GNOVIS 30.2014 - Identità e Innovazione

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GNOVIS 30.2014 - Identità e Innovazione
www.identitaeinnovazione.it
Anno 5, n. 30
Sabato 26 luglio 2014
Anno 4, n. 6
Sabato
Editoriale
Il nuoI
Ancora centralismo
Notizie per il Friuli
Il centralismo avanza:
l’abolizione delle Camere di
Commercio
Le minoranze linguistiche nel
nuovo Senato
Slitta la riforma degli enti locali
Panontin per il rafforzamento del le
Province e la separazione del Friuli
da Trieste
Le difficoltà della riforma sanitaria
La Giunta regionale provoca la
conflittualità tra Gorizia e
Monfalcone
Identità linguistiche
La questione degli sportelli
linguistici
Il risveglio della minoranza bretone
Attività
Ancora centralismo
La Giunta Regionale ha approvato agli inizi di luglio il
disegno di legge sul “Riordino del Sistema RegioneAutonomie locali del Friuli Venezia Giulia” che
prevede un nuovo assetto per il sistema delle
autonomie locali. Così dopo i documenti di indirizzo,
le dichiarazioni e le interviste è possibile capire che
cosa abbia in testa la giunta Serracchiani su questo
fondamentale tema per il futuro della nostra Regione.
Dopo la legge di trasformazione delle Province in enti
di secondo grado governati dai sindaci e dai consiglieri
comunali, dopo la proposta di modifica dello statuto
per l’abolizione delle province, la Giunta regionale
vuole accelerare i tempi istituendo fin d’ora gli enti
che dovrebbero sostituire le province, i cosiddetti
Ambiti territoriali ottimali.
La proposta non è accompagnata da una accurata
ricognizione delle funzioni esaminate secondo le
dimensioni che possano sostenerle e delle economie di
scala da cui sono caratterizzate. Il documento è
improntato ad una visione centralistica della nostra
realtà istituzionale, senza serie analisi delle
caratteristiche dimensionali e strutturali del nostro
sistema di enti locali.
Il difetto fondamentale della proposta consiste nella
attribuzione alle 17 nuove unità amministrative di due
categorie di funzioni, di natura radicalmente diversa.
La prima riguarda le funzioni comunali di livello
superiore, che richiedono la disponibilità di
professionalità tecniche relativamente costose e di
unità organizzative complesse che i piccoli comuni
non hanno la possibilità di sostenere. Si pensi agli uffici
tecnici, e urbanistici, a quelli del personale, dei tributi,
dell’informatica, delle attività produttive, che è giusto
vengano costituiti a livello di gruppi di comuni e che
devono funzionare a livelli quanto più possibile vicini ai
comuni. La seconda categoria è costituita dalle funzioni di
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Opinioni
area vasta che in tutto il mondo vengono esercitate dalle
province o dalle consimili unità amministrative: si pensi ai
Dipartimenti francesi, ai Circondari tedeschi, ai Länder
austriaci, alle Contee inglesi, canadesi e statunitensi, che
curano non le funzioni puntuali attribuite ai comuni, ma
quelle territoriali di pertinenza delle province.
Ovunque esistono unità di governo ad elezione diretta, che
si occupano di funzioni territoriali, come le scuole
superiori, la viabilità intercomunale, la tutela
dell’ambiente, la gestione dei bacini locali di manodopera,
la motorizzazione civile, i trasporti pubblici locali. Si tratta
di funzioni che si muovono su dimensioni diverse. Le
funzioni sovracomunali si fondano su economie di scala
che richiedono circa 20 mila abitanti. Le funzioni di area
vasta si muovono su territori che vanno dai 600 mila
abitanti dei Dipartimenti francesi e delle Province italiane
ai 150 mila abitanti dei Circondari tedeschi o - e forse non
è un caso - della Provincia di Gorizia.
Si tratta di una proposta legislativa raffazzonata, priva di
una linea strategica di fondo che si basi su di una attenta
conoscenza del sistema delle autonomie locali e delle
caratteristiche delle varie categorie di enti locali. Si spera
che il Consiglio regionale, dove siede un numero non
trascurabile di ex amministratori comunali e provinciali,
renda giustizia di questo mostriciattolo normativo.
Notizie per il Friuli
Il centralismo avanza: l’abolizione delle
Camere di Commercio
Le deriva centralista che da qualche anno sta colpendo il
nostro paese e che è l’espressione di un blocco di potere
distribuito tra Milano e Roma che unisce le alte burocrazie
ministeriali, la grande industria, i grandi centri di
comunicazione della carta stampata e della televisione e
delle centrali sindacali, ha ora trovato la più convinta
espressione in Matteo Renzi e nei suoi luogotenenti
distribuiti sul territorio nazionale. La furia riformatrice
vuota di ispirazioni ideali dell’ex sindaco di Firenze e tutta
orientata ai successi comunicativi va compiendo guasti
inenarrabili. Ha cominciato con le province, peraltro
proseguendo un percorso già avviato dai Governi Monti e
Letta. Con la demolizione delle Province si colpisce una
rete di strutture che garantiscono servizi e rappresentanza
al territorio, attraverso istituzioni espresse dalle
popolazioni ad elezione diretta ben più radicate nelle
identità territoriali di quanto non lo siano le Regioni,
istituzioni inefficienti, corrotte e dissipatrici di risorse
pubbliche.
Ora un altro colpo di maglio diretto a contrastare
l’autonoma espressione di volontà e di iniziative che
scaturisce dal territorio colpisce le Camere di Commercio,
enti di fondamentale importanza per il controllo
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informativo delle imprese distribuite sul territorio e per
azioni di promozione dello sviluppo di iniziative
economiche locali.
Un primo segno premonitore era già emerso in quel
documento di intenti che porta il nome di “Jobs Act” . Ora
la manovra diventa manifesta con un articolo contenuto
nel Disegno di Legge per la Riforma della Pubblica
Amministrazione, che dimezza l’importo dei diritti
camerali che le imprese devono versare annualmente alla
Camera di Commercio di appartenenza. L’intento è
evidentemente quello di prendere le Camere di
Commercio per fame, dimezzandone il bilancio,
costringendole a ridurre i servizi e gli interventi, per
dimostrare poi che si tratta di enti inutili. E questo sarà
dimostrato con un altro provvedimento dalle gravi
conseguenze, il trasferimento della principale attività delle
Camere, la tenuta dei Registri delle Imprese, al Ministero
per lo Sviluppo economico. Un altro provvedimento di
centralizzazione e di estensione ad ogni provincia della
presenza di un Ministero che per definizione non dovrebbe
occuparsi di attività gestionali e amministrative, ma di
guida dello sviluppo economico del paese.
Non si comprendono le motivazioni vere di tale
orientamento. Qualcuno pensa a qualche rapporto non
felice tra il Presidente della Provincia e poi il Sindaco
della Città di Firenze Renzi nei confronti della Camera di
Commercio fiorentina. Altri formulano ipotesi sulla
necessità di mettere sotto controllo le Fondazioni bancarie,
in cui le Camere di Commercio svolgono un ruolo di
qualche importanza. Altri ancora sull’allergia che l’ex
Sindaco nutrirebbe nei confronti di ogni tipo di corpi
intermedi. Altri ancora sulla necessità di tenere alta la
attenzione
dell’opinione pubblica sul suo ruolo di
“rottamatore”. E ancora si ipotizza che l’iniziativa sarebbe
giustificata dall’esigenza di guadagnare la riconoscenza
delle imprese, che in questo modo vedrebbero risparmiare
la metà di un pagamento annuale di 88 euro per le piccole,
fino ad un massimo di 40.000 euro per le grandi. Oppure il
desiderio di rafforzare i suoi legami con i grandi gruppi
industriali italiani e rendersi maggiormente gradito
accettando la posizione di Squinzi, il Presidente di
Confindustria, sulla necessità di superare il sistema
camerale (a di tutt’altro parere sono le organizzazioni della
piccola industria, dell’artigianato, del commercio e dei
sindacati), trasformandole in una proiezione locale del
Ministero per lo Sviluppo economico.
In ogni caso si dimostra in questo modo il provincialismo
da un lato e la superficialità dall’altro di una classe politica
che non è in grado di affrontare con attenzione i veri
problemi dell’economia italiana.
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Va infatti, innanzitutto, considerato che come per le
Province, così per le Camere di Commercio si tratta di
istituzioni che esistono in tutto il mondo.
Esse assolvono ad una funzione fondamentale che consiste
nella tenuta del registro delle imprese, di una sorta di
anagrafe. Come tutti i cittadini sono registrati secondo
alcune informazioni fondamentali nelle anagrafi comunali,
i cui dati peraltro non sono pubblici a causa di questioni
legate alla privacy, cosi tutte le imprese sono iscritte nei
registri delle imprese dai quali è possibile ricavare le
informazioni fondamentali riguardanti le imprese, cui tutti
possono accedere.
Per il ruolo di tali istituzioni, vale la pena dare le seguenti
informazioni:
Natura giuridica
Le Camere di Commercio in Italia, come in tutti i paesi in
cui domina il sistema della civil law, e cioè Francia,
Spagna, Germania, Austria, Paesi Bassi, sono enti di
diritto pubblico ai quali le imprese devono aderire
obbligatoriamente e sono tenute a pagare una quota
annuale di adesione che ha la natura di contributo
obbligatorio. Hanno la finalità fondamentale di tenere il
Registro delle Imprese e di svolgere altre funzioni di
certificazione e di promozione dello sviluppo economico
dei territori di competenza. In Italia erano state abolite dal
fascismo e poi ricostituite nel dopoguerra. Le loro funzioni
sono regolate dalla Legge 580/1993, dal DLgs 112/1998 e
dal DLgs 23/2110. Sono definite come enti di diritto
pubblico appartenenti al sistema delle autonomie
funzionali, come le Università, gli Enti porto ed altri.
Nei paesi dove domina il common law di espressione
anglosassone le Camere di Commercio sono associazioni
di diritto privato, cui le imprese aderiscono
volontariamente. Ne deriva un indebolimento delle attività
registrative e certificative, e predomina l’aspetto di
promozione e di rappresentanza degli interessi economici
degli associati, che in Italia sono svolte dalle associazioni
di categoria.
Funzioni
La funzione fondamentale è quella della tenuta del
Registro delle imprese che dal 1993 ha unificato il
Registro delle ditte delle Camere di Commercio e il
Registro delle società tenute nel passato dalle cancellerie
dei tribunali civili.
Altre funzioni fondamentali riguardano la promozione e lo
sviluppo delle attività economiche, attraverso la gestione
di strutture dirette, la partecipazione ad altri enti pubblici e
provati e le aziende speciali.
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Risorse
Le
Camere
di
Commercio
sono
autonome
finanziariamente, in quanto le loro attività vengono
alimentate dai diritti annuali pagati dalle imprese, dai
diritti di segreteria connessi al rilascio di certificati, dai
proventi dei servizi effettuati per incarico dello Stato, delle
Regioni o di altri enti.
Personale
Il personale complessivo ammonta a 7.500 dipendenti,
dimostrando una tendenza alla contrazione che in un
decennio ha registrato un decremento di – 11,9%, contro il
– 6,9% dell’intero settore pubblico.
Organi di governo
Le Camere sono enti autogovernati dalle categorie
economiche, con esponenti designati dalle organizzazioni
più rappresentative della categorie produttive e delle
organizzazioni sindacali. Gli organi di governo sono
rappresentati da un Consiglio di 20-30 membri con
compiti di formulazione di programmi, di approvazione
dei bilanci e di elezione delle altre cariche. L’organo
esecutivo è costituito dalla Giunta. Il Presidente ha la
rappresentanza
legale
dell’Ente,
provvede
alla
convocazione della Giunta e del Consiglio e a presiederli e
ad assumere provvedimenti d’urgenza da sottoporsi a
ratifica.
Gradimento
L’indice di gradimento degli utenti è assai elevato. Da una
recente indagine dell’Ispo risulta che esso è dell’80%
presso le aziende con meno di 50 dipendenti, che sale al
90% per le aziende con più di 50 dipendenti.
Costi e benefici
La manovra condurrà ad un risparmio medio per singola
impresa di 5,2 euro mensili, cui corrisponderanno
maggiori oneri per lo Stato, che dovrà riassorbire il
personale, di 167 milioni di euro, senza contare i 2.500
posti di lavoro a rischio.
Conseguenze per il Friuli
Il dimezzamento delle entrate costringerà al dimezzamento
delle Camere di Commercio, il che significherà la certa
chiusura delle Camere di Commercio di Pordenone e di
Gorizia. Se Udine, date le sue dimensioni, non ha nulla da
temere, e se Trieste riuscirà a sopravvivere per essere
capoluogo di regione, anche se per abitanti e numero di
imprese conta assai meno di Pordenone, la sorte delle due
province friulane minori è segnata, se Renzi riuscirà a
imporre il suo disegno.
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Conclusioni
La proposta di Renzi avrà conseguenze devastanti. Merita
riprendere un commento apparso sulla stampa: “Eliminare
le Camere è una stupidaggine. Primo: perché sono enti di
autogoverno delle imprese e ne promuovono la
partecipazione allo sviluppo nel territorio, con iniziative
commerciali di formazione, di assistenza al credito, ecc. di
grande valore economico e con personale altamente
professionalizzato, i comuni non riescono a tener pulite le
strade come possono pensare seriamente alle imprese?
Non pensiamo poi alle Regioni, enti dilapidatori del
patrimonio pubblico altamente burocratizzati. Secondo:
perché in tutto il mondo occidentale l’economia ha il suo
riferimento istituzionale nelle Camere che si rapportano
alle altre istituzioni come luogo di riferimento unitario
delle imprese radicato nel territorio. Terzo: perché si
confondono le cose, un conto è colpire le “corporazioni”
che bloccano lo sviluppo (ma più che alle organizzazioni
di impresa bisognerebbe guardare ai sindacati, alle lobby
finanziarie, alla speculazione edilizia, alla criminalità
organizzata, ecc…), un conto è far fuori i sistemi di
rappresentanza (i cosi detti ceti intermedi) riducendo gli
spazi di partecipazione delle imprese e il loro contributo
alla formazione di leggi buone per tutti (se Monti e la
Fornero avessero ascoltato le imprese non ci troveremmo
oggi con una legislazione del lavoro così costosa e
penalizzante). Senza corpi intermedi attivi ed autorevoli si
dà vita ad una democrazia plebiscitaria che alla fin fine si
trasforma in oligarchia (il che non sembra dispiacere a
nessuno dei nostri capi di partito, visto che si legittimano
con i media, fanno congressi per finta e contrastano le
preferenze”).
Notizie per il Friuli
Le minoranze linguistiche nel nuovo Senato
Nelle discussioni in corso sulla composizione e sulle
funzioni del nuovo Senato, sarebbe stato bene che fosse
stato considerato il problema di attribuire una
rappresentanza - vuoi diretta vuoi di secondo grado - alle
undici minoranze linguistiche che la Legge 482/1999 in
applicazione dell’art. 6 della Costituzione ha riconosciuto
e di riconoscere a tale camera le competenze per la loro
tutela e valorizzazione. Alcuni emendamenti presentati da
Sel affrontano questo problema. Lo stesso è avvenuto per
un emendamento presentato dal Senatore della Lega
Stefano Candiani, che recita: «Fermi restando i dodici
deputati eletti nella circoscrizione Estero, la legge
costituzionale
stabilisce
il
numero
minimo
dei
rappresentanti delle minoranza linguistiche fra i cinquecento
deputati eletti a suffragio universale e diretto».
L’emendamento, pur riguardando materia che avrebbe
richiesto lo scrutinio segreto, è stato votato a scrutinio palese
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e
bocciato
dalla
maggioranza
costituita
dal
Partito
democratico e da Forza Italia. L’argomento della tutela
delle minoranze linguistiche è stato preso certamente a
pretesto per inserire una modifica al testo base che
riguardava la riduzione dei deputati a 500. Resta il fatto
che l’occasione poteva essere importante per dare piena
applicazione anche nel titolo riguardante la forma di
Governo della norma di principio del Titolo I riguardante
la tutela delle minoranze linguistiche. Sarebbe importante
che la nuova norma costituzionale prevedesse la presenza
di senatori di diritto in rappresentanza di ciascuna delle
undici minoranze linguistiche previste dalla legge, in
analogia a quanto avviene per la Slovenia nel cui
Parlamento è garantita la presenza di un deputato per la
minoranza italiana e di un deputato per la minoranza
ungherese.
Notizie per il Friuli
Slitta la riforma di legge sulle autonomie locali
Il coro di dissensi che ha investito il disegno di legge
Panontin sulla riforma degli enti locali che sostituisce alle
4 province ben 17 microprovince ha consigliato la Giunta
regionale a rinviare la approvazione del provvedimento al
fine di consentire qualche approfondimento. Il
cronoprogramma allegato al documento prevedeva il
passaggio in Giunta il 18 o il 25 luglio. Queste date sono
passate senza che nulla venisse esaminato e approvato.
Nell’ambito della maggioranza, a fronte delle vaste
critiche suscitate, si sta ragionando su di una revisione
della proposta, che riguarda i seguenti aspetti.
Innanzitutto il numero e le dimensioni. 17 ambiti
sarebbero troppi, soprattutto se dovrebbero sostituire le
province. Si penserebbe a 10 o 12 ambiti. Si
aumenterebbero le dimensioni il che potrebbe facilitare
l’assunzione di qualche funzione in più rispetto a quelle
esercitate dalle attuali 4 province, ma allo stesso tempo li
si allontanerebbe dai comuni e dalle funzioni comunali di
livello superiore che gli ambiti dovrebbero assumere.
In secondo luogo lo schema di riparto delle funzioni
provinciali, troppo orientato alla Regione, che andrebbero
riesaminate a favore degli ambiti e dei comuni.
Infine andrebbe semplificata la struttura di governo in
particolare l’assemblea, che dovrebbe ridursi ai soli
sindaci che dovrebbero portare ad approvazione le istanze
già assunta in consiglio o in giunta del comune, a seconda
delle competenze. E questo porterebbe alla paralisi o alla
irrilevanza degli ambiti.
Il provvedimento è nato male in partenza, nella sua logica
ispiratrice di compromesso tra funzioni comunali e
funzioni provinciali. Ogni modifica ne fa emergere la
intima contradittorietà. Un pasticcio da cui non sarà facile
uscire.
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Notizie per il Friuli
Panontin per il rafforzamento delle Province e
la separazione del Friuli da Trieste
L’attuale assessore alle autonomie locali Paolo Panontin
ha mutato completamente le sue posizioni nel giro di
pochi anni in tema di assetto istituzionale della Regione.
Infatti il 19 ottobre 2004 presentava una organica
proposta di legge per la riscrittura dello Statuto regionale,
quale primo firmatario tra gli allora consiglieri regionali
della Lega. Il progetto era senza dubbio interessante,
anche se non privo di punti deboli. I punti fondamentali
erano tre. Innanzitutto il forte alleggerimento delle
competenze della Regione, che doveva essere liberata da
ogni funzione legislativa che non riguardasse la sua
organizzazione interna o qualche esigenza di carattere
unitario. Il secondo riguardava il rafforzamento rilevante
delle province, cui dovevano essere trasferite tutte le
funzioni amministrative e gestionali della Regione. E
infine la separazione tra Friuli e Trieste. Trieste avrebbe
dovuto essere organizzata come provincia metropolitana in
cui si dovevano fondere città e provincia, mentre le tre
province friulane avrebbero dovuto essere organizzate in
qualche forma di coordinamento per la gestione di
funzioni comuni. I pochi anni dal passaggio dalla Lega
alla sinistra l’assessore ha rovesciato completamente le
sue posizioni
Notizie per il Friuli
Le difficoltà della riforma sanitaria
Il ritorno al vecchio sistema sanitario fondato soltanto sugli
ospedali, conseguente alla soppressione delle Aziende
sanitarie territoriali e alla loro incorporazione nelle Aziende
ospedaliere, in cui consiste l’idea forte della riforma sanitaria
prefigurata dalla Giunta regionale, trova crescenti difficoltà.
La Corte dei conti ha espresso le sue perplessità, per quanto
riguarda la eliminazione delle Aziende territoriali che urta
contro l’impostazione generale del Servizio Sanitario
Nazionale che trova uno dei capisaldi nella distinzione tra
Aziende territoriali ove si organizzano la domanda di
prestazioni sanitarie, le attività di prevenzione, l’effettuazione
delle prestazioni di base sulla base dei Distretti sanitari e i
servizi non specialistici, e le aziende ospedaliere istituite e
organizzate per le prestazioni per acuti. Un altro punto
fondamentale è costituito dalla territorializzazione delle
attività delle Aziende ospedaliere-universitarie di Udine e di
Trieste che per definizione non possono limitarsi ad ambiti
territoriali ristretti. Non si tratta più di strutture ospedaliere di
alta specializzazione che devono ospitare le attività didattiche
per la formazione dei futuri medici e le attività di ricerca
scientifica necessarie alla formazione di medici di alto livello
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e all’allargamento delle frontiere nel campo delle scienze della
salute, ma di istituzioni che si caricano direttamente di compiti
di prevenzione e di organizzazione delle prestazioni sanitarie
sul territorio. La distanza tra compiti didattico-scientifici per
la formazione dei futuri medici propri degli ospedali
universitari e compiti assistenziali e organizzativi propri delle
aziende territoriali va allargandosi, con gravi danni sia per la
missione della formazione, sia dell’assistenza alle popolazioni.
L’Assessore regionale alla sanità va minimizzando questi
problemi ritenendo che possano essere superati con accordi
con il Ministero della Sanità e con i contenuti di articoli del
“Corriere della Sera” da cui si evincerebbe che anche in altre
regioni sarebbe in atto un ripensamento del modello
organizzativo di fondo del Servizio sanitario regionale. Il fatto
è che la Regione non può violare i principi di base delle
riforme sociali. E la distinzione tra aziende ospedaliere e
aziende territoriali rappresenta uno di questi principi
fondamentali. Una eventuale legge regionale che violi questo
principio difficilmente sfuggirebbe al vaglio della Corte
costituzionale.
Notizie per il Friuli
La Giunta regionale provoca la conflittualità
tra Gorizia e Monfalcone
La chiusura decisa dalla Giunta regionale l’11 luglio del
punto nascita di Gorizia ha creato una situazione di grave
conflittualità della città di Gorizia nei confronti della
Regione. Ma questo sarebbe normale, se non vi fosse il
contestuale acuirsi dei contrasti tra Gorizia e Monfalcone,
visto il mantenimento di tale struttura nel capoluogo della
Bisiacaria. La chiusura del punto nascite di Gorizia, se
giustificata dai puri numeri, non è sorretta né da motivi
giuridici né da considerazioni di natura sociale e
demografica. Non è vero che il punti nascita di Gorizia era
poco sicuro, anzi risulta che il numero degli esiti negativi
è inferiore a quello di tanti altri punti nascite di dimensioni
maggiori. Vi sono poi ragioni positive che ne giustificano
l’esistenza. E questo è la natura dualistica della Provincia
di Gorizia, che è divisa in due tra il Monfalconese e il
Goriziano, assai diversi dal punto di vista economico,
sociale e linguistico. Di questo dualismo si doveva
prendere atto, ed evitare che la metà della provincia fosse
privata di una struttura sanitaria tanto sensibile per la
popolazione, creando un ulteriore motivo di
contrapposizione tra le due realtà.
Identità linguistiche
La questione degli sportelli linguistici
Abbiamo più volte espresso le nostre perplessità nei
confronti dei finanziamenti che la Presidenza del
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Consiglio assicura agli sportelli linguistici per le
minoranze. E questo non perché si voglia sminuire
l’operato del personale che sulla base di questi
finanziamenti viene assunto per dare un supporto
all’operato delle varie amministrazioni nella loro azione
per la valorizzazione della lingua minoritaria che viene
impiegata nel loro territorio, ma semplicemente perché
dimostra la scarsa conoscenza dei funzionari ministeriali
sulle reali situazioni di fatto: essi ritengono che vi siano
larghe fasce di popolazioni minoritarie che non sono in
grado di esprimersi in italiano e che quindi presso le
amministrazioni vi deve essere un punto di mediazione
linguistica che faccia da intermediario tra il singolo utente
e gli uffici. Si tratta di situazioni non più esistenti: tutti gli
appartenenti ad una minoranza in forza della istruzione
scolastica obbligatoria e dell’ambiente linguistico formato
dai mezzi di comunicazione di massa sono bilingui e
quindi perfettamente in grado di accedere autonomamente
agli sportelli della pubblica amministrazione ove venga
praticata la lingua italiana.
A fronte di queste situazione, gli sportellisti vengono
utilizzati non per funzioni di mediazione linguistica con il
pubblico, ma per attività di supporto per le attività in
lingua minoritaria di amministratori e uffici. Traduzioni di
testi, stesura di relazioni, organizzazione di eventi,
redazione di discorsi, e così via. Non attività di contatto
con il pubblico, ma prestazione di ufficio, certamente assai
utili ma non corrispondenti alla denominazione della
funzione per la quale è stato corrisposto il finanziamento.
Sarebbe il momento che la Presidenza del Consiglio
rivedesse la materia, e assicurasse finanziamenti stabili e
più abbondanti per la costituzione di appositi “Servizi
linguistici” da aprirsi in tutti gli enti locali, o quanto meno
a livello di comuni di maggiori dimensioni, tali da
consentire la presenza di personale stabile da adibirsi alle
funzioni indicate, indispensabili per garantire servizi
linguistici adeguati ed efficaci.
Identità linguistiche
Il risveglio della minoranza bretone
Da tempo si assiste ad un notevole risveglio della
minoranza bretone localizzata nel nord-ovest della
Francia, frutto di una immigrazione avvenuta nell’alto
medioevo di popolazioni provenienti dall’attuale
Inghilterra in fuga di fronte alle invasioni sassoni e
scandinave. Le spinte assimilatrici e centraliste poste in
essere dall’assolutismo regio prima e dall’impulso
livellatore della rivoluzione francese e del potere
napoleonico dopo hanno ridotto i confini e la consistenza
del territorio bretone. Negli ultimi anni si è assistito ad una
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presa di coscienza di tale minoranza celtica, che trova
manifestazione in iniziative di varia natura. Il più recente
problema è quello della unificazione della comunità
bretone in una unica unità amministrativa.
E così 15 mila persone si sono riunite sabato 28 giugno a
Nantes per rivendicare il diritto alla riunificazione del
Dipartimento della Loira Atlantica con il resto della
Bretagna e protestare contro il progetto di
riorganizzazione delle autonomie regionali proposto dal
Governo francese che non tiene conto di questo problema.
Le organizzazioni Bretagne Réunie e 44-BZH,
organizzatrici della manifestazione, già da tempo chiedono
che i cittadini del Dipartimento, ora incluso nella regione
del Pays de la Loire, possano riunirsi al resto della
Bretagna in un’unica regione amministrativa. Si tratta di
dare corso alle raccomandazioni dei documenti europei
sulle minoranze che escludono la possibilità di suddividere
le minorane linguistiche tra più autorità amministrative,
per ovvi problemi di gestione unitaria dei problemi di
tutela e sviluppo.
Attività
Udine, martedì 22 luglio:
Riunione del Esecutivo.
Udine, venerdì 25 luglio:
Riunione dell’Esecutivo.
Opinioni
Presentiamo l’articolo firmato da Valeria Grillo e pubblicato su “Il Quotidiano del Fvg” di
mercoledì 30 luglio 2014.
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Una Associazione di iniziativa e cultura politica per
l’autonomia friulana: Identità Innovazione
Identità Innovazione – Associazione per l’Autonomia del Friuli è un’associazione di cultura e
iniziativa autonomista fondata nel 2005 con lo scopo di diffondere una coscienza autonomista
a tutti i livelli della società e del territorio friulani, al fine di rivalutare tutti gli aspetti della
identità friulana, e di trovare e applicare tutti gli strumenti necessari per bloccare e invertire le
tendenze alla snaturalizzazione della comunità del Friuli, poste in essere dalla Regione Friuli
Venezia Giulia, dagli uffici dello Stato e dalle strutture scolastiche, e dalle spinte verso la
globalizzazione. Il tutto inserendosi in un filone di pensiero politico moderato e popolare, che
rifiuta ogni posizione estremista, ma che si schiera con forza a favore della rivendicazione
degli interessi della comunità friulana.
L’Associazione è nata nella consapevolezza che i problemi fondamentali che indeboliscono la
comunità friulana sono i seguenti:

l’insufficiente livello di coscienza del valore della comunità friulana, come entità
distinta dalle comunità contermini, cui si legano i complessi di inferiorità e di sudditanza
ancora troppo diffusi;

la dipendenza da un capoluogo regionale, Trieste, assolutamente estraneo ai valori,
comportamenti, cultura e lingua del Friuli;

la presenza di un sistema scolastico che diffonde una concezione riduttivistica,
quando non apertamente ostile, riguardo alla lingua e identità friulana, considerata ancora un
dialetto o una parlata di rango inferiore, non meritevole di attenzione, malgrado quanto
sancito dalla Costituzione e dalla legge sulle minoranze linguistiche, la Legge 482/1999.
L’Associazione intende chiamare a raccolta i friulani che sono orgogliosi di essere tali per
realizzare una grande opera di risveglio della coscienza friulana, attraverso:

il lancio di iniziative concrete di animazione sul territorio;

la costruzione di una rete autonomista su tutto il territorio del Friuli: una rete di
aderenti e di strutture locali in grado di sviluppare una continua azione diretta a contrastare il
centralismo e la snaturalizzazione.
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Aderire e sostenere Identità e Innovazione
Vi invitiamo ad aderire all’Associazione compilando il seguente modulo:
SCHEDA DI ADESIONE
Il/La sottoscritto/a
_____________________________________________________________
Cognome e nome
______________________________________________
Nato a
_________________________________
Via/Piazza
_____
Numero
__________________
il
___________________
Comune
______
CAP
___________________________________________
Professione
__________________________________________
Ente o Azienda di appartenenza
_________________________________________
Amministratore di Ente o Associazione
______________________ ___________________
Cellulare
Telefono
__________________________________
Posta elettronica
CHIEDE
di aderire alla Associazione “Identità e Innovazione”, sottoscrivendo la
quota annuale di adesione di Euro 10 nonché un eventuale contributo di
sostegno di Euro__________.
Note:
1)
per perfezionare l’iscrizione si prega di restituire per posta
elettronica la presente scheda di adesione;
2)
la quota di iscrizione si fa pervenire attraverso un versamento sul
conto corrente bancario
CREDIFRIULI,n.18210017275, Udine, Via Crispi45
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Presentazione di Gnovis pai Autonomiscj
L’Associazione intende informare periodicamente i propri quadri, iscritti e
simpatizzanti sui più grandi problemi che riguardano la crescita del Friuli
come autonoma entità, la cui conservazione e valorizzazione richiede un
impegno costante da parte di coloro che credono indispensabile rafforzare
la nostra comunità e impedire che essa anneghi in una indistinta realtà
friul-giuliana o, peggio, friul-veneta.
Chiediamo ai destinatari di questo notiziario di collaborare in tre modi:

fornire indirizzi mail di persone che potrebbero essere interessate a
riceverlo,
per ampliare la sua diffusione;

formulare critiche e suggerimenti per un suo miglioramento;

inviare o segnalare notizie per un suo arricchimento.
Viene utilizzata la lingua italiana come mero strumento di comunicazione e
non certo come scelta culturale: useremmo volentieri la lingua friulana se
la scuola italiana ci avesse insegnato a leggerla e soprattutto a
scriverla.
Scrivere a:
corrispondenza elettronica: [email protected]
sito web ufficiale: www.identitaeinnovazione.it
pagina Facebook: identitaeinnovazione
Redazione
Comitato di Redazione: Gianluca Falcomer, Valeria Grillo, Giorgio Lodolo,
Franco Rosa, Raimondo Strassoldo
Segretario di Redazione: Marzio Strassoldo, [email protected],
cell. 334 6210176t
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