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Chiara Davide Tu Questo è un estratto scaricabile dal web. La sua commercializzazione è vietata dalla legge. Tutti i diritti sono riservati © 2013 Davide Chiara Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile del 1941, n. 633) In copertina: Valentina Vinci Orlando Immagine di copertina realizzata da Walter Fantauzzi Fotografia www.davidechiara.com Progetto editoriale: Fonzie Brancato Direttore editoriale: Surya Amarù Impaginazione e grafica: Lucia Grande è un marchio del Gruppo Editoriale Brancato © Copyright 2013 - Gruppo Editoriale Brancato Tel. 095.7513325 - 095.7512752 / Fax 095.7513428 Distribuzione: www.inkwelledizioni.it Non esiste investimento sicuro: amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura in passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara, del vostro egoismo. Ma in quello scrigno – al sicuro, nel buio, immobile, sotto vuoto – esso cambierà: non si spezzerà; diventerà infrangibile, impenetrabile, irredimibile. L’alternativa al rischio di una tragedia, è la dannazione. L’unico posto, oltre il cielo, dove potrete stare perfettamente al sicuro da tutti i pericoli e i turbamenti dell’amore è l’inferno. Sono convinto che il più sregolato e smodato degli affetti con-trasta meno la volontà di Dio di una mancanza di amore volon-tariamente ricercata per autoproteggerci. I quattro amori C.S. Lewis A mia nipote Giulia, con amore incondizionato I In un mondo di vetro Tu non sei come le altre. Non sei mica tutte tu. Tu sei diversa. Unica. E non sei certo la sola a pensarlo, questo. Basta dare appena un’occhiata in giro per rendersene conto. Gli uomini ti desiderano quando attraversi loro il cammino, e le donne poi, quelle ti invidiano, ti odiano quasi, sebbene il più delle volte facciano addirittura finta di non vederti. Tutte patetiche, pensi. Ed è una cosa che ti fa sorridere in cuor tuo, che ti rende orgogliosa, anche se in questo pre-ciso istante stai piangendo. Piangi ma non importa, perché tanto è solo finzione visto che dentro invece stai da Dio. Te lo ripeti cento volte al giorno. Stai da Dio. E la prima rego-la resta ancora quella di sempre: mai passare inosservata. Farsi notare, appunto, sempre. Ecco perché oggi, mentre gli sguardi sono ancora tutti su di te e tu piangi davanti all’obiettivo di una videocamera, neppure immagini che queste finte lacrime si trasformeranno presto in profonda e reale sofferenza. Ma non importa, poiché per ora va tutto più che bene. E il resto, come detto, non conta. D’altronde sei Norma De Santis tu. Mica una qualun-que. È stato il tuo agente a procurarti il provino, come al solito. E come al solito tu hai dato tutta te stessa, e pensi di essere stata brava, perfetta per quella parte. Ma ora che 9 sei in taxi e ti spingi a velocità verso l’aeroporto, sei assalita dalla medesima e sgradevole sensazione di sempre. A cosa è servito tutto ciò? Bene o male che sia andata, poco importa. Il provino vero e proprio lo sosterrai altrove. A tu per tu col regista magari, o col produttore, o come ti è capitato di recente anche con un amico di questi ultimi. Chiunque egli sia, c’è sempre qualcuno pronto a chie-dersi quanto ti importi di questo lavoro. Quanto concreto e assoluto sia in te il desiderio di prendere parte alle riprese, la tua ostentata passione per la recitazione. E grazie tante, Norma, il cinema è un sogno meraviglioso, piace a tutti. Chi non lo vorrebbe fare!? Stavolta si parla addirittura di televisione. Un ruolo secondario, è vero, ma è pur sempre in una serie per la TV. Mica in un qualche film sconosciuto che nessuno andrà mai a vedere. Ma tanto ormai sono passati da parecchio gli anni in cui non capivi, le volte in cui non ci credevi quando qual-cuno te lo chiedeva in modo tanto esplicito e sbrigativo. Adesso fai solo finta di non capire, perché capisci benissi-mo. È in questo che consiste la differenza, adesso: sul fare finta. D’altronde te ne rendi conto anche da sola che non possono chiederti una cosa del genere, non coi tempi che corrono. Devi essere brava tu a capirlo, a darlo per sconta-to. E se ogni tanto è capitato che avessi inteso male – ma davvero questa volta – allora eri tu quella che passava per la troia di turno. Senza mezzi termini. Però non succede quasi mai di capir male in questo ambiente, quindi è inutile starsi troppo a preoccupare. 10 Prima lo capisci, prima cominci a lavorare. Ti fanno quasi pena quelle che ancora non ci credono. Scendi giù dal taxi e ti riversi nell’immenso Terminal A di Fiumicino. Ma perché c’è sempre questo freddo qui? Te lo chiedi, ma un secondo dopo non ricordi neppure a cosa stavi pensando; sei presa da troppe cose al momento. Come sempre. Per non parlare del tuo ritardo. Ticchetti sugli stivali lungo l’intera sala stracolma di gente, trascinandoti dietro la grossa borsa Louis Vuitton, mentre i tuoi occhi non smettono di muoversi da un ban-cone all’altro dei check-in. «RomaCatania, RomaCatania» ripeti a denti stretti. «Ma dove sta?» Finalmente lo trovi – il RomaCatania – ti ci avvicini ma quasi immediatamente ti volti come distratta da qualcosa. O meglio, da qualcuno. Un uomo distinto e sulla sessantina si dirige verso l’uscita dell’aeroporto. Al suo seguito, altri due uomini anche loro in abito elegante. Cominci a rallentare, poi ti fermi a osservarlo con at-tenzione. Ti trovi ancora in quella fase di dubbio in cui ti chiedi se è solo un viso familiare quello lì, oppure se lo conosci davvero e semplicemente non ricordi il nome o il luogo in cui lo hai visto. Ma ecco che anche l’uomo si accorge di te. Rallenta a sua volta e se ne resta immobile a guardarti. Ora siete l’uno davanti all’altra, e tu entri subito nella seconda fase di dubbio: cioè quando ti chiedi se ti sta guardando perché anche lui ti conosce oppure perché è impossibile che qualcuno resista a questo desiderio. Nemmeno ti sfiora l’idea che lui lo stia facendo solo perché tu non gli levi gli occhi di dosso. 11 «Sbaglio o noi due ci siamo già incontrati» ti chiede finalmente lui col tono di chi conosce già la risposta. Non appena si fa più vicino, ogni dubbio scompare in un istante. Ora sì che ti ricordi, e tiri un sospiro di sollievo per esserti sistemata il trucco durante il tragitto in taxi. «Alcune settimane fa» annuisci tu con atteggiamento sofisticato. «A un aperitivo, a “Spazio 900”.» Non è di lui che hai memoria, piuttosto dell’uomo alle sue spalle. Non del portaborse, ma di quell’altro, la guardia del corpo. Hai pensato che fosse un bell’uomo quella sera. Ma soprattutto non riuscivi a toglierti dalla testa l’idea che non ti stesse affatto guardando. Va bene che il suo lavoro non glielo consentiva, ma per come la vedevi tu era anco-ra più imperdonabile lasciarsi sfuggire lo splendido tubino Marc Jacobs che indossavi. Per non parlare di tutto il ben di Dio con cui lo riempivi. Lui però aveva continuato a guardare dritto davanti a sé, diligente, senza lasciarsi distrarre da niente e da nessuno. Allora hai cominciato a togliere e a rimettere sulle tue spalle nude la stola in chiffon, mille volte, come in preda a un incomprensibile e continuo scompenso climatico. Lui però niente. Sempre fisso davanti a sé. All’inizio la cosa ti aveva infastidito, poi irritato, alla fine intrigato. Ed era andata avanti in questo modo per parecchi minuti, finché lui non era più stato in grado di re-sistere al tuo profumo e aveva quindi ceduto. I suoi occhi si erano poggiati proprio sul tuo collo, maliziosi, e da lì scivo-lati giù fino all’attaccatura delle scapole. Tu non aspettavi altro, che scendesse ancora più in basso. A quel punto lo avevi fissato in malo modo come a strillargli contro «Che cazzo ti guardi?» e ti eri voltata di scatto dall’altra parte, con disprezzo, quasi allibita. E non ci avevi più pensato. 12 Adesso che ce l’hai di nuovo qui, fermo e immobile sulla destra, neanche lo degni di uno sguardo. La tua attenzione è tutta per l’uomo davanti a te, il quale ovviamente non ti ha affatto dimenticato. E come potrebbe... «Ma sì, certo, l’attrice» fa lui squadrandoti dalla testa ai piedi col pretesto di voler notare il tuo bagaglio: «Che cosa ci fa qui, parte o arriva?» «Vado in Sicilia per il week-end» rispondi tu. E poi quasi a giustificare il motivo per cui una come te va al sud se non d’estate e per vacanza: «Sabato mio fratello si sposa.» «Che peccato» prosegue lui con un sorriso. «Avevo ot-time notizie su quel finanziamento.» Tu non hai la minima idea di che diavolo stia parlando. Quella sera eri troppo presa a farti notare dal tizio alle sue spalle per stare attenta a ciò che diceva lui. Ma tu non sei stupida. Anzi. Sei la più furba di tutte tu. E se un uomo di potere come lui ti parla di finanziamenti e tu di mestiere fai l’attrice, be’, a qualcosa di certo sta facendo riferimento. Qualcosa che può davvero interessarti. Ben diverso da quando un’ora fa, al provino, il regista ti ha invitato a uscire – o forse era addirittura quell’altro, lo sceneggiatore – e tu hai rifiutato con la scappatoia di do-ver prendere un aereo. No, questa è decisamente un’altra cosa, di certo più importante. Altrimenti non gli avresti mai dato la soddisfazione di essere tu quella che si ricordava dove vi eravate incontrati. Avresti fatto la vaga, al solito tuo, finché non fosse stato lui a cedere. Tanto prima o poi lo fanno tutti. Mentre sei qui in piedi che ci stai ancora riflettendo, senti dall’altoparlante annunciare il tuo volo. Vorresti dare 13 una veloce occhiata all’orologio, ma non lo fai. Percepisci i passeggeri alle tue spalle che si avviano verso il controllo bagagli, e poi subito all’imbarco. Eppure tu resti ancora qui, davanti a lui, che vi guardate. Pensi che se fai passare giusto qualche altro secondo, poi non dovrai più decidere cosa fare. A quel punto sarà ormai troppo tardi. Tuo malgrado dovrai solo accettarne le conseguenze. E nello stesso istante in cui lo pensi, ti accorgi che lo stai già facendo. Così ti limiti a fare quello che ti riesce meglio, e cioè sorridere impercettibilmente. Soltanto quel poco affinché colui che ti sta di fronte abbia il tempo di prendere una decisione, per entrambi, qualsiasi essa sia. «È ancora giovedì. Sono certo che suo fratello non si offenderà se parte con l’aereo di domani.» E quando te lo dice tu non smetti un attimo di sorridere. Che altro puoi fare? Francamente cominci un po’ a stufarti di questa storia, che ogni volta non si può mai andare a cena fuori. Non sei mica nata ieri tu, okay. Sai fin troppo bene che un uomo della sua posizione, in un locale del centro, sarebbe oltremodo in vista se in tua compagnia. Non da meno se qualcuno vi incontrasse in un ristorante fuori porta. Lì poi apparirebbe ancora più sospetto, lo capisci. Però sareb-be anche piacevole se ogni tanto non si finisse direttamente a casa tua. Non subito, almeno. Hai appena comprato del-le meravigliose décolleté Louboutin, e sono giorni e giorni che brami l’occasione adatta per metterle ai piedi. L’uomo ci tiene a dirti che non è per lui che si dimostra tanto prudente, tutt’altro, è per il tuo bene. Tu non puoi 14 che dargli ragione. Una volta che questo progetto andrà in porto, e tu farai parte del cast artistico, è meglio che non si sappia in giro che intrattenevi rapporti con chi c’era die-tro; seppur di carattere lavorativo. Non c’è nulla di male, sai bene anche questo, ma non si è mai troppo prudenti oggigiorno. A ogni modo, da qualche parte dovrete pur parlare di questi finanziamenti. Allora non resta che finire dritti dritti da te, perché da lui ovviamente sarebbe ancora più fuori luogo. E non c’è neanche bisogno di spiegartelo: i vicini sono la razza peggiore, mica è per sua moglie. Lei lo capisce che il lavoro è lavoro e non conosce orari per una persona del suo livello. Così quando finalmente oltrepassate la porta del tuo piccolo ma delizioso appartamento in zona Prati, non ci sono più discorsi che devono essere affrontati. L’imbarazzo ha ormai lasciato spazio alla consapevolezza. Tu lo sai, lui lo sa. Dirsi altro non sarebbe che superfluo. E da ipocriti, poi. «Credo di avere del whisky» fai tu dirigendoti in cuci-na. Hai giusto il tempo di toglierti il trench Burberry – un classico intramontabile per quanto ti riguarda – che sei su-bito scomparsa nell’altra stanza. Non puoi vederlo da qui dove sei adesso, ma è come se potessi. In questo stesso istante l’uomo si sta allentando il nodo della cravatta e inizia ad aggirarsi per il salotto. Prova una certa soddisfazione nel trovarsi circondato da tutte quelle tue foto e gigantografie appese alle pareti. Lui sa già che ti avrà presto. E il minimo che tu puoi fare è spingerlo ad assaporare quel momento, dargli la scossa. Non che con te un uomo ne abbia bisogno, ma in 15 questi casi è sempre meglio accelerare un po’ i tempi. Do-podiché non dovrai fare altro che tornare di là, in salotto, ed entrambi vi eviterete un inutile quanto penoso corteg-giamento. E tutto si concluderà piuttosto in fretta. Peccato solo per il whisky. È un ottimo Laphroaig questo che stai versando, scozzese invecchiato quindici anni, ed è un vero crimine che vada sprecato in questo modo. Ma del resto le hai messe là apposta le tue foto. Sensuali e alcune delle quali ai limiti del provocante. A dirla tutta, all’inizio le avevi messe giusto così, per gioco. O alme-no era questo che rispondevi quando qualcuno te lo do-mandava. Con l’andar del tempo, invece, ti sei accorta del loro reale valore, e ora provi uno strano compiacimento all’idea che, anche se non sei lì, sai sempre che l’attenzione è ugualmente puntata su di te. Tuttavia, quando qualcu-no ti chiede di nuovo che senso abbiano quelle tue foto in bella mostra, la risposta resta ancora la stessa di sempre: giusto così, per gioco! Non puoi vederlo da qui dove sei adesso, ma è come se potessi. Ciò che non immagini è quello che sta per ac-cadere. «Mora con occhi neri» bisbiglia l’uomo rivolgendosi al suono di alcuni passi alle sue spalle. «Lo ammetto, mi ha colpito sul mio punto debole.» Non appena si volta, però, di fronte a lui non è te che si ritrova. Ma un altro uomo – non sembra avere meno di cinquant’anni, questi – che lo guarda confuso da dentro un paio di boxer e una camicia indossata alla meno peggio. «Mi scusi, non...» farfuglia imbarazzato lui, il cui unico pensiero ora è di sistemarsi il nodo della cravatta. Vorreb-be maledirti per avergli omesso che vivi ancora con i tuoi. «Sono un amico di sua figlia e...» 16 Non fa in tempo a finire la frase che, proprio in questo istante, tu ritorni ignara dalla cucina. «Riccardo!?» urli a dir poco sconvolta. Lo sei a tal pun-to che neppure ti accorgi del whisky che hai versato sul tappeto. «Che cosa ci fai qui?» Non puoi crederci. Non sta accadendo realmente. Non a te almeno. Queste sono le situazioni imbarazzanti che succedono agli altri. Quelle che a una festa ti fanno sorridere quando qualcuno le racconta, e tu sei costretta a mettere la mano davanti al viso non appena il malcapitato ti passa vicino, saluta, e tu puoi solo mostrargli occhi colmi di amara consapevolezza. Questi stessi occhi adesso, Norma, circondano te. Ovunque. Tutti appesi intorno alle pareti, che ti guardano senza neppure farti la gentilezza di mettere la mano davan-ti al viso questa volta. Sarebbe patetico dire che daresti via tutto ciò che possiedi affinché ora potessi fuggire lontano da qui, perché tu non daresti via proprio niente. Speri ugualmente che qualcuno faccia qualcosa, che magari ti svegli e dica che quanto stai vivendo non sta affatto accadendo a te. D’altronde sei Norma De Santis tu, mica una qualun-que. Poi finalmente l’uomo in déshabillé ti fa la cortesia di rompere il silenzio, e tu qui capisci che nella vita non c’è mai limite al peggio: «Ma non dovevi essere a Catania?» Lo capisci perché queste parole sono niente rispetto alla scena in cui, dalla tua camera da letto, vedi d’un tratto sgattaiolar fuori una ragazza. Eh sì, Norma, hai visto bene. Una bionda che più bionda non si può. Una che tenendo 17 in mano gran parte dei suoi vestiti si dilegua a testa bassa verso l’uscio. Dietro di lei, poi, scompare anche il tuo ospite. Va via in tutta fretta e senza dire nulla, ma con la magra consolazione di aver sfuggito il peggiore dei pericoli: è chiaro che questo Riccardo non è affatto tuo padre, e lui nelle cose tra te e il tuo uomo non vuole proprio entrarci. Resti da sola, adesso, in compagnia di Riccardo. Nessuno ha il coraggio di dire nulla, tanto meno di guardare in faccia l’altro. L’unica sensazione che provi in questo istante è un’acuta e fastidiosa tristezza. Sei quasi sicura che per lui sia lo stesso, ma tu in più senti la rabbia, che non è poco. E hai pure le tue sacrosante ragioni, in-somma: quando quella volta Riccardo aveva ironizzato sul fatto che è meglio scopare a casa tua e non da lui perché da te il letto è più duro e si presta meglio, tu avevi pensato che non aveva tutti i torti in effetti. Ma da qui ad arrivare a portarsi un’altra donna, be’... Il tempo trascorre lentamente, e tu sei ancora immo-bile che ti chiedi se l’hai mai vista quella bionda. Sembra quasi una sciacquetta che avevi notato durante quello stes-so aperitivo a “Spazio 900”, ma non puoi dirlo con certezza. Avevi già il tuo da fare con la storia della guardia del corpo per trovare anche il tempo di badare a una come lei. Sei confusa. Non sai perché ci stai pensando, quasi fos-si incapace di concentrarti su altro, quasi non volessi. Poi trovi la forza di prendere fiato e finalmente ti volti verso Riccardo. Pronunci ad alta voce la prima cosa che ti viene: «Erano autoreggenti quelle? Con una gonna così corta?» Stai per urlargli contro che non ha neanche il buon gusto di scegliersene una al tuo livello, che basta sfogliare qualsiasi numero di “Vogue” per rendersi conto di quella 18 che è ormai una legge non scritta. Ma invece non lo fai. Ti lasci solo cadere sul divano, sfinita. Ed è giusto allora, quando il tuo sguardo non può che rivolgersi a terra, sempre più in basso, che ti accorgi di tut-to il whisky che hai versato sul tappeto. Chiamarlo soltan-to whisky è un insulto, questo è un Laphroaig invecchiato quindici anni. Sei confusa, ancora di più, ma ti stupisce accorgerti che d’improvviso un pensiero si fa limpido e concreto nella tua mente. E riguarda proprio la macchia che hai davanti. Tutti quegli anni trascorsi in una botte, su un’isola al largo della Scozia, in attesa di dare un senso a un’azione tanto assurda se ci pensi, quasi folle. Aspettative, passione, dedizione. Desiderio di un progetto a lungo termine, tutto vissuto nella più totale abnegazione con l’unica speranza di rendere concreto un sogno. Finché poi un giorno, però, ogni cosa non va sprecata in un istante. E tu finisci ad allargarti su un tappeto. 19 II Tutto è dato per scontato L’aereo atterra a Catania nel pomeriggio. Il peggior viaggio della tua vita. Sei irritata, contrariata, sei quasi disgustata. Mai ti saresti aspettata di dover sopportare un trauma del genere, mai. Da quando hanno tolto la prima classe sulle tratte nazionali, infatti, prendere un aereo è diventato impossibile. I peggiori cinquanta mi-nuti della tua vita. Per non parlare del fatto che, avendo perduto il volo di ieri con Alitalia e non essendoci posti disponibili su quello di oggi, sei stata costretta a ripiegare nientemeno che su un low cost. Se prendevi un carro bestiame era meglio. Una volta una tua amica si era ritrovata in una circostanza simile, tempo fa, e ti aveva raccontato che può capitare di finire seduti accanto a chiunque, ma proprio chiunque. Tu eri rimasta sconvolta. «Mi prendi in giro?» le avevi chiesto incredula. Eppure lo sai bene che lei non è mica tipo da dire cretinate. Ora sei qui, davanti al nastro trasportatore che aspetti il tuo bagaglio che ovviamente non arriva, e ripensi ancora a quell’anziana signora. Poco ti importa che fosse tanto orgogliosa che suo figlio si era laureato, e che insieme a nonni, cugini e zii fossero sbarcati tutti a Roma per assi-stere alla discussione di tesi. O almeno questo ti sembra di aver capito, visto che ormai non lo ricordi neanche tanto più il dialetto siciliano. Quello catanese, poi, non è solo in-comprensibile per te, ma fastidioso con quella sua ridicola cantilena. 21 L’aereo non aveva ancora decollato che, pur di farla smettere di starnazzare, ti eri girata dall’altra parte ed eri stata costretta a far finta di leggere un libro. Per più di cin-quanta minuti! Un libro! I peggiori della tua vita. Dirle di tacere sarebbe stato solo da maleducati, e far finta di ascoltarla anche peggio, da ipocriti. Tu invece sei una persona sincera. Sarai anche complicata, okay, ma sei maledettamente vera, reale; e sai bene che la vita è fatta anche di queste cose. Sai come vivere, tu. Se c’è una cosa che hai imparato in questi anni lontano da casa è proprio quella di rispettare gli altri, tutti, e di non fare mai la classista. Ma adesso ti chiedi come si fa a volte a non esserlo, alcuni sono davvero senza speranza. Ad attenderti fuori nel parcheggio c’è tuo padre. Con tutta questa folla non deve averti notato. Tenti di chiamarlo, ma improvvisamente senti come un nodo alla gola, e ti manca la voce. Non appena lo vedi, per un attimo ti tremano anche le gambe, ma solo per un attimo. Ti domandi se non ti stia venendo la febbre. Devi aver preso freddo domenica scorsa all’“Exedra”. Maledetto roof garden! È ora che tu ti decida ad acquistare quel soffice col-lo di volpe, quello che hai adocchiato tempo fa in vetrina da Fendi. Va bene che non volevi strafare considerato il prezzo spropositato, ma non puoi mica giocare così con la tua salute. Finalmente ti vede – tuo padre – ed è lui che si avvicina. Per carità, ci andresti pure incontro se il tuo bagaglio pesasse un po’ di meno, invece lo aspetti qui, contenuta come sempre, sorridente come sempre. Lui al contrario è 22 un fiume in piena e ti travolge con tutta la sua gioia. Ora che ci pensi, in effetti, sono parecchi mesi che non vi ve-dete. Ti stringe in un lungo abbraccio. Tu lo lasci fare, an-che se c’è della gente che vi guarda e non ami affatto certe sceneggiate. Poi passate in rassegna le consuete domande di rito: tu stai bene, mangi a sufficienza, e a Roma tutto va a meraviglia. Il lavoro procede tra alti e bassi, ma sei in attesa di alcune interessanti risposte che a breve arriveranno. Ti dimostri sempre piuttosto schiva sull’argomento, ma non ti preoccupi. Tuo padre ne parla più per dovere e abitudine che non per aspettarsi una qualche novità. Or-mai sa bene quant’è complesso e articolato il tuo mestiere. «È tutto okay, amore mio?» ti chiede ancora lui, come se stavolta qualcosa ti turbasse più del dovuto. «Sto benissimo, papà. Perché?» Proprio non capisci cosa può averlo spinto a dubitarne. Sei splendida più che mai oggi. Superi il concetto stesso di splendore. Per non parlare della forza che emanano i tuoi occhi, neri e profondi come gli abissi del mare che adesso vi circonda. Il tuo è un colore che in molti sostengono di avere, ma in realtà non lo possiede quasi nessuno. È rarissi-mo. Magari hanno gli occhi castani, magari di un marrone molto molto scuro; ma nessuno li ha così neri e profondi come ce li hai tu. Ti sei persino fatta la coda, oggi, per mettere in risalto i tuoi zigomi. Questi stessi zigomi che qualcuno ha definito prorompenti, prepotenti, audaci. C’è gente che si venderebbe la casa per averli alti come i tuoi. E lo fa, caspita se lo fa! Insomma, se non sei tu il ritratto dello stare bene, allora non lo è proprio nessuno. 23 E poi, anche volendo, non sapresti davvero che cosa rispondere a tuo padre. Anzi no – aspetta un attimo! – lo sai eccome. Perché diavolo non ci hai pensato prima? «Non sai cosa mi è successo in aereo, guarda!» e subito scoppi a ridere e a gesticolare. Racconti per filo e per segno l’esperienza traumatica che hai appena vissuto in aereo con quella signora, e che non auguri nemmeno al tuo peggior nemico. Non dimentichi un solo particolare. Ma mentre lo fai, stranamente tentenni. Come se fossi stata distratta da qualcosa, o meglio dalla mancanza di questo qualcosa. Lo cerchi, giusto con lo sguardo, prima a destra poi a sinistra, impercettibilmente. Ed ecco che alla fine tuo padre se ne accorge e a modo suo ha intuito tutto. Sapeva di avere ra-gione quando poco fa ti ha chiesto se stavi bene. È sempre tuo padre, dopotutto. Ti anticipa prima che tu possa proferire parola: «La mamma non è potuta venire, tesoro. È di turno in ospe-dale.» Tu ti svegli come da un sogno e, con un istantaneo battito di ciglia, i tuoi occhi tornano a poggiarsi sopra i suoi. Lo guardi quasi senza capire, o almeno è questa l’im-pressione che gli dai. Finché non torni a sorridere di nuovo, bella e solare più di prima. «Veramente stavo cercando la macchina!» Non ne hai alcun dubbio. Tu devi avere per forza la febbre. Altrimenti non si spiegherebbe perché le gambe ti tremano in questo modo. Non ci voleva che ti venisse giusto oggi. Proprio ora che sei tornata a casa e finalmente hai di fronte Tommaso. 24 Erano mesi che non lo vedevi. Sì, lo sai anche tu che sareb-be stato bellissimo dimostrargli tutto il tuo entusiasmo, il tuo affetto, specie in un’occasione come questa, adesso che sta per sposarsi. Ma purtroppo non ti senti tanto bene, se no lo avresti già fatto. «Qualcosa che non va, Norma?» ti chiede tuo fratello. «Sto benissimo, davvero» rispondi tu col sorriso sulle labbra. Sorridi più che puoi, ma obiettivamente inizia a darti sui nervi che tutti te lo chiedano. «Ho solo fatto un pessimo viaggio, tutto qui. Sapessi che mi è capitato in aereo, Tommy.» E racconti di nuovo la tua sconvolgente odissea, mentre ti tocchi i capelli, li arrotoli, li tiri, e non smetti un solo secondo di muoverti e parlare. A vederti qua in compagnia di tuo fratello, nessuno direbbe che tu abbia addirittura un gemello. Solo incontrandone gli occhi – queste gocce di onice sorprendentemente simili alle tue – è possibile togliersi ogni dubbio. Ti sembra quasi di trovarti di fronte a uno specchio, uno specchio d’acqua che riflette solo il tuo sguardo e tutto il resto non si sa come lo distorce. Come se all’improvviso qualcuno ci avesse buttato dentro un sasso. Eppure non è stato sempre così. Prima avevate un legame. Una simbiosi che andava ben al di là dell’aver trascorso nove mesi insieme nello stesso utero. Anche se di spermatozoi e ovuli differenti, infatti, con tuo fratello hai condiviso ogni cosa. Sempre e per tutta la vita. O almeno lo hai fatto fino all’istante in cui, meno che ventenne, hai deciso di andar via e trasferirti a Roma. Così, da un giorno all’altro, in preda a una passione che nessuno aveva mai neppure immaginato. E chi si aspettava che amassi la recitazione fino a questo punto! Addirittura da rinunciare al 25 tuo più grande desiderio, quello che tutti ormai conosce-vano, quello che avevi coltivato sin da piccola e al quale eri destinata: il sogno di fare il medico. Ti eri persino iscritta all’università. Ma la vita va in questo modo a volte, su tragitti impre-vedibili, e tu non potevi certo continuare a viverla in eterno attaccata a tuo fratello. Certo che no! Ora però lui è qui di nuovo davanti a te, e sta cercando di aprirti il suo cuore. «Ieri sera ci sei mancata, Norma. Sei mancata a tutti.» Ma tu lo interrompi con la tipica vocina di chi fa la finta colpevole: «Sono una frana come testimone, lo so!» La realtà è che non ti va di starlo ad ascoltare. Non perché tu ti senta responsabile o ti turbi farti dire che più di tutti è a lui che sei mancata. No. È solo che non c’è mica bisogno di farne una dramma di questa storia. Alla fine era soltanto una cena prematrimoniale, una noiosa tradi-zione con parenti d’ogni sorta di cui nessuno ricorda mai il nome. Di fronte a questa tenera espressione collaudata, Tom-maso non può far altro che minimizzare: d’altronde non è certo colpa tua se hai trovato quell’ingorgo sul raccordo e quando sei arrivata in aeroporto avevano già chiuso il volo. Sai che sta per dirti che non era sua intenzione fartela pesare, è solo che gli sei mancata sul serio a tuo fratello. Perciò tu lo interrompi ancora una volta. «Domani è un giorno speciale, Tommy. Ciò che conta è che ora siamo di nuovo insieme!» 26 Il resto del pomeriggio vola via piuttosto rapidamente, fino al sopraggiungere delle luci della sera. Di tua madre, ancora, neppure l’ombra. Per assistere alle nozze di Tommaso – e riuscire ad ave-re così l’intero giorno libero – lei sta lavorando e lavorerà fino a tardi questa notte. Voi due vi vedrete direttamente domani mattina. Prima del matrimonio. Mentre tuo padre te lo dice, tu non smetti di guardarti attorno. Ti stupisci di come casa tua a Catania sia rimasta la stessa in questi anni. Ogni volta che torni non c’è mai niente di cambiato, di diverso. Quel piatto di ceramica è lì sulla mensola da quasi vent’anni ormai. L’hai portato come souvenir ai tuoi genitori una volta che sei stata in gita con la scuola, e lì tuttora è rimasto. A te piace evolverti invece, circondarti di cose nuove. Il tuo appartamento a Roma l’avrai ristrutturato almeno cento volte, e ancora non riesci a sentirti veramente a casa tua, a placare questa continua irrequietudine che ti contraddistingue. E non è vero che non ti affezioni a ciò che possiedi o che hai perso il valore delle cose, è che ti affezioni a tutto tu. Il fatto che abbia 97 paia di scarpe e senti la necessità di comprarne un altro, non vuol dire che tu non le ami tutte e 98. Le ameresti tutte e 198 se solo avessi una cabina armadio più spaziosa. Poi è chiaro che una volta che la stagione è finita non puoi mica andare in giro con scarpe della collezione passata, quindi tuo malgrado devi smettere di indossarle. Per quanto riguarda le borse, invece, quello è tutto un altro discorso. Non importa quanto spazio tu abbia, non ce ne sarà mai abbastanza per le Hermés. Ricordi ancora con orrore l’estate di due anni fa, quando in aeroporto ti avevano smarrito la valigia e tu eri scesa 27 a Catania addirittura per una settimana. Avevi aperto il tuo vecchio armadio con la speranza di trovare qualcosa di decente, ma per poco non ti era venuto un infarto. Eri subito scappata in centro da Gigi Tropea, ma quei male-detti erano già andati in ferie. Lo stesso per Papini e Thea Riccioli. Cavolo, stavi per sfondargliele quelle vetrine! Ma il vero dramma fu quando, più tardi, ti dissero che quella sera a Taormina ci sarebbe stato il restyling della Giara. E tu non saresti mancata per niente al mondo. Indossare quella vecchia mise Dsquared era stato peggio che vivere in un incubo. Se solo qualcuno avesse avuto anche la metà del tuo buon gusto e ti avesse osservato per bene il vestito, si sarebbe sicuramente accorto che le bretelline erano trasversali e non verticali come invece il nuovo modello di allora imponeva. Per non parlare delle Jimmy Choo che portavi ai piedi, meravigliose per carità, ma assolutamente inadatte col quel plateau ormai fuori moda. Ti eri sentita addosso gli occhi di tutti quella sera. Non eri riuscita a divertirti. Ma per fortuna era accaduto in Si-cilia, e quelli lì non distinguerebbero un Tom Ford periodo Yves Saint Laurent da un Tom Ford periodo Gucci, figurarsi il resto. Ammesso sempre che abbiano idea di chi sia quel genio di Tom Ford. Scampata la tragedia, da allora hai sempre portato con te nel bagaglio a mano uno straccetto di riserva, e così sei tornata a dormire sonni tranquilli. Ma di cosa ti stava parlando poco fa tuo padre? Ah sì, del matrimonio. Se ieri sera hai evitato l’imbarazzante cena con tutti quei parenti, oggi non sarai altrettanto fortunata. Anzi, ti è andata pure peggio: tuo fratello ti ha coinvolto 28 nell’addio al nubilato della moglie. Lui va a spassarsela con amici e colleghi per festeggiare la sua ultima notte da ce-libe, mentre a te tocca fare compagnia ad Agata e al suo improbabile gruppetto di amiche. Ti tireresti i capelli se solo non avessi le extension! Agata è tutt’altro che il tipo con cui ritrovarsi assieme di venerdì sera. Bene che vada andrete a mangiare una pizza, o forse a prendere un gelato. Ma al momento non è neppure tanto questo ad angosciarti. Da quando l’hai incontrata la prima volta un anno fa – per quanto ora tu ti stia sforzando di ricordare – sei sicura di non aver trascorso neanche cinque minuti da sola in sua compagnia. E come avresti potuto, in effetti? Non avete argomenti in comune voi due, amici o aspirazioni comuni. Siete come il giorno con la notte, dove ovviamente non c’è alcun bisogno di chiedersi chi tra le due è sinonimo di luce. Siete rette parallele che non si sarebbero mai e poi mai incontrate se tuo fratello non ne avesse deviato il percorso. Non hai idea di cosa lui possa aver visto in una donna così. Del contrario, invece, un’idea te la sei fatta eccome. Lui avvocato, figlio di avvocato, e con uno studio lega-le proprio già avviato. Lei impiegata in un tabacchi senza alcuno sbocco lavorativo. Poi succede che un giorno di cir-ca un anno fa a lui finiscono le sigarette, così entra a com-prare un pacchetto di Malboro Light. Ed eccoli qui, adesso, prossimi alle nozze. Non ti piace pensar male della gente, ma se c’è una cosa che ti fa smuovere i nervi sono proprio gli arrivisti. Es-sere ambiziose come te è un discorso, essere arrampicatrici è decisamente un altro. Tu le odi le donne così. 29 E quando ti è giunta voce che dopo neppure pochi mesi che si erano conosciuti lei era già rimasta incinta, fare 2 + 2 è stato più facile del previsto. L’unica scocciatura è che adesso ti tocca presenziare a una cerimonia in pieno inverno, con il rischio che piova e tu non possa sfoggiare al meglio l’abito che hai comprato per l’occasione: una meraviglia, uno spettacolo, un autentico ca-po-la-vo-ro! E tutto questo solo perché non sia mai che una viziata religiosa come Agata faccia nascere il proprio bambino fuori del sacro vincolo del matrimonio. Roba da medioevo! Ti chiedi come tuo fratello sia stato talmente stupido da cascarci. In uno scenario tanto prevedibile, poi. Come? «È stato amore, Norma. Amore a prima vista» ti sus-surra Agata con gli occhi colmi di gioia, come se in qualche modo avesse percepito i tuoi pensieri e si fosse sentita in dovere di darti risposta. Tu invece sei disgustata. Pensi che non c’è davvero limite alla banalità di certa gente. Sembra di assistere a uno di quei dialoghi che ogni tanto ti danno per il provino in una soap, e tu sai già come andranno a finire ancor prima di averli letti. Ma è della futura moglie di tuo fratello che si sta parlando adesso, e purtroppo per te è arrivato il momento che cominci a fartela piacere. «Sì, basta guardarvi per capirlo» le dici tu rispondendo al suo sorriso con un sorriso ancora più smagliante. «Dav-vero, Agata! Non ho mai visto Tommy così felice come da quando ti conosce.» E in effetti non credi che Agata sia una persona cattiva, una che magari tratta male tuo fratello, no, tutt’altro. È solo che con questa faccia da santarellina che si ritrova non è poi tanto diversa da tutte le altre ragazze che cono-sci: quando ha visto un bel piatto succulento, anche lei ci ha subito infilato dentro la forchetta. 30 A proposito di piatto, ti domandi, ma che fine ha fatto la tua pizza? Siete arrivati da quasi un’ora e della tua bufa-la, pomodorini e rucola ancora niente. Forse non avresti dovuto insistere così tanto per venire proprio in questo locale sconosciuto. La pizza sarà sicuramente pessima, e il servizio anche peggio, ma almeno qui sei sicura di non incontrare nessuno che ti conosce. Il fatto che tu sia costretta a farti piacere Agata, infat-ti, non significa che debba valere anche per le sue cinque amiche. E non tanto per quel che dicono o per i lavori mo-desti che fanno, sia chiaro, ma ciò che proprio non riesci a mandare giù è la noncuranza con la quale questa gente si relaziona col mondo. E poi pretende pure di essere accet-tata! Ti sembra di stare alla sagra dell’indecenza: occhiali da vista indossati insieme a orecchini pendenti, scarpe con tacco grosso basso e quadrato, gonne di tessuto tecnico di una lunghezza indefinita. Per non parlare degli smalti per unghie ricostruite. Disegnini color pastello, lucido, metal-lizzato e chi più ne ha più ne metta. Della tizia davanti a te, invece, non sei ancora tanto sicura – aspetti che si alzi prima di toglierti ogni dubbio – ma ti sembra di aver notato delle calze velate color carne indossate insieme a un paio di scarpe scure. In pieno in-verno! Sei davvero senza parole. Ma cosa ci sta facendo una del tuo livello ancora qui, in questa pizzeria, con questa gente? La risposta arriva appena un minuto dopo, ed è di nuovo Agata a sbattertela in faccia: «Tu neppure immagini quanto bene ti voglia Tommaso. Farebbe di tutto per te!» 31 Poco fa ti ha chiesto di accompagnarla in bagno, e tu non hai potuto dirle di no. Con quell’enorme pancione che si ritrova, ben otto mesi di gravidanza, non ce la fa a sedersi senza l’aiuto di qualcuno. Però con tutte le sue amiche proprio a te doveva chie-derlo? E ora che siete l’una di fronte all’altra, non la smette un attimo di chiacchierare. «Lui ti adora, Norma, ti adora più di qualsiasi altra cosa al mondo. Non lo ammetterebbe mai davanti a me. Tuo fratello è troppo buono per farmi sentire in difetto, troppo, ma io so che è così. Lo vedo nei suoi occhi. Ogni volta che torni a Catania è come se lui ritrovasse una parte mancante di sé, quasi tornasse a vivere di nuovo.» Tu la ascolti senza fiatare. Guarda un po’ che situazione, ti dici, costretta qui nel gabinetto insieme a una incinta seduta sul water! Avresti bisogno di una sigaretta adesso. Ma da quando hai scoperto che all’estero non fuma più nessuno, se non gli ignoranti e i cafoni, ti sei istantaneamente tolta il vizio. Vorresti almeno andare a vedere se la tua pizza è arrivata – stai morendo di fame – ma non puoi farlo. Agata non è in grado di rialzarsi e tu devi stare qui in attesa, pronta ad aiutarla. «Non fraintendermi però» continua lei che non vuole proprio saperne di chiudere la bocca e rimettersi in piedi. «Tu hai fatto le tue scelte, Norma, e lui ti rispetta per questo. Anzi, io credo che a volte ti invidi pure: per quello che sei, per la forza che hai avuto nel decidere di cambiare, di andare via da Catania. E io lo so, lo so quanto bene vi volete, non credere. E so che niente e nessuno potrà mai prendere il tuo posto ma...» «Agata!» fai improvvisamente. E non sai neppure per-ché la interrompi, ma sentivi di farlo e basta. 32 «No, Norma, ti prego. Lasciami finire» insiste ancora lei. «Io l’ho capito questo, davvero, e a me va bene così. Non pretendo mica di completarlo come fai tu a Tomma-so, no. Mi basta solo potergli dare la serenità che merita, la stessa di cui anch’io ho bisogno. E non immagini quanto adesso» mentre lo dice si sfiora il pancione con una mano, spingendo anche te a fare lo stesso. Ma tu invece ti divin-coli bruscamente dalla sua presa e allontani subito il tuo braccio. Tutto a un tratto cala il gelo più assoluto tra di voi. Puoi quasi udire il rumore di posate nell’altra sala, talmente siete sprofondate nel silenzio. Ma che cosa è successo? Tu non sai perché lo hai fatto, ma lo hai fatto. Forse sarebbe opportuno scusarti, o forse no. Tu non sai cosa è meglio fare in questi casi. Ma mentre sei qui che i pensieri ti si aggrovigliano nella mente, Agata lo fa al posto tuo. Tua cognata si scusa. Dice che ha esagerato. Non voleva essere indiscreta. Aveva questa cosa importante da condividere e ci teneva che la sapessi prima che diventaste una famiglia. Tutto qui. Cerca di capirla, Norma. Tu non leggi nella testa della gente, quindi non lo im-magini, ma Agata è davvero mortificata in questo momen-to. Si sta chiedendo perché non dici nulla, perché non parli, tu che invece sei un peperino e metti sempre la bocca su tutto. Alla fine la accontenti. «La pizza dev’essere arrivata, Agata. Tu hai fatto qui?» Per un attimo resta quasi inebetita davanti alle tue parole, non capisce. Poi si rende conto che stai davvero aspettando una risposta, così annuisce lentamente. Allora 33 tu la aiuti ad alzarsi in piedi e a sistemarsi questa specie di sottana che lei spaccia per un vestitino da sera. Tornate di là al tavolo dove vi aspettano la brutta copia delle Spice Girls. Finalmente stai per sederti e goderti in santa pace la tua cacchio di pizza, anche se ormai sarà fredda e im-mangiabile, quand’ecco che Agata ti afferra ancora per un braccio e ti chiede di ascoltarla. «Noi vorremmo solo vederti felice, Norma. Sapere che anche tu hai trovato la tua serenità. Come noi.» Ecco, lo sapevi. Hai cercato di fartela piacere in tutti i modi a questa qui, ma non è stato possibile. Anzi, ora che ci pensi, non ne vedi proprio il motivo. Non sei mica tu quella che se la deve sposare! Fai un bel respiro e ti volti completamente verso di lei. Le afferri il polso e ti liberi con nonchalance dalla sua presa – ma la ragazza è dura di comprendonio!? – dopodi-ché la fissi con quanta più sufficienza e supponenza arrivi a mettere insieme. «Oggi sembra che tutti si preoccupino per me» le dici a denti stretti. «Io però sto da Dio, Agata, da Dio. Ma mi hai visto bene?» E in effetti stasera sei di una classe e grazia ineguagliabili. Più di quanto tu non lo sia di solito, che già non è facile. Quando però le mostri di nuovo le spalle e riprendi leggiadra per la tua strada, non si sa come i tuoi occhi hanno una luce diversa questa volta. Per quanto tu ci stia provando in tutti i modi, Norma, non riesci affatto a trat-tenerne l’inquietudine… www.davidechiara.com