lettera di auguri del padre saveriano Luigi Brioni, originario di
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lettera di auguri del padre saveriano Luigi Brioni, originario di
La missione "Ad gentes". Chi vuole partire? Proposte per tutte le stagioni! Il senso della missione “ad gentes” si è molto affievolito, anche se le ragioni non sono tanto da cercarsi in una globalizzazione delle tecnologie della comunicazione digitale o della facilità con cui si possono organizzare viaggi e avventure, dove il gusto per l’esotico e la novità non hanno più molta presa. Al di là infatti delle motivazioni marcatamente sociologiche o commerciali, le ragioni più profonde abitano in un sempre più blando senso di urgenza nei confronti dell’annuncio evangelico. “Caritas Christi urget nos” (L’amore di Cristo ci spinge…) non è più apparentemente tra le priorità delle chiese locali. A mantenere vivo lo spirito della missione evangelizzatrice ci pensano quegli istituti e movimenti religiosi nati con lo specifico carisma. Non sentendo il bisogno di annunciare il Vangelo, in quasi tutte le fasce di età dei credenti e le fatiche di molti sacerdoti che vivono la quotidianità della vita d’oratorio ne sono una testimonianza, si corre il rischio di non parlarne più e di non sperimentarne il dovere; l’annuncio ai giovani è faticoso in ragione di una diffusa indifferenza anche nel mondo adulto e di conseguenza una vita cristiana che, coltivata nel tempo, potrebbe condurre a scelte di vita forti e significative come quella missionaria, come è stata per decenni nella Chiesa, sfuma ai loro occhi. Eppure non tutto sembra essere scomparso. Infatti, chiedendo e cercando, si è scoperto che solo nella nostra diocesi, la scorsa estate, sono stati più di un centinaio i giovani (e meno giovani) che grazie ai loro sacerdoti, a delle amicizie con alcuni missionari oppure aderendo a dei progetti di collaborazione tra chiese sorelle, hanno vissuto periodi più o meno lunghi (ma molto intensi) in alcune parti del mondo dove le chiese sono più giovani, più povere, in alcuni casi anche in zone piuttosto rischiose! Di fronte ad una piccola porzione di Chiesa cremonese che cerca di mettersi a servizio in svariate parti del pianeta, creando legami e, speriamo, accrescendo un senso ecclesiale un po’ più universale, il Centro Missionario Diocesano intende non solo incoraggiare le iniziative già in atto da diversi anni (pensiamo al Drum Bun in Romania e in Albania) ma propone anche, a chi fosse interessato, nuove destinazioni dove missionari e missionarie portano avanti da tempo le attività di annuncio, di carità e di vita liturgica. Non dimentichiamo inoltre che la stessa presenza di tanti giovani stranieri sul nostro territorio diocesano e provinciale è di per se stesso “luogo” di missione per il quale andrebbero sperimentate nuove vie di annuncio e di coinvolgimento nelle comunità cristiane per facilitare, oltre all’evangelizzazione, anche percorsi di integrazione. Quest’anno, grazie alla disponibilità dei Missionari di Villa Regia di Lonato (BS), dell’Associazione “Amici del Brasile” e delle Suore Comboniane, si aprono ulteriori orizzonti. Il Natale a Fadugu: lettera di auguri del padre saveriano Luigi Brioni, originario di Villanova Pubblichiamo il messaggio natalizio inviato dalla Sierra Leone dal padre saveriano Luigi Brioni, originario di Villanova. Padre Brioni ha scritto una mail a familiari, amici e benefattori raccontando del proprio ministero in africana e di come si vivranno i giorni di Natale. terra Buon Natale a tutti e ciascuno di voi dal mio paese di Fadugu, dove mi è caro condividere con la gente la certezza di fede che il Signore è nato davvero e non ci ha abbandonato, nonostante le tragedie, le assurdità, le incertezze di ogni giorno. Papa Francesco ce lo ricorda, spesso ed a voce alta, per riportare tutti al miracolo possibile di un’umanità unita, senza divisioni e paure. Buon Natale allora insieme alle vostre Famiglie ed Amici perché sia per tutti voi portatore di bontà e di misericordia universale, senza escludere nessuno. È questo il messaggio che la mia gente, pur nella semplicità della loro vita percepisce bene, perché tutto il mondo è paese, è un villaggio globale, che sempre ha bisogno di perdono e di speranza, cose che solo Lui può dare sempre e a tutti. Come festeggiamo qui il Natale? Prima di tutto, durante questa Novena, andiamo a pregare di sera presso un famiglia. Mezz’oretta, ma ben attesa. Poi abbiamo la Messa di mezzanotte alle ore 20, per non tenere la gente troppo a lungo al freddo della sera, che ormai si aggira sui 12/15 gradi anche qui, e … senza riscaldamento! Il giorno di Natale celebreremo la Messa alle 10.30 a.m. anche attorno a un simpatico presepio e poi le nostre famiglie si raduneranno nel salone parrocchiale per condividere il loro cibo natalizio in serena fraternità. Cibo che sarà il riso di ogni giorno con un po’ di salsa migliore, qualche pezzo di gallina o di pesce secco! Ah, niente panettoni né spumanti … ma vi assicuro tanta allegria e cordialità! E un po’ di caramelle ai piccoli gliele darò di certo, anche a nome vostro! Più tardi in molti andranno qui al vicino ruscello per continuare la festa con danza e dolcini … quelli che ci sono! Buonissimo Natale allora. Io con voi e voi con me ed insieme con Lui, che davvero ci soddisfa tutti! Di gran cuore, P. Luigi sx Lettera dal Mozambico del saveriano viadanese padre Andrea Facchetti, che da gennaio lascerà Charre per far ritorno a Chemba Di seguito la lettera del saveriano originario di Viadana, padre Andrea Facchetti, che dopo Natale lascerà la comunità di Charre (dove operava dal marzo 2014) per far ritorno a Chemba, distante circa 60 chilometri, per sostituire un confratello che ha dovuto rientrate in Italia. Era proprio da Chemba che padre Facchetti aveva iniziato la sua missione in Mozambico dopo l’ordinazione sacerdotale conferita il 30 giugno 2012 nel santuario di San Guido Maria Conforti, a Parma, dal vescovo Dante Lafranconi. 0. Savana padana Il giorno prima di partire di nuovo per l’Africa ho chiuso la valigia a metà mattina. Arduo decidere cosa prendere e cosa lasciare: fare la valigia genera dubbi amletici ed è – a modo suo – metafora della vita. Se la vita pesa 30 kg, salame e parmigiano-reggiano hanno un loro peso ontologico che ha più a che fare con l’essere che con il non essere. È la seconda metà di ottobre: autunno cominciato, sole pallido segue a giorni di cielo uggioso. Dopo avere salutato la gente, è doveroso salutare la terra, gli alberi e il fiume. Cosi prendo la bici in direzione del ponte vecchio, dove la canoa è rimasta in questi tre mesi. Scendo dall’argine, con le file dei pioppi sulla destra che scivolano via mentre cominciano a lasciare cadere le prime foglie. Il fiume è una meraviglia, forse perché c’è il sapore di un arrivederci che, data la distanza di tre anni, può avere anche alcuni tratti dell’addio. Il calore del sole si riflette sull’acqua e dopo pochi minuti tolgo la maglia. Metto dentro gli ultimi raggi di sole padano. Le braccia remano l’acqua, mentre la testa e il cuore remano il tempo. Le braccia remano in avanti. Testa e cuore remano all’indietro. Remano tre mesi trascorsi nella terra che mi ha generato, con i volti, gli incontri e le storie che si portano dentro. Remano immagini che diventeranno ricordi per quando sarò vecchio, ma che, già adesso, fanno affiorare dall’acqua felicità e gratitudine. In mezzo ad un fiume che si chiama Po. È un attimo e, d’improvviso, diventa Zambesi. Perché i fiumi comunicano tra di loro e bevono la stessa acqua. E per raggiungerli non serve l’aereo. Allora, pianura padana diventa savana. Savana padana. 1. Di nuovo paura Mi fermo tre giorni a Dondo. Poi, con p. Nicola partiamo verso nord. Dopo nove ore di viaggio siamo in prossimità delle rive dello Zambesi. Il battello a motore sul quale siamo soliti caricare la macchina per attraversare il grande fiume tra Sena e Mutarara quel giorno non funziona. Così siamo costretti ad allungare il percorso attraversando prima lo Zambesi a Caia e, dopo avere aggirato il monte Morrumbala, a superare il fiume Chire con il battello a trazione manuale. Nei pressi del villaggio di Sabe constatiamo che per strada non c’è anima viva. Va bene che sono le due del pomeriggio e c’è un caldo terribile, ma 10 km senza vedere né umani, né capre, né galline è piuttosto insolito. Notiamo anche che le capanne hanno le porte chiuse con il lucchetto. Arrivati a Sabe, un gruppo di militari ci ferma con il kalashnikov spianato. Ci fanno scendere e vogliono perquisire la jeep. Dicono che alle tre del mattino c’è stato uno scontro armato tra esercito regolare e uomini della Renamo. Ci sono stati morti e feriti: per paura, la popolazione locale ha cercato rifugio nella foresta. Poi i militari ci lasciano ripartire. Il giorno successivo provo a cercare un po’ di informazioni su quanto accaduto a Sabe. Le uniche fonti che accennano qualcosa sono la pagina in portoghese dell’agenzia di stampa tedesca (DW) e due blog mozambicani che parlano di scontri e morti nel Distretto di Morrumbala. La stampa mozambicana – allineata e coperta sulle posizioni del Governo e della Frelimo – tace il tutto. Fino a quando dopo due giorni, di fronte all’evidenza dei fatti, il Ministro degli Interni ammette quanto successo. La situazione non è tranquilla da fine settembre, quando per due volte hanno tentato di ammazzare il leader dell’opposizione. La chiamano “guerra a bassa intensità”. È cominciata tre anni fa e ogni tanto riprende con maggiore o minore violenza. Le parti in gioco sono le stesse di sempre: Frelimo e Renamo che, dopo avere fatto un milione di morti in sedici anni di guerra civile e dopo avere firmato gli accordi di pace nel 1992, oggi si contendono la spartizione delle immense ricchezze naturali del paese. 2. Di nuovo Charre Dopo 600 km e dodici ore di jeep eccoci di nuovo a Charre. È l’ora del tramonto. Apro la porta della stanza: uno strato di sabbia portata dal vento copre il letto, la scrivania e il pavimento in cemento. Sento un crepitio da dentro l’armadio a muro. Apro e trovo le termiti che hanno già divorato due scatole di cartone. Provvidenzialmente, non hanno ancora attaccato lo scaffale dei libri. Il giorno successivo gonfio le gomme della bicicletta e vado a spasso per il villaggio a salutare la gente. I bambini corrono dietro alla bicicletta spingendola sulla strada sabbiosa e gridano: «Baba Andrea abwera!», «Padre Andrea è tornato!». Anche gli adulti sono felici: «Baba mwabwera? Takutsukwani! Mwasya tani mai na pai anu?», «Padre sei tornato! Avevamo nostalgia. Come hai lasciato tua madre e tuo padre?». Rispondo che anche io ho avuto nostalgia e regalo alcune foto fatte ad alcune famiglie di Charre prima di partire. Dico che i miei stanno bene, ma mia madre «ali kubva kupha myendo», «ha male alle gambe». Sorridono e chiedono: «Azungo asabvambo kupha myendo?», «Anche i bianchi hanno male alle gambe?». È il tempo del grande caldo. Dopo pranzo si arriva ai 42 gradi in casa. Il corpo umano ha sei gradi di meno. Così gli oggetti sono per forza caldi: il bicchiere per bere, il materasso per coricarsi, l’acqua del rubinetto per lavarsi i denti. Dopo pranzo, dopo avere preso il caffè, ci si siede e che si fa? Si suda. Impossibile fare altro. Al pomeriggio si alza il bangwe, il vento secco e potente che viene da sud. Fa lievitare dal suolo nuvole di sabbia che dipingono di giallo le foglie degli alberi, l’aria, i volti dei bambini. Lo Zambesi al posto del Po. Il bao-bab che sta mettendo le foglie al posto del pioppo che le sta perdendo. Le capanne di mattoni in terra cotta e paglia al posto delle fabbriche dismesse per la crisi economica. I bambini che spingono la mia bicicletta sulla strada sabbiosa al posto delle mie quattro nipotine portate a spasso in bici assieme a mia sorella. Ho portato nel cuore e sono stato portato nel cuore. 3. Di nuovo la gente Anche quest’anno la stagione delle piogge tarda ad arrivare. La luna di novembre è passata e il cielo ha centellinato poca acqua sufficiente solo a togliere la sabbia dall’aria per due giorni. La gente ha pazienza e aspetta. Nel frattempo ha preparato i suoi campi. Ore sotto il sole, prima a zappare e poi a scavare i buchi dove verrà collocata la semente appena sarà caduta la prima vera pioggia. Kubzwala è il seminare dopo la pioggia. Mentre kupalira è il seminare prima della pioggia. Generalmente si preferisce la prima modalità, dato che seminando prima c’è il rischio che il seme germogli, ma poi il grande sole secchi la pianta. In questi mesi la vita è andata avanti. Per qualcuno ha preso altre destinazioni. Pochi giorni prima che arrivassi hanno sepolto pai Enfermeiro, il signore lebbroso della lettera n°13. Aveva cominciato la cura contro la lebbra a dicembre dell’anno scorso. Una volta al mese andavo all’ospedale di Mutarara a ritirare le pastiglie che avrebbe dovuto continuare a prendere per un anno. Avevamo fatto una visita la settimana prima che partissi per le ferie ed era entusiasta perché dopo sette mesi di terapia la malattia si era bloccata. Durante la mia assenza avevo lasciato la terapia ad una persona di fiducia. Ai primi di ottobre è stato colpito da una malaria che forse ha trascurato e in pochi giorni è morto. A causa della malattia, con gli anni, aveva perso mani e piedi. «Ndisafamba na matako» – «cammino con il culo» – affermava sorridente e compiaciuto. Nonostante questo, aveva un piccolo orto attorno alla sua capanna dove coltivava un po’ di fagioli e verdura. A modo suo, impugnava con i polsi una piccola zappa e aveva segnato sulla terra dei sentieri fatti su misura per il suo… matako. Pai Enfermeiro era tanto più potentemente attaccato alla vita di quanto la lebbra fosse attaccata alle cellule del suo corpo. Una sera di metà novembre, dopo il tramonto, assieme alla moglie, bussa alla porta pai Felix, il signore “che porta la speranza nel nome e nel sorriso” della lettera n°14. Con i volti visibilmente preoccupati, chiedono di accompagnare all’ospedale rurale di Mutarara la loro nipotina di quattro anni Chica, colpita da una forte malaria. Prendo la macchina e partiamo. Vengono anche i giovani genitori che nei 15 km di viaggio mi spiegano che il giorno prima il padre ha già portato la bambina in bicicletta all’ospedale. Le è stata somministrata la terapia antimalarica, ma non ha sortito effetti. La febbre forte è invece peggiorata. Arrivati all’ospedale, entro anche io per sincerarmi che la bambina venga visitata. Con il respiro affannato, la sistemano a pancia in su sopra un letto troppo grande per i suoi quattro anni. Lasciamo Chica all’ospedale assieme ai genitori, mentre io torno a casa assieme ai nonni. Fuori, notte e polvere di vento. In macchina, silenzio. «Tiri kuphembera, baba», «Stiamo pregando, padre». Mentre sto andando a dormire ascolto pianti a distanza nel silenzio della notte. Un presentimento. «Ma no, non sarà lei», mi dico. All’alba pai Felix è già a casa nostra. Mi dice che due ore dopo essere tornati a casa, è arrivata la telefonata del figlio che comunicava la morte di Chica. È sabato mattina, c’è un caldo tremendo e la famiglia decide di fare subito il funerale. Tra la capanna e il cimitero ci sono poche centinaia di metri. Sole alto spietato, espressione immobile dei volti, indumenti poveri intrisi di vita e di sudore, sabbia gialla alzata dai piedi, quattro assi di bara coperte da un lenzuolo bianco. Nascondo le lacrime alla mia gente e chiedo a Dio perché. 4. Di nuovo si alza la testa È il tempo delle ultime visite alle nostre 76 comunità. Un sabato di vento e sabbia da colorare di giallo l’aria, a Merkano inauguriamo la nuova cappella e la comunità ammazza una mucca per la festa. A Nyaeka invece, la settimana successiva, sono sufficienti tre capre. Riprendiamo anche i lavori di Giustizia e Pace. A fine novembre organizziamo un incontro con le Commissioni delle due parrocchie di Charre e di Nyangoma per fare il punto della situazione sull’anno trascorso e per programmare il lavoro di quello venturo. Primo fronte: la questione della terra sottratta ad alcune comunità da parte di una multinazionale indiana per impiantare la monocultura della canna da zucchero. Senza consultazione pubblica, senza assenso da parte delle famiglie interessate e senza indennizzo, come invece previsto dalla “Legge della Terra”. Nei tre mesi di ferie, ci sono state due novità sostanziali. Prima novità. Il progetto di espropriazione della terra continua, ma non sarà più per produrre canna da zucchero, bensì riso e fagioli. Con le piene di Chire e Zambesi a inizio anno, l’investitore straniero ha perso buona parte del raccolto e dei macchinari, constatando che sono venute meno le condizioni per un ulteriore investimento. Ha così venduto la licenza ad un’altra impresa della quale per ora non conosciamo né nome, né provenienza. Quest’ultima, nel mese di agosto, ha già cominciato ad occupare alcuni terreni delle comunità locali, allontanando le famiglie residenti, ma spostandosi di qualche centinaio di metri dalle rive del fiume Chire rispetto all’impresa precedente per evitare le conseguenze delle esondazioni. Seconda novità. A giugno avevamo consegnato un documento all’Amministratrice del Distretto. La signora Palmira Pinto aveva accettato la proposta di porre il Distretto (in Italia equivarrebbe alla Provincia) come soggetto di mediazione tra le famiglie espropriate e l’impresa. Nel caso la via diplomatica non fosse andata buon fine, le avevamo comunicato che saremmo ricorsi alla via legale con l’appoggio degli avvocati. Tornato dalle ferie, dobbiamo riprendere i contatti. Ma, stavolta, con l’Amministratore. Al maschile. Non solo se ne è andata la signora Palmira Pinto, ma, dopo di lei, è arrivata e se ne è andata una seconda nuova Amministratrice. E ora, al suo posto un nuovo Amministratore. Il tutto in soli tre mesi. Secondo fronte: la questione del legname tagliato da un’impresa cinese in un’area dove abbiamo sei comunità. Prima di partire per le ferie ero venuto a conoscenza del fatto che l’impresario cinese avrebbe dato sottobanco un valore di 500.000 meticais (circa 10.000 euro) al capo del Dipartimento dell’Agricoltura del Distretto di Mutarara per aggiudicarsi una licenza irregolare per tagliare alberi di chanfuta, ebano e pau ferro. Una parte sarebbe andata a due capi villaggio che, ricevuta una moto ciascuno, avrebbero autorizzato lo sfruttamento delle loro terre, senza la consultazione comunitaria come invece prevede la legge. Questo spiegherebbe il perché fino ad ora non si sappia nulla di quel 20% della tassa pagata allo Stato da parte dell’impresa che la legge mozambicana stabilisce debba essere fatta pervenire alla comunità locale sotto forma di progetti di sviluppo sociale. E di come, allo stesso modo, non si sappia nulla di quel 15% che dovrebbe essere utilizzato per il rimboschimento. Non si sa nulla, semplicemente perché la tassa non è stata pagata. Che sia un caso di corruzione pare evidente. Il problema è dimostrarlo. Pai Emílio, responsabile di Giustizia e Pace di Charre, sostiene che «pinthu pya ndi mwe mwene pinabuluka pa kwecha». Che pressappoco significa «la verità viene fuori da sola». Bisogna mettere l’Amministratore del Distretto con le spalle al muro, in modo che sia lui stesso a chiarire il perché risultino ancora non pervenuti il 20% alla comunità e il 15% per il rimboschimento. Cambiano gli Amministratori. Cambiano i volti dei politici che mettono le loro tasche e gli interessi del partito al di sopra della vita della loro gente. Cambiano i nomi delle società di investimento e delle imprese multinazionali. Non cambiano i meccanismi di sfruttamento, di espropriazione e di corruzione a danno dei più poveri. Ma non cambia nemmeno la determinazione e la perseveranza di chi è stanco di essere calpestato e ha deciso che è arrivato il momento di alzare la testa. Per concludere: novità in buone mani Questa lettera sarebbe finita così. Invece no. Perché – quasi ultimata la lettera – ho preso atto che questa sarebbe stata l’ultima lettera scritta da Charre. Questione di novità. Perché ci sono novità che – pur essendo nuove – sono pur sempre previste e attese. Il fatto che domani si alzerà il sole, che la nostra gente andrà in campagna con la zappa nella mano e con il desiderio della pioggia nel cuore, che appena esco in bicicletta una decina di bambini cominceranno a corrermi dietro gridando felici, che lunedì come ogni lunedì mia madre e mio padre mi chiameranno, che se domani incontrerò mãe Virgína per strada, la nostra conversazione terminerà con lei che guarda verso il cielo ed esclama: «Mulungu ndi mphambvu yathu», vale a dire «Dio è la nostra forza», che questo fine settimana come ogni fine settimana mi recherò in alcune delle nostre tante comunità, parleremo dei loro problemi e punti di forza, celebreremo l’Eucaristia e termineremo il tutto con il pranzo a menù fisso a base di polenta di miglio e gallina mangiati rigorosamente con le mani. Poi, oltre alle novità previste ed attese, ci sono anche quelle che arrivano all’improvviso. Né previste, né tantomeno attese. Come quella di dieci giorni fa. Un confratello che lavorava a Chemba – a sessanta km da qui, ma dall’altra parte dello Zambesi – è dovuto tornare in Italia. A me è stato chiesto di lasciare Charre per andare a Chemba, a partire dai primi giorni di gennaio. Tempo fa avevo appeso all’armadio della mia stanza un foglio con queste parole: «Io devo potere avere la certezza di essere nelle mani di Dio. Poi tutto diventa leggero». A scriverle fu il pastore e teologo luterano Dietrich Bonhoeffer. Le scrisse il 22 dicembre del 1943 dal carcere di Tegel, dove era prigioniero per essere parte della Resistenza al Male hitleriano. Era in carcere dall’aprile dello stesso anno e in quella lettera manifestava ancora la speranza in una liberazione prossima. Venne impiccato nel campo di concentramento di Flossemburg il 9 aprile del 1945, pochi giorni prima della fine della seconda guerra mondiale. Poche volte nella vita, come in questi giorni, sto facendo mie queste parole. Erano lì appese da tempo. Ora le sento nuove, come lette per la prima volta. Perché una cosa è dirci che siamo nelle mani di Dio. Un’altra, è sperimentare che siamo nelle mani di Dio. Tra qualche giorno sarà Natale. Dio è uomo. Mette i suoi piedi sulla nostra strada e ci cammina incontro. Al tempo stesso, già ci sta prendendo per mano. Anzi, siamo nelle sue mani. Allora tutto diventa leggero. Charre, 15 dicembre 2015 Baba Andrea Lettera di suor Patrizia Di Clemente, combonina originaria di Mozzanica, missionaria in Zambia Dallo Zambia abbiamo ricevuto notizie da suor Patrizia Di Clemente, combonina, originaria di Mozzanica. Volentieri pubblichiamo quanto ci ha scritto. Qui in Zambia, al momento abbiamo quattro comunità dove i giovani potrebbero essere accolti (favorendo il centro nella periferia di Lusaka dove mi trovo io, per via dello spazio e attività proposte). Due comunità sono in Lusaka, nelle zone di periferia che chiamiamo compound, e le altre due in una regione rurale nella zona ovest. Il progetto che gestisco io è socio-educativo, per cui abbiamo un corso di alfabetizzazione per donne, tuitions per ragazzine che non vanno a scuola (questo le aiuta a farsi delle fondamenta prima d’essere reinserite nella scuola statale e fare gli esami), attività ricreative, spazio compiti per bambini, zona studio per giovani, counselling… A Mongu (zona rurale dell’ovest) stiamo iniziando un progetto agricolo, agro-forestry tradizionale. Abbiamo una famiglia irlandese come volontari per tre anni. Anche lì sarebbe bello se dei volontari andassero, ma solo uno o due per volta. La stagione delle piogge inizia a dicembre fino a marzo. I mesi più caldi sono da agosto a novembre e i mesi freddi sono giugno e luglio. Per noi una condizione importante è che chi viene sappia l’inglese, altrimenti il coinvolgimento nelle attività e l’interazione con la gente è troppo limitato e l’esperienza rimarrebbe troppo condizionata. Possiamo accogliere una persona (se non è troppo giovane; abbiamo sperimentato che giovani dai 18 ai 20 anni è meglio se vengono almeno in due) fino a piccoli gruppi di 4 (se si fermano per uno o due mesi). Per tempi più prolungati (6 mesi/1 anno) è meglio limitarsi a due persone. Buona continuazione d’avvento and blessed year of mercy! Sr. Patrizia Nella periferia ovest di Lusaka, da alcuni anni le Suore Missionarie Comboniane sono impegnate nella gestione di un progetto di formazione integrale per ragazze orfane che non hanno mai frequentato la scuola o che, per motivi finanziari, non hanno potuto continuare la loro istruzione primaria. Le ragazze, classificate secondo il livello scolastico, possono seguire corsi di alfabetizzazione, di lingua locale e di inglese, di aritmetica e una formazione umana e pratica che comprende anche corsi di taglio, cucito e maglieria. Tutte queste nozioni permetteranno loro di poter iniziare una micro attività imprenditoriale. Un pasto completo è offerto ogni giorno per alleviare il problema della malnutrizione molto diffuso nella periferia della capitale. Beneficiari: circa 75-80 ragazze dai 15 ai 20 anni che frequentano il centro diurno; le famiglie delle ragazze. Obiettivi: educare le ragazze più vulnerabili ed insegnar loro un mestiere che permetta loro di condurre una vita dignitosa; aiutare le ragazze che completano il corso triennale con un microcredito in modo che possano iniziare subito a rendersi autosufficienti; assicurare un aiuto alle ragazze che dimostrano di essere in grado di riprendere e seguire l’istruzione nella scuola governativa. Novena di Natale per i ragazzi: on-line il testo per la preghiera dal 16 al 25 dicembre L’Ufficio missionario diocesano propone, durante i nove giorni che precedono il Natale, la Novena di Natale per i ragazzi missionari. Si tratta di uno strumento di preghiera adatto ai ragazzi con uno spirito missionario aperto al mondo, da vivere dal 16 al 25 dicembre. La proposta per ogni giorno è molto semplice: leggere i testi proposti in “La Parola” che presenta, oltre ad alcuni versi biblici, stralci riadattati della “Misericordiae Vultus”, la Bolla di Papa Francesco per il Giubileo della Misericordia, con poi l’invito a mettere in pratica l’impegno/preghiera donando a Gesù il segno corrispondente. Novena di Natale missionaria 2015 Mons. Lafranconi ai missionari cremonesi: «Siete segno della cattolicità dell'unica Chiesa» È tradizione che il vescovo Dante, nell’imminenza del Natale, scriva ai missionari cremonesi per formulare gli auguri e per mostrare la vicinanza e l’attenzione della Chiesa diocesana verso chi annuncia il Vangelo nel mondo. Quella di quest’anno è l’ultima lettera che mons. Lafranconi redige, dato che il prossimo 30 gennaio, passerà il testimone a mons. Antonio Napolioni, nuovo pastore della nostra diocesi. Pubblichiamo integralmente la missiva. Carissimi / Carissime, eccoci al tradizionale appuntamento natalizio. L’ultimo per me, che a fine Gennaio – come forse sapete – concluderò il mio servizio pastorale come vescovo di Cremona. Ultimo in questa forma di lettera con cui desidero raggiungervi tutti per augurarvi che la grazia del Signore Gesù vi renda perseveranti e gioiosi nell’annunciare il suo Vangelo anche tra la gente che ancora non è stata conquistata dalla sua sapienza e dalla sua bellezza. Non certamente ultimo nella forma di una vicinanza fatta di preghiera e di interesse per il vostro lavoro i cui obiettivi sono gli stessi per me e per voi e per tutti i cristiani di questa Chiesa in cui affondano le radici della vostra fede e a cui ritornano, quasi in restituzione, la forza e l’incoraggiamento della vostra testimonianza. Il Natale ci svela il volto e lo stile del grande missionario che, mandato dal Padre, è venuto nel mondo: è il volto della misericordia; è lo stile delle beatitudini. Ci conforta sapere che siete – come del resto siamo anche noi – continuatori della sua missione. Il Giubileo straordinario della misericordia, oltre che richiamo a riconoscere il vero volto di Dio è anche provocazione a riconoscere noi stessi: anche il nostro cuore porta i segni della misericordia che abbiamo ricevuto da Dio, come le nostre mani si aprono per ridonare questa stessa misericordia agli uomini nostri fratelli. La prima opera di misericordia è far conoscere ad ogni uomo quanto ognuno è prezioso per Dio: al punto che “Egli non ha risparmiato il proprio Figlio ma l’ha consegnato per tutti noi” (Rom. 8, 32). Da qui discende la misericordia che si concretizza nella stima di se stessi e degli altri e nel prendersi a cuore la loro vita col suo carico di tribolazioni e i suoi slanci di speranza. Vi ringrazio perchè siete un lembo di Chiesa cremonese immerso nella storia di tante altre Chiese, come segno della cattolicità dell’unica Chiesa, che induce anche noi a vigilare contro il pericolo della chiusura e dell’autosufficienza e a mantenere il respiro dell’universalità. Attraverso la preghiera mettiamoci in rete tra di noi e con Dio, il solo in grado di garantire al nostro lavoro frutti di vita eterna. Buon Natale e Buon Anno nel segno della misericordia. Con stima e affetto. + Dante, vescovo Fondo dei sacerdoti per il sostegno a un confratello in servizio nella diocesi di Almata in Kazakhstan Da undici anni i sacerdoti della diocesi sono impegnati ad alimentare un fondo dal quale attingere quanto serve annualmente per sostenere un sacerdote della diocesi della Santissima Trinità di Almata, in Kazakhstan. L’iniziativa, che era partita dopo la richiesta pervenuta a mons. Lafranconi da parte del Vescovo della Santissima Trinità, servirà, secondo l’indicazione di mons. José Luís Mumbiela Sierra (in foto), titolare della Chiesa di Almata, per sostenere l’argentino don Eduardo Stefani, che opera a 500 km dalla città sede della diocesi. “Si propone nuovamente alla nostra attenzione questa richiesta – spiega don Maurizio Ghilardi, responsabile del Centro missionario diocecesano – in ragione delle ristrettezze economiche del fondo. L’imminenza delle festività natalizie potrebbe essere un momento adatto per un gesto di solidarietà tra chiese sorelle e tra presbiteri. È chiaro che il contributo rimane qualcosa di libero e corrispondente alle possibilità reali di ognuno”. Chi volesse contribuire può farlo direttamente presso l’ufficio ragioneria della Curia, oppure attraverso un bonifico bancario intestato a: Diocesi di Cremona IBAN IT23A0350011405000000001080 UBI Banco di Brescia causale: Centro Missionario Diocesano, sostegno a don Eduardo La lettera di don Ghilardi ai sacerdoti Censimento delle esperienze e dei gruppi missionari operanti in diocesi Il Centro Missionario, diretto da don Maurizio Ghilardi, sta compiendo un piccolo censimento delle esperienze missionarie presenti nella diocesi al fine di poter riunire in un incontro quanti operano nei gruppi missionari parrocchiali (là dove ancora ne esistono) e tutti coloro che (gruppi di giovani, famiglie o singoli laici) hanno svolto un particolare servizio presso una missione durante gli anni 2013-2015. A tal proposito è giunto a tutti i parroci l’invito a segnalare generalità, telefono o e-mail di ciascuna persona impegnata in questo settore o almeno di un referente nel caso si tratti di gruppi. «Spesso alcune persone della nostra diocesi – scrive don Ghilardi – si muovono con associazioni laicali, istituti religiosi oppure con missionari che conoscono direttamente; non importa, ciò che è necessario in questo momento è comprendere quante persone, per poi poterle incontrare, si sono in qualsiasi modo impegnate in un’esperienza simile». Il responsabile del Centro diocesano aggiunge poi un’ulteriore richiesta: alle parrocchie che ospitano dei profughi nelle proprie strutture occorre segnalare la nazionalità e l’appartenenza religiosa. Questi dati vanno inviati, possibilmente prima delle feste natalizie, a [email protected] [email protected]. oppure L'Avvento di fraternità per sostenere i profughi cristiani della Siria accolti in Turchia dalla comunità latina di Antiochia, conosciuta nel pellegrinaggio diocesano del 2010 Anche quest’anno la Chiesa cremonese si prepara al Natale con un gesto di solidarietà a favore di quanti vivono situazioni di particolare necessità. Se in Quaresima l’attenzione va alla realtà locale, in Avvento la mano si tende sempre a qualche altra parte del mondo. La proposta di quest’anno, promossa in sinergia con Caritas Cremonese e l’Ufficio missionario diocesano, è rivolta ai cristiani in fuga dalla Siria, attraverso la Chiesa latina di Antiochia (in Turchia), fortemente impegnata sul fronte accoglienza. Una comunità, quella turca, già legata in qualche modo alla Chiesa cremonese che, il 16 marzo 2010, in occasione del pellegrinaggio diocesano in Siria e Turchia guidato dal vescovo Lafranconi, aveva condiviso un momento di conoscenza e l’Eucaristia con i cattolici di questa terra, avendo modo di farsi un quadro preciso della situazione nelle parole del parroco, un italiano: il francescano padre Domenico Bertogli (in foto con mons. Lafranconi). Quello dei profughi sul confine turco-siriano è un fenomeno davvero importante, basti pensare che nella regione dello Hatay, su una popolazione di circa 1.500.000 abitanti, vi sono 350mila profughi. Quasi tutti sono provenienti dalla Siria: metà di loro vive in tre campi profughi, gli altri nelle città di Antiochia e Iskenderun e in tanti villaggi che hanno raddoppiato la loro popolazione. Locandina dell’Avvento di Fraternità 2015 L’impegno della Chiesa latina di Antiochia La Chiesa latina di Antiochia è impegnato soprattutto nell’accoglienza dei cristiani, che non trovano posto nei campi profughi, dove la stragrande presenza è di musulmani, i quali possono contare anche su un sussidio economico e assistenza sanitaria gratuita. «I cristiani – conferma padre Domenico Bertogli, parroco della Chiesa latina di Antiochia – non vanno nei campi, perché vi sono solo musulmani. I cristiani che si fermano ad Antiochia spesso hanno l’appoggio di parenti. In genere si tratta di presenze solo di passaggio, visto che la speranza per tutti è di continuare il viaggio verso l’Europa». «Nella nostra Casa di accoglienza – prosegue il parroco – ospitiamo, ad esempio, una signora eritrea protestante, ma proveniente dalla Siria, con il figlio piccolo. Sta aspettando il visto per gli Usa. Era sulla strada e nessuno la voleva, perché senza denaro e con un figlio piccolo». L’aiuto della Chiesa latina di Antiochia nei confronti dei cristiani siriani si concretizza anche nel sostegno a due famiglie con figli, specialmente per quanto riguarda la scuola, a una coppia di anziani e a una signora sola. Tutti cattolici, ma non i soli a essere in una di precarietà. L’attenzione della comunità latina si estende anche ad Altinozu, un villaggio vicino, dove è presente una grossa comunità di ortodossi: proprio attraverso il prete ortodosso è garantito il sostegno a cinque famiglie cattoliche, specialmente per quanto riguarda gli affitti e piccole spese, mentre per il vitto provvede la Turchia e i cristiani del villaggio. «Ora è iniziato il freddo – conclude padre Bertogli – e avremo certamente richieste per il riscaldamento». Nuove spese che proprio la generosità dei cremonesi potrà aiutare ad affrontare. La destinazione dell’Avvento di Fraternità 2015 è stato scelto in continuità con un progetto di sostegno ai cristiani profughi dalla Siria già avviato dalla parrocchia di Arzago d’Adda proprio attraverso la Chiesa latina di Antiochia, con la quale proprio a motivo del pellegrinaggio diocesano del 2010 si era instaurato un particolare legame di comunione. La chiesa di Antiochia fa parte del Vicariato apostolico dell’Anatolia, che si estende su tutta la Turchia orientale, da Trebisonda ad Iskenderum, fino al monte Ararat, con una popolazione complessiva di circa 5milioni di abitanti, di cui solo circa 4mila sono i cattolici (dato del 2004). Si tratta di una terra di martiri, anche del nostro tempo. Si ricordano in particolare don Andrea Santoro e il vescovo Luigi Padovese, assassinato nel 2010 e al quale è succeduto, lo scorso 14 agosto, il gesuita Paolo Bizzeti. Le modalità si sostegno al progetto Durante l’Avvento le parrocchie della diocesi attiveranno le modalità più adeguate per sostenere il progetto individuato per l’Avvento di Fraternità 2015. Offerte possono essere effettuate anche direttamente alla Caritas diocesana secondo le seguenti modalità: presso gli uffici di via Stenico 2B (tel. e fax 0372-35063; e-mail [email protected]) con carta di credito attraverso il servizio “Dona ora” sul sito www.caritascremonese.it con versamento su conto corrente postale n. 68411503 intestato a Fondazione S. Facio onuls con versamento su conto corrente bancario presso la Banca di Piacenza di via Dante 126 a Cremona (Iban: IT 57 H 05156 11400C C054 0005 161) intestato a Fondazione S. Facio onuls indicando nella causale Avvento di Fraternità 2015. Il pellegrinaggio diocesano in Siria e Turchia nel marzo 2010 Le parole di padre Bertogli ai cremonesi il 16 marzo 2010 Photogallery dell’incontro del gruppo cremonese con la comunità latina Dal Brasile, Bellani don Emilio Non mi è facile raccontare quanto accaduto di più significativo in questi ultimi mesi, traboccanti di eventi. Apro la mia agenda e la trovo molto pasticciata, colma di nomi, di orari, di frecce, cancellazioni, sottolineature, rimandi. C’è una domanda che mi sento ripetere proprio tutti i giorni, per strada e nelle case: “e padre Ignazio? Come sta padre Ignazio? Hai notizie su di lui?” Padre Ignazio, lo scrivo per chi ancora non lo sapesse, è il padre e l’amico del Pime che, nel 2008 era presente all’inaugurazione della nostra chiesa, il fondatore –diciamo- della nostra parrocchia. L’ho affiancato nel 2010 ed insieme abbiamo vissuto e lavorato fino al marzo di quest’anno, quando i superiori gli hanno chiesto un grande sacrificio, di lasciare questa favela e la Bahia, per lanciare le reti in un altro angolo del Brasile, in Amazzonia. Duemila e otto chilometri in linea retta, avverte Google, 2.800 per un altro sito … Partirei proprio dal mese di marzo di quest’anno, se non ci fosse –ad impedirmelo- un fatto che ci ha feriti in questi ultimi giorni. Per me lei era una ragazzina molto speciale, intelligenza acuta, vivacissima, provocatrice nata. “Da grande farò la professora!” mi diceva, e a fatica io trattenevo la risata, perché me lo diceva la ragazzina che tirava scema ogni insegnante, e che una volta abbiamo allontanato anche dal catechismo, perché … ingestibile. La notizia mi è giunta su WhatsApp: ‘Emilio, sono Paola. Ho saputo una cosa terribile che é accaduta al Boiadero. Mi ha chiamato Pekeno. Non riesco a scrivere. Sono scioccata. Ti cerco domani.’ Paola è la direttrice del nostro Centro educativo, e il messaggio era scritto alle 2 e 33 di notte… Bruna ci ha lasciati non per malattia, ma perché uccisa dallo zio. Ebbe solo il torto, quel sabato sera, di trovarsi nel posto sbagliato all’ora sbagliata. Un alterco violento tra ragazzine che vivono in povere case, che accendeva una furibonda lite tra le rispettive famiglie. Odio atavico tra persone legate dallo stesso sangue? Aggiustamento di conti?… L’uomo la colpiva improvvisamente al collo con un coltello e la piccola stramazzava a terra biascicando due paroline (“meu pai”) con l’ultimo fiato che le restava. Non vi racconto il resto perché non mi credereste, la gente che lancia pietre contro la casa dell’omicida, e questi che –per fuggire una pena pesantissimaistiga una nipotina minorenne ad assumersi la colpa. Hanno stampato, in ricordo di Bruna, una maglietta che conservo nel mio studio e che dice così: ‘mais uma estrela que no céu ira brilhar! Esteja com Deus!’. L’abbiamo ricordata nella santa Messa domenica mattina, col papà e tante amiche. Certi che quelle due ultime paroline la portavano dritta tra le braccia di un papà più grande. Domenica mattina la Messa è stata davvero speciale, c’erano con noi gli amici Angelo Abbondio, di Milano, e la figlia Cinzia. La nostra bella chiesa, senza di loro, non esisterebbe, ed io non sarei qua. A loro, che ci accompagnano sempre assieme alla mamma Fernanda(rimasta in Italia), abbiamo affidato di tagliare il nastro al momento di inaugurare il campo di calcetto a lato della chiesa, rimesso a nuovo. Un torneo a quattro squadre ha poi di fatto solennizzato il momento. Anche per questo, alla Messa, mi son visto arrivare ragazzini in divisa, in maggioranza evangelici (protestanti), che non avevano mai messo piede nella nostra chiesa. L’assedio al campetto tirato a lucido era già cominciato qualche ora prima e dovevate vedere gli occhioni sgranati e increduli dei ragazzini! Il Brasile è il Brasile e, pure in assenza dei campioni di una volta, è ancora … pane e pallone. La mia giornata era cominciata alle 6, quando, in una nostra chiesetta seminascosta tra le case della favela, i primi bambini cominciavano a essere serviti a tavola da adulti della nostra comunitá che gli avevano preparato una generosa colazione a base di frutta, di torte, caffelatte e succhi. Donna Vanda, 75 anni e una casa che è stata rifugio per decine di ragazzine bisognose cresciute da lei, donava quella mattina a tutti i ragazzini della colazione un bel piatto di plastica sul quale aveva incollata l’immagine della Aparecida, la Madonna patrona del Brasile. E con la piccola statua dell’Aparecida, il 12 di ottobre, si era fatta una bella processione per le stradine, io col megafono e quattro ragazzine ad aprire il corteo avvolte in vesti colorate, sotto un sole fortissimo. Giunti alla chiesetta, tra canti e spari di mortaretti, siamo stati accolti da un piccolo coro e tanta gente in festa. La celebrazione si é chiusa, come sempre accade da queste parti, con l’offerta di grosse fette di torta. Altra festa –con processione e Messa- in altra parte del quartiere, il 4 di ottobre, per celebrare san Francesco. La chiesina era stracolma. Alla fine, pollo arrostito e soprattutto fejoada (stufato di fagioli neri con carne di maiale e pancetta, piatto per eccellenza della cucina brasiliana). Il pentolone era davvero enorme e, quel che rimase, venne offerto sulla strada alle persone in attesa. Per l’occasione abbiamo anche chiamato a raccolta tanti ragazzini del quartiere attraverso una caccia al tesoro tra le varie stradine. E qui accadde ció che non mi era mai accaduto: al momento di raggiungere il tesoro, questi non c’era. Non che fosse ben nascosto, no, proprio non c’era! L’avevo consegnato ad un pescatore amico perché lo nascondesse (un sacco pieno di caramelle italiane!) sulla propria barca a poche decine dalla riva, calcolando che la marea a quell’ora era bassa. Ma quando mancavano ancora pochi biglietti alla fine del gioco, constatavo nervosamente che pescatore e barca ancora non erano rientrati dalla notte di pesca. Pregai che ciò potesse accadere il più in fretta possibile. Inutilmente. Così la squadra che era in testa, seguendo le indicazioni dell’ultimo biglietto, si era portata in riva al mare a cercare la barca. Dopo dieci minuti si aggiunge la squadra che era seconda. Una manciata di secondi e arriva, nello stesso tratto di spiaggia, anche quella più in ritardo. Tutti a cercare senza trovare. Tutti a domandare. Io che non so quale santo invocare, ma stavolta per l’esatto contrario: se la barca fosse rientrata in quei momenti sarebbe stata la guerra tra decine di ragazzini che l’avrebbero fatta da pirati. Non arrivò, grazie a Dio. Il gioco non si è concluso come doveva, ma comunque le caramelle, qualche giorno dopo, sono andate a tutti. Mentre scrivo bussa alla porta donna Leda, con una richiesta: “padre Emilio, posso fare qualcosa?”. “Certo”, le rispondo, tra poco comincia il mese di novembre e ogni domenica ce n’é una nuova: i Battesimi per ragazzi e adulti, le prime Comunioni, le Cresime. Avremo da servire molte merende, nel nostro salone, ai ragazzi e ai loro amici e familiari; e poi ci sono i fiori per abbellire l’altare … Con certezza avremo bisogno di te, preparati!”. “Io sono qua, mi risponde, lo sa!” Che forza!, mi dico, ha quattro figli, … e poi tutte le mattine si fa la sua strada sotto il sole o la pioggia per andare al lavoro … Ma la parrocchia sta su per gente così. Non abbiamo alle spalle le multinazionali nordamericane! Ai sacramenti ci si prepara, qua come in tutto il mondo, con la catechesi. E quest’anno, in questo lavoro, no sono mancate delle sorprese proprio belle. Al Cabrito, per esempio. Un’area piuttosto lontana dalla nostra chiesa, e non solo geograficamente. Moltissime famiglie sono di fatto evangeliche e altre, afrodiscendenti, praticano il Candomblé, religione derivata dall’animismo africano. Di sabato celebro la Messa nella piccola chiesa con 3 o 4 persone, salvo eccezioni. Da anni, in questa regione, il catechismo non si faceva. Ma quest’anno la musica é cambiata. Attraverso Marta, giovane mamma con un passato da catechista, Dio sta facendo fiorire qualcosa di bello in questo deserto. Marta vien giú dalla collina a piedi, di sabato, con la figlia in braccio e il figlio Matteo che la aiuta a reggere una grossa borsa di merende perlopiù preparate in casa. Poi apre con Jassiara, l’altra catechista, la chiesetta e la piccola sala attigua, mette in ordine le sedie e i tavolini … i bambini cominciano intanto a sbucare da ogni lato, sono quasi una ventina ed apprendono i primissimi rudimenti della fede, fanno cartelloni, giocano, cantano, ballano. Alla fine entrano nella sala alcune loro mamme, con qualche salatino o specialità casareccia. Insomma, una festa dove prima non c’era quasi niente. Una strada, un cammino che si é aperto, e per iniziarlo Dio si é servito di una madre che ancora non é sposata, e che parla di Maria con una tenerezza che sempre mi commuove. Una donna che non ha la volontà, e neppure il tempo!, di rivendicare per se ruoli speciali nella chiesa. Anche quella delle Cresime é bella da raccontare. La partenza del cammino preparatorio é avvenuta in sordina, con 3 o 4 ragazzine di 15 anni con le quali abbiamo diviso molte cose in questi anni. Ad un tratto si é aggiunta, non ricordo come, Annaurelia che, ogni settimana, vi portava uno nuovo: il nipote, per cominciare, poi la sorella (alla quale –sue parole al momento di presentarsi- interessa soprattutto la birra!), un altro nipote, poi una seconda sorella con lo sposo, un terzo nipote, … infine una amica. Quest’ultima, dopo due settimane, ritorna accompagnando un ragazzino di 16 anni che col pallone tra i piedi vi incanta… Il gruppo quindi si allarga, e anche l’entusiasmo. Mi colpisce anche Rafaele, una ragazza da poco tornata da Brasilia dove ha studiato. Mi dice che coi sacramenti lei é a posto, però mi porta il moroso: “io vorrei sposare un giovane che ama le stesse cose che io amo!”. I due non mancano una sola volta. C’é poi Giovanni, riaccostatosi alla chiesa cattolica dopo un terribile incidente di moto. Padre Ignazio lo andava a trovare nei difficilissimi giorni del coma e da allora non lo ha mai lasciato! L’altra domenica ciascuno di questi amici é uscito di casa con qualcosa (torta, frutta, succhi, caffé) e all’uscita da Messa insieme han voluto servire a tutti, gratuitamente, una buona colazione. Quando penso alla cresima mi invade la memoria di una nostra ragazzina che, pur sollecitata, non ha mai voluto andare oltre la prima comunione, Duda. Abitava con papá difronte alla nostra chiesa, su un dosso scosceso. L’uomo aggiustava casse acustiche e –quand’era su di giri- le testava anche a mezzanotte, invadendo di musica tutta la favela sottostante. C’erano notti che, per fare un favore ai padri, e non importava l’ora!, metteva su “Roberta” e altre canzonette italiane. Anche i suoi vicini erano piuttosto turbolenti, non per questioni legate alla musica ma alla droga. Cosí un certo capetto, di notte, forzato il cancelletto, entrava nella casa del poveruomo chiedendo denari. Nella colluttazione il nostro amico rimaneva ferito alla testa, alla mano, al piede. Azzoppato e costretto alle stampelle per qualche mese. Duda, che era stata con noi negli ‘Amici di Edimar’, cominció a staccarsi dalla chiesa, dalla scuola e persino dal papá, fuggendo di casa e frequentando il peggio. Una notte di due anni fa ci chiamarono al telefono dicendo che, in preda all’alcool (o ad altro?) Duda sibilava il mio nome. Io e l’Ignazio, immaginando l’imminente pericolo, saltiamo in macchina e la cerchiamo dappertutto, nell’ora nella quale non gira nessuno. Anche al posto di polizia non hanno nessuna notizia sulla ragazzina che continuava a fare il mio nome, io credo, nel tentativo estremo di chiamare un soccorso. Fece ritorno a casa qualche settimana piú tardi, inventandosi un mare di bugie. Duda non chiedeva soldi, perché sapeva che non gliene avremmo dati. Ma a volte si presentava alla nostra porta con la pancia vuota. Bastavano due battute e una manciata di biscotti perché cominciasse a raccontare tutte le cavolate che faceva. Ma in fondo aveva un cuore bello, che il male non era riuscito a distruggere. Mi vien la pelle d’oca al ricordo di come una sera, commossa, gli eran scese le lacrime a sentirsi raccontare la storia del figlio prodigo e del padre buono. Il tempo passava e lei, inseguita da figuri coi quali si era indebitata fino al collo, dormiva ogni notte in locali differenti. Fino a quando, forse con la soffiata di una amica, le hanno teso la trappola fatale. Mezz’ora dopo che l’hanno freddata con vari colpi alla testa e al collo, in un angolo squallido della collina, la foto di una ragazzina raggomitolata in una pozzanghera di sangue era postata in facebook, in pasto a tutti. É una foto che conservo nel mio cellulare, insieme ad una sua poesia. Anche la sepoltura, accompagnata dal papá e da due o tre amiche, sotto un cielo grigio, sembrava fatta apposta per cancellare per sempre le tracce di questa ragazzina che aveva cominciato a chiamarmi “pai”, papá. Non c’era posto nel nostro cimitero e l’hanno posta del peggiore dei cimiteri che io conosca, chiusa tra quattro assi senza maniglie. Ma ci rivedremo, Duda, tu con quella tua treccia indio, e la piccola Bruna nell’abito inusuale ed elegante col quale era proclamata vice-regina nella piccola sfilata tre giorni prima di morire. Domenica sará la solennitá di tutti i Santi. Qua, nella Bahía de Todos os Santos (fu il nostro Vespucci …), non si celebra niente. Nella cittá piú festaiola non si celebra la festa che ha dato il nome alla sua incantevole baia. Peró é domenica. E noi usciremo di qua per un giorno intero su una piccola isola, per la chiusura dell’anno catechistico. Nell’Ilha de Maré, cantata da molti artisti, faremo gioconi, il bagno nell’acqua cristallina, celebreremo la Messa dinnanzi ad una chiesetta conosciutissima. Questi sono i giorni delle iscrizioni e saltano fuori ragazzini che non ho visto una sola volta al catechismo, inventandosi storie che li fanno tra i piú assidui frequentatori della chiesa … Ma sí, li caricheremo proprio tutti sul barcone che attraversa quel pezzo di mare … Ma al momento di salpare, e prima che si scateni la grande festa, vorrei mostrare a tutti, puntandovi il dito, quel cimitero in cima alla collina. So che alcuni, al ricordo di Duda, si commuoveranno. Ma é solo per dirgli che noi siamo proprio fortunati, perché abbiamo tra noi Chi ci aiuta a stare davanti a tutte le cose della vita, il sole e la pioggia, il gioco e il pianto. In fondo, il corso e i tornei di calcio (60 ragazzi), la scuola di balletto (150), i vari corsi di computer (siamo a 250), gli incontri e i pranzi … tutto ci é dato per incontrare e scoprire, insieme agli amici, quel pezzettino di mondo che si chiama ‘cuore’, e tutto il bisogno che lo abita. Cosí da poter dire, con l’Avvento alle porte: “vieni Signore Gesú!” Vostro don Emilio, Salvador Bahia, 27 di ottobre 2015.