Rassegne Critiche Bibliografiche
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BOLLETTINO PER LE FARMACODIPENDENZE E L’ALCOOLISMO XXVII - N. 3-4/2004 II. Rassegne Critiche Bibliografiche* IL DOLORE E GLI ANTIDOLORIFICI Parole chiave: morfina, antidepressivi triciclici, antagonisti NMDA, FANS, oppioidi, buprenorfina, associazioni farmacologiche, algie neonatali, prevenzione IVH, artropatie, anziani, depressione, qualità della vita, dolore oncologico, dolore chirurgico, dolore ostetrico, ricette speciali. Forse l’espressione più efficace del dolore è costituita dalla statua di Laocoonte ed i suoi due figlioli assaliti da serpenti marini per espiare la colpa di aver avvertito i troiani intorno al rischio di accogliere il cavallo come dono dei Greci. La statua scolpita probabilmente da scultori di Rodi nel 2° secolo d.C. è una delle attrazioni dei Musei Vaticani e l’espressione facciale del prete troiano di Apollo nella lotta disperata con i serpenti è un epitome del dolore fisionomico; in questa lotta impari vi è l’espressione di una angoscia, oltre che di una sofferenza fisica acuta e totalizzante (1). Come ricorda Meldrum (2) il dolore costituisce una metafora centrale nella tradizione giudaico-cristiana ed è appena il caso di rilevare l’importanza del sacrificio di Giacobbe e la contrapposizione fra redenzione sacrificale e piacere. Dopo il 1680 Sydenham ha introdotto il laudano (una miscela di oppio e di sherry) utilizzato anche come anestetico chirurgico. In realtà come ricorda Meldrum la tradizione medica fino agli inizi dell’800 esaltava l’aspetto positivo del dolore come segnale di buon funzionamento del corpo e manifestazione di energia, per cui il dolore non solo veniva accettato ma accolto come un buon segno. Ma poi l’affermazione dei Diritti dell’Individuo e la stessa ondata del Romanticismo hanno portato ad una rapida conversione di atteggiamenti; intanto agli inizi del secolo XIX molti chirurghi vantavano la rapidità dei loro interventi di asportazione come una riduzione del dolore del paziente. Il 16 ottobre 1846 va ricordato nella storia della lotta contro il dolore in quanto in quella giornata il dentista americano William T.G. Morton ha fornito la prima dimostrazione di anestesia con etere; l’introduzione del cloroformio risale al 1848 ed ha avuto luogo in ostetricia. Non tutti i chirurghi, però accolsero con entusiasmo l’anestesia in quanto si ponevano sia problemi etici (un intervento su pazienti non coscienti veniva criticato come coercitivo), sia fisiologici (la possibilità che l’abolizione del dolore operatorio influisse negativamente sul processo di guarigione spontanea). Vi è stato successivamente tutto uno sviluppo neuro-chirurgico di blocco neurologico regionale. Nel corso della seconda guerra mondiale da esperienze sul campo è emersa l’importanza dei fattori psico-ambientali e della componente emotiva, mentre si affermava l’esigenza di dare priorità alla ricerca clinica. Importanti sono state le prime esperienze britanniche di gestione del dolore negli Hospices con eroina e miscela di Brompton (morfina + gin). È stato quindi proposto il meccanismo del controllo midollare nella trasmissione del dolore dalla periferia al cervello. La teoria del “gate control” ha suggerito l’interpretazione del meccanismo terapeutico della contro-stimolazione “trans” sulle fibre sensitive ed attivazione del sistema analgesico delle endorfine. Del resto l’esperienza di impiego degli anti-depressivi triciclici (amitriptilina ed imipramina) come analgesici dimostra l’importanza dell’aumento dei livelli di norepinefrina nella analgesia mediata dalle endorfine, analgesia che rientra in una cascata di risposte endogene sinaptiche e cellulari allo stress o a traumi. Fra l’altro gli antidepressivi triciclici sono molto usati nel trattamento della nevralgia post-erpetica, una delle manifestazioni più gravi del dolore (3). La ricerca attuale mira alla sintesi di farmaci indirizzati specificamente al blocco di composti specifici che a livello del sistema nervoso svolgono un ruolo nello sviluppo del dolore persistente. Alcuni di questi obiettivi sono costituiti dai mediatori dell’infiammazione, nonché i canali del Sodio e quelli N del Calcio coinvolti nella trasmissione afferente, oltre che da agonisti neurospecifici o recettori. Un esempio per tutti è rappresentato dall’inibitore selettivo della ciclo-ossigenasi-2 che è localizzato nei tessuti infiammati. In questo caso l’inibitore non interferisce con la ciclo-ossigenasi-1 che è ubiquitaria. Trattasi di sostanze che possono prevenire gli effetti gastrolesivi e quelli renali dovuti ai FANS. Infine si è identificato nell’N-metil-D-aspartato (NMDA) il punto di sensibilizzazione centrale causa del dolore cronico, donde la proposta di utilizzare gli antagonisti del NMDA come analgesici. Comunque non esiste una panacea in quanto i significati cognitivi, affettivi, comportamentali del dolore variano da soggetto a soggetto e spesso ha un ruolo decisivo la capacità empatica del terapeuta. La proposta di trattare con analgesici il dolore neonatale e della prima infanzia supera ormai la discussione sulla percezione o meno del dolore da parte del neonato, sopratutto di quello prematuro. Ora si è sicuri intorno alla percezione del dolore da parte dei nati prima del termine. La proposta di attenuare e/o controllare il dolore come mezzo per favorire sopravvivenza ed accrescimento attraverso una somministrazione continua di morfina incontra a prima vista numerose obiezioni legate agli effetti a lungo termine della morfina (ipotensione, convulsioni, bradicardia, riduzione della motilità intestinale, ostruzione intestinale, ritenzione urinaria e, sopratutto, depressione respiratoria). D’altra parte, il trattamento con la morfina è vantaggioso per la prevenzione dell’emorragia intraventricolare (IVH) e per quella della leucomalacia (PVL), specie se il neonato è ventilato e, quindi, sottoposto a notevoli rischi accentuati dagli effetti del dolore. La ricerca che presentiamo è tutta olandese. L’arruolamento ha avuto luogo nei primi tre giorni di vita sotto ventilazione artificiale da meno di 8 ore e cateterizzazione periferica od ombelicale. I 150 neonati sono stati a random suddivisi in gruppo con morfina endovena 100 µg/Kg e 10 µg/Kg per ora e gruppo con placebo, seguiti per 7 giorni. Il dolore è stato misurato attraverso le mutazioni della mimica facciale, mutazioni videoregistrate più volte nel corso della giornata. Le infermiere sono state addestrate al rilevamento semeiotico che comprende anche le modificazioni nelle caratteristiche della suzione. * A cura di Carlo Vetere. 64 Rassegne Critiche Bibliografiche DALLA LETTERATURA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE Il presupposto di efficacia della morfina non si basa sull’evoluzione della sintomatologia algica ma soprattutto sull’esito neurologico e la frequenza di IVH; ora dal punto di vista proprio dell’IVH la morfina potrebbe ridurre l’intensità delle fluttuazioni del circolo cerebrale come volume e, quindi, della pressione intracranica provocata dalla reazione neonatale al dolore ed alle manovre terapeutiche dolorose. In tal modo la morfina protegge nei confronti dello sviluppo di emorragie venose nella matrice germinale o nel parenchima cerebrale. Dal punto di vista dei primi risultati non vi sono state conferme dell’ipotesi iniziale ma evidentemente la ricerca richiede un follow-up prolungato per valutare l’influenza sullo sviluppo neuropsicologico del prematuro, sempre su serie cliniche numericamente consistenti con base fisiopatologica comune (4). Nel Mondo Occidentale almeno 1/3 degli individui >65 anni soffrono di artrosi del ginocchio, mentre se si considera l’insieme delle artropatie degenerative dopo i 70 anni si deve raggruppare almeno l’80% delle persone e calcolare l’incidenza economica e sociale del dolore e della ridotta funzionalità nei movimenti. Nello stesso gruppo di età la depressione è diffusamente rappresentata; un gruppo di psichiatri degli Stati occidentali degli USA facenti capo all’Università di Seattle ha intervistato 1.801 adulti classificati depressi attraverso l’Impact, un test impiegato per migliorare l’accesso ai trattamenti collaborativi; dopo tale intervista si sono estrapolati 1.001 casi di artropatia artrosica (osteoartrite). All’inizio e dopo 3, 6 e 12 mesi si è valutato il grado di depressione, l’intensità del dolore (su di una scala da 1 a 10), l’interferenza dell’artrosi sulle attività della vita quotidiana, lo stato generale di salute e la qualità della vita. Al doppio cieco metà dei soggetti sono stati trattati con antidepressivi mentre la restante metà è stata sottoposta ai trattamenti usuali. È stata confermata l’efficacia antidepressiva dei farmaci impiegati e soprattutto: - si è ridotta l’intensità del dolore; - è diminuita l’interferenza del dolore con le attività della vita quotidiana; - è migliorata la percezione del proprio stato di salute e la qualità della vita. Fra gli anziani depressi ma non artropatici il trattamento con antidepressivi ha determinato egualmente miglioramenti nella percezione del proprio grado di salute. Va rilevato che a tutti gli anziani del gruppo era stata fornita una assistenza psicosociologica basata sulle tecniche di problem-solving. Dal punto di vista pratico si suggerisce di effettuare lo screening per la depressione fra gli anziani che presentano sintomi di osteoartrite. In tal modo il menu del trattamento può includere farmaci antidepressivi, educazione del paziente, supporti per l’attività fisica e tutti gli interventi che possono massimalizzare lo stato funzionale e la qualità della vita (5). La gestione del dolore percepito dal paziente in un Ospedale ad alta specializzazione è rientrata fra le indagini condotte dall’Agenzia Regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia ed il nosocomio investigato è costituito dal Policlinico Universitario a gestione diretta di Udine (313 posti letto); fra tutti i pazienti ricoverati in costanza di degenza o trattati presso il Day Hospital nel mese di novembre 2002 si è rilevata la percezione del dolore (nelle ultime 24 ore e negli ultimi 15 giorni). Si è utilizzata una scala numerico-verbale (VNS): 0 = assente, 1-3 = lieve, 4-7 = moderato, 8-10 = intenso. Nelle cliniche di chirurgia generale, di ostetricia-ginecologia, ematologia, oncologia e reumatologia è stato domandato al personale infermieristico quale punteggio assegnerebbe a quel dato paziente sulla base del dolore percepito in questo momento. È stato, quindi, calcolato il coefficiente Kappa di concordanza fra la risposta fornita dal paziente ed il giudizio dell’infermiere; l’età media dei pazienti era 51,1 e nel 37% dei casi avevano una licenza di scuola media superiore. Nel 45,5% erano malati oncologici, nel 17,2% partorienti e la degenza media era di 9,6. Alcuni risultati della distribuzione dell’intensità del dolore nel tempo sono ovvi: netta appare la prevalenza nel settore ostetrico-ginecologico seguito dal post-chirurgico. La terapia antidolorifica è stata somministrata nel 25,8% dei pazienti oncologici, nel 32,3% fra le puerpere; prevale il ricorso ai FANS, mentre gli oppioidi sono stati utilizzati nel 22,7% (6). Per quanto riguarda la stima del grado del dolore da parte dell’infermiere nel 17,2% vi è stata una sovrastima, nel 13,2% una sottostima, ma nel 69,6% una concordanza fra le risposte del paziente ed il giudizio dell’infermiere. Le condizioni morbose nelle quali il dolore è apparso più frequentemente sono quelle nelle quali l’algia preesisteva da almeno 24 ore; il post-operatorio ed il ricovero in reparto ostetrico-ginecologico. Non si sono, invece, rilevate differenze per quanto riguarda il sesso, le fasce di età ed il titolo di studio. Un quinto dei pazienti seguiva terapie antalgiche prima del ricovero ed in questi casi il dolore è persistito per almeno 15 giorni. L’esigenza di una formazione del personale è avvertita e lo stesso consumo di farmaci antalgici appare maggiore nei reparti chirurgici presso i quali sono stati adottati protocolli per il trattamento del dolore post-operatorio. Viene comunque proposto l’inserimento nella cartella clinica di una scheda per la valutazione dello stato di sofferenza. Le più recenti disposizioni regolamentari sulle prescrizioni di farmaci analgesici nel caso di patologie neoplastiche e degenerative sono illustrate sul Bollettino d’informazione sui farmaci (7). Nel D.M. 4 aprile 2003, che fa seguito alla Legge 8 febbraio 2001 n.12, sono state semplificate le modalità prescrittorie. In particolare: - non è più necessario scrivere la dose in tutte le lettere; - non è obbligatoria l’indicazione dell’indirizzo del paziente; - non vi è più l’obbligo della conservazione per 6 mesi della copia della ricetta; - viene aggiunta la buprenorfina in tutte le forme farmaceutiche. Pertanto i farmaci che godono delle agevolazioni prescrittive sono, oltre alla buprenorfina, la codeina, la diidrocodeina, il fentanyl, l’idrocodone, l’idromorfone, il metadone, la morfina, l’ossicodone, l’ossimorfone. Possono essere prescritti due medicinali diversi fra loro o lo stesso medicinale con differenti dosaggi o diverse forme farmaceutiche; il ciclo di terapia non deve essere superiore a 30 giorni. Nel caso dei cerotti transdermici che vanno sostituiti ogni 3 giorni il limite di 30 gg è rappresentato dal giorno di applicazione dell’ultimo cerotto. Per quanto riguarda la buprenorfina, quando prescritta in caso di dolore acuto non oncologico (es: colica renale, frattura, etc.) se in fiale si deve usare la ricetta ministeriale (ricetta gialla) per una cura non superiore ad otto giorni; in altre forme: ricetta da rinnovarsi per un periodo non superiore ad un mese. Rassegne Critiche Bibliografiche 65 BOLLETTINO PER LE FARMACODIPENDENZE E L’ALCOOLISMO XXVII - N. 3-4/2004 I farmaci con principi attivi in associazione vanno prescritti sulla ricetta gialla (sempre per i casi di patologia neoplastica o degenerativa) allorquando uno dei farmaci è compreso nell’allegato III-bis. In questi casi inoltre vanno prescritti su ricetta autocopiante. Nel caso di trattamento di un dolore acuto (mal di denti, fratture, etc.) con ricetta ripetibile. Va rilevato che la ripetibilità della ricetta non è consentita quando contiene più di un farmaco tabellato. I ricettari sono “personali” per cui il medico sostituto non può utilizzare il ricettario del titolare. Il farmacista è tenuto a conservare la ricetta autocopiante per 5 anni in quanto la ricetta è giustificativa dello scarico dal Registro della farmacia. Il farmacista è tenuto inoltre a controllare l’identità dell’acquirente per tutte le prescrizioni di farmaci compresi nelle tabelle con l’eccezione di quelle di buprenorfina per os o per via intradermica. È ammessa l’autoprescrizione per medici e veterinari, a proprie spese e con obbligo di conservazione dell’autoricetta per due anni. Nel Registro va segnalata da parte del medico la movimentazione dei farmaci per uso professionale urgente. Il Registro relativo non corrisponde ad un modello nazionale ma viene stabilito dalla Regione. È previsto il mantenimento della richiesta in triplice copia per il rifornimento di quelle Istituzioni sanitarie prive di farmacia interna ed i farmaci vanno registrati sotto la responsabilità del Direttore sanitario. Per i pazienti in dimissione vanno forniti delle quantità necessarie per continuare la terapia. Nel caso di assistenza domiciliare va assicurata la continuità terapeutica secondo normative locali. Bibliografia 1) 2) 3) 4) De Angelis C.: Pain management, JAMA, 290: 2480-81, 2003 Meldrum M.L.: A capsule history of pain management, JAMA, 290: 2470-75, 2003 Block B.M.: Efficacy of post-operative epidural analgesia: a meta-analysis, JAMA, 290: 2455-63, 2003 Simons S., Van Dijk M., Van Lingen R.: Routine morphine infusion in preterm newborns who received ventilatory support - A randomized controlled trial, JAMA, 290: 2419-27, 2003 5) Lin E., Katon W., Von Korff M.: Effect of improving depression care on pain and functional outcomes among older adults with arthritis, JAMA, 290: 2428-34, 2003 6) Quattrin R., Regattin L., Lattuada L.: Modalità di gestione del dolore percepito dal paziente in un Ospedale ad alta specializzazione, Igiene e Sanità Pubblica, LIX (4): 239-52, 2003 7) Ministero della Salute: Panorami e percorsi: come utilizzare i farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore, Bollettino di Informazione sui Farmaci, 119-25, 2003 L’ABUSO DI FARMACI DA BANCO ANTITOSSE Leinwand D.: Aumento dei casi di overdose da antitosse nei Pronto Soccorsi; Beiser D.: Dextromethorphan is a common cough suppressant in over the counter medicines, National Institute of Health - Drug Enforcement Administration, 2 Gennaio 2004 L’abuso di farmaci da banco antitosse (Coricidin) sta dilagando soprattutto fra gli adolescenti; la codeina, che è alla base degli abusi, necessita di una prescrizione medica, ma in almeno 120 farmaci generici è contenuto il dextrometorfano designato con il nome di Robo (donde il nome di Robotripping e/o di Tussin). Tali farmaci assunti in forti dosi possono provocare allucinazioni simili a quelle prodotte dalla pcp. I sintomi principali sono: sudorazione, ipertermia, bocca asciutta, cute secca con prurito, diplopia, allucinazioni, deliri, gastralgie, vomito, ipertensione, arrossamento del volto, intorpidimento delle dita e dell’alluce, forte cefalea fino alla perdita di coscienza. I più colpiti sono gli studenti che hanno conosciuto i prodotti su internet; i consumi sono di gruppo ed i primi sintomi di overdose si manifestano dopo 2-3 ore dal consumo di 5-6 pasticche, spesso nel contesto di allucinazioni collettive. IL NUOVO VOLTO DELL’ABUSO DI VIAGRA National Institute of Health, Drug Enforcement Administration, December 2003 Si moltiplicano le richieste di Viagra da parte di adolescenti che ottengono il farmaco sia via internet sia con false ricette (a quella età sono rare le disfunzioni erettili). Tuttavia è una leggenda metropolitana che il Viagra prolunghi le erezioni spontanee, mentre più preoccupante e sempre più frequente è l’abuso in associazione con Ecstasy (Sextasy). La popolarità è massima fra i gay ed i bisex; non mancano abusi associati di Viagra e Metanfetamina con il rischio di cali improvvisi della pressione arteriosa. La ditta produttrice afferma di non aver mai reclamizzato l’uso “ricreativo” insistendo sulla limitazione ai casi di effettiva ED (disfunzione erettile). Tuttavia oggi il Viagra deve affrontare la concorrenza del Vitra e del Cialis, farmaci che hanno una durata di azione pro erezione superiore rispetto a quella classica del Viagra. Non a caso la ditta produttrice sponsorizza avvenimenti sportivi strumentalizzando l’ideologia del “macho”. Va rilevato che sembra fallita la via di utilizzazione del Viagra come vasodilatatore preventivo delle ischemie miocardiche; infatti si è visto come la vasodilatazione sia limitata al settore vascolare perigenitale. Nella discussione non manca il cenno al problema: “dirlo o non dirlo al partner femminile?” Non sembra, comunque, che si possa parlare di rischio di dipendenza se non dal punto di vista psicologico. 66 Rassegne Critiche Bibliografiche DALLA LETTERATURA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE ABUSO DI SOSTANZE E PATOLOGIE MENTALI Williams S.: Early use of drugs may lead to later psychiatric disorders, NIDA Notes, 18 (5): 5-13, 2003 Su 10 abusatori di droghe e/o alcol, almeno 6 presentano una patologia mentale; al converso dal 25 al 60% dei soggetti con patologie mentali fanno abuso di droghe o alcol. In diversi casi trattasi di una predisposizione genetica comune verso il passaggio dall’uso all’abuso e verso lo squilibrio mentale; ma non manca l’ipotesi che l’assunzione di sostanze costituisca una forma di auto-cura di patologie mentali pre-esistenti. Inoltre la messa in evidenza di alterazioni neurobiologiche nei tossicodipendenti fa ipotizzare l’esistenza di una vulnerabilità come premessa per il passaggio dall’uso all’abuso e dall’abuso alla dipendenza. In questo settore è stata condotta la ricerca dalla NIDA in associazione con il National Institute of Mental Health su di un gruppo di adolescenti seguiti sin dall’infanzia (736) e rivisitati ogni 5 anni con richiesta di informazioni sui consumi di tabacco, alcol, marijuana ed altre sostanze illecite. La raccolta di informazioni sui disturbi comportamentali e sui disturbi dall’umore ha individuato l’esistenza di fattori comuni fra un abuso precoce di sostanze ed una successiva comparsa di forme di depressione maggiore (MDD); vi sono anche altre patologie comportamentali associate con un abuso precoce di sostanze, schizofrenia e disordine da stress post-traumatico (PTSD), ma la MDD è quella che assume importanza maggiore. Va rilevato che le alterazioni dei neuro-trasmettitori dopamina e serotonina e del peptide legato allo stress, il fattore di rilascio della corticotropina, tipiche delle patologie da abuso, lo sono anche per la depressione maggiore. I bambini che presentano l’ADHD, cioè il deficit di attenzione/iperattività, hanno un rischio maggiore di sviluppare dipendenze da droga in età giovanile e questo rischio viene ridotto quando in età pediatrica si procede alla somministrazione di stimolanti (Ritalin). Questi fatti si ricollegano con i vantaggi che sono stati dimostrati dal trattamento dei tossicodipendenti in trattamento metadonico con anti-depressivi in quanto vengono a ridursi i disturbi dell’umore. Appare, inoltre, quanto mai importante l’associazione fra il consumo precoce di marijuana e lo sviluppo successivo di MDD e/o alcolismo, oltre che di dipendenza da sostanze. PREVENZIONE DELL’USO DI DROGHE TRA I GIOVANI Ellickson Ph., McCaffey D., Ghost-Dastidar B.: New inroads in preventing adolescent drug use: results from a large scale trial of project alert in middle schools, American Journal of Public Health, 93: 1830-1836, 2003; Griffin K.W., Botvin G.J.: Effectiveness of a universal drug abuse prevention approach for youth of high risk for substance use initiation, Preventive Medicine, 36:1-7, 2003; Skara S., Sussman S.: A review of 25 long term adolescent tobacco and other drug use prevention program evaluations, Preventive Medicine, 37: 451-474, 2003 Recentemente da parte del National Institute of Health è stata scritta una guida su “Preventing Drug Use among Children and Adolescent” basata su studi e ricerche (2a Edizione Ottobre 2003, 41 pagine) in contemporanea con una edizione più ristretta sempre destinata a genitori, educatori e leader di comunità. Si distingue fra fattori di rischio e fattori protettivi. Fra i primi si collocano i comportamenti aggressivi precoci che hanno come corrispettivo protettivo le forme di controllo degli impulsi. È importante fare in modo che i fattori protettivi si sviluppino prima del passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza in quanto abitudini adolescenziali e relativi abusi più difficilmente possono venire controllati. Naturalmente la presenza di un familiare abusatore accentua i rischi insieme ad una mancanza di supporto familiare. Ma è sopratutto l’insieme degli elementi di transizione e la incertezza sulle regole di convivenza familiare che favorisce il distacco fra la vita del minore e quella della famiglia. Nel caso di studenti delle scuole medie superiori appare importante puntare sul successo scolastico e sull’atmosfera e, nello stesso tempo, collegare i vari momenti scolastici e di incontro giovanile. Vengono citati diversi programmi che collegano scuola e famiglia come il Classroom Centered (CG) e il Family-School Partnership (FSP); più specifici appaiono programmi del tipo Promoting Alternative Thinking Strategies (PATHS) che mirano a produrre competenze emotive e sociali per attenuare i comportamenti aggressivi accentuando l’auto-controllo e migliorando la tolleranza verso le frustrazioni impiegando strategie per la risoluzione dei conflitti. SOAR invece è la sigla per Skills, Opportunity and Recognition che si rivolge anche alla prevenzione della delinquenza minorile coinvolgendo genitori, insegnanti e studenti e puntando sul rafforzamento dei legami scuola/famiglia attraverso il controllo dei comportamenti anti-sociali ed il rafforzamento delle relazioni positive. LST è la sigla di Life Skills Training che associa l’apprendimento di capacità generali personali a quelle più attinenti alla vita sociale accentuando i fattori di resistenza nei confronti delle sostanze. Dura tre anni e si sviluppa in tre piani: - insegnamento delle attività di resistenza verso le droghe; - apprendimento di capacità di auto-management; - apprendimento di capacità sociali generali. Si prevedono oltre ai programmi triennali anche sessioni di richiamo-rafforzamento. Il programma che è stato maggiormente oggetto di ricerche è ALERT: un curriculum di 2 anni destinato alle scuole medie e centrato sulla prevenzione nei confronti dell’uso di tabacco, alcol, marijuana e inalanti. Il programma è stato riconosciuto come assai valido sia dal Dipartimento dell’Educazione USA sia dal NIDA. Il programma inoltre è stato sperimentato sulla Costa Occidentale ed ha ottenuto un punteggio positivo per quanto si riferisce ai consumi di sigarette e di marijuana da parte degli studenti della terza media (anche se non ha inciso sulle abitudini taba- Rassegne Critiche Bibliografiche 67 BOLLETTINO PER LE FARMACODIPENDENZE E L’ALCOOLISMO XXVII - N. 3-4/2004 giche). Come controllo è stata condotta una applicazione sperimentale fra le scuole medie superiori del Mid-West, cioè in un contesto culturale diverso rispetto alla California, specie per quanto riguarda l’accettazione sociale dell’alcol; la ricerca è stata condotta da un gruppo di psicologi e sociologi della Rand Corporation (di Santa Monica) fra studenti ed insegnanti di scuole rurali e di città di medie dimensioni. È noto che il modello preventivo di ALERT poggia su tre teorie delle modificazioni dei comportamenti: - il modello delle credenze sulla salute che punta sui fattori cognitivi che motivano i comportamenti; - il modello dell’apprendimento sociale che enfatizza la normativa sociale ed il ruolo degli “altri” nella determinazione dei comportamenti; - la teoria sul grado di auto-stima e dell’influenza sui propri comportamenti. L’obiettivo è: Modificare le opinioni degli studenti intorno ai problemi di assunzione delle droghe/alcol/fumo specie per quanto riguarda le conseguenze personali, emozionali e sociali dell’uso di droghe; Aumentare le resistenza nei confronti delle stimolazioni verso il consumo da parte dei coetanei, degli adulti, dei media e, soprattutto, creare il convincimento di farcela. Si impiegano tecniche interattive come quelle di domande/risposte, attività di piccoli gruppi; sono 11 le lezioni per gli studenti della seconda media superiore e 3 per la terza media superiore (rispettivamente 7° ed 8° grado). Gli studenti vengono ab initio suddivisi fra non consumatori giovani che iniziano la sperimentazione e consumatori (questi ultimi divisi fra iniziatori e consumatori a rischio). L’impostazione della ricerca è stata rigorosa e la suddivisione è stata rispettata anche per i coetanei di controllo che frequentavano scuole senza programmi ALERT. I risultati più brillanti si sono registrati fra coloro che iniziavano a sperimentare il fumo e fra i bevitori a rischio di abuso, cioè fra i gruppi a maggior rischio di venire coinvolti in abusi e dipendenze.Vi sono state anche modificazioni importanti nei comportamenti aggressivi e nel profitto scolastico. L’efficacia dei programmi anti-droga nelle scuole medie continua nelle scuole superiori; è il caso di LST (Life Skills Training) che ha mostrato validità anche nei confronti degli studenti a maggior rischio, vale a dire coloro che presentano deficit scolastici ed hanno amici tossicodipendenti. L’effetto riguarda sia i consumi di alcol e di sigarette che quelli di inalanti. Eguali risultati si sono avuti fra adolescenti di etnie minoritarie, studenti in scuole a basso livello, specie quando si è insistito sull’insegnamento delle capacità sociali, mentre il livello scolastico non differisce fra gruppo a rischio e gruppo di controllo; così dicasi almeno all’inizio della ricerca fra la frequenza dei tre stadi di comportamento. È importante sottolineare come il risultato positivo sia perdurato per almeno un anno dopo la conclusione del ciclo di lezioni. Per quanto riguarda i consumi l’effetto maggiore a distanza si è avuto per il fumo, per l’ecstasy, la marijuana, le anfetamine, i tranquillanti, gli steroidi, mentre eroina, crack ed alcol non hanno mostrato riduzioni. Gli inalanti sono risultati in aumento e così i farmaci da banco anti-tosse (sopratutto quelli a base di codeina). Uno studio ha valutato l’efficacia a distanza dei vari programmi di prevenzione del fumo in età adolescenziale: in una metaanalisi delle verifiche a distanza di 2-15 anni dall’applicazione del programma nell’età adolescenziale si sono analizzati 25 ricerche che hanno superato il primo filtro esaminando i lavori da parte di due esperti indipendentemente uno dall’altro. In generale l’efficacia a lungo termine risulta maggiore nei confronti dei non fumatori che iniziano a sperimentare il fumo. I programmi che puntano sull’influenza socio-culturale si sono dimostrati utili anche per la riduzione dell’iniziazione verso marijuana ed alcol. Naturalmente sono più efficaci i programmi che prevedono cicli di richiamo; ma il problema maggiore nel confronto è quello di una mancanza di criteri standard per la verifica di una validità interna ed esterna sia nei gruppi di classi nelle quali è stato sviluppato il programma preventivo sia nei criteri di controllo della rappresentatività. Viene comunque confermata l’importanza che ha l’effetto a breve distanza. RABBIA E AGGRESSIVITÀ: CATEGORIE COMPORTAMENTALI LEGATE ALL’ABUSO DI ALCOL Perrott D., Zeichner A., Stephens D.: Effect of alcohol, personality and provocation on the expression of anger in men: a facial coding analysis, Alcoholism: Clinical and Experimental Research, 27: 937-945, 2003 Gli psicologi dell’Università di Atene (Georgia) per effettuare uno studio sull’espressione della rabbia e dell’aggressività sui degli alcolisti hanno impiegato un sistema di erogazione improvvisa di scariche elettriche a soggetti con vari gradi di consumi alcolici dichiarati, monitorizzando la frequenza del polso e, sopratutto, filmando le variazioni emotive nell’espressione del volto. Si distingue fra rabbia “esteriorizzata” (Anger Out) e quella “interiorizzata” (Anger In); quest’ultima si può manifestare con disappunto oppure con segni di ira trattenuta. Le sopraciglia sollevate costituiscono uno dei 44 movimenti della mimica facciale che possono rappresentare forme represse di reazione negativa. Lo studio conferma che l’alcol abbassa la soglia di irritazione, e che la codifica riportata dalla documentazione fotografica è in stretta correlazione con i tratti di personalità. GENETICA DELL’ALCOLISMO NIAAA - National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism: The genetic of alcoholism, Alcohol Alert, n. 60, July 2003; Sandstrom K., Rajaan T., Feinn R.: Salty and sour taste characteristics and risk of alcoholism, Alcoholism: Clinical and Experimental Research, 27: 955-961, 2003 La genetica dell’alcolismo parte dalla constatazione che i gemelli monocoriali hanno un rischio doppio di avere entrambi 68 Rassegne Critiche Bibliografiche DALLA LETTERATURA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE una dipendenza da alcol mentre i gemelli “fratelli” presentano un rischio in aumento solo del 50%. Dal punto di vista genetico trattasi di un 50-60% di rischio genetico sul quale agiscono i fattori ambientali. Certo nei topini è più facile separare i fenotipi (tendenza verso gli effetti sedativi, tendenza verso quelli eccitatori, facilità di intossicazione. Nel genere umano l’aspetto genetico riguarda le differenze negli enzimi che metabolizzano l’alcol a livello epatico, vale a dire l’acetaldeide che si trasforma in acetato. Questa trasformazione risulta rallentata quando geneticamente è ridotta la produzione di enzimi dell’alcoldeidrogenasi (ADH) o della deidrogenasi dell’aldeide (ALDH). La presenza di acetaldeide provoca arrossamento, nausea e tachicardia. I geni associati con l’arrossamento sono più frequenti fra gli asiatici, il che coincide con i consumi alcolici più bassi in quelle popolazioni. I risultati delle numerose indagini sui murini e quelli delle ricerche su umani hanno consentito di orientare l’ipotesi verso i geni che presiedono all’attività della serotonina e del GABA (acido gamma-aminobutirrico); in una recente ricerca condotta su un gruppo di uomini seguiti per 15 anni coloro che presentavano variazioni genetiche del gene trasportatore della serotonina e di un tipo di recettore GABA a 20 anni di età mostravano una riduzione della risposta all’alcol e si collocavano come soggetti con comportamenti vicini a quelli dell’alcolismo. Le variazioni di un gene della serotonina sono alla base della tendenza a spingere il consumo fino all’ebbrezza. Le variazioni genetiche nei confronti di alcuni stessor come il dolore sono alla base di diversi disturbi comportamentali ivi compreso l’alcolismo. Una variazione genetica di un enzima (la catecol-o-metiltranferasi) che metabolizza la dopamina e la norepinefrina riduce la soglia dolorifica e nel sesso femminile aumenta il grado di ansietà con un pattern dell’EEG vicino a quello dell’alcolismo. Il fatto che l’azione dell’antagonista degli oppiodi Naloxone nel trattamento dell’alcolismo sia di efficacia variabile dipende dalla diversità genetica del recettore mu degli oppiodi. Gli studi degli alberi familiari e le ricerche del COGA (Collaborative Study on the Genetics of Alcoholism) su gruppi familiari con generazioni multiple di alcolismo hanno identificato siti caldi per alcolismo in 5 cromosomi ed un’area protettiva in un cromosoma vicino alla collocazione dei geni per la deidrogenasi alcolica. L’andamento delle onde beta dell’EEG consente di prospettare nuove ipotesi legate alla affinità con i recettori GABA che vengono interessati dall’esposizione all’alcol. Variazioni congenite nei gusti di dolce e salato possono essere markers di un assetto genetico legato associato all’alcolismo. Si parte dalla constatazione che gli alcolisti tendono a consumare molto saccarosio rispetto ai coetanei di controllo; questa abitudine si estende ai familiari ma non è stata confermata in gruppi con anamnesi paterna di potus elevato per cui si distingue fra alcolisti con storia paterna di alcolismo (PHP) ed alcolisti con anamnesi paterna negativa (PHN). L’ipotesi di partenza è quella che i PHP percepiscano le soluzioni saline e quelle acide in modo più intenso e, quindi, meno piacevole rispetto alle sensazioni dei PHNs; la ricerca condotta dal Dipartimento di Psichiatria dell’Università del Connecticut ha coinvolto 112 soggetti non alcolisti che nel 40% erano PHP ai quali sono state fatte assaggiare soluzioni di grado diverso di salinità e di acidità. In genere i PHP hanno classificato come più intense le soluzioni acide per le quali hanno espresso un giudizio negativo rispetto ai coetanei PHN. Per valutare il grado di percezione dell’amaro si sono fatte assaggiare soluzioni con diverso contenuto di 6-n-propil-tiouracile: i soggetti PHN percepiscono l’amaro con bassa soglia rispetto ai PHP. Il che potrebbe costituire un elemento di protezione nei confronti del bere eccessivo in quanto i PHN avvertirebbero precocemente il gusto amaro degli alcolici e quindi stabilirebbero una avversità nei confronti delle bevande alcoliche. Le differenze fra i due gruppi riguardano anche la distribuzione dei recettori linguali per il salato; per quest’ultimo gruppo PHN - il gusto del salato si avverte anche a piccole dosi per cui di fronte agli stessi piatti di minestra alcuni aggiungono sale mentre altri ritengono sufficiente quello aggiunto durante la preparazione. Viene, pertanto, a configurarsi un “pacchetto gustativo” che differenzia i PHP dai PHN. BERE IN ADOLESCENZA NIAAA - National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism: Underage drinking: a major public health challenge, Alcohol Alert, n. 59, 2003 Il bere adolescenziale comporta un aumento di mortalità per incidenti del traffico nei quali all’effetto dell’alcol si associa l’inesperienza di chi guida; la frequenza di incidenti fatali fra i 16 ed i 20 anni è doppia rispetto a quella dei > di 21 anni. Il suicidio è la terza causa di morte nell’età 14-25, specie nel sesso femminile. Lo stupro avviene nel 10% delle studentesse in concomitanza con abusi alcolici, mentre gran parte del sesso è a rischio (partner multipli, mancanza di prevenzione); esiste tuttavia una soglia di consumo oltre la quale prevalgono gli effetti tossici acuti dell’alcol con conseguente difficoltà ad avviare un rapporto sessuale. L’alcol rallenta il normale sviluppo cerebrale durante l’adolescenza portando a riduzioni nelle capacità cognitive e blocco dell’acquisizione di nuove capacità. Fra gli adolescenti abusatori di alcol si hanno frequentemente deficit mnemonici che sono dimostrabili attraverso la PET a livello dell’ippocampo. Quest’ultima area cerebrale risulta di dimensioni ridotte nei giovani abusatori precoci, cioè nel gruppo maggiormente a rischio di diventare alcol-dipendente. Dal punto di vista caratteriale aggressività e ricerca di nuove sensazioni sono alla base della predisposizione genetica ed ambientale. Per quanto riguarda le recidive nell’abuso appare essenziale il ruolo della pressione dei coetanei (peers). Viene ribadita l’importanza di elevare l’età minima per l’accesso agli alcolici, infatti, sulla base delle statistiche USA, si può dimostrare come passando dai 18 ai 21 anni si siano salvate fra il 1975 ed il 2000 almeno 20.000 vite con questi provvedimenti normativi. Inoltre si sottolinea l’importanza della tolleranza zero per l’alcolemia al di sotto dei 21 anni. Rassegne Critiche Bibliografiche 69 BOLLETTINO PER LE FARMACODIPENDENZE E L’ALCOOLISMO XXVII - N. 3-4/2004 CONSUMI ALCOLICI E MISURE OGGETTIVE Del Boca F.K., Darkes J.: The validity of self-report of alcohol consumption: state of the science and challenges for research, Addiction, 98 (Suppl.2): 1-12, 2004; Beck O., Helander A.: 5-Hydroxytryptophol as a marker for recent alcohol intake, Addiction, 98 (Suppl.2): 63-72, 2004 Fino a che punto le auto-dichiarazioni sui consumi alcolici corrispondono alle misurazioni biochimiche? Non si tratta tanto di un puntiglio statistico ma dell’opportunità di identificare precocemente i bevitori problematici e gli abusatori in modo da sviluppare in tempo utile le misure preventive e curative. Non va trascurato l’aspetto “sicurezza” che riguarda l’accertamento obiettivo dei consumi di categorie come quella dei piloti, dei controllori del traffico aereo e di altre categorie ad alto rischio. Essenziale a tal fine è l’individuazione di sistemi che consentano di differenziare fra forte bevitore e bevitore problematico. I biomarkers tradizionali sono costituiti da GGT, AST, ALT e MCV insieme alla più recente transferrina con deficit in carboidrati (CDT), mentre sono in corso ricerche sull’utilizzazione diagnostica e terapeutica dell’etil-glucuronide, un metabolita del catabolismo non ossidativo dell’alcol. Un tasso elevato di 5-idrossitriptolo nelle urine può costituire una testimonianza di un consumo alcolico recente. Per passare alla validità dell’auto-dichiarazione dei consumi è necessario verificare molte variabili cognitive, il sottofondo delle motivazioni, lo stato della memoria e le tecniche dell’intervista, senza trascurare il contesto dell’accettazione sociale del bere. Un metabolita della serotonina, il 5-idrossitriptofol, può costituire un marker di consumi alcolici per 5-15 ore: questo metabolita è un componente normale delle urine e viene escreto sopratutto come forma coniugata con l’acido glucuronico (5HTOL). La sua formazione aumenta in modo netto dopo ingestione di alcol, ma per la sua identificazione è necessario l’impiego della GC-MS (gas cromatografia e spettrometria di massa) o dei metodi di LC-MS (cromatografia liquida e spettrometria di massa), il che rende più difficile la sua utilizzazione per finalità medico legali non specialistiche. È in sperimentazione, tuttavia, un test ELISA per il 5-HTOL glucuronide e si studia la possibilità di impiego nei Centri di trattamento dell’alcolismo come strumento di monitoraggio dei trattamenti ambulatoriali. Altra applicazione potenziale è quella di screening dei pazienti alcolisti negli interventi di chirurgia elettiva (basti pensare al trapianto di fegato). Gli A.A. fanno parte della divisione di farmacologia clinica del Karolinska Hospital di Stoccolma. AGOPUNTURA E TRATTAMENTO DELL’ASTINENZA ALCOLICA Trüpler F., Oes S., Stählf P.: Acupuncture for alcohol withdrawal: a randomized controlled trial, Alcohol and Alcoholism, 38: 369-375, 2003 Negli anni ‘70 vi era stata una serie di rapporti sull’efficacia dell’agopuntura nella prevenzione e nel trattamento delle dipendenze e l’ipotesi prevalente era l’effetto del rilascio di endorfine prodotto dalla stimolazione dell’ago. Ma gran parte delle ricerche successive hanno dato risultati contradditori, probabilmente per l’interferenza con diversi fattori di confondimento. Per superere queste difficoltà gli esperti del Dipartimento di Medicina Sociale e Preventiva dell’Ospedale di Berna hanno utilizzato i pazienti ricoverati con manifestazioni di astinenza alcolica in soggetti con quadro netto di dipendenza alcolica e non polidrug, schizofrenici, epilettici o con disturbi della coagulazione. L’agopuntura è stata praticata sia con il laser sia con l’auricoloterapia e come controllo, al posto del placebo, è stata praticata agopuntura in punti dell’orecchio che non corrispondono ad organi o patologie. Il problema del placebo nella sperimentazione di terapie fisiche non è di semplice soluzione in quanto vanno esclusi gli effetti suggestivi. Va rilevato che il risultato ha ottenuto la citazione dei referee del New England Journal of Medicine. Come parametri di successo si è tenuto conto sia della durata dei sintomi dell’astinenza da alcol sia del numero di prescrizioni per sedativi necessari per il controllo della sintomatologia astinenziale. Non vi sono state differenze sostanziali con il laser (durata di 4 giorni della sindrome astinenziale per i due trattamenti, reale e fittizio) mentre la durata si è abbassata a 3 giorni dopo il trattamento agopunturistico classico. Ma la differenza non è statisticamente significativa. Pertanto l’agopuntura non va inclusa fra i trattamenti convalidati dell’astinenza alcolica. Per la cronaca sono stati usati aghi telescopici che non penetrano nella cute per cui la stimolazione è esterna. DEFINIZIONI DIAGNOSTICHE DEL TABAGISMO Tenaggi V.: Diagnostica del Tabagismo, Atti del 3° Congresso Nazionale di Medicina delle Dipendenze, Verona, 27 settembre 2002, pp. 60-64 Come comunica Tenaggi, pur essendo ovvia l’importanza della prima sigaretta poco dopo il risveglio mattutino sia il Test originario di Fageström (FTQ ovvero Fageström Tolerance Test) sia quello, sempre di Fageström, sulla Dipendenza da Nicotina (FTND) non sono stati considerati come validi a tutti gli effetti, per cui rimangono utili sia la determinazione del CO nell’aria espirata sia la concentrazione di cotinina nella saliva. Sono, invece ancora oggetto di discussione le definizioni di craving e di withdrawal in quanto poggiano su sensazioni soggettive di difficile quantificazione. 70 Rassegne Critiche Bibliografiche DALLA LETTERATURA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE Intanto trattandosi di questionari impostati in Paesi diversi dall’Italia risulta opportuna una loro validazione semantica e concettuale che ne consenta l’applicazione al contesto culturale del fumatore italiano. Al riguardo è stata applicata la tecnica dei Focus Groups confrontando le frasi registrate nel Focus con i quesiti posti nei vari test da validare, riscontrando tuttavia un’ampia sovrapposizione e corrispondenza. I partecipanti erano fumatori che non intendevano smettere ed a random sono stati suddivisi fra persone a fumo libero, persone sotto cerotti alla nicotina e fumatori sotto bupropion; i controlli sono stati effettuati con il CO e la cotinina nella saliva; la determinazione del CO è immediata mentre il rilevamento della cotinina richiede 4 giorni. Per quanto riguarda il monitoraggio del fumatore si distingue un insieme di criteri per la valutazione dello stato basale e criteri per verificare l’andamento del tabagismo. Nel primo gruppo va inserita l’anamnesi della volontà più o meno palese di smettere; quindi la verifica dell’applicazione dei criteri del DMS-IV e/o della relativa sindrome di astinenza. Il FTND consente di parametrare il grado di dipendenza. Invece per misurare il grado di craving e di withdrawal si può puntare sull’auto-somministrazione dei questionari la cui traduzione è stata verificata. Egualmente sono validi i test sul CO e la determinazione della cotinina nella saliva. Per quanto riguarda il mantenimento dell’astinenza l’acronimo RIDE riassume bene come fronteggiare le stimolazioni del craving nel senso di: Ritardare - Involarsi - Distrarsi - Evitare. Trattasi di suggerimenti che potrebbero riassumersi nel termine evitare le situazioni a rischio sia ambientale che amicale. Il termine “involarsi” sta a significare l’allontanamento dalla tentazione. INFLUENZA DI FATTORI GENETICI SUL CRAVING PER LA NICOTINA Swan N.: New imaging technology confirms earlier PET scan evidence: methamphetamine abuse linked to human brain damage, NIDA Notes, 18:2, pp. 1-6, 2003 Per analizzare l’influenza di fattori genetici sul craving per la nicotina e conseguentemente la frequenza delle ricadute, si fa il punto sul ruolo di un enzima il CYP2B6 che assicura la rottura della nicotina a livello cerebrale. Geneticamente possono aversi gradi diversi di attività enzimatica. I fumatori con livelli bassi di attività enzimatica presentano forme di craving più acute ed hanno 1,5 volte di più la possibilità di ricadute. Lo stesso enzima è importante perché una sua bassa attività riduce l’effetto anti-smoking di un antidepressivo, il bupropion, per cui è necessario triplicare le dosi. Almeno nella popolazione USA il 70% della popolazione eredita due copie della variante C, cioè del gene che influenza l’attività del CYP2B6. Il restante della popolazione eredita la variante T associata ad una bassa attività di questo enzima. Prima di sposare tesi neurobiologiche va esclusa, almeno nel sesso femminile, la presenza di una ridotta sensibilità verso l’umor nero che potrebbe accompagnare la sindrome di astinenza da nicotina; e questo per un migliore management dell’astinenza da nicotina. Ma va anche considerata l’ipotesi che fra i fumatori con bassi livelli dell’enzima, proprio per questa caratteristica, si abbiano a livello cerebrale quantità notevoli di nicotina non metabolizzata che, quindi, siano fonte di richiami di craving, ma soprattutto che l’alcaloide legandosi alle cellule cerebrali determini modificazioni tali da ridurre l’effetto bupropion. FUMO IN GRAVIDANZA Thapar A., Fowler T., Rice F.: Maternal smoking during pregnancy and attention deficit hyperactivity disorder symptoms in offspring, American Journal of Psychiatry, 160: 1985-1989, 2003; Buka S., Shenassa E., Niaura R.: Elevated risk of tobacco dependence among offspring of mothers who smoked during pregnancy - A 30 year prospective study, American Journal of Psychiatry, 160: 1978-1984, 2003; Toschje A.M., Montgomery S.M., Pleeiffer U.: Early intrauterine exposure to tobacco-inhaled products and obesity, American Journal of Epidemiology, 158: 1068-1074, 2003 Il fumo in gravidanza può associarsi all’insorgenza di deficit d’attenzione e sindrome da iperattività (ADHD). Nel Registro dei Gemelli di Manchester per la diagnosi di ADHD ci si è basati sulle informazioni da parte dei genitori e degli insegnanti. La serie dei gemelli consente di valutare l’influenza genetica sullo sviluppo della sindrome; altro fattore preso in considerazione è l’evenienza di fattori di stress ambientale e/o familiare; le caratteristiche per il punteggio di ADHD sono state: - spesso si muove sulla sedia ed ha difficoltà a restare seduto; - si distrae facilmente; - non segue il suo turno; - spesso non risponde a tono; - ha difficoltà nel seguire le istruzioni; - ha difficoltà a svolgere i compiti; - passa da una attività non completata ad un’altra; - ha difficoltà a giocare quietamente; - spesso parla eccessivamente; - spesso interrompe chi parla; Rassegne Critiche Bibliografiche 71 BOLLETTINO PER LE FARMACODIPENDENZE E L’ALCOOLISMO XXVII - N. 3-4/2004 - perde facilmente le cose; - spesso corre intorno o si arrampica; - normalmente sbaglia anche nei compiti più elementari. Appare pertanto giustificata l’assunzione di un effetto diretto del fumo in gravidanza sulle patologie neuro-fetali che sono alla base dei comportamenti dell’ADHD. La ricerca è importante in quanto aggiunge un altro danno certo alle conseguenze del fumo. I figli delle donne che fumavano in gravidanza più facilmente diventano dipendenti dalla nicotina in età giovanile/adulta: sono passati in media 29 anni ma i nati da donne che consumavano almeno un pacchetto di sigarette al giorno sono diventati dipendenti dalla nicotina. La serie prospettica gestita dalla Havard è durata 30 anni ed ha avuto come gruppo di confronto quello dei nati da donne che non hanno mai fumato in gravidanza. Il rischio è quello di passare dal consumo all’iperconsumo fino a raggiungere i criteri di assegnazione della dipendenza dalla nicotina. Una ipotesi è quella che il passaggio intraplacentale dell’alcaloide possa influire sui meccanismi di neuroregolazione di diversi neurotrasmettitori. Infatti il nesso fra fumo della gestante e dipendenza dalla nicotina del figlio è quello del ritmo di passaggio dal fumo in eccesso, all’instaurazione della tolleranza, del craving, della sindrome da astinenza. Se la madre fuma nel primo trimestre il figlio diventerà più facilmente obeso; uno studio bavarese retrospettivo esaminando circa 5000 bambini in età 5-6 anni ha interrogato i genitori circa molti aspetti della vita familiare fra i quali le abitudini fumatorie entrando nei dettagli anamnestici per il periodo pre e post-concezionale, nonché il tipo di alimentazione, di attività fisica e la cartella ponderale nei primi 6 anni di vita. Veniva anche misurato il tempo passato davanti alla TV, che ormai costituisce un primum movens per il peso in eccesso. Per obesità si intende un Indice di Massa Corporea >30 (30 kg/m?). Orbene il fumo della madre nel corso del primo trimestre di gestazione è risultato associato con il successivo sovrappeso ed obesità del figlio. In gran parte delle madri fumatrici il consumo di sigarette si è ridotto dopo il primo trimestre di gestazione, evidentemente a seguito di consigli ostetrici. Va anche segnalato che i figli delle fumatrici nel primo trimestre erano nella norma: infatti la riduzione del peso alla nascita è tipico dei neonati da donne fumatrici nell’ultimo trimestre di gravidanza, il che è stato confermato nella serie bavarese. È assai probabile che il fumo materno nel primo trimestre induca una malnutrizione fetale legata alla riduzione dell’alimentazione materna oltre che alla vasocostrizione dei vasi uterini e placentari. Va ricordato che nell’ormai classica serie dei neonati olandesi venuti alla luce durante gli anni della carestia 1941-45, l’obesità si è manifestata nella seconda infanzia. La deprivazione nutrizionale fetale può alterare i centri ipotalamici che regolano l’assunzione di cibo ed il numero di adipociti “pieni” senza escludere l’effetto di prodotti della combustione del tabacco sui meccanismi di segnalazione dell’insulina. Risulta pertanto necessaria una educazione anti-smoking a livello dei Centri ginecologici facendola coincidere con le prime somministrazioni di acido folico. Smettere di fumare quando si è già incinte non riduce di molto il rischio di obesità dei figli. Deve, invece, diventare un punto essenziale nella programmazione di gravidanze sicure. FUMO E MISURE PREVENTIVE Stillman F.A., Hartman A.M., Graubard B. et al.: Evaluation of the American stop smoking intervention study (ASSIST): a report of outcomes, Journal of the National Cancer Institute, 22: 1681-91, 2003 Staff M., Bennet C.M., Angel P.: Is restricting tobacco sales the answer to adolescent smoking? Preventive Medicine, 37: 530533, 2003; Le Cook B., Ferris Wayne G., Keithly L.: One size does not fit all. How the tobacco industry has altered cigarette design to target consumer groups with specific psychological and psychosocial needs, Addiction, 98: 1547-1561, 2003 Sono positive le esperienze del programma ASSIST (American Stop Smoking Intervention): in tutti gli Stati che ne hanno preso parte hanno ottenuto una riduzione del numero di fumatori. È dal 1991 che da parte del National Cancer Institute vengono erogati contributi agli Stati per assisterli nell’impostazione di politiche anti-fumo in partnership. L’obiettivo principale è la modifica dei fattori sociali, culturali, economici ed ambientali che favoriscono il fumo attraverso quattro strategie: - promozione di ambienti liberi dal fumo; - contrasto con la pubblicità dell’Industria del tabacco e con le promozioni e sponsorizzazioni; - limitazioni e divieti per l’accesso al fumo da parte dei più giovani; - aumento della tassazione sul tabacco. Si sono costituite vere e proprie coalizioni locali anti-smoking. Due sono state le fasi di ASSIST: - la prima dal 1991 al 1993 per studiare la pianificazione degli interventi; - la seconda della durata di 6 anni per l’applicazione e lo sviluppo dei programmi. Gli stanziamenti del National Cancer Insitute negli otto anni del programma sono stati di 128 milioni di dollari, una media di 1,14 milioni per anno e per Stato. Vi sono stati contemporaneamente altri interventi di sostegno da parte di altre Organizzazioni (soprattutto la Robert Wood Johnson Foundation) e non è mancato l’effetto di “alone” da parte degli Stati non partecipanti all’ASSIST ma confinanti. Pertanto è più difficile valutare l’impatto di ASSIST in un contesto nel quale non era possibile separare nettamente gli Stati (17) che sono entrati nel gruppo da quelli che, nel frattempo, sono stati esposti alla circolazione di routine di informazioni e messaggi anti-fumo. L’Industria del tabacco ha reagito con vari mezzi ed ha speso per il “contrattacco” ben 47 miliardi di dollari; se ASSIST fosse stata estesa a tutti gli Stati il numero di fumatori che hanno cessato sarebbe stato di 280.000. 72 Rassegne Critiche Bibliografiche DALLA LETTERATURA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE Una rete di telefoni verdi si sta stabilendo in modo da offrire ai fumatori che intendono smettere le informazioni più aggiornate sui metodi e sugli indirizzi dei Centri di auto-aiuto nonché sui farmaci sostitutivi. Il programma riguarda: - gli Stati che già hanno linee verdi ricevono un contributo per rafforzare il servizio e assumere personale bilingue in grado di offrire consulenza ai fumatori che intendono smettere; - gli Stati che non hanno linee verdi anti-fumo riceveranno contributi per istituirle e consulenza per gestirle. Si è già dimostrato come l’impiego del telefono “amico” sia più efficace rispetto alla distribuzione di opuscoli ed altro materiale. Certo che dal 1965 al 2002 vi è stato un calo drammatico nella frequenza di fumatori passati nella fascia adulta della popolazione dal 42,4% al 22,8%. Smettendo di fumare i vantaggi sono diversi:la pressione arteriosa torna normale, la circolazione migliora, il rischio di attacco cardiaco acuto si riduce del 50% ed analogo trend ha la probabilità di avere un cancro ed un ictus. Sono 38 gli Stati nei quali funzionano linee telefoniche di aiuto. Si è visto come il counselling telefonico abbia un valore analogo a quello dei farmaci sostitutivi. Va anche aggiunto che il Medicare USA finanzia Centri per la cessazione dal fumo mentre sono in corso attività preventive a livello della rete di Istituzioni pre-natali. La regione australiana del New South Wales ha istituito norme di controllo dell’effettiva restrizione del fumo con impiego anche di “agenti provocatori”, cioè di giovani che chiedevano sigarette. Le indagini sui consumi di tabacco sono state effettuate prima e dopo il rafforzamento di queste misure. Il programma di controllo sul rispetto da parte dei rivenditori dei divieti di vendita ai minori ha l’acronimo di PROOF; il 34% dei rivenditori ha violato la legge e nel 28%, malgrado la sanzione pecuniaria, ha proseguito nella violazione. Intanto l’osservanza è stata maggiore fra i piccoli commercianti ed i giovani fumatori si sono riversati nei grandi magazzini. Certo, con il tempo è aumentato il numero degli studenti che si sono auto-dichiarati “mai fumatori”, ma in generale la frequenza dei consumi di tabacco non è mutata. Si è confermato un maggior consumo di sigarette fra le studentesse delle classi miste, probabilmente per la stimolazione a comportarsi come i maschi. Il che significa che i divieti hanno scarsa influenza, mentre è necessario puntare sulle motivazioni psico-sociali. Cosa fa il nemico, cioè l’Industria del tabacco? Non segue un modello unico di pubblicità e di contro-offensiva ma si adegua ai principi del marketing esplorando le motivazioni esplicite od implicite del ricorso alla sigaretta nei vari segmenti; grosso modo le motivazioni generiche del ricorso al rituale della sigaretta sono: l’automatismo, l’effetto sedativo, l’effetto psicodiagnostico-addittivo, la stimolazione, la manipolazione sensoriale, il contesto psico-sociale. Naturalmente quando si giunge alla dipendenza questa motivazioni variegate sono sostituite dal craving e dagli altri sintomi astinenziali; esami psico-sociologici hanno identificato 4 “segmenti”della popolazione: - persone con grado basso di auto-stima; - donne alla moda con grado elevato di auto-stima; - maschi con scelte virili; - persone che ritengono di avere un notevole auto-controllo. Non manca il gruppo che presenta un’immagine negativa di se stesso e che teme di non essere in grado di resistere. Per ogni gruppo è stata studiata non solo la pubblicità più efficace ma anche il tipo di sigaretta da proporre: appare soprattutto importante l’elencazione dei desideri dei fumatori che appartengono ad una determinata categoria; le Camel ad esempio sono adatte per gli uomini “macho” con tendenza alla ricerca di avventure extra-domestiche. Sia il patrimonio di idee e di documentazione socio-psicologica che la ricerca sulla documentazione “riservata” delle Compagnie del tabacco va assolutamente utilizzata per il counseling anti-smoking differenziato per categoria di fumatore. ESPOSIZIONE AL FUMO E ASMA Jaakola M., Pilari R., Jaakkola N.: Environmental tobacco smoke and adult-onset asthma: population based incident case-control study, American Journal of Public Health, 93: 2055-2060, 2003 Mentre vi sono molte evidenze sull’associazione fra esposizione al fumo ed asma infantile il rapporto fumo passivo/asma è meno netto per gli adulti. Spesso si tratta di auto-segnalazioni di asma; la parte meridionale della Finlandia può considerarsi come un grande laboratorio umano (vedesi le ricerche su dieta e coronaropatie e quelle sui consumi alcolici). In un’area di 441.000 abitanti in età lavorativa, tutti i casi di asma bronchiale diagnosticati presso l’Ospedale di Pirkanaman (Tampere) nel periodo settembre 1997 - marzo 2000, e quelli individuati presso l’Università ed altri Centri, riesaminando anche i lavoratori che avevano ottenuto riconoscimenti di invalidità per problemi respiratori, senza trascurare coloro che avevano avuto prescrizioni di farmaci, sono stati inclusi nello studio. In tutto sono stati segnalati 521 pazienti, formando anche un adeguato gruppo di controllo. Si sono in parallelo effettuate indagini sia sul posto di lavoro sia a domicilio circa la presenza di fumatori ma anche di allergeni respiratori. Va rilevato che rispetto ad altre indagini relative ai fattori indoor che influiscono sull’asma la diagnosi di questa condizione deriva sia dall’esame clinico sia dalla misurazione della funzionalità polmonare con conseguenti risultati diagnostici più specifici. Rassegne Critiche Bibliografiche 73 BOLLETTINO PER LE FARMACODIPENDENZE E L’ALCOOLISMO XXVII - N. 3-4/2004 FUMO: ASPETTI EPIDEMIOLOGICI Ezzati M., Lopez A.: Estimates of global mortality attributable to smoking in 2000, Lancet, 362: 847-52, 2003; Vessey M., Painter R., Yeates D.: Mortality in relation to oral contraceptive use and cigarette smoking, Lancet, 362: 185-191, 2003; Lau E.M.C., Lee P., Lynn H.: The epidemiology of cigarette smoking in Hong Kong Chinese women, Preventive Medicine, 37: 383-388, 2003 Per valutare l’impatto del fumo sulla mortalità globale si è applicato il SIR cioè il rapporto fra la mortalità in eccesso per tumore del polmone fra coloro che non avevano mai fumato, abitanti di edifici riscaldati con carbone e dotati di scarsa ventilazione. Altri dati di riferimento sono costituiti dall’analisi della mortalità per tumore del polmone in Cina. Per l’anno 2000 si è calcolata una mortalità attribuibile al fumo di 4,83 milioni di decessi prematuri; 2,41 milioni sono stati a carico dei Paesi in via di sviluppo e 2,43 milioni fra i Paesi industrializzati; assoluta è stata la prevalenza mascolina: 3,84 milioni. La causa principale di morte fra i fumatori sono state le malattie cardio-vascolari (1,69 milioni), seguite dalle broncopneumopatie croniche ostruttive (0,97 milioni) e dal tumore del polmone (0,85 milioni). Le previsioni sono temibili, a meno che non si riesca a ridurre l’abitudine al fumo fra i maschi ed ad arrestare l’incremento del fumo nel sesso femminile. Tutto fa prevedere che in breve tempo l’impatto del fumo sulla mortalità nei Paesi in via di sviluppo sarà eguale a quello attualmente presente nel Mondo industrializzato, tenendo soprattutto conto dell’invecchiamento delle popolazioni. L’esistenza di uno studio prospettico di follow up di donne che fanno uso di contraccettivi ci dà informazioni su poco più di 17.000 donne seguite dal 1968 al 1974 dopo la prescrizione di pillole contraccettive, o l’applicazione di una spirale o di un diaframma. Fino al 2000 questo gruppo è stato seguito periodicamente e tutti i decessi sono stati registrati. Ora nel gruppo di donne che hanno seguito un trattamento ovulostatico ormonale si è registrato un aumento nella mortalità per tumore del collo dell’utero con riduzione, invece, per l’insieme dei tumori dell’utero e per quelli dell’ovaio. L’effetto della contraccezione sulla patologia cardio-vascolare si è verificato solo per le fumatrici di più di 15 sigarette al giorno. Ed è proprio l’effetto del fumo che globalmente influisce in senso negativo sulla sopravvivenza di queste donne a partire dal gruppo di età 35-44. L’Oxford Family Planning Association ha invece effettuato una indagine telefonica ad Hong Kong in più di 26.000 abitazioni. Lo studio ha portato all’identificazione di un 4,5% di donne fumatrici nel gruppo al di sotto dei 25 anni, mentre la percentuale si abbassa al 2,6% nel gruppo di età 46-65, a dimostrazione dell’abitudine recente; del resto nel 64% delle fumatrici le prime sigarette sono state accese in età inferiore ai 19 anni; si rileva un rapporto inverso fra livello educativo e l’abitudine tabagica; in genere le fumatrici hanno una percezione positiva intorno alla persona che fuma; alcuni fattori di rischio sono piuttosto evidenti come un basso livello scolastico, la disoccupazione, l’essere divorziate, avere un marito fumatore e non percepire il rischio del fumo. È chiaro che il processo di occidentalizzazione in corso determina notevoli rischi di diffusione del fumo femminile. FUMO: TRATTAMENTO DELLA DIPENDENZA Zickler P.: Hard to treat smokers may benefit from medication that acts on dopamine, NIDA Notes, 18 (5):11, 2003; George T.P. et al.: A preliminary placebo-controlled trial of selegiline hydrochloride for smoking cessation, Biological Psychiatry, 53: 136-143, 2004; Zickler P.: Manipulating dopamine levels changes smoking behavior, NIDA Notes, 18 (1):7-14 2003; Sharp J., Schwatz S., Nithibngale Th.: Targeting nicotine addiction in a substance abuse program, Science Practices Perspectives, NIDA, 2 (1): 33-42, 2003 Il nucleo dei fumatori resistenti all’azione dei farmaci sostitutivi della nicotina e del bupropion desidera smettere ma non riesce a superare l’ondata di sintomi astinenziali scatenata dall’astensione dal fumo. Ipotizzando che alla base della sintomatologia c’è una carenza acuta di dopamina, è stato sperimentato un farmaco che fa parte del bagaglio di trattamento del Parkinson, la selegilina, che inibisce l’attività della monoaminaossidasi-B, cioè di un enzima che metabolizza la dopamina. Il che consente che i depositi di questo neurotrasmettitore rimangano tali da assicurare una quantità sufficiente di dopamina. Una sperimentazione condotta su 40 fumatori reduci da almeno tre insuccessi con placebo e dosaggi prima di 5 mg una volta al giorno e successivamente dello stesso farmaco due volte/die per 7 settimane, all’ottava settimana il 45% di coloro che avevano assunto la selegilina non avevano acceso una sigaretta nella ultima settimana, contro il 15% del gruppo con placebo. Per controllare le dichiarazioni sui consumi di sigarette o sull’astinenza non si è mancato di misurare il CO nell’aria espirata con conferma delle dichiarazioni. A distanza di 6 settimane il 20% dei fumatori continuavano ad essere astinenti. Chiaramente sarà necessario estendere i numeri dei fumatori da sottoporre alla sperimentazione per poter introdurre questo farmaco nel bagaglio anti-smoking. Le novità riguardano anche le ricerche sulla componente genetica basata sull’effetto di un enzima il CYP2B6 la cui riduzione si collega con una accentuazione del craving per la nicotina. Nello stesso gruppo si aveva 1,5 volte più probabilità di ricadere nell’abitudine tabagica. Lo stesso enzima provoca la metabolizzazione del bupropion, cioè dell’anti-depressivo che agisce sul craving da nicotina in quanto entra nel giro della dopamina. Si è visto inoltre che il bupropion aumenta di tre volte l’efficacia nelle donne che hanno una bassa attività dell’enzima. Dal punto di vista genetico il 70% degli americani eredita due copie della variante C del gene che influenza l’attività del CYP2B6; il 30% della popolazione eredita la variante T che è associata con una riduzione di attività dell’enzima; una ricerca ha coinvolto 426 fumatori fra i quali il 29,6% aveva una o due copie della variante T del gene. In doppio cieco la somministrazio- 74 Rassegne Critiche Bibliografiche DALLA LETTERATURA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE ne di bupropion ha favorito un aumento delle percentuali di astinenti (i controlli sono stati sul sangue). Le partecipanti con bassi livelli enzimatici sono state più astinenti. Le interpretazioni sono divergenti. Infatti l’associazione fra basso livello di enzima e l’intensità del craving potrebbe legarsi ad una maggiore quantità di nicotina giacente a livello cerebrale e, quindi, alla riduzione degli effetti della carenza di nicotina. Insomma l’aspetto genetico potrebbe condizionare l’orientamento terapeutico; ad esempio, le fumatrici che hanno titoli bassi dell’enzima rispondono in modo positivo all’azione anti-craving del bupropion. Ma torniamo su fumo e dopamina: le diverse ricerche su animali di laboratorio che mostrano l’effetto dopaminergico della nicotina vengono ora confermate dagli studi su fumatori umani con tabagismo e fallimenti a catena ed almeno 15 sigarette al giorno. Dopo l’aloperidolo i soggetti hanno fumato un numero maggiore di sigarette, mentre la bromocriptina (che incrementa la produzione di dopamina) riduce il numero di sigarette fumate ed anche l’intensità dell’aspirazione Con l’aloperidolo fra una sigaretta e la successiva passano 32,1 minuti contro i 41,2 dopo la bromocriptina; quindi attraverso la somministrazione alternata dei due prodotti si può manipolare il va e vieni della sintomatologia astinenziale e del craving. I Centri anti-droga raramente si occupano di smoking cessation pur prevalendo forme gravi di tabagismo nella popolazione dei tossicodipendenti e di alcolisti. Non mancano le esitazioni di operatori che a fronte di una brusca interruzione di oppiacei e cocaina non vorrebbero radicalizzare l’astinenza e lasciare almeno il gusto della pur più pericolosa sigaretta. Non manca anche una certa resistenza da parte di operatori fumatori a doversi adeguare all’ambiente smoke-free. Nei trattamenti di detossificazione da droghe che si svolgono in costanza di ricovero la cessazione dal fumo diventa più controllabile e può giovarsi di interventi comportamentali già testati per l’allontanamento da altre droghe. È chiaro comunque che saranno necessari interventi post-dimissione; trattasi in genere di soggetti recidivi con grado elevato di dipendenza da nicotina oppure di persone senza fissa dimora. La degenza media, almeno nella rete di New York, è di 25 giorni e l’età mediana 37 anni; il ricovero è preceduto da almeno un anno di “contemplazione” oltre che di preparazione psicologica dei fumatori. Essenziale poi è l’accertamento dell’opinione degli operatori oltre che del loro atteggiamento. Nel corso del trattamento la tolleranza è zero: va ricordato che inizialmente si era praticato il sistema di graduazione nelle punizioni per cui l’allontanamento dal programma veniva imposto solo dopo la terza infrazione. Invece la punizione immediata ha rafforzato l’impostazione non smoking ed è stata accompagnata dall’educazione nei confronti dei cerotti e delle gomme alla nicotina verso i quali erano presenti molti pregiudizi. Comunque le prime applicazioni dei cerotti sono effettuate e controllate da personale infermieristico e, nei rari casi di effetti collaterali, si passa alle gomme. Il bupropion viene offerto sia come alternativa sia come associazione con il cerotto. Il dosaggio del sostituto è in rapporto alla quantità di sigarette quotidiane, per cui ai forti fumatori (da un pacchetto e mezzo a due pacchetti al giorno) si applica un cerotto da 21 mg; nei casi più “duri” si associa la gomma al cerotto. Vi sono state anche modificazioni semantiche nel senso che l’intera frase “tabacco, alcol ed altre droghe” viene sostituita da “sostanze chimiche” oppure “alcol e droghe”. Si insiste nella preparazione del personale sulla tesi che le tecniche già sviluppate per alcol e droghe sono sufficienti per affrontare la dipendenza da nicotina. Le modalità di trattamento del craving sono identiche ed, anzi, l’esperienza insegna che affrontando il tema della condotta da tenersi nei confronti dei sintomi astinenziali da nicotina diventa più facile insegnare la condotta da adottare nei confronti del craving da droghe ed alcol. Il controllo comunque viene effettuato sull’aria espirata e sulle urine. A quanto sembra l’utilizzazione di Istituzioni che già si occupano di trattamento di tossicodipendenti in costanza di ricovero, per effettuare interventi anti-smoke determina effetti benefici nei confronti dell’efficacia degli altri processi terapeutici (alcol e droghe) a costi non elevati (766 dollari per posto letto per cerotti, oltre 1000 dollari per ogni apparecchio misuratore del CO nell’aria espirata). L’erogazione ambulatoriale di cerotti e gomme viene a costare di meno ma la resa in termini di astinenza prolungata è minima. Va rilevato che negli USA il Medic Aid in genere assume a proprio carico il rimborso dei cerotti. Nel bilancio costi-benefici per il fumatore vanno anche inclusi i risparmi per le spese di pulizia degli ambienti inquinati dal fumo. Rassegne Critiche Bibliografiche 75