Recensione dello spettacolo “L I N D A” a cura di Silvia Rubino 10

Transcript

Recensione dello spettacolo “L I N D A” a cura di Silvia Rubino 10
Recensione dello spettacolo “L I N D A” a cura di Silvia Rubino
10 novembre 2015
Jelly Chiaradia legge Anais Nin
Domenica primo novembre 2015, Ognissanti, accadeva presso il Giardino Diversensibile
di Ariano Irpino, che l’attrice Jelly Chiaradia, ci raccontasse Linda.
Linda, un racconto erotico, prodotto da Il Teatro del Tao è il quattordicesimo racconto tratto
dal libro Il delta di Venere di Anais Nin. La sua lettura è intramezzata da versi di canzoni
francesi e italiane.
E’ la storia di Linda, del suo percorso di scoperta del proprio potenziale erotico e della
propria carica sessuale. Il suo ruolo di eterna amante del marito, Andrè, che adora
possederla in ogni luogo che non sia la loro camera da letto, conduce la donna ad
abbandonarsi completamente alle proprie sensazioni e ai propri desideri, risvegliando un
appetito sessuale capace di intimorirla. Il desiderio e l’energia sessuale dei coniugi avrà un
percorso diametricalmente opposto: al crescere di quello di Linda coinciderà il progressivo
spegnersi di quello del marito. Linda teme il giorno in cui il marito non potrà più bastarle…
Inizia così, in un momento di assenza di Andrè, accettando l’invito a una “particolare” festa
in maschera, un racconto di avventure erotiche intensamente vissute, lasciandosi andare
ai desideri e alle sensazioni percettive del momento. Una parte di Linda ha abdicato
completamente alla sua facoltà di decidere cosa fare. Ora è il momento dei sensi, del
desiderio stimolato e nutrito dalla vista, dall’olfatto, da ogni organo sensoriale orientato alla
ricerca di sensazioni inedite e di appagamento sessuale.
Sullo sfondo del muro di fronte agli spettatori, un pannello, su cui è stata adagiata in cima
della lingerie. Vi è poi un leggio dinanzi ad esso un po’ spostato in avanti e alla sinistra di
quest’ultimo, un baule. Su di esso sono adagiati dei libri, una bottiglia, un arnese che
scopriamo al termine dello spettacolo essere un bacchetta da batteria, un mallet.
Entra in scena l’attrice, una portatrice di quel femmineo che è già tutto nella scrittura di
Anais Nin. I movimenti lenti e sensuali ci introducono in un clima di sottile e nebuloso
erotismo.
La voce di Jelly Chiaradia è soave e leggera neI racconto iniziale dei fatti. Scorre rapida,
come se fosse desiderosa di mostrarci piuttosto velocemente, ma con grande chiarezza
espressiva, l’antefatto. La sua storia coniugale e sessuale, una ricca avventura di piaceri e
scoperte non sono che l’inizio della vera storia erotica.
La Linda che vediamo e sentiamo è una gamma di colori da scoprire, attraverso il suono di
ogni accordo di parole pronunciate.
La Chiaradia racconta ed evoca attraverso la voce e la gestualità; i suoi movimenti sono
fluidi e sensuali seppur confinati dietro a un leggio e circoscritti da uno spazio minimo,
necessario alla lettura.
L’attenzione è costantemente diretta su di lei; noi visualizziamo e sentiamo i luoghi citati,
gli oggetti, le atmosfere, i corpi e i loro movimenti seguendo un flusso, un vortice
dall’intensità vertiginosa.
Di tanto in tanto nasce il bisogno di distogliere lo sguardo solo per un attimo, per
interrompere, un incantesimo, un’energia evocata che è di quelle che getta il lazzo e non
lo allenta. Ma il lazzo non è ruvido, né duro, nemmeno mentre immaginiamo e sentiamo il
cordone del parroco contro il quale Linda si sfrega, ormai in balia di un desiderio
incontrollato di prendere piacere e non rinunciarvi mai. La parola di Anais è femmina, è
curvilinea e smussata anche quando descrive un amplesso violento e bestiale. La bestia è
stata catturata e ammaliata da una sacerdotessa che l’ha imprigionata sulla carta e ora è
evocata da una seconda sacerdotessa attraverso la sua presenza scenica.
Jelly Chiaradia diviene una fessura vitale dell’ordine dell’universo e si lascia attraversare
dall’energia necessaria alla trasformazione. Diventa così lei stessa racconto di percezioni,
di sensazioni, di gamme uditive, olfattive e tattili, modulando l’intonazione e la voce a
contatto di corpi e oggetti. La scrittura scivola via rapida e consente alla sua evocatrice di
trascendere da una lettura interpretativa ordinaria, da una lettura già codificata seppur
intensamente vissuta. La Chiaradia infatti la dilata, la restringe e la interrompe, la
sminuzza e sembra abbandonarsi a manifestazioni impulsive, assecondando l’ispirazione
del momento. E’ a tratti vibrante e tesa, poi languida, poi la parola è sospirata, interrotta da
pause nel bel mezzo del suo scandirsi; è accelerata, poi sussurrata e appena un po’
ansimante è alternata a delle leggere risate di godimento nei momenti dell’orgasmo.
La Chiaradia indulge per quasi tutto il racconto in una posizione accovacciata. Talvolta ha
bisogno di appoggiarsi con entrambe le mani sul leggio come se stesse completamente
abbandonandosi a un piacere che la inonda da dentro. In tali momenti la voce vacilla,
ansima e si spezza per poi tornare più controllata. Il braccio destro è quasi sempre teso
verso l’alto, in una ricerca di verticalità che diventa tanto più evidente quanto più il
racconto evoca l’amplesso. Poi inizia a cantare in francese con una voce calda e
irresistibile. Gli inserti cantati producono una sensazione di cesura ma la voce incanta e
conduce da una riva all’altra del racconto.
La parola che procede su un letto di energia costante non indulge su aspetti morbosi, né
mai violenti. Al contrario è tutto in un soffio, il soffio di uno spirito femminile che evoca una
dimensione di delicata sensualità e di un erotismo che parrebbe carico di sentimento oltre
che di emotività. Quanto sembra meravigliosamente legittimo e giusto seguire un corso
tanto lineare, tanto fluido verso il raggiungimento del proprio piacere quando la parola di
Anais Nin incontra nella Chiaradia la sua sacerdotessa in carne e ossa.
Jelly Chiaradia è uno spirito alfabetizzante che propone una forma di lettura che è un
incantesimo, a tratti una filastrocca, il soffio di un vento che trascina noi e Linda da un
corpo a un altro. L’interpretazione nella lettura non richiede alcuna spiegazione. Ogni
elemento presente nella narrazione rivendica un proprio slancio, la propria ragione di
esistere a prescindere da ogni giustificazione. Quando giunge alla fine della sua malia la
Chiaradia prende la bottiglia e percuotendola ritmicamente con il mallet si accompagna in
un’Ave Maria che sfuma i contorni di quel racconto come a chiudere col buio in sala. L’Ave
Maria come una ninna nanna che esalta l’illusione di quanto visto e udito, la sua natura
inafferrabile di un sonoro vento femminile.
https://lasciatemisciogliere.wordpress.com/