leggi subito i primi 2 capitoli

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Chiara Davide
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Non esiste investimento sicuro: amare significa, in ogni caso,
essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro
cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a
spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non
donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura in passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di
coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara,
del vostro egoismo. Ma in quello scrigno – al sicuro, nel buio,
immobile, sotto vuoto – esso cambierà: non si spezzerà; diventerà
infrangibile, impenetrabile, irredimibile. L’alternativa al rischio di
una tragedia, è la dannazione. L’unico posto, oltre il cielo, dove
potrete stare perfettamente al sicuro da tutti i pericoli e i turbamenti dell’amore è l’inferno.
Sono convinto che il più sregolato e smodato degli
affetti con-trasta meno la volontà di Dio di una mancanza
di amore volon-tariamente ricercata per autoproteggerci.
I quattro amori
C.S. Lewis
A mia nipote Giulia,
con amore incondizionato
I
In un mondo di vetro
Tu non sei come le altre.
Non sei mica tutte tu. Tu sei diversa. Unica.
E non sei certo la sola a pensarlo, questo. Basta dare
appena un’occhiata in giro per rendersene conto. Gli uomini ti desiderano quando attraversi loro il cammino, e
le donne poi, quelle ti invidiano, ti odiano quasi, sebbene
il più delle volte facciano addirittura finta di non vederti.
Tutte patetiche, pensi. Ed è una cosa che ti fa
sorridere in cuor tuo, che ti rende orgogliosa, anche se in
questo pre-ciso istante stai piangendo. Piangi ma non
importa, perché tanto è solo finzione visto che dentro
invece stai da Dio. Te lo ripeti cento volte al giorno. Stai
da Dio. E la prima rego-la resta ancora quella di sempre:
mai passare inosservata. Farsi notare, appunto, sempre.
Ecco perché oggi, mentre gli sguardi sono ancora tutti
su di te e tu piangi davanti all’obiettivo di una videocamera, neppure immagini che queste finte lacrime si trasformeranno presto in profonda e reale sofferenza.
Ma non importa, poiché per ora va tutto più che
bene. E il resto, come detto, non conta.
D’altronde sei Norma De Santis tu. Mica una
qualun-que.
È stato il tuo agente a procurarti il provino, come al
solito. E come al solito tu hai dato tutta te stessa, e pensi di
essere stata brava, perfetta per quella parte. Ma ora che
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sei in taxi e ti spingi a velocità verso l’aeroporto, sei
assalita dalla medesima e sgradevole sensazione di sempre.
A cosa è servito tutto ciò?
Bene o male che sia andata, poco importa. Il provino
vero e proprio lo sosterrai altrove. A tu per tu col regista
magari, o col produttore, o come ti è capitato di recente
anche con un amico di questi ultimi.
Chiunque egli sia, c’è sempre qualcuno pronto a
chie-dersi quanto ti importi di questo lavoro. Quanto
concreto e assoluto sia in te il desiderio di prendere parte
alle riprese, la tua ostentata passione per la recitazione.
E grazie tante, Norma, il cinema è un sogno
meraviglioso, piace a tutti. Chi non lo vorrebbe fare!?
Stavolta si parla addirittura di televisione. Un
ruolo secondario, è vero, ma è pur sempre in una serie
per la TV. Mica in un qualche film sconosciuto che
nessuno andrà mai a vedere.
Ma tanto ormai sono passati da parecchio gli anni
in cui non capivi, le volte in cui non ci credevi quando
qual-cuno te lo chiedeva in modo tanto esplicito e
sbrigativo. Adesso fai solo finta di non capire, perché
capisci benissi-mo. È in questo che consiste la
differenza, adesso: sul fare finta.
D’altronde te ne rendi conto anche da sola che non
possono chiederti una cosa del genere, non coi tempi
che corrono. Devi essere brava tu a capirlo, a darlo per
sconta-to. E se ogni tanto è capitato che avessi inteso
male – ma davvero questa volta – allora eri tu quella
che passava per la troia di turno. Senza mezzi termini.
Però non succede quasi mai di capir male in questo
ambiente, quindi è inutile starsi troppo a preoccupare.
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Prima lo capisci, prima cominci a lavorare. Ti fanno
quasi pena quelle che ancora non ci credono.
Scendi giù dal taxi e ti riversi nell’immenso Terminal
A di Fiumicino. Ma perché c’è sempre questo freddo qui?
Te lo chiedi, ma un secondo dopo non ricordi neppure a
cosa stavi pensando; sei presa da troppe cose al momento.
Come sempre. Per non parlare del tuo ritardo.
Ticchetti sugli stivali lungo l’intera sala stracolma
di gente, trascinandoti dietro la grossa borsa Louis
Vuitton, mentre i tuoi occhi non smettono di muoversi
da un ban-cone all’altro dei check-in.
«RomaCatania, RomaCatania» ripeti a denti
stretti. «Ma dove sta?»
Finalmente lo trovi – il RomaCatania – ti ci avvicini
ma quasi immediatamente ti volti come distratta da
qualcosa. O meglio, da qualcuno. Un uomo distinto e sulla
sessantina si dirige verso l’uscita dell’aeroporto. Al suo
seguito, altri due uomini anche loro in abito elegante.
Cominci a rallentare, poi ti fermi a osservarlo con
at-tenzione. Ti trovi ancora in quella fase di dubbio in
cui ti chiedi se è solo un viso familiare quello lì,
oppure se lo conosci davvero e semplicemente non
ricordi il nome o il luogo in cui lo hai visto.
Ma ecco che anche l’uomo si accorge di te. Rallenta a
sua volta e se ne resta immobile a guardarti. Ora siete l’uno
davanti all’altra, e tu entri subito nella seconda fase di dubbio: cioè quando ti chiedi se ti sta guardando perché anche
lui ti conosce oppure perché è impossibile che qualcuno resista a questo desiderio. Nemmeno ti sfiora l’idea che lui lo
stia facendo solo perché tu non gli levi gli occhi di dosso.
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«Sbaglio o noi due ci siamo già incontrati» ti chiede
finalmente lui col tono di chi conosce già la risposta.
Non appena si fa più vicino, ogni dubbio scompare in
un istante. Ora sì che ti ricordi, e tiri un sospiro di sollievo
per esserti sistemata il trucco durante il tragitto in taxi.
«Alcune settimane fa» annuisci tu con atteggiamento
sofisticato. «A un aperitivo, a “Spazio 900”.»
Non è di lui che hai memoria, piuttosto dell’uomo
alle sue spalle. Non del portaborse, ma di quell’altro, la
guardia del corpo. Hai pensato che fosse un bell’uomo
quella sera. Ma soprattutto non riuscivi a toglierti dalla
testa l’idea che non ti stesse affatto guardando. Va bene
che il suo lavoro non glielo consentiva, ma per come la
vedevi tu era anco-ra più imperdonabile lasciarsi
sfuggire lo splendido tubino Marc Jacobs che indossavi.
Per non parlare di tutto il ben di Dio con cui lo riempivi.
Lui però aveva continuato a guardare dritto davanti a
sé, diligente, senza lasciarsi distrarre da niente e da nessuno. Allora hai cominciato a togliere e a rimettere sulle tue
spalle nude la stola in chiffon, mille volte, come in preda a
un incomprensibile e continuo scompenso climatico. Lui
però niente. Sempre fisso davanti a sé.
All’inizio la cosa ti aveva infastidito, poi irritato, alla fine
intrigato. Ed era andata avanti in questo modo per parecchi
minuti, finché lui non era più stato in grado di re-sistere al tuo
profumo e aveva quindi ceduto. I suoi occhi si erano poggiati
proprio sul tuo collo, maliziosi, e da lì scivo-lati giù fino
all’attaccatura delle scapole. Tu non aspettavi altro, che
scendesse ancora più in basso. A quel punto lo avevi fissato in
malo modo come a strillargli contro «Che cazzo ti guardi?» e
ti eri voltata di scatto dall’altra parte, con disprezzo, quasi
allibita. E non ci avevi più pensato.
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Adesso che ce l’hai di nuovo qui, fermo e immobile
sulla destra, neanche lo degni di uno sguardo. La tua attenzione è tutta per l’uomo davanti a te, il quale ovviamente
non ti ha affatto dimenticato. E come potrebbe...
«Ma sì, certo, l’attrice» fa lui squadrandoti dalla
testa ai piedi col pretesto di voler notare il tuo
bagaglio: «Che cosa ci fa qui, parte o arriva?»
«Vado in Sicilia per il week-end» rispondi tu. E
poi quasi a giustificare il motivo per cui una come te
va al sud se non d’estate e per vacanza: «Sabato mio
fratello si sposa.»
«Che peccato» prosegue lui con un sorriso.
«Avevo ot-time notizie su quel finanziamento.»
Tu non hai la minima idea di che diavolo stia parlando.
Quella sera eri troppo presa a farti notare dal tizio alle sue
spalle per stare attenta a ciò che diceva lui. Ma tu non sei
stupida. Anzi. Sei la più furba di tutte tu. E se un uomo di
potere come lui ti parla di finanziamenti e tu di mestiere fai
l’attrice, be’, a qualcosa di certo sta facendo riferimento.
Qualcosa che può davvero interessarti.
Ben diverso da quando un’ora fa, al provino, il
regista ti ha invitato a uscire – o forse era addirittura
quell’altro, lo sceneggiatore – e tu hai rifiutato con la
scappatoia di do-ver prendere un aereo. No, questa è
decisamente un’altra cosa, di certo più importante.
Altrimenti non gli avresti mai dato la soddisfazione di
essere tu quella che si ricordava dove vi eravate
incontrati. Avresti fatto la vaga, al solito tuo, finché non
fosse stato lui a cedere. Tanto prima o poi lo fanno tutti.
Mentre sei qui in piedi che ci stai ancora riflettendo,
senti dall’altoparlante annunciare il tuo volo. Vorresti dare
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una veloce occhiata all’orologio, ma non lo fai.
Percepisci i passeggeri alle tue spalle che si avviano
verso il controllo bagagli, e poi subito all’imbarco.
Eppure tu resti ancora qui, davanti a lui, che vi guardate.
Pensi che se fai passare giusto qualche altro secondo,
poi non dovrai più decidere cosa fare. A quel punto sarà
ormai troppo tardi. Tuo malgrado dovrai solo accettarne le
conseguenze. E nello stesso istante in cui lo pensi, ti accorgi che lo stai già facendo. Così ti limiti a fare quello che ti
riesce meglio, e cioè sorridere impercettibilmente. Soltanto
quel poco affinché colui che ti sta di fronte abbia il tempo
di prendere una decisione, per entrambi, qualsiasi essa sia.
«È ancora giovedì. Sono certo che suo fratello non
si offenderà se parte con l’aereo di domani.» E quando
te lo dice tu non smetti un attimo di sorridere. Che
altro puoi fare?
Francamente cominci un po’ a stufarti di questa
storia, che ogni volta non si può mai andare a cena fuori.
Non sei mica nata ieri tu, okay. Sai fin troppo bene che
un uomo della sua posizione, in un locale del centro, sarebbe oltremodo in vista se in tua compagnia. Non da meno se
qualcuno vi incontrasse in un ristorante fuori porta. Lì poi
apparirebbe ancora più sospetto, lo capisci. Però sareb-be
anche piacevole se ogni tanto non si finisse direttamente a
casa tua. Non subito, almeno. Hai appena comprato del-le
meravigliose décolleté Louboutin, e sono giorni e giorni
che brami l’occasione adatta per metterle ai piedi.
L’uomo ci tiene a dirti che non è per lui che si dimostra
tanto prudente, tutt’altro, è per il tuo bene. Tu non puoi
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che dargli ragione. Una volta che questo progetto
andrà in porto, e tu farai parte del cast artistico, è
meglio che non si sappia in giro che intrattenevi
rapporti con chi c’era die-tro; seppur di carattere
lavorativo. Non c’è nulla di male, sai bene anche
questo, ma non si è mai troppo prudenti oggigiorno.
A ogni modo, da qualche parte dovrete pur parlare
di questi finanziamenti. Allora non resta che finire
dritti dritti da te, perché da lui ovviamente sarebbe
ancora più fuori luogo. E non c’è neanche bisogno di
spiegartelo: i vicini sono la razza peggiore, mica è per
sua moglie. Lei lo capisce che il lavoro è lavoro e non
conosce orari per una persona del suo livello.
Così quando finalmente oltrepassate la porta del
tuo piccolo ma delizioso appartamento in zona Prati,
non ci sono più discorsi che devono essere affrontati.
L’imbarazzo ha ormai lasciato spazio alla
consapevolezza. Tu lo sai, lui lo sa. Dirsi altro non
sarebbe che superfluo. E da ipocriti, poi.
«Credo di avere del whisky» fai tu dirigendoti in
cuci-na. Hai giusto il tempo di toglierti il trench
Burberry – un classico intramontabile per quanto ti
riguarda – che sei su-bito scomparsa nell’altra stanza.
Non puoi vederlo da qui dove sei adesso, ma è come se
potessi. In questo stesso istante l’uomo si sta allentando il
nodo della cravatta e inizia ad aggirarsi per il salotto. Prova una certa soddisfazione nel trovarsi circondato da tutte
quelle tue foto e gigantografie appese alle pareti.
Lui sa già che ti avrà presto. E il minimo che tu puoi
fare è spingerlo ad assaporare quel momento, dargli la
scossa. Non che con te un uomo ne abbia bisogno, ma in
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questi casi è sempre meglio accelerare un po’ i tempi.
Do-podiché non dovrai fare altro che tornare di là, in
salotto, ed entrambi vi eviterete un inutile quanto penoso
corteg-giamento. E tutto si concluderà piuttosto in fretta.
Peccato solo per il whisky. È un ottimo Laphroaig questo che stai versando, scozzese invecchiato quindici anni, ed è
un vero crimine che vada sprecato in questo modo.
Ma del resto le hai messe là apposta le tue foto. Sensuali e alcune delle quali ai limiti del provocante. A dirla
tutta, all’inizio le avevi messe giusto così, per gioco. O
alme-no era questo che rispondevi quando qualcuno te lo
do-mandava. Con l’andar del tempo, invece, ti sei
accorta del loro reale valore, e ora provi uno strano
compiacimento all’idea che, anche se non sei lì, sai
sempre che l’attenzione è ugualmente puntata su di te.
Tuttavia, quando qualcu-no ti chiede di nuovo che senso
abbiano quelle tue foto in bella mostra, la risposta resta
ancora la stessa di sempre: giusto così, per gioco!
Non puoi vederlo da qui dove sei adesso, ma è
come se potessi. Ciò che non immagini è quello che
sta per ac-cadere.
«Mora con occhi neri» bisbiglia l’uomo
rivolgendosi al suono di alcuni passi alle sue spalle.
«Lo ammetto, mi ha colpito sul mio punto debole.»
Non appena si volta, però, di fronte a lui non è te che
si ritrova. Ma un altro uomo – non sembra avere meno di
cinquant’anni, questi – che lo guarda confuso da dentro un
paio di boxer e una camicia indossata alla meno peggio.
«Mi scusi, non...» farfuglia imbarazzato lui, il cui
unico pensiero ora è di sistemarsi il nodo della cravatta.
Vorreb-be maledirti per avergli omesso che vivi ancora
con i tuoi. «Sono un amico di sua figlia e...»
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Non fa in tempo a finire la frase che, proprio in
questo istante, tu ritorni ignara dalla cucina.
«Riccardo!?» urli a dir poco sconvolta. Lo sei a tal
pun-to che neppure ti accorgi del whisky che hai
versato sul tappeto. «Che cosa ci fai qui?»
Non puoi crederci. Non sta accadendo realmente.
Non a te almeno. Queste sono le situazioni imbarazzanti
che succedono agli altri. Quelle che a una festa ti fanno
sorridere quando qualcuno le racconta, e tu sei costretta
a mettere la mano davanti al viso non appena il
malcapitato ti passa vicino, saluta, e tu puoi solo
mostrargli occhi colmi di amara consapevolezza.
Questi stessi occhi adesso, Norma, circondano te.
Ovunque. Tutti appesi intorno alle pareti, che ti
guardano senza neppure farti la gentilezza di mettere
la mano davan-ti al viso questa volta.
Sarebbe patetico dire che daresti via tutto ciò che possiedi affinché ora potessi fuggire lontano da qui, perché tu
non daresti via proprio niente. Speri ugualmente che qualcuno faccia qualcosa, che magari ti svegli e dica che quanto
stai vivendo non sta affatto accadendo a te.
D’altronde sei Norma De Santis tu, mica una
qualun-que.
Poi finalmente l’uomo in déshabillé ti fa la
cortesia di rompere il silenzio, e tu qui capisci che
nella vita non c’è mai limite al peggio:
«Ma non dovevi essere a Catania?»
Lo capisci perché queste parole sono niente rispetto
alla scena in cui, dalla tua camera da letto, vedi d’un tratto
sgattaiolar fuori una ragazza. Eh sì, Norma, hai visto bene.
Una bionda che più bionda non si può. Una che tenendo
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in mano gran parte dei suoi vestiti si dilegua a testa bassa
verso l’uscio. Dietro di lei, poi, scompare anche il tuo ospite. Va via in tutta fretta e senza dire nulla, ma con la magra consolazione di aver sfuggito il peggiore dei pericoli: è
chiaro che questo Riccardo non è affatto tuo padre, e lui
nelle cose tra te e il tuo uomo non vuole proprio entrarci.
Resti da sola, adesso, in compagnia di Riccardo.
Nessuno ha il coraggio di dire nulla, tanto meno di
guardare in faccia l’altro. L’unica sensazione che provi
in questo istante è un’acuta e fastidiosa tristezza. Sei
quasi sicura che per lui sia lo stesso, ma tu in più senti la
rabbia, che non è poco. E hai pure le tue sacrosante
ragioni, in-somma: quando quella volta Riccardo aveva
ironizzato sul fatto che è meglio scopare a casa tua e non
da lui perché da te il letto è più duro e si presta meglio,
tu avevi pensato che non aveva tutti i torti in effetti. Ma
da qui ad arrivare a portarsi un’altra donna, be’...
Il tempo trascorre lentamente, e tu sei ancora immo-bile
che ti chiedi se l’hai mai vista quella bionda. Sembra quasi
una sciacquetta che avevi notato durante quello stes-so
aperitivo a “Spazio 900”, ma non puoi dirlo con certezza.
Avevi già il tuo da fare con la storia della guardia del corpo
per trovare anche il tempo di badare a una come lei.
Sei confusa. Non sai perché ci stai pensando, quasi fos-si
incapace di concentrarti su altro, quasi non volessi. Poi trovi
la forza di prendere fiato e finalmente ti volti verso Riccardo.
Pronunci ad alta voce la prima cosa che ti viene: «Erano
autoreggenti quelle? Con una gonna così corta?»
Stai per urlargli contro che non ha neanche il buon
gusto di scegliersene una al tuo livello, che basta sfogliare
qualsiasi numero di “Vogue” per rendersi conto di quella
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che è ormai una legge non scritta. Ma invece non lo
fai. Ti lasci solo cadere sul divano, sfinita.
Ed è giusto allora, quando il tuo sguardo non può
che rivolgersi a terra, sempre più in basso, che ti
accorgi di tut-to il whisky che hai versato sul tappeto.
Chiamarlo soltan-to whisky è un insulto, questo è un
Laphroaig invecchiato quindici anni.
Sei confusa, ancora di più, ma ti stupisce accorgerti
che d’improvviso un pensiero si fa limpido e concreto nella
tua mente. E riguarda proprio la macchia che hai davanti.
Tutti quegli anni trascorsi in una botte, su un’isola al
largo della Scozia, in attesa di dare un senso a un’azione
tanto assurda se ci pensi, quasi folle. Aspettative, passione,
dedizione. Desiderio di un progetto a lungo termine, tutto
vissuto nella più totale abnegazione con l’unica speranza di
rendere concreto un sogno. Finché poi un giorno, però,
ogni cosa non va sprecata in un istante.
E tu finisci ad allargarti su un tappeto.
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II
Tutto è dato per scontato
L’aereo atterra a Catania nel pomeriggio.
Il peggior viaggio della tua vita. Sei irritata, contrariata, sei quasi disgustata. Mai ti saresti aspettata di
dover sopportare un trauma del genere, mai. Da quando
hanno tolto la prima classe sulle tratte nazionali, infatti,
prendere un aereo è diventato impossibile. I peggiori
cinquanta mi-nuti della tua vita.
Per non parlare del fatto che, avendo perduto il volo di
ieri con Alitalia e non essendoci posti disponibili su quello
di oggi, sei stata costretta a ripiegare nientemeno che su un
low cost. Se prendevi un carro bestiame era meglio.
Una volta una tua amica si era ritrovata in una circostanza simile, tempo fa, e ti aveva raccontato che
può capitare di finire seduti accanto a chiunque, ma
proprio chiunque. Tu eri rimasta sconvolta.
«Mi prendi in giro?» le avevi chiesto incredula. Eppure
lo sai bene che lei non è mica tipo da dire cretinate.
Ora sei qui, davanti al nastro trasportatore che
aspetti il tuo bagaglio che ovviamente non arriva, e
ripensi ancora a quell’anziana signora. Poco ti importa
che fosse tanto orgogliosa che suo figlio si era laureato, e
che insieme a nonni, cugini e zii fossero sbarcati tutti a
Roma per assi-stere alla discussione di tesi. O almeno
questo ti sembra di aver capito, visto che ormai non lo
ricordi neanche tanto più il dialetto siciliano. Quello
catanese, poi, non è solo in-comprensibile per te, ma
fastidioso con quella sua ridicola cantilena.
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L’aereo non aveva ancora decollato che, pur di farla
smettere di starnazzare, ti eri girata dall’altra parte ed eri
stata costretta a far finta di leggere un libro. Per più di
cin-quanta minuti! Un libro! I peggiori della tua vita.
Dirle di tacere sarebbe stato solo da maleducati, e
far finta di ascoltarla anche peggio, da ipocriti. Tu
invece sei una persona sincera. Sarai anche complicata,
okay, ma sei maledettamente vera, reale; e sai bene che
la vita è fatta anche di queste cose. Sai come vivere, tu.
Se c’è una cosa che hai imparato in questi anni lontano
da casa è proprio quella di rispettare gli altri, tutti, e di non
fare mai la classista. Ma adesso ti chiedi come si fa a volte
a non esserlo, alcuni sono davvero senza speranza.
Ad attenderti fuori nel parcheggio c’è tuo padre. Con
tutta questa folla non deve averti notato. Tenti di
chiamarlo, ma improvvisamente senti come un nodo alla
gola, e ti manca la voce. Non appena lo vedi, per un
attimo ti tremano anche le gambe, ma solo per un attimo.
Ti domandi se non ti stia venendo la febbre. Devi
aver preso freddo domenica scorsa all’“Exedra”.
Maledetto roof garden! È ora che tu ti decida ad
acquistare quel soffice col-lo di volpe, quello che hai
adocchiato tempo fa in vetrina da Fendi. Va bene che
non volevi strafare considerato il prezzo spropositato,
ma non puoi mica giocare così con la tua salute.
Finalmente ti vede – tuo padre – ed è lui che si avvicina. Per carità, ci andresti pure incontro se il tuo bagaglio
pesasse un po’ di meno, invece lo aspetti qui, contenuta
come sempre, sorridente come sempre. Lui al contrario è
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un fiume in piena e ti travolge con tutta la sua gioia.
Ora che ci pensi, in effetti, sono parecchi mesi che non
vi ve-dete.
Ti stringe in un lungo abbraccio. Tu lo lasci fare, an-che
se c’è della gente che vi guarda e non ami affatto certe
sceneggiate. Poi passate in rassegna le consuete domande di
rito: tu stai bene, mangi a sufficienza, e a Roma tutto va a
meraviglia. Il lavoro procede tra alti e bassi, ma sei in attesa
di alcune interessanti risposte che a breve arriveranno.
Ti dimostri sempre piuttosto schiva sull’argomento,
ma non ti preoccupi. Tuo padre ne parla più per dovere e
abitudine che non per aspettarsi una qualche novità. Or-mai
sa bene quant’è complesso e articolato il tuo mestiere.
«È tutto okay, amore mio?» ti chiede ancora lui,
come se stavolta qualcosa ti turbasse più del dovuto.
«Sto benissimo, papà. Perché?»
Proprio non capisci cosa può averlo spinto a
dubitarne. Sei splendida più che mai oggi. Superi il
concetto stesso di splendore. Per non parlare della forza
che emanano i tuoi occhi, neri e profondi come gli abissi
del mare che adesso vi circonda. Il tuo è un colore che in
molti sostengono di avere, ma in realtà non lo possiede
quasi nessuno. È rarissi-mo. Magari hanno gli occhi
castani, magari di un marrone molto molto scuro; ma
nessuno li ha così neri e profondi come ce li hai tu.
Ti sei persino fatta la coda, oggi, per mettere in
risalto i tuoi zigomi. Questi stessi zigomi che qualcuno
ha definito prorompenti, prepotenti, audaci. C’è gente
che si venderebbe la casa per averli alti come i tuoi. E
lo fa, caspita se lo fa! Insomma, se non sei tu il ritratto
dello stare bene, allora non lo è proprio nessuno.
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E poi, anche volendo, non sapresti davvero che cosa
rispondere a tuo padre. Anzi no – aspetta un attimo! – lo
sai eccome. Perché diavolo non ci hai pensato prima?
«Non sai cosa mi è successo in aereo, guarda!» e
subito scoppi a ridere e a gesticolare. Racconti per filo e
per segno l’esperienza traumatica che hai appena vissuto in
aereo con quella signora, e che non auguri nemmeno al tuo
peggior nemico. Non dimentichi un solo particolare. Ma
mentre lo fai, stranamente tentenni. Come se fossi stata
distratta da qualcosa, o meglio dalla mancanza di questo
qualcosa. Lo cerchi, giusto con lo sguardo, prima a destra
poi a sinistra, impercettibilmente. Ed ecco che alla fine tuo
padre se ne accorge e a modo suo ha intuito tutto. Sapeva
di avere ra-gione quando poco fa ti ha chiesto se stavi
bene. È sempre tuo padre, dopotutto.
Ti anticipa prima che tu possa proferire parola:
«La mamma non è potuta venire, tesoro. È di turno in
ospe-dale.»
Tu ti svegli come da un sogno e, con un istantaneo
battito di ciglia, i tuoi occhi tornano a poggiarsi sopra
i suoi. Lo guardi quasi senza capire, o almeno è questa
l’im-pressione che gli dai. Finché non torni a sorridere
di nuovo, bella e solare più di prima.
«Veramente stavo cercando la macchina!»
Non ne hai alcun dubbio. Tu devi avere per forza
la febbre. Altrimenti non si spiegherebbe perché le
gambe ti tremano in questo modo.
Non ci voleva che ti venisse giusto oggi. Proprio ora
che sei tornata a casa e finalmente hai di fronte Tommaso.
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Erano mesi che non lo vedevi. Sì, lo sai anche tu che
sareb-be stato bellissimo dimostrargli tutto il tuo
entusiasmo, il tuo affetto, specie in un’occasione come
questa, adesso che sta per sposarsi. Ma purtroppo non
ti senti tanto bene, se no lo avresti già fatto.
«Qualcosa che non va, Norma?» ti chiede tuo fratello. «Sto
benissimo, davvero» rispondi tu col sorriso sulle labbra.
Sorridi più che puoi, ma obiettivamente inizia a darti
sui nervi che tutti te lo chiedano. «Ho solo fatto un pessimo
viaggio, tutto qui. Sapessi che mi è capitato in aereo,
Tommy.» E racconti di nuovo la tua sconvolgente odissea,
mentre ti tocchi i capelli, li arrotoli, li tiri, e non
smetti un solo secondo di muoverti e parlare.
A vederti qua in compagnia di tuo fratello, nessuno direbbe che tu abbia addirittura un gemello. Solo incontrandone gli occhi – queste gocce di onice sorprendentemente
simili alle tue – è possibile togliersi ogni dubbio. Ti sembra quasi di trovarti di fronte a uno specchio, uno specchio
d’acqua che riflette solo il tuo sguardo e tutto il resto non si
sa come lo distorce. Come se all’improvviso qualcuno ci
avesse buttato dentro un sasso.
Eppure non è stato sempre così. Prima avevate un legame. Una simbiosi che andava ben al di là dell’aver trascorso nove mesi insieme nello stesso utero. Anche se di
spermatozoi e ovuli differenti, infatti, con tuo fratello hai
condiviso ogni cosa. Sempre e per tutta la vita. O almeno lo
hai fatto fino all’istante in cui, meno che ventenne, hai
deciso di andar via e trasferirti a Roma. Così, da un giorno
all’altro, in preda a una passione che nessuno aveva mai
neppure immaginato. E chi si aspettava che amassi la recitazione fino a questo punto! Addirittura da rinunciare al
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tuo più grande desiderio, quello che tutti ormai
conosce-vano, quello che avevi coltivato sin da
piccola e al quale eri destinata: il sogno di fare il
medico. Ti eri persino iscritta all’università.
Ma la vita va in questo modo a volte, su tragitti
impre-vedibili, e tu non potevi certo continuare a
viverla in eterno attaccata a tuo fratello. Certo che no!
Ora però lui è qui di nuovo davanti a te, e sta
cercando di aprirti il suo cuore.
«Ieri sera ci sei mancata, Norma. Sei mancata a tutti.»
Ma tu lo interrompi con la tipica vocina di chi fa la
finta colpevole: «Sono una frana come testimone, lo so!»
La realtà è che non ti va di starlo ad ascoltare. Non
perché tu ti senta responsabile o ti turbi farti dire che
più di tutti è a lui che sei mancata. No. È solo che non
c’è mica bisogno di farne una dramma di questa
storia. Alla fine era soltanto una cena
prematrimoniale, una noiosa tradi-zione con parenti
d’ogni sorta di cui nessuno ricorda mai il nome.
Di fronte a questa tenera espressione collaudata,
Tom-maso non può far altro che minimizzare:
d’altronde non è certo colpa tua se hai trovato
quell’ingorgo sul raccordo e quando sei arrivata in
aeroporto avevano già chiuso il volo.
Sai che sta per dirti che non era sua intenzione
fartela pesare, è solo che gli sei mancata sul serio a
tuo fratello. Perciò tu lo interrompi ancora una volta.
«Domani è un giorno speciale, Tommy. Ciò che
conta è che ora siamo di nuovo insieme!»
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Il resto del pomeriggio vola via piuttosto
rapidamente, fino al sopraggiungere delle luci della sera.
Di tua madre, ancora, neppure l’ombra.
Per assistere alle nozze di Tommaso – e riuscire ad
ave-re così l’intero giorno libero – lei sta lavorando e
lavorerà fino a tardi questa notte. Voi due vi vedrete
direttamente domani mattina. Prima del matrimonio.
Mentre tuo padre te lo dice, tu non smetti di
guardarti attorno. Ti stupisci di come casa tua a Catania
sia rimasta la stessa in questi anni. Ogni volta che torni
non c’è mai niente di cambiato, di diverso. Quel piatto di
ceramica è lì sulla mensola da quasi vent’anni ormai.
L’hai portato come souvenir ai tuoi genitori una volta
che sei stata in gita con la scuola, e lì tuttora è rimasto.
A te piace evolverti invece, circondarti di cose nuove.
Il tuo appartamento a Roma l’avrai ristrutturato almeno
cento volte, e ancora non riesci a sentirti veramente a casa
tua, a placare questa continua irrequietudine che ti contraddistingue. E non è vero che non ti affezioni a ciò che
possiedi o che hai perso il valore delle cose, è che ti
affezioni a tutto tu. Il fatto che abbia 97 paia di scarpe e
senti la necessità di comprarne un altro, non vuol dire che
tu non le ami tutte e 98. Le ameresti tutte e 198 se solo
avessi una cabina armadio più spaziosa.
Poi è chiaro che una volta che la stagione è finita non
puoi mica andare in giro con scarpe della collezione passata, quindi tuo malgrado devi smettere di indossarle.
Per quanto riguarda le borse, invece, quello è tutto
un altro discorso. Non importa quanto spazio tu abbia,
non ce ne sarà mai abbastanza per le Hermés.
Ricordi ancora con orrore l’estate di due anni fa, quando in aeroporto ti avevano smarrito la valigia e tu eri scesa
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a Catania addirittura per una settimana. Avevi aperto
il tuo vecchio armadio con la speranza di trovare
qualcosa di decente, ma per poco non ti era venuto un
infarto. Eri subito scappata in centro da Gigi Tropea,
ma quei male-detti erano già andati in ferie. Lo stesso
per Papini e Thea Riccioli.
Cavolo, stavi per sfondargliele quelle vetrine!
Ma il vero dramma fu quando, più tardi, ti dissero che
quella sera a Taormina ci sarebbe stato il restyling della
Giara. E tu non saresti mancata per niente al mondo.
Indossare quella vecchia mise Dsquared era stato peggio che vivere in un incubo. Se solo qualcuno avesse avuto
anche la metà del tuo buon gusto e ti avesse osservato per
bene il vestito, si sarebbe sicuramente accorto che le bretelline erano trasversali e non verticali come invece il nuovo
modello di allora imponeva. Per non parlare delle Jimmy
Choo che portavi ai piedi, meravigliose per carità, ma assolutamente inadatte col quel plateau ormai fuori moda.
Ti eri sentita addosso gli occhi di tutti quella sera.
Non eri riuscita a divertirti. Ma per fortuna era accaduto
in Si-cilia, e quelli lì non distinguerebbero un Tom Ford
periodo Yves Saint Laurent da un Tom Ford periodo
Gucci, figurarsi il resto. Ammesso sempre che abbiano
idea di chi sia quel genio di Tom Ford.
Scampata la tragedia, da allora hai sempre portato
con te nel bagaglio a mano uno straccetto di riserva, e
così sei tornata a dormire sonni tranquilli.
Ma di cosa ti stava parlando poco fa tuo padre? Ah sì,
del matrimonio. Se ieri sera hai evitato l’imbarazzante cena
con tutti quei parenti, oggi non sarai altrettanto fortunata.
Anzi, ti è andata pure peggio: tuo fratello ti ha coinvolto
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nell’addio al nubilato della moglie. Lui va a spassarsela
con amici e colleghi per festeggiare la sua ultima notte
da ce-libe, mentre a te tocca fare compagnia ad Agata e
al suo improbabile gruppetto di amiche.
Ti tireresti i capelli se solo non avessi le extension!
Agata è tutt’altro che il tipo con cui ritrovarsi assieme di venerdì sera. Bene che vada andrete a mangiare una
pizza, o forse a prendere un gelato. Ma al momento non è
neppure tanto questo ad angosciarti. Da quando l’hai
incontrata la prima volta un anno fa – per quanto ora tu ti
stia sforzando di ricordare – sei sicura di non aver trascorso
neanche cinque minuti da sola in sua compagnia. E come
avresti potuto, in effetti? Non avete argomenti in comune
voi due, amici o aspirazioni comuni. Siete come il giorno
con la notte, dove ovviamente non c’è alcun bisogno di
chiedersi chi tra le due è sinonimo di luce. Siete rette parallele che non si sarebbero mai e poi mai incontrate se tuo
fratello non ne avesse deviato il percorso. Non hai idea di
cosa lui possa aver visto in una donna così. Del contrario,
invece, un’idea te la sei fatta eccome.
Lui avvocato, figlio di avvocato, e con uno studio
lega-le proprio già avviato. Lei impiegata in un tabacchi
senza alcuno sbocco lavorativo. Poi succede che un
giorno di cir-ca un anno fa a lui finiscono le sigarette,
così entra a com-prare un pacchetto di Malboro Light.
Ed eccoli qui, adesso, prossimi alle nozze.
Non ti piace pensar male della gente, ma se c’è una cosa
che ti fa smuovere i nervi sono proprio gli arrivisti. Es-sere
ambiziose come te è un discorso, essere arrampicatrici è
decisamente un altro. Tu le odi le donne così.
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E quando ti è giunta voce che dopo neppure pochi mesi
che si erano conosciuti lei era già rimasta incinta, fare 2 + 2
è stato più facile del previsto. L’unica scocciatura è che
adesso ti tocca presenziare a una cerimonia in pieno
inverno, con il rischio che piova e tu non possa sfoggiare al
meglio l’abito che hai comprato per l’occasione: una meraviglia, uno spettacolo, un autentico ca-po-la-vo-ro! E tutto
questo solo perché non sia mai che una viziata religiosa
come Agata faccia nascere il proprio bambino fuori del sacro vincolo del matrimonio. Roba da medioevo!
Ti chiedi come tuo fratello sia stato talmente stupido
da cascarci. In uno scenario tanto prevedibile, poi. Come?
«È stato amore, Norma. Amore a prima vista» ti sus-surra
Agata con gli occhi colmi di gioia, come se in qualche modo
avesse percepito i tuoi pensieri e si fosse sentita in dovere di
darti risposta. Tu invece sei disgustata. Pensi che non c’è
davvero limite alla banalità di certa gente. Sembra di assistere
a uno di quei dialoghi che ogni tanto ti danno per il provino in
una soap, e tu sai già come andranno a finire ancor prima di
averli letti. Ma è della futura moglie di tuo fratello che si sta
parlando adesso, e purtroppo per te è arrivato il momento che
cominci a fartela piacere.
«Sì, basta guardarvi per capirlo» le dici tu
rispondendo al suo sorriso con un sorriso ancora più
smagliante. «Dav-vero, Agata! Non ho mai visto
Tommy così felice come da quando ti conosce.»
E in effetti non credi che Agata sia una persona cattiva, una che magari tratta male tuo fratello, no, tutt’altro. È
solo che con questa faccia da santarellina che si ritrova non
è poi tanto diversa da tutte le altre ragazze che cono-sci:
quando ha visto un bel piatto succulento, anche lei ci ha
subito infilato dentro la forchetta.
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A proposito di piatto, ti domandi, ma che fine ha
fatto la tua pizza? Siete arrivati da quasi un’ora e della
tua bufa-la, pomodorini e rucola ancora niente.
Forse non avresti dovuto insistere così tanto per venire
proprio in questo locale sconosciuto. La pizza sarà sicuramente pessima, e il servizio anche peggio, ma almeno qui
sei sicura di non incontrare nessuno che ti conosce.
Il fatto che tu sia costretta a farti piacere Agata,
infat-ti, non significa che debba valere anche per le
sue cinque amiche. E non tanto per quel che dicono o
per i lavori mo-desti che fanno, sia chiaro, ma ciò che
proprio non riesci a mandare giù è la noncuranza con
la quale questa gente si relaziona col mondo. E poi
pretende pure di essere accet-tata!
Ti sembra di stare alla sagra dell’indecenza: occhiali
da vista indossati insieme a orecchini pendenti, scarpe
con tacco grosso basso e quadrato, gonne di tessuto
tecnico di una lunghezza indefinita. Per non parlare degli
smalti per unghie ricostruite. Disegnini color pastello,
lucido, metal-lizzato e chi più ne ha più ne metta.
Della tizia davanti a te, invece, non sei ancora
tanto sicura – aspetti che si alzi prima di toglierti ogni
dubbio – ma ti sembra di aver notato delle calze velate
color carne indossate insieme a un paio di scarpe
scure. In pieno in-verno!
Sei davvero senza parole. Ma cosa ci sta facendo
una del tuo livello ancora qui, in questa pizzeria, con
questa gente?
La risposta arriva appena un minuto dopo, ed è di nuovo Agata a sbattertela in faccia: «Tu neppure immagini
quanto bene ti voglia Tommaso. Farebbe di tutto per te!»
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Poco fa ti ha chiesto di accompagnarla in bagno, e
tu non hai potuto dirle di no. Con quell’enorme
pancione che si ritrova, ben otto mesi di gravidanza,
non ce la fa a sedersi senza l’aiuto di qualcuno.
Però con tutte le sue amiche proprio a te doveva
chie-derlo? E ora che siete l’una di fronte all’altra,
non la smette un attimo di chiacchierare.
«Lui ti adora, Norma, ti adora più di qualsiasi altra
cosa al mondo. Non lo ammetterebbe mai davanti a me.
Tuo fratello è troppo buono per farmi sentire in difetto,
troppo, ma io so che è così. Lo vedo nei suoi occhi. Ogni
volta che torni a Catania è come se lui ritrovasse una
parte mancante di sé, quasi tornasse a vivere di nuovo.»
Tu la ascolti senza fiatare.
Guarda un po’ che situazione, ti dici, costretta qui nel
gabinetto insieme a una incinta seduta sul water! Avresti
bisogno di una sigaretta adesso. Ma da quando hai scoperto
che all’estero non fuma più nessuno, se non gli ignoranti e i
cafoni, ti sei istantaneamente tolta il vizio. Vorresti almeno
andare a vedere se la tua pizza è arrivata – stai morendo di
fame – ma non puoi farlo. Agata non è in grado di rialzarsi e
tu devi stare qui in attesa, pronta ad aiutarla.
«Non fraintendermi però» continua lei che non
vuole proprio saperne di chiudere la bocca e rimettersi
in piedi. «Tu hai fatto le tue scelte, Norma, e lui ti
rispetta per questo. Anzi, io credo che a volte ti invidi
pure: per quello che sei, per la forza che hai avuto nel
decidere di cambiare, di andare via da Catania. E io lo
so, lo so quanto bene vi volete, non credere. E so che
niente e nessuno potrà mai prendere il tuo posto ma...»
«Agata!» fai improvvisamente. E non sai neppure
per-ché la interrompi, ma sentivi di farlo e basta.
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«No, Norma, ti prego. Lasciami finire» insiste
ancora lei. «Io l’ho capito questo, davvero, e a me va
bene così. Non pretendo mica di completarlo come fai tu
a Tomma-so, no. Mi basta solo potergli dare la serenità
che merita, la stessa di cui anch’io ho bisogno. E non
immagini quanto adesso» mentre lo dice si sfiora il
pancione con una mano, spingendo anche te a fare lo
stesso. Ma tu invece ti divin-coli bruscamente dalla sua
presa e allontani subito il tuo braccio.
Tutto a un tratto cala il gelo più assoluto tra di voi.
Puoi quasi udire il rumore di posate nell’altra sala, talmente siete sprofondate nel silenzio. Ma che cosa è successo?
Tu non sai perché lo hai fatto, ma lo hai fatto. Forse
sarebbe opportuno scusarti, o forse no. Tu non sai cosa è
meglio fare in questi casi. Ma mentre sei qui che i pensieri
ti si aggrovigliano nella mente, Agata lo fa al posto tuo.
Tua cognata si scusa. Dice che ha esagerato. Non voleva essere indiscreta. Aveva questa cosa importante da condividere e ci teneva che la sapessi prima che diventaste una
famiglia. Tutto qui. Cerca di capirla, Norma.
Tu non leggi nella testa della gente, quindi non lo
im-magini, ma Agata è davvero mortificata in questo
momen-to. Si sta chiedendo perché non dici nulla,
perché non parli, tu che invece sei un peperino e metti
sempre la bocca su tutto.
Alla fine la accontenti.
«La pizza dev’essere arrivata, Agata. Tu hai fatto
qui?»
Per un attimo resta quasi inebetita davanti alle tue
parole, non capisce. Poi si rende conto che stai davvero
aspettando una risposta, così annuisce lentamente. Allora
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tu la aiuti ad alzarsi in piedi e a sistemarsi questa specie
di sottana che lei spaccia per un vestitino da sera.
Tornate di là al tavolo dove vi aspettano la brutta copia
delle Spice Girls. Finalmente stai per sederti e goderti in
santa pace la tua cacchio di pizza, anche se ormai sarà
fredda e im-mangiabile, quand’ecco che Agata ti afferra
ancora per un braccio e ti chiede di ascoltarla.
«Noi vorremmo solo vederti felice, Norma. Sapere
che anche tu hai trovato la tua serenità. Come noi.»
Ecco, lo sapevi. Hai cercato di fartela piacere in
tutti i modi a questa qui, ma non è stato possibile.
Anzi, ora che ci pensi, non ne vedi proprio il motivo.
Non sei mica tu quella che se la deve sposare!
Fai un bel respiro e ti volti completamente verso di
lei.
Le afferri il polso e ti liberi con nonchalance dalla
sua presa – ma la ragazza è dura di comprendonio!? –
dopodi-ché la fissi con quanta più sufficienza e
supponenza arrivi a mettere insieme.
«Oggi sembra che tutti si preoccupino per me» le
dici a denti stretti. «Io però sto da Dio, Agata, da Dio.
Ma mi hai visto bene?» E in effetti stasera sei di una
classe e grazia ineguagliabili. Più di quanto tu non lo
sia di solito, che già non è facile.
Quando però le mostri di nuovo le spalle e
riprendi leggiadra per la tua strada, non si sa come i
tuoi occhi hanno una luce diversa questa volta. Per
quanto tu ci stia provando in tutti i modi, Norma, non
riesci affatto a trat-tenerne l’inquietudine…
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