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In molte economie di mercato nle società dei servizi sono di pr
IL COLLEGAMENTO TRA LA STRATEGIA DI LISBONA E LE PROBLEMATICHE ENERGETICHE COMUNITARIE GIOVENTU’ FEDERALISTA EUROPEA A cura di: GFE Roma Con la partecipazione di: Florent Banfi (JEF-France) La strategia di Lisbona è il sentiero indicato dal Consiglio di Lisbona nel 2000 per rendere l’Europa entro il 2010 l’area più competitiva del mondo, basata sull’innovazione e la conoscenza. I due assi portanti di tale strategia sono la crescita e l’occupazione, anche se lo scopo più generale è quello di assicurare “lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente1”. La questione delle politiche energetiche dell’UE entra in stretto contatto con le prospettive della strategia di Lisbona, che, come sappiamo, a ormai sei anni di distanza dalla sua particolare, le scelte che adotterà in futuro l’UE nel settore energetico potranno essere di forte impulso o al contrario risultare un sostanziale freno per la realizzazione di Lisbona. Ad oggi, dobbiamo prender atto del fatto che l’attuale situazione delle politiche energetiche europee produce soprattutto ostacoli sia per la crescita che per l’occupazione che per l’obiettivo più generale dello sviluppo sostenibile europeo. Allo stesso modo, la mancata realizzazione degli obiettivi delineati a Lisbona di maggiore crescita ed occupazione, sulla base del rilancio dell’economia della conoscenza e dell’innovazione delle industrie europee, rallenta fortemente la realizzazione di una vera e propria politica energetica comune, che garantisca il giusto equilibrio tra competitività, sviluppo sostenibile e degli approvvigionamenti. Articolazione della nostra ricerca: Nel seguente documento condurremo avanti un’analisi articolata in cinque punti: a) descrizione dell’attuale mancato completamento della liberalizzazione del mercato interno e conseguenze; b) livello e dispiegamento corrente dei consumi energetici con presentazione di due casi nazionali, francese ed italiano; c) stato della ricerca in materia energetica e necessità di un rilancio degli investimenti nel settore; d) necessità di un parziale riorientamento nella politica degli approvvigionamenti ed eventuale impatto sulle relazioni internazionali. 1. La mancata liberalizzazione del mercato interno: descrizione e prospettive Il completamento del mercato unico rappresenta un passo fondamentale per la realizzazione della strategia di Lisbona. In particolare l’UE ha bisogno di un’effettiva liberalizzazione dei di settori chiave quali i servizi, le telecomunicazioni, i trasporti, il mercato finanziario, ed anche il settore energetico. Sono tutti settori che possono offrire guadagni reali in termini di crescita e occupazione, e che sono di importanza immediata per i consumatori. Questi settori al momento risultano invece essere un grosso ostacolo alla concorrenza, e perciò in generale alla capacità dell’Europa di attrarre investimenti e lavoro. Nel settore dell’energia la legislazione europea prevede già apertura dei mercati, ma di fatto questa è lontana dall’essere effettivamente realizzata. I prezzi delle risorse energetiche sono in generale in aumento, e in Europa solo negli ultimi due anni i prezzi di gas e petrolio sono praticamente raddoppiati, ponendo i consumatori di fronte ad una situazione difficile. L’effettiva realizzazione di tali misure è necessaria per garantire l’uso migliore dell’infrastruttura fisica da parte di consumatori ed imprese, garantendo una scelta più ampia in termini sia di prezzi (che data la concorrenza tenderebbero comunque ad abbassarsi) che di qualità e di sicurezza dell’approvvigionamento, indipendentemente dall’effettiva localizzazione dell’industria. 1 “Lavorare insieme per la crescita e l’occupazione”, Comunicazione al Consiglio europeo di primavera, COM (2005) 24,p. Mentre l’obiettivo dell’UE è chiaramente quello di un mercato unico dell’energia, permangono ancora molti ostacoli a livello nazionale, tra i quali in particolare le scarse connessioni tra reti elettriche ed industrie energetiche nazionali che si difendono ripetutamente dalla concorrenza straniera, appoggiati dai loro governi. In molte economie di mercato le società dei servizi sono di proprietà statale o vengono comunque controllate dallo stato in modo da garantire la regolarità delle forniture. L’intervento dello stato è inoltre spesso indispensabile per far fronte all’alto fabbisogno di capitale nel settore energetico ma anche per garantire efficienza ed equità nella distribuzione. Molti governi, quindi, intervengono sui prezzi dell’offerta energetica per motivi politici. Alcuni sussidiano le forniture energetiche per incrementare i consumi ed allargare il numero degli utenti; altri tassano i consumi energetici per incrementare le entrate dello stato. Il Libro Verde sull’energia elaborato dalla Commissione l’8 marzo scorso propone delle soluzioni per superare gli ostacoli alla creazione di un mercato interno dell’energia. In primo luogo, si propone la creazione di una rete europea per sviluppare un autentico mercato europeo dell’energia elettrica e del gas. Questa sarebbe realizzabile tramite la creazione di norme comuni per gli aspetti che influiscono sugli scambi transfrontalieri, quali un codice per le reti europee, un’Autorità di regolamentazione europea, un Centro europeo per le reti energetiche. In secondo luogo, il Libro verde propone un piano per migliorare le interconnessioni tra i vari stati, in modo da creare le infrastrutture che permettano di acquisire la capacità fisica vera e propria per gli scambi transfrontalieri. Questo obiettivo è particolarmente importante per stati come Irlanda, Malta e i Baltici, e rappresenta in generale un aspetto importante per realizzare la solidarietà auspicata nella strategia di Lisbona,. Infine, sarà necessario da una parte attuare importanti investimenti nella capacità di generazione, per riuscire a soddisfare la domanda che risulta in continua crescita e per creare riserve capaci di soddisfare i picchi di consumo e di supplire ai problemi derivanti dalla natura intermittente dell’approvvigionamento delle risorse energetiche; dall’altra parte, migliorare la competitività delle industrie energetiche europee, indispensabile per generare crescita ed occupazione2. Gli ambiziosi obiettivi per creare un mercato unico dell’energia in Europa non sembrano in realtà veramente condivisi dagli Stati membri, che temono di perdere in questo modo un’importante quota della loro sovranità, e che di fatto stanno remando in senso opposto. Un primo esempio si è avuto già pochi giorni dopo la pubblicazione del Libro Verde, il 14 marzo scorso, quando i Ministri dell’Energia degli Stati membri mandarono un chiaro messaggio sulla questione di un’Autorità di regolamentazione europea, che comunque avrebbe dovuto “rispettare pienamente la sovranità degli Stati membri3”. In pratica, rifiutava i suoi poteri decisionali in materia di regolamentazione di una rete comune. Stessa cosa vale per la creazione di quella che la Commissione ha chiamato Energy Policy for Europe (EPE), creata formalmente il 24 marzo – sulla base dell’analisi svolta nel Libro Verde – prevede la creazione di un mercato unico dell’energia entro il 2007, l’aumento nell’utilizzo di risorse rinnovabili del 15% entro il 2015 e la diminuzione dei consumi del 20% entro il 2020. Ma gli Stati membri si sono subito affrettati a precisare che la EPE sarà più un coordinamento di politiche che una vera e propria politica unica (Angela Merkel) e che dovrà rispettare la sovranità degli stati per quanto riguarda le fonti primarie di energia e la scelta del mix energetico. In pratica, i governi nazionali manterrebbero piena autonomia sulle questioni principali del “quale” energia e del “dove”.4 Il caso più emblematico del livello di protezionismo e di difesa della sovranità nazionale ancora presente in Europa in materia energetica sono state le vicende Suez e Endesa, rispettivamente in Francia e Spagna, in cui due governi nazionali si sono fortemente intromessi nel mercato dell’energia per impedire che i loro giganti energetici nazionali venissero rilevati da società straniere (rispettivamente dall’italiana Enel e dalla tedesca E.ON.). Come ha affermato giustamente il Ministro dell’Economia austriaco: “Come può l’Europa chiedere alla Russia di aprire i propri 2 3 4 Libro Verde. Una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura, COM (2006) 105, pp.6-8. Mark Beunderman, “Commission paints gloomy picture of future energy use”, Eurobserver, 20/3/2006. Andrew Rettman, “EU’s new Energy Policy born”, Euobserver, 24.03.2006. mercati, di porre fine al monopolio di Gazprom e garantire migliore accesso al suo mercato, fino a che Putin&co. Vedono quel che succede in termini di energia e protezionismo in Francia e Spagna?5”. 2. La domanda energetica corrente in Europa 2a. Quadro generale del consumo energetico mondiale: Indiscutibile è la crescita sul lungo periodo dei consumi energetici. Tanto l’avvio che il mantenimento di una tendenza di forte crescita dipendono da complessi input interdipendenti: la crescita non sarebbe possibile senza significativi progressi nel campo della ricerca, dei meccanismi gestionali, delle invenzioni e dei brevetti. Richiede la definizione di adeguate politiche governative, un buon sistema educativo, alti livelli di concorrenza e competitività dei mercati. Nessuno di questi input però avrebbe potuto veramente “fare la differenza” senza una concomitante crescita dei consumi di combustibili ed elettricità. La contemporanea crescita dei consumi energetici in termini assoluti e dei livelli di sviluppo economico tende ad occultare un importante fenomeno di declino relativo: le economie in fase di maturazione tendono ad avere livelli di energia più bassi perché consumano quantitativi di combustibile fossile per unità di PIL progressivamente minori6. Questa realtà rispecchia bene la combinazione di input di capitale ad alta intensità di energia, miglioramento dell’efficienza dei meccanismi di conversione e sempre maggiore importanza nel settore dei servizi. Anche se livelli di intensità energetica complessiva nell’economia mondiale hanno cominciato a calare già negli anni ’20, i consumi d’elettricità per unità di produzione hanno invece continuato a crescere e nel ’90 avevano raggiunto valori doppi rispetto a quelli del ’50. 2b. Il “fattore” prezzi: Una delle novità preoccupanti di cui tener conto è l’inversione di tendenza rispetto ai decenni precedenti del prezzo del petrolio. Prima, infatti, dopo qualche impennata violenta dovuta prevalentemente a fattori od eventi politici, i prezzi rientravano nei valori di partenza. Questo non avviene più. In parte il prezzo è sicuramente trainato dall’aumento continuo dei consumi (la domanda mondiale è prossima a sfiorare gli 84 milioni di barili al giorno) ma la tendenza è anche aggravata dall’assenza di dati certi sulla reale consistenza delle riserve petrolifere. Diffusa è la percezione negativa che l’industria del greggio non sarà in futuro capace di rispondere alle sollecitazioni del mercato e alla domanda globale altrettanto che in passato.E’ vero che nuove tecnologie potrebbero consentire lo sfruttamento di giacimenti finora giudicati troppo onerosi7 od irraggiungibili, o di allungare la vita a quelli attualmente in produzione, ma sempre più rara risulta la scoperta di nuovi. Un deciso miglioramento della capacità di raffinazione potrebbe condurre a risultati positivi, ma lo stallo degli investimenti nella ricerca non sembra poterlo rendere realizzabile a breve (almeno un quinquennio sembrerebbe essere necessario). Analizziamo le possibili spiegazioni al continuo incremento dei prezzi: in primo luogo, si può sicuramente addurre come motivazione la già citata forte accelerazione dei consumi; in secondo 5 Mark Beunderman, op. cit. Vaclav Smil, “Storia dell’energia”, il Mulino, 2005. 7 Il petrolio a 1-2 dollari al barile si trova ormai accessibile soltanto in Medio Oriente,mentre in altre zone i costi sono molto più alti, fino a sfiorare i 10 dollari. A parità di costi di estrazione, i redditi di un pozzo OPEC sono superiori dalle 14 alle 16 volte rispetto ad un pozzo situato in altre parti del globo. Così avviene che, mentre su un versante le nuove tecnologie contribuiscono a ridurre i costi di estrazione e raffinazione ma i costi complessivi rimangono comunque più elevati. 6 luogo si può sottolineare la riduzione dello scarto tra produzione effettiva e capacità produttiva nel breve periodo; in terzo luogo si può chiamare in causa la diminuzione globale degli investimenti. 2c. Livello dei consumi energetici nell’UE: L’Unione europea negli ultimi anni ha adottato per quanto riguarda le politiche energetiche un approccio orientato alla domanda, ancora prima che all’offerta. Già il Libro verde sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico nel 2000 sottolineava la forte dipendenza europea dall’energia. Oggi, nell’UE a 25, la dipendenza si attesta intorno al 50%, ma se il trend rimane costante si prevede che si possa arrivare ancora prima del 2030 ad una dipendenza del 70%. Da qui la necessità di sviluppare delle misure di politiche energetiche che incidano sul lato della domanda. La distribuzione della domanda energetica nell’UE – che non è cambiata sensibilmente dopo l’allargamento – vede un aumento particolarmente rapido nel settore terziario (1.1%), data l’importanza che rivestono i servizi nell’economia europea. Subito dopo troviamo i trasporti, la cui domanda energetica è cresciuta rapidamente soprattutto negli anni ’90, sia per il trasporto delle merci che dei passeggeri. Oggi la domanda nello stesso settore cresce meno rapidamente (si attesta intorno allo 0.9%), in particolare grazie ai miglioramenti di efficienza energetica dei carburanti, e questo nonostante uno graduale slittamento verso trasporti aerei e stradali, modi di trasporto energicamente non efficienti (anche dal punto di vista delle emissioni prodotte). Il consumo di energia industriale cresce dello 0.8% annuo, nonostante un cambio graduale verso industrie ad uso meno intenso di energia e di attività che consumano meno energia nei settori principale. Infine, il consumo domestico di energia aumenta dello 0.6% all’anno. Data la crescita limitata della popolazione, questo dato si spiega con l’aumento dei nuclei famigliari, dovuto a cambiamenti negli stili di vita e nel crescente numero di nuclei sempre più piccoli. Si verifica in questo consumo un effetto di saturazione in alcune applicazioni fini a se stesse, quali il riscaldamento dell’ambiente domestico. 2d. Riserve ed approvvigionamenti dell’UE: L’UE consuma 176 del fabbisogno mondiale di petrolio, pari a 13 milioni di barili contro i 20 degli USA. I maggiori importatori sono Germania, Italia, Francia, Spagna e Gran Bretagna che si rivolgono prettamente a fornitori esteri quali Arabia Saudita, Iran, Iraq e Nigeria. All’opposto dei livelli di consumo si collocano gli indicatori delle riserve europee, ferme allo 0,6% di quelle mondiali. Le uniche risorse europee sono concentrate nel Mare del Nord ma anche lì è iniziata una fase discendente nella produzione dovuta ad eccessivo sfruttamento: si calcola che oggi si producano 3 milioni di barili di greggio al giorno che saranno già scesi a 2,2 nel 2010. Leggermente più positivo è il fronte delle riserve di gas, che ammontano a 3100 miliardi di metri cubi, concentrati a maggioranza in Olanda. Nella bilancia commerciale dell’Unione, nel periodo compreso tra il 1999 ed il 2002, la voce energia ha subito un incremento sostanziale dai 66 ai 106 miliardi di dollari. L’UE dipende per il 75% dal petrolio e per il 50% dal gas. Allo stato attuale l’Unione non possiede una propria efficace politica comunitaria per l’approvvigionamento di petrolio e gas: il Trattato di Roma non la prevedeva e, nonostante la manifesta dipendenza corrente, l’unico passo in avanti conseguito in 50 anni è stato il recente LIBRO VERDE della Commissione su una “ Strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura”, completato e pubblicato l’8 marzo del 2006. Nella storia più recente, l’Europa ha sempre reagito in ordine sparso alle crisi internazionali e le alleanze e gli accordi commerciali con i paesi produttori di petrolio sono rimasti ad un livello di gestione prettamente nazionale. Alcune convergenze si sono storicamente realizzate tra paesi europei, quale quella conclusa tra la Gran Bretagna e l’Olanda sul gruppo Royal Dutch/Shell ed a sostegno della BP anche dopo la sua privatizzazione. La Francia ha tradizionalmente puntato, al contrario, sull’autosufficienza energetica articolata sui colossi pubblici Electricité de France, Gaz de France e la compagnia Total. Anche l’ENI per l’Italia ha tentato di operare nello stesso modo, seppur con limitazioni molto più consistenti imposte da parte delle major statunitensi. Il quadro complessivo che se ne evince è quello di 25 politiche energetiche europee scoordinate tra loro e tendenzialmente autarchiche, che non contribuiscono minimamente alla sicurezza complessiva dell’Unione in materia di approvvigionamenti. La sostanza del problema rimane la stessa di altri poteri sovrani nazionali che non vogliono essere delegati dai rispettivi governi: la sicurezza energetica è una questione talmente vitale e scottante da non poter essere delegata a livello dell’Unione ma anzi amministrata strettamente e tenuta sotto controllo da parte delle varie autorità nazionali. Solo sul protocollo di Kyoto, sullo scenario internazionale, si è attualmente verificata una convergenza forte degli interessi e delle posizioni politiche europee. In materia di ricerca, approvvigionamenti e sicurezza energetica, invece, il ricordo va al fallimento dell’ultimo tentativo portato avanti in questo senso dalla Commissione al Vertice di Salonicco con la proposta di avviare una strategia comune attraverso un uso solidale e coordinato delle riserve obbligatorie, prevedendo la possibilità di utilizzarle in caso d’emergenza in un’ottica di solidarietà tra stati membri, subito avversata da più della metà degli stati membri. 2e. Previsioni per l’andamento dei consumi: La produzione è comunque tutta stazionaria di fronte a consumi continuamente crescenti, oggi pari a 420 miliardi di metri cubi e con previsione di crescita di un ulteriore 2% annuo. Le importazioni allo stato attuale si attestano sui 250 miliardi di metri cubi. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) nei 25 la domanda di energia primaria dovrebbe aumentare del 21% da qui al 2030, con un incremento ancora maggiore per la sola voce del gas (66%), mentre lo sfruttamento del carbone scenderà definitivamente attestandosi intorno al 10%. L’incidenza del nuclearesecondo le indicazioni provenienti da numerosi studi- dovrebbe tendere a dimezzarsi, soprattutto per effetto di decisioni politiche in materia. L’unico vantaggio che l’Unione, fin da ora ma ancor più in futuro, sembra potersi assicurare è quello della bassa intensità energetica in rapporto al PIL. Sembra inoltre destinata a ridursi dell’1,3% annuo in base a quanto stabilito dallo stesso LIBRO VERDE, che ha puntato su una maggiore efficienza e sul risparmio energetico8. Forse lo stesso LIBRO VERDE suona troppo ambizioso quando - rispetto a dati di istituti di ricerca che stimano la futura dipendenza dell’Unione nel 2030 da un 70% di prodotti energetici importati per un 45% di petrolio dal Medio Oriente e per un 40% di gas dalla Federazione Russa – si propone come obiettivo quello di “una disponibilità costante di prodotti energetici sul mercato ad un prezzo accessibile e nel rispetto dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile”, quasi fosse un risultato conseguibile senza cambiamenti strutturali. 8 Secondo l’opinione espressa dall’attuale (2006) Commissario Ue all’Energia, Andris Pielbags, “l’Unione dipenderà sempre di più dagli approvvigionamenti esterni di energia” e dovrà articolare la sua strategia futura sui seguenti sei punti: “1.incremento dell’efficienza energetica; 2.sviluppo di un mercato interno efficiente del gas e dell’elettricità; 3. promozione delle fonti rinnovabili;4. rafforzamento della sicurezza nucleare; 5.collegamento più stretto fra politiche energetiche, ambiente e ricerca; e (6.) sicurezza degli approvvigionamenti energetici nel quadro di uno sviluppo delle relazioni internazionali.” La Commissione intende inoltre rinsaldare il collegamento fra politica dell’energia e strategia di Lisbona per il rilancio della competitività, nel quadro degli obiettivi di Kyoto che prevedono da parte dell’Europa una riduzione dell’8% dei gas serra al 2008-2012. “L’Unione”sempre secondo Pielbalgs “deve continuare a sostenere il processo di Kyoto, mantenendo la sua leadership in fatto di responsabilità ambientale”. Uno studio OCSE prevede che ad un aumento del prezzo di 10 dollari a barile di petrolio corrisponderà un impatto negativo dello 0,5% sulla crescita del Pil. Un altro studio maggiormente pessimistico, condotto dal FMI nel 2005, rivela che l’aumento del petrolio frenerà globalmente l’economia mondiale nel biennio 2005-2006 dello 0,8% rispetto al 2004. ESEMPIO 1: Il caso-studio italiano. 26 giugno 2003: i condizionatori lavorano al massimo per il caldo eccessivo ed il sistema elettrico va in tilt, così da interrompere l’erogazione di corrente a rotazione a migliaia di grandi aziende ed a milioni di famiglie; 28 settembre 2003: un abete cade su un elettrodotto in Svizzera ed innesca uno dei più gravi blackout della storia del paese, seppur limitato ad alcune ore; 18 febbraio 2005: il freddo intenso mette in difficoltà i rifornimenti di petrolio e gas ed il governo è costretto a dichiarare lo stato d’emergenza; bastano tre sintetici episodi ad evidenziare quanto il paese sia vulnerabile sotto il profilo energetico. Dipende per il 90% del proprio fabbisogno da combustibili fossili ed il dato scisso presenta un 50% della dipendenza da petrolio e un 31% da gas. Solo un residuo 20% proviene da fonti autonome, ovvero dall’energia idroelettrica prodotta dalle grandi dighe o da fonti eoliche, geotermiche, solari o fotovoltaiche. L’Italia ha rinunciato all’opzione nucleare tramite referendum abrogativo nel 1987. La situazione generale è aggravata dalla forte sudditanza nei confronti delle importazioni estere, che provengono per la maggior parte da Libia, Arabia Saudita, Russia ed Iran per il petrolio; Algeria, Russia ed Olanda per il gas e Francia, Svizzera ed Austria per l’energia elettrica. Produce inoltre energia elettrica solo tramite olio combustibile e gas, il che conduce i prezzi medi al consumo ad un costo superiore del 30% alla media europea. Il dato paradossale è che da recenti ricerche emerge il fatto che il paese non è affatto privo di idrocarburi e che nel suo sottosuolo potrebbero essere contenute risorse 5 volte superiori alle attuali, e cioè fino ad un massimo di 2,7 miliardi di barili e 200 miliardi di metri cubi di gas, non sfruttate per ragioni squisitamente politiche, quali l’impopolarità delle trivellazioni e delle istallazioni energetiche sul territorio, avversate dalla popolazione residente, nonché difficoltà burocratiche di varia natura. Anche se l’intensità energetica del nostro paese è destinata ad aumentare seguendo il trend europeo, tale riduzione non basterà a salvarlo da una smisurata dipendenza energetica. Gli esperti sottolineano quanto il paese subirà la necessità di un continuo aumento di energia elettrica, di gas come sostituto del petrolio, come il contributo delle fonti rinnovabili rimarrà marginale e l’assenza completa dell’opzione nucleare indebolirà ulteriormente la posizione complessiva italiana. In Italia la ricerca e produzione di idrocarburi (upstream) si concentra nell’Adriatico, in Val Padana, Basilicata e Sicilia mentre gli impianti di raffinazione e distribuzione (downstream) più distribuito. Il paese presenta un’industria dinamica soprattutto in questa seconda specializzazione, essendo terzo in Europa per volumi di lavorazione. Ha inoltre compiuto uno sforzo nel senso di un maggior rispetto delle regole ambientali, come la qualità dei carburanti e delle emissioni, della qualità delle acque di scarico e di decontaminazione dei siti industriali, in cui le imprese hanno complessivamente investito circa 12 miliardi di euro.Ha ottenuto ottimi risultati sul piano della riduzione delle emissioni inquinanti delle raffinerie anche se non ancora dei gas serra.Vanta un sistema articolato su 17 raffinerie collegate a porti attrezzati e ad una rete ramificata di oleodotti e gasdotti. L’ENI, la compagnia petrolifera nazionale, è sesta tra i grandi gruppi internazionali e si propone sul mercato attraverso un’offerta di prodotti molto flessibile e di larga portata, che va dall’upstream, al downstream alla produzione di energia elettrica (Enipower) ed alla raffinazione. Sono inoltre presenti sul mercato italiano numerose società che fanno capo a privati, quali le nazionali Api ed Erg, le anglo-olandesi BP e Shell, la kuwaitiana Q8, l’americana ExxonMobil ribattezzata Esso, la libica Tamoil e la francese Total: la rappresentanza di tutti questi operatori rimane affidata a due grandi associazioni che sono l’Unione petrolifera e l’Assopetroli. L’Italia è un ottimo scenario anche per misurare quanto ancora lontani sia alcuni mercati petroliferi nazionali da una completa liberalizzazione: l’Antitrust9 ha più volte richiamato le compagnie a non costituire cartelli, a non stringere intese nella commercializzazione del carburante e nei servizi di stoccaggio ad esempio negli aeroporti, soprattutto in un contesto di prezzi già fin troppo alti rispetto alle medie europee. ESEMPIO 2: Il caso-studio francese. Lo choc petrolifero del 1973 mise in luce la dipendenza francese nel campo energetico. Da allora, i diversi governi francesi che si succedettero misero l’accento sull’energia nucleare. Oggi, l’86,9% della produzione di elettricità francese proviene dall’energia nucleare (62.300 MW). Il resto è prodotto grazie all’energia termica a fiamme (carbone, gas) ed alle fonti rinnovabili di energia (idraulica principalmente). Il ritardo nello sfruttamento delle fonti rinnovabili in Francia può essere spiegato dall’indipendenza della Francia riguardo a certi problemi energetici. Infatti, avendo una produzione di elettricità basata sul nucleare, la Francia ha subito in modo minore rispetto agli altri paesi europei le costrizioni legate all’effetto serra od alla crescita del prezzo del barile di petrolio. La sua situazione privilegiata durante tutti questi anni ha creato un sentimento di sicurezza riguardo all’energia nucleare e alle sue capacità di fornire elettricità a sufficienza per soddisfare la domanda francese. Le centrali nucleari basteranno a procurare la quantità di elettricità richiesta fino al 2030. In queste condizioni, l’investimento nelle fonti rinnovabili è rimasto molto debole poiché la Francia non ne sente l’urgenza. La strategia energetica francese ha dimostrato di essere ottima dal punto di vista ambientale (diminuzione del gas a effetto serra) ma anche rispetto alla dipendenza dall’esterno. Nonostante tutti i suoi benefici, l’energia nucleare necessita l’importazione di materie prime (uranio) e quindi rende l’Europa dipendente dall’estero. Questo aspetto è spesso dimenticato perché gli effetti finanziari sono meno visibili per l’energia nucleare rispetto ai combustibili fossili. Ciò non toglie che le risorse d’uranio non sono infinite e che i problemi in approvvigionamento presenti oggi per il petrolio si ripresenteranno allo stesso modo per il nucleare nei prossimi anni. Possiamo aggiungere l’alta radioattività dei residui legati alla tecnica della fissione nucleare come altro problema ambientale registrabile a lungo termine. Per queste ragioni il nucleare non rappresenta una soluzione durevolmente valida nemmeno per la Francia. Per superare i problemi della dipendenza energetica dobbiamo cercare di andare oltre al nucleare. L’unico modo per rendere indipendente energeticamente la Francia è sfruttare energie presenti sul suo territorio. Da questa considerazioni possiamo individuare due vie possibili : o la Francia sfrutta altre fonti di energia oppure si allarga ad includere i paesi che possiedono uranio. I due parametri da considerare sono dunque il tipo di energia ed il territorio. Le energie rinnovabili sono l’unica fonte di energia che sia allo stesso tempo non produttrice di gas ad effetto serra e che siano presenti sul suolo francese. Fotovoltaico ed eolico parrebbero essere le due tecnologie più avanzate oggi disponibili:le caratteristiche di entrambe infatti lasciano individuare delle possibilità di diventare le fonti principali di energia entro qualche anno. Ma altri studi in materia sembrano mostrare invece che queste due tecnologie siano incapaci allo stadio attuale di soppiantare il nucleare in Francia. Supponiamo che dovessimo dismettere tutte le centrali nucleari francesi ed arrivare a produrre la stessa quantità di elettricità con l’energia eolica: in questo 9 Ci riferiamo qui in maniera generica al caso prodottosi il 6 aprile del 2005, quando l’Antitrust ha esteso l’istruttoria avviata nei confronti di alcune società petrolifere anche ad altri soggetti privati e pubblici, per accertare presunte intese nella commercializzazione del carburante per aviazione e nei servizi di messa a bordo dei carburanti negli aeroporti. caso, la lunghezza del litorale francese (3805 km) non basterebbe nemmeno ad impiantare tutte le eoliche necessarie. Ugualmente, se al posto dell’energia eolica cerchiamo di produrre la stessa quantità di elettricità con la tecnologia fotovoltaica, la superficie necessaria a quest’ultima sopravanza da 9 a 15 volte la superficie della Francia metropolitana. Questi semplici calcoli illustrano bene quanto queste tecnologie non siano ancora mature all’uso. Ed è per questo che il loro impiego rimane anedottico (in Francia come in Europa), come fonti di energia secondarie e non principali. Questo non significa che la ricerca scientifica non possa, fra qualche anno, fare un passo in avanti e aumentare la loro produttività e competitività, ma che l’energia nucleare rimane comunque per il momento, almeno per quanto concerne la Francia, l’unica energia sicuramente pulita (a breve termine) e capace di soddisfare le esigenze del mercato nazionale dei consumi. L’indipendenza energetica dall’uranio non essendo resa possibile dalla tecnologia esistente spinge dunque alla ricerca anche nella seconda direzione : l’allargamento del territorio dove si ha accesso alle fonti primarie di energia. In questo senso, il legame più forte immaginabile per assicurare l’indipendenza energetica della Francia è “l’annessione dei paesi esportatori di uranio alla Francia”. Questa dichiarazione non deve essere presa alla lettera bensì come la necessità di creare legami fra i paesi che possiedono le risorse e quelli che le sfruttano. Senza arrivare fino a questo estremo, esistono altri modi per sviluppare relazioni privilegiati fra le varie categorie di paesi (importatori e esportatori). La Francia per esempio ha per anni sostenuto dittature in Africa in cambio della possibilità di sfruttamento delle rispettive materie prime. Questo fenomeno è stato possibile grazie alle relazioni ereditate dal suo passato colonialista. Questa seconda via è direttamente collegata alla politica estera del paese. Oggi la Francia non è più in grado di concludere accordi con paesi esteri quando si trova in concorrenza con la Cina o gli Stati Uniti. Anch’essa si ritrova vulnerabile sullo scenario mondiale e questo può e deve spingerla verso una maggiore collaborazione con gli altri paesi europei, verso la promozione di politiche effettivamente comunitarie. La Francia ha infatti bisogno dell’Europa in tutte due i casi: per quanto riguarda l’investimento nella ricerca, precisamente, è necessario che i paesi europei investano massivamente per rendere le tecnologie legate allo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia più efficienti, e che lo facciano insieme, secondo una politica energetica coordinata e che non dia adito a spiacevoli ed inefficaci sovrapposizioni; ugualmente per quanto riguarda lo sviluppo di relazioni più strette con i paesi esportatori di materie prime, il problema francese può essere risolto solo attraverso l’Europa. Gli attori maggiormente competitivi sulla scena mondiale per l’approvvigionamento di fonti energetiche sono infatti attualmente Stati Uniti e Cina. Il problema della sicurezza degli approvvigionamenti si trasforma così in problema di politica estera. Il peso della Francia non è paragonabile a quello degli altri concorrenti sul mercato mondiale e dunque può conseguire i propri obiettivi solo sfruttando un eventuale presenza dell’Europa tutta, ovvero dell’Unione ad avviare negoziati in materia. La situazione è molto complessa poiché la Francia, non trovandosi attualmente in una situazione di crisi energetica né prevedendola a breve termine, esprime una certa resistenza a delegare i propri poteri a livello sopranazionale, ad aprirsi e investire in politiche energetiche comunitarie efficaci che comportino una limitazione della propria capacità decisionale autonoma in materia. 3. Stato della ricerca e necessità di un rilancio degli investimenti Frenata degli investimenti: Questi ultimi soprattutto sono scesi a livelli record a partire dal 2001 (assestati al 15% degli utili globali contro il 20% del periodo precedente 1995-2000) sia per quanto riguarda il versante dell’esplorazione di nuovi siti e giacimenti, sia per quanto riguarda la sperimentazione di possibili innovative tecniche di produzione. Delle grandi multinazionali del petrolio, solo quattro a livello internazionale dichiarano voler aumentare del 10% i loro investimenti in ricerca, mentre altre importanti compagnie come la BP, l’ENI e la PETROMAX ammettono di volerli ridurre di una quota compresa tra il 10 e il 14%. Potremmo qui inoltre evidenziare con preoccupazione il ruolo che i mercati finanziari vanno assumendo anche per quanto riguarda le decisioni strategiche delle compagnie petrolifere, sempre più orientate ad intraprendere la strada di fusioni ed acquisizioni pur di aumentare le loro economie di scala o difendere le loro quote di mercato nel breve termine, piuttosto che a sviluppare durature risorse interne (nel 2004 sono stati destinati più fondi al riacquisto di azioni proprie che alla ricerca). La conseguenza immediata e grave di tale atteggiamento volto all’ottimizzazione immediata del profitto e non lungimirante delle compagnie petrolifere è stata il peggioramento della capacità complessiva di raffinazione nei paesi occidentali, che è giunta in questi ultimi anni vicina ai limiti di saturazione. In Europa, a causa di tale situazione, sono state già chiuse molte raffinerie e la capacità di lavorazione del petrolio, invece di aumentare in parallelo alla crescita (attestatasi al 20%), sembra esser diminuita di circa il 10%. Citando uno studio di uno dei maggiori istituti di ricerca in campo energetico, lo IHS di Ginevra, emerge che la forbice produzione/scoperte si sta drasticamente allargando La maggior parte delle direttive in materia energetica, incluso il LIBRO VERDE di recente pubblicazione, si concentrano su aspetti “secondari” del problema quali il risparmio, lo sviluppo e l’incentivazione verso energie rinnovabili, la tutela pur necessaria dell’ambiente, norme regolative dell’emissione di sostanze nocive di carburanti ed impianti industriali. Un ostacolo forte è rappresentato anche dal prevalere degli interessi particolaristici delle varie compagnie petrolifere nazionali o private, le cui scelte in innovazione e sviluppo possono anche incontrarsi, ma non altrettanto quelle sul piano più strettamente strategico, troppo improntate al servizio di interessi immediati ed interni alle società stesse. 4. Il quadro delle relazioni internazionali : elenco dei paesi produttori e loro relazioni con le compagnie petrolifere europee Aree di concentrazione del petrolio: Attualmente, meno del 2% dei giacimenti petroliferi mondiali, concentrati in 5 bacini idrocarburici su 300 totali, detengono i ¾ delle riserve complessive del pianeta; questi bacini sono, in ordine ascendente, le zone del Maracaibo in Venezuela, la regione del Volga e degli Urali; il golfo del Messico, la Siberia occidentale ed il Golfo Persico (2/3 delle riserve petrolifere mondiali). L’Arabia Saudita possiede da sola riserve per 260 miliardi di barili più altri 200 miliardi di riserve potenziali e raggiunge una produzione giornaliera di quasi 10 milioni di barili, ovvero circa il 12% del greggio consumato nel mondo. Vanta inoltre una forte flessibilità produttiva, che permette alla produzione del paese di adattarsi facilmente e velocemente alle modifiche della domanda mondiale. L’Iran è il secondo paese al mondo per vastità di riserve e per questo ha visto crescere progressivamente il suo ruolo sullo scenario mondiale. Conta 125 milioni di barili di greggio più circa 26.000 miliardi di metri cubi di gas naturale: può continuare ad estrarre petrolio per 60 anni e gas per 400 anni, ma – rispetto all’Arabia saudita- la sua industria petrolifera risente sensibilmente della mancanza di investimenti e nuove tecnologie. Recentemente l’Iran ha modificato la sua Costituzione in maniera parziale per permettere la cooperazione con industrie e società straniere alla compagnia petrolifera nazionale10 (NIOC10 Le NOC, o compagnie petrolifere nazionali, ricoprono un ruolo fondamentale nel mercato del petrolio. Società quali la Saudi Arammo, la Q8 ed altre detengono ad esempio oltre il 70% delle rispettive riserve nazionali di petrolio ed il National Iranian Oil Company) nello sfruttamento delle risorse ma soprattutto nell’ammodernamento degli impianti e nella creazione di infrastrutture adeguate. Società cinesi si sono istallate nel paese per portare a termine la realizzazione di un grande terminal petrolifero sul mar Caspio. Ugualmente attivo è stato il ruolo dell’italiano ENI che nel 2000 ha stipulato con la stessa NIOC un contratto per la costruzione di due piattaforme off-shore, la perforazione di 24 nuovi pozzi e la creazione di due gasdotti di 105 km ciascuno per trasportare gas in Europa. La produzione così avviata dovrebbe raggiungere i 20 miliardi di metri cubi annuali. L’Iraq a sua volta possiede 115 miliardi di riserve petrolifere provate, pari al 10% delle riserve mondiali, ma allo stato attuale la stima è soltanto approssimativa dato che solo 1/10 del suo sottosuolo è stato effettivamente esplorato. Anche l’Iraq si è dotato di una compagnia petrolifera nazionale (INOC-Iraq National Oil Company). Il petrolio irakeno è molto vantaggioso perché la sua estrazione vanta in assoluto il costo più basso e questo giustifica il forte interesse mondiale verso le sue riserve. Ma l’Iraq ha impianti ed infrastrutture in maniera consistente danneggiati dalla guerra. I tre paesi del Nordafrica possiedono riserve per circa 50 miliardi di barili ed assicurano una produzione pari al 5% del totale. Tra quest’ultimi, l’Algeria appare oggi il produttore più affidabile ed in crescita di petrolio, anche se si attesta solo al 14° posto nella classifica della produzione mondiale. Sul suo mercato petrolifero domina la compagnia statale Sonatrach, che tuttavia si è aperta ad investimenti e cooperazione con varie major statunitensi nonché con l’italiana ENI. Ultimo paese strategicamente rilevante sotto il profilo petrolifero è la vicina Libia, che si attesta al 9° posto tra i paesi produttori con una media di 1,5 mgb e riserve per 36 miliardi di barili. La Libia sta concedendo numerose concessioni mettendole all’asta e nella competizione per garantirsi quote di sfruttamento dei giacimenti libici si ritrovano tanto la spagnola Repsol, la francese Total, la norvegese Norsk Hydro e l’italiana ENI: quattro competitori antagonisti europei per un unico mercato. Nel 2004 è stato inaugurato il gasdotto Greenstream, che porta 8 miliardi di metri cubi di metano dai deserti del paese alla Sicilia. 5. Considerazioni finali del nostro studio in materia energetica L’Europa non può più permettersi uno stato d’inerzia in materia energetica. Non può più, perché oggi il problema energetico si pone globalmente con una certa urgenza, seppur con necessità e ricettività nazionali ancora sensibilmente diverse. Nuovi paesi emergenti tendono a saturare il mercato del consumo energetico e la produzione mondiale nel lungo termine non risulterà sufficiente a provvedere ai bisogni di tutti gli attori coinvolti. Il processo di sviluppo economico è impetuoso e strettamente legato al livello e alla disponibilità di prodotti energetici. L’Unione europea non può optare per la via della dipendenza in un settore così strategico perché questa scelta fallimentare la condurrebbe ad un aumento esponenziale dei costi dei prodotti energetici sul mercato interno (e dunque anche dei servizi ivi connessi) nonché la esporrebbe ad una ricattabilità politica da parte paesi produttori sicuramente non auspicabile. Attraverso il nostro studio, abbiamo evidenziato quanto tale urgenza sia avvertita in materia di approvvigionamenti da parte di tutti i Paesi europei, seppur con intensità diverse, le quali però non cambiano la natura del problema: se abbiamo infatti riconosciuto che al momento la Francia, ad esempio, stenta ad intraprendere strategie comuni perché non si sente sufficientemente pressata in materia, anch’essa esprime il bisogno e la preoccupazione di modificare la sua strategia energetica 55% di quelle di gas. Tali società sono emanazioni dirette dei loro governi nazionali. In alcuni paesi del Medio Oriente è vietato dalla Costituzione stessa l’accesso di compagnie petrolifere internazionali, private o statali che siano (Kuwait, Arabia Saudita). nel lungo periodo per adattarla alle esigenza di un futuro molto prossimo. Paesi come l’Italia, al contrario, manifestano già al massimo grado l’ineluttabilità di procedere ad un riorientamento sostanziale in politica energetica per sventare il pericolo di una dipendenza sempre più vincolante. Occorre individuare degli interlocutori validi, nel Parlamento europeo, nella Commissione ma soprattutto nelle autorità nazionali e locali dei vari paesi europei perché si propongano come promotori di iniziative produttive coordinate in materia energetica nonché rendere percepibile alla cittadinanza europea nel suo complesso un’analisi dei costi della mancata integrazione in materia energetica. Utile potrebbe risultare, a titolo di esempio, la pubblicazione di un LIBRO BIANCO degli sprechi e delle sovrapposizioni, e della perdita di capacità potenziale di approvvigionamento, che scaturiscono dalla parcellizzazione e dalla competizione tra le varie compagnie nazionali petrolifere europee. Altrettanto proficuo potrebbe anche essere introdurre un sistema di incentivi, da parte della Commissione (dunque coordinato e controllato a livello sopranazionale, tramite ad esempio l’istituzione di un’Autorità apposita), ai governi nazionali per provvedere all’indipendenza energetica e ridurre i costi sui rispettivi mercati interni, soprattutto attraverso la costruzione di nuovi, puliti ed efficaci impianti di produzione e raffinazione. Essenziale ci sembrerebbe inoltre premere su governi e Commissione perché le direttive strategie generiche contenute nella strategia di Lisbona venissero effettivamente implementate, soprattutto rispetto al settore della ricerca, spesso trascurato per difficoltà economiche interne dai vari governi nazionali, e dunque in necessità di una maggiore tutela e di più forti investimenti almeno a livello comunitario. Senza contare che, investendo in ricerca attraverso risorse direttamente erogate dalla Commissione europea, quest’ultima avrebbe sicuramente un forte potere contrattuale verso gli Stati per orientare gli investimenti nella prospettiva di una sempre maggiore integrazione degli impianti, delle politiche e delle compagnie energetiche europee. Queste conclusioni, brevi e senz’altro troppo poco specifiche, vogliono in questa sede soltanto servire come base di ulteriori riflessioni e di un eventuale futuro dibattito pubblico da stimolare in materia.