salva la fiaba - Risparmiolandia

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RUSPE, RASPI E... ROSPI!
3 - L’arma invincibile
della gentilezza
Le avventure dI GELLINDO GHIANDEDORO
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FIABA DI MAURO NERI
ILLUSTRAZIONI DI FULBER
RUSPE, RASPE E... ROSPI!
Il giorno seguente il ragionier Epifanio
Rimbrotti tornò nella Valle di Risparmiolandia e al Villaggio degli Spaventapasseri con un barattolo di vernice
bianca infilato nel manubrio della bicicletta e con un pennello che gli spuntava dal taschino della giacca.
«Chissà come mi accoglieranno,
questa volta, gli spauracchi!» stava
pensando Epifanio facendo il suo
ingresso nella piazzetta deserta al
centro del paesello. E quando dico
“piazzetta deserta”, voglio proprio dire
vuota, desolata, abbandonata, silenziosa… un “deserto”, insomma!
Il ragionier Rimbrotti parcheggiò la
bicicletta appoggiandola alla fontana,
prese il barattolo di vernice e sfilò il
pennello dal taschino: – Spaventapasseri o non spaventapasseri – esclamò
a voce alta, quasi a farsi coraggio, – io
devo finire il mio lavoro, altrimenti
stasera il conte Arturo fon Raspe mi
trasforma in biscotti per cani e mi regala alla sua terribile tigre Berenice!
L’ometto piccolo, magro e con la
bombetta in testa s’avvicinò alla Farmacia di Quantobasta, aprì il barattolo,
vi intinse il pennello e fece per scrivere
il fatidico “1”, quando…
– Buongiorno, signor Epifanio Rimbrotti!
Il ragioniere sussultò per lo spavento e si girò di scatto per rispondere,
versando a terra un po’ di vernice
bianca. Casoletta, la buona Casoletta
che noi conosciamo così bene, era lì a
meno di due metri di distanza, sorridente e con in mano un vassoio lucido
di metallo sul quale fumava una tazza
di ottima cioccolata densa e dolce.
– Desidera fare colazione, prima di
cominciare il lavoro?
– Ehm, ecco… insomma: a dire il
vero prima termino di segnare le case
e prima me ne torno da dove son venuto, ma quel profumino delizioso di cioccolata calda è veramente invitante… Se
proprio insisti ne bevo un goccio solo,
un sorsetto di cioccolato e poi…
– Ma un goccio soltanto è troppo
poco… – esclamò Bellondina uscendo
da dietro all’angolo di una casa e costringendo Epifanio a girarsi dall’altra,
versando un secondo goccio di vernice
bianca per terra!
– …e non si tiri indietro… – strillò
Tisana la Dolce, affacciandosi alla finestrella della casetta di fronte e facendo
sussultare di nuovo il ragioniere, che
versò a terra un terzo goccio di vernice
candida!
– Soprattutto non faccia complimenti! – lo esortò Chiomadoro, balzando in piedi da dietro la fontanella e
facendo fare uno salto per lo spavento
al povero malcapitato, che perse un
quarto goccetto di vernice!
– E cosa ne dice, bel ragioniere, di
assaggiare anche i miei biscottini? –
urlò allegra Pasticcia, sbucando dalla
porta di una casa vicina: la spauracchia
s’avvicinò con un piatto colmo di biscotti al burro appena usciti dal forno
e rifilò una bella gomitata nel braccio
del ragioniere facendolo barcollare e
versare a terra l’ennesimo goccio di
vernice!
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3 - L’arma invincibile della gentilezza
Fu poi il trillo del fischietto di RossoVerdeGiallo a far sussultare il povero
Rimbrotti, che per lo spavento lasciò
quasi cadere a terra il barattolo di vernice, perdendone un buon goccio.
Insomma: perdi di qua e versa di là,
sussulta di sopra e barcolla di sotto,
Epifanio Rimbrotti si ritrovò a mezzogiorno saziato e dissetato dalla generosità e dalle premure degli spauracchi, ma col secchiello completamente
“vuoto”, senza più un goccetto di vernice bianca!
Quando il ragioniere se ne accorse, l’ennesimo tuffo al cuore gli fece
perdere l’equilibrio e si lasciò sfuggir
di mano il barattolo, che cadde a terra
rotolando giù per il viottolo verso la
discarica di rifiuti di Ratto Robaccio. –
E adesso come faccio a tornare a casa?
– mormorò pallido in volto e stropicciandosi nervoso le mani.
– Perché? Non sei più capace di
pedalare? – chiese Fra’ Vesuvio, offrendogli un bicchierone di limonata fresca.
Epifanio prese la limonata e ne bevve una lunga sorsata: – Certo che sono
ancora capace di pedalare, sciocco, ma
cosa vado a dire al conte Arturo fon
Raspe?
– Devi dirgli la verità, solo ed esclusivamente quel che è successo! – lo
esortò maestro Abbecedario, mettendogli in mano un panino al formaggio.
– Su, dai: mangia! È mezzogiorno e la
giornata di lavoro è ancora lunga…
– Ma il mio lavoro era proprio
quello! – strillò l’ometto scoppiando
a piangere e mostrando a terra dieci,
venti, trenta grosse macchie di vernice bianca! – Avrei dovuto segnare in
modo indelebile le vostre case, cosicché domani le ruspe avrebbero fatto il
loro lavoro seguendo quella numerazione!
– Meglio così, allora… – commentò
con un sorriso Quantobasta, porgendo all’altro un bicchiere di tè caldo e
addolcito col miele.
– Si può sapere perché siete tutti
così gentili con me? – domandò a quel
punto il signor Rimbrotti, sorseggiando il tè di Quantobasta.
A rispondergli fu Gellindo Ghiandedoro, apparso come per incanto da un
viottolo che scendeva dal Bosco delle
Venti Querce: – Per lavoro gli spauracchi devono metter paura ai passeri, ma
sono sempre molto gentili con i ragionieri, altrimenti si sarebbero chiamati
spaventaragionieri, no?
– Ho capito e me ne vado! – mormorò il povero Epifanio, che afferrò la
bicicletta, montò in sella, salutò la folla
di fantocci di paglia raccolti nella piazza e se ne andò incontro al suo triste
destino.
– Cooosaaa!?!?
L’urlo terribile fece tremare le pareti,
tintinnare i lampadari, sollevar per aria
alcuni fogli dalla scrivania e alzare un
sopracciglio alla tigre Berenice.
– Hai versato per terra tutta la vernice
del barattolo???
Epifanio Rimbrotti se ne stava in piedi
al centro della stanza, con la bombetta
in mano e col capo chino a guardarsi le
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RUSPE, RASPE E... ROSPI!
punte delle scarpe macchiate di bianco.
– Il tuo compito era semplicissimo:
dovevi solo segnare le case da abbattere
e invece hai rovesciato a terra tutta tutta
tutta la vernice bianca!!
Il gigantesco, orrendo, mostruoso conte Arturo von Raspe se ne stava seduto
alla scrivania e urlava furibondo rosso
in viso, strabuzzando gli occhi, sputacchiando dappertutto e sottolineando ogni
parola con pesanti pugni battuti sul piano
dello scrittoio.
– Tu, da buon ragioniere, dovevi soltanto scrivere su quelle case “1” e poi “2”
e poi ancora “3”, “4”, “5”… e invece? Invece
ti sei perso dietro alla cioccolata densa, ai
biscottini dolci, al tè tiepido e alla limonata fresca…
– Ma sono stati così gentili, quegli
spauracchi, che non potevo dir di no!
– Quelli si sono dimostrati gentili apposta, sciocco d’un ragioniere!
– Non pareva che si fossero messi
d’accordo…
– Già – esplose fon Raspe alzandosi in
piedi a fatica e avvicinandosi all’ometto
con la bombetta in mano, – perché lo
sanno tutti, vero?, che gli spaventapasseri
sono dei tipi molto gentili, generosi, affabili, disponibili… Soprattutto con gli idioti
che ci cascano come pere cotte!
– È evidente, caro collega Rimbrotti
– intervenne a quel punto il fattorino tuttofare Crapapelata, – che quelli ti hanno
preso in giro! È chiaro che si sono messi
d’accordo con lo scopo di farti versar per
terra tutta la vernice con cui ti sei presentato al villaggio… e tu hai abboccato
come un pesce affamato!
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3 - L’arma invincibile della gentilezza
Il ragionier Epifanio ci pensò su a lungo
e ripercorse l’intera mattinata: la cioccolata di Casoletta, i biscotti di Pasticcia,
il fischietto di RossoVerdeGiallo, la limonata di Fra’ Vesuvio… tutti gentili, tutti
sorridenti, tutti che lo facevano sussultare, lo obbligavano a girarsi da questa e da
quella, tutti che gli davano gran manate
sulla schiena, che gli urtavano il gomito
e… splash, splash, splash… addio bianca
vernice, addio goccetto dopo goccetto!
– E io ci sono caduto dentro senza rendermene conto…
– Anche oggi è andata bene – stava
dicendo proprio in quell’istante Gellindo Ghiandedoro all’assemblea spauracchia. – Siete stati bravissimi e avete
messo in atto alla perfezione il mio
piano!
Bellondina alzò la mano e chiese
la parola: – Avevi ragione, Gellindo,
quando dicevi che a volte è proprio la
generosità il modo migliore per disarmare gli avversari!
Gellindo annuì soddisfatto: – La
generosità e, in questo caso, anche
l’astuzia di costringere quel poverino a
rovesciare un goccio alla volta la vernice che s’era portato…
– Abbiamo vinto questa battaglia
– sospirò a quel punto Abbecedario, –
ma la guerra è ancora lunga! Domani
qualcuno di quei bruti tornerà e, prima
o dopo, saremo costretti a capitolare…
Dal fondo dell’assemblea si alzò la
mano grassoccia di Fra’ Vesuvio: – Scusate amici, ma Abbecedario ha ragione:
ieri è andata bene, oggi è andata an-
cora meglio, ma domani? Come andrà
domani?
– E tu cosa proponi, allora? – chiese
Tisana la dolce.
– Propongo, ad esempio, di guardarci in giro per vedere se troviamo un
qualche altro paesello disabitato in cui
trasferirci!
Un mormorio percorse l’assemblea,
andò avanti e indietro a lungo finché
non raggiunse la fontanella in cima
alla quale era appollaiato Gellindo
Ghiandedoro: – Fra’ Vesuvio è un tipo
prudente e non ha tutti i torti. Dobbiamo tener conto di quel che ha detto e
allora faremo così: mentre tutti noi rimarremo qui al Villaggio a cercare con
ogni mezzo di impedirne la distruzione,
Fra’ Vesuvio, Lingualunga e Pagliafresca andranno in cerca di qualche altro
paesello in cui trasferirsi caso mai noi
dovessimo fallire…
– E per domani? Hai pensato a qualcosa, per domani? Metti che i cattivi
tornino in forze, noi che facciamo?
Gellindo Ghiandedoro rimase alcuni
istanti in silenzio e poi disse con voce
chiara, perché tutti potessero sentirlo: – Tornate a casa, aprite i cassetti e
prendete tutte le lenzuola che avete…
– Le lenzuola?
– Perché proprio le lenzuola?
– Cosa ce ne facciamo, delle lenzuola?
Gellindo richiamò il silenzio e parlò
abbassando la voce: – Domani, quando
arriveranno quei bruti, noi prenderemo le lenzuola e…Pissi… Pissi… Pissi…
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(3. continua)
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