettanza al quale si trovava una considerevole scorta di oggetti di valore che si completava continuamente, un originale fondo di regali dell’impero. Carl Fabergé e suo figlio Agafon erano esperti nella rivalutazione dei brillanti della corona dell’impero russo ed altresì presenziavano in occasione del passaggio da un’impegnativa kamer‐frau ad un’altra di gioielli prestati ad uso all’imperatrice. Fabergé ed il figlio lavoravano continuamente presso la Galleria dei gioielli dell’Ermitage Imperiale, i pezzi da esposizione selezionati della quale interpretavano in modo creativo. Anche il tesoro degli zar russi dell’Armeria del Cremlino di Mosca rappresentava una fonte di idee per i collaboratori dell’azienda. Fino allo scoppio della rivoluzione essi frequentavano il museo di famiglia della dinastia dei Romanov nel quale si sbizzarrivano ad abbozzare opere antiche per poi copiarne forme ed ornamenti. In questo modo, ad esempio, nell’aprile del 1916, col permesso del direttore dell’Amministrazione palatina, presso l’Armeria di Mosca lavorava «il rappresentante della ditta del gioielliere cortigiano C. Fabergé». Lo scultore della sezione moscovita, l’italiano Luigi Stefanovic Buzzi, prese un calco di gesso dall’oramento di due antichi piatti al fine di creare un cucchiaione ordinato dall’imperatrice Aleksandra Fjodorovna. Franz Petrovic Bibaum annotava nelle sue memorie che Aleksandra Fjodorovna accompagnava spesso i propri ordini con disegni, stabilendo in anticipo il costo dell’oggetto il quale, di regola, «era insignificante». Ma, ciononostante, la ditta rilasciava articoli su prezzi da lei stessa indicati e la perdita riportata «veniva compensata dalla disposizione quando si trattava dell’ottenimento di seri lavori». Fabergé cercava sempre di fare concessioni a personaggi altolocati. Una volta i giovani principi Oleg e Gavriil Konstantinovic decisero di regalare al proprio padre, il gran principe Konstantin Konstantinovic (famoso poeta dal pseudonimo «KR»), un portasigari in argento e chiesero a Fabergé di inviare alcuni oggetti a sua discrezione. Il loro pedagogo‐professore, il senatore Vlasij Sudejkin, «uomo avido», consigliò di trattare il prezzo. Ai fratelli tale consiglio 4
piacque e da questo momento in avanti essi ripetutamente trattarono il prezzo con Fabergé, che nella famiglia principesca apprezzavano per il talento e la capacità di scendere a ragionevoli compromessi. A Fabergé ordinavano regali in occasione di importanti cerimonie familiari; ad esempio, in occasione delle nozze d’argento di Konstantin Konstantinovic ed Elisabetta Mavrikievna, i figli donarono ai genitori i loro profili in argento creati dall’artista M. Rundalzev e dallo stesso Fabergé. Da parte sua, il gioielliere donò a ciascuno dei due esimi festeggiati un anello nunziale in platino che essi da quel momento portarono sempre. Oltre all’attività imprenditoriale e cortigiana, C. Fabergé si occupava di lavori di ricerca e rifacimento ristrutturando opere per le sezioni delle antichità e preziosità dell’Ermitage, e nell’arco di quindici anni se ne occupò completamente a titolo gratuito. A partire dal 1867, Carl Gustavovic prendeva continuamente parte a ricerche tecniche, a volte assai complesse, di innumerevoli oggetti facenti parte della raccolta archeologica dell’Ermitage. Fabergé stabiliva sempre con esattezza la qualità degli antichissimi materiali coi quali erano stati prodotti gli oggetti ed in questo in gran parte veniva favorito dalla razionale catalogizzazione. Fabergé aiutava continuamente il custode delle antichità del museo, il membro della Commissione archeologica nonchè accademico L. Stefanin «nella composizione di oggetti rotti, a volte in piccolissimi pezzi, di uno intero, sempre storicamente fedele all’originale. Egli trascorreva giornate intere impegnato in questo minuzioso e complicato lavoro, tacitamente riparando gli oggetti danneggiati e restituendo l’aspetto originale alle stupende collezioni di gioielli dell’antica Grecia che costituiscono il vanto dell’Ermitage». A riconoscimento dei meriti di Fabergé nei confronti del museo e della scienza nazionale, i contemporanei lo chiamarono «scienziato e colto gioielliere». Carl Gustavovic aveva gli ordini di San Stanislavo di terzo grado (dal 1889), di San Stanislavo di secondo grado (dal 1896), di Sant’Anna di terzo grado (dal 1892). Nel 1910 gli venne insignito il titolo di Manifatturiere‐Consigliere. Pregevolmente venne apprezzatala sua «utile attività pluriennale ed assidua presso il Ministero della Corte Imperiale». I collaboratori ed aiutanti più vicini a Carl Fabergé, i suoi figli maggiori Evghenij ed Agafon, dichiararono che «la lusinga maggiore per il loro padre era rappresentata dal titolo attribuitogli di «Gioielliere di corte». Dal momento che tutti gli ordini del Gabinetto di Sua Altezza Imperiale Carl Gustavovic «eseguiva sempre con immutato gusto artistico e con esclusiva accuratezza», nel 1910 il sovrano imperatore ritenne possibile attribuire a Fabergé tale sommo titolo. Anche Evghenij ed Agafon, fino al quel momento ancor privi di alte onoreficenze, vennero distinti per la loro «utile attività quindicennale». Agafon Fabergé scelse il vaso in ceramica «Klematis», prodotto presso la Fabbrica imperiale per la produzione di ceramica e vetro e disegnato da N. Daladughin, dal costo di 100 rubli, mentre ad Evghenij venne più generosamente conferito un ciondolo dorato per una catenina dorata raffigurante lo stemma dello Stato con brillanti, creato presso la bottega di E.Kortman, dal costo di 135 rubli30. Facciamo notare che il marchio Kortman, proprietario della famosa «bottega di piccoli articoli in argento» di San Pietroburgo, composto dalle iniziali «E.K», per lungo tempo venne erroneamente preso per il marchio di Erik Kollin, mastro di articoli in oro della ditta C.Fabergé, autore delle copie delle antichità di Kerch. Caratterizzando la propria ditta, Carl Gustavovic faceva notare «il carattere prettamente familiare dell’azienda». Un ruolo importante nell’attività familiare venne giocato dal fratello minore di Carl, Agafon Gustavovic, il quale creò i progetti artistici delle opere, ed in seguito dai quattro figli di Carl Fabergé avuti dal suo matrimonio con Augusta Julia Jacobs, figlia del famoso incisore, falegname e stipettaio di Zarskoe Selò. I figli maggiori Evghenij ed Agafon dirigevano la sezione di San Pietroburgo della ditta assieme al padre. Essi vennero più volte invitati presso il Gabinetto di Sua Altezza Imperiale per la valutazione di nuovi acquisti ed altresì presso l’imperatore e l’imperatrice in persona per discutere gli ordini ed i regali. Aleksandr Fabergé era il direttore (fiduciario) della ditta ed artista della sua sezione moscovita. Il figlio minore Nikolay, artista 5
autore di abbozzi di gioielli, a partire dal 1906 iniziò a lavorare presso la sezione londinese della ditta. Anche la maggior parte delle botteghe che facevano parte della ditta Fabergé rappresentavano attività a livello familiare. Ad esempio, la bottega orafa principale della ditta per la produzione di lussuosi gioielli era diretta da Avgust Holmstrem, e successivamente da suo figlio Albert. La figlia di Holmstrem sposò il gioielliere Oscar Pil, dal 1887 alle dipendenze della sezione moscovita della ditta Fabergé. La loro figlia, Alma Tetesa Pil, divenne l’artista di spicco della ditta creando, tra le altre cose, gli abbozzi delle uova pasquali imperiali «Invernale» e «Mosaico». Nella produzione di masserizie in argento era specializzata la bottega di Stefan Vyakeva, i cui figli Konstantin ed Aleksandr lavoravano dapprima col padre, per poi proseguirne l’attività. Carl Febergè, in possesso di «fantasia creativa e buone capacità organizzative», riuscì ad instaurare rapporti di collaborazione con i migliori mastri di San Pietroburgo32. Il miglior gioielliere della ditta era Mikhail Perkhin, contadino del governatorato di Olonezk, nella bottega del quale fino al 1903 venivano create le uova pasquali imperiali. Il suo allievo e garzone preferito preferito era il finnosvedese Henrik Vingstrem, sotto la direzione del quale continuarono ad essere prodotti i capolavori pasquali. «La fiducia di Perkhin nei confronti del talento di Vingstrem era talmente alta che proprio a lui, e non a suo figlio, Perkhin lasciò la bottega nel suo testamento». Oltre ad A. Holmstrem e G. Vingstrem, originari della Finlandia erano anche Erik Kolin, «specialista in oro velato» (su definizione di Evghenij Fabergé), Gabriel Niukkanen, creatore principalmente di portasigari, ed Avgust Holming, autore di oggetti in oro ed argento di medie dimensioni. Su testimonianza del nipote di Carl Fabergé, Oleg, suo padre Agafon Carlovic a volte sosteneva che «l’alta professionalità dei mastri e la loro onestà al cento per cento rappresentavano in gran parte il risultato dell’origine finlandese della gran parte di loro». Il più celebre mastro per la lavorazione dell’argento della ditta era Julyj Rappoport, di origine erbrea convertitosi successivamente al luteranesimo, mentre l’ingegnere e tecnologo capo era lo svizzero Franz Petrovic Birbaum, che lasciò meravigliosi ricordi di sè. Lavoravano per la ditta gli artisti‐miniaturisti V. Zuev, S. Solomko, E. Jacobson, gli scultori E. Shishkin‐Golinevic, B. Fredman‐Kljusel, G. Savizkij, l’allievo Ogiusta Rodena T.Zalkalns (Grinberg) ed altri. Con Fabergé collaboravano i celebri artisti ed architetti V. Serov, F. Shektel, L. Benois e A. Benois, K. Kryzhizkij ed altri. Nella bottega addetta alle sculture in pietra, dove venivano torniti oggetti di vari tipi di pietra dura, lavoravano principalmente mastri originari degli Urali, discendenti di pietrai ed artigiani. A capo della propria produzione di pietre intagliate, Fabergé mise P. M. Kremljov e N.V. Kulikov, entrambi contadini del governatorato di Perm che avevano ultimato gli studi presso la scuola artistico‐industriale di Ekaterinburg. Per talento e maestria si evidenziava lo «scultoretagliapietre» Pjotr Derbyshev, il quale prima di frequentare la scuola di Ekaterinburg lavorava in qualità di carrettiere al cimitero. Egli giunse a Pietroburgo dagli Urali a piedi, «ricoperto di stracci e con scarpe di fibre di tiglio». Carl Gustavovic ne notò la maestria e lo mandò ad approfondire le proprie conoscenze ad Idar‐Oberstein, centro dell’arte del taglio di pietre preziose situato nei pressi di Mainz; da qui Derbyshev si trasferì a Parigi dove lavorò alle dipendenze di R. Lalique. 6
Come scrisse nelle sue memorie Birbaum, Lalique, stupefatto dalle sue capacità, pensò di fare dell’originario degli Urali il proprio successore, sposandolo alla propria figlia. Tuttavia nel 1914, Derbyshev rientrò frettolosamente in patria, venne arruolato nell’esercito e morì al fronte. Nelle botteghe pietroburghesi di Fabergé, dove spalla a spalla lavoravano russi, finlandesi, svedesi, ebrei, tedeschi, polacchi e svizzeri, regnava un’atmosfera di fratellanza, comprensione reciproca ed entusiasmo creativo. La stirpe multinazionale di mastri ed artisti della ditta, intrisa «di cultura moderna e spirito creativo russo», riuscì a creare un particolare ed inimitabile «stile Fabergé», il quale rappresenta tuttora un simbolo di bellezza e perfezione. «L’anima della ditta», come sostenuto da Oleg Fabergé, si trovava a San Pietroburgo, dove erano «concentrati i migliori specialisti e la supervisione artistica», e dove altresì «venivano espletati gli ordini più complessi e prestigiosi da parte delle Somme personalità». La produzione orafa essenziale, il negozio e l’ufficio principale si trovavano nella casa di proprietà di Carl Fabergé, in via Bolshoj Morskoj e costruita nel 1900. L’autore del progetto dell’edificio fu l’architetto Karl Shmidt, figlio della cugina di Carl Fabergé, laureatosi presso l’Accademia delle arti imperiale. La facciata in stile neogotico era rivestita da granito grigiorosa e granito rosso proveniente dalla Carelia, il quale, su testimonianza di Oleg Agafanovic Fabergé, venne utilizzato per la prima volta nella storia dell’ediliza di Pietroburgo. Nella casa venne installato un safe lift della ditta berlinese «S.YA. Arnheim», tramite il quale la merce veniva trasferita dalle botteghe alle sale commerciali situate al primo piano. Molti rappresentanti dell’èlite pietroburghese custodivano le proprie cose preziose da Fabergé; tra di loro, ad esempio, la primadonna del teatro Marinskij, Matilda Kshesinskaja, la quale ricordava che a casa conservava solamente piccoli oggetti, mentre quelli grossi, di valore in brillanti, la maggior parte dei quali di produzione della ditta Fabergé, nella cassaforte della casa in via Bolshoj Morskoj. Su consiglio di un amico della Ksheniskaja, il figlio del celebre gioielliere Agafon Carlovic, la primadonna non pendeva con sè i gioielli in occasione delle tourneè all’estero: la ditta dapprima li assicurava per poi spedirli all’estero. Per cui, all’arrivo della ballerina a Londra, i gioielli erano già stati recapitati nella capitale inglese e si trovavano nella filiale della ditta Fabergé. La Ksheninskaja dettava al telefono solamente il codice di un determinato oggetto (a scopi di cospirazione), e l’agente‐detective di Fabergé le consegnava l’oggetto in questione presso l’hotel o il teatro, restandone inoltre nelle vicinanze per l’intera serata. Nella casa di San Pietroburgo di Fabergé, la facciata della quale è tuttora abbellita dalla denominazione della ditta, si trovavano lo studio per il design, la biblioteca d’arte e le principali botteghe gioiellistiche, l’attività delle quali il maestro poteva personalmente controllare. Per cui l’influenza del direttore della Casa orafa era presente praticamente nei confronti di ogni oggetto, durante tutte le fasi della produzione. Il suo appartamento si trovava al quarto piano di un enorme edificio, un genuino reliquiario orafo, dove si trovava tutto l’indispensabile per praticamente l’esistenza autonoma della grande azienda. Al piano sottorreneo vennero installate la cucina e la sala mensa per i dipendenti. Al primo piano si trovavano le sale commerciali, gli uffici, una camera blindata e la cassaforte. Le pareti del negozio erano protette da pannelli in legno muniti di frontoni rinforzati ed un orologio incorporato. Al secondo, terzo e quarto piano della casa, ed altresì su tutti gli altri piani dell’ala dell’edificio operavano le botteghe. Al piano mansardato si trovavano i dipendenti della cooperativa e lo spazzino, oltre alla lavanderia e all’atelier (atelier mansarde, come indicato nei progetti della casa presi dalla natura), evidentemente uno studio artistico. L’intendente occupava un locale al terzo piano. In una delle ali dell’edificio si trovava inoltre un garage. L’ampio cortile cintato della casa consentiva di custodirvi blocchi di pietra, ad esempio, due massi di eccezionale nefrite, i quali dopo la rivoluzione vennero inviati a Trieste «Gemme russe». 7
Oltre a San Pietroburgo, la ditta aveva filiali a Mosca (dal 1887), Odessa (dal 1900), Kiev (dal 1905 al 1910) e Londra (dal 1903). La sezione moscovita venne fondata da Peter Carl Fabergé in presenza del suo socio, il suddito della Gran Bretagna Alan Bo, il quale gestiva ogni affare senza alcuna eccezione: conduceva la contabilità, assumeva e licenziava operai ed impiegati, acquistava i materiali, si occupava di assicurare la proprietà, di affittare tutti i locali e di sottoscrivere contratti. Nel 1901, Carl Fabergé ed Allan Bo decisero di fondare la Casa commerciale a Mosca sotto forma di completa Cooperativa al fine di proseguire lo stesso tipo di L’imperatrice Maria Fjodorovna con la sorella, la regina d’Inghilterra Alessandra ed il commercio e la stessa produzione di re Eduard VII. Palazzo Buckingham. 1907. fabbrica. Il capitale comune della Fotografia Mary Steen. Archivio di stato della Federazione Russa. Cooperativa era costituito da 120 000 rubli, dei quali una metà apparteneva a Fabergé e l’altra a Bo. Secondo la legge, la Casa commerciale avrebbe dovuto chiamarsi «Fabergé e Bo», ma nell’interesse degli affari, evidentemente Alan Bo generosamente rifiutò di includere il proprio nome nella denominazione. Fabergé e Bo inviarono una lettera di scuse al Dipartimento del Commercio e Manifattura, nella quale spiegavano che la ditta «C. Fabergé» era già ampiamente conosciuta in Russia e all’estero, per cui l’inclusione nella sua denominazione di «una seconda persona» avrebbe potuto portare a pensare la clientela che si potesse trattare di una nuova ditta, «la quale avrebbe dovuto farsi un nome nell’arco di un’intera serie di anni». Bo, che era «l’organizzatore principale degli affari» non solo a Mosca, ma anche ad Odessa, fece parte della direzione della ditta moscovita fino al 1906, quando in vece di amministratore lo sostituì Otto Jarke. Successivamente alla gestione della filiale si allacciò il figlio del proprietario, Aleksandr Fabergé, artista, gemmologo ed intenditore d’arte. Il negozio della sezione moscovita della ditta C. Fabergé si trovava nella «via dei brillanti» dell’antica capitale, sul ponte Kuzniezkij,presso la casa della Società dei commercianti. I fabbricanti cercavano di superarsi a vicenda nella bellezza e rappresentatività delle vetrine dei propri negozi di gioielli, i quali risplendevano di brillanti, pietre preziose, oro ed argento, rovinando «tasche e cuori». Nella maggior parte dei casi, le insegne erano abbellite da enormi aquile a due teste che stavano a simboleggiare i Fornitori della Somma Corte. Aprendo il negozio in una Mosca variopinta, sgargiante, rumorosa, dove tutto è in mostra ed in sovrabbondanza, Fabergé fu costretto ad adeguarsi allo stile locale e a rendere le sue vetrine accentuatamente d’effetto come quelle dei suoi concorrenti. Nel 1902 Alan Bo pensò persino di far abbassare le finestre ad un livello inferiore rispetto al marciapiede, al fine di aumentare la superficie delle proprie «mostre tramite finestre» e rendere la panoramica più accessibile nei confronti dei passanti. La concezione degli interni di questa «cattedrale della magnificenza» è resa dall’autotipia dell’«aspetto interno del negozio», pubblicata nel Preiskurant del 1893. I pavimenti del negozio sono ricoperti da tappeti e moquette, dappertutto ci sono panche vellutate e divani ricuciti in oro e frange. Gli interni erano costituiti da quattro parti unite da colonne sagomate munite di capitellie balaustre. Le vetrine ed i banconi a muro abbondavano di oggetti in argento e masserizie in cristallo nelle montature in argento. Negli astucci collocati sui bassi tavolini‐vetrine si 8
trovava un enorme quantitativo di gioielli. Il negozio a Mosca era in strabiliante contrasto con la casa pietroburghese, l’unico abbellimento della facciata della quale era rappresentato da lettere dorate di media grandezza che riportavano il magio cognome Fabergé (sia in russo che in francese) sui lati dell’in‐ gresso. Le ampie finestre avevano le tende tirate, qui la merce non veniva esposta alla visione generale al fine di attirare acquirenti. Il lavoro con i clienti acquisiti, l’èlite pietroburghese e soprattutto le personalità altolocate, richiedeva confidenzialità erigorosa riservatezza. Al contrario, i principali frequentatori del negozio moscovita, ricchi commercianti che gestivano l’intera vita commerciale di Mosca con fatturati milionari, musicisti, attrici, zingare e, ovviamente, le «donne di facili costumi», amavano acquistare in modo dimostrativo e spendere generosamente e sfrenatamente. Nel momento in cui venne inaugurata la filiale della ditta Fabergé, nell’antica capitale da tempo e saldamente prendevano piede le gioiellerie di P. Ovchinnikov, N. B. Nemirov‐Kolodkin, della famiglia Bloin ed altre. Ciononostante, il negozio «Carl Fabergé» divenne abbastanza rapidamente uno dei più frequentati a Mosca e la produzione di questa filiale conquistò una vasta fama non solo in Russia, ma anche lontano dai suoi confini. Il successo dell’azienda si spiegava in gran parte col fatto che i suoi dipendenti tenevano presente in maniera uguale sia le necessità delle alte sfere sociali che gli interessi del ceto medio. Nel negozio venivano esposte merci per qualsiasi gusto e portafoglio: dalle riviere di brillanti mozzafiato composte da grosse pietre dall’eguale splendore ed eccellente acqua pura dal costo di 50000 rubli, alla modesta spilla dal filo levigato in oro con lettere russe e latina, dal costo variabile da trecento a settecento rubli. Inoltre la ditta garantiva che «qualsiasi articolo dal costo anche inferiore ad un solo rublo, veniva prodotto dalla ditta con la dovuta accuratezza e resistenza». L’acquirente che entrava nel negozio di Fabergé, era convinto che gli avrebbero proposto esclusivamente nuovi articoli, dal momento che il lancio della produzione «delle ultimissime fogge» rappresentava uno dei principi fondamentali dell’attività del’azienda. Gli oggetti obsoleti, usciti di moda, non rimanevano a lungo nel negozio sul ponte Kuznjezkij. Tutti questi oggetti venivano raccolti una volta all’anno per essere rifusi. Nel Preiskurant di quegli anni si legge: «…i migliori artisti che lavorano ovviamente per noi, procurano alla ditta una rara varietà di raffinati disegni in grado di competere con le più eccellenti opere dello stesso settore dei nostri concorrenti stranieri»43. L’atelier degli artisti‐compositori si trovava sopra il negozio sul ponte Kuzniezkij. Per la realizzazione di ordini e desideri particolari da parte della clientela, nel negozio prestava servizio un commesso al quale i committenti potevano spiegare nei dettagli quale articolo desideravano ricevere nel caso in cui non l’avessero trovato tra quelli già pronti sul banco di vendita. Venivano concordati il prezzo ed i materiali e design da impiegare: il cliente poteva scegliere l’abbozzo più di suo gradimento tra alcuni disegni propostigli. A partire dagli anni 1890, nel negozio moscovita venivano già presentati articoli che, come riportato nel listino prezzi, venivano prodotti «presso la nostra fabbrica utilizzando materiali della più alta qualità». La fabbrica, situata nella casa San‐Galli nel vicolo Bolshoj Kiselen, nel corso dei secoli divenne «per dimensioni la più grande azienda orafa dell’Impero» e portà un’enorme profitto alla ditta. In essa lavoravano circa trecento operai, mentre a Pietroburgo si contavano circa cento mastri di svariate specialità. La fabbrica moscovita, attrezzata con le più moderne apparecchiature, disponeva di una ricca scelta di stampi e potenti presse, produceva oggetti di culto, posate, masserizia argentata, preziosa merceria, ornamenti femminili e maschili ed altresì i cosiddetti «objets d’art», piccoli capolavori dell’arte orafa, e raffinate cosine da regalo. Più di tutto, la fabbrica moscovita era rinomata per la propria produzione in argento che era «molto più ampia e meglio impostata» rispetto a Pietroburgo. Su testimonianza di F. Birbaum, dopo il 1900 tutti i grossi lavori in argento vennero eseguiti a Mosca. Particolarmente innumerevoli erano le disparate montature artisti artistiche in argento per il cristallo sfaccettato e per le opere nel 9
cosiddetto «stile russo originale» risalente ai due secoli precedenti. L’antica capitale con le sue cattedrali dalle cupole dorate ed i palazzi dei boiardi ispirava i maestri alla creazione di oggetti in stile «romanticismo nazionale». La sezione orafa si trovava al quarto piano del corpo della fabbrica e all’inizio del XX secolo in essa lavoravano circa quaranta mastri di svariate specialità: montatori, fissatori, smerigliatori, smaltatori. Nel 1997, la rivista di Ekaterinburg «Vitta» pubblicò le interessanti testimonianze di Lidia Arturovna Mitkevic‐Zholtko, figlia di Artur Janovic (Ivanovic) Mitkevic‐Zholtko, direttore della sezione orafa dal 1902, e fino allora alle dipendenze della famosa ditta di San Pietroburgo «K. E. Bolin». Lidia Mitkevic‐Zholtko metteva in risalto la sorprendente atmosfera di rispetto ed amicizia che regnava nella filiale moscovita tra i dipendenti, indipendentemente dal loro stato, e l’eccezionale organizzazione del lavoro. Nello studio di Artur Ivanovic c’erano il telefono ed un enorme scaffale antincendio nel quale, al termine della giornata lavorativa, venivano riposti i lavori dei mastri, ognuno dei quali in un cassetto separato. «I pezzi pregiati non erano solamente rappresentati dagli articoli, metalli e pietre, ma dagli stessi strumenti di lavoro, molti dei quali rari, personali». Nella stanza di fronte allo studio, si trovavano in continuazione i «due Nikolay», i due membri della cooperativa ai quali venivano affidati i delicati incarichi di consegna dei metalli preziosi dal negozio alla fabbrica e viceversa. Essi venivano inoltre inviati direttamente dai committenti al fine di prendere le misure esatte, ad esempio del dito di una dama, per la preparazione di un anello. Anche la guardia della fabbrica era ben organizzata: le guardie e gli spazzini della fabbrica erano di origine tartara, «gente molto coscienziosa». L’acqua con la quale prima di andarsene a casa gli orafi si lavavano le mani, fuoriusciva abbondantemente dai rubinetti. Quest’acqua della fabbrica veniva acquistata dai pratici tedeschi (al fine di estrarvi particelle di metalli preziosi), alla vista dei quali i dipendenti urlavano dalle finestre della casa che si trovava nel cortile della fabbrica: «Guardate, i tedeschi son venuti a prendere l’acqua!». I mastri fissatori della sezione, i fratelli Kolbasiny, invitavano spesso la famiglia del vicedirettore della sezione orafa alle feste patronali dai loro genitori in campagna, dove tutti venivano accolti assai cordialmente e prendevano parte alle feste fieristiche. Ad agosto era usanza festeggiare l’inizio del nuovo anno lavorativo e a questo scopo «nella fabbrica veniva portata l’icona raffigurante la Madonna di Iversk, protettrice della Mosca lavoratrice e si recitavano le preghiere». Successivamente agli operai ed ai mastri veniva concesso del denaro per andare a farsi una bevuta, mentre l’amministrazione della fabbrica ed i dipendenti del negozio sprecavano a bordo di carrozze aperte a rifocillarsi al ristorante «Yar». La fabbrica rimaneva sotto l’affidabile controllo delle guardie tartare, mentre le chiavi del laboratorio orafo rimanevano ai «due Nikolay», i quali non erano soliti andare al ristorante. A proposito della filiale di Odessa, che all’inizio veniva diretta da Alan Bo, si sa ben poco. Il negozio si trovava in via Deribasovska, mentre la fabbrica in via Tiraspolskaja, nella casa № 1. E’ decisamente curioso il documento «Regole della disposizione interna della fabbrica di articoli in oro ed argento della casa commerciale «C. Fabergé» ad Odessa», pubblicato nel 1903. Secondo le regole, agli uomini che lavoravano alla produzione, veniva proibito «rivolgersi con termini sgarbati ed indecenti nei confronti delle rappresentanti del gentil sesso impiegate presso la fabbrica … oppure dialogare tra di loro in modo indecente». I garzoni non dovevano violare «il silenzio durante il lavoro … con rumore, urla, parolacce, liti e risse». Nel locale della fabbrica era proibito fumare tabacco, «durante il lavoro raccontarsi barzellette a vicenda oppure riunirsi in gruppo per discutere senza necessità». Il negozio di Fabergé a Londra era straordinariamente popolare nei confronti dei monarchi inglesi. Il re Edoardo VII e la regina Aleksandra, sorella dell’imperatrice Maria Fjodorovna, frequentavano di persona il negozio sulla Bond street. Anche il re Giorgio V, cugino di Nikolay II e la regina Mary erano ferventi ammiratori dell’opera di Fabergé. Su testimonianza del dipendente della ditta C. 10
Bainbridge, Edoardo VII conosceva il contenuto del negozio di Fabergé meglio dello stesso amministratore ed occasionalmente amava fare sottili allusioni nei confronti degli amici a proposito delle deliziose cosine che vi aveva notato e che gli avrebbe fatto piacere ricevere in regalo. Nei confronti della famiglia reale e dell’èlite londinese, erano particolarmente popolari le figure rappresentanti animali di gemma, gli esili fiori di pietre preziose e dure, oro e smalti, altri objets de fantaisie, ed altresì la preziosa merceria che sbalordiva per assortimento ed originalità. La regina Aleksandra si riservò il diritto di esaminare per prima le novità che giungevano in continuazione dalla Russia e di scegliere il meglio in base al proprio gusto; i sudditi di Sua Altezza dovevano accontentarsi di ciò che restava. L’imperatrice Maria Fjodorovna, che in precedenza non aveva alcun problema con i regali per la parentela inglese, fu scontenta dell’apertura delle filiale londinese della ditta C. Fabergé. Nella lettera inviata ad Aleksandra in occasione del Natale 1906, l’imperatrice scrisse: «Ho talmente tante cose da fare che mi drizzano i capelli … Adesso che quello stupido di Fabergé ha aperto il suo negozio a Londra, voi avete tutto ed io non posso mandarvi nulla di nuovo e per questo mi arrabbio». L’opera di Fabergé rappresentava un filo dorato che legava assieme i parenti inglesi, danesi, greci e tedeschi dei monarchi russi. Gli acquirenti della produzione firmata «C.Fabergé» oltre alle personalità incoronate, erano rappresentanti della nobiltà finanziaria ed industriale blasonati in tutto il mondo, da Pietroburgo a Bangkok. Il fatto di possedere i lussuosi oggetti del celebre orafo della corte russa, soprannominato «il Cellini del XIX secolo», rappresentava un qualcosa simile ad un simbolo che differenziava, di appartenenza alla cerchia degli eletti. Attraverso la filiale londinese, la produzione delle botteghe pietroburghesi e della fabbrica moscovita veniva distribuita in tutto il mondo. Il segreto dell’insolita popolarità viene rivelato da un documento di quell’epoca: «La ditta Fabergé ha acquistato celebrità sia in Russia che all’estero grazie all’alta qualità della sua produzione e all’impeccabile conduzione di tutte le operazioni commerciali». L’azienda orafa di Fabergé divenne la prima ditta russa che giunse fino nel Siam, dove la quiete dei monarchi tailandesi veniva decorata da un Budda in nefrite prodotto dai suoi mastri rivelatisi in grado di addentrarsi nell’«armonioso e compiuto mondo» di un’altra fede. Come si può vedere, gli artisti e gli orafi di Fabergé erano all’altezza di produrre non solo «leggeri e bonari» gingilli, spille alla moda ed eleganti objets d’art, ma anche opere di culto che giocarono un importante ruolo nei riti religiosi dei paesi all’epoca originali e poco conosciuti. La ditta produsse un calice sacrale per l’acuqa santa di nefrite decorata dalle figure dorate di Brama, Vishnu e Shiva ricoperte di brillanti, rubini e smeraldi. Questo calice veniva usato nel corso dei rituali che si tenevano nella Cattedrale del Budda di Smeraldo. Il re Chulalongkorn, il suo successore re Rama VI, il principe Chakrabongse, quest’ultimo che aveva studiato a San Pietroburgo e si era sposato con Katerina Denizkaja, figlia del legittimo consigliere di stato di Volynsk, erano grandi ammiratori dell’arte del maestro russo. «Una moltitudine di opere eccezionali di Fabergé abbellisce il palazzo del re del Siam, i palazzi della nobiltà siamese e dei maharaja indiani in Nepal», scrisse Evghenij Fabergé nel 1937.51. Gli artisti ed i mastri della ditta, con la loro peculiare capillarità e responsabilità, iniziarono a studiare campioni, disegni e fotografie inviati dall’esotico Siam.. A risultato, oltre ai lavori in gusto europeo, vennero prodotte non poche opere in stile siamese le quali, secondo l’opinione di Birbaum, suscitavano un interesse non comune ed erano «molto poco studiate finora»52. Dopo aver accertato che i gioielli più popolari in assoluto in Siam erano rappresentati dagli anelli con pietre preziose, in occasione del primo viaggio la ditta inviò a Bangkok una grossa partita di questi gioielli; a dire il vero, le misure europee si rivelarono troppo grandi per le sottili dita delle esili dame siamesi, per cui la volta successiva si dovette provvedere a produrre anelli dalle misure per bambini53. In Siam, il tradizionale regalo di Capodanno era rappresentato da figure di animali che corrispondevano all’anno in questione. Per cui, nel 1913 la corte siamese ordinò una grossa partita di oggetti e ciondoli raffiguranti maiali. 11
Su testimonianza di Birbaum, i rappresentanti della filiale londinese si recavano in India ed in Siam due volte all’anno. Anche Carl Fabergé intraprese un viaggio in Siam, dove il re Chulalongkorn lo insignì del titolo di orafo e smaltatore di corte55. Agafon Carlovic, nelle competenze del quale rientrava visitare i clienti più rispettabili, prima della Prima guerra mondiale visità il Ceylon e ricevette un originale dono da parte dei maharaja: come raccontatto da suo figlio Oleg, su di lui «si abbattè un elefante addestrato a dovere», presentatogli «in segno di gratitudine per tutta la gioia che i nostri oggetti d’arte hanno procurato alla famiglia regale nell’arco di tanti anni!». Il pubblico aveva bisogno degli articoli di Fabergé, i quali «per perfezione ed accuratezza non avevano eguali al mondo». Essi abbellivano la vita quotidiana ed impressionavano per la loro «creazione gioiosa, talvolta provocante ma sempre raffinata»58. La gran principessa Olga, figlia di Aleksandr III, grazie alla sorella Ksenia e a suo marito Sandro (gran principe Aleksandr Mihajlovic), per un’incantevole portagioielli di Fabergé, esclamò entusiasta: «Insolitamente appetitosa!». I termini «appetitoso», «buono» (termine dal lessico dell’unione artistica «Mondo dell’arte»), caratterizzano come meglio non si potrebbe l’opera di Fabergé, nella quale c’era molto di «bello, fine, talvolta raffinato, curioso, «scurrile», come per quanto riguarda l’arte di altri esimi rappresentanti della cultura pietroburghese dell’inizio del XX secolo60. Dalla sua preziosa merceria, dai teneri accessori femminili: flaconi, occhialetti, ventagli, bomboniere, è come se venisse emanato, per dirla alla Bakst, «un aroma di profumi e cipria». Nella concezione dei contemporanei, gli oggetti di Fabergé rappresentavano il modello di eleganza, bellezza e raffinatezza. I parenti del gran principe Dmitrij Pavlovic, decisamente elegante nella sua bianca uniforme della guardia a cavallo, raccontavano che essa era stata creata proprio dall’orafo Fabergé61. Nikolay II, il quale collezionava figurine in pietra intagliata di militari nelle «uniformi di diversi reggimenti» create nella bottega addetta alla scultura in pietra, ne apprezzò altamente la qualità e la raffinatezza. Quando il suo figlio prediletto Aleksej indossava la forma di un ufficiale dei fucilieri della famiglia imperiale, Nikolay II, orgoglioso della bellezza dello zarevic, lo paragonava con una figura creata da Fabergé. Nella lavorazione dell’oro e dell’argento, cosiccome per quanto riguarda i lavori orafi e di intaglio in pietra firmati Fabergé, non c’era un sola sfumatura che non avesse la propria particolarità. Le lussuose uova pasquali rappresentano la parte più esigua di tutto ciò che l’azienda ha creato nell’intero lasso di tempo della sua esistenza. Ma quando diciamo «Fabergé», l’immaginazione va, principalmente, a queste eccezionali creazioni, i preziosi ricordi della storia russa, simboli dell’insuperabile maestria degli orafi russi. 12