The Threshold - Produzioni dal Basso

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The Threshold - Produzioni dal Basso
The
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Threshold
The
Threshold
Soggetto di Daniele Cosci e Alessio Liguori
La morte ci aveva aspettato a lungo, con calma e pazienza. Aveva posato
le sue mani sulle nostre spalle in attesa che la fine arrivasse, in attesa che
le fiamme bruciassero i nostri corpi riducendoli in cenere.
Eravamo accusati di stregoneria, colpevoli di aver curato una malattia
inguaribile su un bambino di tre anni, figlio di un proprietario terriero
finito in miseria e perseguitato da giorni dalle guardie del Re. Lo avevano
avvelenato, fu questo il modo per fargliela pagare.
Io, mia moglie Clara, mia figlia Doina, i due gemelli Loin, il giovane Red e
il saggio Ronin saremmo finiti al rogo di fronte alla folla acclamante, ma
riuscimmo a scappare. Fuggimmo oltre il bosco camminando giorno e
notte, il più lontano possibile dalle mura della città. Solo Red non ce la
fece. Si sacrificò per tutti noi depistando le tracce e prendendo un’altra
strada. Disse che ci avrebbe raggiunto, invece non lo vedemmo più
tornare, catturato dalle guardie o disperso in chissà quale direzione.
Loira, la sua ragazza, una dei gemelli, soffrì più di tutti questa perdita, ma
non si arrese mai, convinta che in un modo o nell’altro Red fosse vivo da
qualche parte e che prima o poi si sarebbero ricongiunti.
Nessuno si era mai allontanato così tanto nella foresta, ma era la nostra
unica via di fuga se volevamo sopravvivere. Più ci allontanavamo dalla
città e più la vegetazione s’infittiva rendendo l’ambiente oscuro e
minaccioso. Non c’era più traccia di niente, ne’ di umano, ne’ di animale.
Camminammo per sette giorni cibandoci di bacche e bevendo acqua in
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qualche ruscello trovato lungo il percorso fino a quando la stanchezza
prese il sopravvento.
La prima avvisaglia avvenne quella stessa notte. Mi svegliai di colpo e
vidi Nice, uno dei gemelli, in piedi, lo sguardo immobile verso l’oscurità
del bosco. Era come incantato e dalla sua bocca uscì solo una frase
insensata: “Un angelo! Era un angelo!”. Sua sorella Loira propose di
tornare indietro e Ronin appoggiò la proposta mettendoci in guardia
dalle strane storie che si narravano su quel posto. Riuscii a dissuadere
entrambi da quell’idea, sicuro che prima o poi quel bosco sarebbe finito e
avremmo trovato qualcosa. E così fu.
Il giorno seguente riprendemmo il cammino e quando il sole fu ormai
alto nel cielo, ci trovammo di fronte a una costruzione mai vista prima.
All’apparenza era semplice, ma nessuno di noi riuscì a spiegarne l’utilità.
Un palo solido, alto sugli otto metri e costruito con un materiale
sconosciuto, era piantato a terra e sulla cima erano attaccati dei fili che
continuavano lungo il bosco fino a collegarsi a un altro palo identico al
precedente. Senza pensarci troppo li seguimmo, sicuri che, trattandosi di
una costruzione umana, ci avrebbero portato da qualche parte.
L’intuizione fu giusta, ma il luogo dove arrivammo a tarda sera era
qualcosa di anomale che ci lasciò tutti sbalorditi. Si trattava di una
struttura enorme, ma niente che facesse pensare a un castello o a una
casa.
L’edificio si ergeva al centro di una radura, era completamente di colore
grigio, con alcune scale che portavano chissà dove e grandi finestre dai
vetri infranti. Non c’era traccia di anima viva e tutto sembrava
abbandonato ormai da tempo. Strane scritte erano sistemate ovunque,
ma nessuno, nemmeno Ronin, seppe tradurre il loro significato. L’interno
era pieno di strani macchinari coperti di polvere dai quali si desumeva la
raffinatezza di quella tecnologia abbandonata per chissà quali motivi.
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Perlustrammo gran parte della costruzione, camminando lungo i corridoi
e le varie stanze e fu proprio in una di esse che trovammo l’unico essere
umano.
La stanza era chiusa a chiave ed era posizionata nella parte più alta
dell’edificio. Riuscii ad aprirla con un calcio e una volta dentro trovammo
quello che non avremmo mai voluto trovare: lo scheletro consumato di
un uomo penzolava dal soffitto, intorno al collo aveva una corda ben
stretta. La stanza era cosparsa di fogli ingialliti dal tempo riempiti dalle
solite scritte incomprensibili. Ronin ne prese alcuni, curioso di decifrare
quella scrittura e sapere qualcosa di più su quel luogo.
Tornammo all’entrata dell’edificio, nella grande sala al piano terra e visto
il diluvio che iniziò ad abbattersi, decidemmo di pernottare lì, al coperto.
Dopo otto giorni di stenti e ripari provvisori, ci meritavamo un tetto
sopra la testa. Il giorno dopo avremmo ripreso il cammino certi che di lì a
poco avremmo trovato un villaggio.
Fu l’ultimo pensiero positivo che ebbi.
Mi svegliai nella notte mentre tutti stavano dormendo, compreso mio
padre Ober. Fuori ancora pioveva. Alzai la testa per guardarmi attorno,
dopodiché’, presa dalla necessità, mi allontanai per fare pipì. Stavo per
accovacciarmi dietro uno dei grossi macchinari, ma non feci in tempo ad
abbassarmi che dall’oscurità vidi arrivare un sassolino vicino alle gambe.
Qualcuno me lo aveva lanciato, ma non riuscivo a vedere chi fosse. Feci
alcune domande senza ricevere risposta e dopo poco, un altro sassolino
arrivò tra le mie gambe seguito da una risata bambinesca. Subito dopo la
mano di una bambina uscì fuori dall’oscurità protendendosi verso di me.
Non so per quale motivo, ma la afferrai seguendola. Non riuscivo a
vedere il suo viso, era bionda, i capelli lunghi e indossava una specie di
grembiule azzurro.
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Attraversai i lunghi corridoi dell’edificio senza sapere dove mi stesse
portando, ero come ipnotizzata, incantata. Quella bambina conosceva a
memoria il posto e non potevo che fidarmi. Scendemmo verso il basso,
nei sotterranei, fino a entrare all’interno di una grande porta di ferro e
scomparire.
Il mattino seguente la tempesta era passata. Fui il primo a svegliarmi e il
primo a scoprire che Doina non c’era più. Svanita nel nulla.
Allarmai anche gli altri e iniziammo subito le ricerche, ma di Doina non
c’era più traccia. Scoppiò il panico, tra i pianti di mia moglie e le continue
lamentele dei gemelli Loin riuscii con fatica a rimanere concentrato e
consapevole sul da farsi. La ragazza poteva essersi allontanata nel bosco,
aver perso l’orientamento o semplicemente era ancora dentro
quell’enorme edificio intrappolata lungo i suoi corridoi. Avremmo solo
dovuto cercare con più attenzione.
Loira continuava a ripetere di voler tornare indietro mentre Nice, ancora
sotto shock dalla visione della notte precedente, rimase in silenzio.
Riuscii a dissuaderli dicendogli che non potevano attraversare di nuovo
tutta la foresta, si sarebbero persi e anche se fossero tornati in città,
avrebbero trovato solo la morte ad aspettarli.
Nel frattempo il vecchio Ronin, intento nei suoi studi, non riuscì a
tradurre quella scrittura fatta di strani segni.
Lo lasciammo da solo nella grande sala, se Doina fosse tornata, avrebbe
trovato lui ad attenderla. Noi nel frattempo ci spostammo nel bosco e
dopo precise indicazioni, ognuno prese una direzione alla ricerca della
ragazza.
Non sarei voluta entrare da sola nella foresta, ma per Doina avrei fatto
questo e altro. Era la nostra unica figlia, aveva solo tredici anni e costi
quel che costi, alla fine l’avrei trovata.
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Mi addentrai nella foresta urlando a squarciagola il suo nome, ma non
ottenni mai una risposta. Dopo poco giunsi in un piccolo spazio sgombro
dalla vegetazione. Chiamai Doina ancora più forte, ma fu proprio in
quell’istante che sentii un fruscio alle mie spalle. Dietro di me c’era
qualcuno. Mi voltai rapidamente e con la coda dell’occhio notai un essere
alto circa due metri, vestito di bianco, nascosto dietro un cespuglio.
Restai immobile, chiesi chi fosse, ma non ricevendo alcuna risposta,
scappai più veloce che potevo.
Sentivo i suoi passi alle mie spalle, credevo di non farcela. Caddi per terra
sbattendo un ginocchio, ma ripresi subito a correre fino a quando,
inaspettatamente, mi scontrai contro il petto di Nice. L’essere dietro di
me non c’era più. Dopo alcuni secondi arrivarono anche Ober e Loira.
Non credevo a quello che aveva visto mia moglie, sicuramente la sua
visione era frutto della stanchezza e della disperazione.
La lasciai alle cure di Ronin e ai suoi preziosi unguenti mentre io e i
gemelli discutemmo sull’accaduto. Nice continuava a ripetere che lui e
Clara avevano visto la stessa cosa, mentre io rimanevo con i piedi per
terra. Se c’era qualcuno, perché’ non doveva farsi vedere? Se si trattava di
uno spirito dei boschi, maligno o benigno che fosse, perché’ avrebbe
dovuto farci del male?
Quella sera stessa, prima di coricarsi, recitammo insieme una lunga
preghiera affinché’ chiunque fosse, ci lasciasse in pace e riportasse Doina
indietro. Era una preghiera molto antica, che in pochi conoscevano e solo
chi era fedele alla religione della natura e chi vedeva lei come unica
entità superiore, poteva apprendere. Ci chiamavano stregoni, figli del
demonio, ma in realtà quello in cui credevamo era la cosa più pura che
esistesse.
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Dopo aver pregato, Ronin iniziò a raccontare una storia. Disse che,
secondo i racconti sentiti e ascoltati in quegli anni, solo una persona era
riuscita a tornare viva dal bosco, si chiamava Eleidan. Abitava in un
villaggio vicino al nostro, insieme a sua figlia e la moglie. Era un
brav’uomo, un commerciante rispettato da tutti e ben voluto, caduto in
miseria dopo un grosso affare finito male. Si ritrovò da un giorno all’altro
senza una casa e un lavoro. Iniziò a bere, a oziare fino a quando, un
giorno, in preda ai fumi dell’alcool, si allontanò nel bosco. La moglie e la
figlia lo seguirono cercando di farlo ragionare, ma non fecero mai
ritorno. Solo Eleidan tornò dopo qualche ora, ma non era più la persona
di prima e nemmeno si poté’ dire che fosse ubriaco. Aveva lo sguardo
vuoto, assente, di chi ha visto qualcosa di scioccante.
Non era una leggenda come molti credevano, io ero presente in quel
villaggio il giorno che tornò. Avevo cinque anni ed ero lì con mio nonno.
Non ricordo bene il motivo per cui mi trovassi lì, ricordo solo il momento
in cui quell’uomo arrivò nella piazza sotto lo sguardo attonito di tutti.
Quell’immagine era vivida nella mia mente come non era mai successo
prima.
Eleidan fu torturato e infine condannato a morte, colpevole per aver
ucciso la moglie e la figlia. I loro corpi però non furono mai trovati e lui
non raccontò mai quello che accadde veramente.
Quel ricordo mi terrorizzò a morte, pensai che ora eravamo noi le prede
di quello stesso bosco e potevamo essere certi di tutto tranne di quello
che ci sarebbe accaduto.
Ober, al contrario, sorrise alla mia confessione. Secondo lui non c’era
niente di strano in tutta quella storia, convinto come tanti altri che
quell’uomo non fosse altro che un ubriacone fallito. Ne scaturì una lunga
discussione che coinvolse ognuno di noi, ognuno con il proprio parere e i
propri pensieri, dopodiché’ ci coricammo e decidemmo che a turno,
ognuno di noi, avrebbe fatto la guardia rimanendo sveglio. Nonostante
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l’insistenza di Ober, decisi che sarei stata io la prima. Clara aveva pianto
fino a pochi attimi prima e solo lui poteva starle vicino e confortarla.
Accesi un piccolo falò all’entrata dell’edificio, in modo da poter
controllare sia la sala dove gli altri dormivano sia l’esterno. Per un lungo
periodo non accadde nulla, rimasi a fissare il cielo stellato sopra la mia
testa e pensai a Red. Chissà dove era in quel momento e cosa stava
facendo. C’eravamo promessi amore eterno e l’istinto mi diceva che da
qualunque parte fosse stava tornando a prendermi. Con un ramoscello
scrissi il suo nome sul terreno, ma fu proprio in quel frangente che sentii
il rumore di un ramo spezzarsi provenire dal bosco.
Chiesi se vi fosse qualcuno, forse era Doina, magari era proprio Red, ma
non ottenni risposta. Mi avvicinai alla soglia del bosco facendo luce con
un ramo infuocato. Chiunque ci fosse dall’altra parte si stava spostando a
destra e a sinistra rapidamente. Cercavo di muovermi con la stessa
velocità sperando di illuminarlo, ma sembrava impossibile seguirlo.
Riuscivo solo a vedere i cespugli che si muovevano, nient’altro. Mi spostai
ancora un paio di volte. Dentro di me si fecero vivi un nervosismo e una
paura crescenti. I movimenti che facevo erano ormai automatici tanto
che, quando mi spostai per l’ultima volta, non avrei mai pensato di
trovarmelo di fronte. A circa cinque metri di distanza c’era un uomo alto,
vestito completamente di bianco, con un cappuccio in testa e il volto
abbassato. Lo vidi di sfuggita. Gettai il ramo per terra e corsi verso
l’edificio.
Una volta entrata svegliai Ober e tutti gli altri, ma con stupore notai che
mio fratello non c’era più. Il suo giaciglio era spoglio. Eppure qualche
minuto prima era lì, insieme agli altri!
In preda al panico non seppi più cosa fare. Iniziai a urlare, nemmeno le
parole di Ober riuscirono a calmarmi. Corsi fuori alla ricerca di Nice,
sicuramente era uscito sentendo che mi trovavo in pericolo, tra di noi
c’era sempre stato questo particolare legame telepatico.
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Ober e Clara mi seguirono invitandomi alla calma, ma appena
oltrepassammo la grande porta d’ingresso udimmo un forte rumore alle
nostre spalle, un rumore sordo, di qualcosa che si schiantò a terra.
Ci voltammo e davanti a noi c’era mio fratello, si era buttato dal piano
superiore o qualcuno lo aveva spinto. Aveva diverse ossa rotte e il volto
sanguinante. Mi abbassai per soccorrerlo, ma ormai c’era poco da fare.
Non aveva nemmeno la forza di parlare, l’ultima parola che disse fu
“Doina”, poi chiuse gli occhi per sempre.
Lo seppellimmo il giorno seguente, con un rito celebrato da Ronin.
La situazione si stava aggravando ogni ora che passava. Loira continuava
a ripetere di volersene andare, anche lei aveva visto la stessa cosa di mia
moglie e secondo la sua opinione, chiunque fosse, non ci voleva in quel
posto. D’altro canto ero sicuro che mia figlia fosse ancora lì e la conferma
l’avevo avuta da Nice. Se l’ultima parola che aveva detto era il suo nome,
significava che l’aveva vista e che era da qualche parte in quella
costruzione.
Arrivammo a un accordo. Visto il problema che si era presentato e la
scarsità di cibo, se entro il giorno seguente non avessimo trovato la
ragazza, Clara, Ronin e Loira se ne sarebbero andati. Io sarei rimasto li
ancora per un po’ fino a quando non l’avrei trovata, viva o morta.
Ci mettemmo subito alla ricerca, setacciando ogni stanza e ogni
corridoio. Lasciammo Ronin ai suoi studi. Quella scrittura per lui era
ormai diventata un’ossessione. Non si staccava mai da quei fogli e ogni
volta che gli ponevamo una domanda o un’opinione, non rispondeva o lo
faceva in maniera sfuggente.
Rimasi da solo a contemplare per l’ennesima volta quei documenti, ma
ogni tentativo che feci non portò ad alcun risultato e non trovai
nemmeno un nesso tra i vari simboli che vedevo. Decisi allora di tornare
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al piano di sopra, nella stanza dove avevo preso quei fogli. Qualcos’altro
che mi aiutasse lo dovevo pur trovare.
La stanza era rimasta tale e quale a come l’avevamo lasciata, il cadavere
pendeva ancora dal soffitto, ma non mi lasciai impressionare.
Rovistai attentamente tra tutta quella massa di fogli, ne raggruppai
alcuni fino a quando ne trovai alcuni in particolare che m’incuriosirono.
Era una sorta di percorso, un intricato labirinto di stanze e corridoi
riferito probabilmente a quella costruzione che, messi insieme,
rendevano chiara la sua vastità. Su uno di quei fogli, un grande cerchio
rosso era tracciato intorno a un perimetro ben preciso.
Studiai un attimo tutti quei documenti fino a quando, improvvisamente,
sentii un rumore. Era come un fruscio continuo che non avevo mai
sentito prima. Alzai lo sguardo e in un lato della stanza notai che uno dei
macchinari si era attivato. Era una specie di scatola metallica. Uno dei
lati, composto in vetro, si era illuminato e sopra di esso vidi scorrere un
insieme infinito di puntini bianchi e neri che emettevano quell’odioso
fruscio. Mi avvicinai fissandolo e subito dopo il rumore si interruppe.
Quello che apparve in seguito non aveva senso, andava oltre la mia
comprensione, ma ne ero inspiegabilmente attratto. Nello stesso istante
sentii qualcuno entrare nella stanza, non so chi fosse e nemmeno mi
voltai.
Perlustrammo ogni angolo di quel posto senza trovare nulla. Tutti gli
avvenimenti che erano accaduti mi avevano scosso così tanto che a
tenermi in piedi c’era soltanto la speranza di trovare Doina e il forte
desiderio di rivedere Red.
Eravamo scappati a una morte certa o almeno credevamo, ma sentivo
che quel posto non era sicuro. Il suo silenzio, l’abbandono, nascondevano
qualcosa di più profondo e misterioso e quella figura che avevo visto la
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sera prima aveva a che fare con tutto ciò. Dovevamo andarcene prima
possibile.
Tornammo nella grande sala. Ronin era ancora lì, seduto per terra, con i
suoi fogli fra le gambe. Ober lo chiamò ripetutamente, ma il vecchio non
rispose. Più ci avvicinavamo e più la sua postura sembrava strana.
Ober gli toccò una spalla e Ronin si voltò di scatto. Era sorridente e ci
disse di aver trovato qualcosa di interessante: aveva delle mappe
dell’intera struttura e grazie a esse, aveva scoperto che esisteva una
sezione sotterranea accessibile tramite una porta che forse non avevamo
mai visto.
Seguimmo la mappa e dopo aver percorso vari corridoi, entrammo in
una piccola stanza, in fondo alla quale, dietro un grande scaffale, c’era
una piccola porta di ferro. Ober la aprì. Oltre a essa una scala scendeva
verso il basso, illuminata da quelle che sembravano piccole lampade
alimentate da uno strano bagliore.
Scendemmo insieme nella zona sottostante eccetto Ronin, che preferì
rimanere in cima alle scale sorvegliando l’entrata. La prima cosa che
sentii fu la puzza insopportabile di chiuso e di morte.
Seguimmo quelle scale e una volta arrivati in fondo ci trovammo di
fronte a una specie di incrocio. Tre lunghi corridoi si diramavano davanti
ai nostri occhi.
Stavamo decidendo il da farsi quando improvvisamente sentimmo la
porta sopra di noi che si stava chiudendo.
Urlammo più volte il nome di Ronin, ma non ci fu niente da fare. La porta
si serrò completamente e subito dopo, come se vi fosse un meccanismo
automatico, le luci si spensero lasciandoci al buio. Fortunatamente altre
piccole luci, più piccole e deboli, si accesero permettendoci di avere un
minimo di visibilità.
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Corsi in cima alle scale cercando di aprire la porta, ma lo sforzo fu inutile.
Non avevo idea di cosa potesse essere accaduto a Ronin, l’unica cosa
certa era che eravamo intrappolati.
Scesi di nuovo le scale e quello che decidemmo di fare fu perlustrare i
sotterranei senza dividerci. Seguimmo la scia lasciata da quel cattivo
odore fino a quando arrivammo di fronte a un grande portone di ferro.
Lo aprimmo, un’enorme stanza si estendeva davanti a noi. Ai lati
giacevano scheletri di persone che probabilmente vivevano o lavoravano
in quel posto e chissà per quale motivo si erano rifugiate la sotto, mentre
al centro c’era uno scheletro più piccolo degli altri, forse appartenuto a
un bambino o una bambina, rivestito ancora dai brandelli consumati di
una divisa color verde. Era un luogo macabro, inquietante e pieno di
tristezza.
Passammo attraverso quella distesa di cadaveri, Ober e sua moglie mi
precedevano. Quando fummo al centro della stanza le luci si spensero
senza motivo. Rimanemmo al buio, uno vicino all’altro e dopo alcuni
attimi udimmo una voce. La riconobbi bene, era la voce di Doina che
chiamava sua madre. Ober e Clara risposero e seguirono la sua voce
mentre io, rimasi immobile. Li sentii allontanarsi fino a quando calò il
silenzio. Li chiamai, ma non ottenni risposta.
Iniziai a cercare qualcosa con le mani, avevo bisogno di un punto di
riferimento e d’improvviso sentii una piccola mano che strinse la mia.
Era la mano di un bambino, morbida e vellutata. Impaurita, la mollai
subito e immediatamente dopo sentii una risatina scherzosa. Mi feci
spazio sbattendo su tavoli e sedie cercando di scappare. Qualcuno era
dietro di me, ma non riuscivo a vederlo. Dopo alcuni metri,
fortunatamente, trovai una porta oltre la quale si estendeva un lungo
corridoio.
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Lo attraversai di corsa e notai che al centro c’era una scala che saliva
verso una botola. La salii velocemente e una volta fuori mi ritrovai nel bel
mezzo del piazzale esterno all’edificio. Corsi subito nella grande sala per
controllare se ci fosse qualcuno e vidi che Ronin era seduto al suo solito
posto con il viso rivolto verso il basso.
Gli urlai contro chiedendo spiegazioni, ma una volta vicina notai delle
gocce di sangue che cadevano sopra i suoi fogli. Gli sfiorai una spalla per
scuoterlo e cadde a terra. Qualcuno gli aveva strappato le orbite degli
occhi sfigurandolo. Mi alzai terrorizzata e davanti a me, in fondo alla
stanza, vidi lo stesso individuo che mi era apparso la sera prima. Era alto,
il volto pallido e le orbite degli occhi completamente nere.
Scappai velocemente fuori dalla struttura e mi addentrai nel bosco. Per
un lungo tratto il tipo m’inseguì, lo sentivo alle spalle, fino a quando mi
scontrai contro qualcosa. Era un petto maschile che ricordavo bene. Era
Red. Ci abbracciammo, ci baciammo, avrei voluto fargli mille domande
ma chiese di seguirlo, non c’era più tempo. Percorremmo a ritroso quegli
strani pali piantati per terra e dopo poco giungemmo sulla cima della
montagna. Un piccolo edificio era stato costruito su di essa e sul tetto era
piazzato uno strano prolungamento circolare.
Red forzò l’entrata e riuscimmo a entrare. Quando la porta si richiuse
alle nostre spalle, rimanemmo per un attimo al buio. Passati alcuni attimi
le luci si accesero automaticamente, ma di Red non c’era più traccia. Era
sparito. Provai a chiamarlo, guardai all’esterno, ma non c’era più. Ero
frastornata, non capivo più cosa stesse accadendo. Rimasi da sola in
quella stanza piena di luci e meccanismi sconosciuti. Provai ad attivarne
qualcuno premendo quegli strani bottoni e improvvisamente uno di loro
si accese.
Su una lastra di vetro scorsero delle immagini, riuscivo anche a sentire
una voce femminile che parlava una lingua sconosciuta. Vidi numerose
persone radunate in una grande stanza, la stessa stanza del sotterraneo
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che avevamo visitato con Ober e Clara. Al centro di essa vi era un grande
macchinario sferico illuminato da varie luci e davanti a esso due bambine
salutavano la folla. Una di esse, la più piccola, indossava una divisa
azzurra, mentre l’altra, più grande, era vestita di verde. L’immagine si
avvicinò a essa e con stupore notai che conoscevo bene quel volto: era
Doina.
Il video continuò ancora per un po’, fino a quando si interruppe. Dopo
poco anche le luci si spensero e rimasi al buio, illuminata solo da un
debole fascio di luce proveniente da un foro del soffitto.
La porta iniziò a sbattere con forza, qualcuno dall’esterno stava tentando
di entrare.
Presa dal panico corsi verso essa e mi serrai dentro girando la chiave.
Aprii lentamente la piccola feritoia dalla quale potevo vedere l’esterno,
ma fuori non c’era nessuno.
La chiusi e mi sedetti per terra impaurita, sconvolta, persa. Per un attimo
mi sentii al sicuro, poi capii di non essere sola. Le mani di una bambina
apparvero alle mie spalle e senza dare modo di reagire, mi tapparono gli
occhi. Per sempre.
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Thethreshold©2013DanieleCosci/AlessioLiguori
Note
The Threshold è un avvincente thriller horror in cui ogni elemento narrativo,
visivo e sonoro, confluisce in uno sviluppo imprevedibile attraverso un attento
dosaggio delle informazioni fornite allo spettore, quel tanto che basta a fargli
assumere un ruolo completamente attivo, stimolando la curiosità e
immergendolo in una atmosfera che fa perno sulla sensorialità più primordiale.
The Threshold è potenzialmente un film di puro intrattenimento e al tempo
stesso possiede una “solidità” e “profondità” strutturale grazie al disegno dei
personaggi e allo stimolante e accurato lavoro che in tal senso si può svolgere
con il cast. Gli eventi narrati nel film sconvolgeranno radicalmente le loro vite,
innestate dentro un contesto storico già di per sé buio e controverso.
Ruolo fondamentale è svolto dagli attori, chiamati a svolgere un lavoro attivo e
partecipe.
La costruzione dei personaggi è un essenziale veicolo organico e strutturale alla
partecipazione emotiva dello spettatore. I personaggi sono calati in un contesto
e in una ambientazione che diviene personaggio a sua volta. Il villaggio, i
boschi, la struttura ed i suoi labirinti. Spazi infiniti e delimitati, dove il comune
denominatore resta il non visto, l'oscuro oltre la vista o dietro l'angolo, sia di
giorno che di notte.
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La direzione della fotografia è qui chiamata a ricostruire un’atmosfera
fondamentale nella narrazione di The Threshold. Le volumetrie, la solidità e lo
spessore nella presentazione e illuminazione dei personaggi si combina con gli
inafferrabili e angoscianti spazi da loro occupati e vissuti.
La profondità di campo e l'eventuale uso della terza dimensione svolgono uno
strumento essenziale nel fornire agli spazi un ruolo essenziale nella narrazione.
Lo spazio diviene per i personaggi non un luogo di appoggio e rassicurante
dominio, o semplice background visivo, ma un personaggio occulto a se stante.
Vicino e lontano allo stesso tempo nel quale muoversi senza mai esserne
padroni.
Particolare attenzione in The Threshold va riservata agli elementi sonori. Il
suono diviene fondamentale “corpo” del film.
L'utilizzo di canali separati e multipli va usata con creatività al fine
coinvolgere maggiormente lo spettatore e dare voce agli ambienti spettrali e
ignoti nei quali si muovono.
Il lavoro con la musica segue in The Threshold tre direzioni ben precise:
- ci aiuta a comprendere e tradurre gli stati emotivi dei personaggi.
- accompagna il ritmo frenetico delle scene più adrenaliniche e nelle fughe
disperate.
- da’ voce al non visto, scandendo con sonorità dissonanti e sfuggenti gli eventi
sinistri che avverranno durante la storia.
The Threshold ha inoltre due importanti punti di forza produttivi:
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−
film di genere ad alto potenziale commerciale nei mercati internazionali
−
budget di realizzazione contenuto grazie a:
1. integrazione di un workflow intelligente basato su tecnologia digitale al alta
definizione e qualità con generazione finale diretta di DCP e sequenze TIFF per
eventuale vidigrafo (copertura di gran parte del parco macchine)
2. possibile collaborazione con le Film Commission locali
Note biografiche
ALESSIO LIGUORI
Regista
Nato a Gaeta nel 1981, frequenta il liceo artistico, dove grande influenza
avranno gli studi sull'educazione visiva, l'architettura, la scenografia, le arti
plastiche e fumettistiche. In questo periodo iniziano i primi passi in esperienze
amatoriali nell'ambito della direzione teatrale e cinematografica. Prosegue gli
studi specializzandosi con la Laurea in DAMS (discipline delle arti della
musica e dello spettacolo) conseguendo il titolo di Regista Programmista per il
Cinema e la Tv. Durante il percorso universitario frequenta con successo il
laboratorio di regia tenuto dal regista Peter Del Monte (“Giulia e Giulia”,
“Controvento”, “Etoile”), il laboratorio di sceneggiatura tenuto
dallo sceneggiatore Francesco Piccolo (“Habemus Papam”, “Il Caimano”,
“My Name is Tanino”) ed il laboratorio di montaggio tenuto dal montatore
Marco Spoletini (“Gomorra”, “Reality”, “Cosi e la Vita”, “Gorbaciof”).
Inoltre frequenta e supera a pieni voti i corsi di regia del regista e docente Vito
Zagarrio (“Tre Giorni di Anarchia”, “La Donna della Luna”), con particolari
approfondimenti ed attenzione al cinema e alla televisione americana
contemporanea.
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Si laurea con una tesi intitolata "Red One. Nuove tecnologie ed applicazioni
nell'estetica filmica", in cui a modo di esprimere ed approfondire, oltre che
avvalorare scientificamente, tutte le esperienze e le conoscenze acquisite nel
tempo per passione e professione nell'ambito delle tecnologie legate al cinema
con le ripercussioni nell'estetica e nella produzione filmica.
Tesi di Laurea che gli consente di iniziare una collaborazione con il docente
Christian Uva, per il quale svolge alcune Letio Magistralis presso l'Universita
degli studi di Roma 3 e fornisce un contributo alla realizzazione della
riedizione del libro "Il digitale nella regia " (Dino Audino Editore),
grazie al quale ha modo di intervistare il direttore della fotografia Mauro
Marchetti (“Mary per Sempre”, “Nel nome del Male”).
Contemporaneamente al percorso Universitario e scolastico in generale, segue
un percorso di crescita professionale fatta di prodotti indipendenti,
sperimentazioni e lavori in diversi comparti nell'ambito della produzione
cinematografica e televisiva.
Dirige diverse spot pubblicitari di rilievo nazionale e tra le cui agenzie si
annovera la Roncaglia&Wijkander.
Dalla campagna "Every One" di "Save the Children", il cui spot e interpretato
da Flavio Insinna, Fabrizio Frizzi, Nicolas Vaporidis, Giobbe Covatta e
Cristiana Filangeri, ed e stato trasmesso nelle reti Rai e nel circuito
cinematografico Nazionale. Alla campagna per l'efficienza energetica
commissionato dalla Regione Lazio il cui spot e intitolato "Ecommedia" ,
interpretato da Giobbe Covatta, distribuito nel circuito cinematografico
nazionale, a spot di prodotti commerciali come quello sul "Succo D'Arancia
Rosaria", in onda per tre stagioni sulle reti Rai. Dopo una breve
collaborazione con l'attore e regista teatrale Lello Arena (“Ricomincio da Tre",
"Morto Troisi, Viva Troisi", "Chiari di Luna" ), per il quale dirige un episodio
proiettato all'interno del suo spettacolo, dirige la sit-com in dieci puntate "I
Fratelli Porchetta" con Maurizio Martufello e Gigi Miseferi. Dirige
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diverse trasmissioni infotainment tv e web , irriverenti e parodistiche, tra le
quali "Le Cronache del Gallo" (presi di mira personaggi quali Carlo Verdone,
Paola Cortellesi, Margherita Buy, Rocco Papaleo, Ricky Tognazzi, Alessandro
Gassman) e "TgShow". Collabora alla realizzazione di diversi
cortometraggi e videoclip in qualità di aiuto regista.
Ma il percorso cardine e quello del cinema di finzione. Dirige così diversi
cortometraggi tra cui "Deja Vu" , "La rete" (finalista al TOHorror Film Fest e
al Roma Tre film Festival) e la codirezione di "Big Trouble". "La rete"
rappresenta il vero passaggio al cinema di genere. Il thriller horror che
vede protagoniste Michela Bruni e Marylin Gallo segna anche la
consacrazione di una collaborazione e amicizia con il direttore della fotografia
Giuliano Tomassacci, con il quale produce e sceneggia “Report 51”, film che
segna l’esordio alla regia di Liguori nel lungometraggio.
Nello stesso periodo inizia una collaborazione sempre più stretta e proficua
con lo sceneggiatore Daniele Cosci con il quale vengono progettati e scritti
diversi prodotti filmici, tra cui i cartoni animati “Alitalia . Coccolati tra le
nuvole” e “Alitalia. Vola alto nel gusto”, non ultimi “Ombre” e “The
Threshold”, film di genere destinati sopratutto al mercato estero, tutti
sceneggiati dallo stesso Cosci e diretti da Liguori
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DANIELE COSCI
Sceneggiatore
Nato ad Arezzo il 24 Giugno 1984, inizia a occuparsi di teatro all'eta' di
quattordici anni seguendo le orme del padre e scrivendo alcuni copioni teatrali
per varie compagnie amatoriali.
Si laurea in comunicazione nel 2007 presso l'Universita' degli studi di
Perugia, conseguendo pochi mesi dopo un diploma avanzato di sceneggiatura
presso la prestigiosa UCLA (Los Angeles, CA) seguito da Richard Walter,
attuale componente della Writers Guild of America e uno dei piu’ grandi
“Guru” della scrittura per il cinema e la TV. Sempre nella stessa Universita’
segue il corso di Produzione per il cinema indipendente tenuto da Myrl
Schreibman.
Durante l’esperienza oltreoceano ha modo di fare esperienza su vari set, tra
cui il cortometraggio The Travellers di Alessandro Marvelli, prodotto dalla
Los Angeles Film School e il lungometraggio The Perfect Game, di William
Dear prodotto dalla Highroad Entertainment.
Nel 2009 ottiene un diploma in regia cinematografica e televisiva presso gli
studi di Cinecitta' seguito dal regista Enzo G. Castellari (Keoma, Quel
maledetto treno blindato), Tony Trupia (L’uomo giusto, Itaker) e seguendo il
corso di fotografia tenuto da Giuseppe Lanci (La stanza del figlio, Nostalghia)
e Alessandro Ghiara, operatore di macchina di diversi film italiani e stranieri
(Quo vadis, baby?, Body of lies).
Conclusi gli studi inizia a scrivere vari racconti e sceneggiature. Nel 2009 la
sceneggiatura per cortometraggio KappA e’ finalista al Valpolicella Film
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Festival e vari racconti vengono pubblicati su diversi siti web specializzati
ultimo dei quali il racconto Scomode eredita’.
Nel Febbraio 2010 scrive la sceneggiatura “L’auciello Grifone” nell’ambito
del progetti PON 2010 “A scuola di cinema”, presso l’Istituto comprensivo
Statale “P.S. Mancini”, Ariano Erpino (AV) e dopo alcuni mesi, esattamente
ad Agosto, inizia la sua collaborazione con il regista Alessio Liguori (Report
51) scrivendo la sceneggiatura Ombre.
Dal Dicembre 2011, fino al Luglio 2012, collabora in veste di assistente per
L’Istituo Capri nel Mondo diretto Da Pascal Vicedomini, partecipando al
festival Capri Hollywood 2011, Los Angeles Italia 2012 e Ischia Global Fest
2012.
Nel Febbraio 2012 scrive il copione teatrale “Trimalcio Freaky Story”, tratto
dal Satyricon, per l’Accademia Teatrale “Chi va in scena” diretta dall’attore e
regista Vincenzo Diglio.
Attualmente e’ al lavoro su vari progetti per il cinema e la TV.
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Contatti
Daniele Cosci
[email protected]
3283862235
Alessio Liguori
[email protected]
3273441134 - 0689021890
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