IL FEMMINICIDIO (p.te II) - Archivio Guerra Politica

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IL FEMMINICIDIO (p.te II) - Archivio Guerra Politica
IL FEMMINICIDIO (p.te II)
(Opera, 8 giugno 2013)
Più di cento anni orsono, Edoardo Scarfoglio parlava della “bestia parlamentare che gioisce di ogni
ruina pubblica e privata”; oggi noi possiamo ben affermare che la “bestia parlamentare” è da
sempre che promuove, con letizia, ogni rovina pubblica e privata.
Fra le piaghe di questo Paese c'è il cosiddetto “femminicidio”, termine che ingloba tutti gli atti di
violenza compiuti contro le donne di ogni età.
Da qualche anno, di questo tragico fenomeno si è resa edotta anche la “bestia parlamentare” che,
ovviamente, non ha preso né intende prendere alcun provvedimento serio per contrastarlo.
Difatti la suddetta “bestia” deve prima studiare il fenomeno, comprenderne le motivazioni, quindi
valutare se e come inasprire le pene tenendo conto che queste devono tendere alla rieducazione
dei condannati.
In realtà, tutti questi scrupoli la “bestia” non li ha avuti quando ha dovuto reprimere oppositori
politici e mafiosi divenuti scomodi.
Ma il “femminicidio” non rappresenta un pericolo per i politici italiani, quindi questi ultimi non hanno
fretta per studiare come fermarlo, intanto inviano messaggi di cordoglio, partecipano a funerali,
organizzano balli e canti che dovrebbero indurre i maschi violenti a recedere dalle loro intenzioni.
Noi ricordiamo che quando si trattò di bloccare il fenomeno dei sequestri di persona, la “bestia”
non si fece tanti problemi perché le vittime erano praticamente tutte ricche ricchissime, ma non
tutte potevano permettersi di farsi proteggere dalla mafia palermitana come fece Silvio Berlusconi.
Si fece, quindi, una legge che stabilì per i sequestratori pene che andavano da un minimo di 25
anni ad un massimo di 30 anni di reclusione, fino all'ergastolo se il sequestrato moriva o era un
minore di età, con l'esclusione di tutti i benefici di legge meno lo sconto di pena della cosiddetta
“liberazione anticipata”.
Dinanzi alle violenze contro le donne, invece la “bestia” esita, balbetta, guaisce e talora latra, ma
non attacca né morde, perché questi reati non toccano, se non in casi eccezionali, le classi agiate,
le uniche dalle quali potrebbero partire le sollecitazioni ai politici per fare presto.
Il “femminicidio” investe, invece, le classi popolari, quelle che non hanno i mezzi per fare pressioni
sui politici, che non hanno difesa perché sono carne da macello di cui ricordarsi solo in campagna
elettorale.
Le proposte, di conseguenza, sono limitate alla creazione di nuove case famiglia di donne
violentate, picchiate, brutalizzate che, però, potranno farsi quando ci saranno i soldi che ora non ci
sono.
La strategia è delineata, la parola d'ordine è lanciata: “scappate da casa”, perché lo Stato non vi
difende né vi protegge.
Lo Stato si preoccupa invece di rieducare gli uccisori di donne, violentatori, picchiatori, perché li
deve recuperare alla società, deve garantire loro un futuro quando avranno completato la
rieducazione che mai coincide con la fine della pena, perché escono tutti prima, molto tempo
prima.
Tutti abbiamo ascoltato le parole di don Mazzi, ospite fisso in televisione, rivolte al mostro che ha
accoltellata e bruciata viva Fabiana, sordo alle sue implorazioni ed al suo disperato quanto vano
tentativo di difesa: “Questo ragazzo – ha detto – ha dei problemi. Bisogna capirli”.
Al mostro manca un mese per fare 18 anni, ma tanto basta per farlo giudicare come minorenne
con tutti gli incredibili quanto scandalosi vantaggi che ne derivano, quindi don Mazzi dovrà
attendere pochi anni prima di poterlo ricevere nella sua comunità dove lavorerà gratis per la gloria
del Signore e per le casse della Curia lombarda.
E Fabiana? Lei, che ormai è un angelo, dall'alto dei cieli ha già perdonato, parola di prete.
In un mondo civile, sono gli uccisori, i violentatori, i picchiatori che lasciano le loro case, non le
vittime, per finire in galera e restarci, se del caso, per sempre.
In un mondo civile, non esiste il “femminicidio” perché ancora esiste una coscienza che si ribella e
pretende giustizia, ed una legge che è capace di applicarla.
In Gran Bretagna, in un anno le donne uccise sono state cinque, in Italia 120.
Ma, a Londra, i don Mazzi non sono preposti a rieducare e a blaterare sul perdono ed il recupero
sociale.
Sul “femminicidio” in Italia si fanno morbose trasmissioni televisive e perfino riviste ad hoc, perché
fa alzare l'audience e produce profitto per gli spregiudicati editori.
La logica dello sfruttamento commerciale prevale sul senso di giustizia e di pietà.
Le soluzioni si possono trovare. Basta ricordarsi di Yara e di Fabiana e di tutte le altre per sapere
cosa la coscienza impone di fare.
Vincenzo Vinciguerra