TRIBUNALE DI PRATO

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TRIBUNALE DI PRATO
Avv.ti Alvise Vergerio di Cesana (C.F. VRGLVS67B23H501C) e Luca Porfiri
(C.F. PRFLCU67A12H501O) – i quali indicano, ad ogni effetto di legge, il
seguente numero fax e il seguente indirizzo di posta elettronica certificata
( P E C ) : 06/3213203 -
[email protected]
06/98380219 - [email protected], anche quali recapiti
presso cui ricevere le comunicazioni e gli avvisi di cui al presente giudizio –,
nonché elettivamente domiciliate presso lo studio dell’Avv. Alvise Vergerio
di Cesana, in Roma, Via G.P. da Palestrina n. 19,
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE - AGENZIA
DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (già Amministrazione Autonoma
Monopoli di Stato), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro
tempore, domiciliati ex lege presso l’Avvocatura Generale dello Stato, in
Roma, Via dei Portoghesi n. 12,
per l’annullamento,
previa concessione di idonee misure cautelari,
- del provvedimento dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (già
Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato) prot. n. 2014/18603 in data 4
marzo 2014, recante - tra l’altro - disposizioni di attuazione dell’art. 1,
comma 636, della legge n. 147 del 27.12.2013 (doc. 1);
- di ogni altro atto connesso, ancorché incognito, compresa la comunicazione
dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (già Amministrazione Autonoma
Monopoli di Stato) prot. n. 30600 Reg. Uff. dell’8.4.2014 (doc. 2);
nonché
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affinché vengano sollevate innanzi alla Corte Costituzionale e/o alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali innanzi prospettate.
FATTO
Le ricorrenti sono tutte piccole e medie imprese operanti nel settore dei
giochi leciti in qualità di concessionarie per l’esercizio del gioco del Bingo.
Deve essere evidenziato che in Italia il Bingo costituisce un settore in grave
sofferenza, anche e soprattutto perché nato sulla base di presupposti
manifestamente inadeguati che hanno costituito la causa di spese folli a
carico dei concessionari, nonché di oneri nettamente sproporzionati rispetto
alle loro concrete possibilità di incasso (si consideri che per strutturare e
allestire una sala occorrevano diversi miliardi di lire).
Emblematica di ciò è la vicenda della cauzione. Quest’ultima, fissata da
AAMS nel 2000 nell’importo di un miliardo di lire (pari a circa €
516.000,00), è stata parametrata su volumi di gioco elevatissimi ma soltanto
presunti e, quindi, poi rivelatisi del tutto inattendibili, sebbene prospettati agli
aspiranti concessionari con grande enfasi, tanto da ingenerare in essi l’errata
convinzione che il Bingo fosse un’opportunità unica per chiunque avesse
avuto l’intraprendenza di entrare nel settore.
Si segnala ancora che il bando di gara per l’assegnazione della attuali
concessioni ha previsto l’attribuzione di un punteggio in relazione alle
caratteristiche costruttive delle sale (come la presenza di un’infermeria, ecc.)
totalmente avulse dalla realtà, ben più misera, con cui molti dei concessionari
da li a poco hanno dovuto confrontarsi. Gli stessi concessionari sono stati
pure costretti a dotarsi di un elevato numero di dipendenti al fine di far fronte
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a tutte le figure lavorative previste da AAMS per lo svolgimento dell’attività.
Anche i costi per l’impiantistica (illuminotecnica, aereazione,
condizionamento, ecc.) e per l’allestimento tecnologico imposti da AAMS
sono risultati ingentissimi e oggetto di una vera e propria attività speculativa
effettuata da pochi gruppi “nati ad hoc” per fornire tutto l’occorrente, arredi
inclusi. Va ancora aggiunto il tema delle penali, assolutamente
sproporzionate, che, a partire dall’aggiudicazione e a prescindere dai motivi, i
concessionari sono stati costretti a pagare per ogni giorno di ritardo
nell’apertura delle sale (1.000.000 di lire per ogni giorno di ritardo).
Inizialmente le concessioni dovevano essere 800 (suddivise in due bandi di
gara distinti, il primo di 420 concessioni e successivamente un secondo di
ulteriori 380 concessioni, mai effettuato) in tutta Italia, ma ne furono
assegnate assai meno. In epoca successiva, poi, molte delle imprese
concessionarie sono state comunque costrette a chiudere e/o sono fallite per
“mancanza di clienti”, con conseguente escussione delle relative fideiussioni
da parte di AAMS. Si consideri, invero, che dopo un’iniziale offerta di circa
800 concessioni, per i motivi anzidetti, il numero degli operatori è andato
nettamente decrescendo: già nel 2004 sull’intero territorio nazionale
risultavano attive circa 310 concessioni, poi scese a circa 220 nel 2013.
Inoltre, molte delle sale che hanno chiuso i battenti sono state acquisite, a
prezzi stracciati, da parte di gruppi divenuti forti a seguito della fortunata
localizzazione delle proprie sale e/o della ampliata offerta di gioco mediante
la contestuale installazione, nei locali di pertinenza delle sale Bingo o in aree
ricavate a seguito di riduzioni fino a 1/3 della superficie destinata al gioco del
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Bingo, di Slot Machines (dal 2007) e Videolotteries (VLT) (dal 2010). Va
peraltro segnalato come la possibilità di aprire una “sala dedicata VLT”,
previo collaudo dell’ADM, spetti a chiunque altro sia in possesso di locali a
destinazione commerciale mediante la stipula di uno specifico contratto con
un concessionario di VLT. Ciò per dire che dal 2000 ad oggi nulla è stato
concesso in via esclusiva ai concessionari del Bingo, mentre sono certamente
da stigmatizzare i ritardi di anni (dal 2003) nella realizzazione del “Bingo
Interconnesso Nazionale e Intersala” per motivi tecnici imputabili ad AAMS
e/o a Sogei (controllore centralizzato del gioco), benché tale sistema di gioco
sia stato decretato dalla stessa AAMS diversi anni or sono e ai concessionari
sia stata imposta la realizzazione della relativa rete di interconnessione (Rete
Rupa). Non è certamente superfluo evidenziare che il Bingo interconnesso,
con estrazione nazionale o per gruppi di sale, avrebbe potuto contribuire a
risollevare le sorti delle piccole sale, ossia di quelle maggiormente
penalizzate dall’applicazione di imposizioni uguali per tutti i concessionari,
come quelle oggetto dell’impegno fideiussorio sopra descritto.
Ad ogni modo, le concessioni del Bingo sino ad ora rilasciate sono state
caratterizzate da una durata di sei anni a partire dall’inizio dell’attività di
gestione del gioco, con possibilità di rinnovo per altri sei anni su richiesta del
concessionario da presentare almeno sei mesi prima della scadenza naturale
(cfr. art. 15 dello schema tipo di convenzione allegato al D.M. 21.11.2000).
Considerato che le attività di gestione del gioco hanno avuto inizio con
tempistiche molto diverse, le date di scadenza delle concessioni in parola
sono assai variegate: molte, infatti, avranno fine nel 2014, ma molte altre
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proseguiranno ben oltre, anche fino al 2020. Va ancora detto che per le stesse
concessioni non è stato previsto il pagamento di alcun corrispettivo, mentre la
rimuneratività per l’Erario deriva dal fatto che il gestore della sala Bingo,
dedotti il prelievo erariale sulle cartelle, la quota spettante all’affidatario del
controllo centralizzato del gioco e i premi corrisposti, percepisce un aggio, al
lordo delle imposte, pari a circa il 18% del valore delle cartelle vendute, il cui
prezzo, peraltro, è conseguito in anticipo da parte dell’ADM.
La descritta situazione di oggettiva difficoltà si è poi aggravata con l’avvento
della legge n. 220/2010 (legge di stabilità 2011), la quale, ai commi nn. 78 e
79 dell’art. 1, ha imposto ai “soggetti concessionari ai quali sono già
consentiti l’esercizio e la raccolta non a distanza dei giochi pubblici” (tra cui
il Bingo), mediante sottoscrizione obbligatoria di un atto integrativo della
convenzione accessiva alle concessioni, prescrizioni regolatrici riferite al
possesso di requisiti di solidità patrimoniale, a limitazioni delle scelte
imprenditoriali, alla destinazione degli utili e agli obblighi di certificazione
contabile, che hanno reso ben più onerose le concessioni in parola 1 (come
peraltro rilevato dallo stesso giudice amministrativo, il quale ha confermato il
carattere “più stringenti e penetrante” delle suddette prescrizioni rispetto a
quelle in passato previste - CdS, Sez. IV, n. 4199/2013).
Con ordinanza n. 4681/2013, la IV Sezione del Consiglio di Stato ha
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Il comma 79 della legge n.220/2010 prevede: “Entro centottanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge, i soggetti concessionari ai quali sono già consentiti
l'esercizio e la raccolta non a distanza dei giochi pubblici sottoscrivono l'atto di
integrazione della convenzione accessiva alla concessione occorrente per adeguarne i
contenuti ai principi di cui al comma 78, lettera b), numeri 4), 5), 7), 8), 9), 13), 14), 17),
19), 20), 21), 22), 23, 24), 25) e 26)”.
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sollevato innanzi alla Consulta la questione di legittimità delle predette
norme di legge in relazione agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione sotto il
seguente duplice profilo: - con riferimento alla possibilità per il legislatore di
introdurre, a fronte di una posizione “consolidata”, una nuova disciplina
recante nuovi requisiti e obblighi, tali da poter pregiudicare la stessa; - con
riferimento al fatto che le norme introdotte con la legge n. 220/2010
comportano un’incidenza diretta sul libero esercizio della libertà di impresa
restringendo pesantemente e inammissibilmente la possibilità di accedere alla
posizione di concessionario del gioco lecito e, comunque, gravando i
concessionari di intollerabili oneri aggiunti e prescrizioni eccedenti la natura
e il contenuto del rapporto.
Tuttavia, nelle more del suddetto giudizio l’Amministrazione resistente ha
comunque fatto pervenire, anche ai concessionari del Bingo, l’atto integrativo
della convenzione di cui al comma 79 cit., recante le nuove e ben più gravose
condizioni a loro carico.
E’ in tale situazione – già di per se, si ripete, fortemente problematica – che si
è inserita la normativa recata dalla legge n. 147 del 27.12.2013 (legge di
stabilità 2014), la quale ai commi 636, 637 e 638 dell’art. 1 ha dettato nuove
e più vessatorie prescrizioni a carico dei concessionari del Bingo.
Segnatamente, al comma 636 si legge che “al fine di contemperare il
principio di fonte comunitaria secondo il quale le concessioni pubbliche
vanno attribuite ovvero riattribuite, dopo la loro scadenza, secondo
procedure di selezione concorrenziale con l'esigenza di perseguire, in
materia di concessioni di gioco per la raccolta del Bingo, il tendenziale
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allineamento temporale di tali concessioni, relativamente a queste
concessioni in scadenza negli anni 2013 e 2014 l'Agenzia delle dogane e dei
monopoli procede nel corso dell'anno 2014 alla riattribuzione delle
medesime concessioni attenendosi ai seguenti criteri direttivi:
a) introduzione del principio dell'onerosità delle concessioni per la raccolta
del gioco del Bingo e fissazione nella somma di euro 200.000 della soglia
minima corrispettiva per l'attribuzione di ciascuna concessione;
b) durata delle concessioni pari a sei anni;
c) versamento della somma di euro 2.800, per ogni mese ovvero frazione di
mese superiore ai quindici giorni, oppure di euro 1.400 per ogni frazione di
mese inferiore ai quindici giorni, da parte del concessionario in scadenza
che intenda altresì partecipare al bando di gara per la riattribuzione della
concessione, per ogni mese ovvero frazione di mese di proroga del rapporto
concessorio scaduto e comunque fino alla data di sottoscrizione della nuova
concessione riattribuita;
d) versamento della somma di cui alla lettera a) in due metà di pari importo,
la prima alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla
gara per la riattribuzione della concessione e la seconda alla data di
sottoscrizione della nuova concessione, all'esito della conclusione della
procedura di selezione dei concorrenti;
e) determinazione nella somma complessiva annua di euro 300.000
dell'entità della garanzia bancaria ovvero assicurativa dovuta dal
concessionario, per tutta la durata della concessione, a tutela
dell'Amministrazione statale, durante l'intero arco di durata della
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concessione, per il mantenimento dei requisiti soggettivi ed oggettivi, dei
livelli di servizio e di adempimento delle obbligazioni convenzionali
pattuite”.
A sua volta il comma 637 prevede che “con decreto dirigenziale dell'Agenzia
delle dogane e dei monopoli, da adottare entro la fine del mese di maggio
2014, sono stabilite le eventuali disposizioni applicative occorrenti per
assicurare, con cadenza biennale, nel rispetto dei criteri direttivi di cui al
comma 636, l'avvio delle procedure di riattribuzione concorrenziale delle
vigenti concessioni per la raccolta del gioco del Bingo, la scadenza
dell'ultima delle quali è prevista per l'anno 2020”.
Il comma 638, infine, dispone che “per soddisfare comunque l'eventuale
domanda di nuove concessioni per la raccolta del gioco del Bingo che si
manifestasse in vista della procedura di selezione concorrenziale da attuare
nel corso dell'anno 2014 ai sensi del comma 636, in occasione della
pubblicazione degli atti di gara pubblicati in tale anno sono altresì poste in
gara ulteriori trenta nuove concessioni per la raccolta del medesimo gioco,
nel rispetto in ogni caso degli stessi criteri direttivi di cui al predetto comma
636”.
Con il provvedimento impugnato, prot. n. 2014/18603 in data 4.3.2014,
l’Agenzia della Dogane e dei Monopoli ha - tra l’altro - dato esecuzione al
comma 636 cit., prevedendo, al comma 5, che “i versamenti ivi richiamati,
pari ad euro 2.800 per ogni mese o frazione di mese superiore a quindici
giorni di proroga usufruita e ad euro 1.400 se i giorni di proroga non
superino i quindici giorni, sono effettuati con cadenza mensile a decorrere
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dalla data di scadenza delle concessioni esercitate fino alla data di
sottoscrizione della nuova concessione aggiudicata a seguito della
procedura selettiva prevista dall’articolo 1, comma 636, della legge n. 147
del 2013” e altresì precisando che “la regolarità dei versamenti costituisce
condizione di partecipazione alla procedura selettiva prevista dal richiamato
articolo 1 comma 636 della legge n. 147 del 2013”.
Al comma 3, lo stesso provvedimento prevede che le disposizioni di cui ai
precedenti commi 1 e 2, inerenti all’adeguamento dei sistemi informatici di
sala e alla conseguente richiesta all’Ufficio Bingo di ADM dell’effettuazione
della relativa verifica funzionale (integranti condizioni di prosecuzione
dell’esercizio delle attività oggetto di concessione), “trovano applicazione
altresì nei confronti dei soggetti le cui concessioni per la gestione del gioco
del Bingo sono scadute anteriormente alla data di pubblicazione del presente
provvedimento sul sito dell’Agenzia delle dogane e dei Monopoli ovvero
scadono nel corso del 2014 e che continuano a gestire la raccolta del gioco
in regime di proroga ai sensi dell’articolo 1, comma 636 della legge 27
dicembre 2013, n. 147. In tal caso alla domanda di cui al comma 2 [avente
ad oggetto l’effettuazione delle verifica funzionale di cui sopra – n.d.r.] deve
essere allegata la prova dei versamenti …”.
Il comma 4, inoltre, dispone che la raccolta del gioco del Bingo è consentita a
decorrere dal giorno successivo a quello di rilascio di apposita autorizzazione
conseguente all’esito positivo della verifica funzionale di cui al comma 2,
previo deposito all’Ufficio Bingo, anche da parte dei soggetti in proroga ex
art. 1, comma 636, della legge n. 147/2013, “della garanzia avente i requisiti
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di cui all’articolo 9, comma 1, del regolamento 31 gennaio 2000, n. 29”, la
quale “deve essere efficace dalla data di scadenza della concessione fino al
30 giugno 2015 e contenere l’obbligo di estensione, su richiesta
dell’Amministrazione, della durata fino alla sottoscrizione della nuova
concessione”.
Successivamente, in ragione delle insuperabili difficoltà incontrate dai
concessionari, l’Agenzia resistente si è vista costretta ad abbandonare in parte
la rigidità di detta ultima prescrizione, rappresentando, con comunicazione
prot. n. 30600 Reg. Uff. dell’8.4.2014, quanto segue: “risulta che alcuni
soggetti garanti hanno frapposto difficoltà in merito alla prestazione di
fideiussioni recanti la clausola con la quale l’emittente si obbliga
all’estensione della durata della garanzia fino alla stipula della nuova
convenzione relativa alla concessione affidata a conclusione della procedura
selettiva da indire ai sensi dell’art. 1, comma 636, della legge 27 dicembre
2013, n. 147. Al fine di superare dette difficoltà, si rende noto che saranno
accettati atti fideiussori privi di tale clausola ma aventi durata fino al 31
dicembre 2015. La lettera d’invio all’Ufficio Bingo di tali fideiussioni dovrà
contenere apposito impegno, sottoscritto dal rappresentante legale del
soggetto giuridico titolare della concessione in proroga, ad estendere, su
richiesta dell’Amministrazione, la durata della fideiussione depositata, fino
alla sottoscrizione della nuova concessione”.
I provvedimenti impugnati sono illegittimi, nonché affetti da figure
sintomatiche di eccesso di potere per vizi propri. Gli stessi, inoltre, al pari
delle richiamate disposizioni della legge di stabilità 2014, si rivelano in
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palese contrasto con i principi comunitari e costituzionali volti a garantire
l’iniziativa economica privata, la concorrenzialità tra gli operatori
commerciali, la libera prestazione dei servizi, l’ammortamento degli
investimenti e il divieto di discriminazione tra le imprese.
Per le suddette ragioni, previa concessione di idonee misure cautelari, si
chiede che, oltre all’annullamento dei medesimi provvedimenti, venga
sollevata la questione di legittimità costituzionale della normativa recata dai
commi 636, 637 e 638 dell’art. 1 della legge n. 147/2014 in relazione agli
artt. 3 e 41 Cost. e/o quella pregiudiziale interpretativa innanzi alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea in relazione alla compatibilità con i richiamati
principi comunitari.
DIRITTO
1. Violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost., nonché della legge n. 241/90.
Violazione e falsa applicazione della legge n. 147 del 27.12.2013, del D.M.
n. 29 del 31.1.2000 e del D.M. 21.11.2000. Eccesso di potere per carenza
di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e irragionevolezza
manifeste, disparità di trattamento, difetto di motivazione, sviamento.
Come si è detto, i contestati provvedimenti dell’Agenzia delle Dogane e dei
Monopoli si rivelano anzitutto illegittimi per vizi propri.
Al riguardo si rappresenta che il Regolamento sul giogo del Bingo di cui al
decreto del Ministero delle Finanze n. 29 del 31.1.2000, all’art. 9, ha
obbligato i concessionari a prestare all’Amministrazione finanziaria una
“cauzione, a mezzo di fidejussione bancaria ‘a prima richiesta’ o polizza
assicurativa equivalente, di lire 1 miliardo (pari a € 516.456,89) per
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ciascuna sala, al fine di garantire l’adempimento dei propri obblighi”.
La convenzione tipo per l’affidamento in concessione della gestione del
gioco del Bingo, approvata dallo stesso Ministero delle Finanze con decreto
in data 21.11.2000, all’art. 6, ha ulteriormente declinato l’obbligo in
questione, specificando che “la garanzia ha validità dalla data di inizio
dell’attività di gestione del gioco e durata pari a quella della concessione,
aumentata, a tal fine, di due anni”.
In relazione all’irragionevole ammontare del suddetto importo si è già detto
in narrativa. Va ancora aggiunto che ottenere, da parte di istituti bancari o
assicurativi, il rilascio della garanzia in parola non è affatto uno scherzo. Il
fideiussore, infatti, pretende che la propria obbligazione (particolarmente
onerosa in quanto soggetta alla “prima richiesta”) sia a sua volta garantita da
beni personali del concessionario, di pari valore, su cui eventualmente
rivalersi. Nella maggior parte dei casi, ciò si è tradotto nel deposito, da parte
del concessionario, di un’analoga somma su un conto corrente bancario
immobilizzato per l’intero periodo richiesto (ossia, sei anni più due).
L’ottenimento delle garanzie richieste dal Ministero si è dunque rivelato
particolarmente gravoso per i concessionari del gioco del Bingo, tanto in
ragione del relativo ammontare rapportato alle singole sale (€ 516.456,89 per
ciascuna sala), quanto della perduranza della cauzione ben oltre il termine di
scadenza delle concessioni (due anni), alla quale è conseguita, e consegue,
l’analoga immobilizzazione dei beni personali dati in garanzia dagli stessi
concessionari.
Questa è la situazione antecedente all’avvento della legge di stabilità 2014.
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Tale legge, come si è visto, nell’ottica di operare “il tendenziale allineamento
temporale” delle concessioni in scadenza negli anni 2013 e 2014, al comma
636 dell’art. 1, ha disposto che, nel corso del 2014, l’ADM proceda alla
riattribuzione delle medesime concessioni: -
introducendo il principio di
onerosità mediante un corrispettivo del valore minimo di € 200.000,00; fissando la durata delle concessioni in anni sei; - prevedendo il versamento di
una somma pari ad € 2.800,00 mensili a carico dei concessionari in scadenza
che intendano partecipare alla futura gara; - fissando nella somma
complessiva annua di € 300.000,00 l’entità della garanzia bancaria o
assicurativa “dovuta dal concessionario per tutta la durata della concessione
a tutela dell’Amministrazione statale, durante l’intero arco di durata della
concessione, per il mantenimento dei requisiti soggettivi ed oggettivi, dei
livelli di servizio e di adempimento delle obbligazioni convenzionali
pattuite”.
Nessuna disposizione della suddetta legge ha invece previsto una eventuale (e
ulteriore) estensione della garanzia di cui all’art. 9 del Regolamento di cui al
D.M. n. 29/2000 per il limitato periodo di gestione del gioco del Bingo “in
proroga” ex comma 636 cit. successivamente alla scadenza delle concessioni
e sino alla sottoscrizione delle nuove convenzioni.
Nel silenzio della legge, mediante il provvedimento prot. n. 2014/18603
impugnato, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha irragionevolmente
preteso che i soggetti che continuano ad esercitare l’attività di raccolta del
gioco del Bingo nel regime di proroga in parola prestino una ulteriore
“garanzia avente i requisiti di cui all’articolo 9, comma 1, del regolamento
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31 gennaio 2000, n. 29”, la quale “deve essere efficace dalla data di
scadenza della concessione fino al 30 giugno 2015 e contenere l’obbligo di
estensione, su richiesta dell’Amministrazione, della durata fino alla
sottoscrizione della nuova concessione”.
Tale previsione è manifestamente irragionevole e illogica, nonché
sproporzionata rispetto alle finalità della cauzione, finendo per imporre ai
concessionari un ulteriore ingiusto e ingiustificato sacrificio.
Va infatti rilevato che le ripetute disposizioni di cui al comma 636 cit. sono
espressamente rivolte a disciplinare la riattribuzione delle sole concessioni in
scadenza negli anni 2013 e 2014, prevedendo che ciò avvenga “nel corso
dell’anno 2014”. La durata del regime di “proroga” ex comma 636 cit.,
pertanto, è destinata ad essere circoscritta ad un arco temporale di alcuni
mesi. Tanto è vero che nel provvedimento impugnato l’ADM, pur avendo
previsto l’obbligo di estensione della garanzia fino alla sottoscrizione della
nuova concessione, ne ha limitato la durata al 30.6.2015 (poi prorogata al
31.12.2015 con la successiva comunicazione).
A fronte di ciò, la pretesa dell’Amministrazione resistente di richiedere per
detto limitato periodo la stessa identica garanzia che, in precedenza, il
Ministero delle Finanze aveva ritenuto di parametrare ad un ben più ampio
arco temporale (sei anni più due) si rivela manifestamente illogica e
irragionevole. E ciò vieppiù in considerazione del fatto che, in base allo
schema tipo di convenzione approvato con D.M. in data 21.11.2000, la
cauzione ivi prevista all’art. 6 è comunque destinata a coprire anche il
periodo di due anni successivo alla scadenza della concessione, ossia un
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periodo destinato a sovrapporsi con quello oggetto della nuova garanzia
imposta con il provvedimento impugnato.
Ulteriori profili di illogicità sono peraltro evidenziati dagli elementi che
seguono.
Va anzitutto rilevato che la contestata prescrizione amministrativa ha
irragionevolmente finito per fissare il valore della cauzione “provvisoria”,
pari ad € 516.456,89, in misura (addirittura) superiore rispetto a quello della
garanzia “definitiva” prevista dalla lett. e) del comma 636 dell’art. 1 della
legge di stabilità 2014, pari alla “somma complessiva annua di € 300.000”.
Correlando, infatti, i suddetti importi ai relativi periodi di riferimento, si
ricava che il valore della prima cauzione è nettamente superiore rispetto a
quello della seconda.
Inoltre, poiché ex comma 636 cit. il periodo di “proroga” ivi previsto è stato
ugualmente assoggettato al principio di onerosità delle concessioni (peraltro
con un corrispettivo sostanzialmente corrispondente a quello delle future
concessioni), la pretesa della P.A. resistente di applicare allo stesso arco
temporale una cauzione a suo tempo prevista per l’ipotesi inversa
(concessione non onerosa) si rivela vieppiù illogica e sproporzionata.
Ulteriore riprova di ciò si ricava dal parallelo con il sistema normativo che
caratterizza la raccolta delle scommesse. Nel caso del Bingo, invero, la
cauzione tutela la P.A. dal mancato rispetto dei termini della concessione, a
differenza di quanto avviene nelle scommesse, laddove, proprio in
considerazione del carattere oneroso del rapporto in essere, la garanzia copre
unicamente il mancato pagamento di quanto dovuto dal concessionario a
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seguito della raccolta delle somme (rischio, quest’ultimo, sostanzialmente
assente nel Bingo, in quanto il prezzo delle cartelle è corrisposto
anticipatamente all’ADM). Ebbene, logica avrebbe imposto che, in
considerazione dell’applicazione del citato principio di onerosità anche ai
rapporti “in proroga” ex comma 636 cit., la P.A., allineandosi al sistema
ideato per le scommesse, rinunciasse alla garanzia finalizzata al rispetto della
convenzione: ma, evidentemente, così non è stato.
Va ancora messa in luce la manifesta irragionevolezza della pretesa di
applicare il medesimo importo cauzionale ad ogni singola situazione, senza
tener conto delle specificità che la contraddistinguono e delle conseguenti
possibilità di incasso. Anche in tal caso, poi, la previsione si rivela in
conflitto con il sistema adottato per la raccolta delle scommesse, laddove è
stato previsto il rilascio di garanzie proporzionate alla movimentazione netta
di gioco dei singoli concessionari con aggiornamento annuale in base al
volume di gioco dell’anno precedente.
Deve essere infine rilevato come le illogiche prescrizioni impugnate
obblighino il titolare di una concessione in scadenza a stipulare l’onerosa
fidejussione in parola ancor prima di avere la certezza in ordine al
superamento della verifica funzionale di cui al comma 4 del provvedimento
prot. n. 2014/18603 impugnato, prevedendo, infatti, che la prosecuzione
nell’attività sia subordinata si al rilascio dell’autorizzazione attestante il
superamento della verifica in questione, ma “previo deposito” all’Ufficio
Bingo della cauzione ex art. 9 del D.M. n. 29/2000.
Si segnala ancora che gli istituti bancari e assicurativi interessati si sono
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comunque espressamente rifiutati di concedere la nuova garanzia fideiussoria
alle condizioni indicate dall’ADM, avendo manifestato la propria non
disponibilità ad assumere l’obbligo della relativa estensione fino alla data di
sottoscrizione della nuova concessione. Per detta ragione, come si è visto,
con la comunicazione in data 8.4.2014, l’ADM è stata costretta a ritornare sui
propri passi e a rinunziare alla suddetta condizione a fronte di un
prolungamento di sei mesi della cauzione (fino al 30.12.2015) e l’assunzione
dell’impegno, sottoscritto dal legale rappresentante del soggetto giuridico
titolare della concessione in proroga, di estenderne la durata, su richiesta
dell’Amministrazione, fino alla sottoscrizione della nuova concessione.
Dal punto di vista dei titolari delle concessioni scadute o in scadenza, le
contestate prescrizioni amministrative si traducono in nuovi gravissimi oneri,
rappresentanti anche dall’esigenza di rinnovo delle sottostanti garanzie
personali per un valore corrispondente a quello delle cauzioni, che vanno ad
aggiungersi ai beni già in precedenza immobilizzati e che rimarranno tali per
un periodo di ulteriori due anni dalla scadenza del rapporto concessorio.
La descritta situazione risulta peraltro aggravata dal fatto che, nelle previsioni
legislative e dell’ADM, la prosecuzione in proroga della raccolta del gioco
del Bingo, e quindi l’assoggettamento a tutte le relative condizioni (compresa
la cauzione), costituisce “condizione di partecipazione” alla selezione per la
riattribuzione delle concessioni, con la conseguenza che (a meno di non voler
cambiare professione) i titolari delle concessioni in scadenza o scadute non
sono in grado di sottrarvisi. Quindi, ai fini della partecipazione alla selezione
per la riattribuzione, i soggetti “in proroga” si troveranno in una situazione di
18
svantaggio rispetto a nuovi operatori del mercato, derivante dalla necessaria
soggezione alle illogiche e onerosissime prescrizioni impugnate con il
presente atto.
2. Violazione del principio del primato del diritto dell’Unione Europea su
quello nazionale. Violazione dei principi di diritto dell’Unione Europea
in materia di proporzionalità, effettività, imparzialità, concorrenzialità,
libera prestazione dei servizi, competitività, non discriminazione,
ammortamento degli investimenti, affidamento e certezza del diritto.
Violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost. Violazione dell’art. 11 delle
preleggi. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei
fatti, illogicità e irragionevolezza manifeste, disparità di trattamento,
difetto di motivazione, sviamento.
Si è visto che, con la legge di stabilità 2014, il legislatore ha introdotto il
principio di onerosità delle concessioni per la raccolta del Bingo,
estendendolo anche alle concessioni scadute mediante il versamento, fino alla
data di sottoscrizione della nuova concessione, della somma di € 2.800 per
ogni mese o frazione di mese superiore ai quindici giorni, oppure di € 1.400
per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni, da parte del soggetto
che intenda partecipare al bando di gara per la riattribuzione della
concessione (cfr. lett. c del comma 636 dell’art. 1 della legge n. 147/2013).
Tale previsione è stata ribadita dall’ADM nel provvedimento prot. n.
2014/18603 impugnato, ove si è prescritto che i versamenti di cui sopra
“sono effettuati con cadenza mensile a decorrere dalla data di scadenza delle
concessioni esercitate fino alla data di sottoscrizione della nuova
19
concessione aggiudicata a seguito della procedura selettiva prevista
dall’articolo 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013”, con la precisazione
che “la regolarità dei versamenti costituisce condizione di partecipazione
alla procedura selettiva prevista dal richiamato articolo 1 comma 636 della
legge n. 147 del 2013”.
Deve essere tuttavia rilevato come non rientri nel potere delle Autorità
nazionali quello di incidere in siffatta maniera sui rapporti concessori in
essere, benché in regime di proroga per il periodo necessario allo
svolgimento delle nuove selezioni, perché in tal modo verrebbero
inammissibilmente introdotti nuovi elementi onerosi non previsti né
preventivabili al momento di partecipazione alla precedente gara, laddove
sono state operate le stime d’impresa sulle effettive possibilità di
ammortamento degli investimenti in relazione alle specifiche caratteristiche
del servizio.
La questione, nei suoi termini sostanziali, è stata esaminata dalla IV Sezione
del Consiglio di Stato, la quale, in relazione ad analoga vicenda in materia di
concessioni del gioco pubblico e con specifico riferimento alla pretesa
imposizione dei nuovi requisiti e obblighi della legge n. 220/2010 cit. anche
alle concessioni in essere, con la citata ordinanza n. 4681/2013, ha rilevato
che “questo Giudice, ai fini della verifica di legittimità degli atti
amministrativi con i quali i predetti requisiti ed obblighi vengono imposti
(anche) al concessionario in regime di prosecuzione, non può che attendere –
in quanto rilevante e dirimente – il giudizio della Corte Costituzionale sulla
legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 79, l. n. 220/2010, e dei precedenti
20
commi 77 e 78, in quanto da essa richiamati e per la parte in cui risultano
applicabili ai concessionari che si siano avvalsi della facoltà di cui all’art.
21, co. 7, d.l. n. 78/2009”, ossia della facoltà di proseguire nello svolgimento
del servizio.
Quindi, attesa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale delle norme sopra citate, il Consiglio di Stato ne ha
rimesso lo scrutinio alla Consulta con riferimento agli articoli 3, 41 e 42 della
Costituzione, sotto il seguente duplice profilo:
“- in primo luogo, con riferimento alla possibilità per il legislatore di
introdurre, a fronte di una posizione “consolidata” (nei sensi sopra
precisati), di un soggetto quale concessionario della pubblica
Amministrazione – e ciò per effetto di una precisa norma primaria, che ha
comportato anche a carico di tale soggetto, un esborso non irrilevante di
somme di denaro – una nuova disciplina recante nuovi requisiti ed obblighi,
tali da poterne pregiudicare la posizione di concessionario;
- in secondo luogo, come prospettato dalla stessa società appellante, con
riferimento al fatto che “le norme introdotte con la l. n. 220/2010
comportano una incidenza diretta sul libero esercizio della libertà di impresa
restringendo pesantemente ed inammissibilmente la possibilità di accedere
alla posizione di concessionario del gioco lecito e comunque gravando i
concessionari di intollerabili oneri aggiunti e prescrizioni eccedenti la
natura e il contenuto del rapporto””.
Ancora sul punto il Consiglio di Stato ha rilevato che “quanto al primo
aspetto, questo Collegio non ignora che il principio di irretroattività della
21
legge, sancito dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, ha
ricevuto “copertura” dalla Costituzione solo con riferimento alle leggi
penali. Tuttavia, la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale ha
insegnato come la (pur possibile) retroattività (ovvero applicazione ex novo
di una normativa sopravvenuta a situazioni preesistenti e diversamente
regolate) incontri un limite nei principi di eguaglianza e di ragionevolezza,
stigmatizzandosi norme di legge che incidono in modo irragionevole sul
legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento
fondamentale dello Stato di diritto (Corte Cost., 11 giugno 2010 n. 209)”.
In sostanza, quindi, il Consiglio di Stato, manifestando dubbi sulla legittimità
della richiamate disposizioni delle legge di stabilità 2011 in quanto
preordinate ad introdurre nuovi requisiti e obblighi su rapporti in essere, ha
stigmatizzato norme di legge che pretendano di incidere in modo
irragionevole sul legittimo affidamento nella sicurezza giuridica che
costituisce elemento fondamentale dello stato di diritto.
I suesposti rilievi hanno valenza anche nella fattispecie: anche in tal caso,
infatti, tanto il legislatore quanto l’ADM hanno preteso di incidere
negativamente sulle posizioni “consolidate” di soggetti quali concessionari
della Pubblica Amministrazione mediante una nuova disciplina recante
requisiti e obblighi non affatto previsti al momento di instaurazione del
rapporto concessorio e di entità tale da pregiudicare la posizione di
concessionario per effetto di un esborso non irrilevante di somme di denaro.
In relazione alla manifesta irragionevolezza della suddetta disciplina
(circostanza che, come rilevato dal Consiglio di Stato, esclude la possibilità
22
di invocare la derogabilità del principio di irretroattività delle leggi), si
evidenzia che il suddetto corrispettivo “provvisorio” si innesta in una
situazione di latente e oggettiva difficoltà dei concessionari del Bingo, la
maggior parte dei quali ha riscontrato notevoli difficoltà o non è riuscita
affatto ad ottenere l’ammortamento del proprio investimento e un’equa
remunerazione. La medesima disciplina, quindi, è inevitabilmente destinata
ad aggravare la crisi del settore, provocandone la concentrazione e/o la
chiusura di molte aziende. Ad ulteriore riprova della suddetta
irragionevolezza, si evidenzia che in relazione all’analoga vicenda del
rinnovo delle concessioni per la raccolta delle scommesse, il legislatore
nazionale, pur essendo spinto dalle medesime esigenze di “allineamento
temporale delle scadenze”, non ha comunque ritenuto opportuno gravare i
concessionari in proroga di uno specifico corrispettivo provvisorio
modificativo delle precedenti condizioni (il comma 9 novies dell’art. 10 del
D.L. n. 16/2012, infatti, si limita a prevedere che “i concessionari per la
raccolta delle scommesse di cui al comma 9-octies in scadenza alla data del
30 giugno 2012 proseguono le loro attività di raccolta fino alla data di
sottoscrizione delle concessioni accessive alle concessioni aggiudicate ai
sensi del predetto comma”).
In ordine alla violazione del principio di eguaglianza (che, sempre secondo il
Consiglio di Stato, parimenti esclude la derogabilità del criterio sancito
dall’art. 11 delle preleggi), si segnala che, mediante l’applicazione di un
corrispettivo “provvisorio” di importo identico per tutti e indipendente dal
volume di affari conseguibile, vengono inammissibilmente discriminati in
23
peius quei concessionari che, per svariati motivi (quali il posizionamento
delle sale Bingo in località commercialmente meno appetibili), si trovano a
conseguire i minori incassi.
Le citate disposizioni di legge, unitamente a quelle di carattere pedissequo
recate dal provvedimento amministrativo impugnato, si rivelano, dunque, in
palese contrasto con i principi posti dagli artt. 3 e 41 della Costituzione, oltre
che con i canoni dell’Unione Europea volti a garantire la proporzionalità e
imparzialità dell’azione, la concorrenzialità e la competitività delle imprese
ivi operanti (cfr. art. 173 TFUE) e l’ammortamento degli investimenti e la
remunerazione dei capitali impiegati al fine di non penalizzare
eccessivamente il principio di concorrenza che non deve essere limitato più
di quanto sia necessario per assicurare l’equilibrio finanziario (cfr. Circolare
10 marzo 2002 n. 3944, Dipartimento Politiche Comunitarie; Risoluzione del
Parlamento Europeo del 26.10.2006 n. A6-0363/2006; Comunicazione
interpretativa della Commissione Europea sulle concessioni n. 2000/C121102
pubblicata in G.U.C.E C/121/2 del 29.04.2000; Libro Verde relativo ai
partenariati e al diritto comunitario degli appalti e concessioni n. COM
(2004) 327 del 30.04.2004).
In base al noto principio della prevalenza delle norme e dei principi
dell’ordinamento dell’Unione Europea sulle disposizioni nazionali anche di
legge, primariamente sancito dalla CGUE nella nota sentenza Costa contro
Enel del 15 luglio 1964, sarebbe stato preciso dovere dell’ADM quello di
provvedere alla disapplicazione (rectius: non applicazione) delle contestate
previsioni recate dalla legge di stabilità 2014. E tale motivo, certamente, è già
24
di per se sufficiente a radicare l’illegittimità del provvedimento impugnato.
In ogni caso, poi, la conferma della suddetta illegittimità si ricava anche
considerando che, in applicazione del richiamato criterio della prevalenza, la
legittimità del provvedimento in questione deve essere scrutinata avendo
diretto riguardo alle prescrizioni recate dalle riferite fonti comunitarie,
rispetto alle quali – come si è visto – tale atto si rivela manifestamente
incompatibile.
In virtù di quanto espresso, si chiede che l’Ecc.mo Tribunale adito,
unitamente all’annullamento degli atti impugnati:
a) ritenendola ammissibile e non manifestamente infondata, voglia sollevare
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 636, lett. c), della
legge n. 147/2013, nella parte in cui prevede l’ingiusto e iniquo versamento
del corrispettivo “provvisorio” di € 2.800,00 per ogni mese o frazione di
mese superiore ai 15 giorni e di € 1.400,00 per ogni frazione di mese
inferiore ai 15 giorni da parte dei soggetti già titolari di concessioni per il
gioco del Bingo sebbene in regime di proroga ex comma 636 cit., in relazione
agli artt. 3 e 41 Cost.
b) contestualmente o in alternativa, voglia sollevare innanzi alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale interpretativa, ex
art. 19, paragrafo 3, lettera b), del TUE e art. 267 del TFUE, finalizzata a
verificare se i richiamati principi di diritto dell’Unione Europea vadano
interpretati nel senso che essi ostano all’applicazione del corrispettivo
“provvisorio” imposto dall’art. 1, comma 636, lett. c), della legge n.
147/2013 ai soggetti già titolari di concessioni per il gioco del Bingo sebbene
25
in regime di proroga ex comma 636 cit.
3. Violazione dei principi di diritto dell’Unione Europea in materia di
proporzionalità, effettività, imparzialità, libertà di concorrenza, libera
prestazione dei servizi, ammortamento degli investimenti e
remunerazione dei capitali, competitività e non discriminazione.
Violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost.
Come si è detto, il principio di onerosità introdotto dal comma 636 dell’art. 1
della legge n. 147/2013 riguarda anche e soprattutto le nuove concessioni del
Bingo, i cui titolari saranno tenuti a corrispondere una somma minima di €
200.000,00 (lett. a), il cui versamento avverrà in due metà di pari importo, la
prima alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara per
la riattribuzione della concessione e la seconda alla data di sottoscrizione
della nuova concessione, all’esito della conclusione della procedura di
selezione dei concorrenti (lett. e).
Anche tale previsione si rivela incompatibile con i richiamati principi
comunitari e costituzionali per diversi motivi.
Va anzitutto rilevato che la pretesa di applicare un corrispettivo concessorio
avente la medesima entità per tutti i soggetti concessionari è irragionevole e
discriminatoria, in quanto non tiene conto della oggettiva diversità delle
situazioni su cui incide.
Come si è detto, le realtà in cui versano i vari concessionari del gioco del
Bingo sono molto diverse tra loro. Alcuni sono titolari di sale ben posizionate
e suscettibili di garantire adeguati incassi, altri, invece, di esercizi situati in
zone in cui tale possibilità non è consentita. E’ dunque evidente che - anche
26
in tal caso - l’applicazione di un prezzo della concessione uguale per tutti si
presta, inevitabilmente, a concentrare il settore nelle mani delle grandi
imprese, le quali, anche per le attività collaterali gestite, si rivelano le sole in
grado di sostenere indenni il suddetto esborso, con conseguente evidente e
grave lesione del principio europeo a tutela della concorrenzialità tra le
imprese.
Ad ulteriore riprova della manifesta irragionevolezza delle contestate
disposizioni di legge, si fornisce – ancora una volta – il parallelo con il
sistema normativo che caratterizza le concessioni per la raccolta delle
scommesse, laddove il principio di onerosità è stato parametrato alle diverse
possibilità di guadagno dei vari concessionari sia il relazione all’ammontare
del canone che a quello della garanzia fideiussoria.
E’ dunque in definitiva evidente che le contestate disposizioni della legge di
stabilità 2014 si pongono in contrasto con i principi costituzionali di
uguaglianza (art. 3 Cost.) e di libertà di esercizio dell’iniziativa economica
privata (art. 41 Cost.), nonché con i ripetuti principi europei volti a favorire la
competitività e la concorrenza tra le imprese operanti nell’Unione, vietando,
al contempo, l’insorgenza di fenomeni discriminatori come quello appena
descritto. Va altresì aggiunto che il criterio di onerosità delle concessioni del
Bingo come delineato dalle contestate previsioni di legge, anche e soprattutto
se rapportato alle ulteriori previsioni della stessa (non da ultimo a quella sulla
minor durata delle concessioni di cui alla lett. b del comma 636 cit., su cui si
dirà meglio infra), si rivela di ostacolo ad un effettivo ammortamento degli
investimenti e ad un’adeguata remunerazione dei capitali impiegati, in palese
27
conflitto anche con i relativi principi dell’Unione in precedenza richiamati
(cfr. Circolare 10 marzo 2002 n. 3944, Dipartimento Politiche Comunitarie;
Risoluzione del Parlamento Europeo del 26.10.2006 n. A6-0363/2006;
Comunicazione interpretativa della Commissione Europea sulle concessioni
n. 2000/C121102 pubblicata in G.U.C.E C/121/2 del 29.04.2000; Libro Verde
relativo ai partenariati e al diritto comunitario degli appalti e concessioni n.
COM (2004) 327 del 30.04.2004).
Per le suddette ragioni, si chiede che l’Ecc.mo Tribunale adito, unitamente
all’annullamento degli atti impugnati:
a) ritenendola ammissibile e non manifestamente infondata, voglia sollevare,
in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 636, lett. a), della legge n. 147/2013, laddove è prevista
l’ingiusta e iniqua applicazione di un corrispettivo minimo unico, pari ad €
200.000,00, a tutte le concessioni per il gioco del Bingo indipendentemente
dal volume d’affari delle stesse e in contrasto con la possibilità che venga
conseguito l’effettivo ammortamento degli investimenti, oltre ad un’adeguata
remunerazione dei capitali impiegati;
b) contestualmente o in alternativa, voglia sollevare innanzi alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale interpretativa, ex
art. 19, paragrafo 3, lettera b), del TUE e art. 267 del TFUE, tendente a
verificare se i principi dell’Unione Europea richiamati in epigrafe al presente
motivo di diritto vadano interpretati nel senso che essi ostano all’applicazione
di un corrispettivo minimo unico, pari ad € 200.000,00, a tutte le concessioni
per il gioco del Bingo indipendentemente dal volume d’affari delle stesse e in
28
contrasto con la possibilità che venga conseguito l’effettivo ammortamento
degli investimenti, oltre ad un’adeguata remunerazione dei capitali impiegati.
3. Violazione dei principi di diritto dell’Unione Europea in materia di
proporzionalità, effettività, imparzialità, concorrenzialità, competitività,
libera prestazione dei servizi, ammortamento degli investimenti e
remunerazione dei capitali, e non discriminazione. Violazione degli artt.
3, 41 e 97 Cost.
Va infine rilevato che, alla lett. c) del comma 636 dell’art. 1, la legge di
stabilità 2014, nel dichiarato fine di conseguire l’“allineamento temporale
delle concessioni”, ha ridotto a sei anni la durata delle stesse, escludendo la
possibilità, in precedenza prevista (cfr. art. 15 dello schema di convenzionetipo approvato con il D.M. 21.11.2000), di ottenerne il rinnovo per ulteriori
sei anni.
Anche tale previsione è manifestamente irragionevole, nonché in palese
contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione e dall’Unione Europea.
Al riguardo è anzitutto necessario richiamare la recente vicenda
giurisdizionale che ha riguardato il sistema concessorio per la raccolta delle
scommesse. Più in dettaglio, si segnala che con un recente ricorso al giudice
amministrativo un operatore di tale settore ha – tra l’altro – denunciato la
incompatibilità con i principi dell’Unione della normativa recata dall’art. 10,
commi 9 octies e 9 novies, del D.L. n. 16/2012 anche e soprattutto nella parte
in cui, al fine di operare l’allineamento temporale delle concessioni in
scadenza, se ne è limitata la durata, precludendo, in tal modo,
l’ammortamento dei costi e degli investimenti sostenuti (Rg. TAR lazio n.
29
8592/12 e Rg. CdS n. 2661/13).
Con sentenza n. 4199/2013, codesto Ecc.mo Tribunale ha avallato l’operato
del legislatore unicamente perché, in quella specifica ipotesi (a differenza che
nella fattispecie), “a tale ridotta durata, stabilita per consentire ‘un primo
allineamento temporale della scadenza delle concessioni’ … faceva da
contrappeso una serie di misure che avevano reso gli obblighi e gli oneri
connessi alle nuove concessioni meno gravosi a fronte di quanto previsto per
le concessioni precedentemente affidate aventi durata più lunga” (cfr. la parte
narrativa della sentenza di appello: CdS, Sez. IV, n. 4199/2013). Nell’ambito
di tali “contrappesi”, peraltro, figuravano espressamente una base d’asta
“sensibilmente inferiore” e il ridimensionamento degli importi della cauzione
rispetto a quelli delle precedenti gare, ragionevolmente parametrati alla
diversa e minor durata dell’affidamento.
In sintesi, codesto Ecc.mo Tribunale ha rilevato che la minor durata delle
nuove concessioni poteva considerarsi accettabile esclusivamente laddove
ritenuta “congrua rispetto al ridotto importo di ciascun diritto”, sicché solo
in tale ottica la stessa limitazione avrebbe potuto considerarsi non
discriminatoria e compatibile con la necessità dell’ammortamento degli
investimenti e la remunerazione dei capitali, nonché funzionale all’obiettivo
di allineare temporalmente le scadenze dei titoli concessori.
Nella medesima sentenza, inoltre, lo stesso Tribunale ha comunque
subordinato la possibilità, per la normativa nazionale, di introdurre restrizioni
alla libera prestazione dei servizi garantita dal diritto dell’Unione Europea
alla oggettiva esistenza di motivi imperativi di interesse generale e al rispetto
30
dei criteri di reale finalizzazione, proporzionalità ed effettività, equivalenza e
non discriminazione.
La sentenza d’appello n. 4199/2013, resa dalla IV Sezione del Consiglio di
Stato, ha condiviso i suddetti argomenti, enfatizzando il fatto che, in quel
caso, “se è vero che le concessioni messe in gara hanno minor durata di
quelle precedentemente attribuite, esse sono, però, anche meno onerose e
meno impegnative economicamente per l’aspirante concessionario”.
Nondimeno, sempre sulla scorta dei fondamenti della sentenza resa dal TAR,
il Consiglio di Stato ha formulato un ulteriore rilievo destinato ad rinvenire
particolare valenza anche nella fattispecie: "le clausole esaminate in
precedenza (asseritamente “determinanti antieconomicità” …) trovavano
una giustificazione proprio in quegli obiettivi primari “di controllo su coloro
che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire
l'esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti”, come
espressamente affermato nella sentenza “Placanica”della Corte di Giustizia,
che, si è visto, legittimano, a determinate condizioni, il permanere del
sistema concessorio italiano; … invece, l’avversata disposizione in punto di
durata delle concessioni messe in gara non trova eguale fondamento
legittimante sotto il profilo causale. Essa si distacca da quelle
precedentemente esaminate, per la ratio impositiva alla stessa sottesa, e
come si è visto, fondante su una (mera) esigenza organizzativa e
razionalizzatrice”. Proprio in considerazione di ciò, il Consiglio di Stato ha
ritenuto necessario sollevare la questione pregiudiziale innanzi alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea, formulando il seguente duplice quesito:
31
“A) se gli artt. 49 e segg. e 56 e segg. del TFUE ed i principi affermati dalla
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza 16.02.2012 n. 72,
vadano interpretati nel senso che essi ostano a che vengano poste in gara
concessioni di durata inferiore a quelle in passato rilasciate, laddove la
detta gara sia stata bandita al fine di rimediare alle conseguenze derivanti
dall'illegittimità dell'esclusione di un certo numero di operatori dalle gare;
B) se gli artt. 49 e segg. e 56 e segg. del TFUE ed i principi affermati dalla
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella medesima sentenza 16.02.2012
n. 72, vadano interpretati nel senso che essi ostano a che l’esigenza di
riordino del sistema attraverso un allineamento temporale delle scadenze
delle concessioni costituisca giustificazione causale adeguata di una ridotta
durata delle concessioni poste in gara rispetto alla durata dei rapporti
concessori in passato attribuiti”.
Il Consiglio di Stato, quindi, ha anzitutto distinto le esigenze meramente
organizzative, consistenti nell’intento di allineare temporalmente le scadenze,
da quelle di carattere sociale o criminale, quali la tutela del consumatore, la
prevenzione della frode e il contenimento della propensione al gioco,
rilevando che soltanto queste ultime “possono giustificare restrizioni ai
principi comunitari … ma solo se idonee allo scopo e perseguite in modo
coerente e sistematico”. Sulla base di ciò, lo stesso Giudice ha quindi posto in
dubbio che le prime possano costituire “giustificazione causale adeguata” al
fine di ridurre la durata delle concessioni poste in gara rispetto a quella dei
precedenti rapporti concessori.
Come si è detto, tali rilievi rinvengono particolare valenza anche nella
32
fattispecie in esame laddove, in violazione dei più volte richiamati criteri
sovranazionali, la irragionevole limitazione della durata, oltre a non essere
bilanciata da alcun “contrappeso” economico, non consente in alcun modo
l’effettivo ammortamento degli investimenti e un’adeguata remunerazione
dei capitali impiegati, con conseguente ulteriore compressione della
competitività del settore a netto svantaggio dei piccoli concessionari, i quali,
ancora una volta, si vedranno discriminati in peius.
Va peraltro osservato che, in chiara violazione dei principi di ragionevolezza
e proporzionalità, il grave sacrificio imposto dalla contestata disposizione di
legge non consente comunque il raggiungimento del dichiarato obiettivo di
allineamento temporale delle scadenze. Si evidenzia, infatti, che nell’intento
di raggiungere il suddetto fine, la legge di stabilità 2014 ha previsto
l’emanazione di bandi con cadenza biennale. Tuttavia, a fronte del fatto che il
primo bando dovrebbe essere pubblicato a breve e che l’ultima scadenza è
fissata al 2020, non è dato comprendere in che modo possa mai conseguirsi
l’allineamento temporale in discussione, posto che la durata sessennale delle
concessioni oggetto dei successivi bandi non lo consentirà.
Per le ragioni suesposte, si chiede che l’Ecc.mo Tribunale adito, unitamente
all’annullamento degli atti impugnati:
a) ritenendola ammissibile e non manifestamente infondata, voglia sollevare,
in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 636, lett. b), della legge n. 147/2013, laddove è prevista
una durata dei nuovi rapporti concessori inidonea a consentire
l’ammortamento degli investimenti e un’adeguata remunerazione dei capitali
33
impiegati;
b) contestualmente o in alternativa, voglia sollevare innanzi alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale interpretativa, ex
art. 19, paragrafo 3, lettera b), del TUE e art. 267 del TFUE, tendente a
verificare se i richiamati principi di diritto dell’Unione Europea (tra cui quelli
di non discriminazione, proporzionalità, concorrenzialità e competitività
d’impresa, nonché di ammortamento degli investimenti e remunerazione dei
capitali) vadano interpretati nel senso che essi ostano all’evidente riduzione
della durata dei nuovi rapporti concessori per la raccolta del gioco del Bingo
rispetto a quanto al passato, disposta dall’art. 1, comma 636, lett. b), della
legge n. 147/2013, peraltro senza la previsione di alcun “contrappeso”
economico a favore dei concessionari, la cui situazione – come si è visto –
risulta invece aggravata.
4. A conclusione del presente atto, si vuole richiamare l’attenzione del
Collegio sul desolante quadro di insieme che ne emerge e, segnatamente, sul
fatto che il combinato disposto di tutte le contestate previsioni di legge e
amministrative, nettamente sfavorevoli ad un settore già in grave difficoltà,
anche perché destinatario di recenti e ulteriori prescrizioni negative, è
inevitabilmente destinato a determinarne il collasso e la concentrazione a
scapito della concorrenzialità e dei soggetti più deboli, ossia delle piccole e
medie imprese a cui appartengono le ricorrenti, con evidenti ripercussioni
sfavorevoli anche per il pubblico Erario, ulteriore vittima di questo nuovo e
irrazionale sistema normativo.
ISTANZA DI CONCESSIONE DI IDONEE MISURE CAUTELARI
34
Circa il fumus boni juris, si rinvia ai motivi dedotti, i quali inducono ad una
prognosi favorevole circa l’esito del presente ricorso.
Quanto al periculum in mora, si evidenzia la gravità e l’irreparabilità del
pregiudizio, anche in relazione al profilo occupazionale, connesso
all’oggettiva onerosità delle contestate prescrizioni normative, le quali
impongono ai concessionari ricorrenti, già oltremodo vessati, ulteriori e
insostenibili sacrifici economici destinati ad aggravarne ulteriormente la già
precaria situazione, con conseguente rischio di chiusura delle relative
aziende.
Talché, in un’ottica di corretta ponderazione tra i presunti interessi pubblici e
quelli facenti capo alle ricorrenti, saranno questi ultimi a dover prevalere.
Si evidenzia, invero, che nella auspicabile ipotesi di accoglimento della
presente domanda cautelare, la Pubblica Amministrazione non verrebbe a
soffrire pregiudizio alcuno, non soltanto in ragione della manifesta
illegittimità degli atti e provvedimenti impugnati, ma anche perché il
pagamento delle somme a titolo di corrispettivo concessorio “provvisorio”
potrà essere eventualmente differito all’esito della definizione nel merito del
presente ricorso, mentre il periodo di “proroga” risulta garantito
dall’operatività della precedente cauzione.
Viceversa, non può sfuggire come eventuali crisi aziendali derivanti
dall’applicazione della irragionevole normativa che si contesta siano
destinate a provocare dirette ripercussioni sul pubblico Erario in termini di
minori entrate percepite dalla raccolta del gioco.
P.Q.M.
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Voglia l’Ecc. mo Tribunale Amministrativo Regionale adito, previa
concessione di idonee misure cautelari collegiali, accogliere il ricorso in ogni
sua parte e per l’effetto:
- dichiarare illegittimi e annullare tutti i provvedimenti impugnati;
- sollevare le questioni di legittimità costituzionale innanzi prospettate;
- sollevare davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni
pregiudiziali interpretative innanzi prospettate.
Con vittoria di spese e onorari.
Il contributo unificato è dovuto nella misura di € 650,00.
Roma, 2 maggio 2014
Avv. Luca Porfiri
Avv. Alvise Vergerio di Cesana
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