Leggi il testo seguente. La grammatica della moda L`abito non serve

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La grammatica della moda
L’abito non serve soltanto a proteggere dal freddo o dal caldo, ma distingue il militare dal civile, il
prete, il poliziotto, la hostess, il giocatore di una squadra di calcio da quella di un’altra. Abiti,
cappelli, orecchini, collane, hanno una funzione di richiamo, come le piume degli uccelli o le corna
del cervo. L’abbigliamento insomma è un linguaggio.
La moda è uno di questi. Basti l’esempio della pelliccia indossata dal nostro uomo primitivo per
ragioni squisitamente funzionali. Aveva freddo e si copriva, è indubbio. Ma è altrettanto indubbio
che nel giro di pochi giorni dall’invenzione della prima pelliccia si sarà creata la distinzione tra
bravi cacciatori, muniti di pelliccia conquistata a duro prezzo e gli altri, gli inetti, i senza pelliccia.
E non ci vuole molta immaginazione per immaginare la circostanza sociale in cui i cacciatori
avranno indossato la pelliccia non più per ripararsi dal freddo, ma per affermare la loro
appartenenza alla classe dominante.
Del resto, inutile fare della fantapreistoria. La signora che oggi indossa la pelliccia non lo fa per
ripararsi dal freddo, anzi probabilmente affronta la noia di un caldo eccessivo per potersi
manifestare come “portatrice di pelliccia”. La storia degli “status symbol” non l’hanno inventata i
semiologi.
L’abbigliamento quindi “parla”. Parla il fatto che io mi presenti alla mattina in ufficio con una
regolare cravatta a righe, parla il fatto che improvvisamente io la sostituisca con una cravatta
psichedelica , parla il fatto che io vada alla riunione del consiglio di amministrazione senza cravatta.
L’abbigliamento si basa su un codice che spinge a “parlare in modo grammaticalmente corretto” il
suo linguaggio, pena il bando dalla comunità.
Il codice dell’abbigliamento può essere talmente articolato da non consentire nessuna variante
facoltativa: si pensi al codice dell’abbigliamento militare: alla fantasia di chi lo usa non è lasciata
nessuna invenzione, neppure l’inclinazione del cappello.
Di fronte a un abito militare, l’abito civile sembra aperto a un numero più ampio di variazioni
individuali, dal colore della stoffa alla scelta della camicia o alla forma delle scarpe. Ma basta
guardare una rivista di moda all’inizio di una stagione, per vedere come anche le variazioni siano
previste con una certa rigidezza: la vita più alta, il bottone più in basso, l’appaiamento di una data
scarpa con un dato tipo di pantalone possono essere sentite come deviazioni altrettanto gravi
dell’uso linguistico del dialettismo.
Dunque i codici vestimentari esistono, è difficile stenderne i corrispettivi ”dizionari” e il codice va
spesso ricostruito sul momento, nella situazione data.
[Umberto Eco]
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Rispondi alle seguenti domande:
A cosa serve l’abito secondo l’autore?
Quale evoluzione ha avuto nel tempo l’uso della pelliccia?
In che senso l’abbigliamento “parla”?
Perché l’abito rappresenta uno status symbol?
Che caratteristiche ha l’abbigliamento militare?
2. Fai un’intervista ad un giovane, che segue una moda particolare, nella quale l’intervistato
spiega i motivi della sua scelta. (120- 150 parole).
3. Secondo l’autore il nostro abbigliamento corrisponde a modelli sociali precisi. Sei d’accordo
anche tu? Fai degli esempi che confermino o contraddicano quanto affermato da Umberto
Eco. Scrivi inoltre quali altre cose, secondo te, possono essere viste come status symbol
nella nostra società (almeno 200 parole).