Sette, eresie e religioni non cristiane

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Sette, eresie e religioni non cristiane
Sette, eresie e religioni non
cristiane
Modulo 2
Anno accademico: 2012/2013
Docente: Geoffrey Allen
Anche in questa puntata non è possibile trattare l’enorme varietà di credenze e di
pratiche religiose esistenti. Di nuovo, dunque, concentreremo l’attenzione su
quelle che più facilmente si potranno incontrare nel contesto italiano.
1. L’ISLAM
Bibliografia:
Gabriel, Mark A.
Gesù e Maometto
Torino, Casa delle Bibbia
Halverson, D.C./ Gabriel, M.A. Conoscere l’Islam
Torino, Casa delle Bibbia
Van Gelderen, C.
L'Islam alla porta
Porte Aperte
AA.VV.
Wikipedia
articoli vari
L’Islam (parola araba che significa “sottomissione [a Dio]”) è considerato, insieme
con il giudaismo e il cristianesimo, una delle tre grandi religioni monoteiste, dette
anche “abramiche” in quanto riconoscono e tracciano la propria origine dal
patriarca Abramo. È la seconda religione del mondo, dopo il cristianesimo, per
numero di aderenti.
1.1 Origini e storia
L’Islam nasce nel 7° secolo d.C. nella penisola araba ad opera di Maometto (in
arabo Muhammad, 570 ca. – 632 ca.). L’Arabia, allora come oggi, era
prevalentemente deserto e gli abitanti vivevano di pastorizia nomade, ma anche
facendo i mercanti e/o predoni.
La prima biografia di Maometto fu scritta più di un secolo dopo gli eventi
raccontati, e ne è sopravvissuta soltanto una versione ampliata e commentata di
un altro secolo più tardi. Comunque racconta che Maometto nasce alla Mecca in
una tribù influente e benestante, ma è figlio unico e orfano di padre (il quale
muore prima della sua nascita). All’età di sei anni perde anche la madre e viene da
allora allevato dai nonni paterni.
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La religione prevalente fra gli arabi è all’epoca il politeismo e l’idolatria. In
particolare, alla Mecca c’era il santuario più venerato di tutta l’Arabia, un cortile
recintato contenente una grande strutture cubica detta Al-Ka’ba (“il cubo”),
all’interno della quale è una pietra nera che si ritiene caduta dal cielo. Questa
struttura esiste ancora ed è stata adottata tale quale dall’Islam, insieme ai
pellegrinaggi che vi sono associati. Il nonno di Maometto era il guardiano
ereditario di questo santuario.
Il giovane Maometto, osservando i pellegrini e i loro riti rivolti a vari dèi, iniziò a
prendere in disgusto questo tipo di culto. Fu sicuramente influenzato anche dai
contatti con le piccole comunità di ebrei e di cristiani presenti nella regione e
durante i viaggi con lo zio in Siria e Yemen. Si trattava però di un cristianesimo
deviato e degenerato (si trattava di comunità per lo più nestoriane o ebionite.
Quest’ultima setta, di cui non si conosce molto, risulta un ramo del giudeocristianesimo molto legalista). Infatti Maometto ne colse la convinzione che essi
adorassero tre divinità: Dio Padre, Gesù Cristo, e la Vergine Maria!
Maometto fu poi assunto da una ricca vedova, Khadija, per gestire le carovane
mercantili di lei, e successivamente lei, notando la sua serietà e il successo negli
affari, gli propose il matrimonio. Khadija aveva 40 anni mentre Maometto ne
aveva 25. Egli accettò, nonostante le opposizioni delle due famiglie. Il matrimonio
fu celebrato da un cugino di Maometto, capo di una comunità ebionita alla Mecca.
Khadija, finché visse, rimase la sua unica moglie. Grazie ai capitali di lei e le
abilità commerciali di entrambi, divennero una coppia ricca e influente. Da questo
matrimonio nacquero 4 figlie (anche se gli studiosi sciiti attribuiscono le prime tre
ai matrimoni precedenti di Khadija) e due maschi, i quali però non sopravvissero
all’infanzia.
Maometto amava discutere di questioni religiose con chi capitava e si ritirava per
periodi di preghiera e meditazione solitaria nel deserto. Durante uno di questi
ritiri, nel 610, racconta di aver fatto un’esperienza nuova e spaventosa: che gli era
apparso l’arcangelo Gabriele a chiamarlo ad essere il messaggero di Dio e a
portare una nuova rivelazione agli altri. È la prima di molte simili visitazioni.
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Maometto comincia a proclamare le sue rivelazioni, che Dio è Uno solo, che
bisogna sottomettersi assolutamente a Lui, e che egli stesso è il messaggero o
profeta di Dio. Guadagna alcuni seguaci, ma alla fine è costretto dalle opposizioni
a fuggire a Medina (la cosiddetta Egira – arabo Hijra, “fuga” o “emigrazione” –
dalla quale i musulmani conteggiano gli anni dall’inizio della loro era).
A Medina la nuova fede ha più successo, Maometto fa alleanza con i capi della
città, che accettano il suo messaggio, e organizza delle bande armate che
depredano le carovane meccane. Comincia anche ad aggredire gli ebrei; ad alcuni
villaggi offre la scelta tra la conversione e la morte, provocando la fuga di molti
altri Ebrei dall’Arabia. Alla fine diventa abbastanza forte da conquistare la Mecca e
assumerne il controllo. Distrugge gli idoli, ma mantiene i pellegrinaggi e il Ka’ba.
Alla fine conquista tutta l’Arabia, facendone un “regno teocratico”.
Dopo la morte di Khadija nel 619, Maometto prese altre 10 o 12 (le fonti
differiscono) tra mogli e concubine (anche se alcune erano di una certa età,
vedove dei suoi guerrieri morti in battaglia, alle quali assicurò così una vita
dignitosa). Quella prediletta, Aisha, aveva solo 9 o 10 anni quando la sposò.
Maometto morì tra il 632 e il 634 e scoppiò una disputa sulla successione (non al
suo ruolo di profeta, ma come califfo ossia capo politico e militare). L’Islam allora
si scisse tra la maggioranza che sosteneva un suo luogotenente, Abu Bakr
(Sunniti), e una minoranza (Sciiti) che parteggiò per il nipote di Maometto, Ali.
Questa divisione rimane fino ad oggi.
Nel secolo seguente la morte di Maometto, lo stato islamico ebbe una rapida
espansione militare, conquistando la Persia, l’Egitto, il Medio Oriente e il Nord
Africa e gran parte della Spagna. Intorno al 1000 l’avanzata in Europa fu fermata e
respinta, ma il dominio islamico continuò ad espandersi verso Oriente, prendendo
il dominio sul Nord della penisola indiana tra il 1000 e il 1200, e in Africa. Ma ci
manca lo spazio e il tempo anche per accennare alla storia del mondo islamico
fino ad oggi.
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1.2 Testi e dottrine
Il principale libro sacro dell’Islam è il Corano (Qur’an), una raccolta dei
pronunciamenti di Maometto che i musulmani credono rivelati a lui in varie
occasioni dall’arcangelo Gabriele. È ben diverso dalla Bibbia e molto più breve:
può essere paragonato piuttosto a libri quali i Salmi, i Proverbi o un libro
profetico. È diviso in 114 capitoli, detti Sura, raccolti non in ordine cronologico
ma in ordine decrescente di lunghezza, cosa che non ne facilita la comprensione.
Per i musulmani è sacrosanto il libro come oggetto fisico e anche il testo in lingua
araba, considerata la “lingua del cielo”, per cui sono restii a farlo tradurre in altre
lingue e va imparato a memoria in arabo classico, lingua incomprensibile al 90 per
cento dei musulmani.
Il Corano però contiene degli errori vistosi: per esempio, confonde Maria la madre
di Gesù con Maria la sorella di Mosè, vissuta un millennio e mezzo prima (Sura
19:28, 3:35-45)!
All’osservatore non islamico, molte sentenze del Corano hanno l’aria di essere
state improvvisate per far fronte a situazioni contingenti, per le quali Maometto
tirò fuori una “rivelazione” ad hoc. I giuristi islamici consultano anche gli hadith, o
tradizioni sulla vita di Maometto, per supplire ai silenzi del Corano.
L’Islam sostiene di non essere una nuova religione, ma il ripristino di quella
vecchia
rivelata
ad
Abramo,
a
Mosè,
a
Davide,
a
Gesù,
ecc.
ecc.
e
sistematicamente corrotta e inquinata dai loro seguaci. Considera pertanto queste
figure come profeti di Dio (anche se minori dell’ultimo e più grande, Maometto),
ma sostiene che le Scritture ebraiche e cristiane siano state alterate dai loro
seguaci. In particolare, sostiene che Gesù non è morto e risorto ma che, per
intervento divino, fu sostituito sulla croce da Giuda Iscariota. Riconosce però che
Gesù operò molti miracoli, cosa che Maometto non ha mai preteso di fare.
Per essere buoni musulmani bisogna osservare i “cinque pilastri dell’Islam”:
 la “confessione di fede”: “Non c’è altro Dio che Allah, e Maometto è il suo
profeta”;
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 la preghiera, secondo formule prestabilite, da fare cinque volte al giorno, rivolti
verso la Mecca;
 l’elemosina o offerta (zakat, 2,5% di tutte le entrate), devoluta ai bisognosi e
alle organizzazioni di carità (anche se all’origine Maometto l’usava anche per
finanziare l’esercito islamico e per costruire moschee);
 il digiuno (astensione dal cibo e dai liquidi), osservato dal sorgere al tramonto
del sole durante il mese lunare di Ramadan (mentre prima dell’alba e dopo il
tramonto mangiano e bevono abbondantemente è un tempo in cui si rafforzano
le relazioni familiari e sociali);
 per chi sia in grado di sostenerlo fisicamente ed economicamente, il
pellegrinaggio (hajj), una volta nella vita, a Mecca e dintorni, nel mese
prescritto.
In realtà la “preghiera” islamica è molto diversa dal concetto cristiano di preghiera,
consistendo piuttosto in formule di lode e onore verso Dio e confessioni di fede. Il
musulmano non chiede nulla a Dio e non pensa di esserne esaudito (vedi Gabriel,
pagg. 156-163).
Il concetto di Dio nell’Islam è molto diverso da quello biblico. Allah, secondo
l’Islam, non si può conoscere né comprendere: secondo un teologo islamico, “Dio
non si rivela a nessuno”. Si può conoscere soltanto la sua volontà, in quanto
rivelata nel Corano.
La salvezza islamica si ottiene unicamente per opere e per meriti. Dio osserva
l’uomo e le sue lotte impassibile, non fa nulla per aiutarlo, è pronto ad intervenire
solo come Giudice. Nei confronti dei peccati “piccoli” Dio è misericordioso e
possono essere “compensati con le opere buone; riguardo a quelli “grandi”,
nessuno può sapere se otterrà il perdono o meno.
La guerra santa (jihad) è certamente insegnata nel Corano, ma oggi gli islamici
non sono d’accordo sulla sua applicazione. In genere si afferma che la jihad
maggiore è quella interiore, la lotta contro il peccato e il male nella propria
persona. Comunque il Corano, se da una parte insegna una certa tolleranza nei
confronti dei monoteisti (ebrei e cristiani), che dovevano essere soltanto
soggiogati, ridotti a un rango inferiore e sottoposti a una tassazione speciale,
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dall’altra inculca una guerra senza esclusione di colpi contro idolatri e politeisti:
“Combatteteli finché non ci sia più politeismo, e la religione (l’adorazione) sia tutta
per Allah” (Sura 8:39). “O Profeta, incita i credenti alla lotta. Venti di voi, pazienti,
ne domineranno duecento e cento di voi avranno il sopravvento su mille
miscredenti” (Sura 8:65). Ed è certo che Maometto stesso lanciò delle guerre di
aggressione, sia per motivi religiosi (conversione forzata o morte), sia per
conquistare potere e ricchezze.
Poiché
Allah è
visto
come
assolutamente
sovrano
e
la sua
volontà è
imperscrutabile, l’Islam tende a inculcare una mentalità fatalista: la disgrazia
(anche quando imputabile a errori o malvagità umana) è interpretata come parte
della volontà divina , alla quale bisogna sottomettersi senza ribellione.
1.3 Le divisioni dell’Islam
Abbiamo già accennato alla divisione tra sciiti (oggi il tra il 10 e il 15 per cento dei
musulmani,
maggioritari
nell’Iran,
nella
parte
meridionale
dell’Iraq,
nell’Azerbaijan e nel Bahrain, e una minoranza significativa in Yemen, Kuwait,
Pakistan e Afghanistan) e sunniti. Esistono però numerose tendenze e suddivisioni
di questi due grandi rami. Fra i più significativi sono:
 i Salafiti (fra i quali i più oltranzisti, maggioritari in Arabia Saudita, sono i
Wahabiti), un ramo legalistico e puritano dell’Islam. Sono i Wahabiti sauditi a
usare le ricchezze derivate dal petrolio per finanziare la costruzione di
moschee, l’istituzione di scuole coraniche e gli sforzi di proselitismo in molti
paesi del mondo.
 i Fratelli Musulmani, movimento islamista ora al potere in Egitto. Un movimento
più politico che teologico, che mira a ristabilire il califfato (stato unitario
islamico basato sulla sharia).
 il Sufismo, una forma mistica dell’Islam, che prende varie forme ma, a
differenza dai rami più “ortodossi”, insegna la possibilità e promuove la ricerca,
di un’esperienza personale e spirituale di Dio.
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2. RELIGIONI ORIENTALI
2.1 L’induismo
“Dare una definizione unitaria dell’induismo è difficile, poiché esso – più che una
singola religione in senso stretto – si può considerare una serie di correnti
religiose,
devozionali
e/o
metafisiche
e/o
teologico-speculative,
modi
di
comportarsi, abitudini quotidiane spesso eterogenee, aventi sì un comune nucleo
di valori e credenze religiose, ma differenti tra loro a seconda del modo in cui
interpretano la tradizione e la sua letteratura religiosa, e a seconda di quale
aspetto diviene oggetto di focalizzazione per le singole correnti” (Wikipedia,
articolo su Induismo).
Sebbene non abbia in Occidente molti seguaci dichiarati, le idee caratteristiche
dell’induismo si stanno diffondendo non solo attraverso sette quali Hare Krishna,
ma anche attraverso pratiche quali lo yoga, la meditazione trascendentale, la
medicina ayurvedica, ecc., e diverse tendenze del movimento New Age In
particolare, la credenza nella reincarnazione, tipica delle religioni indiane, si è
diffusa enormemente negli ultimi anni in Occidente (secondo i diversi sondaggi,
dal 10% al 37% degli italiani crede a questa dottrina).
L’induismo nasce in India come espressione del politeismo (alcuni osservatori
contano più di 1000 divinità indù diverse), caratteristico dei popoli indoeuropei
(cfr. Greci e Romani), legato fortemente a divinità della natura e della fertilità, alle
quali si offrivano sacrifici per assicurare il successo dei raccolti (cfr. le religioni
pagane di Canaan, i culti di Baal, Astarte, ecc. contro le quali si scaglia l’Antico
Testamento). Fino ad oggi esistono templi indù dove si continua a praticare la
prostituzione rituale, caratteristica dei culti di fertilità.
In questo contesto nascono i veda, inni o testi sacri in sanscrito, considerati
“auto-rivelazione dell’energia divina Brahman” e le “scritture” della maggior
parte dei rami dell’induismo. Intorno al 1000 a.C. emerge una classe
sacerdotale, i brahmini, che controlla i riti sacrificali e acquista così
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prestigio e potere fra il popolo. Nascono poi poemi epici (fra i quali il
Mahabharata, che comprende la celebre Bhagavad Gita, o “Canto del
Signore”, e il Ramayana) che raccontano le gesta degli dèi e degli eroi
dell’antichità mitologica.
Paradossalmente, data la molteplicità di divinità che si adorano (ognuna delle
quali con propri templi, culti e devoti), alcuni induisti si dichiarano monoteisti (si
veda ad es. il sito dell’Unione Induista italiana che dichiara senza mezzi termini:
“L’Induismo è una religione monoteista”). Anche il celebre Mahatma Gandhi si
dichiarava monoteista. La spiegazione sta nel fatto che i tanti “dèi” sarebbero tutti
manifestazioni o espressioni diverse dell’unico dio, Brahman, che abbraccia e
comprende in sé ogni realtà esistente.
Brahman infatti non sarebbe soltanto l’unico dio, ma l’unica realtà, dato che
l’induismo è panteista (cioè, Dio non sarebbe distinto dal creato, anzi tutto fa
parte di Dio e Dio è la somma di tutto ciò che esiste). Ne consegue che non solo il
bene ma anche il male fa parte dell’unico Dio-Realtà (motivo per cui alcune delle
divinità indù rappresentano il bene e le forze creative, mentre altri rappresentano
forze distruttive, ad es. la dèa Kali, cui erano devoti i Thuggi, assassini-rapinatori
professionali, estirpati dall’India dal regime coloniale nell’800).
Analogamente, tutte le religioni sono considerate valide, espressioni della stessa
unica realtà. “Così come tutti i fiumi portano allo stesso mare, l’Induismo crede
che tutte le strade religiose portano alla stessa verità eterna”. Perciò l’induista
accetta ben volentieri anche Gesù come un’ennesima “via” e una manifestazione
del Divino. Quello che lo scandalizza è la Sua pretesa di essere la Via, l’unica che
porta al Padre.
Fondamentale nell’induismo è la credenza, già accennata, nel karma e nella
reincarnazione. Il premio o il castigo di una vita vissuta bene o male è la rinascita
(in questo mondo) in una condizione migliore o peggiore. Questo concetto è a sua
volta intimamente legato al sistema delle caste, una rigida stratificazione sociale
di categorie ereditarie di maggiore o minore prestigio, dai re e i guerrieri
(kshatriya) e i Brahmini (sacerdoti) ai shudra (servi e operai). Le caste sono a loro
volta suddivise in sotto-caste o jati; dopo di che ci sono anche i “senza casta” o
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“intoccabili”, ereditariamente contaminati e impuri, destinati a svolgere i lavori più
umili e ritualmente impuri. La nascita in questa o quella casta è considerata come
espressione del karma, per cui cercare di uscire da una situazione di privazione e
discriminazione è vista come un tentativo di sfuggire al proprio destino e
vanificare il meritato castigo che consentirebbe di risalire la “scala della vita”.
Allo stesso modo, alleviare le sofferenze dei poveri e dei disgraziati è interpretato
da alcuni indù come un attentato alla volontà divina. Anche l’induismo, perciò,
tende a produrre una forma di fatalismo.
2.2 Il buddismo
Il buddismo nasce in India intorno al 600 a.C. ad opera di Siddhartha Gautama
(poi noto come “il Budda”, ossia “l’Illuminato”), un ricco aristocratico, che di fronte
alla realtà della sofferenza decide abbandonare la ricchezza e il privilegio per una
vita ascetica. Si convince che il mondo è illusorio, che la sofferenza nasce
unicamente dall’attaccamento alle cose di questa vita, e che di conseguenza la
serenità si potrà ottenere unicamente attraverso il distacco o l’indifferenza nei
loro confronti.
Il buddismo non è strettamente parlando una religione, piuttosto una filosofia o
visione della realtà: “alcuni buddisti sono atei, altri panteisti, altri teisti”.
Comunque il buddismo adotta dall’induismo la credenza nel karma e nella
reincarnazione. L’obiettivo delle successive reincarnazioni sarebbe di arrivare alla
nirvana (cessazione, estinzione), ossia l’estinzione dei desideri e della propria
individualità e l’assorbimento nell’Uno.
Nato in India, il buddismo si estinse là intorno al sec. XIV. Ma intanto si era
diffuso in gran parte dell’Oriente, dallo Sri Lanka alla Cina, e oggi – sotto svariate
forme – è la religione maggioritaria in Sri Lanka, Tailandia, Myanmar (Birmania),
Vietnam, Cambogia, Laos, Corea, Mongolia, Giappone, Bhutan e Tibet.
Il Buddha non pretendeva di essere divino, tuttavia oggi è adorato come tale
(anche sotto forma di statue) da molti buddisti. Il buddismo tibetano, mongolo e
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cinese
è
mescolato
con
manifestazioni
sciamanistiche,
mentre
la
forma
tipicamente giapponese, lo Zen, è generalmente considerato ateo.
Oggi in Occidente il buddismo sta guadagnando seguaci, soprattutto tra le classi
più istruite, deluse dalla religione tradizionale e alla ricerca di una spiritualità
interiore.
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