diario dal brasile - Partito della Rifondazione Comunista

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AURORA – n. 25 – Anno III – novembre 2010
RUBRIC
A
DIARIO DAL BRASILE
di Simone Rossi
TA
PUNTA
A
T
R
A
QU
RIFORMA AGRARIA,
L’OCCASIONE PERSA
DEL GOVERNO LULA
L ONDRA – Nonostante il coinvolgimento in episodi di cor-
ruzione di alcuni funzionari della Casa Civil (corrispondente
al nostro Ministero degli Interni per funzioni), che probabilmente sono costati il mancato raggiungimento del 50%+1 alla
candidata del PT Dilma Rousseff fermatasi al 46% durante il
primo turno delle elezioni presidenziali, il governo in carica,
presieduto dal Presidente Luís Inácio da Silva detto Lula, gode
ancora di un elevato consenso popolare, stimato intorno al
80%. Durante i suoi due mandati, Lula ha guidato il proprio
Paese attraverso una lunga fase di espansione economica ed ha
accresciuto il peso del Brasile sullo scacchiere internazionale,
smarcando il Brasile dalla dipendenza politica ed economica
dagli USA. Sebbene tale crescita abbia soprattutto coinvolto
e beneficiato le grandi aziende nazionali, in particolare quelle
produttrici di materie prime, il Governo ha saputo trarre
vantaggio dalla congiuntura positiva per migliorare le condizioni di vita degli strati più poveri della società, attraverso
l’incremento del salario minimo, più che raddoppiato in dieci
anni, e l’attuazione di programmi sociali di integrazione del
reddito, di sostegno all’acquisto di una casa, di ampliamento
dell’accesso ai gradi superiori dell’istruzione. Questo spiega il
così ampio consenso, interclassista, di cui gode oggi. Durante
questi otto anni, tuttavia, la struttura socio-economica stessa
del Paese non è stata intaccata, né i fattori alla base dei pesanti
squilibri nella distribuzione della ricchezza sono stati rimossi;
in particolare, le speranze in una riforma agraria sono state
ampiamente disattese da Lula, esponente di spicco del movimento sindacale degli anni ‘80 e per molti anni principale
interlocutore politico delle Movimento dei Lavoratori Rurali
Senza Terra (MST). La mancata riforma agraria è stata un
pegno pagato ai partiti moderati che hanno fornito il sostegno
parlamentare al Governo in questi anni, partiti in cui hanno un
notevole peso politico i latifondisti del Nord e le élite finanziarie del Sud, che hanno investito ingenti risorse nel cosiddetto
“agri-business”, ossia l’industrializzazione dell’agricoltura per
la produzione di monocolture destinate all’esportazione e la
trasformazione dei generi alimentari in merci su cui speculare.
Questa forma di sfruttamento puramente capitalista della terra
incentiva l’ulteriore accentramento della proprietà terriera e
la deforestazione.
La questione della distribuzione della terra e del suo
sfruttamento affonda le radici nella forma di colonizzazione
europea che il Brasile, come buona parte del continente americano, conobbe a partire dal XVI secolo. Dopo la prima fase
esplorativa la regione divenne una colonia di sfruttamento
delle risorse agricole, minerarie e forestali da parte dell’aristocrazia portoghese, in nome e per conto della Corona, con
un’economia orientata al trasferimento della ricchezza verso la
madre patria. Questa organizzazione della colonia portò alla
crescita ed al rafforzamento dell’aristocrazia terriera locale ed
ingessò il sistema sociale ed economico del Paese per oltre due
secoli. L’indipendenza del Brasile dal Portogallo nel 1822/25,
la progressiva apertura al commercio estero su pressione del
Regno Unito e passaggio dall’Impero alla Repubblica (1889)
non comportarono alcun cambiamento significativo nella
struttura sociale brasiliana, né nella distribuzione della proprietà terriera. L’immigrazione in massa dall’Europa a partire
dalla seconda metà del XIX secolo portò ad un incremento
nel numero di piccoli proprietari terrieri ma senza che questo
mutasse la struttura fondiaria del Paese, dal momento che i
coloni si insediavano in terre marginali o si dedicavano allo
sfruttamento delle terre vergini. Con la fine del regime di
schiavitù, inoltre, molti immigrati fornirono manodopera nelle
grandi piantagioni di canna da zucchero e di caffé, in particolare
nel Sud-Est e nello Stato di San Paolo. Il colpo di stato del
1930 e la fondazione della Repubblica Nuova segnarono la fine
del predominanza politica dell’oligarchia agraria proveniente
dagli stati di Minas Gerais e San Paolo, ma non comportarono
alcuna modifica all’assetto della proprietà terriera. I governi
che si succedettero dopo il golpe, infatti, investirono molto
nell’industrializzazione del Paese ed introdussero norme che
migliorarono la qualità della vita del proletariato urbano, ma
non adottarono misure che intervenissero sulla miseria delle
campagne e sui meccanismi che ne erano la causa. Solo dopo
la II Guerra Mondiale e la progressiva democratizzazione del
Brasile la questione della riforma agraria trovò spazio nell’agenda politica nazionale e, tuttavia, si dovette attendere l’avvento
alla Presidenza di João Goulart perché le buone intenzioni si
trasformassero in volontà politica. Nel 1962 fu creata la Sovrintendenza alla Politica Agraria con il compito di portare a
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compimento la riforma agraria, cui seguì l’approvazione dello
Statuto del Lavoratore Rurale; il 13 marzo del 1964, infine,
il Presidente della Repubblica decretò l’esproprio delle terre
lungo una fascia di 10km da tutte le autostrade, le ferrovie e
le dighe costruite con fondi federali, in modo da poter attuare
la riforma agraria. Il 31 marzo del medesimo anno un colpo
di stato militare destituì Goulart ed instaurò un regime che
sarebbe durato due decadi. Il nuovo Governo insediato dai
militari mantenne formalmente l’impegno di attuare la riforma
agraria e procedette all’emanazione dello Statuto della Terra,
che avrebbe dovuto disciplinare gli interventi di distribuzione
della terra. Nei fatti, durante la dittatura solo poche migliaia
di famiglie ebbero accesso alla terra, spesso in aree sottratte
alla foresta amazzonica, mentre si consolidò ed espanse il
latifondo, trasformato in senso capitalista ed orientato alla
produzione di generi di esportazione, in particolare la soia,
la canna da zucchero ed il caffé. Dal punto di vista sociale,
la politica agricola adottata dai governi militari contribuì alla
crescita del malessere presso i lavoratori rurali senza terra, che
cominciarono ad organizzarsi e ad intraprendere varie forme
di lotta per richiedere l’attuazione della riforma agraria. Alla
fine degli anni ‘70 il numero di occupazioni delle terre iniziò a
crescere, soprattutto negli Stati meridionali; dopo vari lustri di
repressione cruenta del dissenso e di chiusura di qualsiasi spazio
di agibilità democratica, le occupazioni e le lotte contadine
furono il primo fuoco di una protesta che si sarebbe allargata
a gran parte del Paese, saldandosi con i movimenti urbani
di opposizione al regime autoritario. Nel 1984 i movimenti
rurali fecero un passo ulteriore e si dotarono di una struttura
organizzativa nazionale, il MST i cui principali obiettivi di lotta
erano l’accesso alla terra, la riforma della proprietà agraria e,
più in generale, il cambiamento sociale in Brasile. Con la fine
del regime militare, nel 1985, si ebbe un nuovo e temporaneo
impulso verso la risoluzione della questione agraria, con la
definizione di un piano che avrebbe dovuto garantire la terra
a un milione quattrocentomila famiglie. Esso fu attuato solo
parzialmente e l’elezione di un nuovo presidente nel 1989,
Collor de Mello, segnò un ulteriore periodo di repressione dei
movimenti sociali rurali. I due presidenti che si succedettero dal
1993 al 2002, infine, cancellarono i programmi di assistenza ai
piccoli agricoltori e di distribuzione della terra introdotti nel
1985, continuando a ricorrere ai metodi repressivi per impedire nuove occupazioni e lo svolgimento di marce di protesta.
Nel 1994, a 30 anni dall’emanazione dello Statuto, solamente
trecentomila famiglie avevano ottenuto un appezzamento, a
fronte di milioni di senza terra; nel frattempo si era assistito
ad un massiccio esodo rurale verso le città, dove i contadini
ingrossarono le favela ed i quartieri malsani. A fronte di questa malcelata avversione nei confronti della riforma agraria
espressa dalle nuove istituzioni democratiche, il MST, tramite
una rete capillare sul territorio e grazie ad una buona capacità
organizzativa, realizzò occupazioni di terre, formò cooperative
per il loro sfruttamento ed indisse manifestazioni pacifiche per
mantenere l’attenzione dell’opinione pubblica alta al fine di
spingere le istituzioni ad attuare la riforma.
Fino al 2002, a queste attività ed alle azioni legali intraprese
contro l’appropriazione indebita di terra da parte dei latifondisti
ai danni dei piccoli agricoltori, le istituzioni locali e nazionali
del nuovo corso democratico risposero con la repressione
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violenta, rimozioni e con sentenze che avallavano i falsi atti
di proprietà o imponevano pene miti ai loro sicari e sgherri
per le aggressioni e gli omicidi dei senza terra, senza imputare
e condannare i mandanti. L’elezione di Lula, ex operaio, ex
sindacalista, già carismatico uomo di spicco dell’opposizione al
regime militare, produsse euforia tra le organizzazioni popolari
ed i cittadini più poveri, incluso il MST. Gli agricoltori senza
terra videro nell’elezione di un Presidente di Sinistra il segno
di un cambiamento di rotta, il preludio alla tanto agognata
riforma agraria; tuttavia tale speranza fu disattesa nel corso
del primo anno di mandato di Lula, quando il progetto elaborato da esponenti del mondo accademico e dei movimenti
sociali rurali non fu adeguatamente sostenuto dal governo.
Le ragioni di questa scelta devono essere individuate anche
nel fatto che, nonostante il forte consenso popolare ottenuto
alle elezioni, il Presidente non poté contare, numericamente,
sul solo appoggio del proprio gruppo parlamentare di riferimento, quello del PT, e costruì un’alleanza con parte dei
settori moderati; il che impose un’ulteriore svolta al Centro
di un partito che comunque già aveva ammorbidito le proprie
proposte rispetto alle prime elezioni presidenziali del 1989.
Conseguentemente ogni rivendicazione o proposta di riforma
è stata accantonata, mentre il Governo ha proseguito nell’opera
di colonizzazione dell’area amazzonica e di affidamento di terre
marginali già avviata dal predecessore Fernando H. Cardoso.
Anche la risposta fornita dalle istituzioni alle lotte del MST
e di altre organizzazioni minori è stata solo parzialmente
influenzata dall’avvento al potere di Lula: sebbene i casi di
repressione violenza delle manifestazioni siano in parte diminuiti e la connivenza dei magistrati con l’élite rurale sia in
parte venuta meno, come ha confermato la sentenza “storica”
contro assassini e mandante dell’omicidio della missionaria
Dorothy Stang, permane il muro di ostilità nei confronti
delle organizzazioni contadine, alimentato dalla campagna
dei mass media brasiliani, che non di rado le dipingono come
terroristiche o eversive. In considerazione di ciò, in questo
anno di elezioni presidenziali il MST ha lanciato una serie di
campagne per riportare l’attenzione del Paese su questo nodo
irrisolto, chiedendo ai partiti di Sinistra di re-introdurre il tema
nell’agenda politica ed istituzionale del prossimo parlamento.
In aprile si sono tenute iniziative e manifestazioni in tutto
il Paese, concluse dalla tradizionale Giornata di Lotta per la
Riforma Agraria. Ad inizio settembre, poi, il movimento ha
avviato una consultazione popolare auto-organizzata per sostenere la proposta di un limite alle dimensioni delle proprietà
agrarie, fissato a 35 moduli fiscali, ossia 35 volta le dimensioni
di un appezzamento in grado di sfamare una famiglia; tale
consultazione è affiancata una petizione per richiedere una
modifica costituzionale che sancisca la funzione sociale della
proprietà. Per parte sua, Dilma Rousseff ha partecipato, in
fine di campagna, ad alcune iniziative promosse dagli esponenti dell’agri-business, mettendo in chiaro da che parte starà
il probabile futuro Presidente e tradendo ulteriormente le
aspirazioni al cambiamento del proletariato rurale. Si conferma, quindi, quella deriva moderata che accomuna il PT
ai partiti socialisti e socialdemocratici europei e lo allontana
dal progetto di Socialismo del XXI Secolo che altri governi
latino-americani perseguono da alcuni anni, suscitando speranze nelle masse del continente.